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Trenta poesie per

Quaderni di poesia contemporanea

Nicola Ruggiero
nicolaruggiero1986@gmail.com

31 gennaio 2016
Indice

Biobibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ii
Poesie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
Illusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
Senza padroni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Guerriglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Noi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Mentre aspetto scirocco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Noi, insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Chissà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Il canto delle rane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Se . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
Viaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
Il mercato delle parole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Un muratore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Madre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
Elegia per il compagno Oreste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18
Aprile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
Novembre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Appunti al bar . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
I tuoi occhi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
Ti parlo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Cerchi di caffé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
La notte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
Nesvegur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28
Come l’inverno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
Nesvegur/Skerjabraut . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
Forse la primavera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Suðurmýri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
Piazza Donatello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
Reykjavík-Torino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
Ballata prima di un viaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
Al chiaroscuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

i
Biobibliografia
Nicola Ruggiero nasce a Mola di Bari, in Puglia, il 22 gennaio 1986.
Dopo la maturità classica si trasferisce in Islanda a Reykjavík dove lavora come edu-
catore d’asilo nido e in seguito come guardiano notturno in una comunità-alloggio per
disabili mentali.
Laureando in lingue straniere (islandese e inglese) presso l’Università d’Islanda con una
tesi sull’autotraduzione nel poeta islandese Baldur Ragnarsson, ha pubblicato due rac-
colte di poesie in lingua esperanto e una in italiano, “Il canto delle rane”. Vincitore di
diversi premi letterari in poesia, prosa, saggistica e teatro, guida da alcuni anni seminari
di letteratura in Esperanto e di scrittura creativa.

Bibliografia
Ciclo di poesie Absinthe pubblicato in:
Primo premio Claudia Ruggeri: letteratura e giovani autori. Lecce, Terra d’Ulivi. 2007.

Autopubblicazione con ilmiolibro.it


Nicola Ruggiero. Il canto delle rane. 2013.

Poesia Forse la primavera pubblicata in:


Sulla carta del tempo. Lecce, Terra d’Ulivi. 2015

Contatti
Nicola Ruggiero
Skerjabraut 5 A kjallari
IS-170 Seltjarnarnes
Islanda
nicolaruggiero1986@gmail.com
+354 86 79 77 5
Poesie
Illusione

Sei tu la mia piccola illusione,


fatta di sole ghiacciato, amaro
e fresco, bello come un accordo
stonato vivo in questa armonia.
Come un bicchiere al rovescio, aspetto
che la candela muoia per far sì che
tu annusi il fumo stanco dalla noia
e possa desiderare dei sogni.
Chiudi i tuoi occhi, non parlare: parla
già la tua energia, tua e nascosta,
la lontananza muore come un’ancia,
col tuo silenzio pallido e grave,
diluvia da giorni “Ti amo” tremo.
Paura di dar molto, senza avere.

2
Senza padroni

Alzo lo sguardo stando giù per terra,


cespugli neri e grigi mi minacciano
di schiaffeggiarmi ancora più in basso
sputandomi parole a me inutili.
Non c’è alcuna rima, né assonanze,
solo un metro semplice, null’altro;
né rime né ragioni spiegheranno
la mia tristezza forse momentanea.
Ma tu coi tuoi occhietti che non sanno,
donami il tuo freddo, ridarò tutto
il calore rimastomi, in regalo.
Baciami come ieri, con lentezza,
fammi assaporare la tua voglia
di me, liberami dalle mie paure.

3
Guerriglia

È una guerriglia contro l’armonia,


contro ciò che vorrei ma che non trovo,
che tu mi dai per due lancette vive
per mille baci, mille e silenziosi.
Ma io attacco, sparo e vado via,
seccato ed umiliato mi ritiro
nella trincea del mio sconforto,
ma una mano tocca le mie spalle.
Era la tua, e sempre nel silenzio
della guerriglia mi baci, io ti parlo,
tu taci riprendendo il fiato perso.
All’alba mi risveglio, taci ancora,
nessuno ha vinto la guerriglia, forse
un giorno avremo pace, e parlerai.

4
Noi

Il buio, il tuo fiato, la mia mano,


la tua. Pausa. I tuoi baci lenti
le mie carezze sulle tue guance
e le tue gambe vicine alle mie.
Due forze, piccoli abbagli, luci
lontane, quest’inverno è passato,
io me ne andrò in silenzio, “non guardare
i miei occhi”, il tuo sorriso calmo.
Volevo fendere le nubi nere,
tra brividi, sudori con paure,
e sogni d’un caffè a un bar viennese.
Il buio, i tuoi abbracci e mugolii...
oggi non il vento c’ha spettinati:
parole, baci, dita, le tue labbra.

5
Mentre aspetto scirocco

Il maestrale
rovinerà il frutto
dei ciliegi,
avvicinerà
nuvole nere
e il cielo sarà
come pietra.
Eppure,
aspetto scirocco.

6
Noi, insieme

Noi, insieme,
siamo soffio,
tu energia,
io aria,
tu amore,
io labbra.
Queste mani e queste braccia
sono sporche di colla,
direbbe mio fratello,
ma io la chiamo speranza.
I tagli alle dita
causati dalla carta tagliente
dei manifesti,
io la chiamo libertà.
Le tue grida soffocate
nei tuoi sguardi e nei tuoi
mille pensieri
gridano la mia impotenza
e la mia piccolezza:
posso poco, lo sai...

7
Chissà

Chissà se almeno tu capisci


la mia rivoluzione di ora,
tormenti che provavo dentro,
tempeste che mi scaglian contro.
Chissà se comprendi queste
mie idee degne d’un bambino
che sogna ad occhi aperti e tocca
a stento terra coi suoi piedi.
Chissà per quanto ancora il tuo
inchiostro-sogni-maï-detti
sarà su quei foglietti bianchi,
per quanto annuserò il profumo
del sole torrido-sahara
che brucia dentro il mio deserto.

8
Il canto delle rane

Hai mai sentito il canto delle rane


nella discarica abusiva ad ovest
coperta da quell’acqua sporca e scura?
Hai visto che anche loro tra i rifiuti
di questa società da quattro mura
parlan d’amore essendone guardiane?

9
Se

Se siamo roccia lo sapremo tardi


quando il caffè sarà ormai freddo,
sarai scoperta da un lieve maestrale
mangiare un frutto non maturo.
Se avremo le radici, come penso,
piantate nella roccia proibita
cadrà la pioggia,
le nutrirà il tuo microcosmo
di pennellate solitarie
che il vento porta verso casa tua,
al di là dei palazzi in costruzione.
Di suggerirti le parole
non ho voglia,
tanto meno quella strada,
la tua strada.
La libertà innanzitutto
va solo amata,
baciata poco alla volta.

10
Viaggi

I
Ricordi la girandola in terrazza?
Stanotte l’ho vista giocare e
suonare con un vento che migrava
verso est, assieme al mio respiro
sempre più grave, mentre a torso nudo
ho cavalcato una domanda,
baciato un ideale, stuprato un sogno
ricorrente e riletto Majakovskij.
II
Quand’è maestrale puoi ascoltare i treni
che si trascinano pesanti
ma rapidi e rapiti anch’essi dall’alba
che scopre scritte vergognose
nella stazione d’un piccolo paese.
Con estrema lentezza la stazione
riacquista quelle sfumature
e quei contorni rudi e definitivi
dalla scriminatura di quell’acqua
cielo mai stato un verginello;
e riconosco le sue nervature,
e i suoi grigi rigonfiamenti adulti,
la madre tenera e severa
ch’influenza quei nostri comportamenti.
III
Si parte perché non si sa restare:
la strada ferrata ci guiderà,
il battito delle tue ciglia
marcherà il confine tra le fermate
e il conoscere e il tuo urlo irto
si sfogherà in lacrime vecchie
che sanno d’un passato maï andato.
Mi spari addosso queste tue cartucce
di piombo caldo mentre cerco

11
il sonno dopo aver gridato cosa
m’intimorisce quand’è giorno.

12
Il mercato delle parole

Se è vero che le parole hanno un senso


e che non sono fatto di maestrale
ma di scirocco afoso e asfissiante
ti porterò la pioggia nel mio mare
e nelle tasche della tua notte
infilerai le quattro monetine
di ruggine che prima m’hai lanciato
e che ora hai raccolto lì da terra.
Andrai al mercato delle mie parole,
ti comprerai quelle che non sai dire
ma tu svegliata dal morboso sonno
le vedrai opache, prive di te stessa.
Vomiterai parole già pensate
mai dette ma invocate dalla colpa,
sarai come un’estate con la neve.

13
Un muratore

Creo tuoi sentieri e soste


svelti e lunghi passi.
Faccio nuove stelle bianche
su cui salterai.
Forse pensai concezioni del vivere.
Plasmai in cavità
ma tu non lo sai,
mia stella dal mio caos
da cui tu
danzante stella
uscisti al di là
tu luce di virtù
cammini
(raggio di luce che vive in cammino).
È notte: ecco il mio
desiderio sai
erompe ora da me
sorgente.
È notte: ecco il mio
desiderio sai
adesso ti dirò:
parlare
(l’anima mia zampillante fontana).
(Perché il progetto, non ramingo o solo,
fosse perpetuo presi in mano
tutto ciò che mi capitava innanzi
e dopo notti insonni sotto il manto
che si nasconde al sole pien d’orgoglio
sputai per terra il mio sapere antico
quando il rintocco annunciò quel nuovo giorno
e creai ciò che tu tocchi, che calpesti,
forgiando nuove facce d’espressioni
che già conosci ma in realtà non sai
perché tu lecchi la sua crosta ingenua
eppure se attaccassi quel tuo mondo

14
e ne facessi pezzettini avresti
una nuova coscienza da macchiare.)
Forse la mia calce bianca
copre troppo il sogno.
Corro sempre più veloce
sforzo tutto me.
(Dalla montagna al mercato
per vivere.)

15
Madre

Madre, sto per partire,


non temere per me,
ho pane e acqua quanto basta
e la mia foto (di me non più glabro)
nella tua tasca riposa.
Saluta i miei fratelli
ormai restii a tracciare un abbraccio
o
un saluto;
fallo tu per me.
Mi insegnasti disciplina e fedeltà,
uguaglianza e amore,
mi hai fatto odiare
l’abulia, il parassitismo,
la vigliaccheria
nello sminuire l’avversario.
Madre, la verità
è
rivoluzionaria,
e per questo fa male.
(Cosa importa se
questo carcere ideale
mi è stato costruito attorno
da burocrati menzogneri
o se ci sono
entrato,
illudendomi?)
Quanti dispiaceri, Madre,
ma stanne certa,
non è colpa tua
se i fratelli non mi vogliono
in casa
né parlano di me.
Il tempo

16
e
mille vite
avranno l’ingrato
compito
di alzare
o
abbassare un pollice.
A te, carissima mamma,
un più tenero abbraccio.

17
Elegia per il compagno Oreste

Tu non sei come quella foglia


d’alta betulla che in autunno
si spegne e canuta si lascia
cadere fra l’erba e la terra,
perché desideri volare
ancora, fino a quando il rosso
della pagina vien voltata
dal vento freddo e capriccioso.
La luce al buio s’accompagna
e il tuo volare rende carico
di saggio vivere quel rosso
reso ancor più palese infine,
e noi le piccolette foglie
ascoltavamo le parole
d’Oreste, compagno ed onesto.
Ed ora il vento s’è placato,
ed anche tu, compagno Oreste,
sembri esserti fermato un attimo
forse per un ricordo antico?
Non è importante, importa solo
che in noi permanga il senso tutto
di quella tua coerenza
di quella tua passione
di quella tua resistenza.

18
Aprile

I
A volte non ho la forza
per sentirvi e mi spavento
della mia debolezza.
Vorrei restare solo
per mettermi alla prova,
ma sono un albero nell’inverno
nordeuropeo, schiaffeggiato dal vento,
coperto dalla neve e dal buio.
Non chiedetemi come sto,
perché il caffé bruciato
mi rimanda alle domeniche
che non ci sono più,
con voi tutti,
fra sorrisi e litigi,
fra profumi e frastuoni.
Vi vorrei qui
e piangere assieme a voi,
per liberarci dalle nostre manie,
per fermarmi nel mio
lungo peregrinare,
e avvolgerci in un
fazzoletto di gioia.
II
I rumori della strada
sono come quando insieme
camminavamo e in silenzio
coloravamo triste lettere
d’un nostro alfabeto.
Sempre più di rado
il vento porta con sé
gli odori delle cucine,
dei panni stesi,
ma l’odore acre del mare
quello sì, è ancora qui da me,

19
mentre dondolo
come betulle protese
verso il cielo cangiante,
tra sputi e tosse,
fra il roboare delle auto
sempre di fretta.
Vorrei fermarmi,
anche solo per un po’,
e imparare di nuovo
a spuntare le foglie,
a rinascere dal nulla.

20
Novembre

Novembre era maestrale che rinfaccia


il sonno temporaneo delle foglie,
ma mai una carta bistrattata a lungo,
un desiderio mai ben espresso.
Verrai di nuovo qui, ne son sicuro,
e ti racconterò quel che non sanno
gli occhi dell’uomo, le proteste interne
bloccan polmoni, muscoli e la bocca
e tutto tace nella trasparenza.
Come il prato aspetta il vento
come il mare la corrente
la tua voce soffia un dono:
un domani che verrà.
Muovi nuovi venti astratti
mentre i tuoi capelli corti
danno luce alla notte
danno torto alla morte.

21
Appunti al bar

I
Anche noi,
forse vivi,
più in là
spingeremo
questo peso.
II
Penna birichina e stronza,
succhia la tua china sbronza,
scrivi che la birra fresca
è rovina d’ogni tresca,
scrivi che se il vin scarseggia
ogni vianda rumoreggia,
scrivi che ci piace il whisky
e alle donne fare fischi.
III
I marinai dei sette whisky
cantavano dei mille mari,
dei voli dei gabbiani grigi
negli alti cieli bianchi.
IV
Fra chiacchiere di birra
e attese di cartone,
sorrisi a quella sorte
che già sapevo bene.
V
Senza sporcar col sesso
andirivieni
di sguardi che ridevan,
parole vere
filtrate sol dal tempo.
Saremo solo amici,

22
un ciao e due risate
tre birre e quattro sogni,
ma te ne basti uno
che fu speciale,
desiderato.
Non credo nei miei sogni,
ma credo che sian loro
la sveglia del mattino.
(Eppure mi credevo sfortunato
al gioco, maledetto tris di kappa).

23
I tuoi occhi

Saranno loro a dirmi che non posso,


che forse è meglio a volte ritirarsi,
coprirsi e riposarsi dai tuoi occhi
che tolgon la parola a chi li fissa.
(Ma dove porteranno questi passi,
e quando le mie scarpe avran riposo?
Dov’è nascosto il guerriero fiero,
dov’è il coraggio, mio compagno e amico?)
Un giorno non lontano non più pietra
sarò, ma fiamma viva che non teme
la pioggia, né il cambiare del maestrale.

24
Ti parlo

Ti parlo e non mi credi,


rinchiusa nel tuo fiore,
ti dico che è estate,
che l’albero in giardino
regala, con le foglie,
dell’ombra a quel lupino.
Ti parlo e non mi ascolti,
ma cosa ci divide?
Un marciapiede grigio,
tre lingue, un fuso orario,
i tuoi occhi di caffé,
il mio volare impacciato.
Non parli, ma ti sento,
sottile, nel maestrale,
nel vino rosso scuro
rimasto sulle labbra
di te mortale ingenuo
che vede ma non crede.
Mi parli, non t’ascolto,
il vento non riposa,
la strada non finisce,
mi guardi, ti sorrido...
com’è che nulla abbiamo
ma tutto vive intorno?

25
Cerchi di caffé

La tazzina riposa sul piattino


e leggo d’un uomo fattosi tarassaco
e spera che il vento lo porti
da quella donna occhi nocciola
e leggo i cerchi del caffé
a nord nubi dense
a sud la foce di un fiume
a est uno spicchio di luna
mentre a occidente
c’è il mare, bianca schiuma.
(Come stai senza di me
ora che non ti scrivo?
Io mi sento come un vento
senz’aquilone)
Leggo ancora i cerchi
mi sorprendo della distanza
fra loro ammiro il tratto deciso
e conto i granellini della posa
uno per uno calando verso il fondo
che strano,
basta un colpo di spugna
e tutto svanisce
e tutto è bianco
così il tarassaco è scomparso
e Inverno mi sorride.
Ma dimmi, come stai senza di me?

26
La notte

Per me la notte è cominciata quando


l’odore del pesco nascondeva tutto
nella cantina degli addii mai detti;
per ogni lettera che ti scrivevo
pensavo a come non avresti detto
che tutto è falso, tutto è nel silenzio,
che questo odor di pesco non vivrà,
poiché precario sul rasoio stanco
di strofe non cantate, rese mute.

27
Nesvegur

Nesvegur gracchia e stride in lontananza,


ma sento chiaro l’undici che passa
e il tredici che ritarda la sua danza:
non posso amare questa luna bassa,
commosso e rosso in faccia, la mattanza
di stelle rare, perse, non rilassa.
Eri al quarantatrè e ora chissà dove,
sei il buio che ritorna quando piove.

28
Come l’inverno

Sei tornata come torna l’inverno


dopo una giornata di sole,
vino e caffè.
Sei tornata
traversando tante strade
e ti sei fermata
dove meno ti credevo.
Perché io non ti aspettavo più
e balbetto il tuo nome
nelle notti insonni.
Sei tornata
e siamo entrambi
in questa città
indaffarati a ignorarci
per essere più forti,
a dimenticare
la nostra umanità
e parole di cortesia.

29
Nesvegur/Skerjabraut

Continuo ancora a dare nomi ai ragni


che non si curano del vento secco
ma come me ricrean la tela rotta
per sopravvivere, per non morire.
Continuo ancora a leggere le nubi,
esploro gli astri per congiungere linee
e dare un senso alla luna e ai corvi
e al vento che mi guida allo stupore.
Ma tu che leggi, tu che mi sciorini
un dizionario di seconda mano
e m’offri tè bollente e frasi fatte,
spiegami lo scirocco nel mio petto,
l’accartocciarsi delle mie domande,
il mio rinascere per poi morire.

30
Forse la primavera

Sei vento e sole nel pastello chiaro


che dopo tanta pioggia vive e canta
ballate, filastrocche e rime sparse.
E lì, distanti, s’allontanan lente
e ormai arrossite, nuvole e parole
che tremano, sudano, ché il sole guarda...

31
Suðurmýri

Giorni fa,
mentre cercavo alternative
a questo mondo
a modo mio
a occhi chiusi,
forse russando,
mi hai preso la mano,
così, all’improvviso,
e ho sentito
il mare agitarsi
sulla spiaggia rocciosa
ma il vento era caldo
e la mia voce
tremava.
Io non so
se parlai
con parole
o fragili
sospiri,
o se il mio ridere
volgare, sguaiato,
era fragoroso
come le onde.
Arrancavo
sulle tue
fossette
e il fiato
m’è mancato
nell’apnea
dell’agire
lento.
No, non temere,
non guardare
il mio corpo fiacco,
ma comprendi

32
la mia voce
lieve e fumosa,
le mie metafore
bruciacchiate.
Fra pochi giorni
vorrei riaddormentarmi
e bisbigliarti
non sense
in cui nasconderti
il mio sguardo da bambino
che vede un arcobaleno
per la prima volta.
Rosso in volto
come col vino buono
ti dirò che non so parlare
ma conosco
strafalcioni degni di nota
e forse due o tre
poesie a memoria.
Ballo soltanto
se ubriaco,
canto soltanto
se c’è primavera
dentro di me.
Artefatti lessicali,
artifici della prosodia
tipici della mia isola,
non ne conosco.
Ma conosco l’invidia
per il tuo letto
che t’accoglie la notte.
Notti fa,
mentre trovavo
la mia voce
nella tasca sinistra,
interna, della giacca,
ho sentito il profumo
del ciclamino,

33
e di nuovo
le onde sui frangiflutti.
Corto il mio fiato,
certa la mia speranza,
carta fragile,
da scribacchino,
un mentecatto
da versi slavi, malati.
Adesso, in questa sera
che il sole cede
e la luna ci ricorda
la materia della realtà,
non scompaiono le onde,
né il mio tremare
o il mio sguardo basso
mentre le mie gote rosse
spiano la mia
primavera
e sonetti abortiti
sbigottiti
del mio inciampare.
Come potrò dirti
che ti vorrei baciare?

34
Piazza Donatello

Coi tuoi occhi nel cuore


ho salutato tua madre
“Buona giornata” “Anche a lei”
e ho stretto la mia cartella
sulla mia giacca.
In tasca pochi spiccioli
e il bottone della spallina
da rammendare,
come il mio cuore.
Qui a Torino
mi son perso
tra corso Marconi
e via Saluzzo
ma col battere
e il levare della tua voce
nel mio petto
ritornato diciassettenne
ho ritrovato il gusto
di un caffè salentino
(orzata, o mandorla?,
ghiaccio e caffè)
e ho cominciato
a leggere Tondelli.
Tra poco mi incammino
di nuovo,
per perdermi,
per ritrovarti.

35
Reykjavík-Torino

Il buio che ci avvolge tutto intorno


continua e grida frasi fatte, stanche,
e strozza noi che amiamo sulle panche,
diméntichi di cosa fosse il giorno.
Due vasi avevo, di virtù e di vizi
stracolmi, ma il mio perdermi per strada
confuse la stricnina e la rugiada
ed innalzò tortuosi precipizi.
Ma il vento o un’eco tutto mi rischiara
e sento la tua voce, il tuo dolore,
e tocco ma non guardo, mi ripara
il desiderio, cerco il tuo calore,
ti stringo a me contro ogni pioggia amara,
te voglio amare, perso nell’ardore.

36
Ballata prima di un viaggio

Quando la notte riempie la mia mente


e gli astri ammiccano alla luna,
ripenso alle parole che non dico
che il mio cuor ha dimenticato,
più spesso frastornato oppur ferito
da ritmi e voci poco umani.
Adesso che la notte ascolta i suoni
delle auto parcheggiate, ferme
davanti a semafori sempre spenti,
e il mio telefono riposa,
in tasca, nel silenzio suggerito,
cercato, e a volte detestato;
tutto si ferma tranne la Natura
e quindi il Tempo oppure le Stelle,
(e mi dirai: “Non sono la stessa cosa?”)
e sento il gorgoglio allegro
del fiume in piena e pur la meraviglia
dell’alba ormai insperata e azzurra.
Domani tornerà la notte, e il giorno,
avranno la tua voce viva
e frutti da gustare o da scartare.
Ma dimmi, sentiremo ancora
colori tra semafori e Guccini
a San Salvario o a Mirafiori?

37
Al chiaroscuro

Ricordo quando scrissi dell’oscuro


o del buio della notte a maggio,
eppure non conosco questo muro
che riconosco vero ma selvaggio.
Me lo descrivi bene, al chiaroscuro,
e a un tratto sento ciò che fu quel viaggio
sotto la pioggia di verbi al cianuro
che presto sale in bocca per l’assaggio.
Nel buio, in questa casa, già dal vento
sbattuta, indosso i tuoi occhi e guardo in me:
rivedo i gesti rudi e ridivento
ciò che non volli ma non so il perché
ma ancora tu disegni il mio accento
e m’accompagni dove sono i se.

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