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Rivoltella
La costruzione della cittadinanza in una società globalizzata.
La sfida della MEdia Education
[«Vita e Pensiero», 5, maggio 1998, pp. 340-354]
1. Introduzione
«Lodi. GeMEllata con Lodi California, Costanza, OMEgna. Repubblica del Nord». Un
cartello stradale coME tanti se ne incontrano sulle strade italiane. Un cartello che molte
volte si è prestato (e può prestarsi ancora) a lunghe discussioni sul futuro del Paese, il
destino della Costituzione, i padri del RisorgiMEnto... A noi pare straordinariaMEnte
interessante per altre ragioni, che definiremmo antropologiche. Perché questa insegna,
nel suo insieME, restituisce una delle dialettiche più caratteristiche della
contemporaneità, o MEglio, coME suggerisce Marc Augé1, della sur-modernità: quella
tra luogo e non-luogo.
Più che spazi fisici, luogo e non-luogo sono condizioni esistenziali, categorie
etnografiche, che rinviano a precise logiche culturali: proprio per questo divengono
punti
di vista interessanti per leggere l’oggi.
Tre sono le variabili che servono a definire la natura del luogo: l’identità, la relazione e
la storia. I primi due termini indicano un radicaMEnto forte: ogni individuo appartiene a
un luogo, per nascita, per elezione, ne porta spesso la traccia nel noME e il luogo stesso,
a sua volta, si dimostra irriducibile a tutti gli altri luoghi per la sua identità; in virtù di
Il presente saggio nasce coME ideale prosecuzione di quello curato da P.C.Rivoltella sul n. ... di questa
stessa rivista (...). Progettato e discusso insieME dai due autori è stato materialMEnte steso da
P.C.Rivoltella per quanto riguarda i §§ 1, 3, 5.2, 5.4, da C.Ottaviano per quanto riguarda i §§ 2, 4, 5.1,
5.3.
1M.Augé, Non-lieu, Seuil, Paris 1992 (tr.it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della sur-
modernità, Elèuthera, Milano 1993). Il concetto antropologico di sur-modernità viene definito da Augé
attraverso tre eccessi: la sovrabbondanza di avveniMEnti (il mondo contemporaneo è un mondo nel quale
gli eventi sono soggetti a una brusca accelerazione e moltiplicazione del loro accadere), la
sovrabbondanza di spazio (il pianeta, grazie alle telecomunicazioni e ai MEzzi di trasporto, si contrae
fino a entrare nelle nostre case) e l’individualizzazione dei riferiMEnti (venute MEno le grandi logiche
culturali, le narrazioni forti, l’unica certezza su cui piegare sembra essere quella della soggettività).
questa appartenenza il soggetto è portato a condividere con altri un ordine di
coesistenza, si trova inserito in un gruppo, vive in una rete di relazioni interpersonali
che fanno della prossimità la loro stessa ragion d’essere; entrambe, l’identità e le
relazioni, trovano poi nella storia - condivisa, comune - l’humus in cui crescere.
Il non-luogo è la negazione esatta di queste tre istanze. Esso, infatti, non ha un’identità
e rende impossibile l’identificazione; una stazione, un aeroporto, un grande magazzino
o McDonald’s, non sono molto diversi, coME luoghi, a Parigi, Roma, Bruxelles e
nemMEno si può credere che possano costituire per qualcuno un porto a cui fare ritorno
per ritrovare se stesso.
AnalogaMEnte, il non-luogo non facilita le relazioni, pur essendo uno spazio sociale;
esso è piuttosto l’ambiente della prossimità necessaria e imbarazzata, dello scambio
occasionale di informazioni: spazio dell’attesa imposta o del transito distratto o
affacendato, esso manca della stabilità necessaria per consolidare rapporti, dar luogo al
riconosciMEnto dell’altro.
Infine, il non-luogo è privo di storia e si propone piuttosto coME una zona franca
all’interno della quale i singoli individui si trovano a passare con le loro storie: «Un
mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con
modalità lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (le catene
alberghiere e le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le bidonville
destinate al crollo o ad una perennità putrefatta), in cui si sviluppa una fitta rete di
MEzzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini, distributori
automatici e carte di credito riannodano i gesti di un comMErcio “muto”, un mondo
proMEsso alla individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all’effiMEro,
propone all’antropologo (ma anche a tutti gli altri) un oggetto nuovo del quale conviene
misurare le diMEnsioni inedite prima di chiedersi di quale sguardo sia passibile»2.
2. La globalizzazione
Siamo in una società globale. É difficile riuscire a negarlo ed evitare di pensare in questi
termini; soprattutto, non si può evitare di fare i conti con l'ampia letteratura scientifica e
divulgativa, che in modo quasi ossessivo propone questa idea.4
La "globalizzazione", infatti, coME era avvenuto per la "complessità" e la "post-
modernità" nel decennio scorso, è assunta oggi a parola chiave per interpretare lo
2 Ibi, pp.73-74.
3Per una definizione del termine cfr.: P.C.Rivoltella, Mass MEdia, educazione, formazione, Introduzione
a: L.Masterman, A scuola di MEdia. Educazione, MEdia e democrazia nell’Europa degli anni ‘90, tr.it.,
La Scuola, Brescia 1997; Id., Vita e pensiero... Da questo punto in avanti sempliceMEnte ME.
4 R.Robertson, Globalization, Sage, London 1992; M.Featherstone, S.Lash, R.Robertson, Global
Modernities, Sage, London 1995.
scenario della nostra società e il suo sviluppo futuro. Tuttavia, questo termine sta
rischiando di diventare troppo generico e onnicomprensivo, dal moMEnto che vi si
fanno confluire molteplici fenoMEni tra loro distanti e non comparabili, spesso
contraddittori. «Con esso di volta in volta si designa la crescita di interdipendenza a
livello planetario, l'intensificarsi delle relazioni sociali mondiali, l'incorporazione degli
abitanti del nostro pianeta in un'unica società mondiale, la compressione del mondo e la
sua strutturazione in un tutto unico. Inoltre questo stesso termine viene impiegato coME
sinonimo di, oppure coME distinto da, altri concetti quali modernizzazione,
internazionalizzazione, transnazionalizzazione, mondializzazione.»5
Il problema, proprio perché sono in molti a essersi impossessati di questo concetto e a
utilizzarlo, è quello di riuscire a districarsi nel dibattito teorico, per individuarne alcune
coordinate e per MEttere in luce alMEno alcuni degli indicatori che dicono, o ci fanno
dire, che la nostra società è globale o globalizzata.
Dal punto di vista politico, il dato più evidente - e drammatico in alcuni casi - è lo
sgretolaMEnto dello stato nazione, l'asse istituzionale attorno a cui si è, in generale,
organizzata in Occidente la vita politica degli ultimi secoli. A tale crisi le reazioni sono
di due tipi: l’adozione di politiche di potenza tese a recuperare il credito e il potere che
la globalizzazione tende a sottrarre (l'esempio può essere quello della Germania o della
Cina), oppure la definizione di nuove soggettività politiche sia su base localistica (la
Per i maggiore teorici della globalizzazione, non c'è dubbio che il ruolo maggiore per
quanto riguarda la diffusione e la omogeneizzazione dei consumi culturali sia stato
svolto dai MEzzi di comunicazione e dalle nuove tecnologie informatiche e telematiche.
Forse è proprio la sfera culturale nella sua diMEnsione comunicativa a essere il vero
focus del dibattito sulla globalizzazione, non fosse altro perché viviamo in un'epoca che
ama autodefinirsi e autorappresentarsi, oltre che coME "società globale", coME "società
dell'informazione e della comunicazione"9. Forse anche perché, coME scrive Mauro
Wolf10, l'integrazione e la planetarizzazione dei sistemi dei MEdia si realizza con una
visibilità imMEdiata e fin troppo evidente.
«Nel corso di questo secolo i MEdia hanno prodotto, diffuso e MEscolato un folclore
mondiale a partire da temi originali nati da culture differenti, talvolta riportati alle
origini, talvolta sincretizzati. (...) Un folclore planetario si è formato e si è arricchito
attraverso integrazioni e incontri. Ha diffuso nel mondo il jazz, che si è ramificato in
diversi stili a partire da New Orleans, il tango nato nel quartiere portuale di Buenos
Aires, il mambo cubano, il valzer viennese, il rock aMEricano, che pure ha a sua volta
prodotto varietà differenziate nel mondo intero. Ha integrato il sitar indiano di Ravi
Shankar, il flaMEnco andaluso, la MElopea araba di Oum Kalsoum, lo huanio delle
Ande; ha suscitato i sincretismi della salsa, del reggae, del flaMEnco-rock. Lo sviluppo
della mondializzazione culturale è evidenteMEnte inseparabile dallo sviluppo mondiale
delle reti MEdiatiche, e dalla diffusione mondiale dei modi di riproduzione (cassette,
compact, video)»11.
E' innegabile che le possibilità tecnologiche che abbiamo a disposizione spingono a una
diffusione planetaria di MEssaggi, all'ambizione di una comunicazione mondiale e nello
stesso tempo capillare (si veda per esempio Internet), alla possibilità per tutti di godere
degli stessi prodotti, degli stessi spettacoli (si pensi al MErcato cinematografico che per
il 90% è statunitense e al successo mondiale dei cartoni animati made in Japan);
Proprio Morin12 può aiutarci a MEttere in luce quelli che sono gli aspetti MEno
luminosi della globalizzazione, quegli indicatori che dovrebbero portare a essere un po'
più cauti nel condurre campagne per la planetarizzazione del mondo.
A fronte di un MErcato in piena espansione non si possono tacere fenoMEni quali il
disordine nel prezzo delle materie priME, il carattere artificiale e precario delle norME
monetarie, l'incapacità a risolvere i problemi di sviluppo di molti Paesi, oltre ai
fenoMEni paleseMEnte condannabili quali il traffico di armi e di droga (globale anche
quello) e la piaga delle mafie, in continua espansione. Così coME non si possono
diMEnticare il disordine demografico, l'immigrazione su scala mondiale, con i problemi
che ne derivano, e la crisi ecologica che rischiano di scardinare gli equilibri non solo
culturali ma anche biologici della vita sulla terra. E ancora i fenoMEni di chiusura
localistica, il prepotente ritorno del razzismo, l'involuzione del soggetto che scivola in
nuove forME di individualismo, o quantoMEno di solo parziale riaggregazione.
Philippe Breton fa eMErgere con forza la contraddizione di un soggetto perenneMEnte
"in rete con il mondo" e contemporaneaMEnte ripiegato su se stesso: l'uomo moderno
che «non ha più bisogno di alcun partner fisico, è il single per eccellenza. Si abitua a
rapportarsi con gli altri in un modo curioso, che produce in lui la fobia della presenza
fisica dell'altro, ma che allo stesso tempo lo rende strettaMEnte dipendente dalla sua
presenza virtuale. (...) Il neoindividualismo sa comunicare in modo straordinario, ma al
prezzo dello svuotaMEnto della sostanza della comunicazione: l'incontro con l'altro, con
un universo che non ha necessariaMEnte scelto, il confronto con ciò che in senso forte
si potrebbe chiamare una sorpresa»13.
Ma - viene da chiedersi - senza sorpresa, senza stupore14 coME può avvenire l'incontro
con l'altro e quindi uno scambio reale fra culture diverse?
12 Ibi, p. 59
13 P.Breton, L'utopie de la communication, op. cit. p. 146.
14 Cfr. S. Petrosino, Lo stupore, Interlinea, Novara 1997.
Senza la capacità di MEravigliarsi di fronte a ciò che ci si trova innanzi, non può esserci
la predisposizione per l'accoglienza e il rispetto della diversità; il rischio è che ci si trovi
coinvolti in una comunicazione "consumistica", a proprio uso, in un atto che porta al
rifiuto o al massimo all'appropriazione violenta, piuttosto che a un incontro dialogico,
con arricchiMEnto reciproco.
Viene allora il dubbio che la cultura globale di cui tanto si parla non sia proprio una
«unitas multiplex, unità molteplice»15, un'uguaglianza nella diversità, un ritrovare radici
comuni nell'accettazione delle diverse peculiarità; probabilMEnte quello che in realtà si
sta perseguendo è, di fatto, un tentativo di occidentalizzazione del mondo e una
standardizzazione culturale, certo vantaggiosa dal punto di vista economico, ma che
difficilMEnte può essere in grado di garantire l'uguaglianza, la libertà e la democrazia.
3. MEdia e globalizzazione
«La velocità elettrica MEscola le culture della preistoria con i sediMEnti delle civiltà
industriali, l’analfabeta con il semi-analfabeta e con il post-alfabeta. Collassi MEntali di
vario genere sono spesso il risultato dello sradicaMEnto e dell’inondazione di nuove
informazioni e di modelli di informazione incessanteMEnte nuovi»16. Tornare
continuaMEnte a McLuhan sembra una condanna per la ricerca massMEdiologica, così
che spesso si è cercato di esorcizzarne la necessità criticando la mancanza di
scientificità e il carattere estemporaneo delle sue affermazioni. É tuttavia innnegabile,
anche a trent’anni di distanza (e sono anni luce nel campo delle comunicazioni di
massa!), la suggestione quasi profetica di alcune sue intuizioni. Il tema della
globalizzazione, quando McLuhan scriveva, era ben lungi dall’essersi imposto coME
macro-categoria sociologica: eppure, i “collassi MEntali” e il “MEscolarsi” delle
culture cui fa riferiMEnto, non possono non rinviare a quel costituirsi di set culturali
standard, a livello tendenzialMEnte planetario, che è senz’altro uno degli effetti più
evidenti della globalizzazione.
Tutto questo, nel pensiero mcluhaniano, trova una ragione storica nel modello evolutivo
della tecnologia di comunicazione che, in Occidente, porta il villaggio a disperdersi
nella città per ritrovarsi grazie ai MEdia. La MEtafora, tanto discussa, del “villaggio
globale” vede qui la sua giustificazione: i “MEdia elettrici” (la radio, la televisione, cui
noi potremmo aggiungere oggi il computer, la rete, la realtà virtuale), in virtù della loro
natura di MEzzi, contraggono i tempi e lo spazio estendendo all’intero pianeta i confini
del villaggio. Questo significa che il tutto e la parte, nel sistema planetario della
comunicazione, tendono a coincidere coME già abbiamo osservato, autorizzando
l’analogia con l’equipotenza matematica del finito e dell’infinito o con la realtà di
oggetti frattali che ricorsivaMEnte riproducono a livello “micro” la conformazione
“macro” dei fenoMEni.
In una simile prospettiva risulta chiaro che i MEdia giocano un ruolo fondaMEntale
nella declinazione globalizzante della nostra realtà socio-culturale. Proviamo a vedere
breveMEnte in che senso ai diversi livelli.
La guerra silenziosa che in questi ultimi anni le grandi holding internazionali hanno
provocato per sostenere il MErcato, nel caso delle imprese di comunicazione è ancora
Negli anni ‘80 la Sony stava cercando di erodere spazi di MErcato alla sua rivale
storica, la Matsushita. Per farlo, pensò di affiancare al controllo del MErcato
dell’hardware televisivo (televisori, videoregistratori, ecc.) già consolidato, una
presenza significativa anche nella produzione del software, cioè dei programmi. Dato
che i più grandi produttori televisivi del mondo erano gli aMEricani, il colosso
giapponese mise a punto quella clamorosa manovra di MErcato che fu l’acquisizione
della CBS e della Columbia Pictures. Matsushita, per parte sua, rispose con l’acquisto
della NCAA, riportando in equilibrio la competizione con i rivali.
Il problema della globalizzazione MEdiale, sul piano strettaMEnte politico, si può
impostare a partire da qui, cioè dal dato di una colonizzazione dei MErcati più deboli da
parte di quelli più forti e dalla domanda circa la possibilità che questo assorbiMEnto
possa non essere solo di tipo economico. Due sembrano i possibili sviluppi (anche se in
fondo interdipendenti) in questo senso: quello ideologico della proposta di un pensiero
unico che si imponga coME quadro interpretativo forte del mondo; quello politico di un
controllo, da parte dei Paesi che detengono la leadership tecnologica, di Paesi che sono
invece tecnologicaMEnte arretrati.
Quanto siamo venuti dicendo fino ad ora è sicuraMEnte interessante, ma ci pare che il
rapporto tra MEdia e globalizzazione sia importante da approfondire soprattutto sul
piano delle logiche culturali. Su questo piano di analisi, per usare ancora una volta una
distinzione mcluhaniana, sembra che siano soprattutto i MEdia in quanto struMEnti a
funzionare da agenti di globalizzazione e questo proprio perché, coME già abbiamo
detto, provvedono ad una contrazione del tempo e dello spazio.
Joshua MEyrowitz ha dedicato al rapporto tra i MEdia e la ridefinizione del luogo fisico
su base sociale uno studio molto interessante. La tesi che il sociologo aMEricano vi
sostiene - sviluppando le intuizioni di McLuhan e, prima di lui, di Mumford e Innis - è
che i MEdia elettronici, la televisione in particolare, favorirebbero il superaMEnto del
luogo fisico a vantaggio di un nuovo tipo di luogo sociale che non richiede la
copresenza dei parlanti. In sostanza, quando la televisione trasMEtte in diretta un
evento che si svolge in un preciso luogo fisico, tale evento può essere condiviso, grazie
alla natura del MEzzo televisivo, non solo da coloro che sono presenti in quel luogo, ma
da tutti quelli che in quel moMEnto prendono parte all’arena sociale costruita dalla
trasmissione: «Perciò, forse una gran parte del significato sociale della televisione non
sta tanto in ciò che viene diffuso dalla televisione, quanto nell’esistenza stessa della
televisione coME un’arena collettiva»17.
Il problema sociale qui in gioco è quello dell’identità di gruppo, che è forteMEnte
legato nelle società tradizionali alla condivisione del luogo. Condividere lo stesso
spazio fisico, per gli individui significa aver parte allo stesso sistema informativo, cioè
sviluppare una identità di gruppo. Tale identità poggia sul fatto che per ciascuno di essi
è uguale la prospettiva a partire dalla quale osservare il mondo, le cose. L’avvento dei
MEdia elettronici (ma già l’introduzione del telegrafo indicava in questa direzione)
modifica profondaMEnte questo stato di fatto: emancipando gli individui dal luogo
fisico, di fatto indebolisce la loro collocazione nel gruppo favorendo l’assunzione di
nuovi punti di vista, sempre diversi rispetto a quello condiviso dal loro gruppo di
appartenenza. Il risultato è una “visione da nessun luogo”, tendenzialMEnte uguale per
tutti: «... l’identità di gruppo si fonda su sistemi informativi “condivisi ma particolari”.
Più i sistemi informativi sociali separati sono nuMErosi, maggiore è il nuMEro dei
“gruppi” separati; MEno nuMErosi sono i sistemi informativi separati, minore è il
nuMEro delle identità di gruppo separate. Dunque, la fusione attraverso i MEdia
elettronici di molte situazioni un tempo separate dovrebbe produrre
un’omogeneizzazione delle identità di gruppo»18.
La globalizzazione - delle idee, dei comportaMEnti - nel caso dei MEdia passerebbe,
dunque, per la loro capacità di creare un nuovo spazio sociale omogeneo in cui soggetti
appartenenti a gruppi diversi possono riconoscersi attenuando progressivaMEnte le
differenze che, proprio in virtù di questa appartenenza di gruppo, li contraddistinguono.
Questa conclusione, che pure vale in generale, può essere attenuata - se non MEssa in
discussione - MEdiante due semplici rilievi. Il primo è autorizzato dallo stesso
MEyrowitz quando fa osservare coME l’«ambiente informativo comune, favorito dai
MEdia elettronici, non produce necessariaMEnte comportaMEnti o atteggiaMEnti
identici in tutti gli individui, ma diffonde comunque la consapevolezza e la possibilità di
operare delle scelte»19. Ciò che il sociologo aMEricano intende dire è in sostanza che i
MEdia più che risolvere il locale nel globale, favoriscono la sua riconfigurazione in
nuove forME di localismo. Il gruppo non si risolve nella massa, ma in nuovi tipi di
agregazione: «In passato gli individui si suddividevano in gruppi che corrispondevano
soprattutto al ceto sociale, all’etnia, alla razza, alla religione, alla professione, al
quartiere dove abitavano, MEntre i gruppi odierni si formano in base al modo di vestire,
allo sport praticato, al tipo di computer, alla musica preferita o alla scelta di un tipo di
corso»20. É la logica della tribù, ben studiata da Maffesoli21, cioè la logica di una
comunità delle emozioni che risolve la sua coesione nello star bene insieME o
comunque in una solidarietà leggera giocata appunto sulla condivisione di gusti,
17J.MEyrowitz, No sense of place. The Impact of Electronic MEdia on Social Behavior, Oxford
University Press, New York 1985; tr.it. Oltre il senso del luogo. L’impatto dei MEdia elettronici sul
comportaMEnto sociale, Baskerville, Bologna 1993, p.153.
18Ibi., p.221.
19Ibi., p.226.
20Ibidem.
21 M.Maffesoli, Le temps de tribus. Le déclin dans les sociétés de masse; tr.it. Il tempo delle tribù. Il
declino dell’individuo, Armando, Roma 1988.
esperienze, passioni. Le comunità virtuali che si aggregano nel Web, i club dei fans di
Ligabue, gli spettatori abituali di programmi-culto coME Quelli che il calcio o il Pippo
Chennedy Show, visti in quest’ottica costituiscono altrettante forME di tribù: tribù
MEdiatiche, perché sono proprio i MEdia, in questo caso, la ragione del loro trovarsi,
riconoscersi, sviluppare un senso di appartenenza che spesso è fatto di un gergo
condiviso, di canzoni mandate a MEmoria o di un look identificante.
A questo rilievo se ne può aggiungere, poi, un secondo, che non riguarda più la natura
struMEntale dei MEdia, ma i loro MEssaggi e ribadisce l’oscillazione che stiamo
provando a far eMErgere. Il dato di una economia mondiale dei MEdia controllata da
pochi gruppi che sopra abbiamo visto, sembrerebbe indicare nella direzione di una
distribuzione di prodotti tendenzialMEnte omogenei su scala planetaria: così una sit-
com aMEricana ha la probabilità di essere vista, sostanzialMEnte identica, in Europa, in
Asia, in Africa. L’esito dovrebbe essere consequenziale, avvalorando l’ipotesi di una
colonizzazione culturale da parte del modello aMEricano nei confronti di culture altre
che, dal punto di vista comunicativo, non hanno la stessa forza economica per imporsi.
Il problema, di fatto, è più complesso. Se ci si pensa bene, quella sit-com non sarà la
stessa in ogni contesto, perché anzitutto verrà tradotta in un’altra lingua, collocata in un
palinsesto magari totalMEnte differente da quello originario, farcita di pubblicità non
certo aMEricana, consumata da spettatori che non sono aMEricani... Quello che si
intende far osservare è che, sebbene i MEssaggi dei MEdia risentano indubbiaMEnte di
una logica globalizzante, nel moMEnto in cui vengono diffusi nei diversi Paesi essi
rispondono tuttavia a tutta una serie di variabili “localizzanti” che rendono il consumo
diverso, e non standard, secondo il contesto22.
4. ME e globalizzazione
In quale prospettiva può e deve porsi la ME nei confronti dell'ambiguità dei MEdia -
tendenzialMEnte globalizzanti coME MEzzi, ma localizzanti nella declinazione dei
contenuti e nell'uso? ContemporaneaMEnte, coME può rispondere alla necessità
urgente di formare cittadini planetari, cioè aperti a una diMEnsione mondiale, non
sradicati da una precisa collocazione socio-culturale e preparati a una reale democrazia?
La formula di Morin citata sopra, "unitas multiplex", può tornare utile per ipotizzare il
ruolo della ME nel panorama attuale. Se - coME abbiamo detto - la realtà MEdiale dei
singoli Paesi non è omogenea, è evidente che una ME efficace, pur partendo dalle
grandi logiche che informano i sistemi di comunicazione a livello sovranazionale, si
dovrà declinare, molto concretaMEnte, in modo diverso in relazione ai singoli contesti.
Così essa potrà agevolare la formazione della appartenenza alla propria realtà culturale,
alla propria "unità nazionale" e, tuttavia, aiutare l'apertura al resto del mondo, alla
“molteplicità”.
22
Sul problema della costruzione delle identità nazionali da parte dei MEdia cfr. A.Manzato, MEdia e vita
quotidiana, ISU, Milano 1997.
Non a caso, infatti, è possibile rintracciare - nella pur giovane storia di questa disciplina
- differenti approcci, MEtodi e, soprattutto, intenti, a cui la ME è stata indirizzata, pur
essendo guidata da linee di fondo comuni23.
L'attenzione ai contesti più locali, tuttavia, rischia di diventare un limite, soprattutto se
la preferenza per una realtà specifica si tramuta in chiusura localistica e mancanza di
dialogo. Spesso ciò è accaduto in molti Paesi, nei quali la ME non solo si è sviluppata in
maniera autonoma rispetto al panorama internazionale, ma addirittura ha vissuto una
forte framMEntazione di esperienze al proprio interno.
É quanto è eMErso in un recente Congresso internazionale, svoltosi a Parigi, sul
rapporto tra giovani e MEdia24, nel quale molte relazioni - che fornivano un quadro
degli interventi di ME in atto in diversi Paesi del mondo - hanno sottolineato l'esigenza
di un coordinaMEnto nazionale delle molteplici esperienze sul territorio. In effetti,
eccetto alcune realtà quali il Canada, l'Australia e la Gran Bretagna, nel resto del mondo
spesso la ME è portata avanti dalle organizzazioni di base, da associazioni non
governative e iniziative private, che operano in maniera estremaMEnte coraggiosa e
vitale, ma che rischiano la dispersione e la mancanza di scambio reciproco, proprio
perché non esistono punti di riferiMEnto e di collegaMEnto nazionali.
La situazione oggi sembra in evoluzione. In Portogallo o in Svezia, per esempio, stanno
nascendo delle associazioni che fungano da punto di raccordo delle esperienze già in
corso. Del resto anche in Italia da più di un anno è in atto un tentativo di
coordinaMEnto delle singole iniziative e di confronto tra ricercatori e operatori del
settore grazie al MED, l'Associazione italiana per l'educazione ai MEdia e alla
comunicazione. L'idea non è di creare un'ennesima realtà associativa che si muova nei
territori affascinanti ma ristretti dell'intervento sul campo, ma piuttosto di proporsi
coME un punto di riferiMEnto nazionale per tutti coloro che lavorano per la ME e, nello
stesso tempo, un interlocutore credibile e rappresentativo in contesto internazionale.
Ciò che abbiamo sostenuto nel paragrafo precedente trova in qualche modo conferma
nell'analisi dei contesti-leader nel mondo, nei quali la ME si è sviluppata, assuMEndo
forME e caratteristiche differenti. In particolare si sono prese in considerazione realtà
(USA) in cui l’attenzione degli educatori si rivolge a particolari problemi (coME quello
della violenza), altre caratterizzate da un intelligente intervento delle istituzioni
(Australia e Canada), altre ancora animate da una vivace attività di base (AMErica
Latina).
5.1 La MEdia Literacy coME avanguardia nella ME: l'esperienza del Canada
Il Canada, insieME all'Australia, è tra i Paesi più all'avanguardia in fatto di ME. La sua
esperienza MEriterebbe, pertanto, un approfondiMEnto particolare perché ha costituito
un valido modello per molte altre realtà28. Nel 1978 viene fondata a Toronto l'AML,
l'Association for MEdia Literacy, che riunisce insegnanti, genitori e professionisti dei
MEdia, operatori culturali ed educatori sensibili all'impatto dei MEzzi di comunicazione
nella società contemporanea. Questa associazione, col proposito di approfondire i
processi che accompagnano la comprensione e l'utilizzazione dei MEdia, ha promosso
nelle scuole percorsi didattici per favorire un approccio cosciente e critico ai testi
MEdiali. Nel 1989 viene pubblicato il voluME MEdia Literacy. Resource Guide, un
manuale di supporto agli insegnanti di ME della scuola secondaria, su commissione del
Ministero dell'Istruzione dell'Ontario. La MEdia Literacy (ML) è definita coME «il
processo di apprendiMEnto finalizzato alla comprensione e all'uso dei MEdia»29. Il suo
Non c’è realtà al mondo, nella Communication Research, che più di quella aMEricana
abbia dedicato forze e risorse allo studio della violenza televisiva. Negli ultimi
quarant’anni sono state circa 3.500 le ricerche pubblicate negli Stati Uniti che
riguardassero gli effetti della violenza in televisione; di queste, alMEno tre di grande
portata sono state completate negli anni ‘90: il rapporto dei Centers for Disease Control,
nel 1991, quello dell’AMErican Psychological Association31, nel 1992, e la ricerca della
National Academy of Science, nel 1993. Ad essi si deve aggiungere il rapporto sulla
violenza televisiva dell’Università di Los Angeles, un estratto del quale è stato
pubblicato anche in Italia32. Il dato che da esse eMErge è che la televisione aMEricana è
violenta e che questa violenza ha degli indiscutibili effetti sul pubblico, soprattutto i
minori.
Nel 1993, alla luce di questo quadro, il senatore Paul Simon impone il problema al
dibattito del Congresso degli Stati Uniti perché si giunga ad una legislazione efficace in
materia. La conseguenza è che i grandi networks commissionano un monitoraggio dei
loro programmi; le televisioni via cavo consorziate nella National Cable Television
30 Ibidem.
31AMErican Psychological Association, Violence and youth: Psychology’s Response. VoluME 1:
Summary Report of the AMErican Psychological Association Commission on Violence and Youth.,
Washington 1993.
32UCLA Center for Communication Policy, The UCLA Television Violence Monitoring Report, Los
Angeles 1995 (parziale tr.it., A.Salerno, a cura di, Violenza in TV. Il rapporto di Los Angeles, Reset,
Milano 1996).
Association fanno altrettanto. Ne nasce il National Television Violence Study (NTVS),
cui hanno lavorato le università di Austin, nel Texas, e la UCLA di Los Angeles. Si
tratta di una analisi di contenuto della programmazione delle reti comMErciali e via
cavo statunitensi da sviluppare sul triennio 1996-1998. Ogni anno vengono campionate
dodici settimane di programmazione, tra ottobre e giugno, prese dai grandi networks
nazionali, tre stazioni indipendenti, la televisione pubblica, 12 delle più diffuse
televisioni via cavo. In totale vengono selezionati ogni anno 3.200 programmi di cui
2.700 sottoposti ad analisi di contenuto.
Il risultato dei primi due anni della ricerca (i relativi rapporti sono stati pubblicati nel
febbraio del 1996 e nel marzo del 1997) conferma l’immagine di una televisione, quella
aMEricana, decisaMEnte violenta: tutte le reti mostrano scene di violenza, che nel 70%
dei casi rimane impunita; non mostrano, in compenso, le conseguenze di tale violenza
sulle vittiME e solo per il 4% propongono temi decisaMEnte anti-violenti.
Nel moMEnto in cui i dati devono essere MEssi in dialogo con la più generale realtà
della violenza nella società aMEricana nasce il problema di stabilire quanto incida, in
questo quadro, la violenza televisiva. Non occorre qui portare in gioco le diverse ipotesi
teoriche sulla questione e chiedersi se sia più esplicativo il modello dell’apprendiMEnto
sociale di Bandura o quello dello sviluppo sociale di Huesmann, cioè se siano i
comportaMEnti violenti a essere appresi o sceneggiature violente che possono poi
condurre a comportaMEnti violenti. Gli eleMEnti da considerare sono altri, di tipo
socio-culturale, e cioè il dato fondaMEntale di una realtà statunitense in cui una
televisione violenta vive dentro una società violenta.
Ellen Wartella, ricercatrice dell’Università di Austin, ha recenteMEnte33 sottolineato
questo aspetto: «Gli aMEricani vivono in una società violenta. Statistiche allarmanti
parlano di trasformazioni della società statunitense coME risultato dell’auMEnto della
violenza. Secondo il rapporto della AMErican Psychology Association, il 75% delle
morti violente di adolescenti hanno a che fare con le armi. I crimini con armi da fuoco
sono cresciuti nel corso degli anni novanta. La ricerca indica un increMEnto del 75,6%
delle rapine a mano armata tra il 1985 e il 1994. Gli aMEricani hanno il più alto tasso di
omicidi rispetto ad ogni altra nazione del mondo»34. É questa precomprensione
ambientale che può giustificare la preoccupazione quasi ossessiva degli aMEricani per
la violenza televisiva e che consente di spiegare perché buona parte degli interventi di
ME sviluppati negli Stati Uniti siano rivolti ad arginare proprio la degenerazione degli
standard di convivenza civile. Ed è questa stessa precomprensione a spiegare perché la
stessa intensità di dibattito non venga raggiunta in altre nazioni, in cui peraltro la
violenza dei comportaMEnti sociali e della programmazione televisiva pure sono
riscontrabili. FenoMEno per quantità soprattutto aMEricano e della televisione
aMEricana, la violenza favorisce una declinazione “locale” dell’immaginario
massMEdiale e, di conseguenza, anche dell’intervento educativo. Un esempio rilevante
di tale tipo di intervento è costituito dal CEM (Cultural EnvironMEntal MoveMEnt),
un’associazione promossa da George Gerbner su tutto il territorio federale, i cui fini
sono quelli di favorire il collegaMEnto tra tutti coloro - ricercatori, genitori, operatori di
settore, ecc. - che sono coinvolti nei processi di comunicazione-educazione e di
esercitare una pressione sulle istituzioni e sulle emittenti perché curino la tutela del
minore e la qualità della programmazione. Non è un caso, inoltre, che proprio gli Stati
33E.Wartella, Children and Television Violence, Comunicazione alla IX Giornata Fiorentina della
comunicazione, Firenze, 12 giugno 1997, miMEo.
34Ibi., p.1.
Uniti abbiano per primi introdotto l’uso del V-chip35 coME struMEnto di cui la società
adulta può servirsi per difendere i bambini dai danni della televisione.
Il caso dell'AMErica Latina è abbastanza singolare: i teorici della ME, Pungente36 per
esempio, parlano di un "malessere" generale nei confronti dei mass MEdia che hanno
avuto, negli ultimi decenni, uno sviluppo enorME (caso emblematico è il Brasile che,
accanto alle baraccopoli e ai "ragazzi di strada", si presenta al resto del mondo coME il
maggior produttore ed esportatore di telenovelas) nonostante la diffusa povertà ne
inibisca l’accesso alla maggior parte della popolazione. Inoltre, l'industria televisiva è,
nella maggior parte dei Paesi, strettaMEnte collegata ai gruppi di potere politici, anche e
soprattutto laddove esistono ancora delle vere e proprie dittature.
Non è un caso, dunque, che la ME (insieME di esperienze piuttosto diversificate tra
loro, alcune in atto già da tempo, altre di più recente formulazione), assai raraMEnte sia
stata finanziata e appoggiata dallo Stato e inserita nei sistemi scolastici pubblici; al
contrario, essa è stata portata avanti dalle chiese, dagli istituti di comunicazione, dai
centri di educazione popolare e da altre organizzazioni private. In questi Paesi
l'educazione ai MEdia ha assunto diverse declinazioni: ME coME «resistenza
ideologica», coME «difesa e rinforzo dei valori etico-religiosi», coME «sostegno alla
coesione familiare»37.
Alcune esperienze, coME quella per esempio di Mario Kaplún in Uruguay, sono partite
dalla convinzione che i mass MEdia - televisione, radio, stampa, musica popolare e
cinema - siano al servizio del capitalismo aMEricano, struMEnti di una cultura
imperialista, neocoloniale e globalizzante: perché la dipendenza economica sia accettata
è necessario creare anche un dominio culturale e i MEdia sono i veicoli di questa
dipendenza ideologica. La ME, allora, in questo contesto si assuME il compito di
«creare una coscienza critica allo scopo di resistere al dominio ideologico culturale,
primo passo per riconquistare l'indipendenza»38, una funzione di liberazione in
opposizione al controllo e alla manipolazione delle coscienze.
Altre esperienze, invece, dimostrano una resistenza contro l'informazione "drogata",
diffusa attraverso i MEdia dalle dittature al governo. La ME è diventata, in questi casi,
una lotta antidittatoriale, una lotta contro l'autoritarismo e la mancanza di pluralità
informativa. In Cile, per esempio, l'educazione alla televisione portata avanti dal
CENECA (Centro de Indagación y Expresión Cultural y Artística) di Santiago è
incominciata proprio coME parte del progetto di resistenza alla dittatura militare:
35
Il V-Chip (abbreviazione di violence chip) è un microprocessore che, applicato all’apparecchio
televisivo, consente di criptare parte dei programmi da esso ricevuti. In sostanza, il genitore che fosse in
grado di programmare adeguataMEnte tale dispositivo, dovrebbe riuscire a vietare ai propri figli la
visione di spettacoli ad essi inadatti. Di fatto, proprio l’esperienza aMEricana sta insegnando che,
anzitutto, la programmazione del V-chip è impegno troppo oneroso in termini di tempo per il genitore; in
secondo luogo, che l’abilità del bambino nel riprogrammare lo stesso rende inutile qualsiasi tentativo
censorio. Al di là di questo, siamo convinti che la strada dell’educazione non possa davvero passare per
la censura!
36 Cfr. J.J. Pungente, W.E. Biernatzki, MEdia Education, in «Communication Research Trends», 13
(1993), n. 2, (part I).
37 Cfr. V. Fuenzalida, L'éducation aux médias en AMErique latine, in C.Bazalgette, E.Bevort, J.Savino,
L'éducation aux médias dans le monde, CLEMI, BFI, Londre-Paris 1992.
38 V. Fuenzalida, Latin AMErican experiences of critical awarenwss training, in «MEdia
DevelopMEnt», 1/1991, p. 14.
«l'obiettivo della formazione non è tanto una formazione critica o una critica dei
MEssaggi, quanto piuttosto la produzione e la ricerca di comunicazioni alternative»39.
Negli ultimi anni, anche in AMErica Latina, è in atto un ripensaMEnto teorico a
proposito degli obiettivi e delle strategie da impiegare nella ME. Coloro che si
battevano contro l'imperialismo aMEricano speravano nell'instaurazione di un sistema
economico e politico più equo, orientato a principi socialisti. La caduta del muro di
Berlino, la crisi dei sistemi comunisti in Europa e in Asia, così coME in Nicaragua,
hanno fatto vacillare la fiducia riposta in quei sistemi, MEttendo in evidenza altre
situazioni di dittatura e di corruzione, pesanti violazioni ai diritti dell'uomo e profonde
ineguaglianze; inoltre, l'innovazione tecnologica si è tradotta in una moltiplicazione dei
canali televisivi e radiofonici e nella crescita di produttori e di centri di produzione.
Una ME volta solo alla critica dei MEssaggi esistenti, a questo punto, ha perso il suo
senso. «L'ideologia portata avanti da alcuni gruppi per un certo nuMEro di anni e che ha
dato alla comunicazione di massa caratteristiche demoniache e le ha considerate
intrinsecaMEnte corruttive, è stata ormai superata. Esistono oggi molte possibilità
tecniche da cui bisogna prendere vantaggio allo scopo di ampliare l'abilità dei settori più
deboli perché in questi settori si possa comunicare ed espriMErsi. Se La ME deve
assuMEre questa prospettiva deve formare le persone sia dal punto di vista pratico che
teorico"40.
In sintonia col dibattito internazionale sull'audience41, anche gli studiosi sudaMEricani
hanno incominciato ad assuMEre una posizione differente rispetto alle modalità di
fruizione del MEdium televisivo. La ricerca condotta dal CENECA42, per esempio, ha
verificato l'alto livello di influenza esercitato dalla famiglia e dal contesto socio-
economico. Inoltre, anche generi televisivi diversi implicano visioni e usi del MEzzo
diversi. Dunque, il consumo di un testo MEdiale si rivela un processo non lineare e
automatico, ma piuttosto complesso e MEdiato da fattori quali, appunto, l'appartenenza
a dei micro-gruppi sociali e familiari, il contesto socio-economico e il genere del
programma. Il significato che eMErge è qualcosa di ulteriore rispetto alle intenzioni dei
produttori e dell'emittente e anche al senso immanente scoperto dall'analisi testuale dei
semiotici. É evidente, dunque, - coME sostiene ancora Fuenzalida - che «tra lo
spettatore e il testo televisivo esiste una relazione dialettica, piuttosto che causale e
unidirezionale, un significato esistenziale, costruito da uno spettatore collocato
storicaMEnte e culturalMEnte che interagisce col significato proposto dal testo stesso,
non generico ma in un genere specifico.»43.
La globalizzazione, dunque, - sembrano dire anche le riflessioni degli studiosi in
AMErica Latina - se agisce coME intenzionalità delle emittenti, non avrà
deterministiche conseguenze sui consumatori, soprattutto se questi avranno sviluppato
autonomia e senso critico, se saranno "MEdia educati".
5.4 Tra tutela del minore e promozione del prodotto nazionale: la realtà dell’Australia
39 Ibi, p. 15.
40 Ibi, p. 16.
41 Si veda a questo proposito A.Manzato, Introduzione agli Audience Studies, ISU, Milano 1996.
42 V. Fuenzalida, Latin AMErican experiences of critical awarenwss training, op.cit., p.17.
43 Ibidem.
due grandi divisioni in cui è strutturato - Planning and Corporate Services Division e
Policy and Programs Division - la prima ha competenza di tipo organizzativo e
amministrativo, la seconda, invece, si occupa della tutela delle audience sia sul piano
legale che della ricerca. É di essa che ci sembra interessante approfondire l’analisi.
La Policy and Programs Division dell’ABA consta di due sezioni. Il Program Services
Branch, si articola in quattro uffici che si occupano rispettivaMEnte della ricerca, delle
concessioni, dei codici e degli standards. É la sezione più operativa; essa cura
annualMEnte l’International Research Forum on Children and Television, produce
ricerche sul rapporto tra minori e mass MEdia, pubblica seMEstralMEnte un bollettino
(International Research Forum Newsletter), è presente in Internet con un sito.
44 Children’s television standards, CTS 2 - Criteria for C and P programs, in: ABA, ed., Australian
Children’s Television, Sydney 1997, p.23. La traduzione è nostra.
prevede da una parte di incentivare la produzione nazionale favorendone la qualità,
dall’altra di garantire la tutela e la trasmissione di ciò che culturalMEnte traduce
l’identità australiana. Una misura di protezionismo televisivo che risponde ad una logica
decisaMEnte antiglobalizzante e di promozione dei valori locali.
45
«Ma se salvezza significa evitare il peggio, trovare il MEglio possibile, allora la nostra salvezza
personale è nella coscienza, nell’amore e nella fraternità, la nostra salvezza collettiva è nell’avitare il
disastro di una morte prematura dell’umanità e di fare della Terra, perduta nel cosmo, la nostra “oasi di
salvezza”» (E.Morin, A.B.Kern, Terre-Patrie, op. cit. p.186).
creazione di rapporti reali, nella valorizzazione della persona, nella sottolineatura della
reciprocità affettiva.
Il rispetto della diversità - Occorre, infine, tornare sul valore dell’altro e della sua
diversità per evidenziarne la strutturale oscillazione di significato. Anzitutto essa è la
diversità dell’altro, con la sua cultura, la sua identità, la sua storia, che in alcun modo
possono essere assimilate ai nostri schemi di comprensione. EducativaMEnte questa
attenzione si esplicita nel rifiuto dello stereotipo cui spesso i MEdia ricorrono per
rappresentare l’”altro”, il “diverso” (la donna sempre in cucina circondata dai figli,
l’uomo di colore doppiato in napoletano stretto, l’arabo per forza terrorista, il prete e la
suora necessariaMEnte repressi).
Tuttavia promuovere una cultura della diversità non può significare nemMEno
rinunciare alla propria specificità: accettare il diverso non vuol mai dire omologarsi ad
esso. Il canale attraverso il quale è possibile MEttere in luce questa dialettica può essere
l’alfabetizzazione al linguaggio MEdiale: comprendere che la realtà rappresentata dai
MEdia è il risultato di una costruzione linguistica significa diventare consapevoli che il
loro è solo uno dei molti punti di vista possibili sulle cose (così coME il mio, così coME
quello dell’altro).
46
La mappa, a differenza della carta geografica, costituisce la traccia di un percorso elaborato solo ed
esclusivaMEnte per suggerire a chi ne fa uso l’orientaMEnto generale del viaggio. La comparsa delle
proiezioni di MErcator, da questo punto di vista, sancisce un deciso passo in avanti della ricerca
geografica, poiché rende leggibili da chiunque le rappresentazioni grafiche ottenute, ma produce la
perdita del valore personale e suggestivo che ogni mappa recava in sé insieME alla vita di chi l’aveva
descritta. Ci piace pensare al compito dell’educatore in analogia con il lavoro del “mappatore”: a lui non
spetta di dirigere con sicurezza il viaggio dell’allievo nella conoscenza, ma solo di indicargli l’orizzonte
generale in cui muoversi. L’avventura vera e propria del viaggio è cosa sua e soltanto sua.
47
P.Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975-90, p.247.
Cittadini, dunque, verrebbe spontaneo dire, di un mondo che guarda al globale, ma sena
diMEnticare il punto di vista a partire dal quale tale sguardo viene portato. Se vale
l'ormai celebre espressione "Thinking globally and acting locally", noi potremmo dire:
Educate glocally!