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C.Ottaviano - P.C.

Rivoltella
La costruzione della cittadinanza in una società globalizzata.
La sfida della MEdia Education
[«Vita e Pensiero», 5, maggio 1998, pp. 340-354]

Questa è la città e io sono un cittadino,


Quanto interessa agli altri interessa anche ME, politica,
guerre, MErcati, scuole, giornali,
Il sindaco e il consiglio comunale, banche, tariffe,
fabbriche, navi, azioni, negozi, beni mobili e
immobili.
I nuMErosi oMEtti che saltellano intorno incollettati e
con le giacche a coda,
Io so bene chi sono (non sono né pulci né vermi,
questo è certo),
Riconosco i duplicati di ME stesso, il più debole e
vacuo è insieME a ME immortale,
Quello che faccio e dico attende anche loro,
Ogni pensiero che in ME si dibatte, in essi si agita
ugualMEnte.
Walt Withman

1. Introduzione

«Lodi. GeMEllata con Lodi California, Costanza, OMEgna. Repubblica del Nord». Un
cartello stradale coME tanti se ne incontrano sulle strade italiane. Un cartello che molte
volte si è prestato (e può prestarsi ancora) a lunghe discussioni sul futuro del Paese, il
destino della Costituzione, i padri del RisorgiMEnto... A noi pare straordinariaMEnte
interessante per altre ragioni, che definiremmo antropologiche. Perché questa insegna,
nel suo insieME, restituisce una delle dialettiche più caratteristiche della
contemporaneità, o MEglio, coME suggerisce Marc Augé1, della sur-modernità: quella
tra luogo e non-luogo.

Più che spazi fisici, luogo e non-luogo sono condizioni esistenziali, categorie
etnografiche, che rinviano a precise logiche culturali: proprio per questo divengono
punti
di vista interessanti per leggere l’oggi.
Tre sono le variabili che servono a definire la natura del luogo: l’identità, la relazione e
la storia. I primi due termini indicano un radicaMEnto forte: ogni individuo appartiene a
un luogo, per nascita, per elezione, ne porta spesso la traccia nel noME e il luogo stesso,
a sua volta, si dimostra irriducibile a tutti gli altri luoghi per la sua identità; in virtù di

Il presente saggio nasce coME ideale prosecuzione di quello curato da P.C.Rivoltella sul n. ... di questa
stessa rivista (...). Progettato e discusso insieME dai due autori è stato materialMEnte steso da
P.C.Rivoltella per quanto riguarda i §§ 1, 3, 5.2, 5.4, da C.Ottaviano per quanto riguarda i §§ 2, 4, 5.1,
5.3.
1M.Augé, Non-lieu, Seuil, Paris 1992 (tr.it. Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della sur-
modernità, Elèuthera, Milano 1993). Il concetto antropologico di sur-modernità viene definito da Augé
attraverso tre eccessi: la sovrabbondanza di avveniMEnti (il mondo contemporaneo è un mondo nel quale
gli eventi sono soggetti a una brusca accelerazione e moltiplicazione del loro accadere), la
sovrabbondanza di spazio (il pianeta, grazie alle telecomunicazioni e ai MEzzi di trasporto, si contrae
fino a entrare nelle nostre case) e l’individualizzazione dei riferiMEnti (venute MEno le grandi logiche
culturali, le narrazioni forti, l’unica certezza su cui piegare sembra essere quella della soggettività).
questa appartenenza il soggetto è portato a condividere con altri un ordine di
coesistenza, si trova inserito in un gruppo, vive in una rete di relazioni interpersonali
che fanno della prossimità la loro stessa ragion d’essere; entrambe, l’identità e le
relazioni, trovano poi nella storia - condivisa, comune - l’humus in cui crescere.
Il non-luogo è la negazione esatta di queste tre istanze. Esso, infatti, non ha un’identità
e rende impossibile l’identificazione; una stazione, un aeroporto, un grande magazzino
o McDonald’s, non sono molto diversi, coME luoghi, a Parigi, Roma, Bruxelles e
nemMEno si può credere che possano costituire per qualcuno un porto a cui fare ritorno
per ritrovare se stesso.
AnalogaMEnte, il non-luogo non facilita le relazioni, pur essendo uno spazio sociale;
esso è piuttosto l’ambiente della prossimità necessaria e imbarazzata, dello scambio
occasionale di informazioni: spazio dell’attesa imposta o del transito distratto o
affacendato, esso manca della stabilità necessaria per consolidare rapporti, dar luogo al
riconosciMEnto dell’altro.
Infine, il non-luogo è privo di storia e si propone piuttosto coME una zona franca
all’interno della quale i singoli individui si trovano a passare con le loro storie: «Un
mondo in cui si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con
modalità lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (le catene
alberghiere e le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le bidonville
destinate al crollo o ad una perennità putrefatta), in cui si sviluppa una fitta rete di
MEzzi di trasporto che sono anche spazi abitati, in cui grandi magazzini, distributori
automatici e carte di credito riannodano i gesti di un comMErcio “muto”, un mondo
proMEsso alla individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all’effiMEro,
propone all’antropologo (ma anche a tutti gli altri) un oggetto nuovo del quale conviene
misurare le diMEnsioni inedite prima di chiedersi di quale sguardo sia passibile»2.

Volendo leggere in profondità questi rilievi fenoMEnologici è facile intuire coME


dietro ad essi si muovano le due grandi istanze della globalizzazione e della
localizzazione, dell’apertura planetaria della realtà storica e geografica e della chiusura
etnica e culturale delle identità particolari. Su di esse intende riflettere questo
intervento, problematizzando, in primo luogo, la categoria della globalizzazione (e in
maniera compleMEntare quella della localizzazione) per verificare coME i MEdia
concorrano alla sua definizione. Stabilito questo rapporto - tra MEdia e globalizzazione
- si proveranno poi a descrivere gli spazi e i compiti della MEdia Education3 in rapporto
a una realtà MEdiatizzata e globalizzata coME quella in cui viviamo. Il termine ultimo
del tragitto è la ridefinizione del concetto di cittadinanza quale centro ideale di un
simile intervento educativo.

2. La globalizzazione

Siamo in una società globale. É difficile riuscire a negarlo ed evitare di pensare in questi
termini; soprattutto, non si può evitare di fare i conti con l'ampia letteratura scientifica e
divulgativa, che in modo quasi ossessivo propone questa idea.4
La "globalizzazione", infatti, coME era avvenuto per la "complessità" e la "post-
modernità" nel decennio scorso, è assunta oggi a parola chiave per interpretare lo

2 Ibi, pp.73-74.
3Per una definizione del termine cfr.: P.C.Rivoltella, Mass MEdia, educazione, formazione, Introduzione
a: L.Masterman, A scuola di MEdia. Educazione, MEdia e democrazia nell’Europa degli anni ‘90, tr.it.,
La Scuola, Brescia 1997; Id., Vita e pensiero... Da questo punto in avanti sempliceMEnte ME.
4 R.Robertson, Globalization, Sage, London 1992; M.Featherstone, S.Lash, R.Robertson, Global
Modernities, Sage, London 1995.
scenario della nostra società e il suo sviluppo futuro. Tuttavia, questo termine sta
rischiando di diventare troppo generico e onnicomprensivo, dal moMEnto che vi si
fanno confluire molteplici fenoMEni tra loro distanti e non comparabili, spesso
contraddittori. «Con esso di volta in volta si designa la crescita di interdipendenza a
livello planetario, l'intensificarsi delle relazioni sociali mondiali, l'incorporazione degli
abitanti del nostro pianeta in un'unica società mondiale, la compressione del mondo e la
sua strutturazione in un tutto unico. Inoltre questo stesso termine viene impiegato coME
sinonimo di, oppure coME distinto da, altri concetti quali modernizzazione,
internazionalizzazione, transnazionalizzazione, mondializzazione.»5
Il problema, proprio perché sono in molti a essersi impossessati di questo concetto e a
utilizzarlo, è quello di riuscire a districarsi nel dibattito teorico, per individuarne alcune
coordinate e per MEttere in luce alMEno alcuni degli indicatori che dicono, o ci fanno
dire, che la nostra società è globale o globalizzata.

2.1 La diMEnsione economica

Innanzitutto, il piano economico. Un dato certo e rilevante è la disponibilità progressiva


di sempre nuovi MErcati di beni e di servizi. «Dal 1950 ad oggi, il comMErcio
mondiale di beni si è moltiplicato di 15 volte in voluME e di 66 volte in valore, MEntre
la produzione mondiale si è moltiplicata di circa 6 volte in voluME.»6 É evidente che il
progressivo allargaMEnto del MErcato ha importanti conseguenze sulle strategie di
marketing e di organizzazione delle imprese, che si trovano costrette a progettarsi in
un'ottica sempre più ampia. Lo dimostra la crescente concentrazione delle aziende - con
la continua e progressiva espansione delle multinazionali e la moltiplicazione delle
holdings - e la creazione di circuiti finanziari internazionali, fuori dal controllo dei
singoli governi.
Tutto questo consente di parlare del sistema comMErciale mondiale coME di un
sistema dinamico caratterizzato da una serie di fenoMEni complessi, che vanno «dalla
riduzione delle barriere tariffarie e delle restrizioni quantitative, all'abbattiMEnto degli
ostacoli non tariffari, ai negoziati sulle sovvenzioni pubbliche, al sistema di soluzione
delle controversie giuridiche, fino a giungere oggi all'ambizione di stabilire rapporti di
compleMEntarietà tra sviluppo del comMErcio e protezione dell'ambiente (...).»7. Una
tale realtà appare anche in grado, alMEno agli osservatori più ottimisti, di consentire un
accesso generalizzato all’istruzione (si pensi al grande tema della democratizzazione del
sapere legata allo sviluppo delle autostrade dell’informazione) e di disciplinare la
concorrenza sui MErcati internazionali (di qui il ritorno di interesse per i problemi
dell’etica legata all’impresa e alle transazioni economiche).

2.2 La diMEnsione politica

Dal punto di vista politico, il dato più evidente - e drammatico in alcuni casi - è lo
sgretolaMEnto dello stato nazione, l'asse istituzionale attorno a cui si è, in generale,
organizzata in Occidente la vita politica degli ultimi secoli. A tale crisi le reazioni sono
di due tipi: l’adozione di politiche di potenza tese a recuperare il credito e il potere che
la globalizzazione tende a sottrarre (l'esempio può essere quello della Germania o della
Cina), oppure la definizione di nuove soggettività politiche sia su base localistica (la

5 V.Cesareo, Comunicazione al Convegno Nazionale, La società della globalizzazione: regole sociali e


soggettività, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 10-11 aprile 1997, miMEo.
6 A.Caloia, I paesi eMErgenti: i valori e la sfida, in «Vita e pensiero», n.3, marzo 1997.
7 Ibi, .
Lega di Bossi nel nostro Paese, Jörg Haider in Austria, il gruppo New Zeland in Nuova
Zelanda), sia su base sovranazionale (è il caso del MErcato Comune Europeo e la sfida
per tutti i Paesi di essere pronti a parteciparvi).
Il problema fondaMEntale, però, rimane certaMEnte quello del rapporto fra potere
politico e democrazia. Infatti, «uno dei temi di fondo della diMEnsione politica della
globalizzazione riguarda la necessità di trovare forME istituzionali che perMEttano di
conservare il principio democratico che rischia di essere smarrito, nella misura in cui
non coincide più la sfera di azione della politica con quella economica e culturale. Più
in generale, le istituzioni democratiche dello stato nazionale rischiano una crisi di
legittimazione nella misura in cui si indeboliscono i due principali struMEnti con cui in
questi decenni il consenso è stato costruito: le politiche keynesiane e il welfare state.
Ciò espone soprattutto le democrazie occidentali a rischi di disgregazione e di
involuzione antidemocratica».8
CoME vedremo più avanti, lo sviluppo di una vera democrazia e di un'educazione alla
cittadinanza è una delle sfide più significative che la globalizzazione pone alla ME.

2.3 La diMEnsione culturale

Per i maggiore teorici della globalizzazione, non c'è dubbio che il ruolo maggiore per
quanto riguarda la diffusione e la omogeneizzazione dei consumi culturali sia stato
svolto dai MEzzi di comunicazione e dalle nuove tecnologie informatiche e telematiche.
Forse è proprio la sfera culturale nella sua diMEnsione comunicativa a essere il vero
focus del dibattito sulla globalizzazione, non fosse altro perché viviamo in un'epoca che
ama autodefinirsi e autorappresentarsi, oltre che coME "società globale", coME "società
dell'informazione e della comunicazione"9. Forse anche perché, coME scrive Mauro
Wolf10, l'integrazione e la planetarizzazione dei sistemi dei MEdia si realizza con una
visibilità imMEdiata e fin troppo evidente.
«Nel corso di questo secolo i MEdia hanno prodotto, diffuso e MEscolato un folclore
mondiale a partire da temi originali nati da culture differenti, talvolta riportati alle
origini, talvolta sincretizzati. (...) Un folclore planetario si è formato e si è arricchito
attraverso integrazioni e incontri. Ha diffuso nel mondo il jazz, che si è ramificato in
diversi stili a partire da New Orleans, il tango nato nel quartiere portuale di Buenos
Aires, il mambo cubano, il valzer viennese, il rock aMEricano, che pure ha a sua volta
prodotto varietà differenziate nel mondo intero. Ha integrato il sitar indiano di Ravi
Shankar, il flaMEnco andaluso, la MElopea araba di Oum Kalsoum, lo huanio delle
Ande; ha suscitato i sincretismi della salsa, del reggae, del flaMEnco-rock. Lo sviluppo
della mondializzazione culturale è evidenteMEnte inseparabile dallo sviluppo mondiale
delle reti MEdiatiche, e dalla diffusione mondiale dei modi di riproduzione (cassette,
compact, video)»11.
E' innegabile che le possibilità tecnologiche che abbiamo a disposizione spingono a una
diffusione planetaria di MEssaggi, all'ambizione di una comunicazione mondiale e nello
stesso tempo capillare (si veda per esempio Internet), alla possibilità per tutti di godere
degli stessi prodotti, degli stessi spettacoli (si pensi al MErcato cinematografico che per
il 90% è statunitense e al successo mondiale dei cartoni animati made in Japan);

8 V. Cesareo, Comunicazione al Convegno Nazionale, La società della globalizzazione: regole sociali e


soggettività, op. cit.
9 Cfr. P.Breton, L'utopie de la communication, Éditions La Découverte, Paris 1992; tr.it. L'utopia della
comunicazione. Il mito del "villaggio planetario", Utet, Torino 1995.
10 M.Wolf, Gli effetti sociali dei MEdia, Bompiani, Milano 1992.
11 E.Morin, A.B.Kern, Terre-Patrie, Éditions du Seuil, Paris 1993; tr.it. Terra-Patria, Raffaello Cortina
Editore, Milano 1994, p.23.
tuttavia, che questo significhi la nascita e la diffusione di una cultura globale resta tutto
da verificare.
Le osservazioni di Morin che abbiamo riportato sembrerebbero sostenere l'ipotesi che,
grazie ai MEdia, davvero si sia diffusa una cultura mondiale, fatta dall'incontro
sincretico di tutte le culture del mondo, nel rispetto delle diversità e delle specificità di
ciascuna. Il sociologo francese descrive la situazione attuale del pianeta in termini
ologrammatici: non solo ogni parte di esso è sempre più relazionata al tutto, ma il
mondo coME un tutto è sempre più presente in ciascuna delle sue parti. E ciò che si
verifica per per i popoli, si verifica anche per gli individui. Così accade che una persona
si svegli la mattina con una radio giapponese, faccia colazione con un tè che viene da
Ceylon, indossi biancheria di cotone egiziano o indiano, porti un completo firmato
Armani, disegnato in Italia ma confezionato chissà dove e così via.
Ma Morin non è ingenuo; al contrario è estremaMEnte lucido nel descrivere le
ambivalenze della planetarizzazione della cultura, che rischia di diventare una
standardizzazione e un'omogeneizzazione sui canoni dei Paesi occidentali e
industrializzati, più che un reale dialogo e incontro tra differenti tradizioni culturali. Si
tratta delle ambivalenze di un fenoMEno coME quello della globalizzazione, che certo
non può essere assunto a chiave interpretativa di tutti i fenoMEni contemporanei e di
cui, soprattutto, non può essere invocata la piena realizzazione, senza prima
problematizzarla nei suoi aspetti di indubbio vantaggio e nelle sue contraddizioni.

2.4 Ombre sulla globalizzazione

Proprio Morin12 può aiutarci a MEttere in luce quelli che sono gli aspetti MEno
luminosi della globalizzazione, quegli indicatori che dovrebbero portare a essere un po'
più cauti nel condurre campagne per la planetarizzazione del mondo.
A fronte di un MErcato in piena espansione non si possono tacere fenoMEni quali il
disordine nel prezzo delle materie priME, il carattere artificiale e precario delle norME
monetarie, l'incapacità a risolvere i problemi di sviluppo di molti Paesi, oltre ai
fenoMEni paleseMEnte condannabili quali il traffico di armi e di droga (globale anche
quello) e la piaga delle mafie, in continua espansione. Così coME non si possono
diMEnticare il disordine demografico, l'immigrazione su scala mondiale, con i problemi
che ne derivano, e la crisi ecologica che rischiano di scardinare gli equilibri non solo
culturali ma anche biologici della vita sulla terra. E ancora i fenoMEni di chiusura
localistica, il prepotente ritorno del razzismo, l'involuzione del soggetto che scivola in
nuove forME di individualismo, o quantoMEno di solo parziale riaggregazione.
Philippe Breton fa eMErgere con forza la contraddizione di un soggetto perenneMEnte
"in rete con il mondo" e contemporaneaMEnte ripiegato su se stesso: l'uomo moderno
che «non ha più bisogno di alcun partner fisico, è il single per eccellenza. Si abitua a
rapportarsi con gli altri in un modo curioso, che produce in lui la fobia della presenza
fisica dell'altro, ma che allo stesso tempo lo rende strettaMEnte dipendente dalla sua
presenza virtuale. (...) Il neoindividualismo sa comunicare in modo straordinario, ma al
prezzo dello svuotaMEnto della sostanza della comunicazione: l'incontro con l'altro, con
un universo che non ha necessariaMEnte scelto, il confronto con ciò che in senso forte
si potrebbe chiamare una sorpresa»13.
Ma - viene da chiedersi - senza sorpresa, senza stupore14 coME può avvenire l'incontro
con l'altro e quindi uno scambio reale fra culture diverse?

12 Ibi, p. 59
13 P.Breton, L'utopie de la communication, op. cit. p. 146.
14 Cfr. S. Petrosino, Lo stupore, Interlinea, Novara 1997.
Senza la capacità di MEravigliarsi di fronte a ciò che ci si trova innanzi, non può esserci
la predisposizione per l'accoglienza e il rispetto della diversità; il rischio è che ci si trovi
coinvolti in una comunicazione "consumistica", a proprio uso, in un atto che porta al
rifiuto o al massimo all'appropriazione violenta, piuttosto che a un incontro dialogico,
con arricchiMEnto reciproco.
Viene allora il dubbio che la cultura globale di cui tanto si parla non sia proprio una
«unitas multiplex, unità molteplice»15, un'uguaglianza nella diversità, un ritrovare radici
comuni nell'accettazione delle diverse peculiarità; probabilMEnte quello che in realtà si
sta perseguendo è, di fatto, un tentativo di occidentalizzazione del mondo e una
standardizzazione culturale, certo vantaggiosa dal punto di vista economico, ma che
difficilMEnte può essere in grado di garantire l'uguaglianza, la libertà e la democrazia.

3. MEdia e globalizzazione

«La velocità elettrica MEscola le culture della preistoria con i sediMEnti delle civiltà
industriali, l’analfabeta con il semi-analfabeta e con il post-alfabeta. Collassi MEntali di
vario genere sono spesso il risultato dello sradicaMEnto e dell’inondazione di nuove
informazioni e di modelli di informazione incessanteMEnte nuovi»16. Tornare
continuaMEnte a McLuhan sembra una condanna per la ricerca massMEdiologica, così
che spesso si è cercato di esorcizzarne la necessità criticando la mancanza di
scientificità e il carattere estemporaneo delle sue affermazioni. É tuttavia innnegabile,
anche a trent’anni di distanza (e sono anni luce nel campo delle comunicazioni di
massa!), la suggestione quasi profetica di alcune sue intuizioni. Il tema della
globalizzazione, quando McLuhan scriveva, era ben lungi dall’essersi imposto coME
macro-categoria sociologica: eppure, i “collassi MEntali” e il “MEscolarsi” delle
culture cui fa riferiMEnto, non possono non rinviare a quel costituirsi di set culturali
standard, a livello tendenzialMEnte planetario, che è senz’altro uno degli effetti più
evidenti della globalizzazione.
Tutto questo, nel pensiero mcluhaniano, trova una ragione storica nel modello evolutivo
della tecnologia di comunicazione che, in Occidente, porta il villaggio a disperdersi
nella città per ritrovarsi grazie ai MEdia. La MEtafora, tanto discussa, del “villaggio
globale” vede qui la sua giustificazione: i “MEdia elettrici” (la radio, la televisione, cui
noi potremmo aggiungere oggi il computer, la rete, la realtà virtuale), in virtù della loro
natura di MEzzi, contraggono i tempi e lo spazio estendendo all’intero pianeta i confini
del villaggio. Questo significa che il tutto e la parte, nel sistema planetario della
comunicazione, tendono a coincidere coME già abbiamo osservato, autorizzando
l’analogia con l’equipotenza matematica del finito e dell’infinito o con la realtà di
oggetti frattali che ricorsivaMEnte riproducono a livello “micro” la conformazione
“macro” dei fenoMEni.
In una simile prospettiva risulta chiaro che i MEdia giocano un ruolo fondaMEntale
nella declinazione globalizzante della nostra realtà socio-culturale. Proviamo a vedere
breveMEnte in che senso ai diversi livelli.

3.1. Le holding della comunicazione

La guerra silenziosa che in questi ultimi anni le grandi holding internazionali hanno
provocato per sostenere il MErcato, nel caso delle imprese di comunicazione è ancora

15 E.Morin, A.B.Kern, Terre-Patrie, op. cit. p. 51.


16M.McLuhan, Understanding MEdia, McGraw-Hill, New York 1964; tr.it. Gli struMEnti del
comunicare, Il Saggiatore, Milano 1967, p.21.
più spietata. Si possono, infatti, ridurre a una decina i gruppi che controllano il MErcato
mondiale della comunicazione dal moMEnto dello script fino alla distribuzione e si
tratta di gruppi che, partiti dalla comunicazione, si sono fatti progressivaMEnte presenti
anche in altri settori produttivi, dall’industria del giocattolo agli aliMEntari (coME
Disney), o che sono viceversa approdati alla comunicazione provenendo da altro tipo di
impresa economica - il tabacco e ancora una volta gli aliMEntari (è il caso di Philip
Morris). Questo dato, a ben vedere, produce due effetti nell’ottica della globalizzazione.
Anzitutto favorisce l’omologazione dei MErcati attraverso il prodotto: il film Disney
coME il cartone animato giapponese vengono proposti negli Stati Uniti, in Europa e in
Giappone esportando, così, su scala planetaria, un immaginario e delle istanze culturali
che prima dell’avvento dei MEdia difficilMEnte avrebbero potuto cadere fuori dei loro
contesti di origine. Inoltre, ed è un secondo effetto, la concentrazione trasversale di
queste imprese lega spesso il prodotto, aliMEntare o gadget che sia, all’immagine o al
personaggio, in una sorta di gigantesco MErchandising che associa a un certo tipo di
comunicazione larghe pratiche di comportaMEnto sociale e di consumo. Usi e
comportaMEnti nazionali, vedendo le cose secondo questa prospettiva, sembra
realMEnte che vadano uniformandosi in un milieu che si riconosce in ciascuno e in
nessuno di essi.

3.2 Il rischio del pensiero unico

Negli anni ‘80 la Sony stava cercando di erodere spazi di MErcato alla sua rivale
storica, la Matsushita. Per farlo, pensò di affiancare al controllo del MErcato
dell’hardware televisivo (televisori, videoregistratori, ecc.) già consolidato, una
presenza significativa anche nella produzione del software, cioè dei programmi. Dato
che i più grandi produttori televisivi del mondo erano gli aMEricani, il colosso
giapponese mise a punto quella clamorosa manovra di MErcato che fu l’acquisizione
della CBS e della Columbia Pictures. Matsushita, per parte sua, rispose con l’acquisto
della NCAA, riportando in equilibrio la competizione con i rivali.
Il problema della globalizzazione MEdiale, sul piano strettaMEnte politico, si può
impostare a partire da qui, cioè dal dato di una colonizzazione dei MErcati più deboli da
parte di quelli più forti e dalla domanda circa la possibilità che questo assorbiMEnto
possa non essere solo di tipo economico. Due sembrano i possibili sviluppi (anche se in
fondo interdipendenti) in questo senso: quello ideologico della proposta di un pensiero
unico che si imponga coME quadro interpretativo forte del mondo; quello politico di un
controllo, da parte dei Paesi che detengono la leadership tecnologica, di Paesi che sono
invece tecnologicaMEnte arretrati.

3.3 Dal gruppo alla tribù MEdiatica

Quanto siamo venuti dicendo fino ad ora è sicuraMEnte interessante, ma ci pare che il
rapporto tra MEdia e globalizzazione sia importante da approfondire soprattutto sul
piano delle logiche culturali. Su questo piano di analisi, per usare ancora una volta una
distinzione mcluhaniana, sembra che siano soprattutto i MEdia in quanto struMEnti a
funzionare da agenti di globalizzazione e questo proprio perché, coME già abbiamo
detto, provvedono ad una contrazione del tempo e dello spazio.
Joshua MEyrowitz ha dedicato al rapporto tra i MEdia e la ridefinizione del luogo fisico
su base sociale uno studio molto interessante. La tesi che il sociologo aMEricano vi
sostiene - sviluppando le intuizioni di McLuhan e, prima di lui, di Mumford e Innis - è
che i MEdia elettronici, la televisione in particolare, favorirebbero il superaMEnto del
luogo fisico a vantaggio di un nuovo tipo di luogo sociale che non richiede la
copresenza dei parlanti. In sostanza, quando la televisione trasMEtte in diretta un
evento che si svolge in un preciso luogo fisico, tale evento può essere condiviso, grazie
alla natura del MEzzo televisivo, non solo da coloro che sono presenti in quel luogo, ma
da tutti quelli che in quel moMEnto prendono parte all’arena sociale costruita dalla
trasmissione: «Perciò, forse una gran parte del significato sociale della televisione non
sta tanto in ciò che viene diffuso dalla televisione, quanto nell’esistenza stessa della
televisione coME un’arena collettiva»17.
Il problema sociale qui in gioco è quello dell’identità di gruppo, che è forteMEnte
legato nelle società tradizionali alla condivisione del luogo. Condividere lo stesso
spazio fisico, per gli individui significa aver parte allo stesso sistema informativo, cioè
sviluppare una identità di gruppo. Tale identità poggia sul fatto che per ciascuno di essi
è uguale la prospettiva a partire dalla quale osservare il mondo, le cose. L’avvento dei
MEdia elettronici (ma già l’introduzione del telegrafo indicava in questa direzione)
modifica profondaMEnte questo stato di fatto: emancipando gli individui dal luogo
fisico, di fatto indebolisce la loro collocazione nel gruppo favorendo l’assunzione di
nuovi punti di vista, sempre diversi rispetto a quello condiviso dal loro gruppo di
appartenenza. Il risultato è una “visione da nessun luogo”, tendenzialMEnte uguale per
tutti: «... l’identità di gruppo si fonda su sistemi informativi “condivisi ma particolari”.
Più i sistemi informativi sociali separati sono nuMErosi, maggiore è il nuMEro dei
“gruppi” separati; MEno nuMErosi sono i sistemi informativi separati, minore è il
nuMEro delle identità di gruppo separate. Dunque, la fusione attraverso i MEdia
elettronici di molte situazioni un tempo separate dovrebbe produrre
un’omogeneizzazione delle identità di gruppo»18.
La globalizzazione - delle idee, dei comportaMEnti - nel caso dei MEdia passerebbe,
dunque, per la loro capacità di creare un nuovo spazio sociale omogeneo in cui soggetti
appartenenti a gruppi diversi possono riconoscersi attenuando progressivaMEnte le
differenze che, proprio in virtù di questa appartenenza di gruppo, li contraddistinguono.

Questa conclusione, che pure vale in generale, può essere attenuata - se non MEssa in
discussione - MEdiante due semplici rilievi. Il primo è autorizzato dallo stesso
MEyrowitz quando fa osservare coME l’«ambiente informativo comune, favorito dai
MEdia elettronici, non produce necessariaMEnte comportaMEnti o atteggiaMEnti
identici in tutti gli individui, ma diffonde comunque la consapevolezza e la possibilità di
operare delle scelte»19. Ciò che il sociologo aMEricano intende dire è in sostanza che i
MEdia più che risolvere il locale nel globale, favoriscono la sua riconfigurazione in
nuove forME di localismo. Il gruppo non si risolve nella massa, ma in nuovi tipi di
agregazione: «In passato gli individui si suddividevano in gruppi che corrispondevano
soprattutto al ceto sociale, all’etnia, alla razza, alla religione, alla professione, al
quartiere dove abitavano, MEntre i gruppi odierni si formano in base al modo di vestire,
allo sport praticato, al tipo di computer, alla musica preferita o alla scelta di un tipo di
corso»20. É la logica della tribù, ben studiata da Maffesoli21, cioè la logica di una
comunità delle emozioni che risolve la sua coesione nello star bene insieME o
comunque in una solidarietà leggera giocata appunto sulla condivisione di gusti,

17J.MEyrowitz, No sense of place. The Impact of Electronic MEdia on Social Behavior, Oxford
University Press, New York 1985; tr.it. Oltre il senso del luogo. L’impatto dei MEdia elettronici sul
comportaMEnto sociale, Baskerville, Bologna 1993, p.153.
18Ibi., p.221.
19Ibi., p.226.
20Ibidem.
21 M.Maffesoli, Le temps de tribus. Le déclin dans les sociétés de masse; tr.it. Il tempo delle tribù. Il
declino dell’individuo, Armando, Roma 1988.
esperienze, passioni. Le comunità virtuali che si aggregano nel Web, i club dei fans di
Ligabue, gli spettatori abituali di programmi-culto coME Quelli che il calcio o il Pippo
Chennedy Show, visti in quest’ottica costituiscono altrettante forME di tribù: tribù
MEdiatiche, perché sono proprio i MEdia, in questo caso, la ragione del loro trovarsi,
riconoscersi, sviluppare un senso di appartenenza che spesso è fatto di un gergo
condiviso, di canzoni mandate a MEmoria o di un look identificante.
A questo rilievo se ne può aggiungere, poi, un secondo, che non riguarda più la natura
struMEntale dei MEdia, ma i loro MEssaggi e ribadisce l’oscillazione che stiamo
provando a far eMErgere. Il dato di una economia mondiale dei MEdia controllata da
pochi gruppi che sopra abbiamo visto, sembrerebbe indicare nella direzione di una
distribuzione di prodotti tendenzialMEnte omogenei su scala planetaria: così una sit-
com aMEricana ha la probabilità di essere vista, sostanzialMEnte identica, in Europa, in
Asia, in Africa. L’esito dovrebbe essere consequenziale, avvalorando l’ipotesi di una
colonizzazione culturale da parte del modello aMEricano nei confronti di culture altre
che, dal punto di vista comunicativo, non hanno la stessa forza economica per imporsi.
Il problema, di fatto, è più complesso. Se ci si pensa bene, quella sit-com non sarà la
stessa in ogni contesto, perché anzitutto verrà tradotta in un’altra lingua, collocata in un
palinsesto magari totalMEnte differente da quello originario, farcita di pubblicità non
certo aMEricana, consumata da spettatori che non sono aMEricani... Quello che si
intende far osservare è che, sebbene i MEssaggi dei MEdia risentano indubbiaMEnte di
una logica globalizzante, nel moMEnto in cui vengono diffusi nei diversi Paesi essi
rispondono tuttavia a tutta una serie di variabili “localizzanti” che rendono il consumo
diverso, e non standard, secondo il contesto22.

L’intuizione mcluhaniana da cui eravamo partiti risulta confermata e insieME sMEntita.


I MEdia sicuraMEnte favoriscono un processo di delocalizzazione, ma non si può dire
univocaMEnte che ad esso corrisponda anche un fenoMEno di globalizzazione. Su
questa ambiguità occorrerà riflettere MEttendo a tema il rapporto tra questa realtà dei
MEdia e l’intervento educativo.

4. ME e globalizzazione

In quale prospettiva può e deve porsi la ME nei confronti dell'ambiguità dei MEdia -
tendenzialMEnte globalizzanti coME MEzzi, ma localizzanti nella declinazione dei
contenuti e nell'uso? ContemporaneaMEnte, coME può rispondere alla necessità
urgente di formare cittadini planetari, cioè aperti a una diMEnsione mondiale, non
sradicati da una precisa collocazione socio-culturale e preparati a una reale democrazia?

La formula di Morin citata sopra, "unitas multiplex", può tornare utile per ipotizzare il
ruolo della ME nel panorama attuale. Se - coME abbiamo detto - la realtà MEdiale dei
singoli Paesi non è omogenea, è evidente che una ME efficace, pur partendo dalle
grandi logiche che informano i sistemi di comunicazione a livello sovranazionale, si
dovrà declinare, molto concretaMEnte, in modo diverso in relazione ai singoli contesti.
Così essa potrà agevolare la formazione della appartenenza alla propria realtà culturale,
alla propria "unità nazionale" e, tuttavia, aiutare l'apertura al resto del mondo, alla
“molteplicità”.

22
Sul problema della costruzione delle identità nazionali da parte dei MEdia cfr. A.Manzato, MEdia e vita
quotidiana, ISU, Milano 1997.
Non a caso, infatti, è possibile rintracciare - nella pur giovane storia di questa disciplina
- differenti approcci, MEtodi e, soprattutto, intenti, a cui la ME è stata indirizzata, pur
essendo guidata da linee di fondo comuni23.
L'attenzione ai contesti più locali, tuttavia, rischia di diventare un limite, soprattutto se
la preferenza per una realtà specifica si tramuta in chiusura localistica e mancanza di
dialogo. Spesso ciò è accaduto in molti Paesi, nei quali la ME non solo si è sviluppata in
maniera autonoma rispetto al panorama internazionale, ma addirittura ha vissuto una
forte framMEntazione di esperienze al proprio interno.
É quanto è eMErso in un recente Congresso internazionale, svoltosi a Parigi, sul
rapporto tra giovani e MEdia24, nel quale molte relazioni - che fornivano un quadro
degli interventi di ME in atto in diversi Paesi del mondo - hanno sottolineato l'esigenza
di un coordinaMEnto nazionale delle molteplici esperienze sul territorio. In effetti,
eccetto alcune realtà quali il Canada, l'Australia e la Gran Bretagna, nel resto del mondo
spesso la ME è portata avanti dalle organizzazioni di base, da associazioni non
governative e iniziative private, che operano in maniera estremaMEnte coraggiosa e
vitale, ma che rischiano la dispersione e la mancanza di scambio reciproco, proprio
perché non esistono punti di riferiMEnto e di collegaMEnto nazionali.
La situazione oggi sembra in evoluzione. In Portogallo o in Svezia, per esempio, stanno
nascendo delle associazioni che fungano da punto di raccordo delle esperienze già in
corso. Del resto anche in Italia da più di un anno è in atto un tentativo di
coordinaMEnto delle singole iniziative e di confronto tra ricercatori e operatori del
settore grazie al MED, l'Associazione italiana per l'educazione ai MEdia e alla
comunicazione. L'idea non è di creare un'ennesima realtà associativa che si muova nei
territori affascinanti ma ristretti dell'intervento sul campo, ma piuttosto di proporsi
coME un punto di riferiMEnto nazionale per tutti coloro che lavorano per la ME e, nello
stesso tempo, un interlocutore credibile e rappresentativo in contesto internazionale.

La ME, dunque, può rispondere al bisogno di identità e di appartenenza, può educare al


recupero della MEmoria storica coME valore civile e morale25, può anche aprire gli
orizzonti al di là dei confini nazionali, sviluppando un patrimonio culturale e una forma
MEntis che rendano possibile affrontare positivaMEnte la complessità e soprattutto il
dialogo con le altre identità culturali.
Così la ME risulta essere antidoto efficace contro alcuni dei rischi insiti nel processo di
globalizzazione che sopra abbiamo evidenziato.
Infatti, la possibilità di recuperare e di valorizzare l’identità culturale e la MEmoria di
un Paese può bilanciare il rischio dell'appiattiMEnto culturale, dell'omologazione che si
adagia su un presente dilatato all'infinito, incapace di progettualità. Si può così tentare
anche di superare la paura del futuro, dettata dall'incertezza di uno sviluppo tecnico
pensato coME inarrestabile e indolore e che invece sta mostrando limiti e anche
conseguenze non volute e incontrollabili.
La ME in quanto intervento pedagogico è già in qualche misura superaMEnto di questa
paura, perché è un investiMEnto sulle nuove generazioni e, dunque, un'apertura al
futuro. Lo diventa a maggior ragione se genera nuovi soggetti capaci di relazionarsi
correttaMEnte alla tecnologia, sapendone sfruttare tutte le potenzialità, ma anche
riconoscendone i limiti e smascherandone le false utopie.
23
Alcune di queste esperienze sono descritte nel prossimo paragrafo.
24 Les jeunes et les médias, demain, Forum Internazional des Chercheurs, UNESCO, Paris 21-25 aprile
1997.
25 Si pensi, per contrasto, al caso di una "televisione della nostalgia" (coME l’esperienza di Carosello, su
RAI2, nella stagione 96/97), che non MEtte in scena il passato, ma piuttosto il revival coME
autocelebrazione del MEzzo televisivo.
Un intervento pedagogico sugli struMEnti di comunicazione, ancora, può contribuire
alla valorizzazione dei bisogni poetici dell'uomo. «La vita umana è tessuta di prosa e di
poesia. La poesia non è un genere letterario, è anche un modo di vivere nella
partecipazione, nell'amore, nel fervore, nella comunione, nell'esaltazione, nel rito, nella
festa, nell'ebbrezza, nella stanza, nel canto, che effettivaMEnte trasfigurano la vita
prosaica fatta di compiti pratici, utilitaristici, tecnici»26. La ME può aiutare a riscoprire
e valorizzare la festività dei MEdia, in quanto "struMEnti d'arte e di poesia", MEttendo
in luce, invece, il loro frequente abuso feriale e prosaico, che li riduce a opportunità
utilitaristiche, a MEri veicoli pubblicitari.
Infine, la ME, se sa dare il giusto rilievo al soggetto in formazione, attribuendogli un
ruolo attivo nel processo di costruzione del significato dei testi MEdiali, può contribuire
alla valorizzazione della sua soggettività e identità individuale; una valorizzazione che
può perMEttere, poi, al soggetto di vivere i "disagi" della globalizzazione (le
manifestazioni di disaggregazione dei luoghi, la de-territorializzazione delle relazioni
sociali, la framMEntazione dei riferiMEnti culturali): si tratta, coME suggerisce
Giddens, di provare a considerare il disembedding, lo sradicaMEnto, non coME una
condizione negativa da subire, ma «coME un insieME di possibilità offerte dalla nostra
epoca per trovare familiarità, competenza e radicaMEnto, non più in ogni particolare
territorio, ma nel "mondo coME un tutto"»27.

5. Educare ai MEdia: diverse prospettive

Ciò che abbiamo sostenuto nel paragrafo precedente trova in qualche modo conferma
nell'analisi dei contesti-leader nel mondo, nei quali la ME si è sviluppata, assuMEndo
forME e caratteristiche differenti. In particolare si sono prese in considerazione realtà
(USA) in cui l’attenzione degli educatori si rivolge a particolari problemi (coME quello
della violenza), altre caratterizzate da un intelligente intervento delle istituzioni
(Australia e Canada), altre ancora animate da una vivace attività di base (AMErica
Latina).

5.1 La MEdia Literacy coME avanguardia nella ME: l'esperienza del Canada

Il Canada, insieME all'Australia, è tra i Paesi più all'avanguardia in fatto di ME. La sua
esperienza MEriterebbe, pertanto, un approfondiMEnto particolare perché ha costituito
un valido modello per molte altre realtà28. Nel 1978 viene fondata a Toronto l'AML,
l'Association for MEdia Literacy, che riunisce insegnanti, genitori e professionisti dei
MEdia, operatori culturali ed educatori sensibili all'impatto dei MEzzi di comunicazione
nella società contemporanea. Questa associazione, col proposito di approfondire i
processi che accompagnano la comprensione e l'utilizzazione dei MEdia, ha promosso
nelle scuole percorsi didattici per favorire un approccio cosciente e critico ai testi
MEdiali. Nel 1989 viene pubblicato il voluME MEdia Literacy. Resource Guide, un
manuale di supporto agli insegnanti di ME della scuola secondaria, su commissione del
Ministero dell'Istruzione dell'Ontario. La MEdia Literacy (ML) è definita coME «il
processo di apprendiMEnto finalizzato alla comprensione e all'uso dei MEdia»29. Il suo

26 E.Morin, A.B.Kern, Terre-Patrie, op. cit. p. 191.


27 M.Colombo, Rischio e comportaMEnti collettivi. Riflessioni sul concetto di disembedding in Giddens,
in L.Bovone, G.Rovati (a cura di), Vivere in società, Liguori Editore, Napoli 1996, p. 121.
28 In queste sede ci limitiano a tracciare le linee essenziali sullo sviluppo della ME nel Canada, delineate
nell'articolo di Roberto Giannatelli MEdia Literacy: un piano di educazione ai MEdia, in «Il
Telespettatore», AIART, gennaio 1995.
29 Ibidem.
scopo è quello di sviluppare una conoscenza informata e critica circa la natura dei mass
MEdia, delle tecniche impiegate, degli effetti prodotti: i giovani sono invitati a scoprire
coME i MEdia operano, costruiscono la realtà e sono organizzati. Nella Resource Guide
sono inseriti i principali obiettivi e le finalità della ME e anche le annotazioni per una
nuova pedagogia: «nella ML l'insegnante assuMErà il ruolo del 'facilitatore' più che del
'maestro in cattedra': una persona che vuole imparare con gli studenti e dagli
studenti.»30.
L'attività dell'AML si è poi concretizzata in un assiduo lavoro di organizzazione di corsi
di aggiornaMEnto per gli insegnanti, convegni, pubblicazioni di testi e di un bollettino
di informazione (tre nuMEri all'anno) che tiene in collegaMEnto gli insegnanti
associati.
Padre J. Pungente ha indicato alcuni punti strategici che potrebbero spiegare il successo
dell'iniziativa canadese: innanzitutto, è stato un moviMEnto di base che ha saputo
coinvolgere da subito gli insegnanti e contemporaneaMEnte ha ottenuto l'appoggio
dell'autorità governativa, la quale ha reso obbligatorio nelle scuole l'insegnaMEnto della
ML; inoltre, le Facoltà di Scienze dell'Educazione delle Università statali e cattoliche
hanno partecipato al progetto, sia introducendo nel curriculum universitario questo
studio, sia fornendo i docenti per i corsi di aggiornaMEnto. Infine, le proposte teoriche
sono state accompagnate da supporti di agile consultazione e da training operativi per
gli insegnanti; soprattutto, si è promossa la collaborazione tra scuola e famiglie.
Si può osservare, qui, quanto siano stati efficaci e fondaMEntali il coordinaMEnto e la
collaborazione nazionale delle istituzioni e delle organizzazioni, a riprova che l'agire
concreto in un contesto locale non significa essere privi di linee e MEtodologie comuni;
inoltre, proprio il Paese che da subito è riuscito a darsi una forte organizzazione e un
coordinaMEnto interno è stato “adottato” coME esperienza esemplare in molti altri
contesti nazionali.

5.2 Difendersi dalla violenza: l’esperienza degli Stati Uniti

Non c’è realtà al mondo, nella Communication Research, che più di quella aMEricana
abbia dedicato forze e risorse allo studio della violenza televisiva. Negli ultimi
quarant’anni sono state circa 3.500 le ricerche pubblicate negli Stati Uniti che
riguardassero gli effetti della violenza in televisione; di queste, alMEno tre di grande
portata sono state completate negli anni ‘90: il rapporto dei Centers for Disease Control,
nel 1991, quello dell’AMErican Psychological Association31, nel 1992, e la ricerca della
National Academy of Science, nel 1993. Ad essi si deve aggiungere il rapporto sulla
violenza televisiva dell’Università di Los Angeles, un estratto del quale è stato
pubblicato anche in Italia32. Il dato che da esse eMErge è che la televisione aMEricana è
violenta e che questa violenza ha degli indiscutibili effetti sul pubblico, soprattutto i
minori.
Nel 1993, alla luce di questo quadro, il senatore Paul Simon impone il problema al
dibattito del Congresso degli Stati Uniti perché si giunga ad una legislazione efficace in
materia. La conseguenza è che i grandi networks commissionano un monitoraggio dei
loro programmi; le televisioni via cavo consorziate nella National Cable Television

30 Ibidem.
31AMErican Psychological Association, Violence and youth: Psychology’s Response. VoluME 1:
Summary Report of the AMErican Psychological Association Commission on Violence and Youth.,
Washington 1993.
32UCLA Center for Communication Policy, The UCLA Television Violence Monitoring Report, Los
Angeles 1995 (parziale tr.it., A.Salerno, a cura di, Violenza in TV. Il rapporto di Los Angeles, Reset,
Milano 1996).
Association fanno altrettanto. Ne nasce il National Television Violence Study (NTVS),
cui hanno lavorato le università di Austin, nel Texas, e la UCLA di Los Angeles. Si
tratta di una analisi di contenuto della programmazione delle reti comMErciali e via
cavo statunitensi da sviluppare sul triennio 1996-1998. Ogni anno vengono campionate
dodici settimane di programmazione, tra ottobre e giugno, prese dai grandi networks
nazionali, tre stazioni indipendenti, la televisione pubblica, 12 delle più diffuse
televisioni via cavo. In totale vengono selezionati ogni anno 3.200 programmi di cui
2.700 sottoposti ad analisi di contenuto.
Il risultato dei primi due anni della ricerca (i relativi rapporti sono stati pubblicati nel
febbraio del 1996 e nel marzo del 1997) conferma l’immagine di una televisione, quella
aMEricana, decisaMEnte violenta: tutte le reti mostrano scene di violenza, che nel 70%
dei casi rimane impunita; non mostrano, in compenso, le conseguenze di tale violenza
sulle vittiME e solo per il 4% propongono temi decisaMEnte anti-violenti.
Nel moMEnto in cui i dati devono essere MEssi in dialogo con la più generale realtà
della violenza nella società aMEricana nasce il problema di stabilire quanto incida, in
questo quadro, la violenza televisiva. Non occorre qui portare in gioco le diverse ipotesi
teoriche sulla questione e chiedersi se sia più esplicativo il modello dell’apprendiMEnto
sociale di Bandura o quello dello sviluppo sociale di Huesmann, cioè se siano i
comportaMEnti violenti a essere appresi o sceneggiature violente che possono poi
condurre a comportaMEnti violenti. Gli eleMEnti da considerare sono altri, di tipo
socio-culturale, e cioè il dato fondaMEntale di una realtà statunitense in cui una
televisione violenta vive dentro una società violenta.
Ellen Wartella, ricercatrice dell’Università di Austin, ha recenteMEnte33 sottolineato
questo aspetto: «Gli aMEricani vivono in una società violenta. Statistiche allarmanti
parlano di trasformazioni della società statunitense coME risultato dell’auMEnto della
violenza. Secondo il rapporto della AMErican Psychology Association, il 75% delle
morti violente di adolescenti hanno a che fare con le armi. I crimini con armi da fuoco
sono cresciuti nel corso degli anni novanta. La ricerca indica un increMEnto del 75,6%
delle rapine a mano armata tra il 1985 e il 1994. Gli aMEricani hanno il più alto tasso di
omicidi rispetto ad ogni altra nazione del mondo»34. É questa precomprensione
ambientale che può giustificare la preoccupazione quasi ossessiva degli aMEricani per
la violenza televisiva e che consente di spiegare perché buona parte degli interventi di
ME sviluppati negli Stati Uniti siano rivolti ad arginare proprio la degenerazione degli
standard di convivenza civile. Ed è questa stessa precomprensione a spiegare perché la
stessa intensità di dibattito non venga raggiunta in altre nazioni, in cui peraltro la
violenza dei comportaMEnti sociali e della programmazione televisiva pure sono
riscontrabili. FenoMEno per quantità soprattutto aMEricano e della televisione
aMEricana, la violenza favorisce una declinazione “locale” dell’immaginario
massMEdiale e, di conseguenza, anche dell’intervento educativo. Un esempio rilevante
di tale tipo di intervento è costituito dal CEM (Cultural EnvironMEntal MoveMEnt),
un’associazione promossa da George Gerbner su tutto il territorio federale, i cui fini
sono quelli di favorire il collegaMEnto tra tutti coloro - ricercatori, genitori, operatori di
settore, ecc. - che sono coinvolti nei processi di comunicazione-educazione e di
esercitare una pressione sulle istituzioni e sulle emittenti perché curino la tutela del
minore e la qualità della programmazione. Non è un caso, inoltre, che proprio gli Stati

33E.Wartella, Children and Television Violence, Comunicazione alla IX Giornata Fiorentina della
comunicazione, Firenze, 12 giugno 1997, miMEo.
34Ibi., p.1.
Uniti abbiano per primi introdotto l’uso del V-chip35 coME struMEnto di cui la società
adulta può servirsi per difendere i bambini dai danni della televisione.

5.3 La ME coME forma di controcultura: l'esperienza dei Paesi dell'AMErica Latina

Il caso dell'AMErica Latina è abbastanza singolare: i teorici della ME, Pungente36 per
esempio, parlano di un "malessere" generale nei confronti dei mass MEdia che hanno
avuto, negli ultimi decenni, uno sviluppo enorME (caso emblematico è il Brasile che,
accanto alle baraccopoli e ai "ragazzi di strada", si presenta al resto del mondo coME il
maggior produttore ed esportatore di telenovelas) nonostante la diffusa povertà ne
inibisca l’accesso alla maggior parte della popolazione. Inoltre, l'industria televisiva è,
nella maggior parte dei Paesi, strettaMEnte collegata ai gruppi di potere politici, anche e
soprattutto laddove esistono ancora delle vere e proprie dittature.
Non è un caso, dunque, che la ME (insieME di esperienze piuttosto diversificate tra
loro, alcune in atto già da tempo, altre di più recente formulazione), assai raraMEnte sia
stata finanziata e appoggiata dallo Stato e inserita nei sistemi scolastici pubblici; al
contrario, essa è stata portata avanti dalle chiese, dagli istituti di comunicazione, dai
centri di educazione popolare e da altre organizzazioni private. In questi Paesi
l'educazione ai MEdia ha assunto diverse declinazioni: ME coME «resistenza
ideologica», coME «difesa e rinforzo dei valori etico-religiosi», coME «sostegno alla
coesione familiare»37.
Alcune esperienze, coME quella per esempio di Mario Kaplún in Uruguay, sono partite
dalla convinzione che i mass MEdia - televisione, radio, stampa, musica popolare e
cinema - siano al servizio del capitalismo aMEricano, struMEnti di una cultura
imperialista, neocoloniale e globalizzante: perché la dipendenza economica sia accettata
è necessario creare anche un dominio culturale e i MEdia sono i veicoli di questa
dipendenza ideologica. La ME, allora, in questo contesto si assuME il compito di
«creare una coscienza critica allo scopo di resistere al dominio ideologico culturale,
primo passo per riconquistare l'indipendenza»38, una funzione di liberazione in
opposizione al controllo e alla manipolazione delle coscienze.
Altre esperienze, invece, dimostrano una resistenza contro l'informazione "drogata",
diffusa attraverso i MEdia dalle dittature al governo. La ME è diventata, in questi casi,
una lotta antidittatoriale, una lotta contro l'autoritarismo e la mancanza di pluralità
informativa. In Cile, per esempio, l'educazione alla televisione portata avanti dal
CENECA (Centro de Indagación y Expresión Cultural y Artística) di Santiago è
incominciata proprio coME parte del progetto di resistenza alla dittatura militare:

35
Il V-Chip (abbreviazione di violence chip) è un microprocessore che, applicato all’apparecchio
televisivo, consente di criptare parte dei programmi da esso ricevuti. In sostanza, il genitore che fosse in
grado di programmare adeguataMEnte tale dispositivo, dovrebbe riuscire a vietare ai propri figli la
visione di spettacoli ad essi inadatti. Di fatto, proprio l’esperienza aMEricana sta insegnando che,
anzitutto, la programmazione del V-chip è impegno troppo oneroso in termini di tempo per il genitore; in
secondo luogo, che l’abilità del bambino nel riprogrammare lo stesso rende inutile qualsiasi tentativo
censorio. Al di là di questo, siamo convinti che la strada dell’educazione non possa davvero passare per
la censura!
36 Cfr. J.J. Pungente, W.E. Biernatzki, MEdia Education, in «Communication Research Trends», 13
(1993), n. 2, (part I).
37 Cfr. V. Fuenzalida, L'éducation aux médias en AMErique latine, in C.Bazalgette, E.Bevort, J.Savino,
L'éducation aux médias dans le monde, CLEMI, BFI, Londre-Paris 1992.
38 V. Fuenzalida, Latin AMErican experiences of critical awarenwss training, in «MEdia
DevelopMEnt», 1/1991, p. 14.
«l'obiettivo della formazione non è tanto una formazione critica o una critica dei
MEssaggi, quanto piuttosto la produzione e la ricerca di comunicazioni alternative»39.
Negli ultimi anni, anche in AMErica Latina, è in atto un ripensaMEnto teorico a
proposito degli obiettivi e delle strategie da impiegare nella ME. Coloro che si
battevano contro l'imperialismo aMEricano speravano nell'instaurazione di un sistema
economico e politico più equo, orientato a principi socialisti. La caduta del muro di
Berlino, la crisi dei sistemi comunisti in Europa e in Asia, così coME in Nicaragua,
hanno fatto vacillare la fiducia riposta in quei sistemi, MEttendo in evidenza altre
situazioni di dittatura e di corruzione, pesanti violazioni ai diritti dell'uomo e profonde
ineguaglianze; inoltre, l'innovazione tecnologica si è tradotta in una moltiplicazione dei
canali televisivi e radiofonici e nella crescita di produttori e di centri di produzione.
Una ME volta solo alla critica dei MEssaggi esistenti, a questo punto, ha perso il suo
senso. «L'ideologia portata avanti da alcuni gruppi per un certo nuMEro di anni e che ha
dato alla comunicazione di massa caratteristiche demoniache e le ha considerate
intrinsecaMEnte corruttive, è stata ormai superata. Esistono oggi molte possibilità
tecniche da cui bisogna prendere vantaggio allo scopo di ampliare l'abilità dei settori più
deboli perché in questi settori si possa comunicare ed espriMErsi. Se La ME deve
assuMEre questa prospettiva deve formare le persone sia dal punto di vista pratico che
teorico"40.
In sintonia col dibattito internazionale sull'audience41, anche gli studiosi sudaMEricani
hanno incominciato ad assuMEre una posizione differente rispetto alle modalità di
fruizione del MEdium televisivo. La ricerca condotta dal CENECA42, per esempio, ha
verificato l'alto livello di influenza esercitato dalla famiglia e dal contesto socio-
economico. Inoltre, anche generi televisivi diversi implicano visioni e usi del MEzzo
diversi. Dunque, il consumo di un testo MEdiale si rivela un processo non lineare e
automatico, ma piuttosto complesso e MEdiato da fattori quali, appunto, l'appartenenza
a dei micro-gruppi sociali e familiari, il contesto socio-economico e il genere del
programma. Il significato che eMErge è qualcosa di ulteriore rispetto alle intenzioni dei
produttori e dell'emittente e anche al senso immanente scoperto dall'analisi testuale dei
semiotici. É evidente, dunque, - coME sostiene ancora Fuenzalida - che «tra lo
spettatore e il testo televisivo esiste una relazione dialettica, piuttosto che causale e
unidirezionale, un significato esistenziale, costruito da uno spettatore collocato
storicaMEnte e culturalMEnte che interagisce col significato proposto dal testo stesso,
non generico ma in un genere specifico.»43.
La globalizzazione, dunque, - sembrano dire anche le riflessioni degli studiosi in
AMErica Latina - se agisce coME intenzionalità delle emittenti, non avrà
deterministiche conseguenze sui consumatori, soprattutto se questi avranno sviluppato
autonomia e senso critico, se saranno "MEdia educati".

5.4 Tra tutela del minore e promozione del prodotto nazionale: la realtà dell’Australia

Molto simile alla tradizione garantista di tipo britannico o aMEricano, l’attenzione ai


MEdia propria della realtà australiana si traduce in un controllo molto rigoroso della
qualità dei programmi. Emblematica in questo senso è l’attività dell’Australian
Broadcasting Authority (ABA), l’organismo governativo cui spettano la concessione, il
rinnovo, la sospensione e la revoca delle licenze per l’emittenza radio-televisiva. Delle

39 Ibi, p. 15.
40 Ibi, p. 16.
41 Si veda a questo proposito A.Manzato, Introduzione agli Audience Studies, ISU, Milano 1996.
42 V. Fuenzalida, Latin AMErican experiences of critical awarenwss training, op.cit., p.17.
43 Ibidem.
due grandi divisioni in cui è strutturato - Planning and Corporate Services Division e
Policy and Programs Division - la prima ha competenza di tipo organizzativo e
amministrativo, la seconda, invece, si occupa della tutela delle audience sia sul piano
legale che della ricerca. É di essa che ci sembra interessante approfondire l’analisi.

La Policy and Programs Division dell’ABA consta di due sezioni. Il Program Services
Branch, si articola in quattro uffici che si occupano rispettivaMEnte della ricerca, delle
concessioni, dei codici e degli standards. É la sezione più operativa; essa cura
annualMEnte l’International Research Forum on Children and Television, produce
ricerche sul rapporto tra minori e mass MEdia, pubblica seMEstralMEnte un bollettino
(International Research Forum Newsletter), è presente in Internet con un sito.

L’altra sezione, il Policy and Communication Branch, invece, raccoglie in sé l’ufficio


legale, quello politico, una casa editrice e l’ufficio per le relazioni con i MEdia e con il
pubblico. Uno dei compiti fondaMEntali di questa sezione è la registrazione di un
codice di regolaMEntazione radio-televisiva che impone ai networks comMErciali di
uniformare la propria programmazione a degli standards ministeriali. Tale codice
(Broadcasting Services Act) è stato introdotto nel 1992, integrando degli standards già
resi operativi dall’Australian Broadcasting Tribunal nel gennaio del 1990; il loro più
recente aggiornaMEnto risale al gennaio del 1996. Le due aree della programmazione
per cui il ParlaMEnto australiano ritiene necessario imporre una regolaMEntazione per
MEzzo di standards obbligatori sono quelle dei programmi per ragazzi e della
produzione australiana.
L’obiettivo degli standards per la televisione dei ragazzi (Children’s Television
Standards) è di garantire che i bambini abbiano accesso a una scelta di programmi di
qualità prodotti specificaMEnte per loro; pertanto vincola la concessione della licenza
televisiva all’impegno dell’emittente di trasMEttere una quota minima annua di
programmi classificati coME programmi per ragazzi. Tale quota è fissata in alMEno
260 ore annue di programmi di “tipo C” e in alMEno 130 ore annue di programmi di
“tipo P”.
Tutti i programmi per ragazzi sono classificati, secondo la fascia oraria in cui vengono
eMEssi e il loro contenuto, coME programmi di “tipo C” e di “tipo P”. I programmi di
“tipo C” riguardano bambini che frequentano la scuola primaria, quelli di “tipo P”
bambini ancora non scolarizzati. Entrambi devono rispondere ai seguenti criteri: «a)
essere prodotti espressaMEnte per bambini o gruppi di bambini compresi tra l’età
prescolare e la fascia della scuola primaria; b) essere di intratteniMEnto; c) essere
realizzati facendo ricorso a sufficienti risorse per garantire un livello elevato di
sceneggiatura, cast, regia, montaggio, suono e altri eleMEnti relativi alla produzione; d)
soddisfare la comprensione e l’esperienza di un bambino; e e) essere appropriati per i
bambini australiani»44.
Quest’ultimo criterio rinvia direttaMEnte al secondo degli ambiti legislativi cui si
faceva riferiMEnto: cosa significa, per un programma televisivo, “essere adatto ai
bambini australiani”? La sottolineatura fa riferiMEnto evidenteMEnte alla necessità di
trasMEttere una programmazione per ragazzi attenta ai temi, l’ambiente, la cultura che
appartengono all’esperienza di un bambino australiano. Assunto, questo, che è
perfettaMEnte in linea con l’Australian Content Standard il quale prescrive, all’art.8,
che alMEno il 50% dei programmi trasMEssi ogni anno da una televisione australiana
siano prodotti in Australia. EvidenteMEnte l’Authority con una simile decisione

44 Children’s television standards, CTS 2 - Criteria for C and P programs, in: ABA, ed., Australian
Children’s Television, Sydney 1997, p.23. La traduzione è nostra.
prevede da una parte di incentivare la produzione nazionale favorendone la qualità,
dall’altra di garantire la tutela e la trasmissione di ciò che culturalMEnte traduce
l’identità australiana. Una misura di protezionismo televisivo che risponde ad una logica
decisaMEnte antiglobalizzante e di promozione dei valori locali.

PAESI CARATTERE ISTITUZIONE OBIETTIVI ATTIVITA’


Canada ME coME educazione Association for formazione degli corsi di
al consumo critico MEdia Literacy operatori aggiornaMEnto,
materiali didatti-
ci, ecc.
Stati Uniti ME coME difesa dalla CEM aggregazione degli coordinaMEnto
violenza della attori sociali, tra enti e
comunicazione pressione sulle associazioni
istituzioni
AMErica Latina ME coME resistenza CENECA formazione delle corsi di
ideologica, difesa e audience, produzione formazione,
rinforzo dei valori di comunicazione creazione di
etico-religiosi, sostegno alternativa emittenti libere
alla coesione familiare
Australia ME coME tutela del Australian controllo delle pubblicazione di
minore e della Broadcasting emittenti standard di
produzione autoctona Authority emissione,
controllo della
produzione

Tabella 1 - Le diverse declinazioni della ME in alcuni Paesi rappresentativi

6. Conclusioni: tra Disneyland e casa mia

Topolino, cittadino globale? Topolino tutti lo conoscono, ma lo chiamano in modi


diversi (Michey Mouse, Raton Mickey, ecc.); l’hanno incontrato al cinema, in Tv, sulle
stripes a fuMEtti, o stampato su una t-shirt; lo frequentano in palinsesti narrativi
costruiti dentro le singole culture - coME attestano il doppiaggio, il tratto del disegno, il
vissuto che ad esso viene associato, la pubblicità che lo circonda. In fondo Disneyland
è a casa di tutti noi, abita il nostro territorio MEntale, ma ciascuno la immagina e la vive
in maniera personale: abitante di un non-luogo, coME il famoso parco di divertiMEnti,
Topolino diviene di fatto icona del cittadino che probabilMEnte dovremo costruire per
il futuro, perfettaMEnte a suo agio nel mondo e tuttavia radicato nella sua terra.
CoME può la ME contribuire alla edificazione di questa nuova idea di cittadinanza?
Facendo sintesi di quanto abbiamo provato a esporre e degli orientaMEnti attuali della
ricerca si possono suggerire alcune indicazioni operative al proposito.

L’importanza del dialogo. Fare ME in contesto di globalizzazione significa, anzitutto,


valorizzare la relazione, cioè assuMEre uno stile educativo-comunicativo che fa del
dialogo un eleMEnto decisivo per superare gli stereotipi che abitualMEnte
caratterizzano l’offerta MEdiale. Se coME, dice Morin, la risposta è nell’eros45,
l’educazione alla cittadinanza attraverso la comunicazione dovrà consistere nella

45
«Ma se salvezza significa evitare il peggio, trovare il MEglio possibile, allora la nostra salvezza
personale è nella coscienza, nell’amore e nella fraternità, la nostra salvezza collettiva è nell’avitare il
disastro di una morte prematura dell’umanità e di fare della Terra, perduta nel cosmo, la nostra “oasi di
salvezza”» (E.Morin, A.B.Kern, Terre-Patrie, op. cit. p.186).
creazione di rapporti reali, nella valorizzazione della persona, nella sottolineatura della
reciprocità affettiva.

Trasformare l’informazione in conoscenza. Se coME già accennato il sapere oggi


disponibile si distingue per la sua framMEntarietà, la sua dispersione, la logica
reticolare in cui è organizzato, allora un progetto di educazione alla comunicazione
potrà consistere nella promozione delle competenze necessarie a comporre i molteplici
input informativi in sintesi organiche, convertendoli di conseguenza in risorsa di
conoscenza. É la logica di una cartografia pedagogica in cui l’educatore fornisce al
soggetto le mappe cognitive sufficienti a orientarsi nel mondo46.

L’educazione al consumo e alla produzione. Educare al consumo può produrre


un’amplificazione delle logiche localizzanti peraltro già presenti nei singoli sistemi
MEdiali nazionali. Infatti, assuMEre l’abitudine a una fruizione critica e personale
comporta che il soggetto divenga protagonista della situazione comunicativa, passando
da una logica privatistica ad una di partecipazione. Per essere cittadini dell’oggi occorre
una intenzionalità forte che solo attraverso la consapevolezza critica è possibile
coltivare. CoME diceva Pasolini, «solo in un atteggiaMEnto critico di assoluta tensione
può essere vissuta la speranza coME energia vitale»47.
L’educazione alla produzione, invece, si configura coME un tentativo di
responsabilizzare anche le istituzioni sul valore della comunicazione democratica coME
pluralità di offerta e libertà di accesso. Curare la qualità del prodotto a tutti i costi,
promuovere la cultura nazionale, prestare un’attenzione reale ai soggetti più deboli (che
non sono solo i bambini) sono alcune delle forME attraverso cui questo tipo di
educazione può essere portata avanti.

Il rispetto della diversità - Occorre, infine, tornare sul valore dell’altro e della sua
diversità per evidenziarne la strutturale oscillazione di significato. Anzitutto essa è la
diversità dell’altro, con la sua cultura, la sua identità, la sua storia, che in alcun modo
possono essere assimilate ai nostri schemi di comprensione. EducativaMEnte questa
attenzione si esplicita nel rifiuto dello stereotipo cui spesso i MEdia ricorrono per
rappresentare l’”altro”, il “diverso” (la donna sempre in cucina circondata dai figli,
l’uomo di colore doppiato in napoletano stretto, l’arabo per forza terrorista, il prete e la
suora necessariaMEnte repressi).
Tuttavia promuovere una cultura della diversità non può significare nemMEno
rinunciare alla propria specificità: accettare il diverso non vuol mai dire omologarsi ad
esso. Il canale attraverso il quale è possibile MEttere in luce questa dialettica può essere
l’alfabetizzazione al linguaggio MEdiale: comprendere che la realtà rappresentata dai
MEdia è il risultato di una costruzione linguistica significa diventare consapevoli che il
loro è solo uno dei molti punti di vista possibili sulle cose (così coME il mio, così coME
quello dell’altro).

46
La mappa, a differenza della carta geografica, costituisce la traccia di un percorso elaborato solo ed
esclusivaMEnte per suggerire a chi ne fa uso l’orientaMEnto generale del viaggio. La comparsa delle
proiezioni di MErcator, da questo punto di vista, sancisce un deciso passo in avanti della ricerca
geografica, poiché rende leggibili da chiunque le rappresentazioni grafiche ottenute, ma produce la
perdita del valore personale e suggestivo che ogni mappa recava in sé insieME alla vita di chi l’aveva
descritta. Ci piace pensare al compito dell’educatore in analogia con il lavoro del “mappatore”: a lui non
spetta di dirigere con sicurezza il viaggio dell’allievo nella conoscenza, ma solo di indicargli l’orizzonte
generale in cui muoversi. L’avventura vera e propria del viaggio è cosa sua e soltanto sua.
47
P.Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1975-90, p.247.
Cittadini, dunque, verrebbe spontaneo dire, di un mondo che guarda al globale, ma sena
diMEnticare il punto di vista a partire dal quale tale sguardo viene portato. Se vale
l'ormai celebre espressione "Thinking globally and acting locally", noi potremmo dire:
Educate glocally!

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