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COME ERAVAMO: Pistolesi..

e qualcos’altro
La mattina del 28 dicembre 1977 viene ucciso a Roma, in un agguato, l’attivista missino Angelo
Pistolesi, che era balzato all’onore delle cronache in occasione dell’episodio di Sezze Romano,
quando l’ assalto ad un comizio missino si era concluso con un morto tra gli assalitori
Su quel comizio voglio dire due parole, approfittando del fatto che esiste la testimonianza di uno
che c’era, Miro Renzaglia:

“Ero a casa a preparare il primo esame di Economia e Commercio, quando arrivò la convocazione
per il tour di Saccucci. Quattro o cinque macchine si mossero in direzione di Latina. Nessuno,
escluso l’Onorevole –ma lo sapeva soltanto lui- era armato. Non avevamo niente per sostenere un
eventuale scontro fisico…né mazze, né bocce, né tirapugni. Ripeto, niente….A parte i nostri corpi
da “gettare nella lotta” (Pasolini). Per di più, con noi c’era un cieco: Francesco, fratello di Gabriele
Pirone
Quando arrivammo a Sezze, era quasi buio….ma in piazza, oltre a noi partiti da Roma, Pietro
Allatta, che era salito a Sezze da Aprilia, con i due figli poco più che decenni, e quattro Carabinieri
quattro in servizio d’ordine, non c’era nessuno….senza quasi che ce ne rendessimo conto,
convennero e chiusero l’unica via d’accesso almeno duecento giovanotti poco grati della nostra
presenza…respingemmo un paio d’assalti. Esaurite le bottiglie di effervescente naturale, potevamo
solo restituire i sassi che ci piovevano addosso a gragnola. Pirone proteggeva il fratello invalido.
Allatta i figli….gli altri sbrigavano gli straordinari di sopravvivenza
Quando eravamo ormai spalle al muro, Saccucci impugnò la pistola, scese dal palco e fece fuoco.
Braccio quasi in verticale. Comunque, molte linee sopra l’altezza d’uomo. Le esplosioni crearono le
distanze necessarie per poter raggiungere le auto e guadagnare una possibile via di fuga. In auto
salirono solo i conducenti. Gli altri si disposero intorno, disperdendo alla meno peggio i cursori che,
dai vicoli, cecchinavano. Procedemmo a passo d’uomo. Uscimmo da quel “vicolo cieco in tutt’e
due i sensi” con “un’azione di fanteria e carri” (Saccucci, frase pronunciata a caldo)
(Miro Renzaglia, “I rossi e i neri”, Roma 2002)

Nel racconto ci sono tutti gli elementi “classici” (soprattutto in negativo) della tradizione squadrista,
fascista e neo: la formazione raccogliticcia del gruppo (c’è addirittura in cieco), la mancata
previsione della possibilità di uno scontro, e, soprattutto, la fiducia in se stessi che fa muovere in
una decina in direzione di un paese notoriamente “rosso” ed ostile
Siamo molto lontani dalla granitica efficienza di servizi d’ordine “katanghesi” o “lottacontinuisti”
che fa sbucare, in simultanea, 400 uomini con caschi e bastoni da tutte le uscite della Metro di S
Babila, per (tentare di) dare una lezione ai fasci o organizza l’agguato al povero Ramelli con
sopralluoghi, staffette, armi militarescamente distribuite, presidio agli angoli per evitare sorprese,
etc etc
E’ sempre stato così (forse con la sola eccezione dei GOA romani di Buontempo)...e la cosa più
bella (?) era che ne avevamo consapevolezza, ma...
Nella seconda pagina del giornalino (1971 !) che vedete nella foto 2, p es, che insieme ad altri due o
tre pensai, scrissi, stampai (a ciclostile, e chi c'è passato sa cosa intendo) e distribuii a Bari in anni
lontani, c’era scritto, con riferimento alle prime turbolenze compagnesche: “...è innegabile che,
all’occorrenza, “volontari” diventino tutti, dal bidello di Federazione reduce della guerra d’Africa
allo studente appena iscritto alla Giovane Italia. Fenomeno certo ammirevole di dedizione all’idea,
ma indicativo anche di una mentalità garibaldina e facilona che è deleteria”
Naturalmente, non se ne fece nulla, la natura strafottente, spavalda, anarchica e persino sbruffona
dello squadrismo prevalse...e va bene così...in fondo è anche per questo che, come intitolava un
libro di qualche anno fa –scusate la citazione, ma mi è capitato tra le mani mentre cercavo quello di
Renzaglia- “Ogni donna ama un fascista”
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NDO SI PARLA DI FASCISMO, TROPPI DISTINGUO PUZZANO DI...ANTIFASCISMO

Stamattina, avevo tempo a disposizione, e poca voglia di fare qualcosa di "impegnativo", e ho fatto
scorrere a manetta la mia home page, fermandomi anche -non lo faccio mai- a leggere i commenti
degli amici, degli amici degli amici e degli sconosciuti, in un ambito, cmq, piuttosto "orientato".
Sono restato parecchio deluso nel notare una diffusa tendenza, quando si parla di "eredità del
fascismo", a specificare, a spaccare il capello in quattro, ad operare distinguo che sono di comodo, e
forse vogliono fare solo captatio benevolentiae.
Per me, non è così: da quando 50 anni fa, indossai idealmente la nera camicia, mi sono fatto carico -
soprattutto nelle esternazioni di fronte a terzi- di tutto, non solo dei treni popolari, delle colonie, del
"consenso", ma anche, e forse principalmente di ciò che dovrebbe rappresentare la versione
mefistofelica del fascismo.
E quindi: leggi razziali ("un reato" ha detto qualcuno, di recente, e certo non aveva letto De Felice),
alleanza con la Germania ed entrata in guerra (leggetevi Taylor, per esempio), Debrà Libanos
(studiatevi la storia del colonialismo degli altri Paesi), Matteotti (morte assolutamente accidentale) e
le violenze squadriste e repubblicane (sempre di meno di quelle social-comuniste).
Insomma, sono fatto così: granitico (ma con motivazioni) nella difesa del "mio" di fronte agli altri,
disposto a parlare "di tutto di più" con chi come me la pensa e, come me, non ha bisogno, anzi
disdegna, la pelosa approvazione del "nemico".

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