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Universit degli Studi di Napoli Federico II

Scuola Politecnica e delle Scienze di Base


Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Dipartimento di Fisica

Laurea triennale in Fisica

Energia di vuoto del campo elettromagnetico in una cavit:


l'Effetto Casimir

Relatori: Candidato:
Prof. Luigi Rosa Pierpaolo Ferrigno
N85000409

A.A. 2015/2016
Prefazione
Dalla seconda met del XIX secolo si rese necessario lo sviluppo di una "nuova"
sica, che permetesse lo studio e la comprensione di una moltitudine di fenomeni
che sambravano esulare da qualsiasi possibile previsione logica basata sulla Fisica
Classica.
E in questo ambiente che prende forma il seguente lavoro di Tesi, che si propone
di andare ad analizzare uno dei risultati derivanti dal superamento della Fisica
Classica a favore della Meccanica Quantistica, l'esistenza di un energia non nulla
associata allo stato di vuoto della QED.
Riferendosi ai principi fondamentali della teoria classica, risultava incomprensi-
bile l'eventualit secondo la quale anche nel vuoto potesse esservi radiazione elet-
tromagnetica, ma ci nonostante era un risultato che si otteneva attraverso l'analisi
spettroscopica del Corpo Nero; infatti, partendo dal presupposto che la radiazio-
ne fosse costituita da pacchetti energetici discreti, Planck nel 1912, ottenne che
"il vuoto" era caratterizzato da un energia non nulla, che fu denita energia di
punto-zero.
Le conseguenze teoriche e sperimentali relative all'energia di vuoto del cam-
po elettromagnetico sono il tema centrale che verr trattato nei capitoli seguenti,
costruiti attraverso un lavoro di ricerca bibliograca che ha permesso di trattare
gli aspetti salienti che lo riguardano. In modo da rendere l'elaborato scorrevole e
comprensibile lo si e strutturato come segue:
Nel primo capitolo si tratter il campo elettromagnetico attraverso la teoria
dell'Elettromagnetismo Classico; quindi in seguito alla risoluzione delle equa-
zioni di Maxwell si dimostrer inizialmente il risultato secondo il quale la radia-
zione elettromagnetica e esprimibile come una sovrapposizione di innite onde
piane polarizzate. Successivamente denendo delle precise condizioni al bordo,
si studieranno tali soluzioni all'interno di una cavit, ottenendo come risulatato
la possibilit di denire l'Hamiltoniana di un sistema siatto come equivalen-
te a quella di un insieme innito di oscillatori armonici unidimensionali, con
frequenze di oscillazione caratteristiche.
Nel secondo capitolo, prima di procedere alla trattazione quantistica del campo
elettromagnetico, si provveder ad una breve ricostruzione storica dei proble-
mi riguardanti lo studio del Corpo Nero, alla cui risoluzione si pu associare
la nascita della Meccanica Quantistica. Attraverso la denizione degli opera-
tori di creazione e distruzione si otterr la quantizzazione dell' energia di un
oscillatore armonico a cui si assocer quella della radiazione elettromagnetica,
con la conseguente comparsa dell' energia di punto-zero.

I
II

Si osserver, inne, come, in virt del principio d'indeterminazione, allo stato


di vuoto dovr essere associato un insieme innito di fotoni virtuali.
Al terzo ed ultimo capitolo sar dato il compito di analizzare una delle prin-
cipali conseguenze delle uttuazioni quantistiche del vuoto: l'Eetto Casimir.
Si dimostrer analiticamente come i fotoni virtuali siano condizionati dall'im-
posizione di condizioni al bordo, e come il loro comportamento causi una forza
attrattiva tra due lastre poste a distanze nanometriche. Alla dimostrazione
seguir poi un paragrafo riguardante lo sviluppo sperimentale, che ripercorra
i risultati pi interessanti ottenuti dalla formulazione dell'eetto ad oggi, e le
applicazioni presenti e future nei diversi ambiti della ricerca sica.
Indice

Prefazione I
1 Il campo elettromagnetico 1
1.1 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Potenziali elettromagnetici e gauge di Lorentz . . . . . . . . . . . . . 3
1.3 Campo elettromagnetico in una cavit . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2 La teoria quantistica del campo Elettromagnetico 11


2.1 Il problema del corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.2 La teoria di Planck e l'Energia di Punto-Zero . . . . . . . . . . . . . 15
2.3 Quantizzazione del campo Elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . 20

3 Le uttuazioni dello stato di vuoto e l'Eetto Casimir 27


3.1 Trattazione analitica dell' Eetto Casimir . . . . . . . . . . . . . . . 27
3.2 Interpretazione sica dell'Eetto Casimir . . . . . . . . . . . . . . . . 31
3.3 Veriche sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
3.4 Applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

Conclusioni 43
Bibliograa 45
Ringraziamenti 47

III
IV INDICE
Capitolo 1
Il campo elettromagnetico
Esporre la formulazione della dinamica del campo elettromagnetico, nella sua trat-
tazione classica, di fondamentale importanza per comprendere appieno le origini,
e apprezzare il valore, dei risultati che si otterranno con la teoria quantistica.
I paragra che seguono, attraverso l'uso delle equazioni fondamentali dell'Elet-
tromagnetismo, si propongono di dimostrare i risultati secondo i quali, la radiazione
di un campo elettromagnetico, e esprimibile come sovrapposizione di onde piane,
soluzioni dell' equazione di D'Alembert, oppure, se considerata all'interno di una
cavit, come sovrapposizione di inniti oscillatori armonici.

1.1 Equazioni di Maxwell


Le caratteristiche e le propriet del campo elettromagnetico sono riassunte nelle
quattro Equazioni di Maxwell, che rappresentano i pilastri su cui si basa la teoria
dell'Elettromagnetismo.
Queste, espresse nel sistema cgs, assumono la forma:
~ r, t) = 4(~r, t)
E(~ (1.1)

~ r, t) = 0
B(~ (1.2)

~ r, t)
1 B(~
~ r, t) +
E(~ =0 (1.3)
c t

~ r, t)
1 E(~ 4
~ r, t)
B(~ = ~j(~r, t) (1.4)
c t c
dove (~r, t) la densit di carica e ~j(~r, t) la densit di corrente, tra loro legate
dall' equazione di continuit :
(~r, t)
~j(~r, t) + =0 (1.5)
t
che esprime la legge di conservazione per la carica elettrica.

1
Fra le equazioni di Maxwell, le ultime due rappresentano le equazioni del moto
del campo elettrico E(~
~ r, t) e magnetico B(~
~ r, t), mentre le prime due descrivono
le condizioni al contorno che devo essere soddisfatte dai campi stessi e che quindi
consentono di ridurre il numero di gradi di libert del sistema. [2]
Scomponendo ciascun vettore in una parte trasversale e in una longitudinale:
~ =E
E ~T + E
~L ~ =B
B ~T + B
~L (1.6)

ed imponendo che la parte trasversale sia a divergenza nulla e quella longitudinale


a rotore nullo
E ~L = 0 E ~T = 0 (1.7)

~L = 0
B ~T = 0
B (1.8)
possiamo dimostrare che la dinamica del sistema dipende solo dalla componente
trasversale dei campi, ottenendo cos la riduzione dei gradi di libert.
Rifacendoci alle equazioni (1.1) e (1.7), per la propriet additiva della divergenza,
si ricava che
E ~ = E~L = 4(~r, t) (1.9)
mentre attraverso la (1.2) si pu ottenere che il campo magnetico B
~ e completamente
trasversale
B~ B ~T (1.10)
A questo punto, derivando rispetto al tempo l'equazione (1.9) e combinando-
la con l'equazione di continuit, dipendente, per quanto detto, solo dalla parte
longitudinale della densit di corrente, si ottiene:
~
E
( + 4~j(~r, t)) = 0. (1.11)
t

Questa relazione evidenzia che il campo tE + 4~j(~r, t) e solenoidale, ma coinvol-


~

gendo solo le componenti longitudinali di E


~ e ~j e anche irrotazionale, motivo per il
quale deve soddisfare l'equazione di Laplace
~
E
2 ( + 4~j(~r, t)) = 0, (1.12)
t
e quindi
~
E
= 4~j(~r, t)).
t
Da quanto detto, e facile a questo punto scrivere le equazioni (1.3) e (1.4) nella
forma:
~
~ T (~r, t) + 1 BT (~r, t) = 0
E (1.13)
c t
~
~ T (~r, t) 1 ET (~r, t) = 4 ~jT (~r, t)
B (1.14)
c t c

2
nelle quali si verica che dei campi iniziali sopravvivono i soli termini delle compo-
nenti trasversali, come si voleva ottenere.
Riassumendo, le equazioni di Maxwell (1.1) - (1.4), si scindono in due gruppi:
le equazioni per i campi trasversali (1.13) e (1.14), che descrivono la dinamica del
campo elettromagnetico, e le equazioni (1.9) e (1.10) che ssano istante per istante le
componenti longitudinali dei campi E ~L e B~ L . I gradi di libert dinamici si riducono
ai due campi trasversi E ~T e B~T .

1.2 Potenziali elettromagnetici e gauge di Lorentz


Dalla equazione (1.2) si ottiene che il campo magnetico e solenoidale, quindi in
uno spazio semplicemente connesso pu essere descritto come rotore di un campo
vettoriale A(~
~ r, t):
~ r, t) = B(~
A(~ ~ r, t), (1.15)
per cui la terza equazione di Maxwell diventa
~
~ + 1 A(~r, t) ) = 0.
(E (1.16)
c t
~
Poich la quantit E
~ + 1 A(~r,t) e irrotazionale, e ricordandoci di essere in una
c t
regione semplicemente connessa,allora esiste una funzione scalare (~r, t) tale che si
possa scrivere:
~
~ + 1 A(~r, t) = (~r, t).
E (1.17)
c t
I due elementi introdotti A(~ ~ r, t) e (~r, t) si chiamano potenziali elettromagnetici,
~ r, t) e il potenziale vettore, mentre (~r, t) prende il nome di
ed in particolare A(~
potenziale scalare, e le relazioni (1.15) e (1.17) deniscono la descrizione del campo
elettrico e magnetico rispetto a queste nuove funzioni.
Sostituendo le equazioni dei campi in funzione dei potenziali nella prima e nella
quarta equazione di Maxwell, e sfruttando l'identit vettoriale:
~ r, t)) = (2 A(~
( A(~ ~ r, t)) + ( A(~
~ r, t))

possiamo ottenere un sistema di equazioni accoppiate


~ r, t)
1 2 A(~
~ r, t)
2 A(~ ( ~ r, t) + 1 (~r, t) ) = 4 ~j(~r, t)
A(~ (1.18)
c2 2t c t c

1 ~ r, t)
A(~
~ r, t) +
2 (~ = 4~
(~r, t) (1.19)
c t
che ci permette di ridurre il sistema iniziale di quattro equazioni ad un sistema di
sole due equazioni che dovranno essere, in ogni caso, disaccoppiate.
Per ottenere le equazioni disaccoppiate si sfrutta l'arbitrariet con cui si e de-
nito il potenziale vettore; infatti questo e determinato a meno del gradiente di una
qualsiasi funzione scalare,il cui rotore e sempre nullo, cosicch, dati i campi E(~
~ r, t) e

3
~ r, t), ad essi corrispondono inniti potenziali elettromagnetici. Tale indetermina-
B(~
zione consente di denire delle trasformazioni per i potenziali, dette trasformazioni
di gauge, che lasciano invariati i campi e le equazioni di Maxwell.
Una gauge usata molto spesso, poich risulta invariante per sistemi di riferimento
inerziali, e la gauge di Lorentz, che richiede che i campi soddisno la condizione

~ r, t) + 1 (~r, t) = 0.
A(~ (1.20)
c t
Sfruttando questa condizione,allora, si possono riscrivere le equazioni (1.18) e
(1.19) nella forma,
~ r, t)
1 2 A(~ 4
~ r, t)
2 A(~ 2 2
= ~j(~r, t) (1.21)
c t c

~ r, t)
1 2 (~
~ r, t)
2 (~ = 4~
(~r, t) (1.22)
c2 2t
che e quella di due equazioni di D'Alembert non omogenee e disaccoppiate.
[1]Mettiamoci in una condizione semplice e quindi supponiamo di essere in una
regione di spazio priva di sorgenti, in tal caso le equazioni di D'Alembert trovate si
possono sostituire con le omogenee associate:
~ r, t)
1 2 A(~
~ r, t)
2 A(~ =0 (1.23)
c2 2t

~ r, t)
1 2 (~
~ r, t)
2 (~ = 0. (1.24)
c2 2t
Ottenute due equazioni delle onde, si pu applicare a queste una nuova trasfor-
mazione di gauge in modo tale che le equazioni soddisno la condizione = 0,
che prende il nome di gauge di radiazione, e rende la gauge di Lorentz uguale a
~ r, t) = 0. Quindi l'eetto netto dell' applicazione della gauge di radiazione e di
A(~
annullare la seconda delle equazioni delle onde, lasciando, invece, la prima invariata;
e cos facendo si e ricondotto tutto il sistema delle equazioni di Maxwell ad un'unica
equazione per il potenziale vettore.
In generale ogni funzione f (~r, t) a quadrato integrabile rispetto ad ~r, cio appar-
tenente allo spazio L2 (R3 ) per ogni t, se soddisfa l'equazione

1 2 f~(~r, t)
2 f~(~r, t) = 0, (1.25)
c2 2t
pu essere rappresentata mediante un integrale di Fourier
Z
1 ~
f (~r, t) = 3 d3~kF (~k, t)eik~r , (1.26)
(2) 2

dove F (~k, t) e
Z
1 ~
F (~k, t) = 3 d3~rf (~r, t)eik~r L2 (R3 ), (1.27)
(2) 2

4
cio l'antitrasformata di Fourier di f (~r, t). Sostituendo la (1.27) nella (1.26) si
ottiene una relazione che risulta vericata solo se
2 F (~k, t)
2 F (~k, t) = 0,
t2

dove si e posto = c|~k|.


La soluzione di questa ultima equazione, in generale, e
F (~k, t) = c1 (~k)eit + c2 (~k)e+it ,

per cui l'equazione delle onde (1.25) ammette soluzione


Z
1 ~ ~
f (~r, t) = 3 d3~k[c1 (~k)ei(k~rt) + c2 (~k)ei(k~r+t) ]. (1.28)
(2) 2

Dunque, alla luce del risultato ottenuto, il potenziale vettore, soluzione dell'e-
quazione (1.23) e
Z
1 ~ ~
~ r, t) =
A(~ 3 d3~k[~a(~k)ei(k~rt) + ~a (~k)ei(k~r+t) ], (1.29)
(2) 2

che per correttezza formale si normalizza, e si scrive come


r
2c2 ~ i(~k~rt)
Z
1 ~
~ r, t) =
A(~ 3 dk 3~
[~a(k)e + ~a (~k)ei(k~r+t) ]. (1.30)
(2) 2

Secondo l'espressione cos trovata, A(~


~ r, t) risulta essere la sovrapposizione di
onde piane,
~
~a(~k)ei(k~rt) ,
di ampiezza ~a(~k), pulsazione e numero d'onda ~k , con queste ultime legate dalla
relazione = c|~k|. Si tratta in particolare di onde trasversali, infatti la condizione
imposta precedentemente, A(~ ~ r, t) = 0, implica che le ampiezze delle onde siano
perpendicolari alla direzione di propagazione, cio deve valere che ~a(~k) ~k = 0.
E possibile evidenziare questa trasversalit delle onde introducendo i versori di
polarizzazione 1 (~k) e 2 (~k) nel modo seguente:
~k
1 (~k) 2 (~k) = 1 (~k) ~k = 2 (~k) ~k = 0 1 (~k) 2 (~k) = ,
|~k|
in modo tale che la soluzione normalizzata del potenziale vettore possa essere ri-
scritta come
2 Z
r
1 2c2 ~ ~ ~
(1.31)
X
~ r, t) =
A(~ 3 d3~k  (k)[~a (~k)ei(k~rt) + ~a (~k)ei(k~r+t) ].
(2) 2 =1

Si pu dimostrare ora che non solo il potenziale vettore, ma anche il campo


elettrico e magnetico soddisfano l'equazione di D'alembert; infatti se si considerano

5
le equazione di Maxwell e si sviluppa il rotore della (1.2) e della (1.3), sfruttando
l'identit vettoriale ( E(~
~ r, t)) = ( E(~ ~ r, t) e combinando
~ r, t)) 2 E(~
i risultati con le equazioni (1.1) e (1.4), si perviene alle equazioni delle onde per il
campo elettrico e magnetico :
~ r, t)
1 2 E(~
2~
E(~r, t) 2 =0 (1.32)
c 2t
~ r, t)
1 2 B(~
~ r, t)
2 B(~ = 0. (1.33)
c2 2t
E immediato, allora, dedurre che il discorso sviluppato per il potenziale vettore
possa essere perfettamente applicato anche ai campi, in modo da poter scrivere le
soluzioni delle due equazioni come sovrapposizione di onde piane:
r
2c2 ~ ~ i(~k~rt) ~ ~ i(~k~r+t)
Z
1
~ r, t) =
E(~ 3 dk 3~
[E(k) e + E (k) e ] (1.34)
(2) 2
r
2c2 ~ ~ i(~k~rt) ~ ~ i(~k~r+t)
Z
1
~ r, t) =
B(~ 3 dk 3~
[B(k) e + B (k) e ]; (1.35)
(2) 2
anche in questo caso, per, le espressioni appena illustrate devono essere coerenti
con le equazioni di Maxwell che impongono l'ortogonalit tra i campi e il vettore
d'onda ~k
~k E(
~ ~k) = 0 ~k B(
~ ~k) = 0
e di conseguenza l'ortogonalit dei campi stessi
~
~ ~k) = k E(
B( ~ ~k),
|~k|
da cui si conclude che i vettori ~k, Ee
~ B~ compongono una terna ortogonale.
Sfruttando la descrizione iniziale che avevamo dato dei campi elettrico e ma-
gnetico in funzione del potenziale vettore, e utilizzando la scrittura del potenziale
nella forma d'integrale di Fourier, normalizzato e descritto attraverso i versori di
polarizzazione, possiamo ottenere una forma completa ed elegante delle soluzioni
dell'equazioni di D'Alembert per i campi:

2 Z
r
1 2c2 i ~ ~ ~
(1.36)
X
~ r, t) =
E(~ 3 d3~k  (k)[~a (~k)ei(k~rt) ~a (~k)ei(k~r+t) ]
(2) 2 =1
c

2 Z
r
1 2c2 ~ ~ ~
i[k  (~k)][~a (~k)ei(k~rt) ~a (~k)ei(k~r+t) ]. (1.37)
X
~ r, t) =
B(~ 3 d3~k
(2) 2
=1

Anticipando sinteticamente quanto verr illustrato nel secondo capitolo, si pu


aermare che anche nella teoria quantistica il campo elettromagnetico e ottenibile in
termini di onde viaggianti, la sua energia coincider con quella di inniti oscillatori
armonici, e soprattutto sar quantizzata.

6
1.3 Campo elettromagnetico in una cavit
E stato dimostrato nel paragrafo precedente come il campo elettromagnetico possa
essere descritto attraverso la sovrapposizione di innite onde piane. Nel paragrafo
che segue invece si svilupper un procedimento che si propone di dimostrare come il
campo elettromagnetico, imponendo precise condizioni al bordo, possa essere visto
come somma di inniti oscillatori armonici, e come alla luce di questo risultato possa
essere descritta l'energia del sistema.
Per fare questo si supponga che il campo elettromagnetico sia connato all'in-
terno di una regione di forma parallelepipeda1 , vuota, priva di sorgenti e a pareti
perfettamente conduttrici, di lati Lx ,Ly eLz ; ed assumiamo tre spigoli come coin-
cidenti con gli assi coordinati di un sistema di riferimento inerziale, in modo che
le facce del parallelepipedo vengano a coincidere con i piani x = 0, y = 0, z = 0,
x = Lx , y = Ly e z = Lz . L'ipotesi che le pareti siano perfettamente conduttrici si
traduce nel fatto che su esse sono soddisfatte, in ogni istante, le condizioni secondo
le quali la componente tangenziale del campo elettrico e quella normale del campo
magnetico devono essere nulle, cio: Bn = 0 ,Et = 0.
Considerando solo le facce ortogonali all'asse x, le due condizioni si possono
descrivere attraverso il seguente sistema di equazioni:
Bx (0, y, z, t) = Bx (Lx , y, z, t) = 0 (1.38)
Ey (0, y, z, t) = Ey (Lx , y, z, t) = 0
Ez (0, y, z, t) = Ez (Lx , y, z, t) = 0.
Relazioni analoghe si ottengono per le facce ortogonali all'asse y e z nel momento in
cui si permutano x con y e z, e Lx con Ly e Lz .
Le stesse condizioni possono anche essere espresse in funzione del potenziale
vettore ed assumono la seguente forma
Ax (x, 0, z, t) = Ax (x, Ly , z, t) = Ax (x, y, 0, t) = Ax (x, y, Lz , t) = 0 (1.39)
Ay (0, y, z, t) = Ay (Lx , y, z, t) = Ay (x, y, 0, t) = Ay (x, y, Lz , t) = 0
Az (0, y, z, t) = Az ((Lx , y, z, t) = Az (x, 0, z, t) = Az (x, Ly , z, t) = 0
Inoltre, poich stiamo sfruttando il potenziale vettore, dovr anche essere veri-
cata la condizione imposta dalla gauge di radiazione ,A(~~ r, t) = 0, che mantenendo
la forma del sistema precedente si traduce in un'equazione di periodicit per le
derivate prime del vettore
Ax (0, y, z, t) Ax (Lx , y, z, t)
= =0 (1.40)
t t
Ay (x, 0, z, t) Ay (x, Ly , z, t)
= =0
t t
Az (x, y, 0, t) Az (x, y, Lz , t)
= = 0.
t t
1 scelta in modo da semplicare lo svolgimento dei calcoli; si pu dimostrare che il numero di
oscillatori che descriveranno il campo e indipendente dalla forma della cavit.

7
Quindi, lo studio del campo elettromagnetico all'interno della cavit si pu ri-
durre alla risoluzione dell'equazione delle onde per il potenziale vettore (1.23), con
attenzione al fatto che la soluzione trovata soddis le condizioni appena imposte
attraverso i sistemi (1.39) e (1.40).
L'equazione di D'Alembert
~ y, z, t)
1 2 A(x,
~ y, z, t)
2 A(x, = 0,
c2 2t
pu essere risolta per separazione delle variabili, imponendo che un' eventuale so-
luzione sia del tipo: A(x,
~ y, z, t) = u(x, y, z)(t); infatti sostituendo la soluzione,
cos scritta, all'interno dell'equazione delle onde, e dividendo tutto per il prodotto
u(x, y, z)(t), si ottiene

2x u(x, y, z) 1 1 2 (t)
= 2 . (1.41)
u(x, y, z) c (t) 2 t
Il primo membro dell'equazione ottenuta dipende solo da variabili spaziali, men-
tre il secondo solo da quella temporale; essendo queste tra loro indipendenti, allora
i due membri potranno essere identici solo se separatamente e possibile porli uguali
ad una costante, tale che valga
2 u(x, y, z) = k 2 u(x, y, z) (1.42)

2 (t)
= k 2 c2 (t), (1.43)
2t
con k costante che pu assumere un valore arbitrario.
L'equazione (1.43) e di facile risoluzione, e posto = kc, la sua soluzione pi
generale e
(t) = cos(t ),
con e costanti arbitrarie.
Per ottenere invece la soluzione dell'equazione(1.42) conviene procedere riscri-
vendo la funzione u(x, y, z), in tre variabili, come prodotto di tre funzioni unidimen-
sionali, tale che valga
u(x, y, z) = X(x)Y (y)Z(z);
in poche parole si ripropone il procedimento di separazione delle variabili applica-
to alle tre variabili spaziali,tra loro comunque indipendenti, in modo tale che una
volta sostituita la funzione u(x, y, z), l'equazione che si ottiene e risolta solo se sono
soddisfatte, separatamente, le 3 condizioni:
d2 X(x)
= kx2 X(x)
d2 x
d2 Y (y)
= ky2 Y (y) (1.44)
d2 y
d2 Z(z)
= kz2 Z(z)
d2 z

8
con kx2 + ky2 + kz2 = k 2 ; e quindi le soluzioni possono essere scritte come
X(x) = bx cos(kx x) + cx sin(kx x)

Y (y) = by cos(ky y) + cy sin(ky y) (1.45)


Z(z) = bz cos(kz z) + cz sin(kz z).
Ottenute le soluzioni per u(x, y, z) e (t), bisogna ora vedere come si pu scrivere
la soluzione particolare per il potenziale vettore; a tal ne iniziamo a considerare solo
la componente x di A(x,
~ y, z, t), che, sfruttando le relazioni ottenute con il metodo
di separazione delle variabili e combinandole con le condizioni al contorno descritte
attraverso la (1.39) e la (1.40), pu essere scritta nella forma:
r
8 nx ny nz
Anx (x, t) = cos(n t ) cos( x) sin( y) sin( z), (1.46)
V Lx Ly Lz

dove si e posto ~n = (nx , ny , nz ) = numero d'onda e ~kn = ( nLxx , nLyy , nLzz ) = vettore d'onda,
q
con V = Lx Ly Lz = volume della cavit, e si sono ssati i coecienti bx = 2
Lx
,
q q
cy = 2
Ly
e cz = 2
Lz
.
q 2 2
n2 2
Inoltre, ricordandoci di aver denito = c|k|, varr = c|k| = c nLx 2x + Ly 2y + nLz 2z .
2 2
~ ~
Poich, in realt, nx , ny e nz sono parametri variabili tra zero e innito, il modo
pi corretto di esprimere la (1.46) e come sovrapposizione di innite soluzioni di
questo tipo e quindi risulta essere
r
8 X X X nx ny nz
Anx (x, t) = nx (t)cos( x) sin( y) sin( z); (1.47)
V n =0 n =1 n =1 Lx Ly Lz
x y z

attraverso una dimostrazione del tutto analoga si pu pervenire alla denizione delle
soluzioni delle altre due componenti del potenziale vettore
r
8 X X X nx ny nz
Any (y, t) = ny (t)sin( x) cos( y) sin( z) (1.48)
V n =1 n =0 n =1 Lx Ly Lz
x y z

r
8 X X X nx ny nz
Anz (z, t) = nz (t)sin( x) sin( y) cos( z). (1.49)
V n =1 n =1 n =0 Lx Ly Lz
x y z

Adesso, si supponga di voler applicare alle soluzioni trovate la gauge di Coulomb,


per cui A(~
~ r, t) = 0; si otterr una nuova condizione che le soluzioni appena trovate
devono soddisfare, e cio ~kn ~ n (t) = 0; questo implica che la funzione n (t) deve
essere del tipo
n (t) = c 4[qn1 (t)e1 (~kn ) + qn2 (t)e2 (~kn )], (1.50)

dove il coeciente c 4 e introdotto per convenienza, e1 e e2 sono i versori di
polarizzazione, e qn1 (t) e qn2 (t) sono le soluzioni dell' equazione
qn = n2 qn , = 1, 2

9
e quindi del tipo
qn (t) = bn cos(t n ).
Quindi, sostituendo la (1.49) nelle equazioni che legano il potenziale vettore al
campo elettrico e magnetico , e tenendo presente la (1.50), si possono scrivere le
equazioni che deniscono la dinamica del campo elettromagnetico all'interno di una
cavit:
2

r
8 XX
~ r, t) = 4
E(~ qn (t)[~kn e (~kn )] (1.51)
V =1 n=0
2

r
8 XX
~ r, t) = c 4
B(~ qn (t)[~kn e (~kn )] ~kn . (1.52)
V =1 n=0
Attraverso pochi e semplici calcoli e, ora, possibile ottenere anche l'Hamiltoniana
che descrive l'energia del campo elettromagnetico all'interno del volume della cavit;
infatti Z
2 X
1 3 ~2 + B
~ 2) =
X 1 2
H= d ~r(E (qn + n2 qn
2
).
8 V =1 n=0
2
Quindi, cos come nel paragrafo precedente abbiamo potuto dire che il campo
elettromagnetico nel vuoto poteva essere descritto come una sovrapposizione di in-
nite onde piane, adesso e possibile aermare che se il campo elettromagnetico e
considerato all'interno di una cavit, a superci perfettamente coduttrici, allora pu
essere visto come la sovrapposizione di inniti oscillatori armonici e l'energia del
campo elettromagnetico sar la somma delle energie di tutti gli oscillatori che lo
compongono.

10
Capitolo 2
La teoria quantistica del campo
Elettromagnetico

2.1 Il problema del corpo nero


Gli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo possono essere ricordati come il periodo
in cui avvenne la "Crisi della Fisica Classica".
[5]Fino agli ultimi decenni dell'800, la sica, in tutte le branche che la compone-
vano, si fondava su dei principi fondamentali e imprenscindibili tra cui spiccavano:
"Il teorema di equipartizione dell'energia", che prevedeva che l'energia totale di un
sistema costituito da un gran numero di particelle, che scambiassero energia tra loro
per mezzo di urti reciproci, si ripartisse ugualmente; e i risultati ottenuti attraverso
la "Teoria statistica di Maxwell-Boltzmann", che applicata alla termodinamica e al
concetto di radiazione, sugger che ogni corpo materiale riscaldato emettesse onde
elettromagnetiche con vibrazioni di tutte le frequenze e lunghezze d'onda, e che per
ogni data temperatura esistesse una particolare distribuzione di energia fra le diverse
frequenze, e che vi fosse una frequenza di vibrazione predominante, a cui l'intensit
e massima, e cresce all'aumentare della temperatura.
Fu proprio l'applicazione dei principi di sica classica nei nuovi campi di ricerca
a evidenziare una discrepanza notevole tra risultati teorici e dati sperimentali, che
gener la crisi. La distanza pi evidente tra teoria e sperimentazione si evidenzi
nell'analisi dei risultati ottenuti per lo spettro di emissione del corpo nero.
Lo studio del corpo nero inizi nel 1860 quando Kirchho ne diede la denizione;
egli den corpo perfettamente nero, o pi semplicemente corpo nero, qualunque
corpo materiale capace di assorbire tutta la radiazione elettromagnetica incidente.
Questa denizione fu poi matematizzata con l'ausilio di due grandezze dipendenti
esclusivamente da temperatura e lunghezza d'onda della radiazione; quindi indicato
con e(, T ) = dq/d, con q energia totale emessa per unit di tempo e superce, il
potere emissivo di un corpo e con a(, T ) il suo potere assorbente, cio il rapporto
tra radiazione assorbita e radiazione incidente, Kirchho dimostr che:
Ad una determinata temperatura e per una determinata lunghezza d'onda, il
rapporto tra il potere emissivo e quello assorbente e lo stesso per tutti i corpi
e(, T )
= F (, T ),
a(, T )

11
con F (, T ) che risulta essere quindi una funzione universale, che per non fu
determinata da Kirchho.
Quindi, riferendosi a quanto dimostrato da Kirchho si pu assumere che il corpo
nero e un corpo per cui il potere assorbente e pari al potere emissivo, o ancora pi
semplicemente, per il quale la funzione universale e costante.
Lo stesso Kirchho, in seguito, dimostr un altro risultato che permise lo sviluppo
della maggior parte degli esperimenti riguardanti l'argomento. Infatti, avvalendosi di
considerazioni termodinamiche, dimostr che la radiazione contenuta in una cavit
ad una certa temperatura T era della stessa natura e della stessa intensit della
radiazione emessa da un corpo nero alla stessa temperatura T. Da questo, si cap
che era possibile sviluppare un modello di corpo nero, che rappresentasse in maniera
soddisfacente il fenomeno di emissione della radiazione, attraverso l'uso di una cavit
isoterma sulla quale fosse applicato un foro, attraverso cui permettere alla radiazione
di fuoriuscire e poter essere analizzata.
Uno dei primi risultati rilevanti, riguardanti lo spettro del corpo nero , fu ottenuto
nel 1884 da Boltzmann, che sfruttando i risultati puramente sperimentali ottenuti da
Stefan, circa cinque anni prima,svilupp una trattazione teorica, basata sul primo
principio della termodinamica, che permettesse di legare la temperatura della cavit,
con la quale si simulava il corpo nero, con la densit di energia di radiazione u(, T ).
La densit di energia unita alla relazione p = 3u1
, la quale indica che , per uno spazio
isotropo, la pressione esercitata dalla radiazione sulle pareti della cavit e un terzo
della densit di energia totale irradiata, permette di scrivere il primo principio della
termodinamica nella forma:
1 4
dQ = d(uV ) + udV = V du + udV,
3 3
ed introducendo la funzione entropia, denita da
1 V du 4u
dS = dQ = dT + dV,
T T dT 3T
e sfruttando la propriet dell'entropia di essere un dierenziale esatto, otteniamo:
2S 2S 1 du 4 d u
= = = ( ),
T V V T T dT 3 dT T
da cui e possibile ricavare che
du u
=4 ;
dT T
quindi risolvendo l'equazione dierenziale otteniamo la legge di Stefan-Boltzmann

u(, T ) = T 4 ,

con costante universale.


Non solo quelli di Stefan e di Boltzmann, appena visti, ma molteplici furono gli
esperimenti, e le argomentazioni teoriche, riguardanti il corpo nero, condotte negli
stessi anni. Tra queste particolare rilievo assume la relazione ottenuta da Wien, nel
1893, conosciuta come legge generale di Wien, che descrive l'andamento della densit

12
di energia emessa in funzione della terza potenza della frequenza della radiazione
stessa:
u(, T ) = 3 F ( ).
T
E proprio la dipendenza dalla funzione F ( T ), non completamente denita al mo-

mento della formulazione della legge, a denire il carattere generale dell formula di
Wien; infatti si pu facilmente dimostrare, imponendo un cambio di variabili e svi-
luppando l'integrale sul volume della cavit, che dall'espressione descritta da Wien
e possibile ricavare la legge di Stefan-Boltzmann.
Inoltre, la legge di Wien ha un'im-
portanza particolare poich permette,
come sua conseguenza, la formulazio-
ne di un'altra relazione, riguardante la
lunghezza d'onda della radiazione emes-
sa, che prende il nome di legge di
spostamento
max T = cost. = 0, 290 cm K.
La legge di spostamento permette di
denire un'importante propriet per la
densit di energia di radiazione emes-
sa; infatti il suo valore massimo tende
a spostarsi verso zone ad alta frequen-
za per un incremento della temperatu-
ra. Due aspetti delle curve di radia-
zione di corpo nero (Figura 2.1, pagina
successiva) sono, inoltre, estremamente
interessanti: Figura 2.1: graco che mostra come varia il
massimo dello spettro di radia-
incrementando la temperatura, zione emessa in funzione del-
l'area sotto la curva aumenta; e la lunghezza d'onda, al variare
poich tale area e una misura del- della temperatura.
l'energia totale emessa dal corpo
nero, ci signica che l'oggetto irraggia pi energia quando diventa pi caldo.
le curve non si intersecano mai; quin-
di ritroviamo il risultato, gi otte-
nuto da Kirchho, per cui la den-
sit di energia e indipendente dal
materiale di cui e composto il cor-
po nero che si prende in esame.
Ottenuta quindi una legge del tutto generale che descrivesse la radiazione emessa
dal corpo nero, il problema si spost dalla determinazione di tale relazione ad una
possibile denizione della funzione universale che compare sia nella legge di Kirchho
che in quella successiva di Wien.
Nel 1896, quindi tre anni dopo la formulazione della sua legge, fu lo stesso Wien a
descrivere una possibile forma della funzione da lui ipotizzata. Partendo dall'ipotesi

13
che per le molecole di un solido emettente la radiazione di corpo nero, dovesse valere
la distribuzione di velocit di Maxwell-Boltzmann
v 2
Av 2 e aT ,
ottenendo cos, per la densit di energia della radiazione, la relazione
g()
u(, T ) = f ()e T .
Imponendo che quest'ultima relazione abbia la stessa forma della legge di sposta-
mento, si perviene alla formula che secondo Wien dava il preciso andamento della
radiazione emessa in funzione di frequenza e temperatura:

(2.1)
b
u(, T ) = a 3 e T ,
con a e b costanti. Alla formulazione di tale espressione seguirono poi le veriche
sperimentali, che inizialmente apparvero in buon accordo con le deduzioni teoriche
ottenute da Wien. Ma fu proprio dall'analisi dei dati ottenuti con alcuni espe-
rimenti che si evidenziarono forti incongruenze tra teoria e dati sperimentali. Il
caso pi eclatante di tale distanza e sicuramente quello che riguarda i dati ottenuti
sperimentalmente da Lord John William Rayleigh e Sir James Jeans.
I due cercarono di estendere il metodo statistico ai problemi riguardanti la radia-
zione termica, ipotizzando che l'energia raggiante totale disponibile sia ugualmente
distribuita fra tutte le possibili frequenze di vibrazione. In tale assunzione risiede
il limite della sica classica: il numero di molecole di un gas in uno spazio chiuso,
seppur grandissimo, e sempre nito, mentre il numero di vibrazioni possibili nello
stesso spazio e innito, dunque per il Teorema di Equipartizione si concluder che
ad ogni singola vibrazione spetter una quantit di energia innitamente piccola.
Inoltre, Rayleigh e Jeans determinarono l'omonima distribuzione per la densit
di energia della radiazione termica per unit di frequenza. Partendo dal campo elet-
tromagnetico contenuto all'interno del corpo nero, che sappiamo essere equivalente
ad un sistema di oscillatori armonici disaccoppiati, e con frequenze uguali alle fre-
quenze proprie della cavit, si pu costruire una analogia con un sistema descritto
da un gas ideale in equilibrio ad una determinata temperatura T. Se si applica-
no i principi di meccanica statistica su un sistema di questo tipo, si perviene alla
relazione ottenuta dai due sici britannici
8 2
(, T ) = ( )Kb T.
c3
Allora la densit di energia totale di radiazione emessa e
Z
u(, T ) = (, T )d.
0

La distribuzione dell'energia emessa cos trovata, e rappresentata dalla curva


tratteggiata in Figura 2.2, riproduce con una certa precisione i valori teorici pro-
spettati dalla legge di spostamento per valori piccoli della frequenza, ma risulta in
evidente disaccordo con questa qualora si vada verso valori della frequenza pi alti;
infatti si pu vedere che per tali valori l'integrale diverge, e il fenomeno prende il
nome di catastrofe ultravioletta.

14
2.2 La teoria di Planck e l'Energia di Punto-Zero
L'accordo con i dati sperimentali ottenuti da Pa-
schen (1897) e da Wanner (1899), e la contempo-
ranea formulazione della "catastrofe ultravioet-
ta", spinsero Max Planck, nel 1900, a ricercare
una formulazione rigorosa per la relazione (2.1),
ottenuta da Wien.
Planck ricerc una dimostrazione della distri-
buzione descritta da Wien basandosi solo su con-
siderazioni termodinamiche, alle quali aggiunse
l'ipotesi che l'entropia di un sistema di risona-
tori 1 dipendesse solo dalla funzione che descrive
l'energia totale del sistema stesso.
Siccome la radiazione di corpo nero non di-
Figura 2.2: Catastrofe ultraviolet-
pende dalla natura dei materiali di cui esso e
ta. costituito, Planck inizi a sviluppare la sua teo-
ria su di un modello di cavit in cui le pareti
erano costituite dai risonatori; cos facendo ri-
tenne che si potesse pervenire, attraverso un processo irreversibile descritto dalla
teoria di Maxwell-Hertz2 , supponendo arbirtarie le condizioni inziali, ad una situa-
zione di equilibrio: la radiazione in equilibrio con i risonatori sarebbe stata allora la
radiazione di corpo nero.
[4]Denite le ipotesi che Planck utilizz per ottenere la dimostrazione rigorosa
della legge di distribuzione di Wien, si pu procedere alla derivazione analitica di
tale percorso a partire da due importanti relazioni: la prima e l'espressione che lega
l'entropia S all' energia media U di un risonatore elementare in equilibrio termico
con la radiazione a temperatura T
2S A
2
= , (2.2)
U U
con A costante associata alla frequenza di oscillazione di ogni singolo risonatore; e
la seconda
S 1
= , (2.3)
U T
che rappresenta il secondo principio della termodinamica nel caso di una trasforma-
zione a temperatura costante. [3] Risolvendo ed uguagliando le due equazioni, si
ottiene che l'energia media del singolo risonatore pu essere scritta come
1
U = Be AT ,

dove B e un'altra costante, che come A, pu dipendere dalla frequenza del singolo
risonatore. Quindi, dal risultato ottenuto, e considerando che la densit di energia
1 con la parola risonatore si intende descrivere un oscillatore armonico, elettricamente carico,
in grado di scambiare energia con la radiazione elettromagnetica, alla loro propria frequenza di
oscillazione.
2 cos si denisce l'insieme delle quattro equazioni che descrivono la dinamica del campo
elettromagnetico e della teoria che descrive la propagazione delle onde elettromagnetiche

15
emessa dal corpo nero per la singola frequenza e descritta da
8 2
() = U
c3
si ottiene 1
() = f ()e AT .
Poich la legge di spostamento di Wien implica che f () e A sono proporzionali
rispettivamete a 3 e 1 , allora si ricava che la descrizione della densit di energia
per la singola frequenza sviluppata secondo il ragionamento di Planck verica la
relazione
(2.4)
D
() = C 3 e T ,
con C e D costanti, che e proprio la distribuzione di densit teorizzata da Wien.
L'aver ricavato la "distribuzione di Wien" da ipotesi che riguardassero solo la
termodinamica classica, e attraverso un procedimento analitico rigoroso, fu dimo-
strazione del fatto che siatta relazione, (2.4), potesse rappresentare una buona
interpolazione per i dati sperimentali. [7]Planck si convinse, nel Febbraio del 1900,
anche a causa dei lavori sperimentali proposti da Lummer e Pringsheim, durante
una riunione della Societ Tedesca di Fisica, che evidenziarono un allontanamento
dei dati dalla distribuzione teorica nel caso di valori piccoli del rapporto /T , che la
causa della "catasrofe ultravioletta" fosse da ricercare nell'espressione dell'entropia
usata nella dimostrazione.
L'espressione dell'entropia, che portasse ad una distribuzione che interpolasse al
meglio tutti i dati sperimentali, fu ottenuta da Planck in maniera arbitraria, come
egli stesso scrive:
...alla ne iniziai a costruire espressioni per l'entropia [del risonatore] com-
pletamente arbitrarie che, sebbene siano pi complicate di quella di Wien,
sembrano ancora soddisfare quasi completamente tutti i requisiti della termo-
dinamica e della teoria elettromagnetica. Sono stato particolarmente attratto
da una delle espressioni cos costruite che e quasi semplice come l'espressione
di Wien e che merita di essere presa in considerazione perch l'espressione
di Wien non e suciente per interpolare tutte le osservazioni [sperimentali].
Otteniamo questa espressione ponendo
2S A
2
= (A, B costanti). (2.5)
U U (B + U )
Essa e di gran lunga la pi semplice espressione che conduce ad una dipendenza
logaritmica di S da U, che e suggerita da considerazioni probabilistiche, e che
si riduce inoltre alla espressione di Wien per piccoli valori di U.

Sfruttando, allora, oltre alla nuova denizione di entropia, anche l'equazione


(2.3), e sviluppando un procedimento analogo alla dimostrazione precedente, Planck
pervenne alla formulazione della distribuzione della densit di energia che si accor-
dasse con i dati sperimentali:
5
() = (, costanti). (2.6)
e T 1

16
Ottenuta quella che secondo lui era la pi semplice formulazione possibile per la
densit di energia3 , Planck, allora, si dedic alla ricerca di un'interpretazione sica
della (2.5).
Per far questo, Planck consider un sistema di N risonatori, ognuno di frequenza
, con energia Un = N U = P , con U energia media del risonatore,  elemento nito
di energia e P che pu assumere solo valori interi. L'entropia del sistema di risonatori
e Sn = N S = k log(Wn ), dove S descrive l'entropia media del singolo risonatore,
mentre Wn e il numero di modi possibili nel quale i P elementi di energia  possono
essere distribuiti rispetto gli N risonatori. Se ci si mette nella condizione in cui gli
N risonatori sono distinguibili mentre gli  elementi di energia sono indisitinguibili
allora si pu scrivere che:
(N + P 1)!
Wn = ,
P !(N 1)!
che statisticamente rappresenta il numero di modi possibile per cui P "palline"
identiche possono essere suddivise in N scatole diverse.
Quindi, sfruttando l'approssimazione di Stirling4 , e la denizione data dell'en-
tropia del sistema, si ottiene che l'entropia media del singolo risonatore e, nel caso
di N e P1:
k (N + P 1)!
S= log
N P !(N 1)!
P P P P (2.7)
k[(1 + ) log(1 + ) log( )]
N N N N
U U U U
= k[(1 + ) log(1 + ) log ].
   
Allora
S 1 k 
= = log(1 + ),
U T  U
da cui facilmente si ricava l'espressione per l'energia media del risonatore:

U=  . (2.8)
e 1
kT

A questo punto Planck pot dare l'espressione denitiva dello spettro di radiazio-
ne, o spettro di Planck, in modo che dati sperimentali e dati teorici si accordassero
perfettamente, denendo la grandezza  come proporzionale alla frequenza di oscil-
lazione del risonatore:  = h; 5 allora la densit di radiazione emessa dal corpo
nero fu scritta come:
8h 3 1
() = 3 h (Spettro di P lanck). (2.9)
c e kT 1
3 soluzioni pi articolate e complesse del problema furono proposte da Thiesen, Lummer, Jahnke
e Pringsheim
4 logM ! M logM M , per valori grandi di M
5 La costante h e una costante universale chiamata costante di Planck ; nel sistema internazionale
il valore della costante di Planck e 6, 626 1034 Js, dunque un valore cos piccolo suggerisce che
la teoria classica conserva intatta la sua validit su grande scala, cedendo alla teoria quantistica il
compito di descrivere la realt su scala atomica.

17
Con tale equazione, e con la nuova ipotesi, che processi di emissione e assorbi-
mento di radiazione da parte della materia sono descrivibili attraverso scambi di
elementi niti di energia (quanto di energia ), Planck, nel 1900, apr le porte sulla
strada che condurr allo sviluppo della Meccanica Quantistica.
Un aspetto interessante della " prima teoria di Planck" pu essere ricavato nel
momento in cui si analizzi l'espressione dell'energia media nel limite classico kT >>
h ; infatti in tal caso l'espressione (2.8) pu essere riscritta attraverso lo sviluppo
in serie:
h h kT 1
U= = kT h.
h
h 1 h 2 1 h
1 + 2 kT 2
e kT 1 1+ kT
+ 2 kT
1

Come evidenzia tale scrittura, U contiene una correzione al termine di energia kT


predetto dal teorema di equipartizione. Tale correzione obbliga a considerare una
nuova energia media per il risonatore, tale che
1
U = U + h,
2
che include il termine 21 h,, che prende il nome di energia di punto zero . Nella
"seconda teoria di Planck", U sar infatti rimpiazzato da U .
Ci vollero molti anni prima che il signicato della rivoluzionaria teoria di Planck
fosse apprezzato. Planck stesso non era completamente soddisfatto del metodo "ad
hoc" con il quale, all'interno del suo ragionamento, era stata ricavata la descrizione
dell'entropia, dalla quale si ricavava lo spettro, e per alcuni anni ricerc ipotesi e
soluzioni alternative che lo portassero alle stesse conclusioni.
Nel 1912, Planck pubblic la sua "seconda teoria".
In questa, i processi relativi all'assorbimento della radiazione potevano essere
descritti attraverso la teoria classica, quindi attraverso scambi continui di energia
tra radiazione e materia, mentre i processi di emissione, come predetto dalla prima
teoria, erano da considerarsi come manifestazione di fenomeni di scambio di energia
"quantizzata".
Si assume, quindi, che un oscillatore6 pu emettere energia solo dopo che ne
ha assorbita, attraverso uno scambio continuo, almeno una quantit h ; e che con
Pn si possa indicare la probabilit che questo abbia energia tra (n 1)h e nh .
Quando, come risultato del fenomeno di assorbimento della radiazione, l'energia
dell'oscillatore diviene nh , si ha una probabilit p che l'energia possa essere tutta
trasferita sotto forma di radiazione emessa, e una probabilit 1-p che l'oscillatore
continui ad assorbire energia senza emetterne. Allora P2 = P1 (1 p), P3 = P2 (1
p) = P1 (1 p)2 ,..., Pn = P1 (1 p)n1 , e

X X P1
Pn = 1 = P1 (1 p)n1 = ,
n=1 n=1
p
6 inbase all'ipotesi di Einstein, del 1907, ogni atomo di un corpo solido pu essere descritto come
un oscillatore indipendente tridimensionale, che vibra intorno alla sua posizione di equilibriocon
ferequenza propria . Quindi nella seconda teoria di Planck, gli oscillatori sostituiscono quelli che
nella teoria precedente erano deniti come risonatori.

18
tale che P1 = p e la probabilit che un oscillatore in equilibrio con la radiazione abbia
energia tra 0 e h, P2 = p(1 p) che abbia energia tra h e 2h, e Pn = p(1 p)n1
e la probabilit che l'energia sia tra (n 1)h e nh.
Seguendo la denizione termodinamica che ne d Boltzmann, Planck den,
allora, che l'entropia dell'oscillatore fosse

X X 1 1 1
S = k Pn logPn = k p(1p)n1 logp[(1p)n1 ] = k[ logp+( 1) log( 1)],
n=1 n=1
p p p

in pi assunse che tutte le energie tra (n 1)h e nh fossero ugualmente probabili,


e quindi l'energia media dell'oscillatore che avesse energia tra i due valori (n 1)h
e nh fosse:
1 1
(n + n 1)h = (n )h.
2 2
Allora, l'energia totale media dell'oscillatore diventa:

1 1 1 1
(2.10)
X X
U= (n )hPn = h (n ) p(1 p)n1 = ( )h,
n=1
2 n=1
2 p 2

e quindi l'entropia pu essere riscritta come


U 1 U 1 U 1 U 1
S = k[( + ) log( + )( ) log( )]. (2.11)
h 2 h 2 h 2 h 2

Sfruttando allora, ancora una volta, la relazione S


U
= T1 , Planck ottenne
h
1 e kT + 1 h 1
U = h h = h + h. (2.12)
2 e kT 1 e kT 1 2

Questo implica che U 6= 0 quando T 0: quando T 0, U 12 h. L'equazione


(2.12) denisce quindi la nascita del concetto di energia di punto zero.
Per ottenere la () Planck non pot usare, come aveva fatto precedentemente,
l'espressione () = 8 U , poich questa era ottenuta supponendo che i fenomeni di
2
c3
assorbimento ed emissione fossero entrambi dovuti a scambi continui tra radiazione
e materia, contrariamente a quella che era la nuova ipotesi di Planck. Il problema
fu risolto assumendo che la grandezza ricercata potesse essere denita come propor-
zionale al rapporto tra la probabilit che l'oscillatore non emettesse radiazione e la
probabilit che lo faccesse:
(1 p)
C() = ,
p
con C costante di proporzionalit. Questa assunzione e plausibile nel momento
in cui si considera che a intesit di radiazione maggiori corrispondano processi di
assorbimento dominanti rispetto a fenomeni di emissione.
Pertanto, attraverso l'equazione (2.10) si pu dire che
1
U = [C() + ]h,
2

19
e quindi ottenere
1 1
() = h . (2.13)
C e kT 1
Per determinare la costante C, Plack, sfrutt il limite classico per cui kT >>
h , in questa condizione la () da lui trovata doveva ridursi alla distribuzione di
Rayleigh e Jeans (principio di corrispondenza ), e quindi

1 8h 3 8h 3 1
= () = h .
C c3 c 3
e kT 1

E da sottolineare che nella seconda teoria di Planck si ottiene che gli oscilla-
tori materiali sono caratterizzati dall'energia di punto zero, nonostante il campo
elettromagnetico non presenti questa caratteristica: per T 0, () 0. Questa
contraddizione pu essere superata attraverso l'Elettrodinamica Quantistica, con la
quale si pu dimostrare che non si commette errore, al contrario di quello che aveva
predetto Planck, se l'espressione dell'energia media U, ottenuta quantisticamente, e
sostituita nella formulazione classica della densit di energia (); infatti, nel caso si
eettuasse tale operazione la relazione tra U e () formulata da Planck diverrebbe:

1 1 4h 3
() = h + ,
C e kT 1 c3

nella quale risulta evidente la presenza di un termine che non tende a zero nell'ipotesi
T 0.

2.3 Quantizzazione del campo Elettromagnetico


Nel paragrafo che segue si proceder all'analisi dei passaggi cruciali che portano alla
quantizzazione del campo elettromagnetico. Tale procedimento risulter utile ai ni
della comprensione del ruolo dell'energia di punto zero nei fenomeni quantistici, con
particolare attenzione a quelli che caratterizzano lo stato quantistico che deniremo
"stato di vuoto".
Sfruttando il principio di corrispondenza e il risultato ottenuto nel primo capi-
tolo, per il quale il campo elettromagnetico e da studiarsi come sovrapposizione di
oscillatori armonici, si ricondurranno i calcoli di prima quantizzazione del campo
elettromagnetico a quelli di un sistema di oscillatori.
L'Hamiltoniana dell'oscillatore armonico, in meccanica quantistica, assume la
stessa forma del suo equivalente classico:

p2 1
H= + m 2 q 2 , (2.14)
2m 2
dove per ora p e q, che in meccanica classica denivano coordinataposizionale e
momento coniugato dell'oscillatore, sono sostituiti dagli operatori quantistici q e
p deniti nello spazio di Hilbert, e per i quali vale l'operazione di commutazione:
[q, p] = ih. Pertanto, se m e la massa della particella, l'Hamiltoniana del sistema

20
quantistico e:
p2 1 7
H = + m 2 q 2 . (2.15)
2m 2
Si possono inoltre denire i due operatori non Hermitiani
1
a= (ip + mq)
2mh
1
a = (ip + mq),
2mh
che per come sono deniti sono l'uno l'aggiunto dell'altro, quindi vale che [a, a ] = 1.
Attraverso i due nuovi operatori, dai quali si possono ricavare p e q
r r
h mh
q=i (a + a ) p=i (a a). (2.16)
2m 2
si ottiene una scrittura semplicata per l'Hamiltoniana del sistema, che risulta ora
essere:
1
H = h(a a + ). (2.17)
2
I livelli energetici dell'oscillatore armonico sono quindi determinati dagli autova-
lori dell'operatore N a a, che possono essere ottenuti a partire dal problema agli
autovalori posto nella forma
N |ni = n|ni,
dove |ni sono gli autovettori normalizzati dell'operatore N.
Attraverso l'applicazione del prodotto scalare hn|N |ni = hn|a a|ni si pu facil-
mente dimostrare che gli autovalori n possono assumero solo valori reali, positivi o
nulli. In pi applicando N sullo stato descritto dal vettore a|ni si ottiene che se |ni
e autostato di N con autovalore n, allora a|ni e autovettore di N associato all'auto-
valore n 1 : a|ni = C|n 1i. Quindi sviluppando la norma di tale espressione, e
ricordando che gli stati sono normalizzati, si ottiene C = n :

a|ni = n|n 1i.

Attraverso un ragionamento analogo, usando a al posto di a, si ottiene:



a |ni = n + 1|n + 1i.

Da questo si f derivare la motivazione per cui a e a assumono rispettivamente


la denominazione di operatori di distruzione e creazione.
Per quanto detto , i livelli energetici dell'oscillatore armonico possono essere
quantizzati come
1
En = h(n + ), n = 0, 1, 2, ... (2.18)
2
7 da ora in avanti si ometter il cappuccio per indicare gli operatori, in modo da rendere la
scrittura pi leggera. Sar quindi specicato il caso in cui si usi una grandezza classica invece che
l'operatore quantistico asssociato.

21
mentre gli autostati sono determinati a partire dallo stato fondamentale |0i,in cor-
rispondenza del quale l'oscillatore armonico possiede la minima energia:
1
|ni = (a )n |0i.
n!
Tali autostati formano un insieme ortonormale completo che fornisce una base per
lo spazio di Hilbert, chiamata base di Bargmann-Fock.
Alla luce di questi risultati, e ricordando che nel primo capitolo si e ottenuto
l'importante risultato attraverso il quale si e dimostrato che l'energia del campo
elettromagnetico pu essere descritta come la sovrapposizione delle energie dei sin-
goli oscillatori armonici attraverso cui questo e schematizzato, e che ogni singolo
oscillatore con la sua frequenza propria prende il nome di modo normale di campo,
e ora possibile andare a sviluppare il processo di quantizzazione di tali "modi".
Si consideri un oscillatore classico di massa unitaria e con Hamiltoniana data
dall'equazione (2.14); introducendo gli operatori di creazione e distruzione, e quindi
anche le denizioni degli operatori q e p descritti attraverso l'equazione (2.19), e
confrontando queste con le equazioni che descrivono il loro corrispondente classico
i k
q(t) = ((t) (t)) p(t) = ((t) + (t)), (2.19)
c 4 4
si nota che il processo di quantizzazione e equivalente all'operazione di sostituzione
delle variabili classiche (t) e (t) con i rispettivi operatori a e a , a meno di un
fattore di normalizzazione arbitrario.
Allo stesso modo possiamo ricavare l'operatore potenziale vettore del campo
elettromagnetico, che per quanto detto pu essere descritto, a partire dalla deni-
zione classica, gi incontrata nel primo capitolo, applicando la sostituzione suddetta,
come: 2
2hc 1
A(~r, t) = ( ) 2 [a(t)A0 (r) + a (t)A0 (r)];

dalla quale si possono far discendere le denizioni degli operatori campo elettrico e
magnetico
(2.20)
1
E(~r, t) = i(2h) 2 [a(t)A0 (r) a (t)A0 (r)],
(2.21)
1
B(~r, t) = (2hc2 ) 2 [a(t) A0 (r) + a (t) A0 (r)].
A questo punto sapendo che l'Hamiltoniana del singolo modo di campo e de-
nita dall'espressione (2.17), allora risulta evidente che l'Hamiltoniana del campo
elettromagnetico quantizzato e
1
(2.22)
X
H= hk (ak ak + );
k
2

essa corrisponde all'Hamiltoniana di un sistema costituito da inniti oscillatori armo-


nici quantizzati indipendenti fra loro, dunque e ottenuta dalla somma innita delle
Hamiltoniane di singolo oscillatore, ciascuno corrispondente ad un modo normale k.
Ogni modo del campo ha uno spettro discreto di energia, costituito da livelli
energetici equidistanti
1
Enk = hk (nk + ), con nk = 0, 1, 2, ... (2.23)
2

22
dove nk e l'autovalore dell'operatore Nk = ak ak , riferito all'autostato |nk i :

Nk |nk i = nk |nk i.

L'autovalore nk dello stato |ni rappresenta il numero di quanti di energia, cio


dei fotoni, associati al modo di campo k descritto dallo stato; quindi, il numero
totale di fotoni del campo e la sommatoria, su tutti i modi possibili, di ogni singolo
autovalore.
Gli autovalori dell'operatore Hamiltoniano del sistema invece sono da descriversi,
in virt del principio d'indipendenza dei moti vibrazionali, come la sommatoria degli
autovalori Enk :
1
(2.24)
X X
En = Enk = hk (nk + );
k k
2
gli autostati invece sono da denirsi come il prodotto tensoriale tra gli autostati
dell'Hamiltoniana di singolo oscillatore
O
|ni = |nk1 i |nk2 i |nk3 i ... ;
k

per cui, avendo gi evidenziato che per ogni modo k si denisce una base completa
per lo spazio di Hilbert composta dagli autostati |nk i appartenenti a Hk , l'intero
sistema deve essere denito in unoNspazio di Hilbert sviluppato attraverso il prodotto
tensoriale dei singoli spazi: H = k Hk .
E opportuno ricordare a questo punto che la teoria quantistica si fonda sul
principio di corrispondenza, che sancisce un legame formale con la teoria classica,
eppure le conclusioni a cui le due teorie conducono sono tutt'altro che scontate.
Analizzando le equazioni ottenute, in particolare la (2.24), espressione dell'e-
nergia del campo elettromagnetico, si possono ottenere informazioni riguardanti i
pi sorprendenti risultati e fenomeni della meccanica quantistica. Da questa risulta
evidente la quantizzazione dell'energia, precedentemente ricavata per l'oscillatore
armonico e qui generalizzata al caso di un sistema a inniti gradi di libert: l'e-
nergia del campo elettromagnetico e strettamente legata al numero di fotoni che
lo compongono, ciascuno dei quali ha energia h . Ad ogni frequenza di vibrazione
del campo k e associato uno spettro energetico, la cui energia e data dalla somma
dell'energia dei quanti caratterizzati dalla medesima k ; poich i modi del campo
sono indipendenti l'un l'altro, l'energia totale e data dalla somma dell'energia di
ciascuno spettro. Nel caso di un campo elettromagnetico connato in un certo vo-
lume, lo spettro energetico e discreto e l'energia complessiva e espressa dalla (2.24);
se il campo si trovasse nel vuoto, in assenza di condizioni al bordo, i suoi livelli
energetici formerebbero uno spettro continuo. In ogni caso, comunque, non tutti i
valori dell'energia sarebbero consentiti, come invece e vero per l'elettromagnetismo
classico.[2]
Un nuovo punto di rottura tra teoria classica e formulazione quantistica si ma-
nifesta nel momento in cui nell'equazione (2.23) si pone la condizione: nk = 0,
cio assumendo che un particolare stato |nk i, che prende il nome di stato di vuoto
o vacuum state, e indicato con |0i, sia caratterizzato dall'assenza di fotoni. Sep-
pure in assenza di fotoni, il singolo modo di campo assume un'energia hk /2, che

23
rappresenta proprio l'energia di punto zero che gi avevamo osservato attraverso lo
spettro di Planck. Quanto appena aermato e indubbiamente sbalorditivo, consi-
derando che secondo la centenaria visione classica della realt, nello stato di vuoto,
anche detto stato di minima energia, il campo si annulla in ogni punto; ma c di
pi. Nel particolare caso in esame, cio quando si ha a che fare con un sistema a
inniti gradi di libert, l'esistenza del energia di punto zero comporta la divergen-
za
P dell'Hamiltoniana del sistema descritta attraverso l'equazione (2.22): la somma
k 2 (hk ) e evidentemente non convergente. La diverganza emerge a causa della
1

somma dei punti zero dell'energia degli inniti modi normali che costituiscono il
campo elettromagnetico.
Spostando adesso l'attenzione agli altri autostati |ni dell'energia si evidenziano
ulteriori propriet degne di nota. Si pu ad esempio dimostrare che i valori medi
dei campi sugli stati stazionari |ni sono nulli. Se si considera l'equazione del campo
magnetico quantizzato (2.20) e di questo ci si calcola il valore d'aspettazione sul
generico stato |nk i, si ottiene (a meno di fattori di proporzionalit):

hnk |Ek |nk i = hnk |ak Ak ak Ak |nk i


= [Ak hnk |ak |nk i Ak hnk |ak |nk i]
(2.25)
= [Ak nk hnk |nk 1i Ak nk + 1hnk |nk + 1i]
= 0;

considerando l'ortonormalit degli stati |nk i. Quindi se otteniamo un valore medio


nullo per il campo elettrico riferito al singolo modo normale, e intuitivo il risultato
per cui anche il valore medio di tutto il campo elettrico sar nullo : hn|E|ni = 0.
Allo stesso modo risulter hn|B|ni = 0. Diverso e tuttavia il risultato che si ottiene
per il valore medio dell'operatore E 2 :

hnk |Ek2 |nk i = 2k [hnk |a2k A2k + a2 2 2


k Ak |Ak | (ak ak + ak ak )|nk i]

= 2k [A2k hnk |a2k |nk i + A2k hnk |a2 2


k |nk i |Ak | hnk |1 + 2ak ak |nk i]
(2.26)
= 2k |Ak |2 (2nk + 1),

con k = (2hk ) 2 . Quindi se si generalizzasse il calcolo appena sviluppato a tutto


1

l'insime dei valori di k, si otterrebbe:


X
hn|E 2 |ni = 2k |Ak |2 (2nk + 1).
k

In pi, come conseguenza dell'ultimo risultato ottenuto, si pu dimostrare che


anche lo scarto quadratico medio per il valore dell'operatore campo elettrico e non
nullo, e vale : X
E = k |Ak | nk + hEk2 i0 ,
k

dove hEk2 i0 = 12 k |Ak | e ladispersione del campo elettrico rispetto lo stato di vuoto
|0i.
Il risultato appena ottenuto e una conseguenza della non commutabilita di Nk
e Ek su cui si fonda un altro pilastro della meccanica quantistica, il principio di

24
indeterminazione, in virt del quale e impossibile conoscere contemporaneamente e
con precisione assoluta il campo elettrico e il numero di fotoni che lo compongono.
Tale propriet essendo valida per tutti gli stati del campo lo e anche per lo stato
di vuoto , a dimostrazione che anche in assenza di fotoni il campo elettromagnetico
presenta delle uttuazioni statistiche. L'energia di vuoto del campo elettromagnetico
si associa a particelle virtuali che compaiono e scompaiono nello stato fondamentale
|0i.

25
26
Capitolo 3
Le uttuazioni dello stato di vuoto e
l'Eetto Casimir
La teoria classica e quantistica per il campo elettromagnetico, sviluppata nei capitoli
precedenti, ci ha condotti al risultato per cui esiste un' energia di punto zero, per la
radiazione, dovuta al processo di quantizzazione; ossia l'esistenza di uno stato con
numero di fotoni nullo e uttuazioni del campo nite.
Questo risultato condusse a risvolti, riguardanti la Meccanica Quantistica in
particolare, ma in generale per tutta la Fisica, assai rilevanti: infatti, fenomeni
come l'Eetto Casimir, che ci proponiamo di analizzare in questo capitolo almeno
nelle sue caratterisitiche principali, non possono essere spiegati attraverso la sica
classica, poich ascrivibili a considerazioni puramente quantistiche.

3.1 Trattazione analitica dell' Eetto Casimir


[4] Nel 1948, il sico e matematico olandese, Hendrik Brugt Gerhard Casimir pre-
disse, come conseguenza delle uttuazioni quantistiche del vuoto, l'esistenza di
una forza attrattiva tra due lastre parallele, elettricamente neutre e perfettamente
conduttrici, poste nel vuoto.
Per rappresentare la congurazione del siste-
ma descritta in gura (3.1) possiamo avvalerci
della condizione per cui un campo elettromagne-
tico sia all'interno di una cavit parallelepipeda
di lati Lx = Ly = L e Lz , costituito da due piastre
perfettamente conduttrici di area L2 ciascuna, e
poste a distanza d Lz .
Le equazioni di Maxwell nel vuoto impongo-
no la trasversalit del campo elettrico e del cam- Figura 3.1: Due lastre parallele,
po magnetico, la scelta della guauge di Coulomb neutre e perfettamente
la impone anche per il potenziale vettore A(~~ r, t). conduttrici, poste nel
Inoltre, la condizione di perfetta conducibilit e vuoto ad una distanza
soddisfatta se le componenti tangenziali del cam- d l'una dall'altra, spe-
po elettrico si annullano sulle pareti del parallele- rimentano una forza
pipedo; analoga limitazione sussiste dunque an- attrattiva.

27
che per il potenziale vettore, le cui componenti
spaziali, soluzioni dell'equazione di Helmholtz, sono del tipo
8 1
Ax (~r) = ( ) 2 [ ax cos(kx x) sin(ky y) sin(kz z)], (3.1)
V

8 1
Ay (~r) = ( ) 2 [ay sin(kx x) cos(ky y) sin(kz z)], (3.2)
V

8 1
Az (~r) = ( ) 2 [az sin(kx x) sin(ky y) cos(kz z)], (3.3)
V
dove a2x + a2y + a2z = 1, V = L2 Lz , e
nx ny nz
kx = , ky = , kz = , (3.4)
L L L
con nx , ny e nz che possono assumere valori nulli oppure interi positivi.
Ovviamente dovr essere soddisfatta anche la condizione di normalizzazione
Z L Z L Z L
dx dy dz [A2x (~r) + A2y (~r) + A2z (~r)] = 1.
0 0 0

La trasversalit richiesta dalla condizione posta dalla gauge di Coulomb si tra-


duce in

kx Ax + ky Ay + kz Az = (nx Ax + ny Ay ) + (nz Az ) = 0, (3.5)
L Lz

dunque se nx , ny e nz sono tutte e tre diverse da zero ho due direzioni di polarizza-


zione indipendenti, mentre se uno dei tre e nullo allora la polarizzazione possibile e
unica.
Dall'equazione (3.4) si deduce che non tutte le frequenze sono permesse all'inter-
no del parallelepipedo, e che quelle accetabili sono le sole che vericano l'espressione

n2 n2y n2
k~n = |k~n | c = c[ x2 + 2 + z2 ].
L L Lz

Pertanto l'energia di punto zero all'interno del volume e data dalla somma delle
energie di punto zero dei modi del campo caratterizzati da frequenze k~n , tali che

1 n2x n2y n2 1
(3.6)
X X
0 0
(2) hk~n = hc[ 2 + 2 + z2 ] 2 ,
nx ,ny ,nz =0
2 n ,n ,n =0
L L Lz
x y z

in cui il fattore 2 prende in considerazione le due possibili polarizzazioni nel caso


nx,y,z 6= 0, mentre l'apostrofo implica il fattore 12 nel caso in cui uno degli interi nx,y,z
si annulli, in tal caso si ha un'unica polarizzazione.
Immaginando di far tendere all'innito le dimensioni delle superci laterali, ossia
immaginando che le lastre conduttrici diventino innitamente grandi, pur mante-
nendo ssa la distanza d fra esse, i modi possibili nelle direzioni x e y diventano

28
inniti, dunque nella (3.6), la somma rispetto a nx e ny e sostituita da un integrale,
mentre i valori di nz continuano ad essere discreti:
Z Z
X X
0 L
( )2 dkx dky .
nx ,ny ,nz =0 nz =0

Allora l'energia di punto zero nella nuova congurazione risulta essere:


Z Z
X
0 1 L2 X
0 n2 2 1
E(d) = (2) hk~n 2 (hc) dkx dky [kx2 + ky2 + 2 ] 2 ;
nx ,ny ,nz =0
2 n =0 0 0 d
z

(3.7)
quindi l'energia di punto zero dello stato di vuoto risulta essere una quantit innita
in un volume nito.
Se ora, rendendo innite le dimensioni delle due piastre, anche la distanza d
diventa innita, nz potr assumere valori continui; di conseguenza nell'intero spazio
vuoto, tutte le frequenze di vibrazione sono consentite. Anche la somma su nz
diviene un integrale e l'energia di punto zero nell'intero spazio si ottiene dall'integrale
triplo

L2
Z Z Z
d
(3.8)
1
E() = (hc) dkx dky dkz [kx2 + ky2 + kz2 ] 2 ,
2 0 0 0
che in ogni caso denisce una quantit innita.
Dai risultati ottenuti no a questo momento,si pu dire che l'energia potenziale
del sistema nella sua congurazione iniziale, cio quando le due lastre sono ancora
ad una distanza d, e una dierenza tra due inniti, essendo tali sia E(d) che E().
Infatti l'energia potenziale del sistema e, nel sistema descritto, da considerarsi
come l'energia necessaria per portare le due lastre prese in considerazione da una
distanza d all' innito:

L2 (hc) X 0
Z
n2 2 1
Z
2 2
U (d) = E(d) E() = [ dkx dk y [kx + ky + ]2
2 n =0 0 d2
Z z Z Z
0
(3.9)
d 1
dkx dky dkz [kx2 + ky2 + kz2 ] 2 .
0 0 0
La forza di Casimir si ottiene rendendo nita questa quantit, e quindi dando un
signicato sico alla dierenza di due inniti. Ci e possibile attraverso un'appro-
priata funzione di cut-o 1 , che prende in considerazione il limite di conducibilit
delle lastre, ossia il fatto che tale propriet non e pi vera a grandi frequenze, o
in altri termini, a lunghezze d'onda dell'ordine delle dimensioni atomiche. Se sul-
l'energia potenziale espressa tramite l'equazione (3.9) si applica una trasformazione
di coordinate, da cartesiane a polari (u,), nel piano kx ky > 0, allora questa si pu
scrivere come

L2 (hc) X 0 n2z 2 1
Z
2
U (d) = ( )[ du u(u + 2 ) 2
2 2 n =0 0 d
Z Z z (3.10)
d 1
dkz du u(u2 + kz2 ) 2 ],
0 0
1 Sia un aperto di Rn e siano Br BR . Una funzione : [0,1] e una funzione di
cut-o tra Br (x0 ) e BR (x0 ) se vale identicamente 1 su Br (x0 ), 0 su /BR (x0 ) e Cc ().

29
dove varia tra 0 e /2, e dkx dky = u dud. La funzione di cuto e denita come
1
f (k) = f ([u2 + kz2 ] 2 ),

di modo che posto km 1


a0
, con a0 raggio atomico di Bohr, si ottenga
(
1 se k << km
f (k) =
0 se k >> km .
In queste approssimazioni l'eetto Casimir risulta essere essenzialmente proprio delle
basse frequenze, caratterizzato da energia potenziale

L2 (hc) X 0 n2z 2 1 n2z 2 1
Z
2 2
U (d) = ( )[ du u(u + ) 2 f ([u + ]2 )
2 2 n =0 0 d2 d2
z (3.11)
d
Z
n2 2 1
Z
1
dkz du u(u2 + kz2 ) 2 f ([u2 + z 2 ] 2 )],
0 0 d

ed eettuando il cambio di variabili x = u2 d2


2
ek= kz d

, diviene
Z
2 h c 2 1
(3.12)
X
U (d) = ( 3 ) L [ F (0) + F (nz ) dk F (k)],
4d 2 n =1 0 z

dove Z
1 1
F (k) dx (x + k 2 ) 2 f ( [x + k 2 ] 2 ).
0 d
Inne si applica la formula di Euero-Maclaurin [8] per la quale, nel caso in cui
F () 0, vale
Z
X 1 1 1 000
F (nz ) dk F (k)] = F (0) F 0 (0 + F (0) + ...;
nz =1 0 2 12 720

e considerando che la funzione F(k) pu essere scritta come



Z
F (k) = du u( u),
k2 d
si otterr
F 0 (k) = 2k 2 f ( k), F 0 (0) = 0, F 000 (0) = 4,
d
e che tutte le derivate di ordine superiore sono nulle, supponendo che tutte le derivate
della funzione di cut-o si annullino per k = 0.
Concludendo, dagli ultimi risultati ottenuti possiamo ricavare, in maniera piut-
tosto agevole, l'espressione che descrive la forza che si esercita tra le due lastre;
infatti dalle condizioni sulle derivate della funzione F(k) si pu riscrivere la formula
di Eulero-Maclaurin, che diventa:
Z
X 1 4
F (nz ) dk F (k)] = F (0) ,
nz =1 0 2 720

30
e conseguentemente

2 h c 2 4 2
2 h c
U (d) = ( )L ( ) = L ( ).
4d3 720 720 d3
Si pu, da questa ultima relazione, estrapolare un valore nito dell'energia po-
tenziale e indipendente dalla funzione di cuto; ne risulta una forza attrattiva, per
unit d'area, fra le due lastre

2 h c
F (d) = , (3.13)
240 d4
che prende il nome di Forza di Casimir o Eetto Casimir.
L'Eetto Casimir quindi pu essere denito, in prima istanza, anche come la ma-
nifestazione macroscopica delle condizioni al contorno imposte dai conni materiali
del sistema allo stato di vuoto del campo elettromagnetico, e la dimostarzione che
le uttuazioni quantistiche di tale stato possono essere nite ed osservabili. Nello
spazio libero, dove le uttuazioni di vuoto sono isotropiche, l'eetto Casimir non ha
modo di vericarsi, pertanto se ne deduce che esso dipende fortemente dalla geo-
metria del sistema. Inne, e interessante notare, che sebbene la forza di Casimir
sia prodotta dal campo elettromagnetico, la carica elettrica non compare nella sua
denizione. Compare invece il prodotto h c, il che consente di ribadire quanto af-
fermato nell'introdurre l'eetto: la forza di Casimir e prettamente quantistica, oltre
che relativistica, e non ha alcuna controparte classica.

3.2 Interpretazione sica dell'Eetto Casimir


Dalla formulazione matematica dell' Eetto Casimir, attraverso l'approccio proposto
dallo stesso sico olandese ed analizzato precedentemente, e da quella equivalente de-
scritta dalla Teoria di Lifshitz, dalla quale si ottiene il risultato derivato da Casimir
come caso particolare[4], risulta evidente la possibilit di correlare tale eetto, pro-
prio della meccanica quantistica, con le Forze di Van der Waals, che si manifestano
tra due atomi o molecole vicine, anche se queste sono apolari.
Questo tipo di interazione si estende anche a corpi neutri macroscopici e ha ori-
gine nel moto delle cariche elettriche che li compongono, le quali generano campi
elettromagnetici uttuanti nella regione di spazio fra i due oggetti. Tali campi in-
ducono dei momenti di dipolo transienti nelle molecole, provocandone l'interazione.
Nella formulazione quantistica dell'interazione di Van der Waals, sviluppata da Fritz
London, si verica ci che e stato visto precedentemente per il campo elettroma-
gnetico: il valore medio degli operatori associati ai momenti di dipolo degli atomi o
molecole apolari e nullo, ma i momenti di dipolo istantanei indotti fanno s che lo
scarto quadratico medio sia diverso da zero.
Quindi, si pu dire che la forza di Van der Waals e da intendersi come una
conseguenza delle uttuazioni di vuoto del campo elettromagnetico.
Ne consegue pertanto che la stessa interazione di Van der Waals e puramente
quantistica; il lavoro di London conferma questa asserzione e la completa, dimo-
strando che si tratta di un eetto non relativistico, dal momento che i risultati da

31
lui ottenuti dipendono dalla costante di Planck h, ma non dalla velocit della luce
nel vuoto c2 .
Quanto detto e vero nel limite in cui due atomi, molecole o corpi macroscopici si
possano denire vicini. Una forza di Van der Waals quantistica e non relativistica si
manifesta infatti se i due oggetti si trovano a distanza di pochi nanometri, distanza
che consente ad un fotone virtuale emesso da un atomo, di raggiungere l'altro in
un arco di tempo minore o uguale al suo tempo di vita. In queste condizioni le
oscillazioni prodotte dall'emissione, o assorbimento, del fotone, inducono momenti
di dipolo istantanei in entrambi gli atomi; si parla di non-retarded Van der Waals
force.
Se invece gli atomi sono situati a distanza tale da non consentire al fotone virtua-
le di essere trasferito, l'attrazione dovuta alla forza non ritardata di Van der Waals
non sussiste. Tuttavia, anche in questo caso la dispersione del campo elettroma-
gnetico risulta essere non nulla. Ci comporta il sorgere di momenti di dipolo e di
una forza attrattiva fra i due atomi. Tale interazione pu essere interpretata come
una manifestazione su larghe distanze della forza non ritardata di Van der Waals,
che prende il nome di forza di Casimir-Polder. Essa e un'interazione ovviamente
quantistica, ma, al contrario della Forza di London, e anche relativistica e dipende
dal coeciente di polarizzabilit degli atomi.
Nel momento in cui la Forza Casimir-Polder, e analizzata in un ambiente ma-
croscopico, rappresentato da conni materiali come le lastre piane, neutre e perfet-
tamente conduttrici, allora tale interazione prende il nome di Eetto Casimir.
Ma l'interpretazione dell'Eetto Casimir come caso molto particolare delle forze
di interazione di Van der Waals non e l'unica interpretazione che negli anni e stata
data.
Nel 1988, Peter W.Milonni diede un' interpretazione estremamente intuitiva di
tale eetto, che permetteva di associare l'interazione tra le lastre alla pressione
esercitata dagli stessi fotoni virtuali su queste.[9]
Quando un'onda di frequenza incide normalmente su una supercie perfetta-
mente conduttrice, esercita una pressione

pn = h|k~n | j,

dove h|kn | e l'energia del singolo fotone virtuale incidente, e j la densit di corrente
di particelle. Quindi se chiamiamo con la densit di fotoni: j = c = c/V, allora

h|k~n | c
p n = .
V
Nel caso pi generale in cui la radiazione di vuoto non incida normalmente alla
supercie, la pressione esercitata sulle lastre, per ogni frequenza ~kn e

pn = pn cos2 ,

con angolo d'incidenza.


2 http://www.sicamente.net/DIDATTICA/index-179.htm

32
La pressione netta che agisce sulle lastre si
ottiene con un procedimento di sottrazione ana-
logo a quanto visto precedentemente: essa e da-
ta dalla dierenza fra la pressione esterna e la
pressione interna esercitata dagli inniti modi di
punto zero. Per ottenere la pressione sulle su-
perci esterne, si pu passare ad un insieme di
frequenze con componenti del vettore d'onda kx e
ky continue. Trascurando la polarizzazione, que-
sta assunzione consente di sostituire le somme
con gli integrali: Figura 3.2: La forza di Casimir
X L Z Z si pu attribuire al-
la pressione esercitata
X
( )2 dkx dky .
nx,y,z n
dai fotoni virtuali sulle
z
lastre conduttrici.
In pi, poich cos2 = ( |k~k|z ), e V = L2 d si pu
scrivere, sfruttando anche le relazioni espresse
dalla (3.4), che
h c X
Z
( nz )2
Z
pext = 2 dkx dky p 2 d 2 nz
.
d n 0 0 kx + ky + d
z

Analogamente, la pressione interna alle due lastre si ottiene immaginando di


rendere innite le tre dimensioni del sistema e dunque anche la somma su nz viene
sostituita da un integrale, ottenendo

k2
Z Z Z
h c
pint = 3 dkx dky dkz p 2 z 2 .
0 0 0 kx + ky + kz2

Si e giunti ad una dierenza di inniti. Anche in questo caso la convergenza


e garantita introducendo la funzione di cuto e sfruttando lo sviluppo in serie di
Eulero-Maclaurin; il valore nito che si ricava coincide esattamente con la forza di
Casimir 2
h c
pint pext = .
240 d4
L'innit di frequenze di radiazione consentite all'esterno del condensatore e di
ordine maggiore rispetto all'innit di frequenze possibili all'interno; intuitivamen-
te, si pu dunque attribuire l'attrazione fra le due lastre al fatto che la pressione
esercitata dall'esterno sia maggiore di quella esercitata internamente.

3.3 Veriche sperimentali


[11]Dopo la formulazione teorica da parte di Casimir, nel 1948, dell'omonimo eetto
quantistico, ci volle circa un decennio prima che si riuscisse a sviluppare un esperi-
mento capace di vericare la presenza di una forza attrattiva tra due lastre nel vuoto
come conseguenza delle uttuazioni quantistiche; questo a causa delle complicazio-
ni dovute alla possibilit di mantenere le lastre perfettamente parallele e a distanze

33
nano e micro-metriche. La ricerca sperimentale, quindi, mosse i suoi primi passi solo
nel 1958, quando Sparnaay riusc a proporre un esperimento che nel suo apparato
rispecchiasse le condizioni ideali della congurazione originale proposta da Casimir.
Sebbene i risultati ottenuti evidenziassero la presenza di una forza attrattiva tra
le lastre, e quindi una possibile evidenza dell'Eetto Casimir, questi non poterono
essere presi come prova poich aetti da un'incertezza del 100%.
Dopo l'insuccesso sperimentale di Sparnaay, ci vollero circa altri venti anni prima
che la ricerca riguardante gli eetti delle uttuazioni quantistiche dello stato di vuo-
to del campo elettromagnetico tornasse a produrre risultati interessanti. I primi a
riprendere lo sviluppo sperimentale dell'Eetto Casimir furono Blokland e Overbeek
nel 1978, che abbandonarono i propositi di Sparnaay di sviluppare un apparato spe-
rimentale che rispecchiasse quello teorico, e misurarono la Forza di Casimir prodotta
nell'interazione tra una superce piana conduttrice e un conduttore sferico, ottenen-
do delle misure con un'incertezza del 25%. Bench l'errore sulla stima della Forza
o Pressione esercitata fosse ancora molto alto, e quindi non ancora denibile come
prova sperimentale dell'esistenza dell'eetto, era nettamente inferiore all'incertezza
ottenuta precedentemente sfruttando le lastre parallele.
Blokland e Overbeek ebbero quindi il merito di inaugurare una nuova strada
nella ricerca che produsse una lunga serie d'esperimenti che sfruttavano apparati
sperimentali che si dierenziarono per geometrie dei componenti in interazione e
per materiali usati, in modo da variare il coeciente di conduttivit. In particolare,
proprio a causa del fatto che i risultati ottenuti sperimentalmente dipendessero dalla
conduttivit del materiale, il confronto tra dati teorici e sperimentali fu analizzato
a partire non pi dalla teoria di Casimir, ma bens sfruttando la teoria pi generale
delle forze di dispersione di Lifshitz.
Il primo risultato rilevante, ottenuto perseguendo la strada tracciata da Over-
beek, fu quello conseguito da Lamoreaux nel 1995 a Seattle[10]; lo stesso Lamoreaux
annunci a conclusione del progetto che: "l'azione delle uttuazioni di vuoto fra due
superci conduttrici era nalmente stata dimostrata".
Nel processo di misurazione fu utilizzato un sistema elettromeccanico basato su
un pendolo a torsione. Come conduttori da fare interagire furono scelti una lastra
piana di quarzo, di larghezza 2.54 cm e spessore 0.5 cm, e una lente sferica di 4 cm di
diametro; la prima posizionata su un braccio del pendolo, la seconda su un sistema
di microposizionamento piezoelettrico che consentiva di variare con alta precisione
la distanza fra i due conduttori.
Tale congurazione geometrica comporta una correzione all'espressione della For-
za di Casimir, dovuta all'introduzione della "proximity force approximation" (PFA),
la quale deriva dall'interazione coulombiana, e richiede che le superci conduttrici
siano separate da una distanza molto minore della loro curvatura. Se R e il raggio
di curvatura della lente sferica e d la distanza dalla lastra, la forza di Casimir, in
modulo, e
3 h c R
Fc = ,
360 d3
valida se Rd.
Il primo obiettivo di questo esperimento fu quello di cercare di eliminare gli
eetti di viscosit, portando il sistema ad una situazione di vuoto di 104 torr, ma

34
la fase cruciale dell'esperienza consisteva nel mantenere il pendolo ad un angolo sso.
Questo traguardo fu raggiunto utilizzando un sistema di feedback, costituito da due
piastre compensatrici poste ai due lati del pendolo a formare un condensatore. La
posizione del pendolo veniva calibrata di volta in volta misurando le capacit dei
compensatori e vericando che esse fossero uguali, qualora ci non fosse avvenuto,
si sarebbe applicato ad essi una piccola tensione correttiva.
Nello stadio di preparazione alla misura, la calibrazione del sistema avveniva
attraverso misure elettriche basate sulla variazione della capacit del condensatore
costituito dai due conduttori, in funzione della distanza fra di essi. Tra i due con-
duttori, a causa dell'apparecchiatura interna del circuito di cui facevano parte, era
presente un potenziale di 430 mV che fu eliminato applicando una tensione esterna
in modo da lasciare solo un minimo potenziale V assunto come "zero". La pre-
senza di un potenziale intrinseco fu inoltre la causa di una sovrapposizione di forze
elettrostatiche alla forza di Casimir e dunque fu necessario utilizzare particolari tec-
niche di sottrazione che eliminassero il contributo di tali forze, facendo emergere
esclusivamente l'interazione di interesse.
La forza di Casimir fu misurata variando di una quantit discreta per volta la
tensione applicata al sistema piezoelettrico e ricavando, ad ogni passo, la forza di
richiamo del pendolo attraverso la misura della variazione della quantit V neces-
saria per mantenere l'angolo sso. Ogni misura risultava aetta da un'incertezza
di 0.01 m. Lo spostamento massimo a 92V fu di 12.3 m, mentre lo spostamento
medio misurato, corrispondente a 5.75V, risult essere 0.75 m. L'intervallo di in-
dagine ricopr una distanza fra le due superci conduttrici da 0.6 m a 6 m, con
un'accuratezza del 5% sulle misure.
Nonostante gli ottimi risultati ottenuti da Lamoreaux, anche questo esperimento
presentava, come i precedenti, delle lacune. Infatti, tra i risultati dell'esperien-
za non viene riportata la deviazione della misura sperimentale da quella teorica,
causata dalla conducibilit nita dei conduttori, dalla loro "ruvidezza" e dal fatto
che l'esperimento e condotto in un ambiente la cui temperatura e diversa da zero,
contrariamente al caso ideale.
Gli aspetti che rendevano il lavoro di Lamoreaux incompleto furono invece trat-
tati e analizzati da Mohidden e Roy nel 1998, attraverso un approccio del tutto
innovativo.[17]
L'esperimento fu realizzato a temperatura ambiente e pressione di 50 mTorr. Essi
utilizzarono un microscopio a forza atomica per misurare la forza di Casimir fra una
sfera di polistirene, dal diametro di 196 m, e un disco di zaro di diametro 1.25
cm. La sfera fu collocata sulla punta della microleva del microscopio e il tutto, disco
compreso, ricoperto di alluminio per garantire un alto potere riessivo al sistema.
La fase di calibrazione dell'apparato sperimentale, fu simile a quella descritta nella
situazione precedente: un potenziale esterno veniva applicato per compensare la
tensione interna, di circa 30 mV, presente quando i due conduttori erano messi a
terra.
Il processo di misura fu eettuato invece facendo incidere un fascio laser sulla
sfera e raccogliendo il raggio riesso per mezzo di due fotodiodi. La deessione del
cantilever, provocata dal fascio laser, induceva una variazione nei segnali rivelati dai
due fotodiodi; valutando tale variazione si poteva risalire alla deessione e la forza

35
fra i due conduttori veniva ottenuta sfruttando semplicemente la legge di Hooke
F = k z , dove k e la costante della forza e z la deessione della microleva.
L'operazione fu ripetuta numerose volte, fa-
cendo avvicinare di 3.6 nm per misura, il disco
alla sfera.
Nell'analizzare i dati registrati, il gruppo di
Riverside riusc a considerare e stimare molte-
plici fattori di disturbo esterni, tra cui: la con-
ducibilit nita dei conduttori, la ruvidezza del
materiale, e la temperatura nita, che erano pro-
prio i fattori che non furono considerati da La-
moreaux. Inoltre essi riuscirono a valutare l'er-
rore sistematico nella misura eettiva della di- Figura 3.3: Schema del microsco-
stanza fra le due superci, dovuto alla essione pio a forza atomica
della microleva stessa e alla presenza di una for- sfruttato da Mohideen
za elettrostatica, generata dal potenziale residuo e Roy per misurare la
presente fra i due conduttori. forza di Casimir.
Grazie alla precisione degli strumenti utiliz-
zati, dovuta in particolare al grande raggio di curvatura e all'utilizzo del laser, Mo-
hideen e Roy furono in grado di misurare la forza di Casimir per distanze comprese
fra 0,1 e 0,9 m, con l'1% di accuratezza.
Oltre i casi analizzati in dettaglio ci furono altri esperimenti che ottennero ottimi
risultati e che vennero usati come evidenza dell'esistenza dell'Eetto Casimir3 ; per
tutti gli apparati che produssero tali risultati erano caratterizzati da geometrie che si
allontanavano fortemente da quella ideale di Casimir, e riproposta sperimentalmen-
te da Sparnaay, lasciando cos senza soluzione il problema riguardante la possibilit
eettiva di ottenere una stima della Forza Casimir a partire da una struttura spe-
rimentale formata da due lastre parallele, a causa delle complicanze portate dal
parallelismo dei conduttori.
La soluzione fu trovata, tra il 2002 e il 2006, attraverso due esperimenti paralleli
condotti in Italia tra Padova e Pavia, sotto la responsabilit di Bressi, Carugno ed
Onofrio.[12], [13]
I set-up sperimentali furono sviluppati attraverso apparecchiature molto simili
che si basavano sulla presenza di due lastre opposte, chiamate rispettivamente "sour-
ce" e "resonator" (una microleva), con quest'ultima capace di muoversi in modo da
variare la distanza relativa attraverso l'uso di un sistema piezoelettrico.
Le dierenze principali, invece, si riscontrarono nei processi di analisi per denire
una stima, con relativa accuratezza, della forza attrattiva tra le lastre, e nell'am-
biente sperimentale adottato. Infatti, la dierenza sostanziale tra le condizioni in
cui i due esperimenti furono svolti e da ricercarsi sicuramente nella temperatura che
si scelse di usare per la camera in cui furono poste le apparecchiature. L'esperimen-
to seguito da Onofrio fu sviluppato alla temperatura relativamente alta di 300 K,
mentre Bressi e Carugno decisero di introdurre l'apparato elettromeccanico in una
3 notevole fu, ad esempio, il risultato ottenuto da Ederth, che attraverso l'uso di due cilindri
conduttori incrociati riusc non solo a stimare la forza d'interazione, ma ottenne la possibilit che
questa fosse anche repulsiva.

36
camera bianca portata alla temperatura di 0.1 K (in modo da limitare la presenza
di errori sistematici dovuti ad agenti esterni, e di considerare minimo il contributo
alla misura da parte di fotoni termici).
Dal primo dei due esperimenti, furono estrapolate le stime della forza che ve-
ricasse l'esistenza dell'Eetto Casimir attraverso un metodo statico, che rispec-
chiava i metodi analitici usati precedentemente da Lamoreaux e Mohideen; quin-
di attraverso un interferometro a bra ottica fu possibile misurare la variazione
della frequenza( ) della microleva all'avvicinarsi del source. Infatti ogni forza
con una dipendanza spaziale, induce una variazione nella frequenza della piastra in
oscillazione: 2
Vel Ccas
= Cel 5 ,
d3 d
con Ccas componente della forza attrattiva tra le piastre riguardante l'Eetto Casi-
mir.
Si ottennero valori per la forza nel range di distanze tra 0.5 e 3 m, con un
incertezza del 15%.
L'esperimento svolto nella camera bianca, invece, produsse risultati con un incer-
tezza del 20% alle distanze, tra le due piastre, tra 5.5 m, distanza massima rispetto
la quale l'Eetto Casimir era ancora apprezzabile, e distanze inferiori ad 1m. Que-
ste furono ottenute attraverso un procedimento analitico di tipo "dinamico", poich
si veric che, a causa di errori sistematici dovuti alla struttura sperimentale, il
metodo statico non avrebbe garantito risultati altrettanto accurati.
Quindi, avvicinando la "sorgente" alla microleva attraverso movimenti periodici
si ottenne la possibilit di descrivere la forza attrattiva tra le piastre, dipendente
dalla distanza d, come equivalente a quella di un oscillatore armonico:

mxr (t) = mr2 xr (t) + F (d),

con xr posizione della piastra in oscillazione. La stima di F(d) fu poi estrapolata


sfruttando il valore della capacit formata dalle due lastre conduttrici, dalla quale
si otteneva una precisa misura della distanza relativa tra queste.
Da quanto detto si pu dire, senza commettere errore, che questi ultimi due espe-
rimenti analizzati, nonostante cronologicamente siano i pi recenti, rappresentano
la prima prova reale dell'Eetto Casimir, poich sviluppati attraverso due strutture
che, sebbene diverse, rispettano le condizioni originali proposte dal sico olandese.
In conclusione a questo paragrafo, nel quale si e cercato di analizzare gli aspetti
principali relativi all'attivit sperimentale, e interessante andare a vericare quello
che e l'accordo tra dati sperimentali, ottenuti tramite le molteplici prove che si
sono susseguite negli anni, e le stime teoriche derivate in accordo alle teorie di
Casimir e Lifshitz.[14] Per fare questo, pu risultare utile confrontare due esperimenti
piuttosto recenti (2005), e particolarmente precisi nel lavoro di analisi nalizzato
alla stima degli errori sperimentali e teorici: il primo[15] svolto da F. Chen et al.
basato su un apparato sperimentale che si rifaceva a quello usato da Mohideen; e
l'altro curato da R.S. Decca[16], in collaborazione con un folto gruppo di ricerca,
che sfruttava una struttura sperimentale basata sul pendolo a torsione, gi usato
da Lamoreaux, nella quale per stavolta entrambi i conduttori sono lastre piane.
I risutati di tale analisi, arontata attraverso metodi statistici innovativi, che si

37
allontanavano dall'uso della "root mean square deviation", considerata come una
stima inappropriata dell'errore nel caso di grandezze fortemente non lineari come
la Forza Casimir, possono essere riassunti in due tabelle nelle quali si confrontano i
dati provenienti dalle due esperienze:

Tabella 3.1: Nella tabella sono contenuti tutti i valori(%) relativi agli errori sperimentali
e teorici riguardanti i due esperimenti. Nelle colonne a) osserviamo gli
errori relativi; nella b) quelli sistematici dovuti agli apparati sperimentali
e al rumore ambientale: nella colonna c) l'errore sperimentale totale; in d)
ed e) sono raccolti rispettivamente l'errore teorico e l'errore teorico totale,
che dieriscono per il fatto che in quello totale e considerato anche l'errore
sulla stima di z; inne,nell' ultima colonna si possono osservare i valori della
quantit (F th F exp ), stima dell'accordo tra dati teorici e sperimentali.

Decca et al. Chen et al.


z(nm)
(a) (b) (c) (d) (e) (f) (a) (b) (c) (d) (e) (f)
62.33 0.78 0.31 0.87 0.55 3.5 4.0
70 1.1 0.42 1.2 0.56 3.2 3.7
80 1.6 0.60 1.7 0.56 2.8 3.7
90 2.1 0.84 2.4 0.56 2.6 3.9
100 2.9 1.1 3.2 0.56 2.4 4.4
120 4.7 1.8 5.3 0.56 2.0 6.2
140 7.3 2.8 8.1 0.57 1.8 9.1
160 1.4 0.15 1.4 0.56 1.6 2.4 10 4.1 12 0.58 1.6 13
170 0.59 0.15 0.59 0.56 1.6 1.9 12 4.9 14 0.58 1.6 15
180 0.57 0.15 0.57 0.57 1.5 1.8 15 5.7 16 0.58 1.5 18
200 0.55 0.16 0.56 0.57 1.4 1.7 20 7.7 22 0.59 1.4 23
250 0.48 0.20 0.54 0.58 1.2 1.5 37 14 41 0.61 3.0 42
300 0.44 0.31 0.59 0.59 1.1 1.4 62 24 69 0.64 2.0 70
350 0.40 0.50 0.72 0.61 1.0 1.4 96 37 107 0.67 1.0 108
400 0.56 0.80 1.1 0.62 0.98 1.6
500 1.3 1.80 2.5 0.66 0.91 2.9
600 2.9 3.80 5.4 0.70 0.88 5.4

Dai dati conteuti nella tabella (3.1) si pu dedurre che un esperimento "alla Mohi-
deen" sia estremamente valido per cosiderarere l'Eetto Casimir nel caso di distanze
"brevi" tra i conduttori, ma poich all'aumentare di questa l'errore sperimentale to-
tale aumenta, per distanze superiori ai 160 nm risulter pi conveniente andare a
sviluppare un esperimento attraverso un apparato sperimentale come quello usato
da Decca, nel quale invece l'errore sperimentale totale diminuisce all'aumentare di
z.
In pi, analizzando i valori appartenenti alla seconda tabella (3.2) e interessan-
te notare come mentre gli approcci teorici basati sul modello a plasma, quello ad
impedenza e sulla teoria di Lifshitz si accordano con i dati sperimentali in maniera
piuttosto soddisfacente, il modello di Drude sia invece totalmente inadatto a dare
una spiegazione della Forza Casimir.

38
Tabella 3.2: Nella tabella sono contenuti i valori delle grandezze, relative ai due espe-
rimenti, che permettono di ottenere un idea dell'accordo tra dati teorici
e sperimentali. Nelle colonne a)e contenuto l'errore assoluto (in pN) di
(F th F exp ) al 95% di condenza, mentre nella b) si sono raccolti i valo-
ri della stessa grandezza ma al 99% di condenza. Le colonne c), d) e f)
contengono il valore medio(in mPa) di (P th P exp ) ottenuto attraverso tre
approcci dierenti: il modello ad impedenza (c), il modello a plasma con T
= 300 K (d) e il modello di Drude(f). Nelle colonne e) sono tabulati i valori
della stessa grandezza di c), d) e f), ma ottenuti con la formula di Lifshitz
a T=0 K nella quale vengono usati gli "optical data" .

Decca et al. Chen et al.


z(nm)
(a) (b) (c) (d) (e) (f) (a) (e)
62.33 15.2 0.5
70 10.4 3.0
80 7.1 3.6
90 5.4 1.0
100 4.5 2.0
120 3.9 0.15
140 3.8 0.02
170 17.2 39.8 2.01 13.0 3.87 18.8 3.7 0.82
180 13.4 31.0 0.74 7.54 1.24 14.4 3.7 0.48
200 8.59 19.8 1.21 5.3 0.63 11.0 3.7 0.31
250 3.34 7.72 0.31 1.3 0.93 7.09 3.7 0.84
300 1.59 3.67 0.34 0.6 1.12 5.07 3.7 0.46
350 0.89 2.06 0.38 0.39 0.80 3.58 3.7 0.27
400 0.63 1, 46 0.28 0.20 0.68 2.59
500 0.49 1, 13 0.11 0.05 0.32 1.37
600 0.46 1.06 0.08 0.04 0.17 0.82
700 0.46 1.06 0.02 0.01 0.08 0.51

Citando l'articolo scritto da G.Klimchitskaya e V.Mostepanenko4 :


The uselessness of the Drude model for the Casimir eect then beco-
mes clear because this model is the self-consistent solution of Maxwell
equations with the real current of conduction electrons. This current is
created through the incidence on the conductor of a real electromagnetic
eld. It also involves the electric resistance and heating of a metal, a
phenomenon which cannot be caused by the zero-point, vacuum oscilla-
tions. On the contrary, in the infrared, frequencies are so high that they
cannot cause real current (in this region electric current is pure imagi-
nary). This is the reason why the plasma model is well adapted for use
in the theory of the Casimir eect.
Da quanto detto, si giunge ad alcune conclusioni riassuntive:
4 G.L. Klimchitskaya e V. M. Mostepanenko, Experiment and theory in the Casimir eect,19
Settembre 2006, pp.6

39
Si pu costruire un nuovo metodo per l'elaborazione dei dati e il confronto
con la teoria per gli esperimenti riguardanti l'Eetto Casimir, sulla base dei
risultati rigorosi della statistica matematica, senza la necessit di usare la "root
mean square deviation".
La caratteristica distintiva di questo metodo e la possibilit di determina-
re indipendentemente l'errore sperimentale totale e quello teorico per valori
misurati con una percentuale di condenza predenita.
Il metodo sviluppato, applicato a due recenti esperimenti che misurano la pres-
sione Casimir e la forza in diverse congurazioni, e da denirsi conservativo,
e permette di evitare la sottostima degli errori e delle incertezze.
Si e dimostrato che l'approccio teorico al fenomeno della Forza Casimir non
pu essere realizzato attraverso il modello di Drude, mentre gli altri modelli
cosiderati portano a risultati teorici consistenti con i valori sperimentali.
I tentativi di misura della Forza di Casimir sono in continua crescita ed evolu-
zione. La prospettiva e quella di riuscire a vericare il fenomeno a distanze ancora
inferiori, con strumenti di maggiore precisione, cercando anche di valutare e limitare
i fattori di non idealit.

3.4 Applicazioni
Fin dal momento della sua formulazione l'Eetto Casimir rappresent un punto di
svolta per molteplici campi della sica.
In particolare, la possibilit di poter osservare l'eetto delle uttuazioni quanti-
stiche dello stato di vuoto del campo elettromagnetico si rivel importante sia nel
campo dello sviluppo di nanosistemi, ma in generale per tutta la sperimentazione ri-
guardante la sica della materia, sia per quanto concerne il campo della ricerca delle
interazioni fondamentali e, in tempi pi recenti, la possibilit di poter sfruttare la
forza Casimir per elaborare nuovi modelli oltre quello Standard, e quindi permettere
lo sviluppo di una "Nuova Fisica".
Recentemente, con il progressivo diminuire delle dimensioni dei dispositivi tec-
nologici, no all'ordine dei nanometri, si e resa necessaria una sempre pi attiva
ricerca riguardante l'Eetto Casimir e le forze di Van der Waals, in modo da poter
migliorarne la produzione e garantire alti livelli prestazionali.
A separazioni sotto qualche decina di nanometri la forza di Casimir domina su
altre forze. Di conseguenza componenti mobili, inseriti in strutture le cui dimen-
sioni sono inferiori alle decine di nanometri, sono soggetti a fenomeni di adesione
permanente, che prendono il nome di fenomeni di "stiction". Quindi sarebbe ideale
riuscire a sviluppare sistemi nei quali l'Eetto Casimir fosse soppresso.
Questo obiettivo pu essere raggiunto se si considera che la forza Casimir in
strutture straticate e in volumi chiusi pu essere non solo attrattiva, come predetta
originariamente, ma anche repulsiva; dunque sarebbe possibile, per dispositivi con
tali caratteristiche, ottenere l'equilibrio tra i contributi di attrazione e repulsione,
sviluppando sistemi a interazione Casimir nulla.

40
Nonostante sembri che la presenza dell'Eetto Casimir all'interno dei nanosi-
stemi, con il conseguente fenomeno di adesione, sia da considerarsi essenzialmente
dannoso, questo pu essere sfruttato anche in modo vantaggioso per la realizzazione
di meccanismi innovativi. Un sistema di questo tipo, inizialmente solo teorizzato, fu
successivamente realizzato sperimentalmente attraverso l'uso di una sfera rivestita
d'oro, sospesa al di sopra di una delle estremit di una lastra di polisilicio fortemente
drogato, capace di ruotare intorno al proprio asse. Variando la posizione della sfera
e quindi denendo una Forza di Casimir pi o meno intensa agente sulla lastra,
si riusciva a variare l'inclinazione di quest'ultima rispetto l'asse centrale. Cos fu
possibile realizzare il primo dispositivo micromeccanico azionato dalla forza Casimir.
Un'altra importante applicazione, riguardante la sica dei materiali, delle forze di
Van der Waals e di Casimir e collegata alle interazioni tra superci metalliche e ato-
mi, che ha attirato molta attenzione negli ultimi anni in connessione agli esperimenti
sulla riessione quantistica degli atomi ultrafreddi.
In particolare, osservare gli eetti della mutua azione tra atomi e superce me-
tallica diviene molto interessante nel caso in cui ad interagire sia un atomo con un
nanotubo di carbonio, che pu essere modellizzato attraverso un guscio di grate
cilindrica contenente strati esagonali concentrici. L'interesse a questo particolare
sistema deriva dal fatto che l'uso dei nanotubi di carbonio a parete singola permet-
tono lo "stoccaggio" dell' idrogeno, problema chiave nell'industria energetica, che
rappresenta una valida alternativa all'uso del petrolio. Per questo motivo, qualsiasi
nuovo meccanismo di stoccaggio dell'idrogeno sarebbe di grande importanza.
Come e stato detto all'inizio di questo paragrafo, non solo la ricerca in am-
bito della sica dei materiali ma anche altri campi di ricerca si interessarono ai
possibili risvolti derivanti dalla considerazione dell'Eetto Casimir; tra questi acqui-
stano particolare rilievo gli sviluppi che si sono ottenuti nella sica delle interazioni
fondamentali e in cosmologia.
E noto che la sica moderna si basa sulla considerazione di quattro forze fonda-
mentali: elettromagnetica, debole, forte e gravitazionale; la cui natura e descritta
rispettivamente attraverso le Equazioni di Maxwell, la teoria GSW, la cromodina-
mica quantistica e la teoria della relativit generale. Esiste poi il Modello Standard
che si propone di unicare tre delle quattro forze: elettromagnetica, debole e forte;
tuttavia la sua veridicit sarebbe da vericarsi a scale di energia non ancora raggiun-
te, e questo limite inibisce anche la possibilit di denire un modello che permetta
di inglobare la forza gravitazionale.
Nonostate sperimentalmente non si possano ancora ottenere risultati, la ricerca
teorica relativa alla denizione di un modello di "unicazione totale" e in continua
evoluzione.
Molte estensioni del Modello Standard, tra cui la supergravit e la teoria delle
stringhe, fanno uso dell'idea che la vera dimensionalit dello spazio-tempo sia supe-
riore a quattro. Si suppone che le dimensioni spaziali aggiuntive siano compattate ad
una certa scala di lunghezza, che dovrebbe essere all'incirca dell'ordine di 1033 cm,
in modo che non inuenzi la "vita macroscopica". A questa corrisponde una scala
di energia, che rappresenta l'ordine di grandezza a cui le quattro forze fondamentali
si unicano, pari a 1019 GeV.
Da quanto detto, si potrebbe pensare di sfruttare esperimenti e misurazioni re-

41
lative all'Eetto Casimir come prove dell' esistenza di un modello nuovo per le
interazioni fondamentali che vada oltre il Modello Standard.

42
Conclusioni
Il lavoro svolto ha permesso di arontare, sia dal punto di vista teorico che da quello
sperimentale, uno dei fenomeni quantistici pi all'avanguardia.
Si e visto che l'Eetto Casimir appartiene a quel ristrettissimo gruppo di fe-
nomeni che non hanno un corrispondente classico, e che sono evidenti nel mon-
do macroscopico nonostante la loro natura tragga origine da interazioni su scale
miscroscopiche.
Bench la fenomenologia dell' eetto risulti piuttosto semplice, e risulato molto
laborioso,a livello analitico, giungere alla sua formulazione; partendo dalle equazioni
di Maxwell e dalla loro risoluzione in una cavit si e poi proceduto alla quantiz-
zazione della soluzione, e quindi del campo elettromagnetico, associando ad ogni
grandezza classica il rispettivo operatore quantistico. Dalla quantizzazione della ra-
diazione e stato poi derivato quello che e probabilmente il risultato pi interessante
riguardante un campo elettromagnetico quantistico; infatti, nonostante il suo valore
medio sugli stati stazionari risulti nullo, cos non risultano n il suo modulo qua-
dro n lo scarto quadratico medio; essendo questo risultato provocato dal principio
d'indeterminazione e valido per tutti gli stati stazionari, si e potuto aermare che
all' interno dello stato di vuoto sono presenti un numero innito di fotoni virtuali, e
quindi a questo stato compete energia innita pari alla somma dell energie di punto
zero degli inniti modi di campo.
Attraverso questa interpretazione dello stato di vuoto e seguendo la dimostra-
zione originale dello stesso Casimir si e pervenuti alla formulazione della forza
attrattiva.
Per quanto riguarda la parte sperimentale, si e sottolineato come l'apparato
originale fosse estremamente complesso da realizzare in laboratorio e quindi le prime
prove dell'esistenza dell'Eetto furono ottenute, attraverso strutture dierenti, solo
molti anni dopo la formulazione teorica. Nei primi anni del 2000 si e poi riuscito
ad ottenere, con una percentuale di errore accetabile, la prova dell' esistenza della
forza Casimir anche nella struttura formata attraverso due lastre piane e parallele.
La ricerca sperimentale e teorica attorno all'Eetto Casimir e all'energia di vuoto
ore ancora ampie possibilit di ricerca e sviluppo, dato che sono ancora molti i
problemi irrisolti riguardanti le uttuazioni quantistiche e vasti e numerosi i campi
in cui possono essere applicate.

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Ringraziamenti

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