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Il comma 1 bis si presta a gravi e pericolosi equivoci. Dire, come tante volte si è fat-
to, che l’amministrazione utilizza gli strumenti del diritto privato ha un senso preciso:
persegue fini pubblici, ma gode di elasticità nelle forme. L’accordo sostitutivo di
provvedimento, di cui all’art. 11, è un tipico esempio di questo impiego di strumenti
alternativi. Si pensi anche alla cessione volontaria del bene da espropriare. Ma dispor-
re in una legge che l’amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa,
agisce secondo le norme del diritto privato ha un significato completamente diverso:
significa che essa è svincolata dalla regola dell’interesse pubblico e che persegue vice-
versa interessi propri, alla stregua di qualsiasi privato.
È facile replicare che, nella pratica, nessuno interpreterà così l’art. 1. È possibile. Ma
se così è, quale motivo c’era di scrivere una cosa del genere?
E chi sono poi i “soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa”?
Sono le persone fisiche, pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, o sono gli
organismi in capo ai quali si può cogliere un profilo di esercizio di attività ammini-
strativa, quali ad es. gli organismi di diritto pubblico ed i concessionari? Siccome i
principi che detta l’art. 1, 1° comma, sembrano essere molto impegnativi e possono
suscitare la curiosità di molti in ordine al loro rispetto, una maggior precisione sareb-
be stata auspicabile.
Questo trascorrere da una mera esposizione di puri concetti, prima facie innocente, a
pericolosi precetti su essi fondati continua nei commi successivi. Si insegnava a scuola
che i provvedimenti amministrativi sono esecutori ed esecutivi. Puntualissimo, l’art.
21 ter ci dice che nei casi e con le modalità previste dalla legge le pubbliche ammini-
strazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro con-
fronti. Così è sistemata l’esecutorietà. Ma l’art. 21 quater, impegnato con il concetto di
esecutività, ci dice che i provvedimenti “efficaci” sono eseguiti immediatamente e che
l’efficacia o l’esecuzione del provvedimento può essere sospesa dallo stesso organo
che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge. Da che cosa nasce questo: da
un ricorso in opposizione? Da un’istanza di parte? Da una iniziativa di ufficio? Pru-
dentemente e pericolosamente la legge tace.
Dopo una breve lezione sulla revoca del provvedimento e sul recesso dai contratti,
la legge affronta la nullità del provvedimento (art. 21 septies), la sua annullabilità (art.
21 octies) ed infine l’annullamento d’ufficio (art. 21 nonies).
Come è palese, le prime due ipotesi di nullità sono riprese da qualche manuale,
mentre la terza è tratta dalla giurisprudenza. Il problema è che la legge non dice quali
siano gli elementi essenziali di un provvedimento, né che cosa significhi “difetto asso-
luto di attribuzione”. Quale è l’oggetto dell’attribuzione? Il potere in assoluto o la
competenza? E che cosa succede nei rapporti tra Stato e regioni, tra regioni e comuni?
Questo è il primo aspetto del problema. Il secondo riguarda le conseguenze della nul-
lità. I provvedimenti in odore di nullità vanno impugnati di fronte al TAR? O la nulli-
tà deve essere accertata dal giudice ordinario? Ma se la nullità investe un provvedi-
mento, atto di esercizio del potere, non sarebbe più corretto ritenere che i provvedi-
menti “nulli” devono essere disapplicati da chi ne viene leso?
Il disordine è profondo. Gli atti vincolati non possono essere annullati quando sia
palese che il loro contenuto non poteva esser altro che quello avuto; per gli atti discre-
zionali non ha rilevanza la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento –
cioè niente meno che la mancata instaurazione del contraddittorio! – se l’ amministra-
zione dimostra in giudizio che il loro contenuto non poteva essere diverso da quello in
concreto avuto. Che cosa significa “qualora sia palese”? Palese a chi? Gli atti vincolati
difficilmente ricadono nella giurisdizione amministrativa; chi altro li annulla? La stes-
sa amministrazione? E se anche si dimostrasse in giudizio che altro provvedimento
non si sarebbe potuto assumere, è forse questo motivo sufficiente per consentire
all’amministrazione di ignorare una delle disposizioni più importanti di tutto il dirit-
to pubblico, quella che garantisce il diritto di difesa in sede di formazione delle valu-
tazioni discrezionali, prima dell’adozione del provvedimento?
Quali criteri abbiano guidato il legislatore non è dato capire. Visto però che il capo
IV della legge si conclude con l’annullamento d’ufficio, è lecito sperare che il Parla-
mento eserciti questo potere nei confronti della legge di cui si parla. Insomma, che la
abroghi quanto prima.