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FILIPPO SATTA

(Ordinario di diritto amministrativo nella Facoltà di giurisprudenza dell’Università


degli Studi di Roma “La Sapienza”)

LA RIFORMA DELLA LEGGE 241/90: DUBBI E PERPLESSITÀ

La recentissima legge che ha approvato modifiche ed integrazioni alla legge sul


procedimento, n. 241/1990, ha una struttura singolare. Per molti aspetti si perde in
questioni di dettaglio, dettando certamente norme molto precise in alcune materie
(conferenza di servizi ed accesso), di cui, per altro, forse non vi era necessità. In essa
però appaiono alcuni enunciati che suscitano turbamento. Si consideri anzitutto l’art.
1. Dopo la proposizione di principio generale (ed ovvia) che l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficacia,
trasparenza, al comma 1 bis, oggi introdotto, la legge dispone che la pubblica ammi-
nistrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme
del diritto privato, salvo che la legge non disponga altrimenti. Il successivo comma 1
ter dice poi che i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assi-
curano il rispetto dei principi di cui al primo comma: vale a dire, perseguire i fini de-
terminati dalla legge, seguire criteri di efficacia, pubblicità e trasparenza.

Il comma 1 bis si presta a gravi e pericolosi equivoci. Dire, come tante volte si è fat-
to, che l’amministrazione utilizza gli strumenti del diritto privato ha un senso preciso:
persegue fini pubblici, ma gode di elasticità nelle forme. L’accordo sostitutivo di
provvedimento, di cui all’art. 11, è un tipico esempio di questo impiego di strumenti
alternativi. Si pensi anche alla cessione volontaria del bene da espropriare. Ma dispor-
re in una legge che l’amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa,
agisce secondo le norme del diritto privato ha un significato completamente diverso:
significa che essa è svincolata dalla regola dell’interesse pubblico e che persegue vice-
versa interessi propri, alla stregua di qualsiasi privato.

È facile replicare che, nella pratica, nessuno interpreterà così l’art. 1. È possibile. Ma
se così è, quale motivo c’era di scrivere una cosa del genere?
E chi sono poi i “soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa”?
Sono le persone fisiche, pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio, o sono gli
organismi in capo ai quali si può cogliere un profilo di esercizio di attività ammini-
strativa, quali ad es. gli organismi di diritto pubblico ed i concessionari? Siccome i
principi che detta l’art. 1, 1° comma, sembrano essere molto impegnativi e possono
suscitare la curiosità di molti in ordine al loro rispetto, una maggior precisione sareb-
be stata auspicabile.

Ma le norme più singolari ed in qualche punto inquietanti sono quelle introdotte


nel capo IV bis (artt. da 21 bis a 21 nonies). Per certi aspetti si può dire che siamo in
presenza di una specie di sillabario del diritto amministrativo, redatto in forma di
legge: si introducono concetti e se ne traggono precetti. Così, ad es., si legge che i
provvedimenti limitativi della sfera giuridica altrui acquistano efficacia nei confronti
di ciascun destinatario con la comunicazione. Questo è ovvio. Si introducono però
due eccezioni: il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati, che non
abbia carattere sanzionatorio, può contenere una motivata clausola di immediata efficacia;
sono immediatamente efficaci i provvedimenti cautelari ed urgenti. A prescindere dal
fatto che si confonde tra capacità di produrre effetti giuridici (l’efficacia) e decorrenza
di tali effetti (come può un atto incapace di produrre effetti giuridici avere la capacità
di attribuirsela?), si attribuisce all’amministrazione un pericoloso potere di autoattri-
buire “efficacia immediata” ai propri atti, senza che gli interessati ne sappiano nulla.

Questo trascorrere da una mera esposizione di puri concetti, prima facie innocente, a
pericolosi precetti su essi fondati continua nei commi successivi. Si insegnava a scuola
che i provvedimenti amministrativi sono esecutori ed esecutivi. Puntualissimo, l’art.
21 ter ci dice che nei casi e con le modalità previste dalla legge le pubbliche ammini-
strazioni possono imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nei loro con-
fronti. Così è sistemata l’esecutorietà. Ma l’art. 21 quater, impegnato con il concetto di
esecutività, ci dice che i provvedimenti “efficaci” sono eseguiti immediatamente e che
l’efficacia o l’esecuzione del provvedimento può essere sospesa dallo stesso organo
che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge. Da che cosa nasce questo: da
un ricorso in opposizione? Da un’istanza di parte? Da una iniziativa di ufficio? Pru-
dentemente e pericolosamente la legge tace.
Dopo una breve lezione sulla revoca del provvedimento e sul recesso dai contratti,
la legge affronta la nullità del provvedimento (art. 21 septies), la sua annullabilità (art.
21 octies) ed infine l’annullamento d’ufficio (art. 21 nonies).

a) La nullità. Essa viene legislativamente definita così: “è nullo il provvedimento


amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto
di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato...”

Come è palese, le prime due ipotesi di nullità sono riprese da qualche manuale,
mentre la terza è tratta dalla giurisprudenza. Il problema è che la legge non dice quali
siano gli elementi essenziali di un provvedimento, né che cosa significhi “difetto asso-
luto di attribuzione”. Quale è l’oggetto dell’attribuzione? Il potere in assoluto o la
competenza? E che cosa succede nei rapporti tra Stato e regioni, tra regioni e comuni?
Questo è il primo aspetto del problema. Il secondo riguarda le conseguenze della nul-
lità. I provvedimenti in odore di nullità vanno impugnati di fronte al TAR? O la nulli-
tà deve essere accertata dal giudice ordinario? Ma se la nullità investe un provvedi-
mento, atto di esercizio del potere, non sarebbe più corretto ritenere che i provvedi-
menti “nulli” devono essere disapplicati da chi ne viene leso?

Il secondo comma dell’articolo precisa poi che le questioni di nullità dipendenti


dalla violazione o dall’elusione del giudicato sono devolute alla giurisdizione esclusi-
va. Questa è una disposizione gravissima, la cui portata è chiaramente sfuggita al le-
gislatore. Se i provvedimenti sono nulli quando violano o eludono il giudicato, e de-
annullabile, la legge non si fosse preoccupata di chiarire quando non lo è. Si apprende
così che dalla data della sua entrata in vigore in Italia vigerà un nuovo principio di
legalità. Dispone infatti la legge che i provvedimenti non possono essere annullati per
violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, “quando per la natura
vincolata del provvedimento sia palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso
da quello in concreto adottato”. Non solo: il provvedimento non può comunque essere
annullato “per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’ amministra-
zione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diver-
so da quello in concreto adottato”.

Il disordine è profondo. Gli atti vincolati non possono essere annullati quando sia
palese che il loro contenuto non poteva esser altro che quello avuto; per gli atti discre-
zionali non ha rilevanza la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento –
cioè niente meno che la mancata instaurazione del contraddittorio! – se l’ amministra-
zione dimostra in giudizio che il loro contenuto non poteva essere diverso da quello in
concreto avuto. Che cosa significa “qualora sia palese”? Palese a chi? Gli atti vincolati
difficilmente ricadono nella giurisdizione amministrativa; chi altro li annulla? La stes-
sa amministrazione? E se anche si dimostrasse in giudizio che altro provvedimento
non si sarebbe potuto assumere, è forse questo motivo sufficiente per consentire
all’amministrazione di ignorare una delle disposizioni più importanti di tutto il dirit-
to pubblico, quella che garantisce il diritto di difesa in sede di formazione delle valu-
tazioni discrezionali, prima dell’adozione del provvedimento?

c) L’annullamento d’ufficio. Si è detto qui sopra dell’art. 21 octies: il provvedimento


non è annullabile per vizi di forma e addirittura per mancata comunicazione dell’ av-
vio del procedimento se si dimostra che il suo contenuto non poteva essere diverso da
quello concretamente avuto. Ebbene con l’art. 21 nonies si supera ogni fantasia: si di-
spone che quei provvedimenti, illegittimi, ma non annullabili ex art. 21 octies perché
affetti solo da vizi di forma... possono essere annullati d’ufficio per ragioni di interes-
se pubblico, salva convalida. Sì, la legge dispone così.

Quali criteri abbiano guidato il legislatore non è dato capire. Visto però che il capo
IV della legge si conclude con l’annullamento d’ufficio, è lecito sperare che il Parla-
mento eserciti questo potere nei confronti della legge di cui si parla. Insomma, che la
abroghi quanto prima.

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