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Dott.

Filippo Falzoni Gallerani


filippo.falzoni@fastwebnet.it
www.filippofalzoni.com

EGO

tratto da: "Il Tao della filosofia" di Alan Watts, Red Edizioni

Credo che, se siamo onesti con noi stessi, il problema pi affascinante che ci possiamo porre : "Chi sono
io?" Che cosa intendiamo e che cosa sentiamo quando diciamo la parola "io"? Non penso che vi possa essere
una percezione pi seducente di questa, cos inafferrabile e nascosta. Ci che sei nell'intimo del tuo essere
sfugge all'osservazione allo stesso modo in cui non puoi guardarti direttamente negli occhi senza servirti di
uno specchio. Ecco perch esiste sempre un elemento di profondo mistero nella domanda: "Chi siamo noi?"
Questo interrogativo mi ha attirato per diversi anni. Ho chiesto a molte persone: "Che cosa intendi con la
parola io?" Ho visto che esiste un certo accordo sulla risposta, soprattutto fra la gente della civilt
occidentale: abbiamo, secondo la mia definizione, una concezione di noi stessi in quanto "ego incapsulati
nella pelle". La maggior parte di noi percepisce l'io (l'ego, il mio s, la fonte della mia coscienza) come un
centro di consapevolezza e una sorgente di azioni che risiedono nel mezzo di una borsa di pelle. curioso
come usiamo la parola io. In un discorso comune non siamo abituati a dire: "Io sono un corpo". Diciamo
piuttosto: "Io ho un corpo". Non affermiamo: "Io batto il mio cuore", cos come enunciamo invece: "Io
cammino, io penso, io parlo". Sentiamo che il cuore batte da solo e che non ha niente a che fare con l'io. In
altre parole, non consideriamo l'io "me" come coincidente con il nostro organismo fisico. Riteniamo che sia
qualcosa al suo interno: la maggior parte degli occidentali colloca l'io dentro la testa, da qualche parte tra gli
occhi e le orecchie, mentre tutto il resto di noi penzola da quel punto di riferimento. In altre culture non
cos.
Quando un giapponese o un cinese vogliono localizzare il centro di s, il primo lo chiama kokoro e il
secondo lo definisce shin: cuore-mente. Alcune persone situano il proprio s nel plesso solare, ma in generale
lo immaginiamo dietro agli occhi e da qualche parte tra le orecchie. come se all'interno della zona
superiore del cranio ci fosse una specie di centrale che somiglia al quartier generale dell'Aeronautica a
Denver, dove gli addetti siedono in grandi locali, circondati da schermi radar e da ogni sorta di monitor, e
controllano i movimenti degli aerei in tutto il mondo. In ugual modo, noi concepiamo noi stessi come una
piccola persona all'interno della nostra testa, che indossa una cuffia di ascolto per captare i messaggi dalle
orecchie, che ha un televisore davanti a s per ricevere i messaggi dagli occhi e che coperta sul corpo da
elettrodi di ogni tipo che le inviano messaggi dalle mani e cos via. Questa persona si trova dietro un
pannello pieno di pulsanti, quadranti, eccetera, e in tal modo riesce, pi o meno, a controllare il corpo. Non
per il corpo, perch "io" sovrintendo solo a quelle che vengono chiamate le azioni volontarie, mentre le
cosiddette azioni involontarie mi succedono. Vengo comandato a bacchetta da queste ultime, anche se posso
impartire, fino a un certo punto, ordini al mio corpo. Questa , secondo la conclusione a cui sono arrivato,
l'ordinaria concezione dell'uomo moderno di ci che il proprio s.
Osserviamo come i bambini, influenzati dal nostro ambiente culturale, ci chiedono: "Mamma, chi sarei se
pap fosse stato un altro uomo?" Dalla nostra cultura il bambino prende l'idea che padre e madre gli hanno
dato un corpo dentro il quale, a un certo momento, stato infilato (il fatto che sia stato concepito o partorito
un po' vago). Comunque, in tutto il nostro modo di pensare c' l'idea che siamo un'anima, una qualche
essenza spirituale, imprigionata dentro un corpo. Guardiamo fuori, in un mondo che ci estraneo e sentiamo,
per usare le parole del poeta A.E. Housman: "Io, uno straniero che ha paura di vivere in un mondo non fatto
da me". Di conseguenza parliamo del dovere di confrontarci con la realt, di fronteggiare gli eventi. Diciamo
di essere venuti in questo mondo e siamo allevati con la sensazione di essere un'isola di consapevolezza
rinchiusa in un sacco di pelle. All'esterno vediamo una realt che ci profondamente aliena, nel senso che
ci che al di fuori di "me" non me. Questo fatto crea una fondamentale sensazione di ostilit e di distacco
tra noi e il cosiddetto mondo esterno. Quindi continuiamo a parlare di conquista della natura, di conquista
dello spazio e vediamo noi stessi come se fossimo schierati in battaglia per opporci a tutto quanto
rappresenta l'altro da me. Parler pi estesamente di questo argomento nel prossimo capitolo, mentre qui
voglio esaminare la strana sensazione di essere un s isolato. Dunque, assolutamente assurdo dire che
siamo entrati in questo mondo. Non cos: in effetti ne siamo usciti! Che cosa credete di essere? Facciamo
un esempio: supponete che il mondo sia un albero. Siete per caso una foglia dei sui rami o uno stormo di
uccelli arrivati da qualche parte che si stabilito sopra un vecchio albero morto? Ogni cosa che conosciamo
sugli organismi viventi, dal punto di vista scientifico, ci mostra che "cresciamo fuori" da questo mondo, che
ciascuno di noi ci che si potrebbe definire un sintomo dello stato dell'universo nella sua globalit.
Tuttavia, questo pensiero non fa parte del nostro senso comune.
Per molti secoli l'uomo occidentale stato sotto l'influenza di due grandi miti. Quando uso il termine "mito"
non intendo necessariamente dire "falso". La parola mito richiama una grande idea nel cui ambito l'uomo
cerca di trovare il significato del mondo; pu essere un concetto, oppure un'immagine. La prima delle due
immagini che hanno profondamente influenzato l'Occidente quella del mondo come "prodotto", pi o meno
come una brocca fatta da un vasaio. E, infatti, nel Libro della Genesi c' l'idea che originariamente l'uomo
era una figura di terra fabbricata da Dio, che poi alit sopra di essa dandole la vita. Tutto il pensiero
dell'Occidente profondamente influenzato dall'idea che ogni cosa (ogni evento, ogni essere umano, ogni
montagna, ogni stella, ogni fiore, ogni cavalletta, ogni verme) un , "prodotto": stata fabbricata. Pertanto,
naturale per un bambino occidentale chiedere alla madre: "Come sono stato fatto?". Al contrario, questa
sarebbe una domanda anomala per un bambino cinese, perch i cinesi non credono che la natura sia un
insieme di oggetti fabbricati. La considerano come qualcosa che cresce, e i due processi sono ben diversi.
Quando costruite un oggetto, assemblate le varie parti, oppure scolpite una immagine in un pezzo di legno o
in una pietra, lavorando dall'esterno verso l'interno. Invece l'osservazione di qualcosa che cresce
completamente differente. Non si assemblano parti. Ci che cresce si espande dall'interno e gradualmente si
complica, estendendosi verso l'esterno, come una gemma che fiorisce o un seme che diventa una pianta.
Tuttavia, dietro tutto il nostro processo di pensiero occidentale c' l'idea che il mondo sia un manufatto,
messo insieme da un architetto celeste, un falegname, un artista che, proprio perch lo ha costruito, sa come
fatto. Quando ero ragazzino ponevo a mia madre molte domande a cui la poverina non era in grado di
rispondere. Allora si rifugiava nella disperazione, dicendomi: "Mio caro, ci sono cose che non ci dato di
conoscere". E io ribattevo: "Ma un giorno troveremo la risposta?". "S," mi spiegava, "quando moriremo e
andremo in cielo ci sar tutto chiaro." Cos, ero convinto che durante i pomeriggi piovosi, in paradiso, ci
saremmo tutti seduti attorno al Trono di Grazia e avremmo detto al Signore: "Allora, spiegaci finalmente
perch hai creato il mondo in questo modo e come sei riuscito a fare quest'altra cosa" ed Egli avrebbe
chiarito e reso tutto comprensibile. Ogni interrogativo avrebbe avuto una risposta perch, come abbiamo
imparato dalla teologia popolare, Dio la grande mente onnisciente. Se chiedeste al Signore l'altezza esatta
del Mount Whitney, fino all'ultimo millimetro, Egli naturalmente lo saprebbe e ve lo direbbe. Potreste
rivolgergli qualsiasi domanda, perch Egli l'Enciclopedia Britannica cosmica. Tuttavia, questa particolare
immagine (o mito) diventata troppo pesante per l'uomo occidentale: opprimente pensare che si sa tutto di
te e che sei perennemente osservato da un giudice infinitamente giusto. Ho un'amica, una cattolica
convertita, molto illuminata: nella stanza da bagno di casa sua ha un gabinetto vecchio stile e sul tubo che
connette lo sciacquone con la tazza del gabinetto appeso un piccolo dipinto incorniciato, che rappresenta un
occhio. Sotto, in lettere gotiche, scritto: "Dio ti vede". Questo occhio dappertutto e guarda, guarda,
guarda, giudicandovi e voi sentite in ogni momento che non siete mai veramente soli. Il vecchio gentiluomo
vi sta osservando e sta prendendo appunti nel suo libro nero: un concetto simile diventato insopportabile
per l'Occidente. Abbiamo dovuto liberarcene. Cos, al suo posto, abbiamo sviluppato un altro mito: quello
dell'universo puramente meccanico. Questo mito stato inventato alla fine del XVIII secolo ed diventato
sempre pi di moda durante il XIX e buona parte del XX secolo, di modo che oggi un luogo comune. Oggi
poche persone credono veramente in un Dio vecchio stile. Dicono di farlo, ma anche se sperano davvero che
esista un Dio, non hanno realmente fede in Lui. Desiderano con fervore che ci sia e sentono il dovere di
credere, ma l'idea dell'universo governato da quel meraviglioso vecchio gentiluomo non pi plausibile. Non
che ognuno di noi lo confuti; semplicemente non pi in accordo con la nostra conoscenza della smisurata
immensit delle galassie e delle infinite distanze di anni luce che separano le une dalle altre.
invece diventato di moda, e non altro che una moda, credere che l'universo sia ottuso e che l'intelligenza,
i valori, l'amore e i sentimenti pi delicati risiedano unicamente nella borsa di epidermide umana; e che oltre
a questo esista soltanto una specie di interazione caotica e stupida di forze cieche. Per esempio, grazie a
Sigmund Freud abbiamo imparato il concetto che la vita biologica basata su qualcosa chiamata libido, una
parola molto insidiosa. Tale libidine cieca, spietata, incapace di comprensione, vista come il fondamento
dell'inconscio umano e i pensatori del XIX secolo come Georg WF Hegel, Charles Darwin e Thomas H.
Huxley erano convinti che alla radice dell'essere vi fosse un'energia e che questa energia fosse cieca.
L'energia, dicevamo, semplicemente energia, completamente e assolutamente stupida, e la nostra
intelligenza uno sfortunato incidente. Per qualche strambo capriccio dell'evoluzione siamo diventati questi
esseri sensibili e razionali (o, per meglio dire, pi o meno razionali); ma tutto ci un terribile errore perch
ci troviamo in un universo che non ha nulla in comune con noi. Non condivide i nostri sentimenti, non
veramente interessato a noi: siamo soltanto una specie di colpo di fortuna cosmico. Ne consegue che l'unica
speranza per l'umanit costringere questo universo irrazionale alla sottomissione, conquistarlo e dominarlo.
Naturalmente, l'intero discorso e una perfetta idiozia. Se pensate che l'universo sia stato creato da un
gentiluomo vecchio e bonario, vi accorgerete ben presto che Egli non cos bonario e che ha un
atteggiamento che indurrebbe a pensare: "Questo far pi male a me di quanto ne far a te". Potete, certo,
avere tale idea, ma se questa nozione dovesse diventarvi scomoda, potete cambiarla con l'altro concetto a
vostra disposizione, il concetto opposto: vale a dire che l'ultima realt non possiede intelligenza alcuna.
Almeno un'impostazione del genere ci aiuterebbe a sbarazzarci del vecchio spauracchio lass nel cielo, in
cambio per dell'immagine di un mondo totalmente stupido.
Naturalmente, simili teorie non hanno veramente senso, perch non possibile arrivare a un organismo
intelligente, come l'essere umano, partendo da un universo non intelligente. Non pu esistere un organismo
intelligente che vive in un ambiente non intelligente. C' un albero in giardino e ogni estate produce mele; lo
chiamiamo melo, perch l'albero fa le mele. C' un sistema solare all'interno di una galassia e una delle sue
peculiarit che (perlomeno per quanto riguarda il pianeta Terra) "produce" esseri umani, proprio come
l'albero "fabbrica" le mele. Forse, due milioni di anni fa, dentro un disco volante arrivato qualcuno da
un'altra galassia, ha visto questo sistema solare, ha alzato le spalle e ha detto: " solo un ammasso di rocce",
ed ripartito. Pi tardi, due milioni di anni dopo, ritornato, ha guardato di nuovo e ha detto: "Scusatemi,
credevo che fosse soltanto un ammasso di rocce, ma in realt popolato, vivo: ha fatto qualcosa di
intelligente". L'uomo cresce in questo mondo esattamente come le mele crescono sul melo: se l'evoluzione
ha un significato, il significato proprio questo. Ma noi, curiosamente, lo distorciamo. Diciamo: "D'accordo,
all'inizio non c'era altro che gas e roccia. Poi capitato che vi sorgesse l'intelligenza, come una specie di
fungo o poltiglia che si posata sopra al tutto". Ma questo modo di pensare separa l'intelligenza dalle rocce.
Dove ci sono le rocce bisogna stare attenti, perch un giorno diventeranno vive e saranno brulicanti di esseri.
solo una questione di tempo, proprio come la ghianda un giorno diventer una quercia perch ne ha
intrinsecamente la potenzialit. Quindi state attenti: le rocce non sono senza vita.
Dipende dal tipo di atteggiamento che scegliete di avere nei confronti del mondo. Se lo volete umiliare,
potete dire: "Fondamentalmente soltanto un po' di geologia, un po' di stupidit bell'e buona, su cui appare,
per caso, una specie di fenomeno che noi chiamiamo coscienza". Questo un atteggiamento che possiamo
assumere quando vogliamo provare agli altri che siamo tipi tosti, concreti, che guardiamo in faccia ai fatti,
che non indugiamo nelle illusioni. In realt stiamo semplicemente impersonando un ruolo e ce ne dobbiamo
rendere conto: si tratta di mode intellettuali. D'altro canto, se provate amore per l'universo, lo elevate invece
di umiliarlo, e a proposito delle rocce, direte: "Sono veramente consapevoli, ma una forma diversa di
consapevolezza". Naturalmente la coscienza qualcosa di molto pi sottile. Ma se percuotete una campana o
urtate un cristallo, essi rispondono: dentro di loro c' una reazione estremamente semplice. un suono che
proviene dall'interno, mentre noi "risuoniamo" a ogni tipo di colore, di luce, di intelligenza, di idee, di
pensieri; pi complicato. Entrambe le reazioni sono ugualmente consapevoli, anche se in modi differenti.
un concetto perfettamente accettabile. Quello che voglio dire che i minerali possiedono una forma
rudimentale di coscienza; altri, invece, sostengono che la coscienza sia una forma complessa di sostanze
minerali. Queste persone ritengono che ogni cosa sia scialba, mentre io affermo che la vita uno spettacolo
magnifico.
Ci nonostante, mentre studiamo l'essere umano o qualsiasi altro organismo vivente e cerchiamo di
descriverli in modo accurato e scientifico, ci accorgiamo che la normale percezione di noi stessi come tanti
io isolati dentro una borsa di pelle un'allucinazione. E' veramente pazzesco, perch quando si cerca di
definire il comportamento umano, oppure il comportamento di un topo, di un ratto, di un pollo (o di qualsiasi
altro organismo) si scopre che se si vuole descrivere questo comportamento in modo accurato si deve
analizzare anche il comportamento dell'ambiente. Supponiamo che io stia camminando e voi volete
descrivere l'atto del camminare. Non potete parlare del mio modo di camminare senza descrivere il suolo,
perch se non lo fate e se non descrivete nemmeno lo spazio dentro il quale mi sto muovendo, parlerete solo
di qualcuno che sta facendo dondolare le gambe in un spazio vuoto. Cos come raccontate il mio modo di
camminare, dovete raccontare anche lo spazio in cui mi trovate. Non potete vedere se non vedete anche lo
sfondo; ci che sta dietro di me. Se i limiti della mia pelle avessero la stessa estensione della totalit del
vostro campo visivo, non mi vedreste affatto. Osservereste le cose che riempiono il vostro campo visivo, ma
non vedreste me, perch per vedermi non dovreste vedere soltanto ci che all'interno del limite della mia
pelle, ma anche quello che fuori.
un fatto estremamente importante. In realt l'ultimo mistero, quello fondamentale, l'unico che dovete
conoscere per capire i segreti metafisici pi profondi, questo: per ogni fuori c' un dentro e per ogni dentro
c' un fuori, e bench siano differenti, i due sono un tutt'uno. In altre parole, vi una cospirazione segreta tra
ogni interno e ogni esterno: ciascuno cio deve apparire quanto pi possibile diverso dall'altro, ma sotto
sotto entrambi sono identici. Non troverete mai l'uno senza l'altro. I due si sono messi d'accordo per darsi
battaglia. Ecco perci il segreto: ci che esoterico, profondo, intenso, viene denominato 'implicito'. Ci che
ovvio e pubblico si chiama 'esplicito'. Cos, io nel mio ambiente e voi nel vostro siamo esplicitamente tanto
diversi quanto possibile, ma implicitamente siamo un tutt'uno. Lo scienziato riesce a scoprire questa realt
molto velocemente, quando cerca di descrivere esattamente che cosa stiamo facendo; dato che tutta l'arte
della scienza quella di illustrare il nostro comportamento, quest'ultimo non qualcosa che pu essere
separato dal mondo che ci circonda. Quindi lo scienziato si rende conto che siamo qualcosa che tutto il
mondo sta facendo, proprio come quando il mare ha le onde, l'oceano 'ondeggia'. Cos ognuno di noi un
"ondeggiamento' di tutto il cosmo, l'opera completa, tutto ci che c', e insieme con ciascuno di noi questo
'ondeggiamento' che dice: "Ehi! Sono qui!", eppure ogni volta diverso, perch la diversit d sapore alla
vita.
Il fatto strano, per, che non siamo stati educati a sentire in questo modo. Invece di sentire che siamo
qualcosa che tutto il regno dell'esistenza sta facendo, percepiamo di essere entrati in questa totalit come
stranieri. Quando nasciamo non sappiamo da dove veniamo perch non lo ricordiamo; cos pensiamo che
anche quando moriremo sar uguale. Alcune persone si consolano con l'idea che andranno in paradiso oppure
che si reincarneranno, ma in generale nessuno ci crede veramente. Per la maggior parte della gente non una
storia accettabile; perci la cosa che davvero ossessiona che quando si muore ci si addormenta per non
svegliarsi mai pi. Saremo chiusi a chiave nella cassetta di sicurezza delle tenebre per sempre. Per, tutto
questo si basa su una nozione falsa di ci che il s di un individuo. Il motivo per cui abbiamo questo
concetto errato di noi stessi, per quanto sono riuscito a capire, sta nel fatto che ci siamo specializzati in un
tipo particolare di consapevolezza.
Generalmente parlando, possediamo due modelli di consapevolezza. Chiamer il primo "faro direzionale" e
il secondo "luce a largo fascio". Il faro l'attenzione consapevole e fin da bambini ci stato detto che
costituisce la forma di percezione pi preziosa. Quando il maestro dice alla classe: "Fate attenzione!", ogni
allievo guarda verso l'insegnante. Questa la consapevolezza "faro": fissare la mente su un solo oggetto alla
volta. Ci concentriamo e anche se non siamo in grado di avere una durata di attenzione molto lunga, usiamo
il nostro "faro": ci focalizziamo su un oggetto dopo l'altro, uno dopo l'altro... Tuttavia abbiamo anche una
consapevolezza "a largo fascio". Per esempio, possiamo guidare l'automobile per diversi chilometri con un
amico seduto a fianco e la nostra consapevolezza "faro" pu essere completamente assorbita nella
conversazione con l'amico. Eppure l'attenzione "a largo fascio" si arrangia a guidare il veicolo, vedr tutti i
segnali stradali, gli altri idioti che stanno guidando e cos via, e noi arriveremo alla meta sani e salvi senza
neppure pensarci.
La nostra cultura, per, ci ha insegnato a specializzarci nella consapevolezza "faro" e a identificarci solo con
essa. "Io sono la mia consapevolezza faro, la mia attenzione cosciente; cio il mio ego; cio me." Sebbene in
larga misura la ignoriamo, la "coscienza a largo fascio" all'opera senza sosta e ogni terminazione nervosa
che possediamo un suo strumento. Potete uscire a pranzo ed essere seduti accanto alla signora Tal-dei-tali,
poi tornate a casa e vostra moglie vi chiede: "C'era anche la signora Tal-dei-tali?" "S, ero seduto accanto a
lei." "Che cosa indossava?" "Non ne ho la pi pallida idea." Avete visto, ma non avete notato. Ora, siccome
siamo stati abituati a identificarci con la consapevolezza "faro", mentre quella a "largo fascio"
sottovalutata, abbiamo la sensazione di noi stessi in quanto consapevolezza "faro": un io che guarda e si
occupa di questo e di quello. In tal modo, non siamo coscienti della immensa vastit del nostro essere.
Persone che, grazie a diversi metodi, diventano totalmente coscienti della propria consapevolezza a largo
fascio, fanno un'esperienza cosiddetta "mistica": il buddhismo la definisce bodhi, "risveglio"; gli induisti la
chiamano moksha, "liberazione". In questa esperienza si scopre che il vero, profondo S, ci che voi siete
veramente, fondamentalmente e per sempre, l'essere nella sua interezza, tutto ci che , che opera: quello
siete voi. Soltanto questo S universale che costituisce la vostra vera realt ha la capacit di focalizzarsi in
numerosi e diversi qui-e-ora. Affermava William James: "La parola "io" in realt un termine che esprime
un concetto di posizione, come "questo" oppure "qui". Proprio come il sole e le stelle hanno molti raggi,
l'intero cosmo esprime se stesso in te, in voi, in noi, in tutte le variazioni possibili. Gioca: gioca il gioco
chiamato Mario Rossi, Maria Verdi, Giuseppe Bianchi. Gioca il gioco dello scarafaggio, il gioco della
farfalla, dell'uccello, del piccione, del pesce, delle stelle. Sono giochi diversi uno dall'altro, proprio come il
backgammon, il bridge, il poker, il pinnacolo, o come il valzer, la mazurca, il minuetto, il tango. una danza
con variazioni infinite, ma ogni danza (cio ognuno di noi) ci che sta facendo l'essere intero. Ma noi lo
dimentichiamo e non sappiamo chi siamo. Veniamo educati in un modo tale da non renderci conto di questa
connessione, ignoriamo che ciascuno di noi l'opera, il gioco giocato in un certo modo per un certo tempo.
Cos, ci stato insegnato a temere la morte come se fosse la fine di uno spettacolo che non si ripeter pi.
Siamo condizionati ad avere paura di tutto ci che comporta un rischio di morte: il dolore, la malattia, la
sofferenza, Se non siete veramente e vividamente consapevoli del fatto che fondamentalmente siete "l'opera",
probabile che non proverete mai la vera gioia: siete soltanto un fascio di ansia mescolata a senso di colpa.
Quando nascono i bambini, ci comportiamo in modo orrendo con loro. Invece di dire: "Come stai?
Benvenuto tra la razza umana. Devi sapere, mio caro, che stiamo giocando giochi molto complicati: queste
sono le regole. Voglio che tu le capisca, che le impari quando diventerai pi grande; magari riuscirai perfino
a inventare regole migliori, ma ora devi giocare secondo le nostre". Invece di essere diretti con i nostri figli,
diciamo: "Siete qui in prova, dovete capirlo. Forse quando sarete un po' cresciuti diventerete pi accettabili,
ma per ora dovete far s che vi si veda e non vi si senta. Siete un pasticcio: dovete essere educati e istruiti
finch diventerete umani". Questi atteggiamenti che ci vengono inculcati dall'infanzia vanno avanti fino alla
tarda et, perch possibile che il modo in cui si comincia sia anche il modo in cui si finisce. La gente,
vivendo, percepisce di non avere un senso di appartenenza, perch la prima cosa che ha sentito dai genitori
stata: "Guarda, sei nato per soffrire. Sei qui in prova. Non sei ancora un essere umano". Ed in preda a
questa sensazione fino alla vecchiaia, immaginando che l'intero universo sia presidiato da un terribile Dio
Padre che vuole solo il meglio per noi, che ci ama, ma: "Chi risparmia la frusta, rovina il bambino. Chi
amato dal Signore, Egli lo perseguita". Dove cadr il prossimo colpo? chiaro che in questo modo non si
pu avere un senso di appartenenza; in sua vece, siamo pervasi da una spaventosa impressione, quella che io
chiamo "ego cristiano", ma che anche un pochino ebraica: la sensazione di essere orfani, senza una casa. I
cristiani dicono che siamo figli di Dio per adozione: non figli veri, ma solo adottati, per grazia, per
sofferenza. Ed ecco allora la sensazione assolutamente caratteristica dell'uomo occidentale, di ogni persona
altamente civilizzata: essere uno straniero sulla terra, un momentaneo guizzo di consapevolezza fra due
tenebre eterne.
Per tale ragione ci veniamo a trovare in un continuo contenzioso con ogni cosa che ci circonda: non solo con
il nostro prossimo, ma anche con la terra, con le acque. Simbolo di questo, nella nostra cultura, il bulldozer.
Nel luogo dove abito, a bordo di una nave-traghetto, si vedono alcune colline molto belle dall'altra parte
della distesa d'acqua. Su quelle alture costruiranno una serie di case, ma saranno case che di solito si trovano
nelle zone di periferia e non in un'area tanto amena. Un bravo architetto riesce a far si che una casa si adatti
alla collina e non deve distruggere la collina per metterci sopra una casa. Se decidete di vivere sopra una
collina, ovvio che ci volete vivere ed ovvio che non la volete distruggere solo per il fatto che ci volete
abitare. Eppure ci che succede, soprattutto in California, dove si susseguono molte piccole alture. Che
cosa fanno? Livellano le cime fino a che sono perfettamente piatte. Poi vi costruiscono le case, terrazzando
via via il territorio fino in fondo. Naturalmente sconvolgono l'ecologia delle colline e le case corrono il
rischio di crollare, ma il costruttore dice: "E allora?" Quando accadr, tutti i pagamenti saranno stati eseguiti.
evidente che il costruttore non sente il mondo esterno come se fosse il suo corpo. Mentre invece lo . Il
mondo esterno l'estensione del nostro corpo e un architetto intelligente, salendo sulla collina prescelta,
dovrebbe dire: "Buongiorno. Vorrei tanto costruire una casa in questo luogo e vorrei sapere da te, collina, che
tipo di casa ti piacerebbe ti venisse costruita sopra". Al contrario, l'architetto ha gi un'idea precisa di quale
casa erigere e sottomette la collina a questo suo pregiudizio. E cos rovina l'altura, se ne libera per metterci
sopra una casa.
Un uomo che agisce cos completamente fuori di mente, perch non si rende conto che il mondo esterno
il suo corpo. Solo quando lo capir, rientrer in s.
Essere consapevoli
tratto da: La Via della Liberazione, di Alan Watts
Edizioni Ubaldini Astrolabio

La domanda: "Cosa dobbiamo fare in proposito?", posta solo da chi non capisce il problema. Se
un problema pu essere risolto, capirlo e sapere che cosa fare in proposito sono la stessa cosa. Per
contro, fare qualcosa circa un problema che non si capisce come cercare di spazzar via l'oscurit
allontanandola con le mani. Quando facciamo luce, l'oscurit svanisce di colpo.
Ci vale in particolar modo per il problema che ora ci sta di fronte. Come sanare la frattura tra l'Io e
il me, la mente e il corpo, l'uomo e la natura, e far cessare tutti i circoli viziosi che essa determina?
In che modo sperimentare la vita come qualcosa di diverso dalla trappola di miele nella quale ci
dibattiamo come mosche? Come trovare sicurezza e tranquillit di mente in un mondo la cui vera
natura l'insicurezza, l'impermanenza, il mutamento incessante? Tutte queste domande esigono un
metodo e una linea d'azione. Al tempo stesso ci dimostrano che il problema non stato capito. Non
abbiamo bisogno dell'azione, non ancora. Abbiamo bisogno di pi luce.
Luce qui significa consapevolezza: essere consapevoli della vita, dell'esperienza com' in questo
momento, senza alcun giudizio o idea su di essa. In altre parole, dobbiamo vedere e sentire ci che
stiamo sperimentando cos com', non come lo si definisce. Questo semplicissimo "aprire gli occhi"
provoca la pi straordinaria trasformazione della comprensione e della vita, e ci mostra come molti
dei nostri problemi pi sconcertanti siano pure illusioni. Questa pu sembrare un'eccessiva
semplificazione perch la maggior parte della gente pensa di avere gi una consapevolezza
abbastanza piena del presente, ma vedremo che le cose non stanno affatto cos.
Siccome la consapevolezza una visione della realt libera da idee e giudizi, chiaramente
impossibile definire e mettere per iscritto che cosa essa rivela. Tutto ci che pu essere descritto
un'idea e non posso affermare nulla di certo in merito a qualcosa, il mondo reale che non un'idea.
Devo quindi limitarmi a parlare delle false impressioni che la consapevolezza rimuove piuttosto che
della verit che essa rivela. Quest'ultima pu essere soltanto simboleggiata con parole che
significano poco o nulla per quanti non abbiano una comprensione diretta della verit in questione.
Ci che vero e certo troppo reale e troppo vivo per essere descritto: cercare di farlo come
pitturare di rosso una rosa rossa. Perci quanto segue avr necessariamente, per la maggior parte,
una qualit piuttosto negativa. La verit rivelata rimovendo ci che le fa ombra: arte non dissimile
dalla scultura, in cui l'artista crea non costruendo ma togliendo a colpi di scalpello.
Abbiamo visto come le domande sul perseguimento della sicurezza e della pace in un mondo
impermanente dimostrino che il problema non stato capito. Prima di procedere oltre dev'essere
chiaro che la sicurezza di cui stiamo parlando in primo luogo spirituale e psicologica. Per esistere
gli esseri umani devono avere un minimo di mezzi di sussistenza in termini di cibo, bevande e
vestiario - nell'intesa, tuttavia, che tali mezzi non possono durare indefinitamente. Ma se la certezza
di avere questo minimo vitale per una sessantina d'anni cominciasse a soddisfare il cuore dell'uomo,
i problemi umani sarebbero ben poca cosa. In realt il vero motivo per cui questa certezza ci manca
il fatto che vogliamo assai pi del minimo necessario.
Dev'essere chiaro fin dall'inizio che c' una contraddizione nel voler essere perfettamente sicuri in
un universo la cui vera natura transitoriet e fluidit. Ma una contraddizione leggermente pi
profonda che il semplice conflitto fra il desiderio di sicurezza e il fatto del mutamento. Se voglio
essere sicuro, cio protetto contro il fluire della vita, voglio essere separato dalla vita. Eppure
proprio questo senso di separatezza che mi fa sentire insicuro. Essere sicuro significa isolare e
rafforzare l'Io, ma proprio l'impressione d'essere un "Io" isolato a farmi sentire solo e impaurito.
In altre parole, pi sicurezza potr avere pi ne vorr.
Pi semplicemente: il desiderio di sicurezza e il senso di insicurezza sono la stessa cosa. Trattenere
il respiro perderlo. Una societ che si fondi sul perseguimento della sicurezza non altro che una
gara a chi trattiene di pi il fiato, in cui ognuno teso come un tamburo e paonazzo come una
barbabietola.
Perseguiamo questa sicurezza rafforzandoci e racchiudendoci in noi in moltissimi modi. Vogliamo
la protezione che ci viene dall'essere "esclusivi e "speciali", cercando di appartenere alla chiesa pi
sicura, alla nazione migliore, alla classe pi alta, all'ambiente giusto, alla gente "per bene". Queste
difese provocano tra noi delle divisioni, e quindi pi insicurezza che esige pi difese. Naturalmente
facciamo tutto nella sincera convinzione d'essere nel giusto e di vivere nel modo migliore; ma anche
questo una contraddizione.
Posso solo fare qualche serio tentativo di vivere secondo un ideale, di migliorarmi, se sono scisso in
due. Ci dev'essere un Io buono che cerca di rendere migliore il "me" cattivo. L'Io, che ha le migliori
intenzioni, cercher di lavorarsi l'indocile 'me' e il contrasto fra i due ne metter in rilievo il divario.
Di conseguenza l'Io si sentir pi separato che mai, e non far che acuire i sentimenti di solitudine e
isolamento che determinano il cattivo comportamento del 'me'.
Difficilmente riusciamo a prendere in considerazione questo problema se non ci chiaro che la
brama di sicurezza essa stessa dolore e contraddizione, e che pi la perseguiamo pi diventa
dolorosa. Ed cos per qualsiasi forma di sicurezza si possa concepire.
Vuoi essere felice, dimentico di te stesso, ma pi tenti di dimenticarti pi ricordi il s che vuoi
dimenticare. Vuoi sottrarti al dolore, ma pi lotti per farlo pi attizzi il tormento. Hai paura e vuoi
essere coraggioso, ma lo sforzo per essere coraggioso solo paura che tenta di sfuggire a se stessa.
Vuoi la tranquillit dello spirito, ma il tentativo di tranquillizzarlo come cercare di sedare le onde
con un ferro da stiro.
Tutti abbiamo dimestichezza con questa specie di circolo vizioso sotto forma di inquietudine.
Sappiamo che essere inquieti non serve a niente, ma continuiamo a inquietarci perch dire che non
serve a niente non fa cessare l'inquietudine. Siamo inquieti perch ci sentiamo in pericolo e
vogliamo essere al sicuro. Ma perfettamente inutile dire che non dovremmo voler essere al sicuro.
Ingiuriando un desiderio non ce ne liberiamo. Quel che dobbiamo scoprire che non c' alcuna
sicurezza, che cercarla doloroso e che, quando pensiamo di averla trovata, non ci piace. In altre
parole, se riusciremo veramente a capire ci che stiamo cercando - che la sicurezza isolamento, e
che cosa facciamo a noi stessi quando la cerchiamo - ci accorgeremo di non volerla affatto. Non
occorre che ci vengano a dire che non dovremmo trattenere il respiro per dieci minuti. Sappiamo
benissimo che non possiamo farlo e che tentare di farlo, quanto mai scomodo.
La prima cosa da capire che non c' scampo n sicurezza. Uno dei peggiori circoli viziosi il
problema dell'alcolista. In moltissimi casi egli sa benissimo che si sta distruggendo, che per lui il
liquore veleno, che odia davvero essere ubriaco e addirittura non pu soffrire il gusto del liquore.
Eppure beve. Perch, per quanto possa detestare il bere, l'esperienza del non bere peggiore. Gli
provoca le 'allucinazioni' perch lo mette di fronte alla fondamentale, non pi velata, insicurezza del
mondo.
Qui sta il punto cruciale della questione. Essere posto di. fronte all'insicurezza equivale ancora a
non capirla. Per capirla non la si deve fronteggiare, si deve essere l'insicurezza. E come la storia
persiana del saggio che giunse alla porta del Cielo e buss. Dall'interno la voce di Dio chiese: "Chi
l?". Il saggio rispose: "Sono io". "In questa casa", replic la voce, "non c' posto per te e me". Il
saggio venne via e pass molti anni a riflettere su questa risposta in profonda meditazione. Torn
poi una seconda volta, la voce gli fece la stessa domanda e il saggio rispose di nuovo: "Sono io". La
porta rimase chiusa. Dopo qualche anno torn per la terza volta e quando buss la voce gli chiese
ancora: "Chi l?". Allora il saggio grid: "Sei tu!", e la porta gli fu aperta.
Capire che non c' sicurezza assai pi che essere d'accordo sulla teoria che ogni cosa cambia, assai
pi, anche, che osservare la transitoriet della vita. La nozione di sicurezza si fonda sul sentimento
che in noi ci sia qualcosa di permanente, qualcosa che dura attraverso tutti i giorni e i cambiamenti
della vita. Lottiamo per essere sicuri della permanenza, continuit e sicurezza di questo nucleo che
persiste, di questo centro e anima del nostro essere che chiamiamo l'Io. Pensiamo infatti che sia esso
l'uomo reale: il pensatore dei nostri pensieri, il senziente dei nostri sentimenti, il conoscitore della
nostra conoscenza. Non capiamo proprio che non vi sar alcuna sicurezza finch non ci renderemo
conto che questo Io non esiste.
La comprensione giunge attraverso la consapevolezza. Possiamo allora accostarci alla nostra
esperienza, sensazioni, sentimenti, pensieri nel modo pi semplice, come se prima li avessimo
sempre ignorati, ed esaminare senza preconcetti ci che sta accadendo? Mi si potr chiedere: "Quali
esperienze, sensazioni, sentimenti dobbiamo esaminare?". Replicher: "Quali sono quelli che si
possono esaminare?". La risposta che vanno presi in esame quelli che si hanno ora.
Certo, piuttosto ovvio. Ma spesso trascuriamo proprio le cose pi ovvie. Se un sentimento non
presente, non ne siamo coscienti. Non c' altra esperienza che l'esperienza presente. Ci che
sappiamo, ci di cui siamo effettivamente consapevoli, solo ci che sta accadendo in questo
momento, nient'altro.
Ma i ricordi, allora? Certo, ricordando posso anche conoscere ci che passato? Benissimo, ricorda
qualcosa. Ricorda l'episodio dell'incontro di un amico per strada. Di che cosa sei consapevole? Non
stai effettivamente assistendo al vero avvenimento dell'incontro col tuo amico. Non puoi andargli a
stringere la mano o avere la risposta a una domanda che ti eri dimenticato di fargli nel momento
passato che stai ricordando. In altre parole, non stai affatto esaminando il vero passato. Stai
esaminando la traccia presente del passato.
E come vedere le orme di un uccello sulla sabbia. Vedo le orme che ci sono adesso. Non vedo,
contemporaneamente, l'uccello che un'ora fa le ha lasciate. L'uccello volato via e non lo vedo.
Deduco dalle impronte che stato qui. Dai ricordi deduciamo che vi sono stati degli avvenimenti
passati. Ma non abbiamo la consapevolezza immediata di alcun avvenimento passato. Conosciamo
il passato solo nel presente e come parte del presente.
Abbiamo visto dunque che la nostra esperienza assolutamente momentanea. Da un punto di vista
ogni istante cos elusivo e breve che non riusciamo neppure a pensarlo prima che sia scomparso.
Ma da un altro punto di vista quest'istante sempre qui, perch non conosciamo altro istante che
quello presente. Esso continua a morire, a diventare passato pi velocemente di quanto
l'immaginazione possa concepire. Ma al tempo stesso continua a nascere, sempre nuovo, emergendo
con altrettanta velocit da quell'assoluto ignoto che chiamiamo il futuro. Pensano qualcosa che
lascia quasi senza fiato.
Dire che l'esperienza momentanea equivale in realt a dire che l'esperienza e l'istante presente
sono la stessa cosa. Dire che quest'istante continua a morire, o a diventare passato, e che continua a
nascere, o a venir fuori dall'ignoto, equivale a dire la stessa cosa dell'esperienza. L'esperienza che si
appena avuta svanita ed irrecuperabile; tutto ci che ne rimane non altro che una specie di
scia o impronta nei presente che chiamiamo ricordo. Se possiamo avanzare qualche congettura sulla
prossima esperienza che avremo, in realt non ne sappiamo niente. Potrebbe accadere qualsiasi
cosa. Ma l'esperienza in corso ora , per cos dire, un neonato che svanisce ancor prima di
cominciare a crescere.
Mentre seguiamo quest'esperienza presente, siamo consapevoli che qualcuno la sta seguendo?
Possiamo trovare, oltre all'esperienza in se stessa, uno sperimentatore? Possiamo,
contemporaneamente, leggere questa frase e pensare noi stessi in atto di leggerla? Constateremo
che, per farlo, dobbiamo smettere di leggere per un istante. La prima esperienza la lettura. La
seconda esperienza il pensiero: "Sto leggendo". Possiamo trovare un lettore, il quale stia pensando
il pensiero: "Sto leggendo"? In altre parole, quando l'esperienza presente il pensiero: "Sto
leggendo", possibile pensare noi stessi in atto di pensare questo pensiero?
Dobbiamo di nuovo smettere di pensare semplicemente: "Sto leggendo", per passare a una terza
esperienza, al pensiero: "Sto pensando di stare leggendo". La rapidit con cui questi pensieri
possono cambiare non deve darci l'errata impressione che li pensiamo subito tutti. Che cosa
avvenuto? Non riuscivamo mai a separarci dal nostro pensiero presente n dalla nostra esperienza
presente. La prima esperienza presente era un'esperienza di lettura. Quando cercavamo di pensare
noi stessi in atto di leggere, l'esperienza cambiava e l'esperienza presente successiva era il pensiero:
"Sto leggendo". Non riuscivamo a separarci da quest'esperienza senza passare a un'altra. Era un
girotondo. Quando pensavamo: "Sto leggendo questa frase", non la leggevamo. In altre parole, in
ogni esperienza presente eravamo consapevoli soltanto di quella stessa esperienza. Non eravamo
consapevoli d'essere consapevoli. Non riuscivamo mai a separare il pensatore dal pensiero, il
conoscitore dal conosciuto. Non trovavamo mai nient'altro che un nuovo pensiero, una nuova
esperienza.
Essere consapevoli, dunque, essere consapevoli di pensieri, sentimenti, sensazioni, desideri e di
ogni altra forma di esperienza. Non c' mai un momento in cui siamo consapevoli di qualcosa che
non sia esperienza, che non sia un pensiero o un sentimento, ma sia invece uno sperimentatore,
pensatore o senziente. Se cos, che cosa ci fa pensare che esista una cosa del genere?
Potremmo dire, per esempio, che l'Io pensante questo corpo fisico e questa mente. Ma questo
corpo non in alcun modo separato dai suoi pensieri e dalle sue sensazioni. Quando abbiamo una
sensazione, per esempio una sensazione tattile, essa parte del nostro corpo. Quando in atto non
possiamo distoglierne il corpo, non pi di quanto possiamo allontanarci dal mal di testa o dai nostri
piedi. Sinch presente, questa sensazione il nostro corpo, siamo noi. Possiamo togliere il corpo
da una sedia scomoda, non possiamo distoglierlo dalla sensazione della sedia.
La nozione di un pensatore separato, di un Io distinto dall'esperienza, data dalla memoria e dalla
rapidit con cui il pensiero cambia come far ruotare rapidamente un bastoncino che brucia per dare
l'illusione di un cerchio continuo di fuoco. Se immaginiamo che la memoria sia conoscenza diretta
del passato anzich esperienza presente, abbiamo l'illusione di conoscere passato e presente
contemporaneamente. Questo ci fa pensare che in noi vi sia qualcosa di distinto sia dalle esperienze
passate sia da quelle presenti. Ragioniamo cos: "Conosco quest'esperienza presente e so che
diversa da quell'esperienza passata. Se posso confrontarle e osservare che l'esperienza cambiata, ci
dev'essere qualcosa di costante e separato".
Di fatto, per, non possiamo confrontare quest'esperienza presente con un'esperienza passata.
Possiamo solo confrontarla con un ricordo del passato, che parte dell'esperienza presente. Quando
vedremo chiaramente che il ricordo una forma di esperienza presente, diverr evidente che
impossibile cercare di separarci da quest'esperienza, proprio com' impossibile cercare di far s che i
denti mordano se stessi. C' semplicemente l'esperienza. Non c' qualcosa o qualcuno che
sperimenti l'esperienza! Non sentiamo sentimenti n pensiamo pensieri, n percepiamo percezioni
pi di quanto non udiamo l'udito, vediamo la vista, odoriamo l'odorato. "Mi sento bene", significa
che presente una sensazione di benessere. Non significa che c' una cosa chiamata 'lo' e un'altra
cosa separata chiamata sensazione, per cui, se le mettiamo insieme, questo 'Io' sente il senso di
benessere. Non vi sono altre sensazioni che le sensazioni presenti, e qualsiasi sensazione presente
l'Io. Nessuno ha mai trovato un Io separato da qualche esperienza presente, o qualche esperienza
separata da un Io, il che significa semplicemente che 'Io' ed esperienza sono la stessa cosa.
Come pura argomentazione filosofica questa una perdita di tempo. Non stiamo cercando di fare
una "discussione intellettuale". Stiamo prendendo coscienza del fatto che ogni 'Io' separato che
pensi i pensieri e sperimenti le esperienze un'illusione. Capirlo capire che la vita assolutamente
momentanea, che non c' n permanenza n sicurezza, che non c' alcun 'Io' che possa essere
protetto.
C' una storia cinese su un uomo che si rec da un saggio e gli disse: "Il mio spirito non ha pace. Ti
prego di placarmelo". Il saggio rispose: "Tira fuori il tuo spirito (il tuo 'Io') e mettimelo davanti; lo
tranquillizzer". "Lo vado cercando da molti anni", replic l'uomo, "ma non riesco a trovarlo".
"Ecco dunque", concluse il saggio, "che si placato! ".
Il vero motivo per cui la vita umana pu essere cos totalmente esasperante e frustrante non
l'esistenza di fatti chiamati morte, dolore, paura o fame. La cosa pazzesca che, quando questi fatti
sono presenti, noi ci giriamo intorno, ci agitiamo, ci dimeniamo, corriamo via, tentando di sottrarre
l'Io all'esperienza. Fingiamo d'essere delle amebe e cerchiamo di proteggerci dalla vita dividendoci
in due. La salute mentale, l'interezza e l'integrazione risiedono nella comprensione che non siamo
divisi, che l'uomo e la sua esperienza presente sono una cosa sola, e che impossibile trovare un 'Io'
o una psiche separati.
Sino a quando continuer a pensare d'essere separato dalla mia esperienza vi sar confusione e
scompiglio. Per questo non avr n consapevolezza n comprensione dell'esperienza, e quindi
nessuna vera possibilit di assimilarla. Per capire questo istante non devo cercare di separarmene,
ma devo esserne consapevole con tutto il mio essere. E ci, al pari del trattenermi dal non respirare
per dieci minuti, non qualcosa che dovrei fare. In realt la sola cosa che posso fare. Qualsiasi
altra cosa la follia di tentare l'impossibile.
Per capire la musica dobbiamo ascoltarla. Ma finch pensiamo: "Io sto ascoltando questa musica"
non la sentiamo. Per capire la gioia o la paura dobbiamo esserne consapevoli in modo totale e
indiviso. Finch le diamo un nome e diciamo: "Sono felice", oppure: "Ho paura", non ne siamo
coscienti. Paura, dolore, afflizione, noia restano problemi se non li capiamo, ma il capirli richiede
una psiche semplice e indivisa. E' certamente questo il significato dello strano detto: "Se il tuo
occhio semplice anche tutto il tuo corpo illuminato".
La pratica della meditazione
tratto da: La Via della Liberazione, di Alan Watts
Edizioni Ubaldini Astrolabio

La pratica della meditazione non quel che comunemente si intende per pratica, nel senso di
ripetizione intesa a preparare a una qualche prova futura. Pu sembrare strano e illogico dire che la
meditazione sotto forma di yoga, dhyana o za-zen, come in uso presso gli induisti e i buddhisti
una pratica priva di scopo nel futuro immediato o lontano, poich l'arte dell'essere completamente
centrati nel qui e ora. "Io non sono addormentato e non c' nessun posto in cui voglia andare".
Viviamo in una cultura totalmente stregata dall'illusione del tempo, in cui il cosiddetto momento
presente sentito come qualcosa di infinitesimale fra un passato potentemente condizionante e un
futuro la cui importanza assoluta. Non abbiamo un presente. La nostra coscienza quasi
totalmente occupata dal ricordo e dall'aspettativa. Non ci rendiamo conto che non c' mai stata, non
c e non ci sar mai altra esperienza che quella del presente.
Siamo perci privi di contatto con la realt. Confondiamo il mondo di cui si parla, che si descrive e si
misura col mondo qual in realt. Siamo sotto l'incantesimo di quegli utili strumenti che sono i
nomi, i numeri, i simboli, i segni, i concetti e le idee. Ecco dunque che la meditazione l'arte di
sospendere temporaneamente il pensiero verbale e simbolico, un po' come un pubblico beneducato
interrompe le conversazioni quando sta per iniziare un concerto.
Limitatevi a stare seduti, chiudere gli occhi e ascoltare tutti i suoni che possono essere nell'aria,
senza provare a identificarli o a definirli. Ascoltate come ascoltereste la musica. Se vi accorgete che
il dialogo mentale continua, non cercate di interromperlo con la volont. Limitatevi a lasciare la
lingua rilassata, abbandonata e comoda nella mascella inferiore, e ascoltate i vostri pensieri come
ascoltereste gli uccelli che cinguettano fuori dalla finestra, puro rumore nella vostra testa: i pensieri
alla fine si placheranno da soli, come uno stagno agitato e fangoso si calma e torna limpido se non
lo si disturba.
Ancora, prendete coscienza del vostro respiro e lasciate che i vostri polmoni funzionino al ritmo loro
congeniale. E per un po' restate semplicemente ad ascoltare e sentire il respiro. Ma, se possibile, non
chiamatelo cos. Limitatevi a vivere l'evento non verbale. Si pu obiettare che questa non
meditazione 'spirituale' ma semplice attenzione al mondo fisico: si dovrebbe per comprendere che
spirituale e fisico sono soltanto idee, concetti filosofici, e che la realt di cui ora avete coscienza non
un'idea. Di pi, non c' in voi un io che ne cosciente. Anche quella era solo un'idea. Potete udirvi
in ascolto?
E adesso cominciate a lasciar 'cadere' il vostro respiro all'esterno, lentamente e comodamente. Non
sforzate n tendete i polmoni, ma lasciate che il respiro esca allo stesso modo di quando vi
abbandonate in un letto accogliente. Lasciatelo semplicemente andare, andare, e andare. Non
appena c' un minimo sforzo, fatelo semplicemente rientrare come un riflesso, senza pressioni o
strappi. Non pensate all'orologio. Non pensate a contare. Mantenete semplicemente questo stato
tanto a lungo quanto dura il senso di beatitudine che d.
Usando il respiro in questa maniera, scoprite come produrre energia senza forza. Ad esempio, una
delle tecniche (in sanscrito upaya) usate per quietare la mente pensante e il suo meccanico
chiacchiericcio nota come mantra - che il salmodiare un suono in quanto suono, piuttosto che
per il significato. Per cui cominciate a emettere un'unica nota sull'onda dell'espirazione, all'altezza
che vi viene pi facile. Gli induisti e i buddhisti usano per questa pratica sillabe come OM, AUM (cio
HUNG), e i cristiani possono preferire AMEN O ALLELUIA, i mussulmani ALLAH e gli ebrei ADONAI:
sostanzialmente non fa differenza, dal momento che ci che conta solo e unicamente il suono.
Come i Buddhisti Zen potreste usare semplicemente la sillaba Mu (~). Scegliere questa sillaba, e
lasciate che la vostra coscienza sprofondi gi, gi, gi dentro il suono fino a quando non provate pi
nessun senso di sforzo.
Soprattutto, non puntate a un risultato, a un improvviso cambiamento di coscienza o al satori:
l'essenza della pratica della meditazione tutta nel concentrarsi su ci che , non su ci che
dovrebbe o potrebbe essere. Il problema : non usare la forza per svuotare la mente, o per
concentrarsi su un punto di luce o altro, anche se, fatto senza accanimento, queste cose possono
essere meravigliose.
Quanto dovrebbe durare tutto ci? La mia idea, forse non ortodossa, che lo si possa far durare
fintanto che non c' sensazione di sforzo - e pu voler dire arrivare a trenta o quaranta minuti a
seduta; dopo di che vorrete tornare allo stato di normale riposo e distrazione.
Sedendo per meditare, bene mettere sul pavimento un cuscino abbastanza consistente, tenere la
spina dorsale diritta ma non rigida, tenere le mani in grembo - a palme in alto - poggiare
morbidamente l'una sull'altra e sedere a gambe incrociate nella posizione del Buddha, nella postura
del mezzo 'loro' o del loto completo, o inginocchiati e seduti all'indietro sui calcagni. 'Loro' significa
che uno o entrambi i piedi poggiano, con la pianta rivolta verso l'alto, sulla coscia opposta. Queste
posture sono leggermente scomode, ma hanno, proprio per questo, il vantaggio di tenervi desti.
Pu accadere che nel corso della meditazione abbiate visioni stupefacenti, idee abbaglianti e
meravigliose fantasie. Pu anche succedervi di avere l'impressione di stare per diventare
chiaroveggenti, o di poter lasciare il corpo e viaggiare a volont. Ma tutto ci distrazione.
Lasciatelo stare e osservate semplicemente cosa accade ADESSO. Non si medita per acquistare
poteri straordinari:
infatti, se riusciste a diventare onnipotenti e onniscienti, che fareste? Non ci sarebbero ad attendervi
altre sorprese, e tutta la vostra vita sarebbe come far l'amore con una donna di plastica. Attenti,
quindi, a tutti quei guru che promettono 'meravigliosi risultati' e altri futuri benefici dal loro
insegnamento. Ci che importa veramente rendersi conto che il futuro non esiste, e che il vero
senso della vita l'esplorazione dell'eterno presente. FERMATEVI, GUARDATE e ASCOLTATE!
Si racconta che un uomo and dal Buddha con un'offerta di fiori in ambo le mani. Il Buddha disse:
"Lascialo cadere!". Per cui egli fece cadere i fiori che aveva nella mano sinistra. Il Buddha disse
ancora: "Lascialo cadere!", ed egli lasci cadere i fiori che teneva nella mano destra. Ma il Buddha
disse: "Lascia cadere quello che non hai n a sinistra n a destra ma al centro!". E l'uomo fu di colpo
illuminato.
meraviglioso avere la sensazione che tutto ci che vive e che si muove sta cadendo o segue la
gravit. Dopotutto, la terra sta cadendo intorno al sole, e a sua volta il sole sta cadendo intorno a
qualche altra stella. Poich l'energia semplicemente il prendere la via della minima resistenza.
L'energia nella massa. La potenza dell'acqua nel seguire il suo stesso peso. Tutto viene a colui
che ha peso.

Le Ossa dello Zen, di Allan Watts


(Edizioni Ubaldini Astrolabio, Roma)

Una volta uno studente zen cit al proprio maestro questa antica poesia buddhista:
Le voci dei torrenti provengono da un'unica grande lingua
I leoni delle colline sono il puro corpo del Buddha. "Non cos?", chiese lo studente. "S", rispose il maestro,
"ma davvero un peccato metterla in questi termini". Sarebbe stato molto meglio se tale occasione fosse
stata celebrata col pi totale silenzio. Se dovessi rivolgervi la parola nello stile dei vecchi maestri zen, dovrei
dare una botta sul microfono e andarmene. Penso per che siccome tutti voi avete contribuito al
mantenimento del Mountain Zen Center nella speranza di imparare qualcosa, io devo dirvi qualche parola,
sebbene debba avvertirvi che spiegandovi queste cose vi espongo al rischio di una solenne presa in giro.
Ora, se io vi permettessi di lasciare questa sala stasera con l'idea di aver capito qualcosa dello zen, avreste
mancato completamente il bersaglio. Lo zen uno stile di vita, una condizione dell'essere, che non
possibile ridurre a nessuna forma concettuale.
Qualsiasi concetto, idea o parola io volessi trasmettervi stasera non potrebbe avere altro obiettivo che
dimostrare la limitatezza delle parole e del pensiero. Dovendo improvvisare qualcosa sullo zen, e voglio
proprio provare a farlo a guisa d'introduzione, importante che io metta l'accento sul fatto che lo zen, nella
sua essenza. non una dottrina. Non c' proprio nulla in cui ci venga chiesto di credere, e non si tratta di
una filosofia, almeno secondo l'accezione pi comune del termine. Non quindi un sistema di idee, una rete
intellettuale attraverso la quale si prova a catturare il pesce della realt. Anzi, il pesce della realt assomiglia
pi che altro all'acqua: scivola sempre tra le maglie della rete, e come l'acqua, quando lo si incontra non c'
nessun appiglio per afferrarlo. Naturalmente l'universo intero come l'acqua: fluido, fugace, mutevole.
Un uomo gettato in mare che non conosce altro che la vita sulla terraferma, che non ha alcuna
dimestichezza con l'idea di nuotare, prova a tenersi sopra l'acqua. Cerca di aggrapparsi all'acqua, e il
risultato che annega. Mi riferisco in particolare alle acque della confusione filosofica moderna, nella quale
dio morto, ogni affermazione metafisica priva di senso, e non c' nulla a cui aggrapparci semplicemente
perch stiamo crollando. In tali circostanze l'unico modo per sopravvivere imparare a nuotare: ci si rilassa,
si lascia la presa e ci si abbandona all'acqua. Bisogna sapere respirare nel modo corretto, ma una volta
capito che l'acqua ci sostiene, in un certo senso diventiamo davvero l'acqua.
Se si dovesse provare (ripeto, in modo fuorviante) a illustrare lo zen con una qualche forma concettuale, si
potrebbe ridurlo a queste poche parole: il nostro universo pregno di una grande energia e non sappiamo
come chiamarla. Gli uomini hanno escogitato diversi nomi dio Brahman e tao tanto per fare qualche esempio
ma in occidente il termine dio ha talmente tante associazioni ridicole che la maggior parte della gente non ne
pu pi. Quando qualcuno dice Dio padre onnipotente la maggior parte degli ascoltatori si sente in
imbarazzo e quindi e necessario trovare nuove parole Ci piacciono quegli strani nomi che vengono
dall'Estremo Oriente, come tao, Brahman o tathata, perch non hanno le stesse associazioni che ci riportano
alla pi sdolcinata santimonia, o agli strani significati che appartengono al passato. In realt, alcune delle
parole usate dai buddhisti per indicare l'energia fondamentale del mondo non hanno alcun senso. La parola
tathata, che il termine sanscrito per 'talit, quiddit,' o 'vastit, in realt significa qualcosa del tipo: 'da-da-
da', sulla base della parola tat, che in sanscrito vuol dire 'quello'. Sempre in sanscrito, l'esistenza viene
descritta come 'tat tvam asi', 'quello voi siete', ovvero, in un linguaggio corrente, 'tu sei quello'. Per da-da-da
il primo suono che viene emesso dal neonato, allorch si guarda intorno e dice proprio: "Dada-da-da-da ,
ovvero Quello, quello, quello, quello, quello! . I padri se ne compiacciono, pensando che il piccolo con quel
'da-da' voglia dire 'daddy', invece, secondo la filosofia buddhista, tutto l'universo da-dada, vale a dire
diecimila funzioni, diecimila cose, ovvero una talit, nella quale ci ritroviamo tutti.
La talit muta a seconda delle circostanze, come ogni altra cosa, perch questo nostro mondo un sistema
che funziona a intermittenza. I cinesi lo chiamano yin e yang, qualcosa basato sull'adesso ti vedo, adesso
non ti vedo, ci sei, non ci sei. La natura stessa dell'energia simile all'onda, e sappiamo bene che le onde
hanno una cresta e un ventre. Tuttavia, qualcosa, perch non c' niente da cercare. La domanda a questo
punto : "Sto ancora cercando? Ho capito?"
Tale conoscenza non un genere di sapere che pu essere posseduto, n qualcosa che si imparato a
scuola, o che pu essere attestato da un diploma. Si tratta di un genere di conoscenza nel quale non c'
nulla da ricordare n nulla da ridurre in formule. qualcosa che conosciamo meglio quando affermiamo di
non conoscerlo affatto, perch vuoi dire che non lo stiamo afferrando, non stiamo cercando di tenerlo ben
stretto come se si trattasse di un concetto. Non assolutamente necessario farlo, e se dovessimo provarci,
sarebbe come provare a 'mettere le gambe a un serpente' o 'far crescere la barba a un eunuco', tanto per
usare qualche esempio zen, o, come diremmo noi, 'raddrizzare le zampe ai cani'. Sembra piuttosto facile,
non vi pare? Vorrebbe forse dire che tutto ci che dobbiamo fare rilassarci? Che non c' pi bisogno di
andare in giro in cerca di qualcosa, che possiamo abbandonare la religione, la meditazione, questo e quello
e quell'altro ancora, e tirare avanti vivendo come pi ci piace? Ecco come un padre risponde al figlio che
continua a chiedere:
"Perch, perch, perch?". "Perch dio ha fatto l'universo?". "Chi ha creato dio?". "Perch gli alberi sono
verdi?". Alla fine quel padre esclama: Oh piantala, e mangia la tua merenda". Ma non cos semplice. Tutta
questa gente che cerca di realizzare lo zen per mezzo del non fare nulla in quella direzione, sta ancora
cercando disperatamente di trovano ed sulla strada sbagliata. C' un'altra poesia che dice: "Non puoi
ottenerlo pensando, non puoi afferrano non pensando"; in altre parole:
"Non si pu afferrare il significato dello zen cercando di fare qualche passo in quella direzione, ma allo
stesso modo impossibile penetrarne il significato evitando di muoversi in quella stessa direzione". Si tratta
di due diversi tentativi di allontanarci da dove siamo, qui e ora, per dirigerci altrove Il fatto che possiamo
giungere a una comprensione di ci che chiamo 'talit' solo cercando di essere completamente qui, e per
essere completamente qui non necessario alcun espediente, n espedienti attivi n espedienti passivi,
perch in entrambi i casi staremmo cercando di allontanarci dal momento presente.
difficile comprendere un linguaggio come questo, e tuttavia per arrivare a capire di cosa si tratti c' solo un
prerequisito assolutamente necessario: smettere di pensare. Ora, in ci che dico non c' la minima
intenzione di anti-intellettualit, perch io penso molto, parlo molto, scrivo molti libri e sono una specie di
stupido erudito. In ogni caso sapete bene che se passiamo tutto il tempo a parlare, non ci sar possibile
ascoltare nulla di quanto gli altri vogliono dirci, e quindi tutto ci di cui potremo disquisire sar il nostro
soliloquio. Lo stesso vale per le persone che pensano di continuo. Uso il verbo 'pensare' per indicare il
parlare tra s e s, una conversazione interiore, il costante chiacchiericcio di simboli, immagini, discorsi e
parole all'interno del nostro cranio. Ora, se lo facciamo di continuo, scopriremo che non abbiamo null'altro a
cui pensare oltre al pensiero stesso, e se da un lato necessario smettere di parlare per poter ascoltare ci
che gli altri hanno da dire, dall'altro necessario smettere di pensare per scoprire cos' la vita. Nel momento
in cui smettiamo di pensare, entriamo immediatamente in contatto con quello che Alfred Korzybski ha cos
splendidamente definito 'il mondo inesprimibile', ovvero il mondo non-verbale. Qualcuno lo chiamerebbe
'mondo fisico', ma tali termini, 'fisico', 'non-verbale' e 'materiale' sono tutte forme concettuali, mentre non si
tratta affatto di un concetto. Non neppure un rumore, semplicemente 'quello'. Se ci apriamo a quel
mondo scopriamo tutt'a un tratto che tutte le cosiddette differenze tra noi stessi e gli altri, tra la vita e la
morte, il piacere e il dolore, sono puramente concettuali e non hanno esistenza. Nel mondo che
semplicemente 'quello' non esistono affatto. In altri termini, se vi colpisco con sufficiente forza, 'Ahi', non
sentite dolore. Se siete nella condizione denominata 'non pensiero', c' una determinata esperienza, ma non
la chiamate 'dolore'. Quando eravamo piccoli, e gli altri bambini ci picchiavano, scoppiavamo a piangere e
loro ci dicevano: "Non piangere", perch volevano farci male ma nello stesso tempo non volevano farci
piangere. Ecco perch nello zen c' la pratica detta zazen, ovvero la meditazione seduta zen. Nel
buddhismo si parla delle quattro nobili posture dell'uomo: camminare, stare eretti, sedere e coricarsi;
connesse a queste, oltre allo zazen, ci sono altri tre generi di zen: il modo zen di stare eretti, di camminare e
di coricarsi. Viene detto: "Quando siedi, siedi; quando cammini, cammina; ma qualsiasi cosa tu faccia non
esitare" Naturalmente, potete anche esitare ma occorre farlo bene
Quando al vecchio maestro Hyakujo venne chiesto in che cosa consistesse lo zen, questi rispose Quando
ho fame mangio Quando ho sonno, dormo". Il postulante controbatte Beh ma non e ci che fanno tutti? Non
sei proprio come gli esseri ordmari" Oh no rispose il maestro, "gli esseri ordinari non fanno nulla del genere
quando hanno fame non si accontentano di mangiare, ma pensano a ogni genere di cose. Quando sono
stanchi non si accontentano di dormire, ma passano da un sogno all'altro". So che non piacer ai seguaci di
Jung, ma arriva un momento in cui si smette semplicemente di sognare e non ci sono pi sogni, di
conseguenza si dorme come un sasso. proprio per questo che lo zazen, ovvero il 'sedere zen', una cosa
ottima per il mondo occidentale. Abbiamo corso pi del necessario. Non c' problema, perch siamo stati
attivi, e col nostro agire abbiamo ottenuto un sacco di cose positive. Tuttavia, ecco cosa ci ha suggerito
Aristotele molto tempo fa, uno dei suoi migliori suggerimenti: "Lo scopo dell'azione la contemplazione". In
altri termini, a che fine essere sempre, continuamente, terribilmente occupati? Quando la gente indaffarata,
pensa che arriver da qualche parte, che riuscir a raggiungere la meta prefissata e a ottenere qualcosa.
C' davvero un valido motivo per agire se sappiamo che non stiamo andando da nessuna parte, e se
sappiamo agire nello stesso modo in cui danziamo, cantiamo o suoniamo, allora davvero non stiamo
andando in nessuna direzione. Stiamo semplicemente compiendo l'azione pura. Se d'altra parte vogliamo
agire con l'idea che in seguito a tale azione arriveremo in qualche posto, in cui tutto sar perfetto, ecco che
siamo ricaduti nella ruota della gabbia dello scoiattolo: condannati senza speranza a ci che nel buddhismo
prende il nome di samsara, la ruota, o rincorsa, della nascita e della morte. questa la conseguenza del
pensare di arrivare da qualche parte. Ci siamo gi, e solo una persona che ha scoperto di esserci gi
davvero in grado di agire. Una persona del genere non agisce in modo convulso con l'idea di arrivare da
qualche parte. Pu arrivarci con la meditazione camminata, e cio con un camminare che non motivato
dall'incontenibile fretta di raggiungere la propria destinazione, ma perch camminare in s stupendo e
camminare in s meditazione. Osservare i monaci zen uno spettacolo molto affascinante, perch hanno
un modo di camminare che non ha pari in tutto il Giappone. La maggior parte della gente se ne va in giro
strascicando i piedi; se invece vestita all'occidentale sfreccia via come facciamo noi. I monaci zen hanno
nel loro camminare un dondolio caratteristico: si ha quasi l'impressione che camminino come i gatti. C' un
qualcosa nel loro stile che indica la mancanza di esitazioni: vanno per la loro strada normalmente, ma il loro
camminare un camminare e basta. Non si pu agire creativamente se non sulla base della pi assoluta
calma, con la mente capace di tanto in tanto di smettere di pensare.
A prima vista la pratica seduta pu sembrare molto difficile, perch se ci si siede nel modo buddhista, le
gambe iniziano a far male. Inoltre molti occidentali ben presto si innervosiscono, perch trovano noioso stare
seduti a lungo. La ragione per cui lo trovano noioso che stanno ancora pensando; se non pensassero non
potrebbero rendersi conto del passare del tempo. Invece il mondo osservato senza il rumore di fondo del
chiacchiericcio mentale diventa interessantissimo, anzich noioso. Le visioni, i suoni e gli odori pi comuni,
cos come il succedersi delle ombre sulla porta di fronte a noi, tutte queste cose esistono senza essere
nominate, senza che si dica: "Ecco un'ombra, quello rosso, quello marrone, quello il piede di
qualcuno". Se riusciamo finalmente a smettere di nominare le cose, cominciamo a vederle. Quando una
persona dice: "Vedo una foglia", immediatamente si pensa a una cosa di forma appuntita con una sagoma
dai bordi scuri e l'interno verde pallido. Non c' nessuna foglia che sia fatta davvero cos. No, le foglie non
sono verdi. Ecco perch Lao-tzu disse: 'I cinque colori accecano l'occhio dell'uomo. Le cinque note
assordano l'orecchio dell'uomo"
Se possiamo vedere solo cinque colori, siamo ciechi; se nella musica possiamo sentire solo cinque note,
siamo sordi. Se riduciamo ogni suono a una delle cinque note, e ogni colore a uno dei cinque colori, siamo
sordi e ciechi. Il mondo dei colori senza limiti, cos come lo il mondo dei suoni. Solo smettendo di
classificare le percezioni del mondo dei colori e dei suoni possiamo veramente iniziare a vedere e ascoltare.
la disciplina, se posso permettermi l'audacia di usare tale termine, dello zazen (o meditazione) che
produce la straordinaria capacit dei praticanti zen di sviluppare grandi arti come il giardinaggio, la cerimonia
del t, la calligrafia e i grandiosi dipinti della dinastia Song e della tradizione giapponese suini-e. I maestri
zen ritrovano la magia nelle cose pi semplici della vita quotidiana, in particolar modo nella cerimonia del t,
o chanoyu, che in giapponese vuoi dire 'acqua calda per il t'. Per citare le parole del poeta Ho Koji: "Poteri
meravigliosi e attivit sovrannaturali: attingere l'acqua, portare la legna".
Sapete che talvolta, ripetendola all'infinito, si pu rendere una parola priva di senso? Prendete per esempio
la parola s'. S. S. S. S. S. S. S. S. S. Diventa ridicola. Ecco perch nell'addestramento zen si usa la
parola mu, che vuol dire 'no'. Se ripetiamo questa parola per molto tempo, finch cessa di avere significato,
diventa magica, e quello il suono. Il modo pi semplice per smettere di pensare innanzitutto pensare a
qualcosa che non abbia significato. Ora, naturalmente, parlandovi di mu, oppure del 's', del contare il respiro
oppure dell'ascoltare un suono privo di significato, quello che voglio farvi smettere di pensare per lasciarvi
affascinare dal suono. In seguito, approfondendosi la vostra concentrazione, giungerete a un punto nel quale
il suono scompare e sarete completamente aperti. A quel punto ci sar una specie di preliminare del
cosiddetto sa tori, e penserete: 'Accidenti, eccolo!". Sarete cos felici che vi metterete a passeggiare per aria.
Quando chiesero a Daisetsu Suzuki a cosa assomigliasse il satori, rispose: "Beh, come ogni altra
esperienza quotidiana, solo che si sta a quattro dita da terra". C' un altro detto secondo il quale lo studente
che ha raggiunto il satori precipita all'inferno dritto come una freccia. Se si ha un'esperienza spirituale, sia
attraverso lo zazen sia per mezzo di qualsiasi altra cosa che porti comunque a tale esperienza e si prova ad
afferrarla, dicendo. "Ecco, ci sono arrivato...", in un lampo la si perde, vola via, perch nell'istante in cui si
prova ad agguantare una cosa vivente, questa scivola via, come l'acqua tra le dita. Pi stringiamo il pugno,
pi ci sfugge tra le dita; non c' niente da afferrare perch non c' bisogno di afferrare nulla: l'abbiamo
sempre avuto sin dall'inizio.
Naturalmente possibile ottenere tale esperienza con diversi metodi di meditazione. Il problema sono quelle
persone che una volta conclusa l'esperienza se ne vantano. Dicono: "L'ho visto". Le persone che studiano lo
zen e si vantano con gli amici della lunghezza delle loro sedute e del dolore alle gambe, ripetendo com'
stata dura, sono altrettanto intollerabili. La disciplina dello zen non intesa come qualcosa di volutamente
duro, e non viene mantenuta con spirito masochista e con l'ottica puritana che la sofferenza qualcosa di
positivo. Quando andavo a scuola, in Inghilterra, la premessa educativa fondamentale era che la sofferenza
formasse il carattere. Di conseguenza tutti gli studenti pi anziani erano liberi di malmenare i pi giovani, con
la coscienza perfettamente a posto, perch dopotutto gli stavano facendo un favore. Era considerata una
cosa utile perch in tal modo i giovani potevano rafforzare il loro carattere. Per colpa di un tale
atteggiamento la parola 'disciplina' ha iniziato ad assumere una pessima fama, e l'ha conservata per lungo
tempo. Nei confronti della disciplina zen, invece, dobbiamo mantenere un atteggiamento completamente
nuovo, perch senza la sua quiete e la sua funzione pacificante la vita diventerebbe caotica. Quando alla
fine giungiamo a lasciar andare tutto, dobbiamo stare maledettamente attenti a non scioglierci e divenire
completamente liquidi, perch non c' pi nulla a cui afferrarci. Quando capita di chiedere alla gente di
sdraiarsi a terra e rilassarsi, si scopre che la maggior parte piena di tensioni, perch non crede davvero
che il pavimento la sosterr, e quindi continua a fare uno sforzo per tenersi su. Molti sono in ansia e hanno
paura che se non si tengono su, per quanto ci sia sempre il suolo a sostenerli, improvvisamente si
trasformeranno in una pozzanghera e goccioleranno via in tutte le direzioni. D'altro canto ci sono persone
che, non appena gli viene chiesto di rilassarsi, si afflosciano come uno straccio. Ora, l'organismo umano
una complessa combinazione di parti dure e molli, di carne e ossa. Nello zen c' un aspetto che non ha
niente a che vedere n col fare n col non-fare, e che tuttavia riguarda il semplice fatto che noi siamo quello
e non dobbiamo cercarlo: questa la carne dello zen. C' poi l'aspetto nel quale possiamo tornare al mondo
con un atteggiamento di non-ricerca, sapendo che siamo quello e tuttavia evitando di crollare: qui ci vogliono
le ossa dello zen. Farsi le ossa dello zen una delle cose pi difficili.
Una certa generazione di cui noi tutti siamo a conoscenza si fece una certa idea dello zen e cominci uno
stile di pittura e di scultura, nonch di vita, in cui tutto era permesso. Credo che ormai siamo guariti da quella
fase. I nostri pittori stanno cominciando a tornare all'idea di bellezza, allo splendore della chiarezza
espressiva e dei colori vividi. e non c' stato nulla di simile sin dalle vetrate di Chartres. un buon segno,
ma richiede la presenza di un senso di libert nella nostra vita quotidiana. Non sto parlando della semplice
libert politica. Mi riferisco alla libert che provocata dal sapere che si quello, per sempre, senza limiti, e
sar cos bello quando arriver la morte, perch ci sar un cambiamento, ma quello torner in qualche altra
forma. Se abbiamo capito tutto ci, se abbiamo penetrato la natura del miraggio universale, a quel punto
dobbiamo stare attenti, perch possiamo avere in noi dei semi di ostilit, semi di orgoglio, semi che ci
spingono a voler umiliare gli altri, o a voler semplicemente sfidare le normali regole della vita. Ecco perch
nei monasteri zen ai novizi vengono assegnati i compiti pi leggeri, e pi anziani si , pi sono impegnativi i
propri doveri. Per esempio, spesso la pulizia della toilette tocca al roshi. Vediamo in ci una splendida
concezione estetica, molto raffinata, perch proprio il rispetto continuo di tale ordine evita che tutta l'energia
contenuta nel sistema ci dia alla testa. La comprensione dello zen, la comprensione del risveglio, ovvero la
comprensione dell'esperienza mistica una delle cose pi pericolose al mondo, e per la persona che non
pu contenerla, equivale a far passare una corrente di un milione di volt in un rasoio elettrico. Si esce fuori di
testa e fuori si rimane.
Chi esce in questo modo viene definito pratieka-buddha: uno che penetra nel mondo trascendente e non
torna pi indietro. Dal punto di vista del buddhismo ha commesso un errore, perch nel buddhismo non c
differenza fondamentale tra il mondo trascendente e il mondo di tutti i giorni. Il Bodhisattva non raggiunge il
nirvana e vi resta poi perpetuamente; torna indietro e vive una normale vita quotidiana, per aiutare gli altri
esseri a comprendere anche loro. Non che torni indietro perch ha preso una sorta di solenne impegno ad
aiutare l'umanit, o per una qualsiasi altra pia inclinazione. Torna perch ha visto che i due mondi sono
identici, e vede tutti gli altri esseri come Buddha. Per usare una frase di G. K. Chesterton: "Ora per strada
qualsiasi cenno umano sembra una gran cosa, una ben strana democrazia, un milione di maschere di dio".
fantastico osservare la gente e scoprire che in realt, nel loro intimo, sono illuminati e sono quello, sono i
volti del divino. Ci guardano e dicono:
"Oh no, ma io non sono divino, sono un semplice e ordinario me stesso". Noi torniamo a osservarli in quel
modo curioso e scopriamo la natura Buddha, che ci viene incontro dal loro sguardo mentre dicono che non
lo e, e lo dicono con assoluta sincerit. Ecco perch quando ci troviamo a faccia a faccia con un grande
guru, con un maestro zen, questi ci osserva con quel suo strano sguardo. Gli diciamo: "Maestro, ho un
problema. Sono veramente confuso e non capisco". Lui ci scruta ancora in quel modo particolare, finch
pensiamo: "Povero me! Sta leggendo i miei pensieri pi nascosti. Sta guardando tutte le mie negativit, la
mia codardia, tutti i miei difetti". Niente di tutto ci. Non nemmeno interessato a quelle cose. Volendo usare
una terminologia Induista, sta osservando lo Shiva in noi e gli sta dicendo: "Mio dio, Shiva, perch non vieni
fuori?".
Il Bodhisattva, al contrario del pratieka-buddha, non si rifugia in un'estasi permanente, non entra in una
specie di samadhi catatonico. Non che io voglia criticare tali condizioni: ci sono persone che possono farlo
perch la loro vocazione, la loro specialit. Proprio come una cosa lunga il corpo lungo del Buddha e una
cosa breve il corpo breve del Buddha, se giungiamo davvero a comprendere lo zen, ci rendiamo conto che
l'idea buddhista di illuminazione non inclusa nella nozione di trascendente. N d'altra parte inclusa nella
nozione di ordinario, o in termini quali finito e infinito, eterno o temporale: sono tutti concetti.
Non sto parlando di regolare la normale vita quotidiana secondo una prospettiva metodica e ragionevole;
non vi sto dicendo: "Se foste delle brave persone, ecco come dovreste comportarvi". Per amor di dio, non
cercate di essere 'brave persone'. Ma se non possedete quella struttura fondamentale basata su un certo
tipo di ordine e di disciplina, allora la forza della liberazione fa esplodere il mondo: e una corrente troppo
forte, che un semplice cavo elettrico non pu reggere.
Quindi diventa terribilmente importante andare oltre la prospettiva dell'estasi. S, l'estasi carne soffice e
amabile, da abbracciare e baciare, e in ci non c' niente di male. Tuttavia, oltre l'estasi ci sono le ossa, ci
che chiamiamo la dura realt dei fatti, ci che ci accade nella vita quotidiana. Non dovremmo dimenticarci di
citare i fatti pi piacevoli, e ce ne sono molti. Ma la realt nuda e cruda, il mondo percepito nella condizione
ordinaria, quotidiana, della nostra coscienza non differente dal mondo dell'estasi suprema. Supponiamo
che, come spesso accade, la nostra concezione dell'estasi sia riferita all'interiorit, al percepire una luce. C'
una poesia zen che dice: "L'improvviso scoppio del tuono, le porte della mente che cedono e si spalancano,
e l siede un vecchio ordinario". C' quest'improvvisa visione, il satori, le porte della mente si aprono ed
ecco che nel mezzo della scena c' un vecchio, una persona ordinaria. Il nostro piccolo s. Lampi, una
cascata di scintille. Nel tempo di un batter di ciglia non siamo stati in grado di vedere. Perch? Perch la
luce qui; la luce... Ogni mistico del mondo ha visto la luce, quella brillante energia fiammeggiante che
rinchiusa in ogni cosa, pi brillante di migliaia di soli. Ora provate: immaginate di percepirla, proprio come
potreste vedere l'aura intorno ai Buddha, proprio come se si trattasse della visione beatifica di Dante alla fine
del suo viaggio nel paradiso. Vivida, davvero vivida, una luce cos brillante che come la chiara luce del
vuoto nel Libro dei Morti tibetano; qualcosa di cos brillante da superare persino la luce stessa. La vedete
ritirarsi, e ai margini c' come una grande stella, che diventa un bordo di colore rosso, e poi arancione, giallo,
verde, blu, indaco e viola; vedete apparire quel grande mandala, come un grande sole. Oltre il viola c' il
nero, un nero che ricorda l'ossidiana, non una tinta opaca, ma quasi trasparente, come lacca. Ancora, dal
nero scaturisce il suono, proprio come dallo yin viene lo yang. Assieme alla luce bianca c' un suono cos
formidabile che non riuscite a sentirlo, cos perforante da far saltare le orecchie. Quindi, insieme ai colori il
suono discende la scala degli intervalli armonici, sempre pi gi sino a raggiungere un profondo rimbombo,
talmente vibrante da diventare qualcosa di solido, e si comincia a percepirne l'analoga gamma strutturale.
Ora, per tutto questo tempo avete continuato a osservare una specie di fenomeno radiante, che per dice:
Sai, non tutto qui quello che so fare", al che i raggi prendono a muoversi, a danzare, e in modo del tutto
naturale anche il suono comincia a scuotersi, a oscillare, cos come capita. Poi le strutture iniziano a mutare,
e dicono: "Bene, sei stato qui a osservare questa cosa mentre continuavo a descriverla fino al limite delle
due dimensioni. Ora aggiungiamo una terza dimensione, ti arriver proprio ora". Nel frattempo, continua:
"Non stiamo procedendo solo cos, muovendoci in questo modo, ora facciamo qualche piccolo ghirigoro, e
poi in circolo, cos . E prosegue: Bene, non che l'inizio, possiamo andare dappertutto, fare angoli retti e
giravolte", all'improvviso potete vedere tutto sin nei minimi dettagli che diventano talmente intensi da poter
contenere molte piccole figure all'interno di quella che pensavate fosse originariamente la figura principale. Il
suono comincia a evolversi, raggiungendo una sorprendente complessit, onnipervadente, e tutto questo
fenomeno continua ad andare avanti, avanti, avanti, finch pensate di stare per uscire di testa, e
all'improvviso diventa... Ma s, siamo noi, seduti qui intorno. Grazie, grazie di cuore.

Taoismo e Zen

Secondo me la vita un processo spontaneo. Il termine cinese per "natura" tzu-jan, che, significa "ci che
spontaneamente quello che ", "ci che accade". E' ben curioso che sia proprio la nostra grammatica, la
stessa che regola tutte le principali lingue europee, ad impedirci di immaginare un processo che accade
spontaneamente. Ogni verbo deve avere un pronome per soggetto, deve avere un agente, e noi di norma
pensiamo che una cosa non sia al proprio posto se non c' qualcuno o qualcosa che le assegna quel posto,
se non c' un responsabile; di conseguenza l'idea di un processo che avviene totalmente da solo ci
spaventa: ci sembra che manchi l'autorit. " .... "Quello di cui sto parlando il nostro senso d'identit, il
nostro senso d'alienazione, e le complicazioni in cui ci cacciamo vedendo la nostra sopravvivenza come un
dovere." .... " Sapere d'essere Dio il marchio della follia. E' assolutamente tab, particolarmente nella
religione cristiana. Per averlo saputo, Ges fu crocifisso e i cristiani hanno detto: "D'accordo, Ges era Dio,
ma finiamola qui. Nessun altro".Il Vangelo la rivelazione per noi tutti di qualcosa che gli indiani hanno
sempre saputo: "Tat tvam asi", tu sei quello! Se Ges fosse vissuto in India, si sarebbero congratulati con lui
per aver scoperto d'essere Dio, anzich crocifiggerlo. Ci sono stati molti in India che hanno saputo d'essere
Dio sotto mentite spoglie. Sri Ramakrishna, Sr Ramana Maharshi, Krishna e il Buddha: tutti costoro l'hanno
scoperto, poich non una rivendicazione esclusva che uno avanza per s, d'essere quello, tutti sono
quello, e nel momento in cui uno guarda negli occhi dell'altro vede l'universo che lo guarda a sua volta. Per
cui siamo in una situazione n cui tab sapere d'essere Dio, e non dobbiamo ammettere che sappiamo chi
siamo, in modo da avere l'emozione, l'effetto mozzafiato del sentirci perduti, sentirei alienati, sentirci soli,
privi, d'appartenenza. Nel linguaggio quotidiano noi affermiamo che veniamo al mondo, ma in realt non
facciamo nulla del genere. In realt proveniamo dal mondo. Proprio come il frutto che proviene dall'albero,
l'uovo dalla gallina, il neonato dal grembo della madre, noi siamo sintomatici dell'universo. Esattamente
come nella retina ci sono miriadi di piccole terminazioni nervose, noi siamo le terminazioni nervose
dell'universo. E succedono cose affascinanti. Dal momento che noi siamo tanti, l'universo ha tante facce; per
cui il suo punto di vista di se stesso non sar di pregiudizio. Siamo qui e vogliamo scoprire cosa succede
intorno a noi. Guardiamo attraverso i telescopi per scoprire le cose pi remote, e attraverso i microscopi per
scoprire il cuore delle cose; e quanto pi sofisticati si fanno i nostri strumenti tanto pi preciptosamente il
mondo ci sfugge. Quanto pi potenti diventano i nostri telescopi tanto pi l'universo si espande. Siamo noi
stessi che sfuggiamo a noi stessi. Sapete, alcuni anni fa pensavamo di esserci riusciti. Avevamo trovato una
cosa chiamata atomo e sembrava fatta. Ma a quel punto, hop!, salta fuori l'elettrone. E dopo ancora, bang, il
protone. E superate tutte quelle cose, ecco arrivarne ogni sorta di nuove: mesoni, antiparticelle, e via via
sempre peggio. Siamo un sistema autosservante che somiglia al serpente, l'uroboro, che si morde la coda e
cerca di ingoiarsi per scoprire cos'. E questo che in realt la ricerca del "Chi sono io". Diciamo "Mi
piacerebbe vedermi": ma proviamo a guardarci la testa. Riusciamo a vederla? Non nera e non c' neppure
uno spazio vuoto dietro agli occhi - solo una semplice assenza. E qui la storia s'nterrompe. La maggior
parte di noi d per scontato che lo spazio sia nente, che non conti e non contenga energia. Ma un dato di
fatto che lo spazio la base dell'esistenza. Come potremmo avere le stelle se non ci fosse lo spazio? Le
stelle si accendono a causa dello spazio e ci sono cose che vengono fuori dal nulla esattamente alla stessa
maniera, come quando, ascoltando senza niente di' particolare in mente, sentiamo i mille suoni del silenzio.
E' stupefacente. Il silenzio l'origine del suono esattamente come lo spazio l'origine delle stelle e la donna
l'origine dell'uomo. Se ascoltate e prestate profondamente attenzione a ci che , scoprirete che non c'
un passato n un futuro, n un ascolto. Non potete udirvi ascoltare. Vivete nell'eterno presente e siete
l'eterno presente. Veramente di una semplicit straordinaria, e le cose stanno proprio cos. Tornando al
nostro discorso: ho iniziato dicendo che la sopravvivenza, il continuare a vivere un processo spontaneo; e
l'amore qualcosa di molto simile. Il problema che quando eravamo bambini, le persone pi grandi di noi,
quelle che sapevano tutto, ci hanno detto che era nostro dovere amarle. Dio ha detto: "Amerai il Signore Dio
tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Amerai il prossimo tuo come te
stesso". E analogamente, nostra madre ci ha detto: "Devi andare al bagno dopo colazione", "Cerca di
addormentarti", "Togliti quell'espressione dal viso", "Smetti di tenere il broncio", "Perch stai arrossendo",
"Fatti animo!", "Fai attenzione!". E tutti questi sono ordini basati su una regola fondamentale: si esige che tu
faccia ci che ha un senso solo se fatto spontaneamente. Questa la formula. Tu devi "amarmi". E' un
doppio legame, e questo fatto ci rende tutti estremamente confusi. Se il marito dice alla moglie: "Tesoro, mi
ami?", lei potrebbe rispondere: "Faccio del mio meglio". Ma nessuno vorrebbe una risposta del genere. Tutti
vogliono sentirsi rispondere "Ti amo tanto che ti mangerei. Non riesco a non amarti, puoi fare di me ci che
vuoi". Per cui siamo costretti a continuare ad amare, esattamente come siamo costretti a continuare a
vivere. Sentiamo che dobbiamo continuare, che nostro dovere. Siamo stanchi di vivere e paurosi di morire,
ma dobbiamo andare avanti. Perch? Beh, si risponde, ci sono altri che dipendono da me, ho dei figli e devo
continuare a lavorare per mantenerli. Ma tutto questo insegna ai figli lo stesso atteggiamento, per cui
continueranno anche loro a trascinarsi per mantenere loro figli, che a loro volta impareranno da loro a
trascinarsi, costi quello che costi. Cos io osservo con totale sbigottimento come il mondo va avanti. Vedo
tutti quelli che fanno i pendolari, che guidano l'auto come forsennati per correre in un ufficio a guadagnare
soldi - per cosa? Per poter continuare a fare le stesse cose: e a pochissimi di loro tutto questo piace. La
persona intelligente si fa pagare per giocare - questa l'arte del vivere. Ma l'intera idea di lottare e
ammazzarsi di fatica per andare avanti a vivere totalmente prva di senso. Albert Camus, all'inizio del suo
Mito di Sisifo, ha fatto un'affermazione estremamente saggia: "L'unica domanda fondamentale che ci si deve
porre nella vita se suicidarsi o no. Rifletteteci sopra. Dovete continuare? Sarebbe tanto pi semplice
smettere. Niente pi problemi, nessuno pi che si lamenta che non ce la fa pi. Che effetto fa la morte?
Andare a dormire e non risvegliarsi. Oh, com' terribile restare al buio in eterno! Ma non sarebbe niente del
genere. Non sarebbe essere sepolti vivi per sempre. Sarebbe non essere mai esistiti. Non soltanto non
essere mai esistiti noi, ma che non sia mai esistito niente in assoluto; la qual cosa esattamente com'era
prima che nascessimo. Proprio come abbiamo una testa che non possiamo vedere, cos la nostra realt
ultima o la sostanza del nostro essere il nulla. Shunyata il termine usato dal Buddhismo per il vuoto,, che
spazio, che coscienza, che quello in cui "noi viviamo e ci muoviamo e abbiamo il nostro essere" - Dio, il
Grande Vuoto. Fortunatamente, non c' modo di sapere che cos', ch se potessimo saperlo, ne saremmo
tediati. C' stato un grande filosofo olandese, Van Der Leeuw, che ha detto: Il mistero della vita non un
problema da risolvere ma una realt da sperimentare". Fortunatamente, nel pieno di tutta la consapevolezza,
ecco l'eterna domanda, l'eterno problema del non conoscere la realt delle cose. Di conseguenza la vita
conserva il suo interesse. Siamo sempre l, che tentiamo di scoprre; ma la vita non offre risposte. L'unico
modo di rispondere alla domanda: "Che cos' la realt" classificarla. Sei o sei non ? Sei maschio o sei
femmina? Sei repubblicano o se democratico? Sei animale, vegetale, minerale, stagnino, sarto, soldato,
marinaio, ricco, povero, mendicante, ladro? Siamo tutti classificati, ma quello che fondamentalmente non
rientra in nessuna classificazione possibile. Nessuno sa che cos' ed impossibile porre la domanda in una
maniera che abbia un senso. Sono molte le teorie filosofiche su che cosa la realt. Ci sono quelli che
dicono: "Bene, la realt materiale; sapete, c' una cosa chiamata materia". E i filosofi, sempre impegnati
nelle loro lezioni sulle cattedre delle universit, picchiano inevitabilmente la mano sul piano della cattedra e
dicono: "Ora, questa cattedra ha o non ha una realt". Quando il dottor Johnson senti parlare della teoria del
vescovo Berkeley che ogn cosa in realt mentale, la sment tirando un calcio a un sasso e dicendo: "Di
sicuro, per chiunque abbia un po' di cervello, questo sasso concretamente fisico e materiale". Laddove, sul
versante opposto, pensatori pi sottili dicono: "No, non c' niente di materiale, tutto una costruzione
mentale. Il mondo intero un fenomeno di coscienza". Ai tempi del vescovo Berkeley non si sapeva molto di
neurologia. Ma oggi ne sappiamo molto di pi e possiamo sostenere la stessa teoria in maniera assai pi
sofisticata: la struttura del nostro sistema nervoso che determina il mondo che vediamo. In altre parole, in
un mondo senza occhi il sole non sa-rebbe luce. In un mondo senza terminazioni nervose tattili il fuoco non
scotterebbe. In un mondo privo di muscoli, le pietre non sarebbero pesanti, e in un mondo senza epidermide
le pietre non sarebbero dure. E tutta una questone di relazione, per capirci. Nella vecchia domanda:
"Quando in una foresta cade un albero e nessuno lo sente, l'albero fa rumore o no?", La iisposta
assolutamente semplice. Il rumore una relazione fra le vibrazioni dell'aria e i timpani delle orecchie. Se
colpisco un tamburo che non ha la pelle, posso colpire quanto forte voglio, non provocher nessun suono.
Per cui l'aria pu continuare a vibrare in eterno: se non c' il timpano dell'orecchio o non c' il sistema uditivo
non ci sar nessun rumore. Noi in viit della nostra struttura fisica evochamo il mondo delle vibrazioni, che
diversamente sarebbero il vuoto. Noi creiamo dal vuoto ma siamo anche nel mondo. Il nostro corpo, il nostro
sistema nei-voso, sono qualcosa che esiste nel mondo esteriore. Tu sei nel n-iio mondo esteriore e io sono
nel tuo mondo esteriore. Per cui una situazione del tipo di quella dell'uovo e della gallina, assolutamente
affascinante. Da un punto di vista neurologico molto concreto, noi evochiamo il mondo in cui viviamo e al
tempo stesso siamo qualcosa che il mondo sta creando. Dopotutto, lo scienziato spiegher che ognuno di
noi un vorticare di sostanze e processi elettronici, cos come ogni altra cosa. E tutto un'unica danza, ed
assolutamente meraviglioso perch prende coscienza di s stesso attraverso noi. L'intera esistenza una
vibrazione, e tutte le vibrazioni hanno due aspett di fondo. Uno lo chiameremo 'acceso' e l'altro 'spento'. ".."
Tutto ci che ci succede un accendersi e spegnersi, accendersi e spegnersi continuo. Prendiamo la
sensazione della luce. La vibrazione della luce talmente veloce che la retna non registra lo spento, ma
trattiene l'impressione dell'acceso: di conseguenza i nostr occhi vedono le cose come relativamente stabili.
Ma se chiudiamo gli occhi e c concentramo sull'ascolto, udiamo tanto l'intensificarsi che lo smorzars della
vibrazione sonora, n pallicolare nei regstri bassi del suono. Nei registri alti non riusciamo a udire lo
smorzarsi, udiamo solo l'intensificarsi. Ma quando entriamo nei registri bassi, udiamo il forte e il piano della
vibrazione. In realt tutto ci che esiste nel mondo fisico pulsazione, elettrcit positiva e negativa.
Leggete i primi due paragrafi della voce "Elettricit" nella quattordicesima edizione dell'Enciclopedia
Britannica. Si tratta di un dotto articolo scientifico con ogni sorta di informazioni tecniche e di formule, che
per inizia in chiave puramente metafisica. "L'elettricit", afferma l'autore, un assoluto. Non conosciamo
niente altro di simle. E' un fondamentale e vi rendete conto che un discorso di teologia pura. Perci cos
stanno le cose: tutto si accende e si spegne, tutto pulsa, feinmina e maschio, Yin e Yang, ora lo vediamo ora
non lo vediamo. La cultura occidentale del diciannovesimo secolo, in cui siamo cresciuti, ci ha educati a
pensare che quest'energia che pulsa organicamente stupida, un fatto puramente meccanico. Freud l'ha
chiamata 1ibido'. Altri l'hanno chiamata energia cieca, con la conseguenza che noi sentiamo di essere, in
quanto esseri umani, fi-titto del caso. Un milione di scimmie al lavoro su un milione di macchine da scrivere
per un milione d'anni potrebbero, dal punto di vista statistico, tirar fuori la Bibbia. Naturalmente, una volta
arrivate alla fine, tornerebbero a dissolversi nell'insensatezza. Cos noi siamo stati educati a sentirei frutto
del caso, dei puri accidenti. Questa alienazione, e questo il grande problema. Per me assolutamente
ovvio che non siamo accidenti. C' chi dice che non siamo altro che microbi striscianti attorno a una sfera di
roccia, che ruota attomo a una stella insignificante, all'estrema periferia di una galassia minore. Perch la
gente dice cose del genere? Per poter affermare: 1 sono un tipo realistico. Non ho paura di guardare la
realt in faccia, ed una realt dura. L'idea che lass ci sia qualcuno che si prende cura di noi un'idea per
vecchiette e rammolliti e io penso che quest'universo sia un mucchio di merda". Questo il messaggio che
captiamo da certe persone. Analizzate sempre la filosofia di una persona e saprete che cosa questa persona
pensa di se stessa. La nostra filosofia il nostro ruolo, il gioco che scegliamo di giocare. lo ammetto che la
mia filosofia il modo in cui io imposto il mio gioco. E' la mia grande recita. E se devo mettere in scena
qualcosa, metter in scena il pi grande spettacolo di cui sono capace e dir: "Al diavolo tutte le chiacchiere,
so benissimo che sono impeirnanente, che sono una manifestazione precaria di un che-che-non-c'-niente-
di-pi-che". E questo quello che voglio. Sono una manifestazione della sostanza stessa dell'universo, che
ci che tutti gli uomini chiamano Dio, Atman o Brahman. E penso che sia fantastico saperlo. E fantastico
sapere che' non solo una teoria, ma una sensazione positiva e reale dentro di te. A questo punto la mia
funzone , se e per quanto possibile, di pai-tecipare agli altri questa sensazione, cosi che non abbiano pi
bisogno di psicoterapia, n di guru o di religioni - che siamo liberi, semplicemente.

E' qui che la psicologia dell'Occidente pu prendere lezione dalla psicologia dell'Oriente, la quale presta pi
attenzione al modo di accettare e meno alle cose da accettare. Essa interessata a creare uno stato
mentale preparato a ogni eventualit, a ogni sorpresa che venga sia dall'universo esterno sia dall'universo
interno. Troppo poco risalto dato a questo aspetto dell'opera da sconsiderati professionisti della psicologia
dell'inconscio, cos che facilmente l'analisi risulta piuttosto astratta dalla vita. L'analisi non qualcosa a cui si
possa lavorare solo di notte, nel paese dei sogni, e la salute psicologica non pu essere comperata a cento
dollari la visita ogni gioved pomeriggio. Una sera un amico mi telefona e mi annuncia che deve rincasare
presto perch il suo analista lo ha incaricato di affrontare un problema". Quando necessario rincasare
presto, chiudersi in camera, sedersi solennemente, prendere da un cassetto il problema e affrontarlo,
cominciamo a chiederci con stupore che cosa sia avvenuto di una certa indispensabile qualit chiamata
umorismo. L'analisi non deve assolutamente astrarsi dalla vita, ma, quando si d eccessivo risalto al sogno,
al simbolismo inconscio, al disegno e alla pittura inconsci, e alla vita di fantasia in generale, si corre il rischio
di dividere la vita in due met e trascurare i rapporti che le legano, come se l'intero processo non richiedesse
altro che di essere sviluppato nel mondo del sogno e della fantasia.
Molte di queste difficolt sarebbero superate, se coloro che non possono giovarsi di un savio analista,
avessero la chiara intelligenza dei fini dell'opera psicologica, e anche qui la visione di sistemi orientali come
il Taoismo e varie forme di Buddhismo molto indicativa. Infatti qui l'obiettivo non raggiungere uno stadio -
particolare; trovare il giusto atteggiamento mentale in quale che sia lo stadio in cui possa capitare di
trovarsi. Questo, a dire il vero, un principio fondamentale di quelle forme di psicologia orientale che
passeremo in rassegna. Nel corso della sua evoluzione l'uomo passer attraverso un numero indefinito di
stadi; si arrampicher sulla cresta di un monte per trovare la strada che lo porti oltre la cresta di un altro e di
un altro ancora e cos all'infinito. Nessuno stadio definitivo, perch il significato della vita sta nel suo
movimento e non nel luogo verso cui si muove. Un nostro proverbio dice che viaggiare bene meglio che
arrivare, il che si avvicina all'idea orientale. La saggezza non consiste nell'arrivare a un luogo particolare e
non si deve pensare che la si raggiunga necessariamente con l'arrampicarsi su una scala i cui pioli sono gli
stadi successivi dell'esperienza psicologica. Quella scala senza fine e l'accesso all'illuminazione, alla
saggezza o alla libert spirituale si pu trovare su uno qualunque dei suoi pioli. Se lo scopri, non significa
che non dovrai continuare ad arrampicarti su per la scala; dovrai continuare ad arrampicarti esattamente
come dovrai continuare a vivere. Ma l'illuminazione si trova con la piena accettazione del posto dove ti trovi
ora. L'uomo moderno si trova nello stadio dell'evoluzione umana in cui c' una divisione massima fra il suo Io
e l'universo; per lui l'illuminazione l'accettazione totale di quella divisione. Le tecniche psicologiche
falliscono perch non si accettano pienamente i vari stadi coinvolti; questi si accettano con il solo scopo di
raggiungere una certa meta, come per esempio lo stato di "individuazione" simboleggiato dal mandala. In tali
circostanze quello stato si pu raggiungere" ma non vi si trova ci che intimamente si desidera. Il risultato
che quanti immaginano di aver completato quella fase di lavoro psicologico, sono spesso infelici come
sempre.
La semplice esplorazione dell'inconscio non porta alla saggezza, perch uno sciocco potr imparare molto e
sperimentare molto, ma sar sempre uno sciocco. Diventa saggio solo quando ha l'umilt di lasciarsi libero
di essere uno sciocco. Come dice Chuang Tze: "Chi sa di essere uno sciocco non un grande sciocco".
Infatti lo sciocco si rivela sempre per il suo orgoglio, per l'illusione che la grandezza si misuri semplicemente
con il metro della sapienza psicologica e che caricandosi di nuove esperienze diventer saggio. La
psicologia dell'inconscio il suo felice terreno di caccia. "Dopo cinque o sei anni di analisi", egli pensa, "se
lavorer sodo e passer attraverso tutti gli stadi necessari, diventer una persona reale, un uomo autentico,
libero". Veramente quei cinque anni di lavoro (la cui realizzazione richieder anche l'istupidimento
dell'analista) potranno insegnargli qualcosa, se per avventura gli mostreranno che egli simile a quel
somaro che cercava il fuoco con la lanterna accesa. Talvolta il giro pi lungo la via pi breve per tornare a
casa.
La via dell'accettazione e della libert spirituale si trova non con l'andare da qualche parte, ma nell'andare, e
lo stadio in cui se ne pu conoscere la felicit ora, in questo stesso momento, nello stesso posto in cui ti
capita di stare. Sta nell'accettare pienamente lo stato della tua anima, qual ora, non nel tentare di portarti
con la forza in un altro suo stato, che per orgoglio immagini che sia superiore e pi progredito. Non si tratta
di sapere se il tuo stato presente sia buono o cattivo, nevrotico o normale, elementare o progredito; si tratta
di sapere quale sia. L'essenziale non accettarlo al fine di passare a uno stato "superiore", se cosi si pu
chiamare. A mo' di illustrazione, ecco la storia di come il saggio Buddhista Hui-neng illumin Chen Wei-ming,
il quale ]o aveva inseguito per rubargli il mantello e la ciotola delle elemosine del Buddha. Hui-neng li aveva
deposti su una roccia e, quando Chen and per sollevarli, trov che era impossibile. Preso dal terrore, Chen
protest che non era venuto per il mantello e la ciotola, ma per la saggezza che rappresentavano. " Poich
sei venuto per il Dharma", disse Hui-neng, "non pensare al bene, non pensa re al male, ma vedi quale sia la
tua vera natura (letteralmente: " faccia originaria " ) in questo momento ". A queste parole, Chen fu
d'improvviso illuminato; grondando di sudore e salutando Hui-neng con lacrime di gioia, domand: "Oltre a
queste parole segrete e a questi occulti significati che mi hai appena largiti, c' qualcos'altro di segreto?".
Hui-neng rispose: "In ci che ti ho rivelato non c' nulla di segreto. Se rifletti e riconosci la tua vera natura, il
segreto in te"."
Allan Watts

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