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14/11/2017 TUTTI I SEGRETI E GLI UOMINI DI QUEL PALAZZO PALERMITANO - la Repubblica.

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TUTTI I SEGRETI E GLI UOMINI DI PERSONE

QUEL PALAZZO PALERMITANO


ENTI E SOCIET
PALERMO - "Dottore, ma lei sa sparare davvero?". Il "dottore", un uomo
piccolo con i capelli nerissimi, sigaretta in bocca e piedi sulla scrivania,
LUOGHI
accenna un sorriso, sfiora il calcio della sua Magnum 357 e non risponde. La
stanza, al primo piano di un vecchio palazzo di Piazza della Vittoria, piena
di fumo e di cronisti curiosi. E' l' ultima sera dell' ottobre ' 79, e a Palermo si
insedia il nuovo capo della squadra mobile. Si chiama Giuseppe
Impallomeni, catanese, grado: vicequestore, in tasca una tessera della P2.
E' appena arrivato in citt per sostituire un altro poliziotto: Boris Giuliano, "lo
sceriffo" assassinato dalla mafia. Un pezzo di storia della Questura di
Palermo comincia e finisce in questa piovosa serata di autunno. Una storia di
morte e di misteri, di coraggiosi funzionari dello Stato catapultati in trincea e
di altri personaggi, sicuramente meno brillanti ma pi attenti alla direzione dei
venti. Torniamo agli ultimi giorni di quell' ottobre. E ricordiamo cosa aveva da
raccontare Giuseppe Impallomeni, il nuovo dirigente della "mobile":
"Sconfiggeremo le cosche; estirperemo il bubbone mafioso...". Tutti lo
ascoltavano, ma fissavano la grande fotografia appesa alla parete: un uomo
dalla faccia larga, baffoni spioventi e occhi tristi. Era il ricordo di Boris
Giuliano, il poliziotto pi amato, forse l' unico, di una Palermo che proprio in
quei mesi, stava trasformandosi nella capitale del crimine organizzato.
Impallomeni parlava, parlava, ma i pensieri andavano a lui: al "Joe Petrosino"
di casa nostra, allo "sbirro" che da giovane avrebbe voluto fare il giornalista e
che invece era diventato poi il migliore segugio delle due Sicilie. Allevato alla
scuola "americana" (volava negli States un paio di volte l' anno per incontrare
tutti i grossi agenti del Narcotic Bureau), alla fine degli anni 70 era
considerato "l' uomo della Fbi" a Palermo. Nel bene e nel male, Boris
Giuliano riusc, per primo, a trasformare i metodi d' indagine, intuendo che la
lotta alla mafia, ormai, si giocava su un terreno nuovo. A consigliarlo, seguirlo
passo dopo passo, c' era un altro poliziotto: Bruno Contrada, adesso
questore all' alto commissariato, ex capo della Criminalpol-Sicilia e, anche
lui, ex dirigente della "mobile". Un tandem che rappresent una "svolta
storica" nelle vicende giudiziarie siciliane. Fino ad allora, infatti, la filosofia
che imperava tra i nostri poliziotti (ma anche tra giudici, carabinieri, finanzieri,
squadriglie antimafia...) era una sola: "Finch si ammazzano tra loro sono
affari che non ci interessano...". Erano gli anni dei "confidenti" che dicevano e
non dicevano. Al massimo chiarivano un piccolo particolare, offrivano una
vaga e confondibile traccia... Boris Giuliano e Bruno Contrada riuscirono
invece a creare un' quipe investigativa che faceva tremare. Non solo i
rapinatori o i quattro "malacarne" del Capo e della Vucciria, ma anche i
mafiosi: boss, banchieri in odore di cosca, costruttori arricchitisi in un baleno,
burocrati della Regione, faccendieri del Comune. I due, insieme,
individuarono tanti anni fa tutto quello che contenuto oggi nei rapporti e nei
dossier: la "zona grigia", l' area della contiguit mafiosa, gli intrecci, le
connivenze. Una linea vincente che port Boris Giuliano, prima nelle
casseforti di una banca e poi sulle orme di Michele Sindona appena
scomparso da New York. Giuliano comprese cosa stava succedendo nell'
isola e si circond di uomini capaci e fidatissimi: Tonino De Luca, un "duro",
allora capo della "omicidi" e oggi funzionario della Criminalpol per l'
"antidroga"; Vittorio Vasquez, capo della "investigativa" (il cuore delle
indagini) ora dirigente della squadra mobile di Verona; Ignazio D' Antoni,
attuale responsabile della Criminalpol di Palermo; Vincenzo Boncoraglio,
inviato da alcuni mesi a Bangkok per controllare i movimenti dei trafficanti in
Estremo Oriente. E ancora: Crimi, Muscarello, Incalza. Una squadra mobile
efficientissima che tent un' operazione in passato nemmeno pensabile: l'
aggancio con i carabinieri. Tutti sanno bene quanto, anni fa, era grande e
anche ridicola, la "concorrenza" tra la polizia di Stato e l' Arma. A Palermo,
questa sfida fu addirittura plateale. Fu cos per il bandito Salvatore Giuliano
ma anche, molti anni dopo, per la strage di Ciaculli, nell' inverno del 1963.
Erano i mesi in cui i boss facevano esplodere le "Giuliette": imbottivano le
auto di tritolo e poi lanciavano l' allarme: "C' una macchina posteggiata da
un paio di giorni in una strada deserta...". Poliziotti o carabinieri arrivavano e
saltavano in aria. In Questura, allora, comandavano funzionari che furono
costretti a subire i primi tentativi mafiosi per impadronirsi della citt. C' erano i
questori Madia, Li Donni, Migliorini, poi venne il capo della mobile Nino

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Mendolia e poi ancora, ad occupare la poltrona di vicequestore vicario, tocc
ad Emanuele De Francesco, futuro alto commissario per la lotta alla mafia.
Tutti funzionari ai quali stata riservata poi una brillantissima carriera
romana. Per i boss, il vero pericolo, arrivato con Boris Giuliano: una mina
vagante. Muore cos "lo sceriffo", ammazzato con quattro colpi di pistola alla
schiena dentro il bar sotto casa. "Il killer, prima di s parare, tremava...".
Racconter il barman, unico testimone, durante l' interrogatorio. Boris
Giuliano maneggiava la pistola come un pistolero del West: il suo assassino
poteva sorprenderlo soltanto alle spalle. Erano le sette e cinquanta del 21
luglio 1979: dieci giorni prima, a Milano, avevano ucciso l' avvocato Giorgio
Ambrosoli e, dieci giorni dopo, a Palermo, si nascondeva il bancarottiere
Michele Sindona. Su don Michele e la sua banda di mafiosi (gli Spatola, gli
Inzerillo, i Gambino, i Di Maggio), di piduisti (Joseph Miceli Crimi, Francesco
Longo), di amici e di amici degli amici, e sulla morte di Boris Giuliano, ecco
che deve indagare Giuseppe Impallomeni. Accanto a lui, questore di
Palermo, c' un altro funzionario sbarcato improvvisamente in Sicilia. E'
Giuseppe Nicolicchia: non iscritto alla P2 ma all' "Ompam", una
organizzazione massonica fondata da Licio Gelli nel 1972 a Rio de Janeiro.
Sono loro i nuovi capi della polizia giudiziaria: sono loro che devono scoprire
tutti i misteri di Palermo. La prima mossa, in una squadra mobile paralizzata
dai sospetti e dalle paure, provoca sbigottimento: tutti i funzionari dell'
organismo costruito con tanta fatica da Boris Giuliano vengono trasferiti. E' lo
smantellamento scientifico di una struttura che cominciava ad infastidire i
boss e ad intralciare traffici e affari. Al posto dei poliziotti che si formarono
alla scuola di Giuliano e Contrada arrivano giovani ed inesperti funzionari. La
"mobile" non funziona pi, le indagini ruotano intorno a "buchi neri", le
inchieste-pilota partono tutte dai carabinieri. Sono i mesi in cui, da un
rapporto firmato da "mobile" e Criminalpol, scompare un nome: quello di
Michele Sindona. Cosa accaduto? Chi ha cancellato quel nome in un
dossier di mafia e droga? Un episodio mai chiarito. La mafia alza il tiro
(muoiono a Palermo magistrati, il presidente della Regione, il deputato
comunista Pio La Torre) e da Piazza della Vittoria passano tanti altri questori:
Giovanni Epifanio, Vincenzo Immordino, Nino Mendolia. La morte di Giuliano
sembra ormai lontana: c' la guerra tra i clan, centinaia di morti ammazzati,
altri uomini dello Stato che cadono sotto il piombo mafioso. Passano un paio
d' anni e la "mobile", quasi d' incanto, torna a funzionare. Il nuovo capo
Ignazio D' Antoni, i funzionari delle sezioni sono grintosi trentenni: Ninni
Cassar, Francesco Accordino, Giuseppe Montana, Domenico Guarino,
Francesco Pellegrino. Tutta gente sveglia, che comincia per a provare la
"vita blindata" del poliziotto a Palermo. E' la vigilia dei grandi blitz antimafia e
la polizia indaga come ai tempi di Boris Giuliano. La prova arriva con i
proiettili di una calibro "38", una domenica sera in una strada elegante.
Uccidono Calogero Zucchetto, "Lillo", un agente dell' investigativa. E' un
segnale per tutti: i boss avvertono che le indagini hanno superato "il limite
consentito". E' la sfida. Che la polizia palermitana, nuovo capo Francesco
Pellegrino, raccoglie passando alla controffensiva. Le inchieste scavano a
fondo e poi centrano l' obiettivo: i potenti esattori Salvo e l' ex sindaco Vito
Ciancimino finiscono in galera. Con i funzionari parla, anzi "canta" il boss
Buscetta: scattano centinaia di arresti. La squadra mobile sembra adesso un
team compatto: quello che occorre in una citt come Palermo. Poi arriva un'
altra domenica di morte: un agguato a Porticello per uccidere il commissario
capo Montana. Tutto quello che succede nelle stanze della "mobile" nei giorni
successivi all' omicidio di Giuseppe Montana adesso cronaca del mistero.
di ATTILIO BOLZONI

04 agosto 1985 sez.

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