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Collana

Pensatori Calabresi

a cura
dellAssociazione Culturale
Radici nel Tempo

col patrocinio del


Dipartimento di Studi Umanistici
Universit della Calabria

n. 3
Cod. ISSN 2421-082X

1
Le ragioni di una Collana

La presente Collana di studi dedicati a pensatori


calabresi (e prendendo il termine pensatori nella sua
accezione pi ampia) nasce come ideale prosecuzione
del lavoro avviato (e troppo presto interrotto) alcuni
anni fa da Mario Alcaro, figura di spicco del pano-
rama intellettuale calabrese e meridionale. Il quale,
nel 2011, realizz per lEditore Rubbettino di Soveria
Mannelli, col contributo di studiosi di diversa forma-
zione e provenienza intellettuale, un importante vo-
lume sulla Storia del pensiero filosofico in Calabria da
Pitagora ai giorni nostri.
Lidea che sta alla base della Collana , sostanzial-
mente, la stessa: non attardarsi, pi o meno narcisisti-
camente, su vecchie ed inutili forme di chiusura muni-
cipalistica e di localismo regionalistico, ma proporre e
far conoscere ad un pubblico ampio, di non addetti ai
lavori, auspicabilmente giovane, luoghi, figure e vi-
cende attraverso cui si via via formata lidentit cul-
turale di una comunit storica (quella calabrese) che,
nei momenti pi alti del suo sviluppo, stata in grado
di sintonizzarsi con gli aspetti pi significativi del pen-
siero europeo.
Da qui la convinzione dellutilit, non solo generi-
camente culturale, ma pi specificamente pedagogico-
civile, che lesplorazione del legame tra pensiero e

3
territorio potrebbe utilmente svolgere, soprattutto in
ordine alla formazione etica delle nuove generazioni.
Le pratiche simboliche e le attivit concettuali (da
quella filosofica a quella giuridico-politica a quella
etno-antropologica a quella artistica, religiosa, ecc.)
con cui gli uomini costruiscono la loro identit, infatti,
non hanno connotazioni solo temporali, ma anche spa-
ziali. O meglio: a definire la storicit delle produzioni
umane non basta solo la dimensione temporale (specie
quando essa venga declinata in termini solo cronologi-
ci), ma necessaria anche quella geografico-spaziale.
Solo a costo di un impoverimento ermeneutico possi-
bile, infatti, scorporare il tempo dallo spazio, la sto-
ria dalla geografia dei saperi, cio poi dal territorio
in cui gli eventi umani si dispiegano ed acquistano
senso. Naturalmente, il territorio va inteso non come
generico spazio fisicamente delimitato, ma piuttosto
come un insieme di caratteristiche ambientali, lingui-
stiche, tonali che fanno strettamente corpo con uno
specifico stile di pensiero (R. Esposito).
La Collana intende collocarsi, approfondendolo, su
questo solco: contribuire alla costruzione (o ricostru-
zione) di quella sorta di geografia mentale che alla
base dello stile di pensiero calabrese: un pensiero
mediterraneo, che affonda le sue radici nella grande
tradizione filosofica magnogreca di cui conserva, qua-
li cifre stilistiche peculiari, la cultura (e la pratica) del
dono, dellaccoglienza, dellospitalit.

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LUCA PARISOLI

GIOACCHINO DA FIORE
E IL CARATTERE MERIDIANO
DEL MOVIMENTO FRANCESCANO
IN CALABRIA

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Lopera pubblicata con un contributo del
Dipartimento di Studi Umanistici Universit della Calabria

PENSATORI CALABRESI 3
Collana diretta da Romeo Bufalo (Universit della Calabria)

COMITATO SCIENTIFICO:
Pio Colonnello (Universit della Calabria)
Germana Ernst (Universit di Roma 3)
Luigi M. Lombardi Satriani (Universit di Roma 1)
Aniello Montano (Universit di Salerno)
Raffaele Perrelli (Universit della Calabria)
Aldo Trione (Universit di Napoli Federico II)
Armin Wolf (Max Planck Institut fr Rechtsgeschichte)

I volumi pubblicati nella presente Collana sono sottoposti


a peer review

2016 - Propriet Letteraria Riservata


Associazione culturale Radici nel Tempo
88060 Davoli Marina (CZ)
info@iltesto.com
www.iltesto.com
Pubblicazione periodica
3 n. maggio 2016

Progetto Grafico e Impaginazione: MoleaDesign


Copertina: Carta di Prospero Parisio, incisore Natale Bonifatji,
1592.

ISSN 2421-082X
ISBN 978-88-99017-09-5

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PREMESSA

In questo libro viene offerta al lettore una sugge-


stione: esiste un approccio interno al pensiero cristiano
che si caratterizza come collegato ad una geo-cultura
meridiana, e che viene esplorato qui nella sua dimen-
sione della regione calabrese. Lidea consiste nel mo-
strare la tensione che esisteva tra alcuni elementi del
pensiero di Gioacchino da Fiore e la cultura dominante
della sua epoca, e nel constatare poi che questa stessa
tensione si sarebbe largamente attenuata se, per assur-
do, la cultura messa a confronto con quella gioachimita
fosse stata quella che circolava nelle terre meridiane
durante la sua parabola terrena, ossia quella sensibilit
greco-orientale che perdurava nel Meridione dItalia e
che invece era percepita come ampiamente centrifuga
nelle geo-culture pi settentrionali. Leccedenza di si-
gnificato del simbolo rispetto al linguaggio mette Gio-
acchino in rotta di collisione con lortodossia stabilita
sin dal IX secolo dai Libri carolini: la teologia politica
carolingia stabilisce che il significato di una figura
tutto e solo contenuto nelle didascalie che la accompa-
gnano. E il prezzo che la cultura occidentale latina
paga per respingere liconoclastia, la ripulsa per le
immagini sacre. E anche un mezzo efficace per impe-
dire lesoterismo nella sua dimensione antropologica e

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pulsionale pi profonda, ossia quella di arrivare a dire
quello che il linguaggio non riesce a dire, insomma di-
re lindicibile. Tuttavia la posterit di Gioacchino, an-
che a suo dispetto, praticher essenzialmente questa
via interpretativa, messa in pratica nel fatto stesso della
raccolta di immagini del Liber figurarum, e che ancora
recentemente stata catalogata da una qualificata sto-
riografia sotto lespressione pensare per figure. Il
pensiero di Gioacchino si collega ad una delle famiglie
del movimento francescano, gli Spirituali, che cono-
scono progressivamente una serie di problemi di ordi-
ne pubblico in relazione alla Sede apostolica. Questi
problemi sono anche quelli di un approccio allesca-
tologia che non quello voluto dalla Chiesa romana
per secoli, un approccio che Pietro di Giovanni Olivi
proporr senza alcun successo, e che ripete le strategie
ermeneutiche di Gioacchino, se non nei dettagli, certo
nello schema complessivo. Il Meridione dItalia, ed il
legame con il mondo greco-cristiano, sar una terra di
rifugio per molti francescani non in sintonia con le po-
sizioni della Sede apostolica sulla questione della po-
vert assoluta di Cristo e degli apostoli, destinata ad
essere la pratica di vita dei francescani, senza alcun di-
ritto sulle cose che usavano, e con un sospetto di sen-
tirsi pi perfetti di tanti altri uomini di religione pro-
prio perch imitavano perfettamente Cristo e gli apo-
stoli. Ecco che irrompe la figura di Angelo Clareno,
modello dello Spirituale dissidente nella sua auto-rap-
presentazione dellidentit del frate minore rispetto a
quella che voleva stabilire la Sede apostolica, ma che

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da questa situazione lacerante non deduce mai che si
debba disobbedire a Roma. E mentre i fraticelli sce-
glievano la strada della ribellione e del movimento so-
ciale ereticale, Clareno e tutti i frati che lo seguirono
nella cultura meridiana mettono in pratica in maniera
tragica unindicazione contenuta nella Regola france-
scana: se il tuo superiore ti ordina qualcosa contra la
salvezza della tua anima, tu devi dissentire radicalmen-
te, non eseguire il comando, ma non lo contesterai nel-
la sua funzione di superiore, e gli resterai accanto.
Emerge il quadro di una cultura meridiana che re-
cessiva rispetto al quadro della cultura dominante, sco-
lastica e giuridica, ed infine settentrionale, e questa di-
stinzione di geo-culture ci permette meglio di com-
prendere le fortune e le sfortune di percorsi di pensiero
nellinterazione con il mondo culturale che li circon-
dava. Ma questa natura recessiva ricca di indicazioni
per la nostra comprensione della storia delle idee e pu
giungere sino a noi con tutta la sua forza esplicativa.

*******

Il materiale di questo volume apparso in una pri-


ma versione in due miei contributi al volume curato da
Mario Alcaro, Storia del pensiero filosofico in Cala-
bria da Pitagora ai giorni nostri, Soveria Mannelli CZ
2012: si tratta di Gioacchino da Fiore, uninterazione
tra approcci culturali, pp. 75-100, e di Unanima me-
diterranea del francescanesimo: Angelo Clareno e din-
torni, pp. 101-127. Unaltra fonte una riflessione sul

9
simbolismo nella tradizione cristiana, materiale che da
anni attende di essere pubblicato sia in versione italia-
na Aspetti del simbolismo nella tradizione cristiana
latina, sia in una rimaneggiata e pi recente versione
inglese Interpretation and Symbolism in Medieval
Thought: Joachimites Break since the End of XIIth
Century. Tutto questo materiale stato ulteriormente
rimaneggiato e sensibilmente incrementato per dare vi-
ta a questo volume che il direttore della collana Romeo
Bufalo ha voluto generosamente accogliere, grazie an-
che allattenzione di tutti i membri del Comitato scien-
tifico e dei lettori deputati a vagliarne la natura. Senza
la lungimiranza del Dipartimento di Studi umanistici,
diretto da Raffaele Perrelli, questa collana non avrebbe
incontrato le condizioni accademiche per costituirsi, e
senza il suo sostegno non avrei trovato le condizioni
adeguate per compiere queste mie analisi. Un grazie a
questi due miei colleghi, allamico Pio Colonnello e al
Comitato Scientifico che mi ha gratificato con questa
possibilit di pubblicare un lavoro che realizza un nuo-
vo punto in un percorso di ricerca cui tengo molto.
Questa ricerca stata favorita dalle condizioni in cui
opero nella sezione dipartimentale diretta da Giuseppe
Roma, al quale va il mio pensiero amichevole e la mia
tensione verso progetti futuri. Dedico infine questa fa-
tica alla mia famiglia, ai miei figli che non sempre ca-
piscono perch il computer di casa sia occupato dalla
mia scrittura piuttosto che da un videogioco, a mia
moglie che mi sostiene nel mio perdermi nelluniverso
antico e medievale, e che mi tiene con una cordicella

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che ricorda lespressione di uno dei primissimi grandi
commentatori del diritto canonico, Rufino, il quale
parla di due cordicelle, la rettitudine della giustizia e la
luce della conoscenza, di cui si potrebbe dire che reg-
gono quello che possiamo fare nello stato adamitico. Il
lettore, e mia moglie, mi concedano di compiacermi
nellindicibile nellaffidare loro limmagine di una sola
cordicella, uni quasi funiculo suspenso.

Arcavacata di Rende,
festa del beato Angelo da Chivasso 2015

11
I
PER PARTIRE:
PROSPETTIVE CULTURALI IN AZIONE

La vita di Gioacchino si dipana in un arco tempora-


le che va dalla sua nascita intorno al 1135, dal padre
notaio Mauro e dalla madre Gemma, sino al giorno
della sua morte, il 30 marzo 1202, e in un arco spaziale
che va da Celico, dove nacque, alle mura della comu-
nit monastica che diresse sino alla morte, a San Gio-
vanni in Fiore, che si sviluppava in tanti altri luoghi
associati, come quello di San Martino di Canale, nei
pressi di Pietrafitta, dove lo colse la morte. Lo spazio
vitale di questo celebre personaggio di Calabria sem-
bra essere solo apparentemente assai limitato geografi-
camente, e non mancarono da parte sua numerosi viag-
gi nel Meridione e nel resto dItalia, dagli studi giova-
nili che lo conducono alla corte di Napoli e Palermo
sino ai soggiorni nellabbazia di Casamari, con la
chiave di svolta che si colloca in quello in Terrasanta,
legato nella ricostruzione simbolica della sua parabola
terrena alla sua rinascita spirituale ed intellettuale; ep-
pure, la sua eredit intellettuale e spirituale ebbe un
impatto geo-culturale enorme, estendendosi a tutto il
mondo latino sino alle nazioni dellEuropa moderna, a
partire da un territorio che nel XII secolo era ancora
13
una cerniera, a dispetto di altri territori dellOccidente
latino, tra il cristianesimo latino e quello greco-orien-
tale. Il notaio - ed il notabile - mancato che fu Gioachi-
no, che pure conserv sempre la capacit di trattare
con la classe dirigente della sua epoca, cov nella vita
eremitica i germi di un nuovo modo di guardare alla
Tradizione della Chiesa cattolica ed alle pratiche inter-
pretative che la costituiscono, ne fece oggetto di amo-
revole cura nella vita monastica, e li affid alle genera-
zioni future, essendo capace di lanciare un messaggio
durevole nei secoli anche se non si indirizz mai alla
nuova societ emergente nella sua epoca, quella urbana
e mercantile. Il suo mondo era quello della vita povera
del mondo feudale, rispetto alla quale in prima persona
aveva rinunciato ai privilegi della condizione sociale e
si era prodigato per mostrare come la riflessione misti-
ca pi entusiastica potesse associarsi allinteresse verso
le sorti quotidiane della comunit umana. Ma il suo
mondo era anche quello di una particolare comunit
ideale che fece scrivere a Dante nel Paradiso (XII,
140) il calavrese abate Giovacchino di spirito profeti-
co dotato, un profeta con la convinzione che
lAnticristo fosse gi nato mentre Gioacchino stesso
redigeva le sue profezie.

Gioacchino da Fiore non certo una figura minore


nella storia della cultura occidentale e lattivit di ri-
cerca sul suo pensiero e sul suo impatto culturale, un
tempo pi frammentata, negli ultimi decenni si coor-
dinata, acquistando spessore e visibilit grazie allat-
tivit del Centro Internazionale di Studi Gioachimiti,
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diretto con profondo senso dellanalisi medievistica da
Cosimo Damiano Fonseca - il centro ha la sua sede a
San Giovanni in Fiore, ed un sito web http://www.cen-
trostudigioachimiti.it/index2.asp che offre unidea del-
la ricchezza delle sue iniziative e dei suoi risultati. La
complessa spiritualit che emana dagli scritti di questo
monaco del XII secolo si concretizza in strategie di in-
terpretazione del testo sacro biblico che lo impongono
non come uno dei tanti interpreti della Bibbia, bens
come il capostipite di una genealogia che coniuga in
maniera strettissima una puntuale riflessione sugli ul-
timi giorni del mondo attuale - quella che si dice tecni-
camente escatologia - e una riflessione appena adom-
brata sulle vicende attuali delle relazioni umane e so-
ciali, sino alla loro evoluzione prossima ventura, ossia
un dispiegamento nella sfera politica del discorso in-
terpretativo del testo sacro. Gioacchino presto dive-
nuto icona di una delle tante anime del cristianesimo
medievale, tanto da fare fiorire tutta una letteratura do-
vuta a suoi partigiani culturali - i gioachimiti - che at-
tribuiscono direttamente al loro patrono la paternit dei
loro testi: il pensiero del Gioacchino da Fiore storico,
lunico rilevante per chi si occupa della sua causa di
beatificazione, forse non dico irrilevante - giudizio
fuori luogo -, ma certo non tale da occupare lavanti
della scena per chi si occupa di storia delle idee, dato
che licona gioachimita diventa il riferimento culturale
forte attraverso gli ultimi secoli del Medioevo sino a
tutta la Modernit, che non si preoccupa pi delle stra-

15
tegie esegetiche del testo sacro, ma recepisce in molti
suoi esponenti la lezione di una escatologia politica.

Monsignor Giuseppe Agostino, gi arcivescovo me-


tropolita di Cosenza-Bisignano, pur sotto lenfasi di
una incipiente causa di beatificazione, parla di un radi-
camento di Gioacchino nella sua terra in questi termi-
ni: ho sempre visto labate Gioacchino come calabre-
se verace: uomo capace di penetrazione del profondo
dellessere e della storia; direi un contemplativo, un
forte rude, com tipico degli uomini della nostra terra,
ma di una rudezza che forte perch dolce e che
operante perch si esprime nella potenza pi incidente
che ci sia e che la povert dello Spirito 1. Quasi nella
stessa epoca la Calabria diede i natali a personaggi
molto diversi, per esempio quel Simone da Bisignano
di cui quasi nulla conosciamo della vita: sappiamo solo
che insegn diritto a Bologna negli anni 70 del XII
secolo, e che tra il 1177 ed il 1179 compose la sua
Summa2. Pietro Aimone, che ha curato ledizione criti-
ca contemporanea della Summa, fa notare i suoi riferi-
menti alle chiese locali di Lanseo (oggi Termoli-
Larino) e di Squillace, e che fu uno dei pochi canonisti

1
G. AGOSTINO, Prefazione, in Fabio TRONCARELLI, Gioacchi-
no da Fiore: la vita, il pensiero, le opere, Roma 2002, p. 6.
2
Si veda S. KUTTNER, Repertorium der Kanonistik (1140-
1234). Prodromus corporis glossarum, I, Vaticano 1937, p.
149.

16
provenienti dallItalia meridionale1. Di Simone per
conosciamo un commento al diritto canonico - da poco
fatto nascere da un altro personaggio oscuro, quel Gra-
ziano che redasse il notissimo Decretum - che rivela
una sensibilit normativista, ossia una sensibilit verso
lo scheletro di norme e regole che costituiscono il
mondo, che pare agli antipodi dello spirito profetico di
Gioacchino. Del resto, Gioacchino considerava il fatto
di dedicarsi alla scienza delle norme in contrapposi-
zione allimmagine della scienza di Pietro, e mentre
questultima abbandona il mondo per verit superiori
la prima (I Cor. 8, 29-31, e 9, 15), a suo parere, non pu
che permanere nel mondo2; non qui in gioco
limportanza della conoscenza del diritto umano o
dellattivit degli operatori giuridici - e sappiamo che
Gioacchino evit la strada gi segnata di seguire le
orme del padre, operatore notarile -, quella che in
gioco la concezione proposta dal diritto canonico
dellepoca di un mondo fatto ancora prima che vi siano
degli uomini sulla Terra di norme e di regole. Quella
che in gioco lidea, piuttosto attribuibile a Gioac-
chino, che la migliore comprensione del mondo possa

1
Per il lavoro di Pietro Aimone, con accesso al testo di Simone
ed una raccolta della scarna bibliografia esistente, rinvio alla
sua analisi depositata allindirizzo web http://www.unifr.ch/-
cdc/summa_simonis_2baende/summa_simonis_BAND_II.13.0
1.2008.normal.pdf, dal titolo Summa in Decretum Simonis Bi-
sianensis, II, Prolegomena. Indices, Fribourg 2007, pp. IV-V.
2
P. FOURNIER, Etudes sur Joachim de Flore et ses doctrines,
Paris 1909, pp. 12-13.

17
fare a meno di norme e di regole, secondo un uso lin-
guistico ancora oggi diffuso per cui una lettura profeti-
ca non contiene riferimenti a norme e regole; quella
che in gioco lopposizione tra due conterranei che
sviluppano due piste della comprensione umana del
mondo affatto alternative. Nella coppia geografica Bi-
signano - san Giovanni in Fiore sta forse la stessa com-
plessit di tutta la cultura cattolica medievale, riflessa
nel microcosmo calabro - anche se, come ha mostrato
Pietro Dalena, Gioacchino fu tuttaltro che stanziale
su un microterritorio1 -, in oscillazione tra un normati-
vismo rigoroso che va dalla teologia alla vita sociale e
una pneumatologia escatologica in cui la parola dello
Spirito Santo sembra essere il luogo dellanomia,
dellassenza di regole e norme in favore della perfe-
zione finalmente realizzata in ciascuna persona. Da un
lato, il rigore canonistico della Sede apostolica: Man-
selli evoca pi volte la risposta del normativista Bo-
nifacio VIII alla difesa degli Spirituali il movimento
dei francescani pi riottosi di fronte alle direttive della
Sede apostolica da parte di Arnaldo da Villanova:
intromitte te de medicina et non de theologia et hono-
rabimus te - occupati di medicina, lascia perdere la
teologia, e ti rispetteremo, associata ad una visione
sconsolata del millenarismo in occasione del Giubileo
dellanno 1300, perch questi sciocchi attendono la

1
P. DALENA, I viaggi e gli itinerari di Gioacchino da Fiore nel
Mezzogiorno, in C. D. FONSECA, a cura di, I luoghi di Gioac-
chino da Fiore, Roma 2006, pp. 67-90, con un apparato di car-
tine esemplificative da p. 75 a p. 90.

18
fine del mondo?1. Dallaltro uno spirito profetico, re-
frattario alla precisione analitica del linguaggio delle
norme, che inevitabilmente si ammanta della qualifica
di luogo della perfezione, ultima per valore ma anche
prossima per realizzabilit. Limmagine retorica del
calabrese verace pu soddisfare lappagamento este-
tico, quella pi asettica e prosaica - tuttavia analitica ed
illuminante, senza nulla togliere allaspetto devoziona-
le che ruota intorno Gioacchino2 e di cui Simone cer-
to privo - del calabrese che pu essere tanto partigiano
della normativit quanto partigiano dellassenza di
normativit colloca la nostra analisi di una manifesta-
zione geo-culturale al centro della stessa cultura occi-
dentale latina del XII secolo. Simone non conoscer
mai le forme di devozione che si costituirono verso
Gioacchino, di cui abbiamo testimonianza affidabile
proprio perch il potere ecclesiastico ritenne opportuno
regolamentarne le forme, presumibilmente nella consi-
derazione delle potenzialit devianti di quella che sa-
rebbe divenuta (o potuta divenire) una idolatrizzazione

1
Si veda R. MANSELLI, La religiosit dArnaldo da Villanova,
in Bullettino dellIstituto Storico Italiano per il Medio Evo e
Archivio Muratoriano, 63 (1951), pp. 1-100, a pp. 18-19 - e-
vocato per esempio nella raccolta R. MANSELLI, Da Gioacchi-
no da Fiore a Cristoforo Colombo. Studi sul francescanesimo
spirituale, sullecclesiologia e sullescatologismo medievali,
Roma 1997, pp. 6, 74.
2
Su questo punto rinvio a E. GABRIELI, Una fiamma che brilla
ancora. La fama sanctitatis dellAbate Gioacchino, Marzi CS
2010.

19
della sua figura1. Ci fu certo una protesta etica nel suo
discorso, e la scossa salutare che ne derivava avr
senzaltro dispiegato i suoi benefici nei secoli, ma i
giudici deputati a difendere lordine pubblico non po-
tevano che temerne le confusioni e le derive protestata-
rie2. Vale la pena di riportare lorazione nella liturgia
delle ore che i monaci dellOrdine da lui fondato, se-
condo una consuetudine invalsa nel monachesimo cri-
stiano, gli dedicavano, che Gabrieli riporta in latino ed
in italiano3, e che qui riproduco:

Antifona alle Lodi


Il beato Gioacchino primo Abate florense, umile ed
amabile, fu ammirato per cose meravigliose.
V/ Il Signore lo ha ricolmato dello Spirito di Sapienza
e Intelletto
R/ E lo ha rivestito di una stola di gloria.

Antifona ai Vespri
Il beato Gioacchino di Spirito profetico dotato, decora-

1
L. INTRIERI, Il Culto di Gioacchino da Fiore nelle testimo-
nianze del 1680, in Rogerius, 11 (2008), n. 2, pp. 49-50.
2
H. MOTTU, La mmoire du futur: signification de lAncien
Testament dans la pense de Joachim, de Fiore, in A. CROCCO,
a cura di, Let dello Spirito e la fine dei tempi in Gioacchino
da Fiore e nel gioachimismo medievale, San Giovanni in Fiore
(CS) 1986, pp. 24-27, sottolinea la dimensione di protesta etica
del discorso di Gioacchino, di cui parla anche FOURNIER, Etu-
des, per esempio, pp. 7-10.
3
E. GABRIELI, Una fiamma che brilla ancora La fama sancti-
tatis dellAbate Gioacchino, pp. 88-89.

20
to di intelligenza, lontano dagli errori di eresia, predis-
se gli eventi futuri.
V/ Il Signore lo ha ricolmato dello Spirito di Sapienza
e Intelletto.
R/ E lo ha rivestito di una stola di gloria.

Orazione
O Dio, che sul monte Tabor hai manifestato la tua
gloria ai tre Apostoli, e nello stesso luogo hai rivelato
al beato Gioacchino la verit della Scrittura, ti pre-
ghiamo, per i suoi meriti e la sua intercessione, fa che
ascendiamo a Colui che via, verit e vita. Per Cristo
nostro Signore.

Non fu questa la sola forma di culto verso la santit


di Gioacchino da Fiore1; attestata la devozione nei
suoi confronti del vescovo di Cosenza, Luca Campa-
no2, che tributa a Gioacchino il merito di averlo libera-

1
A. ACRI, Casamari, in La Provincia di Cosenza Gioac-
chino da Fiore Il calavrese abate Giovacchino di Spirito Pro-
fetico dotato, numero speciale, Cosenza 2011, pp. 34-35; A.
M. ADORISIO, Recuperi florensi. Tradizioni dimenticate nelle
relazioni di una visita di Giusto Biffolati, priore di Casamari,
ai monasteri di San Giovanni in Fiore e di Santa Maria di Alti-
lia nella Sila di Calabria, in Rivista Cistercense, 17 (2000),
pp. 283-303, a pp. 295-300.
2
A. STAGLIAN, Labate calabrese. Fede cattolica nella trinit
e pensiero teologico della storia in Gioacchino da Fiore, Vati-
cano 2013, p. 204.

21
to dallimpaccio nel parlare1. Ma la cultura cattolica
registr sempre la natura potenzialmente centrifuga del
suo pensiero, divenuta meno scottante se non addirittu-
ra congelata nella temperie culturale che segue i lavori
del Concilio Vaticano II. La stessa discussione sulla
presunta ortodossia o meno delle analisi trinitarie gioa-
chimite non deve fondarsi sulla condanna formale o
meno che esse abbiano ricevuto, quanto piuttosto sul
fatto che un pensatore che alla fine del XII secolo si
discosti dallapproccio di Pietro Lombardo si pone ra-
pidamente in contrasto con la pi formidabile stagione
di filosofia cristiana del Medioevo, la Scolastica, mos-
sa dallambizione di mostrare la razionalit del deposi-
to della fede cattolica. Gioacchino considerava questa
ambizione un pericoloso orgoglio che si metteva fuori
bersaglio cercando larmonia tra fede e scienza, e leg-
geva Matteo 11, 25 come diretto contro lo stesso spiri-
to della Scolastica2. Nella vita contemplativa di Gioac-
chino, lo stato di perfezione ultima, sembra non esservi
posto per la filosofia. Piuttosto che improvvisarmi in
giudice dellortodossia o delleterodossia senza avere
la competenza normativa a farlo (ovviamente, per,
proprio questo il lavoro di chi ne discute la causa di
beatificazione), pur dando per scontata la competenza
intellettuale a farlo di cui dispongono tantissimi stu-

1
A. M. ADORISIO, Luca di Casamari, Arcivescovo di Cosenza,
testimone e biografo di Gioacchino da Fiore, in I luoghi di
Gioacchino da Fiore, pp. 91-106, a p. 97.
2
Cos considera senza nessun pregiudizio P. FOURNIER, Etu-
des, pp. 10-11.

22
diosi, pi opportuno prendere atto che il fatto stesso
delle accuse rivolte a Gioacchino, eliminate lipotesi di
malafede ed avversione personale, mostra che il suo
pensiero passatista rispetto al fiume in piena che sfo-
cer da l a poco in un modello di razionalit impronta-
to al rigore analitico accuratamente distinto da ogni
impresa esegetica del Testo Sacro1. Non possiamo i-
gnorare che il fatto che le dispute trinitarie non vertono
su quello che un autore vuole affermare esplicitamente,
bens su quello che un autore dovrebbe ammettere se
fosse conseguente con le sue affermazioni: tanto cer-
to che Gioacchino non ha mai affermato il triteismo,
quanto certo che dei filosofi cristiani scolastici e
dallapproccio analitico potevano vedere nella sua esa-
sperazione delle dinamiche delle tre persone una con-
fusione latente tra persona divina ed essenza divina che
cos si moltiplica in tre unit. Gi alcuni secoli prima
Giovanni Scoto Eriugena aveva incontrato seri pro-
blemi nel ripetere in lingua latina il lessico dei Padri
della Chiesa greci, incontrando la censura di un mondo
intellettuale latino che non poteva fare a meno della
specificit del vocabolo persona. Tanto certo che
Pietro Lombardo non ha mai negato la natura trina del-
le persone divine in favore di una quaternit, quanto
certo che il suo insistere sullunit dellessenza divina
senza tematizzazione sottolineata delleconomia trini-

1
Mi sono gi espresso in questo senso in L. PARISOLI, Livelli
di comprensione antropologica del messaggio cristiano: la se-
mantica gioachimita alla luce di Ren Girard, in Florensia,
18-19 (2004-2005), pp. 139-152.

23
taria personalista possa indurre teologi pi inclini alla
narrazione delle relazioni trinitarie piuttosto che al loro
rendiconto analitico a vedervi una negazione del giusto
valore da assegnare alle tre persone divine. Forse
losservazione pi pregnante quello di Henry Mottu,
che esorbita dal dominio dottrinale trinitario in senso
stretto, ossia metafisico, per accedere al luogo della
Trinit nelleconomia generale del discorso cristiano,
ossia nella storia sino alla fine dei tempi: il rimprove-
ro di triteismo dissimulerebbe allora tuttaltra inten-
zione, quella cio di squalificare in partenza ogni ten-
tativo di ripensare il mistero trinitario in termini di pi-
ano, di disegno, di perseveranza, cio in termini storici
e non metafisici 1. Come osserva Pietro Coda nella sua
Postfazione al volume di Mons. Staglian, c un mo-
do preciso per evitare questo scoglio, ossia interrogare
Gioacchino alla luce di un assioma, ossia dalla Trinit
alla storia e non viceversa2. Certamente i censori
medievali avrebbero trasecolato se avessero avuto sot-
to gli occhi un passaggio dalla storia alla Trinit, ma
temo che sarebbero stati convinti di non riconoscere
nei testi gioachimiani un passaggio dalla Trinit alla
storia sufficientemente caratterizzato per il loro stan-
dard, che era normativo e non gi meramente specula-
tivo, teologico o esegetico. Si tratta della paura di tro-
varsi sotto la spinta, mi pare lecito osservare, delle po-

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito secondo Gioac-
chino da Fiore, Casale Monferrato 1983, p. 107.
2
P. CODA, Postfazione, in A. STAGLIAN, Labate calabrese,
p. 192.

24
tenzialit degenerative inerenti alla retorica dellesca-
tologia gioachimita, come lo stesso Mottu riconosce:
gli Spirituali distorceranno, qui come altrove, il pen-
siero del Maestro. Ma questo dimostra quanto reale sia
la potenza implicita di disintegrazione, inerente alla
sua opera1. Il riferimento a Gerardo da Borgo San
Donnino, rappresentante dellala pi radicale e devian-
te del movimento francescano degli Spirituali, quella
che nelladerire a Gioacchino pi che alle sue dottrine
genuine evoca una risorsa emotiva ed affettiva senza
precauzioni linguistiche, lontano dallanima degli Spi-
rituali che si riconoscer in Angelo Clareno sempre
consapevole del bene supremo dellobbedienza a Ro-
ma, ma unala radicale che si auto-rappresenta come
gioachimita, secondo il risalente e sempre attuale giu-
dizio di Antonio Frugoni che sgancia Clareno dal mo-
vimento dei fraticelli, che a sua volta travisa Gioacchi-
no2. Altrettanto lontana dallala radicale che travisa il
messaggio gioachimiano la ricezione del gioachimi-
smo in uno dei primi ministri generali dellOrdine dei
frati minori, quel Giovanni da Parma di cui solo in
tempi recenti si saputa dare una lettura che non fosse
permeata di partigianeria in un senso o nellaltro, lettu-
re che rinviano sempre alla sua rinuncia alla carica di

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito secondo Gioac-
chino da Fiore, p. 100.
2
Per una sintetica rassegna delle posizioni storiografiche su
Clareno, rinvio a F. ACCROCCA, Un ribelle tranquillo, Assisi
2009, pp. 194-197.

25
ministro generale nel 1247 1, e che Angelo Clareno leg-
ger come una parentesi positiva tra una coppia di
quelle tribolazioni che colpirono ai suoi occhi lOrdine
dei frati minori. Giovanni da Parma uno dei probabili
autori di uno dei testi simbolici del movimento france-
scano, quel Sacrum commercium sancti Francisci cum
domina paupertate che racconta le nozze spirituali di
Francesco dAssisi con la povert, e che comunque il
suo editore critico, Sergio Brufani, preferisce lasciare
ad una anonima paternit2. Noi possiamo limitarci al
fatto che Giovanni da Parma risente nelle sue manife-
stazioni pubbliche dato che i suoi scritti pervenutici
sono esigui del messaggio gioachimiano, e che la sua
biografia segnata da una missione in Oriente, tra
1249 e 1250, che gli venne conferita da papa Innocen-
zo IV, di cui le fonti sia latine, sia bizantine, ci riporta-
no che si svolse in un clima di consonanza di stile e di
personalit3. La sintonia di Giovanni da Parma con il
cristianesimo orientale, che si associa in lui al gioa-
chimismo, testimoniata dalla sua richiesta a papa

1
Rinvio al volume A. CACIOTTI, M. MELLI, a cura di, Giovan-
ni da Parma e la grande speranza, Milano 2008.
2
Ledizione critica apparsa per le edizioni Porziuncola di As-
sisi nel 1990.
3
Cos C. VAIANI, Il gioachimismo di Giovanni da Parma, nel
citato volume collettivo, Giovanni da Parma e la grande spe-
ranza, pp. 71-73. Lautore concorda con Henry Mottu nel fatto
che il problema di una lettura razionalistica di Gioacchino, an-
dando oltre alle sue stesse intenzioni e quindi di fatto forzando-
le, di dedurre che il suo sistema non cristocentrico (vedi p.
93).

26
Niccol III nel 1289, ad una et che superava gli ot-
tantanni, di partire per la Grecia in unottica di ricon-
ciliazione tra il cristianesimo latino e quello greco, se-
parati in maniera formale dalla clausola del Filioque
dalla met dellXI secolo. Vi era in Giovanni da Parma
la stessa attenzione che Gioacchino prestava al cristia-
nesimo orientale, ma si potrebbe dire che pi di una
questione dottrinale, ossia di ripetizione di dottrine, si
era di fronte ad un gioachimismo esistenziale, fatto di
emozioni e sentimenti escatologici: inoltre, un cronista
dellepoca, Tommaso di Eccleston, considerer che
una delle ragioni per cui Giovanni da Parma rinunci
alla sua carica sia stata quella di una insofferenza verso
la sempre maggiore importanza dello studio universita-
rio nella figura del frate minore, a dispetto dellidentit
del francescano delle primissime origini. Forse, era an-
che insofferenza verso il modello dominante razionali-
stico della cultura latina, tanto pi dominante se con-
frontato con la contemporanea cultura greca. Dato che
il mondo culturale latino dominante poteva guardare
con sospetto tutti questi fenomeni a partire dal suo at-
teggiamento razionalistico, si arriva ad un sospetto tan-
to pi fomentato quanto altri esponenti nel movimento
francescano, che travisavano concretamente il messag-
gio apocalittico gioachimiano, vengono pi o meno ar-
bitrariamente accostati a personaggi come il nostro
Giovanni da Parma, oppure il commentatore della Re-
gola Ugo di Digne 1, oppure a quellAngelo Clareno di
1
Per un giudizio completo rinvio a F. TRONCARELLI, Magnus
Joachita: Ugo di Digne e Giovanni da Parma, nel gi citato

27
cui diremo pi estesamente nel seguito. In particolare,
su Ugo di Digne, Damien Ruiz ha fornito una tesi di
dottorato (Paris X, 2005) in cui ne mostra la profonda
competenza giuridica (tratto tuttaltro che gioachimia-
no) e definisce anche in un lavoro recente il gioachimi-
smo di Ugo di Digne indeterminato, un gioachimi-
smo di buon senso se commisurato al conforto che gli
offriva nelle sue attese spirituali1. Ma questo carattere
non doveva proprio addolcire i censori dellepoca,
piuttosto doveva avvelenarli per lindeterminatezza dei
termini della questione. E non dovettero pensare che
fosse un merito di Salimbene da Parma quello di avere
trascritto per conto di Giovanni da Parma un mano-
scritto dei Trattati sui quattro vangeli, lopera gioachi-
miana che vedremo essere al centro dei suoi problemi
con il cristocentrismo. N dovettero giudicare che fos-
se un merito per Ugo di Digne quello di possedere la
panoplia dei manoscritti gioachimiani nella biblioteca
del suo convento di Hyres, localit che si affaccia sul
Mediterraneo nellattuale dipartimento francese del
Var, in Provenza, peraltro non lontano dalla sua natale
Digne che si trova nellentroterra alpino di Hyres.

Il punto, insomma, la trasformazione dellinten-


zione di Gioacchino: essa consiste nel dimenticare che

Giovanni da Parma e la grande speranza, pp. 103-152.


1
D. RUIZ, Es tu infatuatus sicut alii qui istam doctrinam secun-
tur? La nature du joachimisme du franciscain Hugues de Digne
(ca. 1200 ca. 1255), in Expriences religieuses et chemins de
perfection dans lOccident mdival, Paris 2012, pp. 277-292.

28
per Gioacchino il vangelo eterno non pu identificar-
si con un testo scritto, come se fosse un nuovo libro
della Bibbia, o per usare il suo termine questo vangelo
eterno, simbolo del trionfo finale del cristianesimo,
non circumscriptibilis, ossia non determinabile lin-
guisticamente1. E soprattutto consiste nel dimenticare
il versetto di Giovanni, 16, 14: il Paraclito non dir co-
se nuove quando verr, ma come dice Ges in questo
versetto prender delle cose da Ges e le annunzier 2.
Esisteva per un movimento storicamente accertato, e
questa dimensione era la principale preoccupazione dei
tribunali ecclesiastici, che comprendeva Gioacchino in
senso diverso, per cui il verbo evacuare, che possia-
mo rendere con litaliano evacuare, significava sop-
primere: non era lintenzione di Gioacchino, ma cos
era compreso. E da questo fatto prendevano le distanze
i giudici, senza troppe sottigliezze ermeneutiche tese a
salvare Gioacchino dai suoi ferventi partigiani traditori
del suo pensiero. Ai loro occhi di giudici restava un
fatto pesante come un macigno, quello per cui in Gio-
acchino lapocalittica che spiega tutto3.

Resta il fatto che se le metafore gioachimite per e-


sprimere la Trinit sono infelici, in quanto metafore si
potrebbe dire che siano solo infelici, non gi negatrici

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito secondo Gioac-
chino da Fiore, pp. 26-27.
2
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito secondo Gioac-
chino da Fiore, p. 175.
3
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 130.

29
della Trinit; infatti, per negare la Trinit, si dovrebbe-
ro prendere quelle metafore per spiegazioni analitiche,
cosa che Gioacchino non avrebbe mai ammesso, n ha
mai voluto (almeno a me pare prima facie). Un conflit-
to di paradigmi di razionalit ed un caso di incommen-
surabilit linguistica, e non tanto una questione di ge-
nuina deviazione dal deposito della fede: questo mi
appare il dibattito trinitario rispetto a Gioacchino, mol-
to pi significativo per la storia delle idee che non per
la riflessione filosofica. Tre statue doro sono tre ma
sono anche lo stesso oro: sostituire alle statue le perso-
ne divine ed alloro lessenza divina, una mossa che
Gioacchino compie nel suo Psalterium decem chorda-
rum, pu essere una metafora bella o brutta, alla quale
si pu preferire quella di san Giuseppe da Cupertino di
un mantello che ha tre parti perch piegato con due li-
nee, ma giocoforza riconoscere che ogni metafora
esula da un approccio analitico al mistero trinitario.
Lontologia formale non tollera nessuna metafora, an-
che se forse le metafore possono convertire molto di
pi della pi raffinata ontologia formale.

In questa prospettiva le pure opportune critiche di


Manselli sulluso da parte di Gioacchino del concetto
di appropriatio1 sono tanto pi valide quanto disgiunte
da ogni desiderio di tribunali della storia - oggi tanto

1
R. MANSELLI, Accettazione e rifiuto della terza et, poi in R.
MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo.
Studi sul francescanesimo spirituale, sullecclesiologia e
sullescatologismo medievali, pp. 185-187.

30
imperanti nellimmaginario collettivo, specie in quello
che si vuole assolutamente laico - ed invece congiunte
ad un desiderio di tracciare un percorso dellimma-
ginario gioachimita nei secoli. Resta comunque impor-
tante sottolineare il carattere inusuale del trattamento
trinitario di Gioacchino, come fa Manselli o come fa
Burr parlando di Olivi esegeta apocalittico sulla scorta
di Gioacchino: coloro che giudicarono Olivi lo fecero
consapevoli dei pericoli che ai loro occhi si liberavano
dallesegesi oliviana. Erano agostiniani politici, crede-
vano nella teologia politica che nasceva dalla penna di
Eusebio di Cesarea che concepiva la separazione tra
Chiesa e Impero come un ruolo attivo della Chiesa, i-
stituzione destinata a governare quanto a pregare.
Quando si parla di Francesco come dellangelo del se-
sto sigillo in un testo agiografico (la stessa Legenda
Maior di san Bonaventura), lintento devozionale e-
vidente per la stessa struttura retorica del testo, ma
quando Olivi fa esegesi biblica esclude che le sue con-
clusioni siano prese in senso lato e evocativo 1. Non si
tratta di erigersi a giudice della prassi migliore, bens
di sottolineare la fonte della eventuale problematicit
di accettazione delle loro proposte da parte dei con-
temporanei. E vero che la sottolineatura della dimen-

1
L. PARISOLI, Lattesa escatologica in Pietro di Giovanni Oli-
vi, in C. MICELI, A. PASSANTINO, a cura di, Francescanesimo e
cultura nella provincia di Messina, Palermo 2009, p. 254, ispi-
rato al fondamentale volume D. BURR, Olivis Peaceable Kin-
gdom. A Reading of Apocalypse Commentary, Philadelphia
1993.

31
sione delleconomia delle persone divine rispetto ad
una unit divina quasi-logica stata operata con finali-
t di apologia delleterodossia da parte di Buonaiuti1,
ma resta il fatto che limpressione tuttaltro che cam-
pata in aria. Almeno Manselli caratterizza cos linno-
vazione semantica apportata da Gioacchino nel discor-
so cristiano: laffermazione chiara e precisa dellesi-
stenza di due kairi, di due momenti critici della sto-
ria provvidenziale, e la collocazione di una terza et
che da un secondo kairs iniziata e che viene a
frapporsi prima della fine dei tempi e della seconda
venuta del Cristo. Mentre, infatti, Cristo era, nella con-
cezione provvidenziale della tradizione, lunico centro
della storia, e la sua venuta era lunico punto critico, in
Gioacchino va posto, accanto a Cristo, lo Spirito Santo
e accanto allunico e solo kairs, laltro, rappresen-
tato dallavvento dello Spirito2. Si tratta dellintui-
zione di una storicit delluniverso, come storicit to-
tale dal principio alla fine escatologica: Manselli ci
pu aiutare a comprendere che lescatologia gioachi-
mita tratteggiata come completamente immersa nella
cultura monastica, di cui si rifiutano i collegamenti pi

1
E. BUONAIUTI, Gioacchino da Fiore. I tempi. La vita. Il mes-
saggio, Roma 1931, ma soprattutto la sua edizione del De arti-
culis fidei, ossia GIOACCHINO DA FIORE, De articulis fidei,
Roma 1936, pp. 4-8.
2
R. MANSELLI, Accettazione e rifiuto della terza et, poi in R.
MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, p.
188.

32
distorcenti con il mondo feudale 1. Se Gioacchino ri-
prende la ts soteras di Eusebio di Cesarea, uno dei
padri della teologia politica cattolica 2, certo Gioacchi-
no uno dei primi affossatori della stessa possibilit di
ogni teologia politica cattolica. Non deve sorprenderci,
dunque, se sia infine proprio il terreno della teologia
politica che determina la rovina medievale di Gioac-
chino e la sua rivalutazione diffusa post-Vaticano II: se
questa osservazione corretta, le erudite analisi di An-
tonio Staglian, attuale vescovo di Noto, possono an-
che essere condivise nel loro sforzo estremo di salvare
completamente lortodossia di Gioacchino3 - strategia
che non deve mai implicare una ridefinizione del depo-
sito della fede attraverso Gioacchino -, tuttavia mo-
strano al tempo stesso che questi argomenti gioachi-
miani non sono quelli percepiti dai suoi contemporanei
od immediati partigiani. E non dovremmo neppure di-
menticare che in un mondo dove lortodossia, come

1
R. MANSELLI, Il tempo escatologico (secoli XII-XIII), poi in
R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo,
p. 687.
2
Si veda larticolo di J. P. MARTN, El cristiano y la espada.
Varaciones hermenuticas en los primeros siglos, in Revista
Bblica, 49 (1987), pp. 17-52, a pp. 38-42.
3
Mons. Antonio Staglian ha presentato la sua relazione in oc-
casione di un convegno a san Giovanni in Fiore nel settembre
2009, con il titolo La dottrina trinitaria di Gioacchino da Fiore
tra simbolismo metaforico e riflessione speculativa. Gli atti del
convegno sono poi stati pubblicati in A. GHISALBERTI, a cura
di, Pensare per figure, Roma 2010, con la relazione di Staglia-
n alle pp. 77-105.

33
assenza di eresia, concepita in termini normativi -
siamo nellepoca del trionfo del diritto canonico, Gio-
acchino pare concepire la stessa nozione di ortodossia
in termini spirituali e non-normativi, collocandosi in
un contesto culturale altro rispetto a quello dei suoi in-
terlocutori avversari medievali 1.

Il Gioacchino di Staglian materia di discussione


teologica delle idee, ma mi pare non ve ne sia traccia
sensibile in quel percorso storico che deve essere colto
dallo storico delle idee: i gioachimiti storici non hanno
colto il Gioacchino di Staglian, e sono i gioachimiti
ad avere impresso il loro marchio nella storia del pen-
siero occidentale, operando un fraintendimento cultu-
rale che stato identificato da Robert Lerner in una
fonte cristiano-orientale del pensiero di Gioacchino, il
chiliasmo2. Lerner insiste sulle fonti cristiano-orientali
del pensiero di Gioacchino e ne mostra leccentricit
rispetto alla tradizione latina, che coincide per con un
Gioacchino ben meno eccentrico rispetto a quella gre-
ca. Il chiliasmo, per parlare in termini espliciti, pu es-

1
Cos si esprime FOURNIER, Etudes, pp. 30-32, evocando il ri-
fiuto delle dottrine di catari e valdesi.
2
R. E. LERNER, La via al chiliasmo di Gioacchino da Fiore,
raccolto in Refrigerio dei santi. Gioacchino da Fiore e
lescatologia medievale, Roma 1995, pp. 97-116. Nello stesso
volume rilevante ai nostri fini anche il saggio che d il titolo
alla raccolta, Refrigerio dei santi: il tempo dopo lAnticristo
come tappa del progresso terreno nel pensiero medievale, pp.
19-66, specie pp. 20-21, ed infine il saggio Anticristi e Anticri-
sto in Gioacchino da Fiore, pp. 117-135.

34
sere altrimenti detto il ritorno di unet aurea qui-ed-
ora. Gioacchino rompeva cos con la tradizione esege-
tica latina1 e considerava come un periodo storico i-
dentificabile e descrivibile quel periodo menzionato
nellApocalisse che separa la fine dei disastri procurati
dallAnticristo dalla gloria finale del mondo: cessando
di essere uno spazio pi logico che non storico, esso
poteva essere riempito di contenuti fattuali e descrittivi
del presente ed aprirsi sempre pi ad essere unet tri-
nitaria - quella dello Spirito santo -, aprendo contem-
poraneamente un enorme spazio per possibili movi-
menti ereticali di agitazione sociale. Questo impegno
di azione politica fu recepito da molti eredi di Gioac-
chino, e grazie al trapianto di unidea meramente spiri-
tuale, tesa ad identificare un momento chiliastico di re-
spiro, dopo angosce orribili prima della beatitudine e-
terna, in un terreno pragmatico e sociale si aprono gli
spazi dellicona gioachimita come terreno fertile per
movimenti sociali gnosticheggianti. Pur con tutta la
sua simpatia per lanalisi gioachimita, Henry Mottu
conclude la sua importante opera, La manifestazione

1
Una pista di ricerca ulteriore sulla vicinanza di Gioacchino
allo spirito del cristianesimo orientale si pu trovare nella que-
stione del Filioque, che dallXI secolo divideva formalmente le
due Chiese. La lettura dominante degli interpreti va nel senso
della latinit di Gioacchino, ma la discussione merita di essere
approfondita e probabilmente andrebbe nel senso contrario
allopinione dominante: H. MOTTU, La manifestazione dello
Spirito secondo Gioacchino da Fiore, p. 256.

35
dello Spirito secondo Gioacchino da Fiore 1, con parole
che sono sostanzialmente un giudizio di eterodossia
rispetto al cristianesimo2, pensato come cristocentri-
co cos come si configura in maniera speciale almeno
a partire da san Bonaventura3, o almeno io ve lo leggo
apertamente: risolvere il problema di questo rapporto
tra Cristo e lo Spirito, la Parola salvatrice e la manife-
stazione del Regno, la giustificazione mediante la sola
grazia e la ricerca della giustizia, significherebbe pro-
babilmente trovare la soluzione dellenigma della teo-
logia di Gioacchino; ma significherebbe pure uscire
dalla nostra condizione di interpreti e togliere qualcosa
allo strano fascino che la sua teologia non ha cessato di
esercitare fino ad oggi. Come nota lo stesso Henry
Mottu, in Gioacchino da Fiore troviamo esaltata
lumilt di Cristo (in gran parte con accenti di com-
prensione monastica di questa virt), ma vi uno stri-
dente silenzio sul trionfo della Croce, sulla morte che
esalta Cristo perch avviene senza accettazione della

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito secondo Gioac-
chino da Fiore, p. 291.
2
Ben pi duro il giudizio di FOURNIER, Etudes, pp. 34-35, che
comunque ritiene che Joachim tait un saint homme, ma che
non pu leggerlo, per ovvie ragioni, con le lenti del Concilio
Vaticano II.
3
Vanno menzionate, ma mi paiono poco persuasive, le difese
appassionate condotte da A. CROCCO, Genesi e significato
dellEt dello Spirito nellescatologia di Gioacchino da Fio-
re, in Storia e messaggio in Gioacchino da Fiore, San Giovan-
ni in Fiore (CS) 1980, pp. 195-224.

36
violenza che lo ha stroncato, tanto che si pu dire che
lumilt di Cristo occupa lo spazio dellintera cristolo-
gia di Gioacchino. Il fascino del discorso trinitario di
Gioacchino si riversa tutto nella sua teoria stadiale del-
la storia, secondo un disegno immutabile e lineare vo-
luto dalla Provvidenza (che pare quasi limitare lon-
nipotenza divina, e mi pare di potere dire che per Gio-
acchino lidea stessa di Dio che cambia il passato non
ha senso), senza le tensioni dialettiche che saranno di
Hegel, quasi che il corso della storia risolvesse la ten-
sione contraddittoria della Trinit che quei-tre (e non
gi una qualunque terna) che sono uno.

37
II
INDICAZIONI SIMBOLICHE
SULLA VITA DI GIOACCHINO

Le fonti pi prossime al periodo in cui Gioacchino


visse e che ci raccontano la sua vita sono state raccolte
da Grundmann nella sua biografia dedicata allabate
florense, e si riconducono allopera del vescovo di Co-
senza Luca1 e di un anonimo monaco a lui vicino 2. So-
no poi da considerare i lavori e le acquisizioni della
Commissione storica istituita in vista della procedura
per la canonizzazione di Gioacchino, nellambito del-
lArcidiocesi di Cosenza-Bisignano. Facciamo risalire
al 1135 lanno della nascita di Gioacchino, in base alla
testimonianza di un abate cistercense, Adamo di Per-
seigne, che nel momento in cui lo incontr a Roma in
una data tra il 1195 ed il 1198 ebbe limpressione di
incontrare un uomo di circa sessantanni: pi certo
invece il fatto che nacque a Celico, e che, dopo avere
studiato a partire dai sette anni la grammatica e le ma-

1
H. GRUNDMANN, Gioacchino da Fiore. Vita e opere, Roma
1997, pp. 191-197.
2
H. GRUNDMANN, Gioacchino da Fiore, pp. 183-190.

39
terie umanistiche, inizi la sua vita da adulto attraverso
unesperienza notarile, un dato significativo se asso-
ciamo la pratica notarile ai mestieri degli operatori giu-
ridici e compariamo questo dato con la sostanziale a-
nomia del suo discorso profetico e spirituale 1. Negli
anni 60, e gi nel corso degli anni 50, a Palermo
come funzionario amministrativo presso la corte nor-
manna, presta servizio presso larcivescovo, sino a
quando verso il 1168, certamente non prima del 1167,
parte per i luoghi santi del Vicino Oriente, secondo iti-
nerari che non sono ricostruibili a partire da una do-
cumentazione insufficiente2. La vita religiosa di Gio-
acchino coincide con labbandono della pratica notari-
le, e la sua scelta cadr sulla vita eremitica, unopzione
tanto pi disponibile quanto la geo-cultura della Cala-
bria e del Meridione del XII secolo risentiva di influssi
e presenze del cristianesimo orientale quanto certo non
si poteva dire per le regioni settentrionali dellItalia e
dellEuropa3. Non a caso, al ritorno in Sicilia si insedia

1
Il termine anomia mi pare esprima lanalisi di P. FOURNIER,
Etudes, pp. 30-32.
2
Si veda P. DALENA, I viaggi di Gioacchino e dellabate Mat-
teo in Oriente e in Sicilia, in Cosimo Damiano Fonseca, a cura
di, Gioachimismo e profetismo in Sicilia, Roma 2007, pp. 29-
39, a pp. 30-31.
3
Per una recente messa a punto sintetica del quadro generale,
S. LUC, Note per la storia della cultura greca in Calabria, in
Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 74 (2007), pp.
43-101. Il rinvio dobbligo resta quello a F. BURGARELLA, V.
von FALKENHAUSEN, S. TRAMONTANA, Il Mezzogiorno dai Bi-
zantini a Federico II, in Storia dItalia, III, Torino 1994. Per

40
in un gruppo monastico sui costoni dellEtna. Si era

una erudizione locale non scevra di sviste, F. RUSSO, Il B. Pie-


tro da S. Andrea, primo ministro della Provincia francescana
di Calabria: appunti storico-critici sulle origini francescane in
Calabria, in Miscellanea Francescana, 38 (1938), pp. 431-
456, 39 (1939), pp. 471-494, 40 (1940), pp. 49-71 (racconta
delle persecuzioni contro i francescani di Federico II a partire
dal 1240 e di Corrado IV nel 1252, che perseguita chi non vuo-
le rompere il sigillo sacramentale, p. 65), 42 (1942), pp. 39-64.
A p. 474 osserva che il monachesimo greco si diffonde in Ca-
labria nel VII secolo (cita da P. P. RODOT, Dellorigine, pro-
gresso e stato presente del Rito greco in Italia, I-IV, Roma
1758-1763, Dei monaci basiliani, II, Roma 1760), e alle pp.
475-476 sottolinea come Leonzio Pilato fosse un basiliano ca-
labrese, traduttore di Omero, ed era letto da Petrarca e Boccac-
cio. Il saggio di Padre Russo contiene anche la storia della mor-
te di Pietro di santAndrea nellaprile 1264 a Castrovillari per
mano del ricco mercante ebreo Parnassio di cui convertiva la
moglie (p. 42): la storia attestata solo nel manoscritto sette-
centesco di De Rubeis che redige la storia della presenza in Ca-
labria della famiglia conventuale dellOrdine, e a difetto di es-
sere attendibile sarebbe degno oggetto di una comprensione
della sua genesi come costrutto storiografico. Ci testimonia al-
meno di una presenza ebraica in Calabria percepita come fonte
di potenziale pericolo: a p. 45 Russo evoca delle numerose te-
stimonianze della presenza ebraica in Calabria, con citazione
da C. M. LOCCASO, Della Topografia e Storia di Castrovilla-
ri, Napoli 1884, p. 30, che indica come si chiamassero Giudee
le aree del loro insediamento, ma soprattutto (pp. 46-47) O.
DITO, Gli Ebrei di Calabria e la loro importanza nella vita ca-
labrese, Rocca S. Casciano 1913, p. 5, dove Castrovillari det-
to centro giudaico antico e importantissimo. Il loro insedia-
mento fatto risalire al tempo di Federico II (cos LOCCASO e
C. PEPE, Memorie di Castrovillari, Castrovillari 1880, p. 108).

41
recato quindi in Terrasanta non prima dellanno 1167,
secondo i lavori della Commissione storica istituita
dallArcidiocesi di Cosenza, commissione che ha ope-
rato tra il 2001 e il 2005. Per lesatta cronologia siamo
di fronte ad un puzzle costituito dalle indicazioni bio-
grafiche, in cui necessario tentare di mettere ordine:
un tempo si proponeva addirittura la data alternativa
del 1148 per il suo abbandono della pratica di funzio-
nario amministrativo, ipotesi che condurrebbe a pensa-
re che dal 1148 al 1167 abbia praticato la vita eremiti-
ca per un tempo molto lungo, e praticamente nessuna
esperienza come funzionario amministrativo e notaio,
sino a quella data del 1171 in cui sappiamo che entr a
far parte del monastero benedettino di Santa Maria di
Corazzo, prima visitato sulla strada per la sede episco-
pale di Catanzaro, poi, dopo essersi recato a Rende,
sede della sua assunzione dellabito monastico. In una
ipotesi, assai verosimile, si tratta di non pi di tre anni
di vita eremitica, nellaltra ipotesi di almeno ventitre
anni di vita ermetica: questo lungo periodo in realt
non collima con le indicazioni delle fonti dirette, e
metterebbe in discussione il valore delle fonti stesse,
cosa che non pare affatto verosimile, anzi. Ricapito-
lando, prima di integrare la vita monastica, e divenire
certamente abate di Corazzo nel 1177, fece senza dub-
bio la sua brava esperienza eremitica in una regione, le
pendici dellEtna, con presenze basiliane sufficiente-
mente attestate. La durata della sua presenza in Terra-
santa non sicuramente determinabile: il lasso di tem-
po di inizio della vita eremitica siciliana oscilla da do-

42
po il 1168 sino verosimilmente allesordio del nuovo
decennio 1770, esperienza che prosegu recandosi a
vivere in una grotta nei pressi di Cosenza, a Guarassa-
no. Passa quindi un periodo nel monastero cistercense
della Sambucina, e per un anno predica nella zona col-
linare di Rende. A Guarassano il racconto agiografico
vuole che abbia incontrato il padre notaio e abbia ri-
nunciato di fronte a lui a tutte le proprie ricchezze, un
episodio che se da un lato sembra essere perfettamente
coincidente con una figura retorica dellagiografia
dellepoca, daltro lato collimerebbe con le tensioni
che Gioacchino stesso esprime verso la propria fami-
glia in una sua opera - la Concordia Novi ac veteris
Testamenti (V, 8) - e di cui ci racconta la biografia del
vescovo Luca1.
Tra i confratelli di san Francesco dAssisi si trove-
ranno certo molti gioachimiti: Manselli per osserva
che il francescanesimo si presenta come movimento di
forte critica dello stato esistente della Chiesa cattolica
prima di ogni influenza gioachimita, come mostra
latteggiamento di santAntonio da Padova. Tuttavia,
la presenza di unanima condescensiva nellappli-
cazione della Regola minoritica produce un rigetto del-
linnesto del gioachimismo nel tessuto francescano 2.
Resta il fatto che a differenza di Francesco dAssisi,

1
La si pu vedere in traduzione italiana nel gi citato volume
di A. STAGLIAN, Labate calabrese, pp. 197-200.
2
R. MANSELLI, Accettazione e rifiuto della terza et, poi in R.
MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, p.
189, p. 190.

43
Gioacchino rifiuta una collocazione nel nuovo mondo
urbano non gi francescanamente per continuare a vi-
vere in quel mondo pur esonerandosi dalle sue regole,
bens per rientrare apparentemente nelluniverso della
tradizione monastica che era e rester tanto pi legato
alluniverso del mondo feudale, oramai avviato al tra-
monto nellEuropa tutta, per sopravvivere a lungo solo
nelle sue periferie, tra cui il Meridione dItalia. Gioac-
chino transita quindi per il clero secolare - lo abbiamo
gi visto ricevere gli ordini minori dal vescovo di Ca-
tanzaro transitando al monastero di Corazzo -, si d al-
la predicazione su quelle colline che danno sulla valle
del Crati, magari proprio allaltezza del torrente Surdo.
Questa predicazione in qualche modo collegata al
suo contatto con lambiente monastico dellabbazia
della Sambucina, ma la sua vita religiosa per ora si in-
tegra nella comunit benedettina di Santa Maria del
Corazzo, dove diviene rapidamente priore e dove alla
rinuncia dellabate Colombano segue la sua elezione
da parte dei monaci nel 1177: cerc di consolidare lo
statuto dei possedimenti di questa abbazia, rivolgendo-
si al mondo cistercense, prima alla comunit della
Sambucina, da lui gi esperita nel passato, poi alla co-
munit laziale di Casamari, ma in entrambi i casi ot-
tenne risposte negative, legate alla geopolitica di quei
monasteri. Se dobbiamo prestare fede alle lamentele
dei suoi compagni di comunit di Santa Maria del Co-
razzo, cui il Papa diede ascolto nel 1188 affiliando
questa comunit allAbbazia di Fossanova, una comu-
nit cistercense collocata nellattuale provincia di Lati-

44
na, queste peregrinazioni di Gioacchino sembrano di-
rette pi ad affrancarsi dai suoi doveri politici di abate
che al rafforzamento del ruolo del monastero di Coraz-
zo. Certo che durante il suo soggiorno a Casamari,
dove conobbe anche il suo biografo Luca Campano,
poi vescovo di Cosenza, si consacr alla sua opera di
scrittore ed interprete delle Scritture, in cui pot im-
mergersi totalmente con soddisfazione sua e dei suoi
confratelli di Corazzo quando le loro strade si separa-
rono appunto nel 1188, una volta che Gioacchino si ri-
tira insieme ad alcuni discepoli a Pietralata, che prefe-
risce chiamare Petra Olei, e la comunit ex-benedettina
di Corazzo entra nella costellazione cistercense, come
filiazione del gi citato monastero di Fossanova.

La sua vocazione eremitica, che in ultima analisi


un rifiuto del mondo urbano associato al rifiuto anche
del mondo feudale, lo conduce a cercare lisolamento
sullaltopiano silano, dove in una localit ora indicata
nella memoria storica come Jure Vetere1 fonda appun-
to nellautunno del 1188 labbazia florense, dove si in-
sedier lanno successivo, pi precisamente il proto-
monastero di Fiore Vetere, nucleo di riferimento geo-
grafico, almeno sino allincendio che lo devaster nel
1214, di quella che diverr la localit di San Giovanni

1
Si pu vedere una mappa dei luoghi gioachimiani in Sila in
G. BERTELLI, D. ROUBIS, F. SOGLIANI, I siti florensi della Sila:
la scoperta della prima fondazione monastica di Gioacchino
da Fiore a Jure Vetere (S. Giovanni in Fiore), in I luoghi di
Gioacchino da Fiore, pp. 119-145, a p. 138.

45
in Fiore. Suggestivo considerare che la parola fiore
venne individuata da Gioacchino credendo di tradurre
dallebraico la parola Nazareth, con significati escato-
logici e geografici che sono lordito con cui tessuta la
trama cristiana del suo discorso, un ordito capace di
evocare un cristianesimo simbolico e emblematico che
male si adatta alla razionalit del diritto canonico o
della teologia scolastica 1. In ogni caso, non prima del
1194 sar chiarita la situazione feudale dei possedi-
menti dellinsediamento monastico di Jure Vetere,
passato dalla forma originaria di eremiti isolati a quella
di eremiti raggruppati in forma cenobitica 2, ossia co-
munitaria, con il consueto intreccio di privilegi legati
ai prodotti della terra, non prima cio di un intervento
esplicito di Enrico VI, dopo anni di confusione politica
e giuridica. Le testimonianze esprimono una forma di
vita religiosa gioachimita, che il successore di Gioac-
chino, labate Matteo, intende preservare e fare svilup-
pare, nella galassia della famiglia benedettina. Il desti-
no dei monaci florensi venne separato dai pontefici da
ogni eventuale rigore contro la dottrina trinitaria del
loro fondatore, mostrando quindi lassenza di ogni ac-

1
Per il punto etimologico, S. E. WESSLEY, The Role of the
Holy Land for the Early Followers of Joachim of Fiore, in R.
N. SWANSON, edited by, The Holy Land, Holy Lands, and
Christian History, Rochester 2000, p. 185.
2
G. ANDENNA, Il monachesimo florense ed il papato sino alla
met del Duecento, in Cosimo Damiano Fonseca, a cura di,
Lesperienza monastica florense e la Puglia, Roma 2007, pp.
29-60, a pp. 31-32.

46
canimento nella politica ecclesiastica contro listituzio-
ne florense, pure in presenza di un intervento censorio
in materia di ortodossia dottrinale1. Ma il loro destino
pur sempre breve2: forse pi che le fratture interne, in
piena evoluzione e consolidamento a partire dai primi
anni della seconda met del XIII secolo, sar forse la
loro eccentricit rispetto al modello dominante eccle-
siologico latino a condannarli alla marginalit, esem-
plificata nella loro scelta tra eremo e cenobio in stri-
dente contrasto rispetto al modello dilagante urbano
degli Ordini mendicanti.

E comunque negli ultimi anni della vita di Gioac-


chino che la vocazione alla scrittura, coltivata anche
grazie alle concessioni pontificie che lo esoneravano
dal carico consueto di preoccupazioni amministrative
di un abate, si traduce nella sua opera esegetica e teo-
logica, ma che non potremmo certo definire filosofica
in senso stretto. Ed negli ultimi anni della sua vita, se
non in quelli immediatamente successivi, che si conso-
lida la raccolta di figure del Liber figurarum, in cui le

1
G. ANDENNA, Il monachesimo florense ed il papato sino alla
met del Duecento, pp. 40-41.
2
Per una panoramica efficace rinvio a M. SALERNO, Fra cielo
e terra. Gioacchino e i Florensi tra vita religiosa e pratiche
economiche, in A. VACCARO, a cura di, Storia, religione e so-
ciet tra Oriente e Occidente (sec. IX-XIX), Lecce 2013, pp.
113-135.

47
didascalie possono per alcuni essere soppiantate dalle
figure stesse1.

Occorre, per evitare ogni fraintendimento ed equi-


voco, chiedersi perch il ricorso sistematico al simbo-
lico, al pensare per figure, come lo si voluto chia-
mare, da parte di Gioacchino possa avergli procurato
un posto disagevole nella cultura medievale dominan-
te. La chiave di volta per comprendere il luogo del
simbolo nella cultura medievale dominante sono i Li-
bri carolini, che disponiamo in una edizione critica re-
cente2: di fronte ad una pi che esitante traduzione la-
tina di un passo del Secondo concilio niceno del 787,
traduzione che suggeriva la liceit delladorazione del-
limmagine, superando la venerazione ad esse dovuta e
allargando lesclusiva adorazione dovuta a Dio, Carlo
Magno assume in pieno la sua funzione di campione

1
A. STAGLIAN, Labate calabrese, p. 62, cita il contributo di
Fabio Troncarelli che considera lopera pienamente gioachimi-
ta, e che solo per distorsione divenne gioachimista, ossia tra-
dimento del pensiero del maestro e forma standard, per, nella
cultura occidentale, di leggerlo o di vederlo.
2
Opus Caroli regi contra synodum (Libri carolini), ed. A. Fre-
eman, with P. Meyvaert (Monumenta Germaniae Historica,
Concilia, 2, suppl. 1), Hannover 1998. Leditrice critica ha i-
naugurato linteresse per questopera nella seconda met del
XX secolo con il suo studio seminale A. FREEMAN, Theodulf of
Orleans and the Libri Carolini, Speculum, 32 (1957),
pp. 663705, sino agli esiti raccolti in A. FREEMAN, Theodulf
of Orlans: Charlemagnes Spokesman Against the Second
Council of Nicaea, Aldershot 2003.

48
della teologia politica ed affida ad un membro della
sua curia, Teodolfo di Orleans, di smentire quel propo-
sito ritenuto deviante. Ecco che nel 793 sono composti
i Libri carolini, che fissano una volta per tutte nel
mondo latino cristiano - allinterno della teologia poli-
tica dominante - lo statuto dellimmagine, che non
mai oggetto di adorazione, bens di venerazione, e che
deve essere accompagnata dalle opportune strutture
ermeneutiche per garantirne lortodossia. Maria Bette-
tini ha fornito un contributo estremamente utile per chi
voglia accedere a questa fonte capitale per la geocultu-
ra latina medievale del sacro, un contributo che oppone
la silenziosa decorazione alla fonte dello spirito1:
limmagine contiene un surplus di significato irriduci-
bile alle operazioni linguistiche che si possono condur-
re introno ad essa, ossia limmagine una silenziosa
decorazione, quindi incapace di dire qualcosa, quando
non sia associata alle opportune didascalie (tituli)2 e ad

1
M. BETTETINI, Lo statuto dellimmagine, silenziosa decora-
zione o fonte dello spirito. Percorsi dallepoca carolingia a
Gioacchino, in A. GHISALBERTI, a cura di, Pensare per figure,
pp. 9-31.
2
Nellopera di un prestigioso intellettuale dellepoca carolin-
gia, Rabano Mauro, Liber de laudibus Sanctae Crucis, le figure
sono accompagnate dalla declaratio figurae, linevitabile dida-
scalia. Per di pi, le stesse figure sono immerse in un mare di
lettere che ne lo sfondo, ed il testo che fa da sfondo ritra-
scritto a seguito della figura, per sottolineare il primato del lin-
guaggio e delimitare saldamente la possibile pulsione verso
lindicibile. La monografia di riferimento quella di M. C.
FERRARI, Il Liber sanctae crucis di Rabano Mauro, Bern

49
una impalcatura ermeneutica, oppure limmagine con-
tiene questo surplus di significato e si rivela cos una
fonte, di fatto gerarchicamente sovraordinata al lin-
guaggio, dello Spirito santo1? Mentre la risposta di
Gioacchino mostra numerosi spunti in questa seconda
direzione, e certo alcuni suoi interpreti nei secoli han-
no voluto vedere nelle immagini - grafiche e/o lingui-
stiche - che ci offre un eccesso di significato rispetto al
linguaggio stesso, ed anche se sempre possibile leg-
gerlo in direzione alternativa perch nel senso della si-
lenziosa immagine, la risposta dei Libri carolini pe-
rentoria, cos come perentoria la messa al servizio
della civilt dellinterpretazione che Carlo Magno ope-
ra con la sua teologia politica. Considerata chiusa la
fase della Rivelazione, considerato determinato dalla
Tradizione - riconosciuta dalla Sede apostolica - il pa-
trimonio della fede, Carlo Magno si considera uno dei
termini dello schema ternario, che coinvolge papa, im-
peratore e Dio, in cui il Terzo divino investe il potere
imperiale come legittimo grazie al ruolo di mediatore

1999, ma si pu vedere una bella riproduzione delle immagini


tratte da un manoscritto vaticano nelledizione critica nel Cor-
pus Christianorum Continuatio Mediaevalis, 100-100A, Tur-
nhoult 2000. Sebbene non contenga tutte le immagini, in rete si
trovano riprodotte a colori le immagini di un manoscritto con-
servato a Berna, allindirizzo http://www.ecodices.unifr.ch/it/-
thumbs/bbb/0009.
1
Si veda C. CHAZELLE, Not in Painting But in Writing: Augu-
stine and the Supremacy of the World in the Libri Carolini, in
Reading and Wisdom: The De doctrina christiana of Augustine
in the Middle Ages, Notre Dame 1995, pp. 1-22.

50
del pontefice romano: il primato della parola sancito
sullimmagine, per il semplice fatto che oggetto di in-
terpretazione, larte in cui eccelse la civilt romana
grazie al monumento giuridico che seppe produrre, il
linguaggio, e non gi uno stato di cose. Se vero che
Giovanni Scoto Eriugena, sulla falsariga del neo-
platonismo, toglie luso della parola simbolo dalla
sola espressione symbolum fidei - il deposito della fede
- per estenderlo a tutte una serie di espressioni seman-
tiche che stiracchiano le ordinarie operazioni linguisti-
che di significanza 1, altrettanto vero che non esce dal
paradigma tracciato dai Libri carolini, che condannano
piuttosto ogni approccio gnosticheggiante allimmagi-
ne che ne voglia fare una pietra miliare di un percorso
iniziatico. Non mi situo sulla stessa falsariga dellana-
lisi di Maria Bettetini, anche ci che ella afferma non
scorretto: dopo i Libri carolini, le immagini non po-
tevano pi essere buone o cattive, ma diventavano solo
utili o inutili e, soprattutto, belle o brutte. Cos come la
cultura occidentale le ha poi considerate nei tredici se-

1
F. PAPARELLA, Le teorie neoplatoniche del simbolo. Il caso di
Giovanni Eriugena, Milano 2008, pp. 144-147: in queste pagi-
ne mostrata la differenza tra simbolo ed allegoria, il primo
apertura sulle verit metafisiche ultime (metafora fondamenta-
le), la seconda strumento ermeneutico di livello meno primario.
Esaltazione del simbolo, certo, ma in una stretta dipendenza dal
linguaggio, cos come mostra tutta laccurata tassonomia offer-
ta da Paparella. A proposito di Eriugena, Paparella evoca la
dialettica di nascondimento e di rivelazione del simbolo (p.
153), che equivalente al dire lindicibile della contemporanea
antropologia psicoanalitica di Jacques Lacan.

51
coli successivi1. Forse farei meglio a dire che non a-
vrei scritto questultima frase nello stesso modo, poi-
ch Bettetini dice chiaramente quello che per me il
fulcro dei Libri carolini: ci che li sostiene lesegesi
delle Scritture come unica fonte di verit 2, tesi fon-
damentale del De doctrina christiana agostiniano.
Prima della secolarizzazione moderna, finch lidentit
dogmatica cristiana era percepita in modo sensibile,
cos come lo era quella musulmana nei territori islami-
ci, o quella ebraica nelle comunit giudaiche, le imma-
gini erano soprattutto percepite come segni non-
linguistici, da cui linteresse di Scoto Eriugena per una
loro tassografia, incapaci di analisi ermeneutica senza
lausilio di una struttura linguistica associata.

Questo era il luogo coerente delle immagini in una


civilt dellinterpretazione, fondata su due corpi testua-
li, quello giuridico e quello religioso. In assenza di tale
struttura, le immagini sono oggetto di commento e di
uso, belle o brutte, utili e inutili: lautonomia dellarte
lesito del rifiuto di operazioni semantiche di tipo e-
soterico o iniziatico, ma si associa anche alla rimozio-
ne della valenza inconscia del simbolo e dellemblema,
e questa valenza ritorner a fare sentire la sua voce si-
lente, lasciando sempre aperta, a dispetto di ogni inten-

1
M. BETTETINI, Lo statuto dellimmagine, silenziosa decora-
zione o fonte dello spirito, p. 11.
2
M. BETTETINI, Lo statuto dellimmagine, silenziosa decora-
zione o fonte dello spirito, p. 13.

52
zione, la porta a strategie alternative di tipo esoterico o
iniziatico. In fondo linterazione tra diritto romano e
religione cristiana che ha evitato sia il rifiuto, sia
lesaltazione delle immagini: tuttaltro che un caso il
fatto che nel contesto musulmano limmagine sia solo
geometrica nei luoghi di culto, e che la tradizione giu-
daica arrivi a non volere neppure pronunciare il nome
del Dio unico, od ancora che il protestantesimo abbia
impoverito drasticamente le decorazioni dei luoghi di
culto. Le prime due tradizioni sono sempre rimaste
impermeabili alleredit giuridica romanistica, la terza
un cristianesimo che nasce dallatto di Lutero di bru-
ciare in piazza la Summa angelica, testo di riflessione
filosofica sulle basi del diritto canonico, ossia leva-
cuazione delleredit romanistica dal corpo cattolico,
rinnegano il percorso che da Eusebio di Cesarea passa
per papa Gelasio I ed arriva a Carlo Magno.

Se ora pensiamo ai disegni gioachimiani che trat-


teggiano diverse concezioni della Trinit 1, e li pensia-

1
Rinvio a E. HONE, Symbolik und Kontext von Joachim von
Fiores antilombardischen Figuren: Zur Interpretation von
Tafel XXVI in der Faksimile-Ausgabe des Liber Figurarum,
Pensare per figure, A. Ghisalberti, a cura di, pp. 137-157; poi,
J. DEVRIENDT, Du triangle au Psaltrion: lapport de Joachim
de Flore lune des reprsentations majeures de la Trinit,
Pensare per figure, pp. 187-202.
Vale la pena di notare che per Gioacchino sembra che la con-
formazione geometrica del disegno con il quale rappresenta la
Trinit sia capace di esprimere la concezione ortodossa, la sua,

53
mo al di l di una mera funzione euristica, allora di-
venta chiaro che Gioacchino uscito dalla teologia po-
litica latina dominante, per la quale un affresco di
Cristo in croce ricorder levento storico della morte di
Cristo, senza nulla aggiungere riguardo alla persona e
alle due nature1. Questa fuoriuscita dalla teologia po-
litica latina carolingia non sinonimo di esoterismo, se
pensiamo al fatto che nel cristianesimo bizantino le i-
cone si scrivono, un modo di esprimersi che non solo
proprio del discorso colto, quanto della lingua ordina-
ria della fede cristiana orientale. Il rettore di un semi-
nario di rito cattolico orientale, come quello che opera
nella citt di Cosenza, pu dire nel linguaggio ordina-
rio di oggi che unicona stata scritta da un sacerdote
del suo territorio. Questo modo di esprimersi non im-
plica nessun esoterismo e nessuna tendenza iniziatica,
anche se esclude la teologia politica carolingia: se pen-
siamo lermeneutica del testo giochiamiano in questa
chiave, lo possiamo pensare altro dalla cultura cristiana
latina dominante solo in quanto appartenente al discor-
so di unaltra geocultura cristiana, e non per altro. Re-
sta il fatto che nella cultura latina lespressione pensa-
re per figure forse la cifra del fascino esercitato da

contro quella deviante, sostenuta da Pietro Lombardo. Se que-


sto fosse fondato, Gioacchino sarebbe completamente fuori dal
paradigma ermeneutico del mondo latino occidentale marcato
dal diritto romano, dallepoca carolingia e dalla Scolastica.
1
M. BETTETINI, Lo statuto dellimmagine, silenziosa decora-
zione o fonte dello spirito, p. 15.

54
Gioacchino da Fiore senza alcuna evocazione bizanti-
neggiante, un fascino sulle cui derive sempre in aggua-
to ha giustamente ammonito il cardinale de Lubac1. E
certo la cifra dellincompatibilit di Gioacchino stesso
con la civilt latina dellinterpretazione, i cui due mo-
numenti sono le glosse al corpo giuridico, sia esso ca-
nonico oppure romanistico, e le glosse alla Vulgata, il
Testo sacro del cattolicesimo. Non si tratta qui di evo-
care per lennesima volta vicende processuali, quanto
di prendere atto della refrattariet del mondo latino cri-
stiano al pensare per figure, ma non allimportanza
della figura, che non solo immagine anche alla porta-
ta degli analfabeti, ma anche simbolo ed emblema
della psicologia profonda delluomo, una dimensione
che stata scoperta dalla psicoanalisi nel contesto di
una cultura novecentesca pi che secolarizzata, ma che
i Padri della chiesa, latini o greci che fossero, avevano
gi maneggiato in lungo ed in largo per una semplice
ragione: il loro scopo principale non era costruire un
discorso razionalizzato sul cristianesimo, bens quello
di costruire un discorso devozionale persuasivo, dato

1
H. de LUBAC, La posterit spirituelle de Joachim de Flore, I-
II, Paris 1978-1980. Pu essere utile vedere la lunga recensione
di P. DEGHAYE, Henri de Lubac et Joachim de Flore, in
Journal for the Study of Western Esotericism, 3 (1986) pp.
25-40. Il problema che il cardinale de Lubac solleva sin da E-
xgse mdivale, Paris 1959, la teologia scritturale che pre-
siede allesegesi gioachimita: anche se lespressione non vi ri-
corre, sotto accusa proprio il pensare per figure.

55
che volevano evangelizzare i loro interlocutori, con-
vertirli alla fede cristiana. Tante volte ci imbattiamo in
lunghe accumulazioni di percorsi per cui un simbolo
cristiano stato ripreso e/o copiato da un uso religioso
pre-esistente. Il punto che non c discorso devozio-
nale di sorta senza simboli ed emblemi, e questi due
elementi non sono pertinenza di un culto o di una rive-
lazione, essi sono espressione delle invarianti umane, o
se si preferisce dellinconscio, o come altro lo si voglia
chiamare; anche se poi quei simboli ed emblemi nella
tradizione cattolica latina non sono ritenuti capaci di
significare senza lausilio del Testo sacro, ed anche se
poi la Scolastica coltiver il razionalismo sino a poter
pensare di fare a meno di simboli che non fossero del
tutto riducibili ad una formulazione linguistica 1. Forse
unesasperazione di un rigoroso approccio filosofico
analitico, forse anche un mutamento di prospettiva ri-
spetto alla Patristica: lo scopo della Scolastica non
evangelizzare, bens mostrare a chi gi crede (e quin-
di poter dare per scontati simboli ed emblemi) che ci
in cui crede razionale - comunque, non si pu negare

1
Anche se la Scolastica segnata dallaristotelismo, contiene
tracce anche profonde del platonismo in quasi tutte le sue ani-
me. Gioacchino era impermeabile alle categorie del neoplato-
nismo, ed in questo non segue i Padri della Chiesa greci, ma
non segue neppure lo spirito filosofico che oramai dominava
nel mondo latino a lui contemporaneo. Cos, H. MOTTU, La
manifestazione dello Spirito, p. 106. La sua esegesi non solo
separata dalla filosofia, sembra disdegnarla.

56
la tendenza a mettere almeno tra parentesi lEnigma
nel culmine del razionalismo ermeneutico della filoso-
fia cristiana insegnata nelle universit tra XIII e XIV
secolo1.

Che cosa stonava nelle analisi trinitarie gioachimite


agli orecchi di un esponente della cultura dominante
latina nel XIII secolo? Lo abbiamo gi detto, lasciamo
perdere la ricognizione delle analisi presunte o reali
che promanano dai tribunali dellepoca: i giudici me-
dievali che si interrogano sulla conformit di un autore
al deposito della fede, non fanno tanto opera di intellet-
tualismo teologico, quanto opera di normativit socia-
le. Resta il fatto che collidere alla fine del XII secolo
con lapproccio di Pietro Lombardo significa collidere
con la massima espressione della filosofia cristiana del
Medioevo, lincipiente Scolastica. La Trinit, con la
sua formidabile sfida al principio di contraddizione, si
erige in terreno privilegiato per chi voglia dire lindici-

1
Non si pu per evitare di osservare che quando gli approcci
allimmagine che hanno comunanza di famiglia con quello gio-
achimita sono intesi come teologia figurativa, un elemento di
gnosticismo cristiano emerge con decisione e chiarezza, cosa
che colloca questa chiave di lettura nella dimensione assoluta-
mente centrifuga che ha avuto lo gnosticismo rispetto al para-
digma dominante cristiano, quello gnosticismo cos lucidamen-
te tracciato da Eric Voegelin. Per la nozione di teologia figura-
tiva, che esplicitamente non solo storiografica bens anche
teoretica, M. RAININI, Disegni dei tempi. Il Liber figurarum
e la teologia figurativa di Gioacchino da Fiore, Roma 2006.

57
bile: ogni ermeneutica trinitaria oscilla fra il rispetto
linguistico del divieto di contraddizione e la banalizza-
zione della Trinit stessa - in un senso sono tre, in un
altro uno -, da un lato, e dallaltro il superamento del-
la contraddizione per parlarne solo in termini simboli-
ci, usando un linguaggio che non pi il linguaggio 1.
La Scolastica scelse di praticare la prima strategia:
non-banalizzazione del dogma trinitario e razionaliz-
zazione attraverso lermeneutica del linguaggio. Il
pensare per figure si colloca sulla riva opposta, ed af-
fida allemblema la custodia del significato trinitario:
lemblema per non ammette una normalizzazione del-
le interpretazione che lo riguardano, poich esprime
lindicibile e lindicibile non normalizzabile. Se Le-
gendre ha caratterizzato il periodo scolastico nel tenta-
tivo di suscitare lamore verso i censori, i custodi
dellarchitettura dogmatica della societ 2, diviene chia-
ro come porre lemblema al centro del deposito della
fede sia una minaccia terribile allesistenza stessa del
1
Vi unaltra alternativa, quella della logica paraconsistente,
che permette di permanere in un razionalismo che non quella
della filosofia moderna seicentesca oppure settecentesca. Ma
questa via non concede al simbolo uno statuto diverso dal ra-
zionalismo della logica classica.
2
Sono censori, non nel senso contemporaneo di censura solo
morale, quanto nel senso con cui si poneva lapposizione il
Censore al nome del romano Catone, difensore dellordine
tradizionale. Sono garanti della normativit sociale, ossia della
sua struttura dogmatica. Rinvio a P. LEGENDRE, Lamour du
censeur, Paris 1974.

58
discorso colto religioso. La teologia politica carolingia
non pu fare a meno dei simboli, ma non si pu dise-
gnare la Trinit e pretendere che questo simbolo cos
vergato sia la verit della Trinit; se le figure di Gioac-
chino avessero solo valore euristico, ossia questo di-
segno rappresenta la mia spiegazione della Trinit e
questaltro disegno rappresenta la tua, che non mi pia-
ce, avremmo solo un Gioacchino in rotta di collisione
con le coordinate della filosofia cristiana dominante.
Ma se avessero ragione quegli interpreti che vedono in
quelle figure la verit stessa della Trinit, ossia figure
che sono emblemi e simboli, come da noi definiti, con
pretesa di discriminare il vero dal falso, allora Gioac-
chino sarebbe in rotta di collisione non solo con la
Scolastica, bens con la stessa geo-cultura cristiana
dellOccidente latino. Pu essere un eccellente motivo
per amarlo oppure per detestarlo, e la sua propensione
per lo stile eremitico indicativa del luogo da lui oc-
cupato nel flusso della cultura latina dominante.

La scelta eremitica di Gioacchino ribadita dal suo


rifiuto di associare la sua comunit a un qualche mona-
stero da rivitalizzare, come gli proponevano le istitu-
zioni politiche dellepoca: egli preferisce dare vita ad
una nuova comunit, distinta simbolicamente dalle co-
munit religiose gi esistenti, non disdegnando di en-
trare in conflitti di matrice giuridico-feudale sulluso
delle terre con altre comunit religiose, conflitti nor-
mativi che dissimulavano anche conflitti culturali e di

59
sensibilit religiosa. Fu papa Celestino III ad approvare
listituzione di una nuova comunit monastica, la Con-
gregazione florense, nellagosto del 1196, una comuni-
t spinta dallo specifico afflato escatologico del suo
fondatore che la diresse sino allanno della sua morte,
il 30 marzo 1202, in localit San Martino di Canale
presso Pietrafitta, comunit che sotto il suo successore
Matteo conobbe una proliferazione di possedimenti
nellItalia meridionale ed in altre parti dEuropa che
sembrano indicare una normalizzazione rispetto alla
tensione eremitica di Gioacchino, tanto che nel 1570 la
congregazione perse ogni autonomia per riconfluire
nella galassia cistercense da cui il fondatore aveva vo-
luto differenziarla: Russo racconta con enfasi come il
nostro abate del monastero divenuto cistercense di Co-
razzo insieme al suo confratello Raniero da Ponza nel
1189 si rifugia prima a Petralata, poi in Sila, ad Alba-
neto sulla confluenza del fiume Albo con il fiume Ne-
to, da cui poi lArchicenobio a S. Giovanni in Fiore. A
dispetto della preferenza di papa Innocenzo III verso i
Florensi nelle dispute normative che li opponevano
contro comunit Basiliane e Cistercensi, resta il fatto
che lOrdine fu sempre osteggiato dalle realt locali,
come si esprime un interprete in quel fervore di rina-
scita basiliana che, trascorsi i primi eccessi di latiniz-
zazione, seguirono immediatamente alla conquista nor-

60
manna, sino alla sua scomparsa di fatto due secoli do-
po che precede quella giuridica1.

1
F. RUSSO, Leredit di Gioacchino da Fiore. La Congrega-
zione florense, in Archivio Storico per la Calabria e la Luca-
nia, 21 (1952), pp. 131-144, p. 137. Sui monasteri basiliani, a
titolo di esempio, A. BASILE, I Conventi Basiliani ad Aulinas
sul M. S. Elia e di S. Elia Nuovo e S. Filareto nel territorio di
Seminara, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania,
14 (1945), pp. 19-36, 143-158, 261-278, con laffermazione
riportata nel testo che si colloca nel periodo storico di Gioac-
chino, a p. 36.

61
III
LINCONTRO CON LE PERSONE DIVINE

Che cosa accadde in Terrasanta a Gioacchino, che


cosa accadde sul monte Tabor? Nel resoconto che si
voluto immaginare di questa esperienza, cronologica-
mente avvenuta o meno poco rileva, si gioca molto a
livello simbolico dellinterpretazione che si voglia an-
nettere al suo pensiero, un pensiero che alcuni apolo-
geti contemporanei dellabate si trovano a voler conte-
stualizzare rigidamente nella sua epoca, per evitare di
dare corpo a quella genealogia filosofica che il cardi-
nale Henri de Lubac ha tracciato da Gioacchino alle
utopie politiche ottocentesche 1. Sono emblematiche le
parole di Fabio Troncarelli, che difende Gioacchino
dal rimprovero di avere generato Hegel o Marx,
unosservazione del tutto pregnante, e che sfonda una
porta aperta, dato che una genealogia di pensiero non
una genealogia generazionale; meno convincente af-
fermare che de Lubac sia fuori bersaglio quando attri-
buisce a Gioacchino un ruolo di capostipite in una li-

1
Si tratta di unopera magistrale, anche se non pu certo dirsi
apologetica - H. DE LUBAC, La postrit spirituelle de Joachim
de Flore, Paris 1981.

63
nea di pensiero, che non una dottrina, bens una fa-
miglia di dottrine1, con largomento per cui ogni pen-
satore un capostipite2, un argomento che taglia le
gambe ad ogni tentativo di storia delle idee non-
atomistico. Lidea che lo scritto trinitario anti-lombar-
diano sia lespressione di una riflessione teologica
immatura difesa da Manselli, una pi precisa sensi-
bilit teologica ... avrebbe dovuto far notare come Gio-
acchino rimanga sempre al limite, del resto difficile a
precisarsi, fra ortodossia ed eterodossia3. Il resoconto
che ci viene dato della sua esperienza sul monte Tabor
importante perch ci permette di comprendere se
Gioacchino sia assimilato dal narratore a quelli che nel
XVII secolo saranno chiamati illuminati: ancora di
pi che ad analisi di contestualizzazione storica di un
determinato pensatore, mi piace rimandare allanalisi
della percezione simpatetica che si produce dellidea di
illuminati, dato che questa livello quello pertinente
per comprendere licona gioachimita attraverso i seco-
li4. La particolarit di un illuminato sta nel fatto di

1
Rinvio al volume di C. OREGAN, Gnostic Return in Moder-
nity, Albany N.Y. 2001, di cui si pu scorrere lindice dei nomi
per licona gioachimita.
2
F. TRONCARELLI, Gioacchino da Fiore, pp. 57-58.
3
R. MANSELLI, Rassegna di studi gioachimiti, in Archivio
Storico per la Calabria e la Lucania, 28 (1959), pp. 117-123,
poi raccolto in R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cri-
stoforo Colombo, pp. 19-20.
4
Un libro fondamentale in questo senso P.-A. TAGUIEFF, La
foire aux Illumins. Esotrisme, thorie du complot, extrmi-
sme, Paris 2005, in particolare alle pp. 109-186.

64
avere ricevuto in un tempo cronologicamente ristretto -
una notte, pochi istanti in una certa notte - una rivela-
zione privata da parte di Dio che gli permette poi di ri-
comprendere le sacre scritture senza avere ricorso ad
alcuna mediazione, n normativa, n epistemologica.
Bohme - dalla prolissit tsunamica -1 oppure Swe-
denborg - al di l della notoriet che Kant conferisce a
Swedenborg analizzando i suoi sogni di visionario, pu
essere interessante vedere quella specie di catechismo
di un cristianesimo non-trinitario, e molto altro, che ci
ha offerto2 - sono dei classici esempi di illuminati,
campioni del pensiero esoterico e di una rilettura del

1
Rinvio a F. CUNIBERTO, Jakob Bhme, Brescia 2000, e pure a
C. OREGAN, Gnostic Apocalypse. Jacob Boehmess haunted
narrative, Albany N.Y. 2002. Per dare unidea concreta della
sua prolissit esorbitante tipica di un illuminato, il commento
del libro della Genesi dovuto a Bohme occupa 854 pagine fit-
tamente stampate nella traduzione inglese del 1924, poi ristam-
pata anastaticamente come J. BOEHME, Mysterium Magnum.
An Exposition of the First Book of Moses called Genesis, Cam-
bridge 2002.
2
Rinvio a J. WILLIAMS-HOGAN, Swedenborg e le Chiese swe-
denborgiane, Torino 2004. La traduzione inglese del suo cate-
chismo E. SWEDENBORG, The True Christian Religion, con-
taining the Universal Theology of the New Chrurch, foretold by
the Lord in Daniel VII. 13, 14; and in Revelation XXI. 1, 2,
Philadelphia 1887, e nelloriginale latino suona Vera Cristiana
religio, continens universam theologiam Novae Ecclesiae a
Domino apud Danielem cap. VII: 13-14, et in Apocalypsi cap.
XXI: 1, 2 praedicatae, Amsterdam 1771.

65
cristianesimo che non n cattolica, n protestante1.
Chi ci racconta la vita di Gioacchino, nei vari secoli
che seguono la sua morte, ci parla di un contatto con
Dio sul Monte Tabor, ma ci parla anche di successive
illuminazioni e visioni che costellano la sua vita: se la
retorica del narratore pone sullo stesso livello le varie
visioni, siamo di fronte al resoconto di unesperienza
mistica non dissimile da tante che vengono narrate
nellagiografia medievale; al contrario, se la retorica
del narratore insiste sulla preminenza di una visione
che pu essere detta non solo una illuminazione, bens
lIlluminazione, allora siamo di fronte ad una occor-
renza del paradigma degli illuminati seicenteschi. Con
questo linguaggio simbolico, che non una dottrina
particolare, bens una cornice di possibili dottrine, si
gioca lappartenenza di Gioacchino al cristianesimo
essoterico, con le sfumature sue proprie che lo diffe-
renziano da altri pensatori cattolici oppure protestanti,
oppure la sua appartenenza al cristianesimo esoterico,
quello che Voegelin per il Medioevo (ed oltre) chiama
lo gnosticismo politico, allinterno di una visione della
storia che rifiuta limmanenza a favore della trascen-

1
Anche se potrebbe dirsi cristo-musulmana: rinvio a A.
DONINELLI, In attesa della Terza Et dello Spirito. Confluen-
za di temi gioachimiti e tradizione islamica tramite Jakob B-
hme nel millenarismo esoterico tra 800 e 900, in Florensia,
18-19 (2004-2005), pp. 59-67, e a H. CORBIN, Mundus imagi-
nalis, e Hermneutique spirituelle compare, in Face de
Dieu, face de lhomme, Paris 1984.

66
denza del Dio trinitario 1. E tutto questo senza cedere
alle troppe ovvie suggestioni di vedere nelle profezie
gioachimite un impulso alla devozione popolare, come
avrebbe voluto Tondelli per il movimento dei flagel-
lanti del 1260, tesi ricondotta nella sua dimensione me-
ramente suggestiva da Manselli2, che peraltro rifugge
dallidea che la Terza Et dello Spirito sia una nuova
Rivelazione, tesi fatta propria in senso apologetico dal
modernismo cattolico, quanto piuttosto let del trionfo
del monachesimo rinnovato3.

Tutto mi pare si giochi intorno a questa dimensione


dellIlluminazione o delle illuminazioni, anche il rifiu-
to appassionato del dantista Michele Barbi di vedere in
Dante influenze gioachimite 4, di quella drammatizza-

1
Rinvio al mio L. PARISOLI, Eric Voegelin e la categoria sto-
riografica dello gnosticismo politico, in Palomar, 8 (2008),
pp. 81-93. Per usare limmagine usata da Isaiah Berlin della
volpe e del porcospino, Voegelin resta comunque un porcospi-
no, un erudito che afferma di sapere una sola cosa -
lopposizione nel cristianesimo tra visione gnostica e non-
gnostica - e si oppone alle mille cose che sa la volpe, perch
spesso sono furbate.
2
R. MANSELLI, Lanno 1260 fu anno gioachimitico?, raccolto
in R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colom-
bo, pp. 34-35.
3
R. MANSELLI, Lattesa dellet nuova ed il gioachimismo, poi
raccolto in R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo
Colombo, pp. 38-40.
4
Rinvio ai rilievi critici di R. MANSELLI, Dante e lEcclesia
Spiritualis, poi raccolto in R. MANSELLI, Da Gioacchino da
Fiore a Cristoforo Colombo, p. 69. Nello stesso volume, si ve-

67
zione oliviana tra la vera Ecclesia spiritualis, anomica,
e la secolare Ecclesia carnalis, normativista e calata
nel mondo1. Non si deve comunque sottostimare che se
la Terza Et pu essere letta come una nuova Rivela-
zione, e certamente le letture in tal senso sono quelle
che pi sollecitano limmaginario delluditorio, altret-
tanto lecito negare che si tratti di una nuova Rivela-
zione, sino a identificare con Maria la Terza Et, alla
quale compete un ruolo sponsale con cui sintetizza e
sublima il ruolo della Chiesa sposa 2. In questa contrap-
posizione concettuale, che questultima sia o no la let-
tura meglio calata storicamente nellesegesi dei testi di
Gioacchino, in fondo non rilevante: la stessa lettura
alternativa della Terza Et come nuova Rivelazione
ben pi debitrice della farina del sacco degli interpreti
che non dello stesso Gioacchino, cosa che mi pare au-
torizzi un confronto interpretativo nel meta-linguaggio
dellinterprete piuttosto che nel linguaggio oggetto del-
lautore.

Resta il fatto che un paio di generazioni dopo Gio-


acchino da Fiore, san Bonaventura, ministro generale

da anche R. MANSELLI, A proposito del cristianesimo di Dan-


te: Gioacchino da Fiore, gioachimismo, spiritualismo france-
scano, e laltro contributo Dante e gli spirituali francescani.
1
R. MANSELLI, Firenze nel Trecento: Santa Croce e la cultura
francescana, in Clio, 9 (1973), pp. 325-342, poi in R.
MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, pp.
257-273, a p. 261.
2
Cos evoca G. SILVESTRE, Sacramento delle nozze e nuova
evangelizzazione, Cosenza 2005, p. 95.

68
dellOrdine dei frati minori, esalter il cristocentrismo
sino ad affermare esplicitamente che senza Cristo non
ci si pu occupare n di matematica, n di diritto, e che
la logica senza Cristo la scienza per eccellenza del
demonio - cos afferma in una delle sue ultime analisi,
un discorso pronunciato di fronte ai suoi confratelli,
raccolto tra le Collationes in Hexameron come il primo
di questi discorsi. Angelo Clareno vedr in san Bona-
ventura un aggressore dei gioachimiti allinterno
dellOrdine, in particolare Giovanni da Parma. Resta il
fatto che se questo bonaventuriano certo un discorso
cristocentrico radicale, la Tradizione cristiana si forma
attraverso san Bonaventura. Ma in Gioacchino vi al-
meno un cristocentrismo standard rispetto alla tradi-
zione cristiana? Henry Mottu, che pure si sforza di of-
frire un ritratto apologetico dellabate calabrese, non
pu che rispondere no, come abbiamo gi visto. Se
cercassimo una risoluzione razionalista al problema del
rapporto tra il Figlio Incarnato e la terza persona trini-
taria, le parole della rivelazione e la concretizzazione
nella storia della fede cristiana, ed ancora tra la dimen-
sione paradossale della gratuit della grazia e del per-
dono nella dimensione della giustizia divina da un lato,
e la inevitabile proceduralit ricorsiva della giustizia
umana dallaltro, forse potremmo diradare le nebbie
sulla teologia gioachimita, ma al tempo stesso mine-
remmo quel fascino impalpabile che il suo discorso, al
di fuori esattamente di questo tentativo razionalistico,

69
ha esercitato per secoli. A ciascuno poi il giudizio della
accettabilit di questo fascino impalpabile 1. Altri inter-
preti filo-gioachimiti preferiscono trattare altri temi
piuttosto che negare il docetismo gioachimita 2: ripren-
diamo ancora Henry Mottu, in Gioacchino da Fiore
troviamo esaltata lumilt di Cristo, perch innanzi
tutto nella sua ermeneutica che Gioacchino non cri-
stocentrico3, in un quadro per cui la Chiesa spirituale
dellavvenire una Chiesa senza Scrittura 4. Non so-
no al centro del pensiero gioachimita n la risurrezio-
ne, n lesaltazione e neppure la Croce, in quanto la
crocifissione di Cristo la realizzazione unica, defini-
tiva e piena della salvezza ... la riflessione di Gioac-
chino si limita allumiliazione di Cristo e sembra igno-
rare il suo dominio su tutte le cose 5. In termini esege-
tici, i riferimenti alla lettera paolina ai Filippesi, 2, 6-7,

1
Parafraso cos H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito se-
condo Gioacchino da Fiore, Casale Monferrato 1983, p. 291,
la cui conclusione del suo volume ho citato letteralmente in
precedenza.
2
Devo la suggestione della questione del docetismo come rile-
vante e strategica per comprendere le analisi di Gioacchino da
Fiore a Filippo Burgarella, con il quale ho spesso discusso sulla
presenza tuttaltro che trascurabile di influenze cristiano-
orientali in Gioacchino.
3
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 86. Il giudizio,
risalente a Morton Bloomfield sin dal 1957, pare difficilmente
contestabile, semmai se ne possono contestare le conseguenze
che se ne fanno derivare.
4
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 87.
5
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 171.

70
sono compiuti senza prendere in considerazione anche
i successivi versetti 8-11: la prospettiva agostiniana di
Cristo come nodo centrale della storia non pi pro-
ponibile nelluniverso del discorso di Gioacchino.
Lomissione inquietante perch anche la vergine Ifi-
genia umile nellaccettare la sua sorte di capro espia-
torio al fine di permettere che i venti soffino per smuo-
vere la flotta greca, ma la Redenzione si compie
nellistante della morte, prima preparata, con cura
certo attraverso lo svelamento delle cose nascoste
dallorigine del mondo, e con il trionfo della Croce si
dischiude. Non lesaltazione dellumilt di Cristo che
originale nellanalisi del suo messaggio, essa si ritro-
va in tanti altri autori, lo invece il silenzio sul com-
pimento che avviene sulla Croce. Questo permette di
dare pi forza storica allidea di unet successiva a
quella di Cristo, let del Paraclito, ma lascia irrisolto
il nodo del circolo mimetico, che nella lettura di Ren
Girard sarebbe invece caratterizzato come intollerabile
dal messaggio cristiano. La sola umilt, per quanto
grandissima e grandiosa, non capace di opporsi al
circolo mimetico: lumilt predispone alla misericordia
divina, misura della remunerazione divina. Lidea che
la giustizia divina si amministri in base alla misericor-
dia, non gi sulla falsariga di rigide regole di giustizia,
anticipa la filosofia dellamore divino francescana, tut-
tavia Gioacchino sottolinea che questo vale soprattutto
per il giusto, mentre il malvagio si auto-condanna1.
1
GIOACCHINO DA FIORE, Dialoghi sulla prescienza, edizione
bilingue a cura di G.-L. Potest, Roma 2001, pp. 44-45. Nella

71
Ora, al capro espiatorio la logica del circolo mimetico
chiede proprio lumilt di accettare che uno solo muoia
per il bene di tutti. In Gioacchino cade la complessit
cristologica che si ritrova in tanti Padri della Chiesa:
Lattanzio, per esempio, nella sua Epitome esalta lumi-
lt di Cristo, osservando che nella morte di Croce non
si conserva nessuna dignit, Cristo muore miseramente
perch tutti gli umili possano seguirlo nella sua morte,
e la Croce lo innalza (46, 1-7). In Lattanzio humilissu-
mus riecheggia ancora la discriminazione sociale di
fronte ai tribunali, per cui luomo humilissimus si op-
pone alluomo honestius, i quali, indipendentemente
dalle loro qualit morali personali, per il fatto della na-
scita e dellappartenenza alle classi sociali, saranno
soggetti a diverse regole giuridiche 1. In Gioacchino la
dimensione dellumilt schiettamente morale, con
una valenza monastica non facilmente fissabile al di
fuori di un qualche riferimento alle inclinazioni doceti-
ste del mondo cristiano bizantino, sino ad annullare la
valenza normativa di una condotta del Cristo che rifiu-
ta radicalmente le regole del circolo mimetico, ossia
rifiuta sia di essere vittima, sia di essere persecutore.
Come dice Lattanzio, il segno della Passione capace
di cacciare i demoni. E quando in Gioacchino lumilt

filosofia francescana Dio pu salvare Giuda e dannare Pietro:


una rivoluzione concettuale si opera a partire da fermenti della
spiritualit cristiana.
1
Per queste indicazioni si vedano le note di Michel Perrin che
ha curato per le Sources chrtiennes (n 335) lEpitom des In-
stitutions divines, Paris 1987, pp. 182-183.

72
non ha una dimensione schiettamente morale 1, lumi-
liato colui che soffre oggettivamente la persecuzione
a causa di un altro, per esempio un povero involonta-
rio (per usare categorie marxiane, ma anche presenti
nei commentari al Decreto di Graziano o nel movi-
mento francescano), ma questo basta per predestinarlo
agli occhi di Dio. Tuttavia, mentre nelle categorie mar-
xiane il povero dotato della sufficiente coscienza di
classe un potenziale eroe della rivoluzione (senza tale
coscienza, un povero traditore), nelle categorie me-
dievali, analizzate dallo storico delle idee Brian Tier-
ney con efficacia, il povero volontario raggiunge uno
stato di valore morale, quello involontario uno stato di
potenziale disvalore morale, dato che la mancanza di
beni non accettata genera lavidit (in latino, rapaci-
tas) - ovviamente, il povero involontario che accetta la
sua mancanza di beni non toccato da nessun disvalo-
re morale. Questa lettura oggettivistica degli ultimi
che saranno i primi non poteva mancare di favorire de-
gli spiriti che si accollavano il compito di realizzare
sulla Terra la giustizia divina, e rendere con le armi in
pugno gli ultimi primi. Anche questo la perpetuazio-
ne del circolo mimetico, anche se gli umili di Gioac-
chino attribuiscono ogni cosa buona che fanno al Crea-
tore2. Sino a qui non si pu dire che Gioacchino abbia
negato il trionfo della Croce, bens che nelleconomia
del suo discorso esso risulti omesso: non lo si pu con-
siderare per questo eterodosso, ma certo diverso da
1
Per esempio, Dialoghi sulla prescienza, pp. 44-47.
2
Dialoghi sulla prescienza, pp. 58-59.

73
tanti altri pensatori cristiani. Non si pu dire che egli
abbia fatto lapologia del capro espiatorio, ma nel suo
esame della parabola terrena di Cristo manca latto fi-
nale della condanna di ogni capro espiatorio.

74
IV
SLITTAMENTI DI SIGNIFICATO OPERATI
SUL MESSAGGIO GIOACHIMIANO

Il mito dellEvangelo eterno stato studiato quale


nota caratteristica della presenza di Gioacchino da Fio-
re nella cultura europea 1: cosa ha affascinato pensatori
tanto diversi quali i filosofi del Romanticismo Tedesco
e un poeta come Yeats, tutti analizzati da Reeves e da
Gould? Penso che la cosa pi ovvia sia di passare a
leggere direttamente lopera appena citata in nota, ma
io vorrei suggerire una chiave di lettura che si aggiun-
ge alle poderose analisi di Reeves e Gould. Vediamo
lessenziale del materiale gioachimita che permette di
fabbricare il mito dellEvangelo eterno: lo svolgimento
della storia porta impresso il segno della Trinit che vi
agisce senza sosta, in omaggio allidea anti-gnostica
per cui Dio opera nella storia; Dio si rivela nella storia
- e la Rivelazione uno dei tre pilastri di unepistemo-
logia conforme al deposito della fede cattolico (gli altri

1
Rinvio a M. REEVES, W. GOULD, Gioacchino da Fiore e il
mito dellEvangelo eterno nella cultura europea, Roma 2000;
per la presenza di Gioacchino nel mondo contemporaneo si ve-
da anche G. L. POTEST, a cura di, Gioacchino da Fiore nella
cultura contemporanea, Roma 2005.

75
sono il Magistero e la Tradizione) - e questo avviene
secondo tre status, tre stadi che sono anche condizioni
diverse, ognuno dei quali associato ad una delle per-
sone trinitarie, in una progressione che passa dallet
del Padre (pre-evangelica), a quella del Figlio (evange-
lica), sino a quella dello Spirito Santo (post-evange-
lica); let dello Spirito Santo deve ancora venire, ma
un punto delicato - reso spinoso dal linguaggio per fi-
gure e non-analitico di Gioacchino - consiste nello sta-
bilire se le et si succedano per superamento oppure
per integrazione. Di primo acchito, sembra che esse
siano semplicemente strettissimamente correlate, in
omaggio alla stessa economia trinitaria, tanto da potere
parlare della futura et dello Spirito Santo in base ai
dati delle due et precedenti - questo non implica affat-
to unidea di Evangelo eterno come di una nuova Scrit-
tura oppure di un superamento della rivelazione
dellet del Figlio, ossia dei vangeli; Gioacchino con-
ferisce allintellectus spiritualis il compito di stabilire
questo passaggio semantico dallet del Padre - vetero-
testamentaria - e dallet del Figlio - neo-testamentaria
- allet dello Spirito Santo. Quello che problematico
che nel suo commento ai Vangeli gli uomini spiritua-
li appaiono come i soli e veri rappresentanti di Cristo,
mentre i chierici, i dottori, i maestri della Chiesa uffi-
ciale appaiono come usurpatori quando spendono il
nome di Cristo, ragione ultima della loro scomparsa a
favore dei primi1. Non un giudizio specifico su una
1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 260, p. 280. Il
riferimento al Tractatus, 189, 28 - 190, 4, secondo la pagina-

76
singola posizione di questo chierico, un giudizio on-
nicomprensivo; sarebbe stato curioso che la Scolastica
osannasse Gioacchino. Al tempo stesso, la teoria sta-
diale, con le sue ambiguit ad un occhio razionalista e
normativo, risulta affascinante per chi razionalista non
e neppure affascinato dalla normativit. Tutto si gio-
ca intorno allalternativa tra lettura allegorica e lettura
esoterica basata sui simboli: se le tre et gioachimite
sono lette in chiave allegorica, allora lallegoria ci fa
conoscere in maniera efficace ci che possiamo cono-
scere in altro modo, muovendoci sullo stesso piano,
per esempio possiamo conoscere linguisticamente e ra-
zionalmente; se invece esse sono suscettibili solo di
lettura esoterica basata sui simboli, allora tutto cambia,
poich il simbolo esoterico, secondo una linea che va
da Gunon a Corbin e oltre - peraltro segnata dalla fa-
scinazione verso lesoterismo musulmano -, annuncia
un nuovo livello di coscienza diverso dallevidenza ra-
zionale, ossia vuole dire lindicibile, vuole con le paro-
le, ed in ultima istanze con le figure, dire ci che il lin-
guaggio non pu dire. Prendiamo un testo celebre del
Tractatus gioachimiano: secondo lintelletto spiritua-
le, possiamo assegnare gli stessi quattro Vangeli a
quattro periodi. Nel Vangelo di Matteo, che incomincia
da Abramo, ritroviamo tutta la divina pagina dellAn-
tico Testamento, la quale annunciava che il salvatore
del mondo sarebbe nato dal seme di David e di Abra-
mo secondo la carne; nel Vangelo di Luca, che tratta

zione della vecchia edizione Buonaiuti del 1930. Per la tradu-


zione italiana da me citata, Trattati sui quattro Vangeli, p. 142.

77
dellinfanzia e della crescita di Cristo fino ai dodici
anni, ritroviamo la dottrina della Chiesa appena nata, la
quale, muovendo da Giovanni Battista, come per inter-
valli di tempo, and accrescendosi fino ai nostri tempi,
secondo il passo di Daniele, molti passeranno e la
scienza aumenter (Dn. 12, 4); nel Vangelo di Marco,
nel quale si tratta della piena maturit di Cristo, cio
del tempo della sua predicazione, ritroviamo la dottrina
spirituale, di cui dice lApostolo, parliamo della sa-
pienza tra i perfetti (1 Cor. 2, 6), la quale dottrina spi-
rituale, cominciando nel tempo in cui sar prossimo
Elia, permarr sino alla fine dei tempi; nel Vangelo di
Giovanni ritroviamo quella sapienza ineffabile, che sa-
r nel tempo a venire, quando lo vedremo cos come
Egli secondo quanto dice Paolo, in questo momento
vediamo attraverso uno specchio in enigma, allora ve-
dremo faccia a faccia (1 Cor 13, 12)1. Se la lettura
allegorica, senza nessuna pretesa di soppiantare gli
schemi razionali della lettura esegetica consolidata,
nessun problema; ma se si mosso da un intento pi o
meno esoterico di cogliere significati indicibili nel di-
scorso razionale, allora possono emergere punti pro-
blematici e fortemente originali: lorigine del cristiane-

1
Ho dato la traduzione italiana proposta in GIOACCHINO DA
FIORE, Trattati sui quattro Vangeli, Roma 1999, pp. 5-6. Henry
Mottu procedeva sulledizione critica di Buonaiuti del 1930,
questa traduzione italiana usa la nuova edizione di Francesco
Santi del 1996. Nonostante ci, la traduzione francese di Mot-
tu, resa in italiano, conserva la sua vitalit concettuale: H.
MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 132.

78
simo potrebbe essere intesa in Giovanni Battista; Cri-
sto sembra distinguersi in unepoca in cui bambino e
in unaltra e successiva epoca in cui pienamente ma-
turo, quasi ci fosse un Cristo in divenire. Non ci dice
Gioacchino come vada letto il suo testo, non ci forni-
sce le istruzioni per luso, comunque certo che molti
hanno preteso e voluto usarlo in senso esoterico, con
conseguente devianza (voluta) dal deposito della fede
cattolica.
La lettura spirituale di un testo non pu essere con-
siderata problematica in un contesto cattolico, basti
pensare allopposizione tra luomo spirituale e luomo
carnale, e tuttavia lo pu divenire se la lettura spiritua-
le intesa in senso anomico, ossia contrapposta ad una
lettura normativista, quindi tale da mettere in discus-
sione lidentit dogmatica della Sede apostolica. Gio-
acchino procede piuttosto con una profonda ispirazione
verso le parole di Ges che non supera la legge antica,
bens la porta a compimento: lautorit del testo biblico
non viene alterata, solo che attraverso la comprensione
spirituale che da essi procede il loro significato sar
pienamente realizzato nella nuova et. Escludendo la
possibilit di un nuovo corpus sacro ad integrare il ca-
nonico, Gioacchino incarna la figura di un rivoluzio-
nario conservatore1 che assegna agli ordini monastici
contemplativi il ruolo di condurre la Chiesa verso la
sua et finale. Se si fosse dato ascolto a questa idea, in
un mondo medievale in cui gi con Papa Innocenzo III
1
M. REEVES, W. GOULD, Gioacchino da Fiore e il mito
dellEvangelo eterno nella cultura europea, p. 8.

79
ci si getta alle spalle lo slancio degli ordini monastici
militari e si apre rapidamente agli ordini mendicanti
tipicamente urbani, il valore profetico del pensiero
gioachimita non si sarebbe impelagato nelle more della
previsione storica. Dico le more della previsione stori-
ca poich nella Tradizione cristiana - almeno quella
pre-riformata - la profezia non pu essere assimilata ad
una previsione storica, forma di devianza ereticale poi-
ch la contingenza radicale del mondo esclude ogni
previsione storica determinata, esattamente come e-
sclude la liceit dellastrologia: Thomas Mnzer alla
guida della rivolta dei contadini romper con questa
tradizione, facendo della lettura dellAntico Testamen-
to una descrizione degli avvenimenti del futuro imme-
diato, ma non bisogna dimenticare che nello stesso
pensiero riformato Mnzer, trascinatore della rivolta
dei contadini nel 1524 sino al massacro finale, non go-
dette dei favori di Lutero proprio perch negatore di
ogni forma di teologia politica non-secolarizzata. En-
gels inaugurer il filone marxiano che vedr nella
guerra dei contadini e nel suo apostolo Mnzer lepo-
pea di una nuova escatologia politica secolarizzata, che
per ironia della storia verr radicata nel chiliasmo di
Gioacchino1: Gioacchino il teste esemplare della re-
sistenza secolare dellapocalittica ad ogni opera di ri-
duzione del futuro allaldil2. Ed ancora Mottu, il
grande enigma storico dellopera autentica di Gioac-

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 34, pp. 268-
272.
2
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 242.

80
chino sta nel saper perch questo sistema, cos me-
dievale e monastico, abbia potuto servire da cauzione a
movimenti protestatari cos diversi nella storia. Dopo
la ventata gioachimita infatti, il mondo occidentale non
diverr un immenso monastero, come se la storia po-
tesse tornare indietro, ma prender invece sempre pi
coscienza della sua storicit. La speranza concreta di
Gioacchino non stette al passo della sua teologia della
storia e, mentre egli poneva la sua riforma allinsegna
di un ritorno alleremitismo primitivo, il suo nuovo
sistema profetico doveva invece provocare gli spiriti,
le mentalit e le istituzioni a anticipare il futuro1. Il
tempo dello Spirito si manifester in una trascendenza
ideologica rispetto ad ogni previsione concreta, detto
altrimenti forger un apparato inossidabile rivolto ver-
so il futuro.

Insomma, limpeto profetico di Gioacchino venne


trasmesso dimenticando il suo apparato conservatore,
ed ecco che lelemento rivoluzionario, non pi conte-
nuto dallaggancio solido al presente per produrre una
semantica edificante - e non gi proteso ad una aleato-
ria previsione del futuro -, dilaga sino a configurare
lEvangelo eterno come nuovo corpus produttore di
significato salvifico. Gerardo di Borgo San Donnino
la figura storica che si fa carico per di una icona dello
spirito: egli attende un nuovo testo sacro, con una nuo-
va rivelazione, e sta cos per tutti i futuri cristiani ano-
misti, e fornisce loro un materiale gioachimita, a di-

1
H. MOTTU, La manifestazione dello Spirito, p. 272.

81
spetto delle intenzioni di Gioacchino stesso. Senza di-
menticare il fondamentale commento In Hieremiam,
liberamente ispirato allopera di Gioacchino, che ne
esaspera per drasticamente laggancio alla contempo-
raneit storica, usando parole molto pi esplicite per
esaltare il ruolo dei monaci nella Terza et, inserendovi
la figura dei nuovi Ordini mendicanti, ed i francescani
in particolari - Gioacchino era gi morto quando lOr-
dine minoritico nacque -, e la dannazione della memo-
ria di Federico II, assimilata alla via verso lAnticristo.
Hames in questo contesto mostra lesistenza di una
presenza culturale ebraica in Calabria senza i voli pin-
darici di padre Russo: il kabbalista Abraham Abulafia
gioca un ruolo non trascurabile nella formazione
dellicona gioachimita attraverso la lettura anomistica
degli Spirituali francescani, e se non necessario ipo-
tizzare uninfluenza del misticismo ebraico su Gioac-
chino, Hames mostra che nella geo-cultura calabrese
gioachimismo e kabbalismo si coniugano come nel ca-
so di Abraham Abulafia, in una dialettica che non pas-
sa attraverso i casi di ebrei convertiti al cristianesimo
come il celebre Pietro Alfonsi, che ebbe contatti con
Gioacchino stesso1. Lopera In Hieremiam che confi-
gura licona deviante gioachimita viene perfezionata
nellambiente cistercense-florense e nellambiente
francescano calabresi, a partire dalloriginale del 1244
sino allimpiego del testo da parte di Salimbene da

1
H. J. HAMES, Like Angels on Jacobs Ladder, Albany NY
2007, pp. 18-19. Si vedano almeno le conclusioni alle pp. 102-
107.

82
Parma negli anni 80 del XIII secolo, quel Salimbene
da Parma cronachista che ci prezioso perch dipinge
la sua stessa parabola come quella di un gioachimita
pentito. Moynihan sottolinea come la versione lunga di
origine francescana mostra le pi pesanti modifiche ri-
spetto a quello che poteva essere il nucleo di Gioacchi-
no stesso1. Il fatto che il gioachimismo dissidente si
forgia con scritti liberamente ispirati a Gioacchino, e
forgiati da francescani del movimento degli Spirituali
installati in Calabria, mostra che si d una specificit
geo-culturale nello scontro pi generale tra anime del
francescanesimo che in corso in quegli anni. E questa
specificit si arricchisce anche delle pulsioni esoteriche
di tecniche di origine kabbalistica come la decifrazione
del significato recondito delle singole lettere dei nomi,
una pulsione che si traduce nello scritto pseudo-
gioachimita De semina scripturarum, scritto che Ar-
naldo da Villanova riterr della mano di Gioacchino ed
a cui apporr una sua introduzione 2, e che user come
fonte principale anche per la sua Allocutio super signi-

1
R. MOYNIHAN, The Development of the Pseudo-Joachim
Commentary Super Hieremiam: New Manuscript Evidence,
in Mlanges de lEcole Franaise de Rome, Moyen Age -
Temps Modernes, 98 (1986), pp. 109-142; M. REEVES, The
Influence of Prophecy in the Later Middle Ages, Oxford 1969,
pp. 149-159, in particolare pp. 156-158; B. TPFER, Das kom-
mende Reich des Friedens, Berlin 1964, pp. 108-115, tradotto
come Il regno futuro della libert, Genova 1992.
2
R. MANSELLI, La religiosit dArnaldo da Villanova, poi in
Da Gioacchino da Fiore a Cristoforo Colombo, pp. 15-16.

83
ficatione nominis tetragammaton1 dal sapore inequivo-
cabilmente kabbalistico. In fondo, tutti gli autori ana-
lizzati da Reeves e Gould hanno la stessa cosa in co-
mune con Gerardo e gli Spirituali francescani, sono
degli anomisti. Cosa intendo dire?

Se la Rivelazione si presenta come un corpus di te-


sti sintattici, la Tradizione ed il Magistero si presenta
come testi prodotti a partire da operazioni di interpre-
tazione sui testi della Rivelazione: il racconto delle tre
et trinitarie di Gioacchino non problematico per
lidentit stessa della chiesa cattolica nella misura in
cui non mette in discussione il fatto che qualunque o-
perazione interpretativa deve partire da quei testi codi-
ficati e canonici. Non solo questo un requisito per ri-
conoscersi nellidentit cattolica, poich la formazione
della Tradizione e del Magistero un processo di di-
scriminazione tra interpretazioni accettabili, interpreta-
zioni inaccettabili ed infine interpretazioni esclusive di
altre. Sostenere che le Scritture sono soggette ad inter-
pretazione privata significa rinunciare al Magistero ed
alla Tradizione, unoperazione tipica non tanto del
pensiero riformato, quanto della forma parcellizzata
che lo stesso pensiero riformato a volte assume; ma so-
stenere che la Rivelazione aperta, che c lo spazio
per aprire un Evangelo eterno, questa unopzione in-
compatibile con unidentit dogmatica costituita a par-
tire da un testo dato, proprio perch se il testo non

1
Entrambi i lavori di Arnaldo di Villanova risalgono ad un pe-
riodo tra il 1280 e il 1290 quando si trovava a Montpellier.

84
dato una volta per tutte - ed invece variabile - il di-
namismo del significato non offerto dalle operazioni
interpretative - che operano sempre sullo stesso testo -
bens dal mutamento del testo. Se ha ragione Pierre
Legendre, ossia se la civilt latina occidentale un
monumento romano-canonico, ossia una civilt dellin-
terpretazione, la lettura di Gioacchino, deviante rispet-
to al paradigma dominante, diviene iconica per tutti i
contestatori della natura normativista della civilt lati-
na occidentale. Non tanto in specifiche operazioni
esegetiche sul Testo sacro, quanto in questa struttura
mentale che si cela linteresse per il pensiero gioachi-
mita: mentre le prime in fondo sollecitano linteresse
di chi presta una qualche fede al deposito della fede
cristiano, la seconda una matrice di una cultura e di
una civilt in generale. LEvangelo eterno un tradi-
mento delle intenzioni di Gioacchino, ma dietro
laffabulazione intorno alle et trinitarie della storia vi
la tentazione anomica rispetto alla tradizione norma-
tiva che congiunge leredit romanistica e quella giu-
daico-cristiana.

85
V
TENSIONI STRUTTURALI NEL DISCORSO
SIMBOLICO

Gioacchino da Fiore avanza in coppia con Rabano


Mauro nel IV canto del Paradiso di Dante1: secondo
una lettura assai persuasiva che devo a Giulio dOno-
frio, ci che li accomuna nella semantica poetica di
Dante il loro parlare per figure, il loro strabismo per
un discorso del simbolo e dellallegoria, che per Raba-
no, uomo dellepoca carolingia ed autore del celebre
inno Veni Creator, culmina nel Liber de laudibus San-
ctae Crucis, da lui offerto al regnante Ludovico il Pio.
Si veda la celebre iconografia associata nella vecchia
edizione della Patrologia Latina; lopera costituita da
figure in cui su uno sfondo di lettere che configurano
un testo si disegna unimmagine geometrica oppure fi-
gurativa, e poi dalla spiegazione della figura cui segue
una lunga didascalia in cui si separa il testo di lettere in

1
Sulla consolidata presenza dellinsegnamento degli spirituali
a Firenze, grazie a Pietro di Giovanni Olivi, rinvio a R.
MANSELLI, Firenze nel Trecento: Santa Croce e la cultura
francescana, poi in R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a
Cristoforo Colombo, specie pp. 260-263.

87
continuo che fa da sfondo, ed una spiegazione dellim-
magine1. Ludovico il Pio, rappresentato come miles
christianus, in piedi con una croce nella destra e uno
scudo nella sinistra, sotto la corazza pettorale porta un
chitone che arriva fino alle ginocchia, e sul nimbo la
serie di lettere, che si inscrivono in esso, forma la fra-
se: Tu Cristo, incorona Luigi, mentre quelle che si
inscrivono nella croce formano la frase: Nel segno
della tua Croce regni, o Cristo, che sei la vittoria e la
vera salvezza secondo lordine. Eppure qualcosa mi
sembra anche dividerli: certo ha ragione dOnofrio
quando sottolinea la loro propensione al parlare per fi-
gure, ma la normativit simbolica non la stessa cosa
dellanomia simbolica, anche se sempre di un discorso
per figure si tratta. Rabano Mauro fu una delle teste
pensanti che legittimarono la teologia politica di Carlo
Magno, innervata su una profonda tensione verso
lazione nomotetica in campo liturgico, quindi Rabano
Mauro fu uomo del Mistero e del Simbolo, termini
chiave del sacramento eucaristico, ma fu anche uomo
della normativit che li fa manifestare nello spazio li-
turgico della messa. Possiamo dire altrettanto di Gio-

1
Lo si pu vedere nella vecchia Patrologia latina, vol. 107,
coll. 133-294, in particolare alle colonne 141-142 per
limmagine di Ludovico il Pio, e per la spiegazione di questa
immagine colonne 143-146. Ma nelledizione critica apparsa
nel CCCM 100-100A, Turnhoult 2000, si trovano, come ab-
biamo gi detto, le riproduzioni a colori delle immagini versifi-
cate tratte da un manoscritto conservato nella Biblioteca Vati-
cana.

88
acchino da Fiore? A me pare di no, data la cattiva
stampa di cui oggi gode la teologia politica forse solo
un motivo di merito sottolineare che Gioacchino sem-
bra non averne alcuna; ma per lo storico delle idee
giocoforza osservare che tra Rabano Mauro e Gioac-
chino da Fiore vi un divario di clima geo-culturale
enorme. Si pensi ad una figura come quella di Barlaam
Calabro ancora nel XIV secolo, troppo latino per i teo-
logi bizantini, troppo greco per i teologici latini scola-
stici, segno vivente di una geo-cultura specifica della
Calabria - su questa falsariga si pu comprendere la
sua polemica contro gli esicasti, connotati come dediti
a pratiche del pi dozzinale realismo e ad un dete-
stabile materialismo, mostrando una lontananza dal-
lidea di una pratica razionalizzabile dellesperienza
mistico-religioso, ed in senso inverso le accuse a Bar-
laam di preferire Platone ed Aristotele ai Padri della
Chiesa, ossia la filosofia al deposito della fede che i
Padri consolidano nella dimensione della Tradizione:
egli nacque scismatico e vi rest fino al 1342, cio fi-
no a quando si convert alla Chiesa Cattolica. Abiur
una sola volta e soltanto i principi scismatici 1. Dob-
biamo peraltro considerare che nel secolo XIII, quello
successivo alla morte di Gioacchino, la teologia politi-
ca cattolica raggiunger le sue derivazioni pi radicali,
non solo nelle pagine teocratiche di canonisti come En-

1
G. SCHIR, Un documento inedito sulla fede di Barlaam Ca-
labro, in Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, 8
(1938), pp. 155-166, a p. 166: Barlaam appare come uomo
schiacciato tra due mondi (p. 157).

89
rico di Susa, cardinale di Ostia, ma pure nel sogno teo-
cratico di Bonifacio VIII, un papa che Agostino Para-
vicini Bagliani ha riscattato da una ingiusta leggenda
nera1, alimentata proprio dal poeta Dante. Mi pare dif-
ficile che Dante, le cui posizioni politiche sono state
ben inquadrate da Gilson in pagine dense ed efficaci 2,
potesse simpatizzare per il Rabano Mauro della teolo-
gia politica carolingia: pi probabile che landare a
braccetto con Gioacchino fornisca quarti di nobilt a
questultimo, senza per che Dante defletta dalla sua
ammirazione per chi non am mai il diritto canonico
ed eventualmente deprecasse ogni implicazione della
Sede apostolica nella produzione di diritto.
Se vogliamo cercare di tirare le fila sulla dimensio-
ne del simbolo che si pone come alternativa alla capa-
cit significante del linguaggio, il punto su cui si gioca
la problematicit del pensiero gioachimita, dobbiamo
cercare di porre il problema in termini concettuali mi-
nimamente lineari. Il simbolo occupa un posto di rilie-
vo nella tradizione latina cristiana, ed in senso generale
gli si deve assegnare quella funzione che Pierre Le-
gendre, sulla scorta di Lacan, attribuisce allemblema3,

1
A. PARAVACINI BAGLIANI, Boniface VIII, Paris 2003.
2
E. GILSON, Le metamorfosi della Citt di Dio, Firenze 2010:
il testo originale francese deriva dalle lezioni che Gilson tenne
allUniversit de Louvain nel 1952.
3
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, Paris 1988, p. 86:
letimologia rinvia al gettare allinterno, ossia lemblmatique
met sur le devant de la scne le sujet rempli de signes et pose la
question dun remplissage de lidentit, tanto che le formula-

90
termine calcato dal greco emball, e che trova il corri-
spettivo nelluso latino, soprattutto a partire dal IX se-
colo con Giovanni Scoto Eriugena, di unaltra parola
greca, il simbolo - i symbola, ossia le due met di un
osso oppure di una moneta che in mano a due persone
distinte permettono loro di riconoscersi quando si in-
contrano1. Per comprendere la problematica gioachi-
miana occorre integrare e superare la prospettiva tradi-
zionale2, per accedere ad una prospettiva di antropolo-
gia lacaniana attraverso la quale intendere il simboli-

zioni del diritto che disciplina una societ, mediante le proce-


dure ermeneutiche che lo costituiscono, implicano un quadro di
riferimento emblematico, a dispetto di ogni razionalismo che
tende a farlo scomparire dalla scena dellanalisi linguistica.
Come ricorda Bruno Pinchard in un suo articolo che evoca la
lettura da parte di Henri de Lubac di Gioacchino da Fiore - B.
PINCHARD, Sujet thologique, sujet initiatique: linterprtation
du joachimisme par Henri de Lubac et la figure de Dante, in
Les Etudes philosophiques, 2 (1995), pp. 247-267, a p. 247 -
il nome che gli inglesi hanno dato al razionalismo pratico
secolarismo (la frase attribuita a Alexander Erdan, lautore
de La France mystique. Tableau des excentricits religieuses
de ce temps, Amsterdam 1858).
1
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 89: si veda anche
P. LEGENDRE, La 901e conclusion, Paris 1998, p. 245, che e-
sprime lidea dellumano come simbolo vivente. La radice gre-
ca comune delle due parole nel verbo ball (P. LEGENDRE, Le
dsir politique de Dieu, p. 149). Lemblema inciso sul legno,
marchiato sul ferro: les thories nous entrent dans la peau.
2
Una sola citazione: G. LADNER, Medieval and Modern Un-
derstanding of Symbolism. A Comparaison, in Speculum, 54
(1979), pp. 223-256.

91
smo prima come ausilio di significato, ed la prospet-
tiva tradizionale, poi come immagine o evocazione nel
linguaggio capace di fare a meno di ogni spiegazione
linguistica. Un uso forte del simbolo: sulla scorta del
grande storico medievale Georges Duby, ci avvicine-
remmo cos allanalisi della natura deviante e margina-
le dellamore cortese, alla complessa regolamentazione
dei comportamenti sessuali (al di fuori di ogni riduzio-
nismo fisiologico), al ricco immaginario nei racconti -
apparentemente - fantastici degli animali, nemici e me-
diatori1. Emblemi e simboli: il loro scopo ultimo dire
lindicibile, ossia di porsi al di fuori del linguaggio e
della sua limitazione semantica costituita dal principio
di contraddizione, senza per rinunciare ad essere cari-
chi di significato2, per esplorare quella parte costitutiva
della natura umana che Pierre Legendre in una prospet-
tiva lacaniana chiama lAbisso3, il nostro inconscio,
sino ad approdare a concezioni per cui il simbolo o

1
P. LEGENDRE, Lempire de la vrit, Paris 2001, p. 216.
2
P. LEGENDRE, La 901e conclusion, p. 224: lindicibile copre la
parte pi spaventosa e selvatica di ogni uomo, eppure inelimi-
nabile - p. 248: lindicibile connaturato alla razionalit prima
delluomo, cercare di sradicare lindicibile ritorcere la ragio-
ne contro la ragione stessa.
3
Rinvio per una sintesi ed una utile comparazione nel contesto
genealogico a F. TALAHITE, Lengendrement chez Luc Boltan-
ski et Pierre Legendre: lectures croises, in Enfance, Famille,
Gnrations, 14 (2011), pp. 113-138, disponibile sul sito del-
lomonima rivista, http://www.efg.inrs.ca/index.php/EFG.

92
lemblema manifestano quel significato che il linguag-
gio non riesce ad esprimere. Infatti, il simbolismo un
rapporto con il vuoto, con la differenza costitutiva,
come nel quadro di Magritte - La lunette dapproche -
in cui una finestra con unanta appena aperta mostra un
cielo pieno di nuvole sulle due ante (e non solo su
quella accostata) e un nero oscuro nellapertura tra le
due stesse ante. Abisso, enigma, simbolo, differenzia-
zione, linguaggio e costituzione del soggetto umano
sono in questa pittura che dice tutto questo perch non
usa il linguaggio, un simbolo, un emblema, lo
svelamento di ci che rester velato.

In questo senso proprio, un tentativo di dire


lindicibile pi di una qualche forma di teologia ne-
gativa, esso esattamente dire (non-linguisticamente,
con o senza il linguaggio) ci che il linguaggio non
pu dire. Se in unottica razionalista questo approccio
allemblema pu essere qualificato come potenzial-
mente pericoloso per le relazioni ordinate tra gli esseri
umani1, per altro verso semplicemente inevitabile,
1
Jacques Chiffoleau ha mostrato la stretta correlazione che
sussiste tra la procedura straordinaria del processo inquisitorio,
che dagli inizi del XIV pretende che limputato confessi tutto,
esattamente tutto, quello che c da dire, e la necessit di sradi-
care i crimini indicibili, leresia e la lesa maest (J. CHIFFO-
LEAU, Dire lindicible. Remarques sur la categorie du nefan-
dum du XIIe au XVe sicle, in Annales. Economies, Socits,
Civilizations, 45 (1990), pp. 289-324). Nonostante che il cri-
mine sia indicibile, lansia della sua manipolazione razionale

93
qualunque sia poi il nostro giudizio di valore, politico,
morale, sociale: lEnigma il non-conosciuto, il non-
conoscibile, su cui si fonda la possibilit stessa della
sfera umana.

Prendiamo un esempio concreto, formulato da


Pierre Legendre, una tavola estratto dal volume
Physica curiosa (1667) del gesuita Kaspar Schott, in
cui appare un ragazzo con la testa cornuta ed una
bocca enorme, con una coda che si innesta sullom-
belico: se si afferma che Schott un testimone inte-
ressante nella storia fantasmatica dei mostri, nulla ci
sconvolge, restiamo nel registro della razionalit,
senza entrare nellemblematico della figura. Se per
racconto che da ragazzino ero un cane e che
quellamore mi ha salvato, allora la perplessit degli
ascoltatori colpir il parlante. Eppure, limmagine

nel contesto giuridico-politico conduce dallorrore verso la so-


domia alla repressione di una larga serie di peccati indicibili
come attentati alla legittimit dellordinamento, attraverso una
trasformazione della procedura penale poich la verit non de-
ve essere attestata dai testimoni - il crimine secretum, poich
indicibile - quanto dallimputato stesso - e nella confessione
lindicibile diviene iper-dettagliato. Alla fine, si svela une
chose que on pourrait donc paradoxalement imaginer vide et
que nous avons cru pouvoir appeler ici la suite des juristes
romains et des canonistes la Majestas (p. 316). Chi si colloca
in unidentit dogmatica, constata nel significato fondamentale
la pienezza della verit; chi se ne colloca fuori, constata piutto-
sto un guscio vuoto.

94
riprodotta da Schott ci parla proprio di questo: se
messa in parole logicamente ordinate, rinunciando
ad ogni metafora ed allusione, mostra la sua natura
di indicibile1. Lenigma qualcosa che non pu es-
sere detto, lindicibile, dal verbo greco ainissomai,
ma pu essere evocato sebbene solo e soltanto oscu-
ramente2. Non si tratta di un punto marginale, al
contrario: non neppure necessario evocare la storia
di Edipo e dellenigma della Sfinge, da sphigg,
stringere3 - metafora4 dellenigma che ci soffoca,
seppure essa sia cos importante nella comprensione
delluomo. Scava, scava, si arriva al desiderio incestu-
oso, ed alla barriera contro di esso, in cui lenigma
gioca un ruolo costitutivo. Non in gioco una pratica

1
P. LEGENDRE, Lempire de la vrit, p. 217. Nel mondo con-
temporaneo, dove il registro della razionalit erode costante-
mente la barriera che divide gli uomini dagli animali, risuonano
come battaglia di retroguardia le parole di un guaritore nor-
manno citate da Legendre: la differenza tra noi e gli animali,
la cristianit (p. 219, e P. LEGENDRE, La diffrence entre eux et
nous, in La Critique, 1978, pp. 848-863). Anche il mio non-
no paterno, Elia, quando doveva esprimere la pienezza
dellessere umano, usava sempre lo stesso termine: cristiano.
Non qui in gioco la specificit dellidentit dogmatica cristia-
na, in gioco la differenza tra una qualunque identit dogmati-
ca (ebraica, musulmana, shintoista, ..) e lanomia del relativi-
smo contemporaneo (anche se parla di diritti degli animali).
2
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 134.
3
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, pp. 170-171.
4
Il greco metapher corrisponde al latino translatio, il passag-
gio verso un nuovo significato, un trasloco dice Legendre.

95
sessuale, in gioco lidentit del soggetto umano: nel
discorso culturale medievale dominante, Dio era il ga-
rante dellenigma, del suo esserci sempre 1. Sebbene
sia uninclinazione dellanimo umano quella di co-
noscere la soluzione il pi rapidamente possibile,
anche senza farsi porre neppure la domanda - cos
Sancio Panza nel Don Quixote, che da sempliciotto
svela le perversioni che gli astuti ammantano di ra-
zionalit -, Legendre ci ammonisce che assecondare
questa inclinazione la cura principale dei regimi
totalitari, che forniscono cos la perversa illusione di
un enigma di cui si viene a capo senza sapere come2.

In questottica lapproccio alle dispute filosofiche


cambia di segno: sotto il razionalismo della disputa
sugli universali si cela, secondo Legendre, una
guerra di emblemi, ossia la costituzione stessa del
soggetto umano 3, poich dire ce que sont les mots -
tout comme dire ce que sont les images - touche aux
entrailles humaines4. Ecco che la posizione nomi-
nalista di Ockham, ma anche quella realista alterna-
tiva di san Tommaso, diventano in questa prospetti-
va una cifra della Modernit occidentale, ossia quel-
la di separare il discorso sul potere dal discorso sulle
manifestazioni del potere: sebbene tra loro distinte
1
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 177.
2
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 134.
3
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 149.
4
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 148.

96
nel discorso colto, sono ancora pi distinte (e tra lo-
ro omogenee) se comparate ad altre geo-culture,
quella cinese per esempio, in cui la ritualit emble-
matica una via di accesso necessaria alla compren-
sione del potere sociale. Insomma, dire cosa sono le
parole e le immagini anche un discorso primario
che struttura il soggetto umano, dando luogo a con-
testi culturali alternativi: la nozione di imago dei,
che per un pubblico specializzato evoca la dimen-
sione personale nellinsegnamento di santAgostino,
ha una valenza antropologica formidabile che il ra-
zionalismo non pu adombrare. Se la persona ima-
go dei, allora in una persona vediamo Dio sia come
immagine, sia come specchio, in una logica estetica
che conduce Albrecht Drer a tracciare sulla veroni-
ca che ha asciugato il viso di Ges non gi le sem-
bianze divine, bens quelle di lui stesso in un autori-
tratto1. Limmagine che rappresenta il Terzo divino,
il nostro aggancio fuori di noi che ci consente di es-
sere noi stessi, permette anche al Terzo di vedere noi
che lo guardiamo. Le dispute teologiche e filosofi-
che hanno come posta ultima listituzione sociale
en ce sens quils fonctionnent emblmatiquement
pour signifier politiquement2: sotto lapparenza pu-
ramente intellettuale, i grandi dibattiti sono la mate-
ria mitologica dellintellettualismo occidentale, pri-

1
P. LEGENDRE, Dieu au miroir, Paris 1994, pp. 59-60.
2
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 162.

97
ma nel contesto che riconosce il valore normativo
della cultura, poi anche in quel relativismo che offre
lillusione di una cultura anomica 1.

Esistono ovviamente infinite sfumature di questa


dimensione del simbolo, il quale ha necessariamente
a che fare con il linguaggio, poich anche chi ne af-
fermi la radicale natura extra-linguistica non pu che
farlo affermandolo con la lingua 2: al capo opposto, il
simbolo eucaristico al cuore della liturgia cattolica,
ma specie dopo il Concilio Vaticano II, sebbene in
buona misura anche prima, il canone della consacra-
zione eucaristica un testo normativo scritto, e
lepiclesi liturgica avviene attraverso le parole, ac-
compagnate e non sostituibili dai gesti. Vi sono sim-
boli che sono nelle parole, fatte per essere viste: la
massima medievale secondo la quale limperatore,
poi il papa, hanno il diritto nel loro petto - omnia iu-
ra habet in scrinio pectoris sui - sono per Legendre
degli argomenti emblematici, non dimostrazioni
nel senso moderno della razionalit, bens una pa-

1
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 163.
2
Mi pare questa la chiave di lettura di tante correnti di pensiero
che lambiscono e penetrano (non ufficialmente) il cristianesi-
mo, con una opzione esoterica pi o meno esplicita. Per una di
queste storie, C. MORESCHINI, Storia dellermetismo cristiano,
Brescia 2000: non quanto propone Moreschini, ma a me pare
che la chiave di lettura pi feconda sia nei termini di
unantropologia psicoanalitica lacaniana.

98
role articule pour tre vue1, una parola che ci vie-
ne da dentro perch viene da fuori, da quello che
chiamiamo Terzo. Se si d linevitabilit del discorso
simbolico e il suo rapporto ingarbugliato con la razio-
nalit, questultima cerca di occultare la natura em-
blematica di questo fondamento2. Sono gli stessi glos-
satori giuridici a tradire questa forza dirompente di
una proposizione che si percepisce come metafora
fondatrice, quando cercano di smontarne il rinvio
allAltro assoluto, allindicibile: Cino da Pistoia, e-
lencato da Kantorowicz nella sua minuziosa analisi
delle analisi dei glossatori sul tema 3, invita a non
comprendere la massima alla lettera - ossia a collo-
carla nellermeneutica linguistica - ed a comprende-
re che il petto del principe contiene tutti gli esperti di
diritto, e la bocca del principe manifesta la voce di
questi. Lettura rassicurante, tesa a togliere ogni di-
mensione angosciante e dirompente alla massima

1
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 224.
2
P. LEGENDRE, Les enfants du texte, Paris 1992, p. 117. Un
esempio per tutti: la ricerca di buone ragioni per una norma,
sino alla teoria tommasiana per cui una legge ingiusta non
una legge, adombra la natura ultima del normativo, quella di
essere limmotivato puro (P. LEGENDRE, La 901e conclusion, p.
128). Questo manifestato, non gi dimostrato, nel libro di
Giobbe: questo libro fa parte della tradizione giudaico-cristiana
e manifesta una metafora fondamentale di due identit,
lebraica e la cristiana.
3
E. KANTOROWICZ, The Kings Two Body, Princeton 1957, p.
154.

99
simbolica, per anestetizzarla in una stenografia mne-
monica. Allinterno di una civilt dellinterpretazio-
ne, il simbolo irriducibile al linguaggio o tollerato,
oppure relegato alla periferia del discorso, dove la
marginalit e la devianza tendono a confondersi, che
la cifra della condanna dellesoterismo da parte
della cultura dominante latina. I Testi sacri non sono
ipso facto lEmblema assoluto: questo solo un fra-
intendimento, poich i Testi sacri, si chiamino To-
rah, Evangeli oppure Corano - ma anche Corpus iu-
ris1 -, manifestano un modo della presenza della me-
tafora fondamentale, e questo modo il Simbolo as-
soluto2. La ritualit spontanea deve essere disciplina-
ta dal razionalismo della Scolastica medievale: la
pittura va valuta come se fosse una lezione orale (De
consecratione, d. 3, c. 27); la danza viene ripetuta-
mente condannata (concilio di Rouen, 1231, c. 14);
Giovanni XXII nella Docta sanctorum del 1234
traccia una tassonomia della musica. La scienza del
diritto pone il legale e lillegale nelle manifestazioni
rituali3: chiunque ritenga che il simbolo abbia una
dimensione extra-linguistica, tale da sfuggire al po-

1
P. LEGENDRE, Les enfants du texte, p. 131.
2
P. LEGENDRE, Les enfants du texte, p. 202. Lillusione
delliper-razionalismo il controllo totale della metafora fon-
damentale: se lo fosse, non sarebbe la metafora fondamentale.
Un mito cessa di essere operativo, ossia di produrre i suoi effet-
ti nor-mativi, se sa di essere un mito (p. 68).
3
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 405.

100
tere di regolamentazione del discorso colto, non pu
che essere deviante. E la scienza del diritto laltra
cifra, insieme alla filosofia cristiana, della razionali-
t latina: un canone di Graziano che oppone la cir-
concisione al battesimo (C. 26, q. 2, c. 9), cosa ovvia
in molti sensi, ma che diventa nella razionalizzazio-
ne normativa lopposizione tra lemblema iscritto
nella carne - secondo la sua etimologia - ed il simbo-
lo iscritto nel canone linguistico - secondo la versio-
ne della civilt dellinterpretazione medievale.

Il simbolo, quindi: sia esso linguistico, sia esso


extra-linguistico, si tratti del canone della consacra-
zione eucaristica, oppure della torsione linguistica
che cerca di mettere in proposizioni quello che le
proposizioni non possono fare - ci che detto, di-
cibile, quindi dire lindicibile con il linguaggio
quella che convengo di chiamare una torsione lin-
guistica, altrimenti detto la fecondit del contraddit-
torio -, il simbolo percorre tutto il pensiero latino
cristiano intorno al sacro. Attingendo a piene mani
dal serbatoio della tradizione neo-platonica, in cui si
rincorrono e si confondono, si raggiungono e si dif-
ferenziano il platonismo cristianeggiante ed il cri-
stianesimo platoneggiante, il pensiero cristiano pur
nella sua risoluta scelta non-esoterica - che spinge
lesoterismo ad essere un fiume carsico, non pi vi-
sibile in superficie ma dalla sorgente inesauribile -
non pu assolutamente prescindere dal simbolo: il

101
caso di Giovanni Scoto Eriugena, uno dei protagoni-
sti intellettuali della stagione politica carolingia 1 che
per molti versi lapologia della razionalit giuridi-
ca, anche al servizio della liturgia sacra, e non gi
della razionalit simbolica, quella che mette in con-
tatto il finito e linfinito come le due parti di un ogget-
to unitario spezzato; il caso di Gioacchino da Fiore,
di cui si voluto dire che praticasse il pensare per
figure e che certamente stato cos percepito dai
suoi immediati contemporanei che ne hanno depre-
cato la strategia retorica. I suoi contemporanei collo-
cati al di fuori della geo-cultura meridionale avrebbero
anche potuto pensare che la prosa di Gioacchino e-
sprimesse una sensibilit cristiana assai vicina al mon-
do bizantino, e proprio per questo lavrebbero ancora
deprecata; i nostri contemporanei, salvo lodevoli ecce-
zioni, per esempio il gi citato Robert Lerner, tendono
a sottovalutare questa dimensione della prosa gioachi-
miana, e quando evocano il pensare per figure gravita-
no pi in una dimensione gnosticheggiante e esoterica
piuttosto che nella dimensione del docetismo orientale.

1
Nel gi citato F. PAPARELLA, Le teorie neoplatoniche del sim-
bolo, opportunamente Paparella inserisce nel titolo del secondo
capitolo lespressione le fonti del dire traslato, che pure in
grammatica si chiamano figure retoriche. Mentre il termine fi-
gura pu evocare letture difformi dal razionalismo della tradi-
zione latina, il dire traslato evoca una simbologia ontologica-
mente seconda rispetto al linguaggio, secondo una tradizione
neo-platonica che forma le basi del discorso cristiano.

102
Si nutre poi anche del discorso non-colto, devozio-
nale e pulsionale, che viene dal serbatoio delle plu-
rime immagini del primo cristianesimo, in cui la ne-
cessit di parlare per codici linguisticamente non-
espliciti incontra felicemente la pulsione profonda di
manifestazione del mistero sacrale, e produce un
nuovo simbolismo del regno animale che integra e
trasforma il simbolismo dellepoca classica greca1.

Per quanto enorme, questo spettro semantico non


copre tutta la latinit cristiana: il rigore analitico del-
la scolastica, con la sua tensione verso lo stile anali-
tico, rifiuta il simbolo nella sua dimensione pi vo-
luttuosa, per confinarla nellinconscio da cui per
non potr mai essere espulso, oppure alla manifesta-
zione del mistero che si celebra nella liturgia, regno
1
Unopera fondamentale su questa dimensione specifica della
grammatica del sacro nella tradizione cristiana quella di L.
CHARBONNEAU-LASSAY, Le bestiaire du Christ, Paris 2006,
unopera pubblicata per la prima volta nel 1943 praticamente
senza alcuna diffusione e poi riedita in diverse ristampe dai
contorni iniziatici e dai costi esorbitanti, certo legate ad una li-
bera ermeneutica della personalit dellautore, legato alle rivi-
ste del pensiero tradizionale gunoniano (Etudes traditionnel-
les, ma non solo), e che citava tra le sue fonti il gruppo ermeti-
co ed iniziatico de lEstoile internelle. E inutile un approccio
razionalista a questa grande enciclopedia dellemblema e del
simbolo: se si considerano le immagini riportate come descritte
dal testo scritto, se ne pu lamentare lorigine spesso indeter-
minata o nebulosa; se per le immagini sono considerate come
emblemi e simboli, esse valgano in quanto tali.

103
della performativit deontica, in cui la parola produ-
ce effetti; la razionalit del diritto romano medievale
e di quello canonico non assumono il simbolo nella
loro retorica di comunicazione, anche se forgiano
norme simboliche e mettono il nuovo diritto al ser-
vizio del mistero del deposito della fede cattolica,
tanto che alla fine del Medioevo il giurista Alciati
rediger un testo di tavole simboliche che mostrano
il discorso morale delle virt. Molta strada stata
percorsa da quando Rufino, uno dei primissimi com-
mentatori del Decretum di Graziano, descriveva la
funzione del potere nello stato adamitico come duo-
bus quasi funiculis suspensa1, ponendo al cuore del
diritto deposito della fede ed emblema, ma anche
avviando un percorso che quel fondamento indicibi-
le cercher di adombrare, e cos Legendre pu com-
mentare la posie, notamment sous ses formula-
tions picturales et musicales offertes au grand nom-
bre, se trouve dans la position structurale dexercer
la fonction mythologique en rappellant nos attaches
imparlables, ces ficelles de fiction ... par lesquelles
les institutions tiennent debout2. Se si dentro
allidentit dogmatica, in questo caso cristiana, il no-
stro sostegno indicibile percepito come assoluta-

1
RUFINUS, Summa decretorum, ed. H. Singer, Paderborn 1902,
p. 4: questi due fili sono la rettitudine della giustizia e la luce
della conoscenza.
2
P. LEGENDRE, Le dsir politique de Dieu, p. 124.

104
mente reale; se si allesterno di tale identit, lo si
percepisce come fittizio: il punto inescapabile che
quei fili, qualunque sia il materiale che li componga,
ci devono essere, altrimenti non c il soggetto uma-
no. Il razionalismo pu adombrare lemblema, giam-
mai eliminarlo, poich senza simboli non vi sarebbe
nessun uomo a desiderare la razionalit. E vi poi lo
spazio dellesoterismo, in cui il simbolo non convive
pi, non desidera pi convivere con il dicibile, dato
che lindicibile tutto ci che conta e niente pi 1.
Lesoterismo si caratterizza in questi termini come
unimpresa deontica alternativa a quella di uniden-
tit religiosa dogmatica, per esempio quella cattoli-
ca: lesoterismo in questa prospettiva refrattario
allapproccio positivista verso il simbolismo, perch
lo rubrica come folklore, come superstizione, come
inconscio collettivo. Al contrario, chi si colloca in
una prospettiva di identit dogmatica, conferisce al
suo discorso un valore veritativo, e non gi mera-
mente descrittivo: cos Ren Gunon pu tuonare in
termini apocalittici contro lapproccio psicoanalitico
al simbolismo 2, non poi troppo differentemente da
quanti in ambito cattolico diffidano dalla psicoanali-
si. Non gi perch lapproccio al simbolo sia condot-
1
Questo lesito che affascina molti in R. GUNON, Symboles
fondamentaux de la Science sacre, Paris 1962, poi tradotto in
italiano, Simboli della Scienza sacra, Milano 1990.
2
R. GUNON, Tradition et inconscient, in Etudes tradtion-
nelles (1949), poi in Simboli della Scienza sacra, pp. 46-49.

105
to in maniera fallace, quanto perch, sia per chi ri-
cerca la Tradizione nascosta alla maggioranza degli
uomini, sia per chi ricerca la razionalit totale del
trascendente, lantropologia dogmatica osserva dal-
lesterno la costituzione del soggetto umano che le
diverse strategie intraprendono senza assumere la
necessit di una difesa partigiana di quel discorso l,
e lo fa essenzialmente con la ricognizione delle im-
magini, poich lesthtique nous enseigne que
linstitution du sujet suppose la mise en scne socia-
le dun miroir de lindicible de lamour1. Al di l
delle fondamentali motivazioni personali, si pu dire
che la conversione di Gunon al credo musulmano
manifesti la sua vana ricerca di una concezione del
simbolo sufficientemente protesa verso lEnigma nel
contesto cattolico, cosa non sorprendente se seguia-
mo le analisi di Legendre sul razionalismo della teo-
logia colta scolastica che impoverisce e depaupera la
dimensione simbolica. E lantropologia psicoanaliti-
ca, in versione junghiana, non poteva confortarlo,
vista la sua negazione della verofunzionalit fonda-
mentale dellEnigma. Gunon aveva compreso che il
simbolo e lemblema, estraniati da un discorso iden-
titario forte, restano gingilli e ninnoli, inchiostro e
pietra, materia assemblata nella mera sfera empiri-

1
P. LEGENDRE, Les enfants du texte, p. 56.

106
ca1. Questo resta come un monito per evitare frain-
tendimenti grossolani: se calati nel relativismo cultu-
rale, i simboli e gli emblemi possono essere solo
fraintesi, e divenire oggetti di discorsi culturali tipo
New Age. Lalternativa non lobbligo di scegliere
unidentit dogmatica, bens quella di comprenderli
al meglio cercando di cogliere i meccanismi che
rendono inevitabile - a dispetto di ogni illusione i-
per-razionalista ed empiricizzante - la ricerca umana,
attraverso i simboli, dellenigma e dellabisso.
Per dire lindicibile, sempre ai recessi della psi-
che umana occorre fare riferimento, anche se solo
implicito per perseguire una reiezione (la rimozione
di un significato fondamentale) che prima o poi pre-
senter il suo conto. Se possiamo comprendere il
conto che presentava la cultura dominante del XIII
secolo a Gioacchino, possiamo anche comprendere il
conto che i simboli e gli emblemi di Gioacchino pre-
sentano ad ogni forma di razionalit scolastica.

1
Questo non esclude che ci siano prospettive esoteriche pi
concilianti con la Modernit, che rifiutano latemporalismo
gunoniano pur volendo perseguire in unantropologia esoteri-
ca, e che non hanno problemi con le prospettive junghiane. Un
rappresentante illustre ne Gerhard Wehr, per cui rimando a P.
DEGHAYE, Un sotriste chrtien: Gerhard Wehr, in Journal
for the Study of Western Esotericism, 11 (1990), pp. 46-56.

107
VI
IL FRANCESCANESIMO
NELLALVEO MERIDIANO: ANGELO CLARENO
E LO SGUARDO VERSO ORIENTE

Non voglio solo delineare brevemente la figura di


Angelo Clareno, un francescano che ha vissuto a ca-
vallo tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, os-
sia nel periodo pi lacerante della storia delle divisioni
allinterno dellOrdine dei frati minori e delle opposi-
zioni nei confronti di altri gruppi religiosi. Alla morte
di Clareno, nel 1337, il Papa aveva scomunicato da ot-
to anni i francescani dissidenti che si erano rifugiati nei
territori germanici dellimperatore Ludovico il Bavaro,
quei fraticelli de opinione lontani dai fraticelli de pau-
pere vita cui Clareno era pi prossimo come mentalit
religiosa, anche se la sua obbedienza a Roma rest
sempre granitica1. In passato, per esempio Salimbene
di Adam in pieno medioevo, si usarono le stesse paro-

1
Annota infatti la von Auw, in ANGELI CLARENI, Opera I. Epi-
stole, a cura di L. von Auw, Roma 1980, sottolineando il ri-
spetto di Clareno verso la gerarchia ecclesiastica, p. LXXXIII,
con una forte contrapposizione allaltro Spirituale Ubertino di
Casale, a p. LXXXVIII: la fois indocile et soumis, cartel
entre deux exigences contraires, Angelo a beaucoup soffert. On
la accus de duplicit, mais son tre mme tait dchir.

109
le, ricavate dalla Lettera ai Romani 10, 2, per prendere
le distanze, senza indulgere in accuse gravi, sia da
Gioacchino da Fiore, sia da Angelo Clareno: aveva
certamente dello zelo, ma non diretto dalla scienza,
disse Alvaro Pelagio, il penitenziere del papa Giovanni
XXII, papa dAvignone, riferendosi a Clareno, e lo
stesso tenore us Salimbene verso Gioacchino. Qui
non in questione la scienza, in questione una scien-
za normativamente fondata che modella lo zelo: era
per in entrambi i casi lo zelo della santit, e la scienza
che manc ai due fu semmai la conformit normativa
al controllore politico della scienza. In ogni caso, nes-
suno dei due pu dirsi disobbediente, nella misura in
cui si disobbedisce ad un comando, a qualcosa che
venga contestato, ma non si dice propriamente che si
disobbedisce ad una elucubrazione, fossanche fonda-
ta, dellinterprete delle nostre parole. E dico questo
senza nessuna pretesa di una superiore neutralit sto-
riografica, che pure una virt tipica della pi recente
e migliore storiografia, quella dei Potest e degli Ac-
crocca. Lo dico allinterno del mio paradigma interpre-
tativo, che si fissa sulla natura costitutiva delle identit
allinterno del movimento francescano e nellarea geo-
culturale del Meridione dItalia. Clareno fu al tempo
stesso un membro a parte intera di unanima allinterno
dellOrdine francescano, usualmente detta degli Spiri-
tuali perch desiderosi di rifarsi sempre alle intenzioni
del Santo fondatore, san Francesco, piuttosto che alle
interpretazioni dei testi normativi accumulati dalla Se-
de apostolica e dai dirigenti dellOrdine minoritico; ma

110
fu anche separato da ogni tentazione fraticellesca, no-
me convenzionale con cui si designano i frati france-
scani che entrano in disobbedienza attiva contro la Se-
de apostolica. Lelemento geo-culturale ha un peso no-
tevole nella storia di Clareno per chi voglia interrogarsi
su una specificit mediterranea: egli scelse la strada
dellesilio verso la Grecia quando si trov in conflitto
con il papato nel passaggio dal governo di Celestino V
a quello di Bonifacio VIII, la stessa via praticata dalla
congregazione dei celestiniani 1, ma anche una scelta
naturale per lui che era stato delegato pontificio per
una missione di evangelizzazione in Armenia molti
anni prima - dopo essere uscito di prigione nel 1289.
La vicenda narrata da un illustre calabrese, Felice
Tocco: dopo i dettagli sulla spedizione in Armenia,
Tocco evoca anche la fuga dei celestiniani nel 1295 in
Grecia, nellisola di Acaja, sotto Tommaso III Stro-
mancourts, senza per il veemente Iacopone da Todi e
senza Corrado da Offida, uno dei pochi rappresentanti
della scelta eremitica nelle file francescane, che si rive-
l per lui per una forma di esilio in patria. Inseguiti
dalle pressioni del pontefice, recepite dal patriarca di
Costantinopoli, riparano in Tessaglia nel 12982. Questa

1
Una efficace messa a punto quella di P. HERDE, Celestino V
e Bonifacio VIII di fronte alleremitismo francescano, in Ere-
mitismo nel francescanesimo medievale, Perugia 1991, pp. 95-
127.
2
Fortunato Maria Cacciatore si occupato di questo pensatore,
nel volume curato da Mario Alcaro, Storia del pensiero filoso-
fico in Calabria da Pitagora ai giorni nostri, Soveria Mannelli

111
missione in Armenia contraddistingue e segna un le-
game di una parte del francescanesimo con il cristiane-
simo orientale forse iniziato gi allepoca della forma-
zione culturale di Francesco dAssisi: Manselli raccon-
ta come i frati conventuali di Cipro osteggiassero la
missione di confratelli che percepivano come dissiden-
ti, anche se ricoperti di un mandato ufficiale 1. Anche se
lopposizione radicale tra due icone pontificali, lo spi-
rituale Celestino e il normativista Bonifacio, stata
drammatizzata da numerose leggende nere, resta tutta-
via che Celestino rappresenta un eremitismo alieno
dalla cultura dellinterpretazione del Testo, biblico o
giuridico che sia; opportunamente, per, Herde sottoli-
nea che Celestino V cercasse di accogliere gli Spiritua-
li dissidenti nella sua congregazione, ma con inviti ri-
petuti allobbedienza, ossia senza assecondare il loro
radicalismo. E di fatto le carte che documentavano tale
processo di integrazione erano talmente confuse che il
giurista Bonifacio VIII non pot che considerarle nul-
le2. Al contrario, Bonifacio non solo pienamente in-

CZ 2012. Per i riferimenti che ho fatto rimando a F. TOCCO,


Studii Francescani, Napoli 1909, pp. 243-244, pp. 248-249, p.
250.
1
R. MANSELLI, Spirituali missionari: lazione in Armenia e in
Grecia. Angelo Clareno, in Espansione del francescanesimo
tra Occidente e Oriente nel secolo XIII, Assisi 1979 (Societ
Internazionale di Studi Francescani. Convegni VI), pp. 271-
291.
2
P. HERDE, Celestino V e Bonifacio VIII di fronte allere-
mitismo francescano, in Eremitismo nel francescanesimo me-
dievale, pp. 117-119, p. 124, p. 125, p. 126.

112
serito nella tradizione teologico-giuridica del suo tem-
po, ma anche stato uno dei pochi teorici di una teo-
crazia nel mondo latino cristiano. La differenza cultu-
rale era notevole, e ripete delle differenze allinterno
degli stessi francescani. Un francescano come Uberti-
no da Casale soffi sulla brace di un conflitto tra Cele-
stino V abdicante e Bonifacio VIII: Herde racconta
della fuga di Celestino V e dei celestiniani dissidenti
verso il ducato di Atene, della simpatia iniziale di Bo-
nifacio VIII , e di come i dubbi sulla legalit della sua
abdicazione non provenissero dalla cerchia dei celesti-
niani, dato che lo stesso Celestino si era consultato con
il collegio cardinalizio ed aveva seguito i consigli di
Benedetto Caietani. La polemica nasce da Ubertino da
Casale e dalla veemenza del poeta Iacopone da Todi
che si unisce ai Colonna, gli avversari politici del Pa-
pa. Bonifacio VIII destituisce il ministro generale dei
francescani Raimondo Goffredi e viene eletto Giovan-
ni da Morrovalle nella primavera 1296, scelta che
premia un giudice del processo contro Olivi nel 1283.
Nei mesi successivi, Liberato e Angelo Clareno passa-
no in Grecia, dove saranno raggiunti solo verso la fine
del 1299 dalla longa manus pontificia1. In questa map-
pa degli animi e delle tensioni, Angelo Clareno trov
nella geo-cultura calabrese un conforto e un riparo: il
suo epistolario ci fornisce delle indicazioni sulla speci-
ficit calabrese nel flusso verso il Sud dellItalia dei

1
P. HERDE, Celestino V e Bonifacio VIII di fronte alleremi-
tismo francescano, in Eremitismo nel francescanesimo medie-
vale, pp. 121-123,

113
francescani appartenenti al movimento degli Spirituali.
Dal 1325 al 1331, molti Spirituali siciliani si rifugiaro-
no in Calabria, dato che a dispetto della protezione di
Federico III dAragona la pressione ecclesiastica per
una loro consegna alle autorit dellOrdine era costan-
te. Altri fuggirono a Tunisi e nellisola di Djerba. Vi
furono forti pressioni di Giovanni XXII su Roberto il
Saggio, re di Sicilia, sotto il segno della Gloriosam ec-
clesiam, costituzione apostolica che dettaglia la vici-
nanza degli Spirituali con movimenti ereticali come
valdesi, nella comunanza con il rifiuto delle istituzioni
giuridiche, oppure come manichei - nella declinazione
marcionita, ossia nella comunanza con il rifiuto della
validit dellAntico Testamento; ed ancora sul suo
successore Roberto e su Carlo, duca di Calabria, dove
il papa parla di beghini, ossia di laici religiosi guardati
con sospetto dallautorit ecclesiastica 1. Nonostante

1
ANGELI CLARENI, Opera I. Epistole, lettre 59 (LXIII), p. 279
e seguenti: Bullarium Franciscanum, V, n. 565, 4 febbraio
1325, Roma 1898, p. 282: contra nonnullos illid fratribus, qui
se Spirituales nominant, adhaerentes eorumque doctrinam se-
quentes pestiferam - invia una costituzione che pu essere una
delle tante che concep per limitare lazione di politica eccle-
siastica e sociale dei francescani - la Quia quorundam, n. 554,
10 novembre 1324, pp. 271-280, la Cum inter nonnullos, n.
518, 12 novembre 1323, pp. 256-259, oppure pi probabilmen-
te la Gloriosam ecclesiam, n. 302, 23 gennaio 1318, pp. 137-
142 in cui ricorda il loro arrivo, a p. 139, sotto il dissidente
attivo Enrico di Ceva, e, a p. 141, come il papa avesse invitato
il re di Sicilia Federico III ad espellerli dalle sue terre, n. 256,

114
questo, la natura selvatica, ossia non segnata dalla ma-
no delluomo, del territorio calabrese li protesse, anche
perch gli eccessi operativi del gruppo dissidente di
Enrico di Ceva erano riprovati dallo stesso Angelo; e
questa protezione era pi efficace che non in Sicilia,
dove operava anche un ambiente esoterico, quindi
sempre verso la soglia che portava fuori dalla fedelt
alla Sede apostolica, tra medicina e alchimia, che era
vicino ai francescani Spirituali. Insomma, questa geo-
cultura toccata dalla tradizione greco-cristiana sar per
Clareno conforto alle pene della situazione ecclesiasti-
ca che lo mantenne nella fedelt a Roma, una scelta e-
remitica ripensata rispetto alla tradizione patristica, os-
sia una scelta che permette di vivere lidentit france-
scana senza condizionamenti esterni, fossanche quelli
del Papa. Questo fa dire a Manselli, dopo avere esami-
nato il resoconto che Clareno fa della sua missione in
Armenia, che lo convince a scegliere lo stile eremitico,
che riteniamo vada riconosciuta una prima influenza
di spiritualit monastica dOriente1. Insomma, forse
un paradossale anomista-normativista, pi serenamente
un uomo profondamente umano, fecondamente contra-
dittorio.

15 marzo 1317, pp. 110-111. Poi ancora, Bullarium Francisca-


num, V, n. 571, 10 maggio 1325, p. 285.
1
R. MANSELLI, Spirituali missionari: lazione in Armenia e in
Grecia. Angelo Clareno, in Espansione del francescanesimo
tra Occidente e Oriente nel secolo XIII, pp. 282-283.

115
VII
LOBBEDIENZA DI FRONTE ALLE NORME

Vorrei insomma inserire le mie analisi nel quadro di


unipotesi storiografica che mi pare unidea feconda,
ossia quella di distinguere una specifica anima medi-
terranea del francescanesimo, che si distingue da una-
nima settentrionale del francescanesimo, che potrem-
mo anche dire meno impegnativamente unanima non-
mediterranea. Per il lettore abituato allaffermazione
delle grandi unit culturali e storiche pu gi essere
difficile accedere allidea che la cristianit medievale
era composta da anime distinte, ed in alcuni contesti
concorrenti: isolato il nucleo duro del deposito della
fede, quello che delinea lidentit dogmatica del catto-
lico che si riconosce nella Sede apostolica, il pensiero
cristiano medievale esprime una grande variet di sen-
sibilit, che nel campo filosofico, per sua natura me-
glio analizzabile in senso tecnico, producono strategie
di spiegazione filosofica alternative. Il lettore si rende
conto se accede ad un numero sufficientemente vasto
di letture che la filosofia di Duns Scoto non omoge-
nea a quella di san Tommaso, e sebbene ambedue si
riconoscano nello stesso deposito della fede le loro ar-

117
gomentazioni filosofiche sono spesso genuinamente
alternative, tanto che luna esclude laltra o viceversa.
Ma questa pluralit nellidentit dogmatica non si limi-
ta alla sola filosofia in senso tecnico: la distinzione tra
normativismo ed anomismo, che ho proposto in miei
lavori precedenti, ha certo un impatto sulla filosofia
pratica, ma determina pure un diverso contesto cultura-
le in cui la fede cattolica si muove in una certa comu-
nit umana, e questa distinzione si pu rintracciare
allinterno di una stessa famiglia religiosa, come acca-
de nel caso dei francescani, anche se poi la distinzione
percorre tutto il pensiero cattolico e cristiano in genere.
Insomma, il lettore dovrebbe prendere in considerazio-
ne la lettura della Riforma come uno scisma politico
che connota in senso filo-Sede apostolica oppure in
senso avverso alla stessa Sede apostolica modi di senti-
re, approcci geo-culturali, dottrine filosofiche che nei
secoli precedenti al XVI erano in realt elementi del
pensiero cattolico, che restava cattolico (e non gi cat-
tolico e cristiano non-cattolico) perch tutte queste a-
nime si riconoscevano nellidentit dogmatica della
Sede apostolica.
Ho quindi evocato una tipica categoria weberiana
per cercare di comprendere la dialettica tra le anime
del francescanesimo: nella frase di David Burr he
could be the saint patron of those who refused to put
their trust in institutions1, ossia potrebbe essere il pa-
trono di tutti coloro che non hanno fiducia nelle istitu-
1
D. BURR, Olivis Peaceable Kingdom. A Reading of the Apo-
calypse Commentary, p. 263.

118
zioni, colta in maniera efficace la dimensione anomi-
ca del pensiero di Olivi, che conduce alla inevitabile
delegittimizzazione delle istituzioni esistenti. Non si
tratta tanto di una boutade, quella del santo protettore
di tutti i contestatori delle istituzioni esistenti, quanto
di una profonda comprensione del ruolo di Olivi nel
pensiero politico non solo dei decenni che seguirono la
sua morte, ma soprattutto dei secoli che seguiranno si-
no ad oggi. Del resto, lescatologia la forma religiosa
della filosofia della storia, e il cardinale de Lubac lo ha
mostrato molto bene nelle sue opere sul pensiero gioa-
chimita e sullesegesi biblica medievale 1. La filosofia
della storia e lescatologia non vertono su ci che sta-
to o su ci che potrebbe essere, bens su ci che dove-
va essere e su ci che dovr essere: tuttavia nella Tra-
dizione esegetica della Chiesa cattolica, e nel discorso
dominante nel medioevo della sua teologia politica, la
profezia un discorso che parla in senso non-
asimmetrico tanto del passato e del presente, quanto
del futuro, ma senza mai potersi intendere in senso an-
nalistico o cronachistico, come giudizio su questa par-
ticolare persona o su questa specifica situazione crono-
logicamente e geograficamente determinata. David
Burr mostra molto bene che lescatologia di Olivi, che
mostra certo influenze gioachimite ma che soprattut-
to di Olivi stesso, in rottura con le pratiche di esegesi
apocalittiche che precedono il XIII secolo, e che sar

1
H. de LUBAC, La postrit spirituelle de Joachim de Flore, I-
II, Paris 1979-1981; H. de LUBAC, Exgse mdivale: les qua-
tre sens de lcriture, 5 tomi, Paris 1993.

119
abbandonata gi a partire dal secondo quarto del XIV
secolo, un arco di tempo che vede la nascita e produ-
zione letteraria di Olivi sino alla sua condanna postu-
ma. Comprendere questa valenza del pensiero oliviano
permette di capire come egli sia divenuto licona del
movimento degli Spirituali, anche se personalmente e
direttamente non gli si pu attribuire una scelta delibe-
rata ed esplicita in tal senso. La storia delle idee ci in-
segna che i concetti elaborati non sono pi nelle mani
di chi li ha pensati, bens di chi intende avvalersene, e
la sfiducia che Olivi mostra nelle istituzioni quali fe-
nomeni normativi un ottimo suggerimento per fare
un uso anomico del suo pensiero.

Io credo sia utile contrapporre unanima normativi-


sta e unanima anomica nel movimento francescano.
Gli anomisti saranno coloro che ritengono che una
configurazione sociale ideale possa fare a meno della
funzione direttiva delle norme, e in questo senso ogni
istituzione umana guardata con sfiducia poich ogni
istituzione umana per sua natura normativa. Nella
configurazione semantica del pensiero francescano,
lapproccio anomico significa che nello stato di natura
incorrotta - che precede la Caduta a causa del peccato
originale - non vi sono norme, tanto che la legge
damore una legge senza norme. Olivi, coerentemen-
te con questo afflato spirituale, nello scritto Quid ponat
ius vel dominium esprimer un nominalismo giuridico

120
semplice e lineare1: la predicazione di qualunque pro-
priet giuridica che grava sulle cose non aggiunge nul-
la alla realt, ossia qualsivoglia norma pu essere eli-
minata dal, oppure aggiunta al, nostro universo sociale
senza modificare in nulla linsieme delle cose reali. Al
contrario, i normativisti sono coloro che ritengono che
nessuna configurazione sociale possa fare a meno della
funzione direttiva delle norme, e in questo senso la
presenza stessa delle istituzioni umane guardata con
fiducia poich esse sono le depositarie della funzione
normativa (male o bene esercitata che sia). Lapproc-
cio normativista significa nel discorso cattolico che
nello stato di natura incorrotta vi era almeno una nor-
ma - la norma la cui violazione comport la Caduta
stessa e la rottura della sfera del diritto naturale- e in
genere in ogni stato che comprenda oltre al Creatore
almeno una creatura vi deve essere anche una norma -
il primo angelo caduto perch ha violato una norma,
dato che come santAnselmo dice efficacemente nel
De casu diaboli Lucifero ha voluto quello che Dio non
voleva egli volesse in quel momento2. Normativisti
come Scoto sono dei realisti giuridici, le norme sono
vere oppure false, quando sono identiche oppure no a
stati di cose reali, e il fondamento ontologico delle
norme sono le volizioni divine, oppure le volizioni

1
F. DELORME, Question de P.J. Olivi Quid ponat ius vel do-
minium ou encore De signis voluntariis, in Antonianum,
20 (1945), pp. 309-330.
2
ANSELMO DAOSTA, La caduta del diavolo, c. 4, c. 6, Milano
2004.

121
umane del nomoteta abilitato. Il gioco tra anomia e
normativismo coglie anche quello che Eric Voegelin
chiama lo gnosticismo politico, che nel Medioevo si
concretizza nei movimenti ereticali sociali che dai ca-
tari in poi scuotono la societ latina del XII e XIII se-
colo1, e che anche Giorgio Agamben tematizza effica-
cemente nel suo percorso di revisione critica e profon-
da della biopolitica in svariate opere, tra cui quella che
analizza leconomia trinitaria e la forma dellobbligo
politico2. Il giudizio che Voegelin formula intorno a
Gioacchino da Fiore pu apparire assai severo, ma per
lui non si tratta di indagare il significato oggi delle o-
pere certamente autentiche di Gioacchino, quanto di
indagare il significato nei secoli di quel Gioacchino,
anche se costituito di opere redatte dai suoi discepoli
post-mortem, ed abbiamo gi evocato il capitale In

1
E. VOEGELIN, History of Political Ideas, I. Hellenism, Rome,
and Early Christianity, II. The Middle Ages to Aquinas, III. The
Later Middle Ages, IV. Renaissance and Reformation, V. Reli-
gion and the Rise of Modernity, VI. Revolution and the New
Science, VII. The New Order and Last Orientation, VIII. Crisis
and the Apocalypse of Man, in Collected Works of Eric Voege-
lin, Columbia and London, University of Missouri Press, 1997-
1999, numerati dal n. 19 al n. 26.
2
G. AGAMBEN, Il Regno e la Gloria, Vicenza 2006. Una pre-
messa fondamentale per comprendere linevitabilit normativa
dello stato di eccezione, che Agamben studia nel contesto della
cultura normativa romana - e che andrebbe tematizzato con lo
stesso rilievo per la concezione volontarista dellonnipotenza
divina -, il volume G. AGAMBEN, Lo stato di eccezione, Tori-
no 2003.

122
Hieremiam, un Gioacchino che per Voegelin si rias-
sume nella nozione di evangelo eterno 1, in modo
senzaltro ingeneroso. Gli elementi che Voegelin indi-
vidua nella posizione di Gioacchino, anche se possono
essere dissociati dallindividuo Gioacchino, non pos-
sono essere dissociati dai movimenti contestatori che a
lui si richiamarono; ed anche se gli Spirituali france-
scani nel Meridione dItalia si aggregarono anche per
altre variabili culturali che non avevano a che fare con
la sfera politica, nondimeno questa sfera politica letta
in chiave gnosticheggiante merita la nostra attenzione
perch una cifra del gioachimismo. Voegelin la ca-
ratterizza come un rifiuto della concezione agostiniana
della societ nel momento in cui si applica non-
metaforicamente la divisione trinitaria alle epoche sto-
riche: il dettaglio comprende quattro simboli fonda-
mentali. Il primo la concezione sequenziale e ottimi-
sta della storia, in tre macro-epoche, che estremizza -
sotto la sensibilit dellinterprete - gli schematismi tri-
nitari che si riscontrano nettamente nella storia almeno
a partire da Ruperto di Deutz, De sancta trinitate et
operibus eius (circa 1110)2; il secondo il simbolo del
capo carismatico, e qui gli Spirituali videro unincar-
nazione nel loro san Francesco; il terzo simbolo la

1
E. VOEGELIN, The New Science of Politics, in The Collected
Works of Eric Voegelin, vol. 5 Modernity without Restarint,
Columbia 2000, p. 201.
2
E. VOEGELIN, History of Political Ideas, II. The Middle Ages
to Aquinas, vol. 20, p. 127; per lottimismo, che attenua la for-
za euristica del peccato originale, pp. 130-131.

123
necessit di un profeta della nuova epoca; il quarto
simbolo la fratellanza di persone autonome 1. Il fatto
che questo schematismo simbolico ci appaia attraente
dipende dal fatto che esso viene assunto dal pensiero
politico moderno dominante, nella forma di unimm-
anenza del discorso politico che non tralascia il riferi-
mento alla trascendenza, per poi immanentizzarsi
completamente nel corso del XX secolo 2. In questo
quadro concettuale ci sono certo elementi del movi-
mento degli Spirituali, ed ancora pi di tanti pensatori
politici ottocenteschi, ma il movimento degli Spirituali
anche un Angelo Clareno che pur in dissidenza con
Roma, pur con unobbedienza alla Sede apostolica che
gli costa una fatica ed una sofferenza immani, non en-
tra mai in conflitto aperto sul piano della politica so-
ciale e del rifiuto della legittimit della gerarchia ec-
clesiastica. Quando Clareno parla dellobbedienza nel
primo capitolo del suo commento alla Regola france-
scana, usa immagini molto forti tratte dalla tradizione
monastica: una storia narra di un monaco che aveva
imparato la vera obbedienza, e che per istruire altri
monaci in questo senso prendeva delle vipere e le

1
E. VOEGELIN, The New Science of Politics, in The Collected
Works of Eric Voegelin, vol. 5, pp. 178-180. Si veda anche
lesposizione parallela in Science, Politics, and Gnosticism,
part II, Ersatz Religion: The Gnostic Mass Movement of Our
Time, in in The Collected Works of Eric Voegelin, vol. 5, pp.
300-304.
2
E. VOEGELIN, The New Science of Politics, in The Collected
Works of Eric Voegelin, vol. 5, pp. 183-185.

124
schiacciava sui loro occhi uccidendole - lobbedienza
li avrebbe resi immuni da quel veleno1. Ma vi aggiun-
ge anche un commento che non si ritrova nelle fonti,
forse tratto da qualche altro testo, forse farina delle-
sperienza spirituale ed intellettuale di Clareno: lob-
bedienza la salvezza di ogni fedele, la madre di o-
gni virt, indicazione sicura per il regno dei cieli2.
Altrove afferma il suo riconoscimento del primato as-
soluto del papa, per esempio quando, pur nellesalta-
zione della perfezione spirituale dei francescani, af-
ferma che solo il papa pu autorizzare una nuova for-
ma di vita religiosa3. E dopo avere descritto lobbe-
dienza verso il papa, afferma che la pienezza di tale
obbedienza realizza lintegrit della mente e del corpo,
la salvezza e la vita, mentre nella mancanza di tale ob-
bedienza si realizza il disprezzo, lerrore e la morte4,
unobbedienza che ogni singolo frate deve quindi e-

1
Lepisodio tratto dalle Vitae Patrum, VI, 3, 11, in PL 73,
1002, e si ritrova anche in Patrum spirituale, c. 18, PG 87,
2866.
2
E edita da Livarius Oliger come ANGELO CLARENO, Exposi-
tio Regulae Fratrum Minorum, Quaracchi 1912, p. 42. Senza
pi riferirla alla tradizione monastica di un singolo episodio,
lelencazione in questione - che ho tradotto solo in parte - ri-
prodotta in un contesto ulteriormente ampliato al c. II, p. 62.
3
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
33.
4
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
44.

125
sprimere verso la Santa Romana Chiesa 1. Tuttavia, gi
in questi contesti Clareno ripete una tesi - tipica del
movimento degli Spirituali - che la Sede apostolica
non avrebbe mai approvato, ossia che il rispetto di ogni
singola parte del Vangelo, consiglio o norma quindi,
facesse parte del voto pronunciato dal frate minore 2,
con la conseguenza che la violazione anche di un con-
siglio evangelico, non gi di una norma, produceva nel
frate minore la situazione di peccato mortale - ogni vi-
olazione del voto di religione era allepoca considerata
un peccato mortale. Clareno compie unoperazione
concettuale che in lui non porta nessuna tensione verso
la disobbedienza, ma che in altri poteva farlo: quando
nel capitolo X del suo commento alla Regola analizza
a lungo i modi e i limiti dellobbedienza, pone una tesi
problematica, ossia che la Regola francescana non sia
sottoposta al vaglio normativo e interpretativo della
Sede apostolica, e che abbia cos lo stesso valore, o
quasi, delle parole di Cristo3. Sin dalle origini del mo-
nachesimo, cristallizzate nelle parole di san Basilio,
lobbedienza, che per molti versi a noi contemporanei
appare spesso come cieca in quelle antiche pagine,
trova un limite certo, ossia nessuno deve compiere atti
contro la salvezza eterna della sua persona. Clareno ri-

1
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
81.
2
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
33; in precedenza, p. 15.
3
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, pp.
200-207, in particolare p. 201.

126
pete queste parole, le unisce a quelle pi recenti di san
Bernardo di Chiaravalle, agita lo spettro di unobbe-
dienza in malum (una clausola pi estesa di quella che
si concentra su azioni contro la salvezza eterna), co-
struisce un tenore che sembra estendere ad una poten-
ziale pluralit di casi in cui sia lecito e doveroso disob-
bedire1, una pluralit di casi che contrasta con la par-
simonia assoluta di san Basilio o di san Bernardo. Cla-
reno evoca le numerose e amare tribolazioni in cui in-
correranno coloro che vogliono osservare la Regola
con fedelt e senza interpretazioni tendenziose 2. E an-
che significativo che il ruolo del frate lassista, quello
che nelle fonti ostenta ossequio formale al rispetto ri-
goroso della Regola, ma poi chiede eccezioni persona-
li, viene ripreso da Clareno come un frate tedesco,
unespressione di uno spirito anti-meridiano3. Ma alla
fine dei conti Clareno si situa nella stessa linea dei suoi
predecessori nella Tradizione cristiana. Ed proprio a
questo punto che i fraticelli prendono invece unaltra
strada, quella che consiste nel constatare, secondo il
proprio giudizio autonomo, una serie di situazioni in
cui obbedire sarebbe obbedire illecitamente in malum.

1
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, pp.
201-203.
2
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
206.
3
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, pp.
206-207.

127
Ci furono senzaltro dei fraticelli, come movimento
ereticale di contestazione sociale, nel Meridione dIta-
lia, ma ci fu anche la dissidenza non-conflittuale degli
Spirituali che cercavano la cifra di unaltra cultura cri-
stiana, senza accettare la modalit delleversione dei
rapporti politici e sociali in atto alla loro epoca. Voege-
lin denuncia il perfettismo dello schematismo simboli-
co applicato alla storia da lui enunciato a partire da
Gioacchino: derivi o no da Gioacchino, questo perfetti-
smo tipico dei movimenti ereticali sociali gnosti-
cheggianti, come i catari. Voegelin individua chiara-
mente il carattere elitario di un movimento che pu
apparire egalitario solo ad uno sguardo ingenuo, ed
invece aristocratico - unaristocrazia della perfezione
spirituale - e utopistico nel negare ogni spazio alle de-
bolezze umane1. Senza negare una realt precisa a mo-
vimenti storici che sono catturati dalle categorie pro-
poste da Voegelin - i catari, Thomas Mnzer che guida
frange protestanti durante la guerra contro i contadini
in pieno fenomeno cinquecentesco della Riforma -, il
movimento degli Spirituali che si installarono nel sud
dItalia e si riconoscevano nello spirito di Angelo Cla-
reno non pu essere assimilato a queste categorie. For-
se accusato di averne favorito la successiva manifesta-
zione, ma certo esonerato dal giudizio di averle incar-
nate.

1
E. VOEGELIN, History of Political Ideas, II. The Middle Ages
to Aquinas, vol. 20, p. 134.

128
Nella terra di Gioacchino da Fiore, nella terra della
preservazione di un numero non trascurabile di ele-
menti dellapproccio tipico del cristianesimo orientale
al fatto teologico, gli Spirituali ebbero terreno assai
fertile, accolti da regnanti sinceramente simpatetici alla
loro spiritualit, e nella vicina Sicilia il millenarismo
non-compiuto degli Spirituali trov terreno non meno
fertile anche grazie a dei dissidenti francescani che vi
giunsero dalla Toscana. Il linguaggio della Chiesa
dOriente non aveva conosciuto levoluzione che la
cultura giuridica romana prima, Pipino e suo figlio
Carlo Magno poi, impressero alla teologia latina: il cri-
stocentrismo ha senso nella prospettiva personalista la-
tina, ma gi Scoto Eriugena che parla della Trinit nel
IX secolo come un orientale malamente compreso
dai suoi contemporanei. Lo gnosticismo politico teo-
rizzato da Eric Voegelin e ripreso da Giorgio Agamben
producono nel XIII secolo uno scontro ancora pi spe-
cifico tra partigiani della teologia politica normativista
(nato con lesaltazione del potere amministrativo dei
vescovi con Eusebio di Cesarea, cantore dellimpe-
ratore Costantino) e nominalisti giuridici che vedono
nello stato pre-Caduta lassenza totale di norme, svi-
luppando il paradigma della chiesa alessandrina del III
secolo che vedeva nel vescovo un maestro di vita piut-
tosto che un detentore di potere amministrativo.

Il concetto di gerarchia si biforca nella storia del


pensiero latino occidentale, in una dualit dialettica
che non si pone come alternativa bens come comple-
mentare. Alla classica gerarchia sociale che si traduce
129
negli honores e nelle dignitates, legata allepoca doro
della societ feudale e del suo ideale imperiale roma-
nizzante, si aggiunge la gerarchia come concetto poli-
tico che esprime la necessit di un governo essenzial-
mente verticale, e ancora prima di una legittimit ge-
rarchica, della societ. SantAnselmo dAosta, con la
sua apologia dellobbedienza come madre di tutte le
virt - secondo temi cari a santAgostino e san Grego-
rio Magno -, prepara il terreno filosofico a quellevo-
luzione plurisecolare nel pensiero cristiano che dalle
differenze tra la scuola di Alessandria ed Eusebio di
Cesarea sul ruolo politico del vescovo conduce al pre-
valere definitivo di san Pier Damiani su Umberto di
Silvacandida sullamministrazione dei sacramenti da
parte di un sacerdote indegno. Labilitazione gerarchi-
ca si impone sulla disposizione sostanziale nel mini-
strante, e cos lindegno pu impartire il sacramento
validamente. Lidea non nuova, si aggira gi nella
teologia politica di san Paolo1, si esprime nella deci-
sione di considerare validi i battesimi impartiti da ve-
scovi eretici nei primi secoli dellera cristiana. Tuttavi-
a, essa si pone in divergenza rispetto al tessuto concet-
tuale del mondo feudale, contro il quale la Chiesa cat-
tolica parte in lotta a partire dalle paci e dalle tregue di

1
Cfr. leccellente studio di J. TAUBES, La teologia politica di
San Paolo, Milano 1997.

130
Dio1, e di cui Gregorio VII far la propria agenda poli-
tica.

E questa concezione della gerarchia, ampiamente


teorizzata e messa in pratica nel contesto della plenitu-
do potestatis, che permette al pauperismo francescano,
per tanti versi debitore di concezioni orientali - a mo
di esempio di tesi forte, lo stato di perfezione di un fra-
te minore superiore anche a quello del Papa, perch il
papa governa nella sfera mondana, mentre il france-
scano ritornato allo stato adamitico 2 -, di differen-
ziarsi dai movimenti pauperistici ereticali che pullula-

1
Si pu vedere in merito, tra gli altri, un autore che ha profi-
cuamente lavorato su questo plesso temporale, D. BARTHLE-
MY, Lan mil et la paix de Dieu: La France chrtienne et fo-
dale, 980-1060, Paris 1999; D. BARTHLEMY, Le rglement des
conflits au Moyen Age. Actes du XXXI Congrs de la SHME-
SP, Paris 2001; e sopratutto lopera collettiva D. BARTHLEMY,
La vengeance 400-1200, Roma 2006. Per una visione
dinsieme sulla vendetta nel pensiero occidentale, dobbligo
R. VER-DIER, J.-P. POLY, B. COURTOIS, La vengeance. Venge-
ance dans la pense occidentale, IV, Paris 1985, che si pu
completare con laltro tomo della medesima opera collettiva La
vengeance. Vengeance, pouvoirs et idologies dans quelques
civilisations de lAntiquit, III, Paris 1985.
2
Mi riferisco ad unopera di contestata attribuzione a Duns
Scoto, il De perfectione statuum, ma che qui minteressa come
documento della polemica ecclesiologica che investe i rapporti
tra movimento francescano e Sede apostolica nel primo quarto
del XIV secolo.

131
vano agli esordi del XIII secolo1. Con un pizzico di
provocazione, stato scritto che la povert francescana
una povert per i ricchi2, che non mette in gioco lo
status quo, pur non rifugiandosi in una mera spirituali-
t della povert, bens presentandola come una condi-
zione che coinvolge tutta la sfera umana.

1
R. MANSELLI, Il secolo XII: religione popolare ed eresia,
Roma 1995.
2
Cfr. lo studio di K. B. WOLF, The Poverty of Riches: St. Fran-
cis Reconsidered, Oxford 2005.

132
VIII
PARTICOLARIT DEL COMMENTO
ALLA REGOLA DI CLARENO

Disponiamo di commentari alla Regola francescana


molto diversi, da quello detto dei Quattro maestri, puro
prodotto della tradizione giuridica occidentale1, a quel-
lo di Angelo Clareno, il solo che citi autorit dedotte
dalla tradizione cristiana orientale. La riflessione sul-
limpatto della tradizione orientale sul pauperismo
francescano pu permettere di meglio comprendere
luna e laltra tradizione, e ritrovare un ruolo giocato
dalla gerarchia come legittimit del potere nella stessa
tradizione bizantina, per concludere sulla dimensione
globale giocata dal pauperismo nei due mondi che co-
noscono una diversa cronologia della storia urbana, e
tuttavia sotto una apparente impermeabilit continuano
a comunicare per percorsi pi o meno carsici.
Nellottica di una prevalenza marcata della tradizione
latina si situa il testo di riferimento di Gian Luca Pote-
1
Cfr. H. BERMAN, Law and Revolution: The Formation of the
Western Legal Tradition, Cambridge Mass. 1983; H. BERMAN,
Law and Revolution, II, The Impact of the Protestant Reforma-
tions on the Western Legal Tradition, Cambridge Mass. 2006.

133
st1, in cui il capitolo 7 dedicato al commento della
Regola redatto da Clareno, con il titolo Expositio Re-
gulae2: interrogandosi sulle radici della tradizione fran-
cescana che ne emergono3, Potest sviluppa un discor-
so di comparazione tra due edizioni critiche dei mano-
scritti disponibili delle lettere scambiate da Clareno, tra
ledizione a stampa della von Auw e quella di Musto,
come tesi di dottorato4, discorso che gli consente di
chiarire la portata delloriginalit di Clareno tra i vari
commentatori della regola francescana tra XIII e XIV
secolo. Clareno riprende Pietro Giovanni Olivi nel
primo capitolo del suo commento: nella tradizione cul-
turale dominante - intendo dire, non solo interna al-
lOrdine francescano od alla Chiesa cristiana - era
spontaneo vedere nella Regola di un ordine religioso
un oggetto ermeneutico giuridico e morale, mentre nel-
la tradizione Spirituale di francescani come Olivi e
Clareno riecheggia il tema di una forma di vita 5, di
qualcosa che non pu essere delimitato per regole di

1
G. L. POTEST, Angelo Clareno. Dai poveri eremiti ai frati-
celli, Roma 1990.
2
Cos leditore critico Livarius Oliger la pubblica, Expositio
Regulae Fratrum Minorum.
3
G. L. POTEST, Angelo Clareno, pp. 152-167.
4
R. G. MUSTO, The Letters of Angelo Clareno (c. 1250-1337),
Ph. D. Columbia University NY 1977, University Microfilms,
Ann Arbor Michigan. Un paragone metodologico svolge POTE-
ST, Gli studi su Angelo Clareno: dal ritrovamento della rac-
colta epistolare alle recenti edizioni, in Rivista di storia e let-
teratura religiosa, 25 (1989), pp. 111-143.
5
G. L. POTEST, Angelo Clareno, pp. 155-156.

134
interpretazione e che coinvolge la totalit della perso-
nalit di chi si sottopone a quellinsieme di norme spe-
ciali che valgono per ogni istante ed ogni dominio fu-
turi della sua vita. Il Papa per Clareno avrebbe compre-
so che Francesco aveva assunto come norma (pro re-
gula postulavit) la perfezione e la vita di Cristo de-
scritte nei Vangeli, concedendo e confermando un te-
sto, la Regola stessa, che in maniera sintetica si indi-
rizzava a chi voleva vivere secondo lintenzione ed il
voto francescani. Si tratta per Clareno di una forma di
vita secondo lesempio di Cristo, di una guida retta che
insegna la vita retta senza errore 1. Clareno non esita a
riferirsi alla natura semantica della lingua greca per
avvalorare la sua esasperazione del tema della forma di
vita rispetto al pi ovvio ed immediato tema per un la-
tino della normativit disciplinare espresso da un insie-
me di canoni: questa vita non quella vegetativa ed a-
nimale espressa dal vocabolo oi, bens quella rela-
zionalit (conversatione) virtuosa dei santi, il vios2. E
per rinforzare la sua lettura, cita un episodio della vita
di san Francesco attestato in un filone che rinvia diret-
tamente alla sola lettura da parte degli Spirituali del
messaggio di Francesco stesso3. La fonte del discorso

1
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
15.
2
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
15.
3
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
16: gli editori critici rinviano allIntentio Regulae, il cui testo
in L. LEMMENS, Documenta Antiqua Franciscana, pars I, Qua-

135
frate Leone, testimonianza diretta e spesso agitata dalla
sensibilit degli Spirituali contro le presunte distorsioni
operare da chi volle clericalizzare lOrdine minoritico,
ossia san Bonaventura e i suoi partigiani. Clareno ripe-
te qui un discorso che giunger sino al suo contempo-
raneo Ubertino da Casale, anche lui in rotta con il po-
tere della Sede apostolica e con tanti suoi confratelli,
almeno sino a quando, differenziandosi alquanto dalla
scelta di vita di Clareno, Ubertino sceglier la via della
fuoriuscita dallOrdine dei frati minori. In quellocca-
sione Francesco disse che lOrdine e la vita dei frati
minori assomigliano a un piccolo gregge, che il Figlio
di Dio, richiese al suo Padre celeste. Nel formulare la
sua richiesta al Padre, il Figlio sottoline di volere una
nuova e umile comunit, tale da essere dissimile per
umilt e povert da tutte quelle che lhanno preceduta,
e che fosse contenta di possedere solo Ges. E il Padre
glielo concesse pienamente e senza sfumature. Sempre
Francesco che Dio volle e rivel a lui che i frati si
chiamassero minori, perch questo indica chi pove-
ro e umile, secondo il desiderio che il Figlio espresse
al Padre suo. In questo genere di testi apologetici, che
evocano passi evangelici come Mt. 25, 40, Francesco

racchi 1901, 83-99. Si tratta di una raccolta che ha conosciuto


una sostanziosa circolazione e che rientra in quelle raccolte di
parole di san Francesco che emanano dalla famiglia pi radica-
le degli Spirituali - per la quale lo Speculum perfectionis un
testo simbolico, se ne veda il c. 26 -, contraria alla clericalizza-
zione dellOrdine ed allautorit della Legenda maior redatta
dal Ministro Generale dellOrdine san Bonaventura.

136
si mostra consapevole di come Dio alludesse a tutti i
poveri in spirito, ma in modo particolare predicesse
che sarebbe venuta nella sua Chiesa la schiera dei fra-
telli minori.
Lestensore della fonte apologetica pu quindi con-
siderare che perci come fu rivelato a Francesco che il
suo dovesse chiamarsi Ordine dei frati minori, cos fe-
ce scrivere nella prima Regola, che egli port a papa
Innocenzo III, il quale lapprov e la concesse pubbli-
camente.

Clareno cerca di ritrovare un fondamento nella tra-


dizione cattolica che cortocircuiti il Magistero di Gio-
vanni XXII, il quale in nome della scienza giuridica
dominante rifiuta la pretesa dei francescani di usare le
cose senza avere alcun diritto su di esse, e in nome
dellobbedienza rigorosa ai vescovi ed al papa rifiuta
quelle che ai suoi occhi sono le intemperanze degli
Spirituali, i quali pretendono di ispirarsi direttamente e
senza mediazioni formali ai Vangeli, mentre per Gio-
vanni XXII imitano pericolosamente i tanti movimenti
ereticali sociali che pullulano a partire dalla fine del
XII secolo. La tensione escatologica di Clareno come
soffocata dallatteggiamento canonistico che sempre
riconduce allordine pubblico le manifestazioni di vita
allinterno della Chiesa. Egli connota cos nel capitolo
12 del suo commento alla Regola il profetismo olivia-
no, percepito come gioachimita, lanciato verso una
dimensione al di fuori dellOrdine minoritico, che o-
ramai non pu pi assicurare ai suoi occhi la realizza-

137
zione delle promesse di san Francesco 1; si tratta di un
approccio che giustifica la sua marginalit nel mondo
latino, in rotta con la netta separazione tra profezia e
descrizione dei fatti storici, ma che non destava nessu-
na preoccupazione in un mondo greco, per di pi lega-
ta alla vocazione eremitica monastica, e su territori go-
vernati da sovrani con forti simpatie millenaristiche,
quella terra di Calabria dove Clareno trova compren-
sione per le sue paure verso la deformazione prodotta
dallimpatto della teologia politica cattolica sul mes-
saggio di san Francesco2. Questi elementi spingono
Potest a rinvenire i precedenti dellevangelismo fran-
cescano nella Chiesa orientale 3, senza che questo di-
venga per lui un tema dominante, ma che nella nostra
prospettiva di ricognizione di una geo-cultura attraver-
so la spia della spiritualit francescana acquista uno
spessore primario. In Clareno non ritroviamo solo la
scelta intellettuale di rifarsi alla patristica greca a pre-
ferenza di altre fonti ed altre prospettive 4, levocazione

1
G. L. POTEST, Angelo Clareno, p. 162.
2
Annota la von Auw in ANGELI CLARENI, Opera I. Epistole, p.
LXXIX: la Grce a t dailleurs un refuge pour les proscrits
religieux de tout genre au moyen ge. Au XVe sicle, une vri-
table glise de fraticelles y tait constitue et envoyait des mis-
sionaires en Italie. Cf. L. OLIGER, Documenta inedita ad hi-
storiam fraticellorum spectantia, in Archivum Franciscanum
Historicum, 6 (1913), pp. 515 -530, alle pp. 529-30.
3
G. L. POTEST, Angelo Clareno, pp. 163-167.
4
Per definire il monaco, ricorre solo a padri greci - ANGELO
CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, pp. 31-32 -
dopo avere affermato nella pagina precedente che la definizio-

138
della tradizione orientale resa vivida ed oculare -
potremmo dire - quando evoca i luoghi stessi del mo-
nachesimo1. Questo legame ancora pi sottolineato
dallo studioso francese Gribomont, che ne sottolinea la
profonda conoscenza delle letterature greca 2, e che
chiude la sua ampia analisi del radicamento nella Patri-
stica greca dellargomentario di Clareno con lafferma-
zione che per lui Basile est un alter Franciscus. Ma
anche un lettore che non sia immerso nellerudizione
degli studiosi che ho citato nota subito qualcosa di par-
ticolare nellarmamentario concettuale di Clareno, una
presenza di riferimenti ai padri della chiesa greci che
non si ritrova in nessun altro commentatore della Re-
gola francescana. Per dare un esempio, quando esami-

ne del monaco data dai padri conviene perfettamente ai frati


minori del suo tempo - ANGELO CLARENO, Expositio Regulae
Fratrum Minorum, p. 30. La distinzione tra clero secolare e
uomini di religione, tema dibattuto nel XIII secolo e fonte di
dispute anche astiose tra sacerdoti parrocchiali e frati mendi-
canti, viene fatto risalire da Clareno sino a san Basilio, quasi
non ci fosse nulla da aggiungere alle sue analisi nel contesto
tardo-antico - ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum
Minorum, p. 154.
1
Penso per esempio al passaggio in ANGELO CLARENO, Expo-
sitio Regulae Fratrum Minorum, p. 27.
2
J. GRIBOMONT, LExpositio dAnge Clareno sur la Rgle des
frres mineurs et la tradition monastique primitive, in G.
CARADAROPOLI, M. CONTI, a cura di, Lettura delle fonti fran-
cescane attraverso i secoli: il 1400, Roma 1981, pp. 389-424,
p. 419. Si tratta dellapproccio condiviso pure dalla biografa di
Clareno, Lydia VON AUW, Angelo Clareno et les Spirituels ita-
liens, Roma 1979, p. 245.

139
na il cap. 2 della Regola, e commenta la povert del-
labito, la giudica in consonanza con la tradizione dei
padri1, una considerazione che altri commentatori fran-
cescani non formulano, quasi non fosse pertinente.
Oppure su un altro piano, quando cita la celebre decre-
tale pseudoisidoriana Dilectissimis, quella che venne
raccolta nel Decretum di Graziano, C. 12, q. 1, c. 2, e
che venne usata ampiamente dai frati francescani per
mostrare che solo dopo il peccato originale vennero nel
mondo i concetti di mio e di tuo, ossia la divisione
delle cose per possesso, ebbene in questo caso Clareno
non si rif alla ricezione di questo testo in una raccolta
normativa. Preferisce dettagliarne la collocazione nel-
lopera di Isidoro Mercatore, lo Pseudo-Isidoro, raccol-
ta oggi nella Patrologia Latina 130, e la indica come la
quarta epistola di papa Clemente. Poco importa ler-
rore materiale - si tratta della quinta epistola attribuita
a papa Clemente2 -, Clareno mostra di volere dettaglia-
re la fonte dei suoi riferimenti, ma senza passare per le
raccolte di diritto canonico che sono invece ampiamen-
te utilizzate da tanti suoi confratelli. Un poco cita alla
lettera, poi parafrasa il testo3, e si d il caso che in que-
sto testo ci sia un riferimento implicito a Socrate, indi-

1
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, p.
63.
2
Si trova questo testo dello Pseudo-Clemente nella PL 130, 57,
oppure nella PG 1, 505 (qui come testo direttamente e falsa-
mente attribuito al suo supposto autore).
3
ANGELO CLARENO, Expositio Regulae Fratrum Minorum, pp.
134-135.

140
cato come greco assai sapiente, che nella Repubblica
di Platone sostiene che tra persone che sono amici (nel
senso greco della philia) tutto deve essere in comune -
ma Clareno omette il riferimento alla comunanza dei
coniugi, che pure c nel testo della pseudo-clemen-
tina. Non certo la spiritualit cristiano-orientale che
qui in gioco, ma riportare il riferimento platonico alla
comunanza dei beni mi pare metta in gioco lamore di
Clareno per le lettere classiche. Sicuramente questo ri-
ferimento platonico non funzionale alla difesa della
povert francescana.

Non tanto san Basilio di Cesarea ad avere massic-


ciamente influenzato massicciamente i frati minori,
quanto il fatto che la sua influenza profonda e puntu-
ale in frati minori che scelgono di entrare in dissidio
con lapproccio dominante latino, e trovano conforto
alla loro scelta in un mondo latino-greco che vede in
loro non tanto un dissidio ecclesiastico contemporaneo
quanto un ritorno alle origini del monachesimo. Il caso
esemplare quello di Clareno, suo traduttore: per le
sue fatiche di traduzioni dal greco, specie di san Basi-
lio, il rinvio al manoscritto conservato a Subiaco, S.
Scolastica 227. Il nostro autore stesso parla esplicita-
mente con commozione della sua attivit di traduttore
basiliano nella Lettera 42: tradusse anche Gregorio di
Nazianzio e almeno in parte Dionigi lAeropagita1.
Gribomont osserva che Clareno era attratto da quello
stile di vita descritto da Climmaco come modello per

1
G. L. POTEST, Angelo Clareno, pp. 315-323.

141
la dissidenza francescana 1. La vita eremitica, percepita
come una forma di invito-punizione-reclusione nel
mondo latino e certamente cos utilizzata nei confronti
dei francescani dissidenti, invece ancora rivestita di
tutta la sua nobilt in una geo-cultura aperta alla tradi-
zione patristica greca. Perarnau ne delinea le caratteri-
stiche divenute rapidamente marginali, se non aperta-
mente assimilate alla punizione, nel movimento fran-
cescano delleremitismo, sebbene nei suoi scritti Fran-
cesco dAssisi ne ammettesse la pratica: Herde sottoli-
nea non tanto la diffidenza della concezione dominante
del papato verso il fenomeno eremitico, quanto losti-
lit della famiglia conventuale francescana verso i con-
fratelli che esercitavano tale opzione 2.

E su questa falsariga che vorrei proporre lesisten-


za di una manifestazione mediterranea dellideale di
vita religiosa francescano, tale da produrre prossimit

1
Un altro testo importante dello stesso autore J. GRIBOMONT,
La Scala Paradisi, Jean de Rathou et Ange Clareno, in Stu-
dia Monastica, 2 (1960), pp. 345-358, p. 356: nel testo a stam-
pa della Patrologia Greca 88, allopera di Giovanni Climmaco
seguono degli Scholia di autore ignoto, che non Giovanni di
Raithu. Potrebbero essere del traduttore in latino, ossia di An-
gelo Clareno, il cui testo stato poi arricchito dal commento di
Dionigi il Certosino.
2
E utile larticolo di J. PERARNAU, Francescanesimo ed ere-
mitismo nellarea catalana, in Eremitismo nel francescanesimo
medievale, pp. 165-185; altrettanto vale per P. HERDE, Celesti-
no V e Bonifacio VIII di fronte alleremitismo francescano, in
Eremitismo nel francescanesimo medievale, p. 127.

142
ed affinit con altre geo-culture mediterranee che non
abbracciano lideale di vita religiosa francescano, an-
che se il legame dogmatico profondo lega questa mani-
festazione mediterranea alle manifestazioni non-
mediterranee di quellideale di vita. Si pu fare riferi-
mento a questo stile che certo agli occhi di uno Spiri-
tuale appare lassista citando le Determinationes quae-
stionum circa Regulam Fratrum Minorum, tradizio-
nalmente attribuite a san Bonaventura 1 e tradizional-
mente fonte dellaccusa nei suoi confronti di avere un
atteggiamento formalistico nei confronti dellappli-
cazione della regola di vita francescana, ossia di farsi
velo della legalit giuridica per darne una lettura snatu-
rante sul piano del messaggio sostanziale. In effetti, in
questo insieme di chiarimenti intorno alla regola fran-
cescana si possono individuare parecchie argomenta-
zioni che sembrano pi furbizie volpine che non spiri-
tualit sincera: mi pare gustosa per un polemista la di-
scussione in cui lautore spiega come il frate minore
debba preferire la compagnia dei ricchi a quella dei
poveri, anche se i primi non sono migliori dei secondi2,
cosa che potrebbe fare sorridere amaro; oppure, con
pi moderazione, laccorata perorazione in favore del
fatto che i frati debbano avere abitazioni grandi e spa-
ziose3, o frequentare la mensa dei ricchi a preferenza di

1
Sono apparse nel tomo VIII dellOpera omnia edita dai Frati
di Quaracchi.
2
Determinationes, I, q. 23.
3
Determinationes, I, q. 6.

143
quella dei poveri1. Qualunque sia la propria reazione a
questo tipo di argomenti, certo non rientrano nella pro-
spettiva radicale della povert evangelica propugnata
dagli Spirituali; a dire il vero, sono pure in contrasto
con altre posizioni di san Bonaventura, che se non fu
tenero verso la dissidenza allinterno dellOrdine, non
peror mai in favore del lassismo e non pratic mai la
via del pragmatismo politico tipica dellermeneutica
formalistica. Una polemica sorta a proposito della pa-
ternit del commentario principale alla Regola france-
scana usualmente attribuito a san Bonaventura ci soc-
corre per situare il contesto geo-culturale di questo
formalismo ermeneutico che estraneo allanima me-
diterranea del francescanesimo: Ignatius Brady ritenne
che anche le Determinationes quaestionum circa Regu-
lam Fratrum Minorum non fossero di san Bonaventu-
ra, e seppure senza entrare in una argomentazione ana-
litica osserva che il vocabolario latino utilizzato ri-
manda ad unarea geografica tedesca, per di pi non
del XIII secolo - momento storico della vita di san Bo-
naventura -, bens del XIV secolo2. Ecco un testo che

1
Determinationes, I, q. 22.
2
I. BRADY, The Writings of Saint Bonaventure regarding the
Franciscan Order, in A. POMPEI, a cura di, San Bonaventura
Maestro di vita Francescana e di sapienza Cristiana, I, Roma
1976, pp. 89-112, a p. 107. Per esempio, vi appare il vocabolo
plebanus, p. I, q. 2, che non viene mai utilizzato da san Bona-
ventura, che dice invece sacerdos parochialis in Commentaria
in quatuor libros Sententiarum, IV, d. 17, p. 3, a. 1, q. 2.

144
si dota di grande autorit, attribuendosi a san Bonaven-
tura come mostra di credere san Giovanni da Capestra-
no (che opera in area germanica e slava nella prima
met del XV secolo), ed esprime un francescanesimo
settentrionale divergente da quello mediterraneo. In
questopera vi sono infatti affermazioni che un rigori-
sta troverebbe lassiste: ne abbiamo gi visto qualche
esempio, ma il cosiddetto lassista si definirebbe piutto-
sto un pragmatista, mentre pi che di cosiddetti inter-
locutori rigoristi egli parlerebbe di portatori di un di-
scorso integralista. Sono due atteggiamenti dellanimo
umano che si manifestano nella storia delle divisioni
allinterno della rappresentazione consapevole delli-
dentit del frate minore, e che si saldano anche su una
distinzione geografica. Questa distinzione tra un fran-
cescanesimo di tipo pi settentrionale e di un france-
scanesimo meridiano non pretende nessuna rigidit di
sorta: essa ha senso solo nel fatto che si pu ritrovare
una nota dominante nel francescanesimo meridiano
che non quella che si ritrova in quello non-meridiano,
anche se poi vero che di fatto in ogni contesto geo-
grafico si possono ritrovare le varie anime del france-
scanesimo. Nessun determinismo alla Montesquieu,
quindi, ma certo la consapevolezza che la dislocazione
dei vari pensatori francescani in un contesto di forti
scontri identitari manifesta una pluralit di geo-culture,
e la geo-cultura meridiana a cavallo tra XIII e XIV se-
colo, con la sua compenetrazione di elementi latini e
greci nel contesto cristiano meglio si presta ad acco-

145
gliere lanima Spirituale, rigorista e anti-lassista del
francescanesimo.

Reso in maniera esplicita, lo schema ruota intorno


alla coppia anomia e normativismo, che se esasperata
produce una rottura didentit tra chi si riconosce nei
due capi opposti, e intorno allidentit religiosa del
francescano, unidentit non-naturale (poich si entra
nella vita religiosa per un atto di volont), unidentit
che lega indissolubilmente ogni manifestazione cultu-
rale di questa identit, a meno che la fedelt alla forma
di manifestazione non prevalga sulladesione alliden-
tit stessa, ed allora il francescano cessa di essere un
francescano. A me pare che questo schema - con un
andamento indubbiamente definitorio e stipulativo - sia
persuasivo nella misura in cui permette di cogliere la
specificit della presenza di francescani nel Sud
dEuropa, con forti manifestazioni in Sicilia ed in Ca-
labria. In questa direzione mi pare pertinente unos-
servazione di Felice Tocco che allinterno del movi-
mento laicale religioso che scuote il XIII e il XIV se-
colo distingue tra due famiglie di beghini 1: la prima
quella dei beghini della povert (con elementi di bizo-
chi, a tendenza panteista), in maggioranza terziari fran-
cescani, che si auto-identificavano in genere come fra-
telli poveri della penitenza; la seconda quella dei be-

1
F. TOCCO, Studii Francescani, Napoli 1909, pp. 227, 232.

146
gardi, o fratelli del Libero Spirito1, decisamente e radi-
calmente panteisti - non si tratta qui di dottrine sofisti-
cate, bens di manifestazione di una certa piet popola-
re -2, e soprattutto perfettisti anomisti, condannati da
papa Clemente V nel concilio di Vienne nel 1311 3.

1
R. E. LERNER, Heresy of the Free Spirit in the Later Middle
Ages, Berkeley 1972, poi rivista ed apparsa a Notre Dame
1991.
2
Rinvio a A. JUNDT, Histoire du pantisme populaire au mo-
yen ge et au 16e sicle, Paris 1875, che a p. 48 rinvia ai nomi
di David de Dinant e Amaury de Bennes, noti per essere stati
condannati successivamente a livello provinciale nel 1210 e poi
a livello pontificio nel 1215 nel concilio Laterano IV.
3
Il testo nella raccolta di decretali Clementinas, 5, 3 De hae-
reticis, 3 Ad nostrum. La Glossa ordinaria a questa raccolta
normativa, quando papa Clemente condanna la tesi dellassunta
impeccabilit secondo i begardi che permette loro di fare qua-
lunque cosa senza commettere peccato, precisa v. Impeccabilis,
che se lo si considera de potentia absoluta questa tesi sarebbe
cattolica: lo gnosticismo dei begardi lo pone invece secundum
legem communem, e quando rimprovera loro di rifiutare di ob-
bedire alle istituzioni, la Glossa v. obedientiae, commenta che
tale condotta paganitatem incurrit. Ancora, alla v. Septimo,
quod mulieris osculum, rifiuta lidea che ci cui la natura non
inclina peccato mortale, concesso che lamplesso non sia na-
turale (la Glossa ha gi precisato che senza intenzione libidino-
sa non peccato). Altrimenti, credere nella Trinit, oppure di-
giunare, sarebbe peccato mortale, il che insano. Si oppone qui
ai begardi il normativismo rispetto al loro anomismo. La que-
stione delle beghine era gi stata affrontata dallo stesso papa in
un testo che conflu in Clementinas, 3, 11 De religiosis domi-
bus, 1 Cum de quibusdam, dove condanna non gi lo stile di
vita penitenziale, bens la creazione spontanea di comunit pe-

147
Dopo avere ricordato che il carmelitano Guido Terreni
una sorta di braccio pensante nella lotta contro ogni
disobbedienza condotta da Giovanni XXII, Tocco con-
sidera che mentre il laicato a vocazione religiosa dei
beghini si consolida nel meridione di Spagna, Francia,
Italia, quello a pi forte vocazione panteistica e anomi-
ca si radica nella Francia del Nord, in Belgio e in Ger-
mania. Mentre permane la divisione tra anomisti e nor-
mativisti, vediamo qui porsi una distinzione allinterno
dei movimenti laicali di rinnovamento spirituale, con
tendenze centrifughe rispetto al deposito della fede cat-
tolico pi forti nellEuropa settentrionale che nellarea
mediterranea, dove la disobbedienza politica si coniu-
ga anche ad una stretta sottomissione dottrinale, come
nel caso di Angelo Clareno che di fatto disapprov an-
che le pi minute manifestazioni di contestazione non-
meramente verbale della gerarchia ecclesiastica. Lob-
bedienza di Clareno alla Chiesa permette di concedere
a dei suoi stretti compagni come Giovanni della Valle
e Paolo dei Trinici unindulgenza di trattamento che
era invece problematica per Spirituali precedenti come
fu il caso di frate Liberato, in precedenza Pietro da

nitenziali fisicamente locate; Giovanni XXII lo affronter in


Extravagantes, 7 de religiosis domibus, 1 Sancta Romana. Una
glossa a v. Insula Siciliensi, precisa che la Sicilia faceva parte
del patrimonio del beato Pietro: Giovanni XXII contesta il fatto
che se anche vi fosse stato un privilegio da parte di Celestino
V, lui non possa revocarlo, ed in ogni caso non risulta che Bo-
nifacio VIII lo abbia approvato: la Glossa, v. non morentur, in
riferimento ai rapporti con i francescani precisa che Giovanni
XXII non attacca la veram regulam ordinis.

148
Macerata, morto nel 1307 in dissenso con Roma. Il
punto che chi riconosceva la successione apostolica
era dentro alla Chiesa, gli altri fraticelli no1.

Se si pu mostrare che si danno tratti peculiari del


francescanesimo meridionale - una natura marginale
rispetto alla forma dominante della vita religiosa fran-
cescana, fatta di contestazione dellautorit centrale
romana e di nessi culturali non-latini con un mondo
greco-cristiano assai pi vivido nel meridione dItalia,
una marginalit dellelemento giuridico-canonico nel
francescanesimo meridionale -, allora diviene sensato
introdurre tale distinzione allinterno della pi generale
distinzione di un pensiero meridiano rispetto ad uno
non-meridiano - idea cara a Mario Alcaro, alle cui idee
direttrici si ispira la collana che ospita questo mio
scritto - e si apre una stimolante prospettiva. Dato che
questi francescani meridiani non sono tanto frati mi-

1
F. TOCCO, Studii Francescani, p. 292: per alcuni documenti
che riguardano questo movimento che si identifica in un ap-
proccio simile a quello degli Spirituali, ma associato ad una
disobbedienza verso la Sede apostolica, rinvio alle edizioni di
Livarius Oliger, che ha pubblicato il trattato di Andrea Ricci
contro i fraticelli, Documenta inedita ad historiam fraticello-
rum spectantia, in Archiviun Franciscanum Historicum, 3
(1910), pp. 253-272, pp. 505-529, pp. 680-699; larticolo pro-
segue nelle annate seguenti, 4 (1911), pp. 3-23, pp. 688-712, e
in questultima contiene unapologia in volgare dei fraticelli
databile fra il 1379 e il 1382, a Perugia. Larticolo si completa
con documenti vari riprodotti nelle successive annate 5 (1912)
e 6 (1913).

149
nori siciliani o calabresi quanto dei frati o dei laici vi-
cini al mondo francescano che si trovano pi a loro a-
gio - e se del caso cercano rifugio - nella geo-cultura
meridionale, si apre lindagine sulle condizioni non gi
meramente politiche - inevitabilmente contingenti nel-
la loro caducit di lotta fra partigiani - bens culturali
che hanno spinto coloro che esprimevano unanima
anomica e non-dominante dellideale di vita francesca-
no a trovare conforto nelle terre di Sicilia e di Calabria.
Il mio uno spunto ed una suggestione per un progetto
di rilettura con nuove lenti di ci che gi conosciamo,
ed isolando alcuni concetti sto cercando di mostrare le
condizioni, tutte essenzialmente legate alla ben pi for-
te presenza dellinfluenza greco-cristiana tra Sicilia e
Calabria rispetto ad un Nord Europa completamente
latinizzata dalla teologia politica carolingia, che hanno
fornito la manifestazione geografica di unanima cultu-
rale del francescanesimo. Ogni nuova evidenza docu-
mentale fornirebbe fieno in cascina a questa prospetti-
va, ma mi pare che vi sia gi una quantit non trascu-
rabile di fieno.

150
IX
SIMPATIE MERIDIANE
VERSO LA DISSIDENZA

Uno studio fondamentale per comprendere la gene-


rosa accoglienza allo spirito del francescanesimo pi
vicino allesplosione escatologica quello di Pou y
Mart1, che seppure si attardi sulla situazione catalana
nello stesso tempo mostra efficacemente gli intrecci
con la situazione di Sicilia e Calabria, con un legame
assicurato innanzitutto dai sovrani regnanti, poi dal-
laffinit di approccio religioso, ma anche da annota-
zioni come quella che riguarda Nicola di Calabria,
compagno di Angelo Clareno nel suo periodo meridia-
no sino alla morte nel nord della Calabria. Ebbene,
questo Nicola nel 1352 predica a Barcellona su temi
escatologici e pneumatologici2, mostrando quindi la
capacit di collante di trasmissione culturale di temati-
che escatologiche e sociali svolto dalla casa regnante
aragonese: molti dissidenti francescani della Francia
meridionale, tra Beziers e Narbonne, in unarea cultu-
ralmente omogenea alla Catalogna, si ricongiunsero ai

1
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes: (siglos XIII-XV), Vich 1930.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 32.

151
fraticelli in Puglia grazie alla protezione di Filippo di
Maiorca e di re Roberto1. Ampio spazio dedicato ad
Arnaldo di Villanova, figura carismatica di laico reli-
gioso e celebre medico alchimista, che funge da filtro
diplomatico dei frati Spirituali con i governanti dei ter-
ritori di Sicilia e Calabria 2, compreso Federico dAra-
gona, re di Sicilia3. Pou y Mart si riferisce ad un do-
cumento episcopale, emanante da un concilio tenuto a
Tarragona nel febbraio 1317 4, che mira a contenere la
eventuale pastorale dei seguaci di Arnoldo 5, illecita in

1
Cos racconta un anonimo pubblicato da F. TOCCO, Studii
Francescani, p. 520, tratto dal codice Magliabechiano XXXIV,
76, 111b. In questa raccolta del calabrese Tocco si vedano in
particolare Due documenti intorno ai beghini dItalia, pp. 227-
238 (1888); I fraticelli o poveri eremiti di Celestino, secondo
nuovi documenti, pp. 239-310 (1895); Leresia dei fraticelli e
una lettera inedita del beato Giovanni delle Celle, pp. 406-546
(1906).
2
Su Arnaldo in Sicilia, si veda anche R. MANSELLI, Spirituali e
beghini in Provenza, Roma 1959, pp. 55-80.
3
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, c. 2, Arnaldo de Vilanova y Fradrque, rey de Sicilia, pp.
34-110.
4
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, pp. 100-101.
5
Alcuni passi sono evocati in J. M. POU Y MART, Visionarios,
beguinos y fraticelos catalanes, pp. 42, 47-48: non ex timore
legalis oppressionis aut miracolorum evidentia, quae sensibi-
lem dat notitiam veritatis divine et allicit vehementer ad cultum
Dei (nam tunc propter vicinitatem Antichristi cessabunt mira-
cula), sed amor ad vitam spiritualem et devotio ad Christum
solum ex puritate vel sinceritate et interiori gratia Spiritus San-

152
quanto non disciplinata dai vescovi territoriali, e dot-
trinalmente pericolosa a partire dallo stile escatologico
della Expositio che riprende la fattualit tipica degli
scritti apocalittici post-Gioacchino. Arnaldo fu capo di
unambasciata mandatata da Giacomo II e Federico III
tra fine 1309 ed inizio 1310: dopo avere avuto in cura
Carlo II dAngi, Arnaldo lo convinse a scrivere al
provinciale dei Minori Gonzales di Balboa lamentando
le vessazioni subite dagli Spirituali. Sta di fatto che
Clemente V convoc i capi degli Spirituali nellaprile
del 1310 per ascoltare le loro ragioni (Bullarium Fran-
ciscanum, V, n. 158, pp. 65-68). Arnaldo conosceva
personalmente molti cardinali, ma questo non gli evit
di cadere vittima di una abile opera di disinformazione
che lo fece cadere in disgrazia presso Giacomo II, che
mirava al controllo di Sardegna e Corsica, ma non al
rinnovamento cristiano, come era invece per il fratello
Federico III. Nel 1311 Arnaldo morir in Sicilia, ele-
mento fondamentale del tassello geo-culturale che cer-
chiamo di tratteggiare.

cti habebunt ortum, nec etiam ex doctorum sapientiali facun-


dia. Lopera oggi in edizione critica in ARNAU DE VILA-
NOVA, Opera omnia scripta Spiritualia, I, Expositio super Apo-
calypsim, Barcelona 1971: per una completa rassegna biblio-
grafica, si veda P. EVANGELISTI, I Francescani e la costruzione
di uno Stato, Milano 2006, di cui si vedano anche sezioni come
Francesc Eiximensis e Matteo dAgrigento, protagonisti della
costruzione dellidentit catalano-aragonese, pp. 162-175.

153
Vi unoscillazione tra escatologia fatta pratica so-
ciale e volontarismo politico1, una dialettica che non
era atta a rassicurare giudici ecclesiastici preoccupati
soprattutto dellordine pubblico amministrato dallor-
ganizzazione gerarchica delle istituzioni: se sempre
possibile esasperare lelemento utopico di questa fami-
glia di pensatori, non bisogna dimenticare che lutopia
anche pesantemente normativa quando viene presa
sul serio e non anestetizzata come puro misticismo. Per
esempio, Paolo Evangelisti legge un passo del sermone
De paradiso di Matteo dAgrigento2, rappresentante
quattrocentesco delleredit escatologica degli Spiri-
tuali, in senso utopico la comunit caritativa e para-
disiaca del cives viene presentata come una patria dove
esiste ununica volont, ove vi la perfetta identifica-
zione tra ci che Dio vuole per se stesso e ci che que-
sti cives vogliono per la comunit3. Linfluenza della

1
R. MANSELLI, Arnaldo da Villanova e i papi del suo tempo
tra religione e politica, in Studi romani, 7 (1959), pp. 149-
161, poi raccolto in R. MANSELLI, Da Gioacchino da Fiore a
Cristoforo Colombo, p. 7, in cui si evoca il sopravvenuto anti-
tomismo di Arnaldo studiato da F. EHRLE, Arnaldo de Villano-
va ed i Thomatiste, in Gregorianum, 1 (1920), pp. 475-
501.
2
MATTEO DAGRIGENTO, Sermones varii, Roma 1960, p. 136.
3
P. EVANGELISTI, I Francescani e la costruzione di uno Stato,
p. 178. La lunga analisi di Evangelisti si chiude a p. 307, sotto-
lineando tra le tante cose come una comunit determinata da
una identit dogmatica non-cattolica (i musulmani, p. 254; i
giudei, pp. 258-260) non sia ammissibile nel progetto di utilit
sociale fondato sulla fiducia pubblica agitato da questi epigoni

154
civilt urbana oramai massicciamente diffusa, in cui il
mendicante un pericolo per lordine pubblico, diffi-
cilmente compatibile con una nostalgia del Francesco
dipinto dagli Spirituali che prescrive la mendicit a
preferenza del lavoro, manuale o intellettuale. A me
non pare che il testo del predicatore siciliano sia de-
scrittivo - e mistico-utopico, bens utopico-prescrittivo:
se luomo volesse ci che Dio vuole lui voglia, allora
tutto sarebbe realizzabile 1. Ma questo non di per s
gnosticismo politico, ossia rifiuto del ruolo di media-
zione della Sede apostolica, la tesi di santAnselmo
sulla caduta di Lucifero applicata al contesto sociale:
Matteo afferma solo che la comunit pu tutto se e so-
lo se obbedisce in ogni istante a Dio.

quattrocenteschi del movimento Spirituale. Va riconosciuto che


un elemento utopico si presenta in Eximensis, peraltro a mio
parere contrario alla sua stessa identit dogmatica francescana,
se, come nota Evangelisti a p. 257, il viure ociosament sia un
danno alla cosa pblica, tanto da preconizzare una segregazio-
ne urbana per gli oziosi.
Per il riformatore francescano Eximensis, si veda anche J. M.
POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catalanes, c.
11, Francisco Eximensis, Patriarca de Jerusaln, pp. 397-415,
con lannotazione di un suo penchant per lalchimia (p. 414),
punto che lo avvicina alluniverso mentale di Arnaldo di Villa-
nova ed in generale del sapere medico medievale che circolava
nella geo-cultura dellItalia meridionale.
1
MATTEO DAGRIGENTO, Sermones varii, p. 136: nam sicut
Deo potest quod vult se ipsum, ita poterunt illi quod volent
quod ille ita volet, quid illi volent et quid ille volle non poterint
non esse.

155
In ogni caso, lescatologia arnaldiana si associa ad
una afflato di riforma sociale 1, come mostra un suo te-
sto di polemica contro il lusso sociale che sfocia in
unapologia della povert2: lelemento dellillumina-
zione personale presente in lui, dato che afferma di
avere composto per ispirazione divina la sua Philoso-
phia catholica, in una lettera del 29 agosto 1302 3. In
questo documento vi sono anche attacchi impliciti, ma
forti, contro papa Bonifacio VIII per la sua azione con-
tro i clareniani4, rafforzando la comunanza spirituale
con Angelo Clareno, anche se questultimo si trattenne
sempre dal ricoprire un ruolo carismatico nella sfera
dellazione politica concreta, e preferisse il silenzio al-
la ribellione contro la Sede apostolica. Linfluenza po-
litica di Arnaldo di Villanova, invece, si esercitava an-
che attraverso il suo sapere esoterico di interpretazione

1
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 55.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, pp. 55-56.
3
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 61: disponiamo di unedizione critica a cura di J. Perar-
nau di questo lavoro, Ars Catholicae Philosophiae sive Philo-
sophia Catholica et Divina Tradens Artem Annihilandi Versu-
tias Maximi Antichristi, in Arxiu de Textos Catalana Antics,
10 (1991), pp. 57-162.
4
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 62: ex quibus patet quam efficaciter illus misterium
iniquitatis jam operetur quod secundum Apostolum ad Thessa-
lonicenses aditum preparat maximo Antichristo (Tess., II, 7).

156
dei sogni, che esercitava alla corte di Federico III 1: Pou
y Mart dedica ampio spazio al ruolo che i regnanti a-
ragonesi ricoprono nella difesa degli Spirituali contro
lo sguardo disapprovante di Giovanni XXII 2, negli an-
ni di quella disputa sulla povert francescana che op-
pose la Sede apostolica a due anime dissidenti del mo-
vimento francescana, quella pi istituzionale, tra cui il
filosofo Guglielmo di Ockham, che difendeva una
nuova concezione del diritto soggettivo, e quella spiri-
tuale che difendeva la possibilit concreta di vivere
poveri come Cristo e gli Apostoli senza nessun com-
promesso con il mondo sociale che li circondava. Tut-
tavia, nella percezione dei protagonisti meridionali
dellepoca la distinzione tra fraticelli de opinione e fra-
ticelli de paupere vita non rilevante, dato che il pre-
teso soffocamento dellintenzione di Francesco da par-
te della Sede apostolica appare dominante. Per la pre-
senza di Spirituali radicali, ossia i fraticelli, in Calabria,
padre Russo fornisce numerosi elementi: tuttavia, egli
mosso come sempre da intenti apologetici che lo con-
ducono a negare nei primi decenni di vita dellOrdine

1
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 67, pp. 68-84: il sogno di Giacomo II e del padre Fede-
rico III sono letti secondo uno schema riportato in latino ed in
catalano, Interpretatio (1308) e Rahonament (1309).
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, cap. 3, pp. 111-153. Per queste vicende, si veda la Chroni-
ca XXIV Generalium, un testo che si voleva essere dovuto allo
stesso Arnaldo di Villanova per la sua esplicita simpatia verso
gli Spirituali, edita in Analecta Franciscana III, alle pp. 508-
510.

157
la presenza di Spirituali in Calabria per scopi puramen-
te retorici di purezza delleredit gioachimita senza
contaminazioni rispetto alla famiglia francescana con-
ventuale - anche se poi ne riconosce la presenza, ma
non indigeni, bens provenienti dal Nord - che poi
larea mediterranea un poco pi a Nord -, senza chie-
dersi come mai il movimento si trasferisse proprio in
Calabria e non altrove. Resta il fatto che il lavoro di
Russo contiene una serie di riferimenti storici e di in-
formazioni sui fraticelli calabresi (con una specificit:
non indaga i fraticelli in Calabria, ma solo quelli nati
in Calabria, un criterio fuorviante per chi voglia com-
prendere una geo-cultura) che rappresentano la pur
scarna testimonianza di una presenza discreta e ritirata,
che per sul piano delle manifestazioni culturali ha la-
sciato segni ben pi vistosi1. Si consideri che il re Ro-
berto di Sicilia intervenne nella consultazione indetta
da Giovanni XXII con un proprio testo2 in cui difende-
va lidea che Cristo e gli Apostoli non avessero posse-
duto nulla, n in proprio, n in comune, una posizione
irrazionale agli occhi del giurista Giovanni XXII: la
gran parte dei partecipanti alla consultazione erano
1
Si veda F. RUSSO, I fraticelli in Calabria nel secolo XIV. Fatti
e personaggi, in Miscellanea Francescana, 65 (1965), pp.
349-368, a p. 351, p. 352.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 130: il documento venne pubblicato con lezione incerta
prima da G. B. SIRAGUSA, Lingegno, il sapere e glintendi-
menti di Roberto dAngi, con nuovi documenti, Palermo-Tori-
no 1891, poi in parte da F. TOCCO, La quistione della povert,
Napoli 1910, p. 284 e ss.

158
cardinali, meno che mai laici pervasi di afflato mistico,
che non faceva certo difetto alla regina Sancia, sposa
di Roberto, re di Gerusalemme e di Sicilia, e madre di
Carlo duca di Calabria, la quale in una lettera del 15
marzo 1329 indirizzata da Napoli, sede della Corte, si
rivolge al capitolo generale dei frati riunito a Parigi per
trovare un successore al deposto Michele da Cesena,
ministro generale scomunicato da Giovanni XXII, in
cui ella esprime un afflato degno degli Spirituali, esa-
sperando il tema del fondamento puramente divino
della Regola francescana, senza mediazioni di legitti-
mazione normativa da parte della Sede apostolica, e
senza possibile intervento normativo della stessa Sede
apostolica sulla sua impalcatura, cosa che suonava ter-
ribilmente in controtendenza rispetto alla esaltazione
della pienezza del potere normativo del Papa 1. La regi-
na non apprezz quello che avvenne, ossia lelezione
di Geraldo Odoni, uomo colto ma, ai suoi occhi di par-
tigiana degli Spirituali, lassista in tema di povert. La
regina Sancia aveva scritto un memoriale a Giovanni
XXII difendendo la tesi della povert assoluta aposto-
lica, di cui abbiamo la risposta di Giovanni XXII 2, in
cui il pontefice ribadisce senza fronzoli la sua tesi e
riafferma il potere pontificio di revocare le decisioni di

1
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, pp. 131-132: talia regula fundata super tali fundamento,
scilicet Evangelio sancto, et signata talibus signis, scilicet pla-
gis Domini nostri Jesu Christi, impressis in persona dicti Patris
communis, nullus potuit nec potest nec poterit eam frangere.
2
Bullarium Franciscanum, V, n. 923, 10 agosto 1331, p. 504.

159
un suo qualunque predecessore, e per completare la
sua azione, evidentemente convito della sordit di San-
cia al suo pragmatismo politico, si premura di scrivere
anche a suo marito Roberto1, per raccomandargli di fa-
vorire lazione di Geraldo Odone sul territorio2. Ma
Sancia non demorde, e si rivolge il 18 aprile a Geraldo
Odoni, in occasione del capitolo di Perpignan del
1331, supplicandolo di non modificare il rigore della
povert, paragonando allo stesso livello lautorevolez-
za di Regola e Vangelo, ed affermando che il Ministro
Generale che volesse modificare la Regola sarebbe non
gi un pastore, bens un mercenario. E per completare
il tutto, in barba ad ogni prudenza politica, si autopro-
clama poi protettrice dellOrdine3: va osservato che a
Napoli due fraticelli influenzavano particolarmente
Sancia, Andrea di Galiano - collegato al processo con-
tro Andrea di Galiano, viene menzionato un certo frate
Roberto da Macchia, gi ministro provinciale della Ca-
labria, testimonianza del collegamento stretto fra i
francescani Spirituali intorno a Napoli ed in Calabria,
uniti anche dal collante di una dinastia regnante filo-
Spirituale e filo-fraticelli -4 e Pietro di Cadeneto, am-
bedue caduti sotto lattenzione giudiziaria di Giovanni
XXII. La presenza coeva di fraticelli in Calabria, ossia

1
Bullarium Franciscanum, V, n. 924, 19 agosto 1331, p. 504.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 133.
3
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 133-134.
4
F. RUSSO, I fraticelli in Calabria nel secolo XIV, pp. 362-363.

160
di Spirituali in rotta con lobbedienza a Roma, segna-
lata da una lettera datata 7 marzo 1327 e indirizzata al
provinciale Nicola da Reggio menziona il laico Rober-
to di Mileto, menzionato anche da padre Russo, e que-
sto laico ricevette due lettere da Clareno: il papa rac-
conta di un frate Tommaso, fraticello, che lievit men-
tre pregava in piedi con una gamba sulla tibia, accom-
pagnato per mano da Maria 1. La contesa giuridico-
politica si giocava intanto a Napoli: il fratello di San-
cia, lInfante Filippo di Maiorca, in un discorso tenuto
il 6 dicembre 1329 accusa Giovanni XXII di avere au-
torizzato un processo iniquo2. Questi scrive al padre re

1
F. EHRLE, Die Spiritualen, ihr Verhltniss zum Franciscane-
norder und zu den Fraticellen, in Archiv fr Litteratur und
Kirchengeschichte des Mittelalters, IV (1887), p. 64: per Ro-
berto di Mileto, si veda F. RUSSO, I fraticelli in Calabria nel
secolo XIV, pp. 364-366. Sugli stessi fatti, si veda anche F.
TOCCO, Studii francescani, pp. 290-291: i fatti sui miracoli cla-
reniani coinvolgono in un caso Nicola di Calabria, e sono in
Bullarium Franciscanum, III, Supplementum, Roma 1780, p.
16; questi voleva andare a rendere visita al sepolcro di san
Francesco, e senza parlare Clareno gli risponde, connotando la
terra calabrese di una speciale eredit francescana esclusiva di
altre geo-culture, di revertere ad cellam tuam et sta in pace
tua. Bene ibis in Assisium sed non modo, post mortem meam
ibis; et sic factum est. Simile lepisodio di Petruccio di Roc-
ca di Monte Dragone, che preoccupato di non potere riparare
un libro greco perch non dispone di un ago sufficientemente
piccolo, e Clareno ne legge il pensiero offrendogli conforto.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 136. Per il processo contro Andrea, Bullarium Franci-

161
Roberto per mettere un freno a queste manifestazioni
pubbliche a lui ostili, e si limita ad evocare la presenza
di uomini pestiferi da estirpare 1. Giovanni XXII aveva
gi deplorato il misticismo filo-spirituale di Filippo di
Maiorca2 in una lettera del 26 gennaio 1331 3, dopo a-
vere ricevuto una supplica 4 di questo protettore dei cla-
reniani che eccede in zelo le intenzioni dello stesso
Clareno. Infatti, dopo avere ribadito i topoi degli Spiri-
tuali di una Regola francescana concessa direttamente
da Dio e della necessit di non interpretarla in nessun
modo, Filippo cita il Testamento di Francesco, che non
ha valore normativo rispetto alla Regola, ma per gli
Spirituali vale quasi pi della Regola, ed evoca senza
fare il nome la fuoriuscita volontaria dallOrdine verso

scanum, VI, Roma 1902, appendix I, pp. 597-638: emerge il


suo rapporto sensibile con i regnanti, pp. 598, 609, 613.
1
Bullarium Franciscanum, V, n. 891, p. 486.
2
Su di lui J. M. VIDAL, Un ascte de sang royal: Philippe de
Majorque, in Revue de questions historiques, 44 (1910), pp.
361-403, e W. GOETZ, Knig Robert von Neapel. Seine Per-
snlichkeit und sein Verhaltnis und Humanismus, Tbingen
1910, specie p. 25 e ss. per il suo misticismo
3
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, p. 137.
4
Bullarium Franciscanum, V, n. 890, p. 490, e per la versione
in catalano J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fratice-
los catalanes, pp. 125-127: la supplica si chiude con queste pa-
role et sicut a Spiritu sancto est via perfectionis christianae
quam postulo, sic a spiritu maligno esse denegationem eius non
dubitant fidei catholicae vitam et genera extimentes. Si denega-
tur, ergo quid restat? Audient certe coeli, quae loquor, audiet et
terra verba oris meis.

162
i Cistercensi del frate minore Ubertino da Casale, dis-
sidente sino alle estreme conseguenze, polemizzando
direttamente con il Papa, che non si infuria solo per ra-
gioni diplomatiche, e certo lo considerava un poco
spostato di mente. In questo clima non vi potevano es-
sere che delle pessime relazioni della regina Sancia
con Geraldo Odoni1, tanto che la frustrazione di questa
di fronte allottusit del mondo la condusse alla morte
del marito nel 1343 a ritirarsi in esilio volontario nel
monastero di Santa Chiara sino alla morte avvenuta nel
luglio 13452. Con la sua morte, muore anche lillusione
di una religiosit che spinge lideale dellaltissima po-
vert nel cuore della deliberazione politica, ma non
cessa affatto lavventura culturale di un mondo cristia-
no greco-latino che affonda la sua specificit non tanto
nel chiliasmo dellagitazione sociale quanto in una vi-
sione radicale dellafflato religioso, capace di saldarsi
in una tradizione giudaico-cristiana3.

1
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, pp. 140-141.
2
J. M. POU Y MART, Visionarios, beguinos y fraticelos catala-
nes, pp. 143-144.
3
Mi pare fondamentale il gi citato studio di H. J. HAMES, Like
Angels on Jacobs Ladder, che mostra le connessioni dottrinali
profonde, e non meramente sociologiche, tra unanima del cri-
stianesimo e il giudaismo kabbalistico.

163
Indice dei nomi
(a cura di Matteo Scozia)

Abramo 77
Abulafia A. 82
Accrocca F. 25n
Acri A. 21n
Adamo di Perseigne 39
Adorisio M. A. 21n
Agamben G. 122, 129
Agostino dIppona, santo 97, 130
Agostino G. 16
Aimone P. 16
Alcaro M. 3, 9, 111n, 149
Alciati (o Alciato), Giovanni Andrea 104
Alvaro Pelagio 110
Amaury de Bennes 147n
Andenna G. 46-47
Andrea di Galiano 160
Angelo Carletti (beato) 11
Angelo Clareno 8-9, 25, 27, 69, 109-110, 112-115, 124-
128, 133-135, 138-142, 148, 151, 156
Anselmo dAosta, santo 121, 130, 155
Anticristo 14, 34-35, 82
Antonio da Padova, santo 43
Aristotele 89

165
Arnaldo da Villanova 18, 83, 154n

Barbi M. 67
Barlaam Calabro 89
Barthlemy D. 130n
Basile A. 61n
Basilio di Cesarea, san 126-127, 139n, 141
Benedetto Caietani 113
Berlin I. 67n, 83n
Berman H. 133n
Bernardo di Chiaravalle, san 126-127
Bertelli G. 45n
Bettetini M. 49, 51-52, 54n
Bloomfield M. 70n
Boccaccio, Giovanni 41n
Bohme J. 65
Bonaventura da Bagnoregio, san 31, 36, 68-69, 136, 143-
144
Bonifacio VIII, papa 18, 90, 111-113, 142n, 148n, 156
Brady I. 144
Brufani S. 26
Bufalo R. 6, 10, 179
Buonaiuti E. 31, 77-78
Burgarella F. 40n, 70n
Burr D. 31, 118-119

Cacciatore F. M. 111n
Caciotti A. 25n

166
Campano L. 21, 45
Caradaropoli G. 139n
Carlo II dAngi 153
Carlo Magno 48, 50, 53, 88, 129
Carlo, duca di Calabria 114, 159
Catone, Marco Porcio (il Censore) 58n
Celestino III, papa 60
Celestino V, papa 111-113, 142n, 147n, 152n
Charbonneau-Lassay L. 103n
Chazelle C. 50n
Chiara dAssisi, santa 163
Chiffoleau J. 93n
Cino da Pistoia 99
Clemente V, papa 140, 147, 153
Climmaco, Giovanni 141-142
Coda P. 24
Colombano, abate 44
Colonna, famiglia 113
Conti M. 139n
Corbin H. 66n, 77
Corrado da Offida 111
Corrado IV, di Hohenstaufen 41n
Courtois B. 131n
Cristo, Ges di Nazareth 8, 21, 29, 32, 36, 54, 69-72, 74,
76, 78-79, 88, 97, 126, 135-136, 157-158,
Cristoforo Colombo 19n, 30n, 32n, 43n, 64n, 67-68, 87n,
154n
Crocco A. 20n, 36n

167
Cuniberto F. 65n

DAgostino S.
DOnofrio G. 87-88
Dalena P. 18, 40n
Daniele, profeta 78
Dante Alighieri 14, 67-68, 87, 90-91
Davide, re dIsraele 77
David de Dinant 147n
De Rubeis G. 41n
Deghaye P. 55n, 107n
Delorme F. 121n
Devriendt J. 53n
Dionigi il Certosino 142n
Dionigi lAeropagita 141
Dito O. 41n
Doninelli A. 66n
Duby G. 92
Drer A. 97

Edipo 95
Ehrle F. 154n, 161n
Elia, profeta 78
Engels F. 80
Enrico di Ceva 114-115
Enrico di Susa 89
Enrico VI 46
Erdan A. 91n

168
Esposito R. 4
Eusebio di Cesarea 31, 33, 53, 129-130
Evangelisti P. 153-155

Federico dAragona 152


Federico II, di Hohenstaufen 40-41, 82
Federico III dAragona 114-115, 153, 157
Ferrari M.C. 49n
Filippo di Maiorca 152, 161-162
Fonseca C. D. 15, 18n, 40n, 46n
Fournier P. 17n, 20n, 22n, 34n, 36n, 40n
Francesc Eiximensis 153n
Francesco dAssisi 26, 43-44, 110, 112, 123, 135-136,
138, 142, 161n
Leone, frate dAssisi 136
Freeman A. 48n
Frugoni A. 25

Gabrieli E. 19-20
Gelasio I, papa 53
Gemma (madre di Gioacchino da Fiore) 13
Geraldo Odoni 159-160, 163
Gerardo da Borgo San Donnino 25, 81, 84
Ghisalberti A. 33n, 49n, 53n
Giacomo II, dAragona (il Giusto) 153, 157n
Gilson E. 90

169
Gioacchino da Fiore 7-9, 13-37, 39-40, 43-47, 49-50, 53-
57, 59-61, 63-64, 66-73, 75-85, 87-91, 102, 107, 110,
122, 128, 153-154
Giobbe 99n
Giovanni Battista, san 78-79
Giovanni da Capestrano, san 145
Giovanni da Morrovalle 113
Giovanni da Parma 25-28, 69
Giovanni della Valle 148
Giovanni di Raithu 142n
Giovanni Duns Scoto 117, 131n
Giovanni Scoto Eriugena 23, 51-52, 91, 102, 129
Giovanni XXII, papa 100, 110, 114, 137, 147-148, 157-
162
Giovanni, san (apostolo ed evangelista) 29, 78
Girard R. 23n, 71
Giuda, apostolo 72n
Giuseppe da Cupertino, san 30
Goetz W. 162n
Gonzales di Balboa 153
Gould W. 75, 79, 84
Graziano di Bologna 17, 73, 101, 104, 140
Gregorio di Nazianzio 141
Gregorio Magno, san 130
Gregorio VII, papa 130
Gribomont J. 139, 141-142
Grundmann H. 39
Gunon R. 77, 105-107

170
Guglielmo di Ockham 157

Hames H. J. 82, 163n


Hegel G. W. F. 37, 63
Herde P. 111-113, 142
Hone E. 53n

Iacopone da Todi 111, 113


Ifigenia 71
Innocenzo III, papa 60, 79, 137
Innocenzo IV, papa 26
Intrieri L. 19n
Isidoro Mercatore 140

Jundt A. 147n

Kant I. 65
Kantorowicz E. 99
Kuttner S. 16n

LOccaso C. M. 41n
Lacan J. 51n, 90
Ladner G. 91n
Lattanzio 72
Lemmens L. 136n
Leonzio Pilato 41n
Lerner R. 34, 102, 146n
Liberato, frate (vedi Pietro da Macerata) 113, 148

171
de Lubac H. 55, 63, 91n, 119
Luc S. 40n
Luca, san (apostolo ed evangelista) 77
Luca, vescovo di Cosenza 21, 39, 43, 45
Lucifero 121, 155
Ludovico il Bavaro 109
Ludovico il Pio 87-88
Lutero, Martin 53, 80

Magritte R. 93
Manselli R. 18-19, 30-32, 43, 64, 67-68, 83n, 87n, 112,
115, 132n, 152n, 154n
Marco, san (apostolo ed evangelista) 78
Maria, madre di Ges 68, 161
Martn J. P. 33n
Marx K. 63
Matteo dAgrigento 153-155
Matteo, abate 46, 60
Matteo, san (apostolo ed evangelista) 22, 77
Mauro, notaio (padre di Gioacchino da Fiore) 13
Melli M. 25n
Meyvaert P. 48n
Miceli C. 31n
Michele da Cesena 159
Montesquieu 145
Moreschini C. 98n
Mottu H. 23-26, 29n, 35-36, 56n, 69-70, 76n, 78n, 80-81
Moynihan R. 83

172
Mnzer T. 80, 128
Musto R. G. 134

Niccol III, papa 26


Nicola da Reggio (o di Calabria) 151, 161

ORegan C. 64-65
Oliger L. 125n, 134n, 138n, 149n
Omero 41n

Paolo dei Trinici 148


Paolo di Tarso, san 78, 130
Paparella F. 51n, 102n
Paravicini Bagliani A. 90
Parisoli L. 23n, 31n, 67n
Parnassio, mercante 41n
Passantino A. 31n
Pepe C. 41n
Perarnau J. 142, 156n
Perrin M. 72n
Petrarca, Francesco 41n
Petruccio di Rocca di Monte Dragone 161n
Pier Damiani, san 130
Pietro Alfonsi 82
Pietro da Macerata (frate Liberato) 148
Pietro da SantAndrea, beato 41n
Pietro di Cadeneto 160
Pietro di Giovanni Olivi 31n, 87n, 134

173
Pietro (Pier) Lombardo 22-23, 54n, 57
Pietro, san (apostolo e papa) 17, 72n, 147n
Pinchard B. 91n
Pipino il Breve 129
Pitagora 9, 112n
Platone 89, 141
Poly J.-P. 131n
Pompei A. 144n
Potest G.-L. 71n, 75n, 134, 138, 141n
Pou y Mart J. M. 151-152, 155-160, 162-163
Pseudo-Isidoro 140

Rabano Mauro 49n, 87-90


Raimondo Goffredi 113
Rainini M. 57n
Raniero da Ponza 60
Reeves M. 75, 79n, 83-84
Ricci A. 149n
Roberto da Macchia, frate 160
Roberto di Mileto 161
Roberto di Sicilia e di Gerusalemme, re 152, 158-160,
162
Roberto il Saggio 114
Rodot P. P. 41n
Roubis D. 45n
Rufino 11, 104
Ruiz D. 27-28
Ruperto di Deutz 123

174
Russo F. 41n, 60-61, 82, 157-158, 160-161

Salerno M. 47n
Salimbene da Parma (o di Adam) 28, 82-83, 109-110
Sancia, regina 159-161, 163
Sancio Panza 96
Santi F. 78n
Schir G. 89n
Schott K. 94-95
Silvestre G. 68n
Simone da Bisignano 16, 19
Singer H. 104n
Siragusa G. B. 158n
Sogliani F. 45n
Spirito Santo 18, 20n, 24-25, 29n, 32, 35-36, 50, 56n, 66-
67, 70n, 76, 78n, 80-81
Staglian A. 24, 33-34, 43n, 48n
Swanson R. N. 46n
Swedenborg E. 65

Taguieff P.-A. 64n


Talahite F. 92n
Taubes J. 130n
Teodolfo di Orleans 49
Terreni, Guido 148
Tierney B. 73
Tocco F. 111-112, 146, 148-149, 152, 158, 161
Tommaso dAquino, san 96, 117

175
Tommaso di Eccleston 27
Tommaso III 111
Tommaso, frate 161
Tondelli L. 67
Tpfer B. 83n
Tramontana S. 40n
Trinit 24, 29, 37, 53, 57-59, 75, 129, 147n
Troncarelli F. 16n, 27n, 48n, 63-64

Ubertino da Casale 109n, 113, 136, 163,


Ugo di Digne 27-28
Umberto di Silvacandida 130

Vaccaro A. 47n
Vaiani C. 26
Verdier R. 131n
Vidal J. M. 162n
Voegelin E. 66-67, 122-124, 128-129
Von Auw L. 109n, 134, 138-139
Von Falkenhausen V. 40n

Wehr G. 107n
Wessley S. E. 46n
Williams-Hogan J. 65n
Wolf K. B. 132n
Yeats W. B. 75

176
INDICE GENERALE

Le ragioni di una Collana ...... 3

PREMESSA.......... 7

I. PER PARTIRE: PROSPETTIVE CULTURALI

IN AZIONE . 13

II. INDICAZIONI SIMBOLICHE SULLA VITA DI

GIOACCHINO . 39

III. LINCONTRO CON LE PERSONE DIVINE.... 63

IV. SLITTAMENTI DI SIGNIFICATO OPERATI SUL

MESSAGGIO GIOACHIMIANO.... 75

V. TENSIONI STRUTTURALI NEL DISCORSO

SIMBOLICO....................... 87

VI. IL FRANCESCANESIMO NELLALVEO MERIDIANO:

ANGELO CLARENO E LO SGUARDO VERSO

ORIENTE .... 109

VII. LOBBEDIENZA DI FRONTE ALLE NORME ....... 117

177
VIII. PARTICOLARIT DEL COMMENTO ALLA REGOLA

DI CLARENO ... 133

IX. SIMPATIE MERIDIANE VERSO LA DISSIDENZA. . 151

Indice dei nomi .... 165

Indice generale.. 177

178
PENSATORI CALABRESI

Collana diretta da Romeo Bufalo (Universit della Calabria).

1. Luigi M. Lombardi Satriani, La figura e lopera di Mariano


Meligrana.

2. R. Cirino, Scienza e teologia nella Calabria Moderna.

179
Finito di stampare Maggio 2016
presso Grafiche Falcone - Squillace (CZ)
a cura dellAssociazione Culturale
Radici nel Tempo - 88060 Davoli (CZ)
info@iltesto.com
www.iltesto.com

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