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Massimo FirPo DAL SACCO DI ROMA ALL INQUISIZIONE Studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana Edizioni dell’ Orso we INDICE Avvertenza L. Il sacco di Roma del 1527 tra profi, Propaganda politica e riforma religiosa ........+.+ : IL. II problema storico della Riforma italiana e Juan de Valdés IIL. Juan de Valdés tra alumbrados e ‘spirituali’. Note sul valde- sianesimo in Italia . IV. Il «Beneficio di Christo» e il concilio di Trento (1542-1546) V. Pietro Carnesecchi, Caterina de Medici e Juan de Valdés. Di una sconosciuta traduzione francese dell’eAlphabeto christia- no» VI. Alcune considerazioni sull’esperienza religiosa di Sigismon- do Arquer Indice dei nomi . . 61 89 19 147 161 221 AVVERTENZA Sono qui raccolti, con con pochi aggiomamenti, integrazioni e corre- zioni, i contributi di ricerca e di riflessione in cui negli ultimi anni ho cercato di sviluppare gli studi su Juan de Valdés e la Riforma italiana avviati con il volume Tra alumbrados e «spirituali», Studi su Juan de Valdés ¢ il valdesianesimo nella crisi religiosa del '500 italiano del 1990, proseguiti con I'edizione dell’Alfabeto cristiano, del Catechismo e aleuni inediti valdesiani del 1994 e sfociati infine, almeno in parte, nella ricerca su Gli affreschi di Pontormo a San Lorenzo, Eresia, politica e cultura nella Firenze di Cosimo I del 1997. Il contributo sul sacco di Roma e sulle discussioni e polemiche innescate da un evento che avrebbe lasciato un segno profondo nella storia convulsa di quegli anni, intende anch’esso documentare — non foss'altro per il ruolo assunto dal fratello di Juan, Alfonso de Valdés, come portavoce ufficioso dell’ apologetica imperiale - i molteplici nessi che anche dal punto religioso si strinsero allora tra Italia e Spagna. L’esperienza di Juan de Valdés, tra Alcali de Henares e Roma, tra Escalona e Napoli, tra alumbrados e ‘spirituali’, ne avrebbe costituito di Ii a poco il momento pid intenso, destinato non solo a imprimere orientamenti decisivi ai modi in cui per un quarto di secolo oltre la crisi religiosa fu interpretata e vissuta in Italia (tanto da parte di gruppi e movimenti variamente ispirati a dottrine eterodosse quanto da parte dell'istituzione ecclesiastica che quei gruppi e quelle dottrine cercd di estirpare), ma anche a consegnare una sua peculiare eredit’ alla Rifor- ma europea e alle correnti radicali che ovunque la percorsero e ne conte- starono gli esiti. In particolare, nelle pagine di questo volume figurano i saggi: I. Il sacco di Roma del 1527 tra profezia, propaganda politica e rifor- ma religiosa, Cagliari, Cuec, 1990. IL. I problema storico delta Riforma italiana e Juan de Valdés, una cui versione abbreviata fu presentata alla riunione plenaria della Sixteenth 6 Avvertenza Century Studies Conference tenutasi a San Francisco, California il 28 ottobre 1995, e poi pubblicata con il titolo The Italian Reformation and Juan de Valdés, «Sixteenth Century Journal», XXVII, 1996, pp. 353-64. In appendice si & qui posto il breve intervento su Juan de Valdés fra «alumbrados» e Lutero. Note su un bilancio critico, gia apparso nella «Rivista di storia e letteratura religiosa», XXX, 1994, pp. 535-41. Juan de Valdés tra alumbrados e ‘spirituali’. Note sul valdesianesi- mo in Italia, gid apparso in Ignacio de Loyola en la gran crisis del siglo XVI, Congreso Internacional de Historia, Madrid, 19-21 nov. de 1991, ed. Quintin Aldea, Bilbao-Maliafio, Mensajero-Sal Terrae, [1993], pp. 293-319, e poi pubblicato in traduzione spagnola in La cultura del Renaixement. Homenatge al pare Miquel Batllori, Bellaterra, Revista de historia moderna. Manuscrits, 1993, pp. 61-93. IV. II «Beneficio di Christo» e il concilio di Trento (1542-1546), gia apparso nella «Rivista di storia e letteratura religiosa», XXXI, 1995, pp. 45-72, e negli atti del convegno I tempi del concilio. Religione, cultura e societé nell’Europa tridentina, a cura di Cesare Mozzarelli e Danilo Zardin, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 225-52. V. Pietro Carnesecchi, Caterina de Medici e Juan de Valdés. Di una sconosciuta traduzione francese dell’«Alphabeto christiano», gia apparso in Dissenz und Toleranz im Wandel der Geschichte, Festschrift zum 65. Geburstag von Hans R. Guggisberg, herausgege- ben von Michael Erbe, Hans Fiiglister, Katharina Furrer, Andreas Staehlin, Regine Wecker und Christian Windler, Mannheim, Palatium Verlag, 1996, pp. 75-88. Alcune considerazioni sull’esperienza religiosa di Sigismondo Arquer, gid apparso nella «Rivista storica italiana», CV, 1993, pp. 411-75, e in Studi e ricerche in onore di Girolamo Sotgiu, Cagliari, Cuec, 1993-1994, vol. I, pp. 347-419. Il. VI. Ringrazio la case editrice Cuec e i direttori delle riviste per aver dato il loro consenso a questa riedizione. Torino, maggio 1998 ME I IL SACCO DI ROMA DEL 1527 TRA PROFEZIA, PROPAGANDA POLITICA E RIFORMA RELIGIOSA 1. Il 6 maggio 1527, all’alba, un esercito imperiale calato dalla Lombardia giungeva alle porte di Roma e, agevolato da una fitta nebbia, dopo un breve combattimento riusciva a varcare le mura, a penetrare nei palazzi vaticani del Borgo e nella notte a dilagare nella citta che un pon- tefice irresoluto aveva lasciato senza difese'. Erano circa 20.000 uomini, * Sul sacco, oltre alle prime ricostruzioni dei fati offerte in Alosis Romae, sive narratio historica quo pacto urbs Roma sexto die Maii mensis a nato bono publico 1527 ab exercitu Caroli quinti imperatoris duce Carolo Borbonio oppugnata, capta, direpta vastarague sit, Francofurti, sumptibus Ioannis Ammonii, 1625, gia pubblicato con il titolo Direptio expugnatae urbis Romae ab exercitu Caroli quinti compendio recensita, licet fusius vix usquam reperiatur, anno 1527, sexto die Maii. Historia non inanis miraculorum Dei, in appendice alla traduzione latina di Petrus Aretinus, Pornodidascalus, seu colloquium muliebre, Francofuri, typis Wechelianis, sumptibus Danielis ac Davidis Aubiorum et Clementis Schleichii, 1623, pp. 98 ¢ segg., ofr. la documentazione e le impor- tanti indicazioni bibliografiche fornite da Hans Schulz, Der sacco di Roma. Karls V. Truppen in Rom 1527-1528, Halle aS. Max Niemeyer, 1894; Ludwig von Pastor, Storia dei papi dalla fine del ‘medio evo, voll. 16, Roma, Desclée & C., 1910-1955, vol. VI, parte Il. Si veda altresi Giuseppe De Leva, Storia documentata di Carlo V in correlazione all’lalia, voll. 5, Venezia, Naratovich, 1863- 1894, vol. Il, pp. 429 e segg. (del quale cfr. anche, soprattutto per le premesse politico-militari, 11 saccheggio di Roma del 1527. Saggio critico sulla storia di Carlo V, Padova, A. Bianchi, 1857); Leonardo Santoro, Dei successi del sacco di Roma e guerra del Regno i Napoli sotto Lotrech, ed. Scipione Volpicella, Napoli, Stabilimento tipografico di P. Andrisio, 1858; la preziosa raccolta If sacco di Roma de! 1527, Narrazioni di contemporanei, a cura di Carlo Milanesi, Firenze, G. Barbéra, 1867; Alessandro Corvisieri, Documenti inediti sul sacco di Roma nel 1527, Roma, Tipografia del Senato, 1873; Antonio Rodriguez Villa, Memorias para la historia del asalto y saqueo de Roma en 1527 por el ejército imperial, Madrid, Imprenta de la Biblioteca de instruccién recreo, 1875; G. Cavalletti Rondinini, Nuovi documenti sul sacco di Roma del 1527, «Studi e docu- enti di storia e dititto», V, 1884, pp. 221-46; Leon Doréz, Le sac de Rome (1527). Relation inédite de Jean Cave, orléanais, «Mélanges 4’ archéologie et d'histoire de I’Ecole frangaise de Rome», XVI, 1896, pp. 355-440; Domenico Orano, Hl sacco di Roma del 1527. Studi e document vol. 1,1 ricordi di Marcello Alberini, Roma, Forzani e C., 1901. Spesso prive di adeguati fondamenti scientifici 0 ‘meramente divulgative sono le opere di Emmanuel Rodocanachi, Rome au temps de Jules I et de 8 Dal sacco di Roma all’ Inquisizione fanti italiani e spagnoli e lanzi tedeschi, non pagati da mesi, laceri, affa- mati, avidi di bottino, restati senza un autorevole comando dopo la morte del connestabile di Borbone durante il primo assalto. Oltre una settimana durd il saccheggio e nove mesi I’occupazione della citta, sottoposta a strazi indicibili sotto gli occhi di Clemente VII asserragliatosi in Castel Sant’ Angelo con i cardinali e i dignitari della curia, privo di ogni risorsa e incapace di reagire, in balia degli eventi, costretto implorare soccorsi, a far fondere le tiare dei suoi predecessori’, a svendere i cappelli cardinali- zi, a supplicare i prestiti pid onerosi per far fronte a una situazione dram- matica. E intanto Firenze si ribellava, cacciava il governo mediceo e restaurava la repubblica, mentre Sigismondo Malatesta tornava a impos- sessarsi di Rimini, Venezia si affrettava a occupare Cervia e Ravenna, gli Estensi arraffavano Modena. Il 5 giugno il papa dovette piegarsi a firma- re la capitolazione, senza che cid contribuisse peraltro a metter fine al clima di anarchia e di violenza che regnava in citta. Qualche giorno pit tardi, il 22 giugno, si spegneva Niccold Machiavelli, mentre in Spagna ancora echeggiavano i festeggiamenti per la nascita dell’erede al trono, il futuro Filippo II. Un mondo intero giungeva al suo corrusco tramonto. Quando, dopo essersi rifugiato a Orvieto, Clemente VII potra finalmente rientrare a Roma, nell’ ottobre del ’28, la citta che gli si offrira alla vista non sara altro che un misero «cadavere a brandelli»’. Lo splendido Rinascimento dell’eta di Leone X, che Voltaire vorra poi celebrare come uno dei culmini della civilta europea, sembrava dover essere travolto per sempre da quel diluvio di atroce violenza, di barbarie Léon X, Paris, Hachette, 1912, pp. 342 e segg., 431 e segg. (del quale cfr. anche Histoire de Rome. Les pontificats d'Adrien VI et de Clément VII, Paris, Hachette, 1933, pp. 183 ¢ segg.); Ugo Boncompagni Ludovisi, 1! sacco di Roma, Albano Laziale, Fratelli Strini, 1928; Silvio Maurano, 1! sacco di Roma, Milano, Ceschina, 1967; Vicente de Cadenas y Vicent, EI saco de Roma de 1527 por el ejército del Carlos V, Madrid, Hidalguia, 1974; Eric Russell Chamberlin, The Sack of Rome, London, B.T. Batsford, 1979. Si veda infine I'utile sintesi di Judith Hook, The Sack of Rome 1527, London, Macmillan, 1972; l’antologia curata da Maria Ludovica Lenzi, 1! sacco di Roma del 1527, Firenze, La Nuova Italia, 1978; il recente ¢ raffinato saggio di André Chastel, I! sacco di Roma 1527, Torino, Einaudi, 1983; € da ultimo Massimo Miglio, Vincenzo De Caprio, Daniel Arasse, Alberto Asor Rosa, I! sacco di Roma del 1527 e l'immaginario collettivo, Roma, Istituto nazionale di studi romani, 1986. 2 Cfr. Benvenuto Cellini, La vira, a cura di Guido Davico Bonino, Torino, Einaudi, 1982, pp. 86 ¢ segg., e anche pp. 77 e seg. Sono pagine da cui emerge la narcisistica indifferenza con cui, pago di sottolineare i suoi meriti (non ultimo quello di aver sparato il colpo che avrebbe ucciso il conne- stabile di Borbone), il Cellini assistette alla tragedia verificatasi sotto i suoi occhi che, al suo ritorno a Firenze, «vivo, € con molti danari, con un servitore € bene a cavallom, egli si limitera a definire come «tutte quelle diavolerie del sacco» (p. 89). 2 Ludwig von Pastor, Storia dei papi cit., vol. VI, parte Hl, p. 323. I sacco di Roma del 1527 9 trionfante, che devastava senza ritegno il centro stesso della cristianita, dimenticandone la millenaria sacralité e anzi compiacendosi dello scher- no, del disprezzo, dell’umiliazione. «Ha durado el saco nueve 6 diez dias, con grandfsimas crueldades; y son tantas [...] que no bastarfa papel ni tinta para poderles escribir, ni saber, ni memoria», si legge in una lette- ra indirizzata il 27 maggio, da Roma, alla cancelleria imperiale*. «Entrati dentro, comincié ciascuno a discorrere tumultuosamente alla preda, non avendo rispetto non solo al nome degli amici né all’autorita e degnita de’ prelati, ma eziandio a’ templi a’ monasteri alle reliquie onorate dal con- corso di tutto il mondo, e alle cose sagre», scrivera Francesco Guicciardi ni’, che quell’amara vicenda — con il disastroso tracollo della politica antimperiale da lui perseguita - aveva personalmente colpito al cuore, precipitandolo «da uno estremo eccessivo di onori, di riputazione, di fac- cende grandissime e di notizia universale [...] in uno altro estremo di uno vivere ozioso, abietto, privatissimo, sanza degnita, sanza faccende»®. Spontaneo sara per lui — cosi come per altri attoniti testimoni dell’ imma- ne tragedia — il risalire della memoria storica fino al sacco del 410, ai Visigoti di Alarico, al crollo della gloriosa Roma dei Cesari. Un destino analogo sembrava ora annunciarsi per la Roma dei papi, che aveva coc- ciutamente trascurato gli accorati appelli a un’inderogabile renovatio Ecclesiae da tempo risuonati in ogni parte d’Europa, che non aveva volu- to ascoltare le profezie di imminenti calamita e di epocali rivolgimenti annunciate da predicatori e romiti itineranti, che aveva ignorato o addirit- tura represso le esortazioni penitenziali e le severe denunce contro la cor- ruzione della Chiesa in capite et in membris che Savonarola non era stato l’unico a pronunciare’e I’eremita Brandano da Petroio ancora ardiva gri- + Colleccién de documentos inéditos para la historia de Espaa, vol. Vil, Madrid, Imprenta de la viuda de Calero, 1845, pp. 448-64, off. p. 451; cfr. p. 449; Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit, p. 144 (cfr. anche p. 147), € Vicente de Cadenas y Vicent, El saco de Roma cit., pp. 338, 340. «Les inhumanitez et impietez dont ilz ont usé envers Dieu et le monde, on ne les scauroit penser ne escripre», commentava Guillaume Du Bellay in una lettera datata da Parigi I’8 luglio (Leon Doréz, Le sac de Romie cit., pp. 413-14). «Nullum pene genus tormentorum remansit inexpertum, annotava un altro francese, testimone oculare del massacro (ivi, p. 403). 5 Francesco Guicciardini, Storia d’Iralia, a cura di Silvana Seidel Menchi, voll. 3, Torino, Einaudi, 1971, p. 1857. © Francesco Guicciardini, Consolatoria («fatta di settembre 1527 a Finocchieto, tempore pestis»), in Opere, vol. I, acura di Emanuela Lugnani Scarano, Torino, Utet, 1970, p. 489. 7 Si veda in generale il fondamentale lavoro di Marjorie Reeves, The Influence of Prophecy in the Later Middle Ages, Oxford, Clarendon Press, 1969, specie pp. 359 ¢ segg.; il contributo di Giampaolo Tognetti, Note su! proferismo nel Rinascimento e la letteratura relativa, «Bullettino dell’ Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano», LXXXI, 1970, pp. 129-57; ¢ 10 Dal sacco di Roma all Inquisizione dare con indignazione per le vie stesse della citta eterna, insultando senza ritegno quel pontefice «sodomita e bastardo» e annunciando sciagura e distruzione’. Brevemente, era la bisogna a tale ridotta — scrivera Benedetto Varchi? — che non pure i frati in su i pergami, ma eziandio cotali romiti su per le piazze andavano non solo la ruvina d'Italia, ma la fine del mondo con altissime grida e molte minacce predicando e predicendo. Né mancavano di coloro i quali, dandosi a credere che a peggiori termini dei presenti venire non si potesse, papa Clemente essere Anticristo dicevano. 2. Il sacco parve infatti inserirsi in una trama di eventi ancor pitt spa- ventosi € preoccupanti per uomini animati da inquiete tensioni apocalitti- che e avvezzi quindi a cogliere i segni dei tempi, a scrutare i cieli, a deci- frare prodigi, a cercare significati riposti, a leggere con ansia pronostici ¢ libelli profetici, a scorgere il monito di Dio o la sua ira vendicatrice nei fenomeni della natura, nelle eclissi, nelle comete, nella nascita di creature deformi, nell’ apparizione di mostri inusitati, nei terremoti, nelle pestilen- ze, nelle carestie. La sinistra congiunzione di Marte e Saturno nella costel- lazione dei Pesci prevista per il febbraio del 1524 era stata annunciata come evento foriero di sciagure, inondazioni, guerre, ribellioni. Negli anni immediatamente precedenti oltre 150 libretti, opuscoli, pronostici — spes- so corredati da immagini dotate di straordinaria efficacia e quasi sempre da ultimo gli atti del convegno Storia e figure dell’Apocalisse fra '500 ¢ '600, a cura di Roberto Rusconi, Roma, Viella, 1996; eff. anche Eugenio Garin, L'attesa dell'eta nuova ¢ la «renovatio», in L’etd nuova, Napoli, Morano, 1969, pp. 81-104. Per il mondo tedesco negli anni a ridosso del sacco si veda anche Paul A. Russell, Lay Theology in the Reformation. Popular Pamphleteers in Southwest Germany 1521-1525, Cambridge, University Press, 1986; ¢ per I'Italia Ottavia Niccoli, Profeti e popolo nell'Italia del Rinascimento, Roma-Bati, Laterza, 1987, al quale rinvio anche per una pid ampia bibliografia; Paolo Picca, I! sacco di Roma del 1527. Profezie, previsioni, prodigi, «Nuova antologian, LXIV, 1929, fase. 1379, pp. 120-25; cfr. anche Alessandro Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma, Milano, Tipografia editrice LF. Cogliati, 1908, pp. 138 ¢ segg.; Leonardo Santoro, Dei successi cit, pp. 7-8 * «Roma, cittd di Roma ~ avrebbe predicato durante la settimana santa — avanti sia feniti dieci di di maggio tu sarai doma. Citta di Roma, fa penitenza, ritorna a Cristo; io ti annunzio da parte sua tu anderai a sacco [...]. Guai a papa Clemente con tutti i tuoi cardinali ¢ la tua corte {..]. Oh gran tribu- latione presto presto sentirai se non fai nuova riforma!». Su questo straordinario personaggio, anche per ulteriori notizie bibliografiche, si veda il saggio di Giampaolo Tognetti, Sul «romito» e profeta Brandano da Petroio, «Rivista storica italiana», LXXII, 1960, pp. 20-44 (la citazione & a p. 32); cfr. anche Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960 e segs. (¢'ora in avanti citato come DBI), vol. V1, pp. 752-55. + Benedetto Varchi, Storia fiorentina, a cura di Gaetano Milanesi, voll. 3, Firenze, Le Monier, 1888, cfr. vol. I, p. 87; Paolo Picea, I! sacco di Roma cit., p. 122. I sacco di Roma del 1527 i ispirati anche da intenti propagandistici — ne avevano diffuso |’attesa e il timore in tutta Europa", e soprattutto nel mondo tedesco, dove la grande rivolta contadina del 1525 avrebbe offerto sanguinosa conferma della nefasta influenza di simili vicende astrali. Ma anche in Italia ’imminenza del diluvio in piscibus, nonostante pid! 0 meno autorevali interventi volti a smentire il significato catastrofico di quei segni celesti, aveva alimentato fenomeni di vero e proprio panico collettivo, derisi dalla smagata ironia di Niccold Machiavelli e magari stravolti nella beffa carnevalesca, ma tali comunque da attestare anche al di qua delle Alpi una precaria e pur inquietante confluenza tra astrologia e profetismo"!. Apparsa per la prima volta a Heidelberg nel 1488 e ristampata innu- merevoli volte in tutta Europa, la celeberrima Pronosticatio di Iohannes Lichtenberger, |’astrologo dell’imperatore Federico III, ebbe anche in Italia uno straordinario successo, testimoniato da numerose edizioni in latino e in volgare'?. Non stupisce, naturalmente, che all’indomani della Riforma, sullo sfondo di epocali rivolgimenti, quelle pagine offrissero inesauribili spunti di interesse, curiosita, preoccupazione in Germania, dove ben quattro edizioni ne apparvero proprio nel 1526, due nel ’27 (una delle quali a Wittenberg, con una prefazione di Lutero) e altre quat- tro nel ’28, anno in cui il clamoroso episodio del sacco ne suggeri anche un’edizione latina a Parigi. Alla luce di quelle pagine, lette e rilette in ‘ogni angolo d’Europa per capire il presente e prevederne gli sviluppi, la devastazione della Roma papale e il naufragio della navicula Petri non acquisivano solo un dirompente significato storico e politico, ma si inse- ® Si veda importante contributo di Paola Zambelli, Fine de! mondo o inizio deita propaganda. Astrologia, flosofia della storia e propaganda politico-religiosa nel dibattito sulla congiunzione del 1524, in Scienze, credenze occulte, livelli di cultura, Firenze, Olschki, 1982, pp. 291-368 1 Basti citare un astrologo insigne come Paulus de Middleburgo, Ad sanctissimum dominum nostrum pontificem maximum Clementem septimum [...] prognosticum quod per coniunctiones ‘onium planetarum in signo Piscium sequenti anni futuras nullum significant (sic) diluvium neque universale neque provinciale, s.n.. (Venezia, 1523]; oppure il modesto autore di un opuscolo datato da Roma il 3 gennaio 1524, ¢ cio’ il «syderalis scientiae professor» Silvestro Lucaelli, Prognosti- ‘con anni 1524, quo opiniones pseudoastrologorum diluvium et siccitatem praesentis anni falso prae- dicentium improbantur, s.n.t. (Roma, 1524]. Cft. Delio Cantimori, Aspetti della propaganda religio- sa nell’Europa del Cinguecento, ora in Umanesimo e religione nel Rinascimento, Torino, Einaudi, 1975, pp. 164-81; Ottavia Niccoli, ! diluvio det 1524 fra panico collettivo e irrisione carnevalesca, in Scienze, credenze occulte cit., pp. 369-92. "2 Ben tredici furono le edizioni in volgare di quest’opera apparse a Modena, Venezia e Milano trail 1490/92 e il 1525: eff. Domenico Fava, La fortuna del pronostico di Giovanni Lichtenberger in Kralia nel Quattrocento ¢ nel Cinquecento, «Gutenberg Jahrbuch», 1930, pp. 126-48; Dietrich Kurze, Johannes Lichtenberger (+1503). Eine Studie zur Geschichte der Prophetie und Astrologie, Lilbeck- Hamburg, Matthiesen Verlag, 1960, pp. 81 € sege. 12 Dal sacco di Roma all Inquisizione rivano in una sorta di storia sacra iscritta negli astri, le cui congiunzioni scandivano lo snodarsi degli eventi, il compiersi del futuro, l’avverarsi delle profezie. Infino a tanto che la Chiesa sia renovata — annunciava la Pronosti- catione"’ ~ Dio permeter’ nascere gran scisma ne la Chiesia, vacando il papato simul con lo imperatore alemano, el quale confidandosi de la sua potentia intenderd constituere il papa et li romani et italiani, li quali si sforza- anno resistere a l'aquila grande, la quale acesa dal furore acompagnara ai soi exerciti non solamente li alemani, ma genti pessimi di ciascaduna genera- tione et intrara in Roma con armata mano er pigliar& tuti i religiosi, prelati et citadini et ne amazara molti con varii supli Parole eloquenti, il cui messaggio risultava icasticamente sostanziato dalle immagini che si intercalavano al testo, con il loro corredo di aquile imperiali in trionfo, di spade sguainate, di preti e monaci in fuga, e ulte- riormente avvalorato dagli altri annunci profetici che lo accompagnavano in relazione ai molti patimenti che la Chiesa avrebbe dovuto subire «in fra queste tempeste del mondo con le sue divisione», alle «molte set{t}e» che sarebbero sorte, alla nascita di un nuovo profeta «in la patria subiecta a lo Scorpione [...]: le sue vesta seranno bianche secondo il costume di religiosi, et instituira epso propheta una nova religione», un «monaco incapuzato di biancho che [h]a il diavolo su le spale»', nel quale non sara poi troppo difficile per i contemporanei individuare l’agostiniano Martin Lutero. E puntualmente i molti pronostici pubblicati anno dopo anno e con grande successo nell’Italia tormentata da guerre e carestie continuarono ad annunciare sofferenze e sciagure, «bella, caedes, furta, rapinas, vio- lentias et occisiones»'’, offrendo nel loro linguaggio oscuro e allusivo un quadro di riferimento cosmico, una ragione ineluttabile al fluire di una "Cito dall’edizione italiana Pronosticatione in wulgare rara e pitt non udita, la quale expone et dechiara alchuni influxi del cielo, et la inclinatione de certe constellatione, cio® de la iunctione grande et de la ecclypse le quale sono state a questi anni, quello de male o de bene demostrano a {questo tempo et per lo advenire. Et durera pin anni, cio® insino a I'anno 1567, Venetia, s.., 1525, p. iF vi, pp. Blily (cf. p. Biir), [Eiv]v, Fir, +5 Cosi si legge ad esempio nel Pronosticon in annum 1527 pubblicato da no dei pit: noti pro- fessionisti di questo genere di letteratura come Giacomo Petramellara (Bononiae, per lustinianum de Rubiera, 1526, p. Alily; edito contemporaneamente anche in italiano; eft. le analoghe espressioni di Ludovicus Vitalis, Pronosticon super annali dispositione 1527, s.n. (Bologna, 1526}, pp. Alily- {Aili 1H sacco di Roma det 1527 13 storia tragica e alle dolorose cesure che essa pareva segnare. Un successo destinato a rapido esaurimento negli anni successivi, con la pacificazione d'Italia e l’avvio del severo disciplinamento della vita religiosa messo in atto dalla Chiesa controriformistica, ma che non a caso conobbe il suo apogeo proprio tra il 1527 e il "30, «nell’atmosfera tesa ¢ smarrita che si respirava in Italia dopo il sacco»'®, Alta e bassa cultura furono sensibili a queste inquietudini divinatorie, che coinvolsero personaggi pur cosi diversi tra loro come Francesco Guicciardini ed Egidio da Viterbo. Lo stesso Erasmo da Rotterdam, lo sferzante autore dell’ Encomium Moriae e dei Colloquia, il grande erudito, filologo ¢ letterato maestro indiscusso di tutta "Europa umanistica, ebbe a sperimentare inattesi brividi chiliasti- ci: «Si attende I’ Anticristo», scriveva nel ’26"”. Proprio quell’anno, alla fine di agosto, le armate cristiane avevano subito una disastrosa sconfitta sul campo di Mohics. Il re d’Ungheria Luigi II Iagellone era morto in battaglia e l’esercito di Solimano il Magnifico aveva occupato Buda. La marea ottomana continuava la sua inarrestabile avanzata e si apprestava ormai a infrangere i bastioni asbur- gici e a invadere i territori del sacro romano impero. Nel dicembre del °22 era caduta Rodi e i cavalieri gerosolimitani, ultimo avamposto cro- ciato a Oriente, avevano dovuto rifugiarsi a Malta. Nel 29 Vienna stessa sar cinta d’assedio e nel °32 i Turchi torneranno a dilagare in Ungheria, in Croazia, in Carinzia. Una minaccia destinata a riproporsi ancora a lungo, per terra e per mare, fino al fallito assedio a Malta nel 1565 ¢ al trionfo della flotta cristiana a Lepanto nel ‘71. In questi decenni le tipo- grafie europee, soprattutto in Germania, sfornano a centinaia resoconti delle campagne militari, avvisi, fogli di notizie, mentre ovunque e in ogni lingua, dalla Spagna ai confini orientali dell’impero, risuonano gli appelli alla crociata, l’esortazione a scendere in campo «pro re christiana», «ad capessenda arma contra infideles», le «exhortationes in barbaros», le invettive «adversus truculentissimos Turcos», «contra sectam Mahumeti- cam» e gli «immanissimos Turcanicae gentis conatus», le atterrite denun- ce «Turchicae spurcitiae et perfidiae». Anche Lutero scrive quel Vom Kriege widder die Tiircken che, sullo sfondo dell’assedio di Vienna, co- nosce ben 11 edizioni tra il 1529 e il ’30, anno in cui é la volta di Erasmo In metito a questi problemi si veda in generale 'eccellente ricerca di Ottavia Niccoli, Profei e opolo cit, (ett. p. 153). "7 Brasmo da Rotterdam, J collogui trad. it. a cura di Gian Piero Brega, Milano, Feltrinelli, 1967, p. 185; ef Otavia Nicol, La crisireligiosa del '500, Torino, Sei, 1975, pp. 96-98. 14 Dat sacco di Roma all nguisizione a pubblicare il suo De bello Turcis inferendo, subito stampato in 5 diver- se edizioni a Basilea, a Vienna, a Colonia, ad Anversa. Cattolici e protestanti scendono in campo: Iacopo Sadoleto e Seba- stian Brandt, Hulrich von Hutten e Juan Luis Vives, Justus Jonas e Iohan- nes Cochlaeus, Iohannes Brenz e Juan Ginés de Sepulveda, Giorgio Agricola e innumerevoli altri, grandi intellettuali, viaggiatori, ambascia- tori, retori di professione, prelati, ambasciatori, Le orazioni pronunciate nel corso del Lateranense V o nella corte papale e al cospetto dell’ impe- ratore sono altrettante occasioni d’obbligo per richiamare i potenti della cristianita al loro dovere di restaurare la pace e debellare una volta per tutte gli infedeli. Nel 1516, alla conclusione del concilio, Leone X aveva pubblicato l’ennesima bolla «super cruciata seu expeditione in Turcas», mentre anno dopo anno la Germania, la Spagna, i domini papali saranno chiamati a pagare decime straordinarie per finanziare un concorde sforzo militare, via via pid improbabile e utopico ma pur sempre sostanziato di immagini evocative, memorie, miti, valori simbolici che non a caso tro- veranno nell’incoronazione imperiale di Bologna e nella rinnovata con- cordia tra papa e imperatore che essa pareva celebrare un momento di particolare tensione'*. E anche il sacco di Roma, naturalmente, costitui occasione privilegiata per far risuonare accorati appelli alla pace e alla riscossa in difesa dell’afflitta religione di Cristo: «La fede cristiana man- chera, / se presto non mi dai qualche adiutorio; / el gran Turco in Italia verra, / perché pigliato [hJa gia gran tenitoro», si legge per esempio in un poemetto Presa et lamento di Roma et gran crudeltade fatte drento apparso a Venezia, Antiche profezie medievali tornavano d’attualit& e, specie dopo l’ele- Zione al trono imperiale di Carlo d’Asburgo nel '19, si tornava a parlare della prossima venuta di un secondo Carlo Magno, destinato a castigare la Chiesa depravata e a realizzare il biblico unum ovile et unus pastor: «Tempore illius summus capietur pontifex, et clerus dilapidabitur: nam depravat fidem; heu pessima vita cleri!»®°. Nel 1525, sebbene qualche astrologo garantisse al pontefice che le stelle gli promettevano «immensa + $i veda in merito la preziosa bibliografia di Cari Goellner, Turcica. Die europdischen Tirkendrucke des XVI. Jahrhunderts, vo. 1, Bucuresi-Berlin, Editura Academici R.P-R.-Akaderie Verlag G.M.B.H., 1961 * Lament storii dei secoli XIV, XV e XVI, a cura di Antonio Medin e Ludovico Frat, vol. 4, eft vol. If, Bologna, Romagnoli-Dall’ Acqua, 1890, p. 362; eft p. 372. ® Marjorie Reeves, The Influence of Prophecy ct, p. 361; Ottavia Niccoli, Profi e popolo cit, pp.221 e segg, 11 sacco di Roma del 1527 15 exaltatione et dilatare el nome suo in perpetuo»!, una profezia popolare pubblicata in un opuscoletto di due fogli scandiva sul ritomnello «vegner& uno imperatore» I'aspra denuncia dei gravissimi mali di cui soffriva una cristianita debole e indifesa di fronte alla marea turca, divisa al suo inter- no, dimentica della sua fede, precipitata nell’ abisso della sua avidita («ognun sta in pompa e 'n vanagloria, / non extiman el baptesmo [...] / sol per ragunare thesoro, / gran pecunia, argento e oro») e soprattutto abbandonata dai suoi colpevoli pastori™: Vederai li sacerdoti farsi pessimi e gran ladri quanto lor saran pitt dott de tristtia seran padri. Tutte quante queste squadre regnerano in far male; tuti questi principal sard gran simulatoi vegnera uno imperatore. Intorno allo stesso anno veniva pubblicata anche una traduzione in volga- re delle visioni di santa Brigida di Svezia, che annunciavano I’imminen- za di grandi sciagure «per li superchii peccati» dei cristiani, e in partico- lare a Roma, «la gran citt& de nobel semenza / che triumphd nel mondo tutta sola /e tutto I’hebbe a sua obidienza», diventata ora crudele e super- ba, «de tristitia [...] schola»®, Tra il 1513 e il '17 Egidio da Viterbo, generale dell’ ordine agostinia- no € cardinale, teologo, umanista, ebraista di fama, uno dei protagonist del concilio Lateranense Y, scrive una Historia viginti saeculorum riper- correndo lo sviluppo delle vicende umane in chiave mistica, cabbalistica e profetica, alla ricerca di un senso e di una direzione della storia, di un suo significato complessivo che aiutasse a comprendere il futuro, a per- cepire le tracce di una prossima renovatio mundi, di un’imminente venu- ta della gioachimitica eta dello spirito, dello schiudersi della stagione del vangelo eterno™. Sara lui, nel °30, su richiesta del papa, a offrire un altro » Zacuth da Ferrara, Pronostico dello anno 1526, s.nt. (Ferrara, F. De Rubeis, 1526), np. ® Questa é la vera prophetia de uno imperatore el quale pacifichara li christani, el paganesmo, ‘nuovamtente impressa, in Venetia, per Polo de Danza, s.a. [15257] np, ® Prophetia de santa Brigida con alcune alire propletie, in Venet [15257], pp. ALL}r-A2r. Cf, Marjorie Reeves, The Influence of Prophecy cit, pp. 268 e segs. per Francesco Bindoni, s.a 16 Dal sacco di Roma all Inquisizione solenne scritto cabbalistico, la Scechina, a Carlo V in persona, novello Davide, Salomone, Ciro, che avrebbe inaugurato una nuova eta dell’ oro, l’imperatore cui Dio aveva destinato di rivelare i suoi segreti, ma «non nisi eo anno quo novus Salomon Italiae pacem dederis»”®. E tra il 1516 il '27 un altro dotto teologo e predicatore agostiniano ritiratosi su un’iso- Ja della laguna veneta, Silvestro Meucci, pubblicava a Venezia una cospi- cua serie di volumi con le opere di Gioacchino da Fiore’, riproponendo con insistenza I’attualita del suo messaggio profetico. «Formidandum nimirum fore censeo propter malitiam praesentis tem- poris quod irata divina Maiestas nequeat ultra nostras tollerare iniquita- tes, scilicet mittat super nos iram indignationis suae, quoniam dies mali sunt et mundus totus in maligno positus est, terraque repleta est iniquitate et non est qui faciat bonum», scriveva il Meucci nel ’16, annunciando i «tempora periculosa» che parevano incalzare I’angoscioso presente ed elencando i peccati dilaganti sulla terra, tali da meritare il «primarium et acerbissimum flagellum» che Dio avrebbe scagliato dal cielo per colpire i malvagi, «praesertim ecclesiasticos, et Ecclesiam suam locare aliis cul- toribus»?’, Qualche anno dopo, nel ’25, pubblicando il commento a Geremia del profeta calabrese, egli tornava a denunciare I’«Ecclesiam carnalem (quae nova Babylon nuncupatur)», destinata ad essere presto colpita da eretici e infedeli nonché privata della sua autorita temporale «ab Alemanorum imperio», facendo ancora risuonare il suo sofferto appello «pro [...] christiana republica fere iam tota collapsa et in omnem vitiorum fecibus atque spurcitiis iacente sublevanda et in statum pristi- num erigenda ac reformanda, vel saltem in virga ferrea malos et incorri- gibiles exterminando et iustos ab eis oppressos eripiendo»”®. 2 Ivi, pp. 364 € sege.; André Chastel, 1! sacco di Roma cit., pp. 99-100. La citazione & tratta dal- Vedizione Egidio da Viterbo, «Scechina» e «Libellus de literis Hebraicis», a cura di Frangois Secret, voll. 2, Roma, Centro internazionale di studi umanistici, 1959, p. 76; efr. Frangois Secret, Guillaume Postel et les courants prophétiques de la Renaissance, «Studi francesi», 1, 1957, pp. 375- 95, cft. pp. 380-81; Id., Le symbolisme de la Kabbale chrétienne dans la «Scechina» de Egidio da Viterbo, «Archivio di filosofia», n. 18, 1958, pp. 131-54. % Cfr. Marjorie Reeves, The Infiuence of Prophecy cit., pp. 262 € segg.; Giampaolo Tognetti, Note sul profetismo nel Rinascimento cit., pp. 147 ¢ segg.; Storie e figure dell Apocalisse cit., pp. 11 © segg., 67 e seg. 77 Joachimus Abbas, Haec subiecta in hoc continentur libello: Expositio [...] in librum beati Cyrilli de magnis tribulationibus et statu sanctae matris Ecclesiae [...,Venetiis, per Lazarum de Soardis, 1516 (altra ed. ivi, per Bernardinum Benalium, s.a.), p. 2rv. Cfr. anche loachimus Abbas, Super Esaiam prophetam, Venetiis, per Lazarum de Soardis, 1517, Ad lectorem: «Multa quae [oachimus) praedixit iam praeteriere: non dubium quin segnanter etiam quae restant». 2 Joachimus Abbas, Interpretatio praeclara [...] in Hieremiam prophetam, Venetiis, per H sacca di Roma del 1527 17 Proprio nel "27, il 1° febbraio, il Meucci dedicava al suo confratello Egidio da Viterbo l’edizione dell’ Expositio in Apocalypsim dell’ abate Gioacchino”, mentre nello stesso anno veniva stampata a Venezia insie- me con una traduzione italiana (Prophetia circa li pontifici et romana Ecclesia) V edizione latina degli pseudogioachimiti Vaticinia circa apo- stolicos viros et Ecclesiam Romanam gia apparsi a Bologna nel 15 a cura del domenicano (e futuro inquisitore) Leandro Alberti, con dedica all’allora cardinale de’ Medici che sedeva adesso sul trono di san Pietro: profezie spesso oscure, accompagnate da immagini e simboli minacciosi — soldati con accuminati spadoni puntati alla gola del papa o infernali dragoni con la tiara -, ma destinate ad acquisire post factum significati inequivocabili: «Oymé, oymé, misera cittd che susteni dolori e passioni! [...] Di qui a poco tempo occisione in te sera et la effusione dil san- gue»™, «guaio a te, citta de sette monti!»*, Esso stesso evento epocale denso di implicazioni profetiche, il saccheggio della Roma papale — «la cosa mas misteriosa que jamds se vid»**— sembrd cosi inserirsi in un pitt Bernardinum Benalium, 1525, p. al8]rv. La dedica (riprodotta da Frangois Secret, Paulus Angelus descendant des empereurs de Byzance et la prophétie du pape angélique, «Rinascimento», XIII, 1962, pp. 211-24, eff. pp. 214-16) era indirizzata a quel Paolo Angelo che di fi a poco (intorno al 1530) avrebbe pubblicato a Venezia le Profetie certissime, stupende et admirabili dell'Antichrisio et innumerabili mali al mondo (se presto non si emenderd) preparati, et donde hanno a venire et dove hanno a cominciare, traduzione di uno scritto sttribuito a san Vincenzo Ferrer, in cui risuonavano parole altrettanto aspre contro «i prelati desprezzanti col cuore li subditi con Christo insieme, et amanti troppo anzi adoranti li commodi propri mondani», «rapacissimi lupi» persecutori dei veri cri- stiani, «Babilonia confusissima, sinagoga di Satana tenebrosissima, stato corrotto bestialissimo, vita brutale anzi diabolica, abominatissima, piena di sodomie et ogni specie di camalita spuzzolenti», incapaci di parlare «se non di usurpatissime simonie, di elatissime et enfiatissime pompe, della lor quadrupplicata in summo nequitia et malitiosa potesta, non ecclesiastica se non di nome, ma inferna- le, pernitiosissima, che merita esser presto profondata» (p. A3r); cfr. Marjorie Reeves, The Influence of Prophecy cit., pp. 264, 366-67, 432-33. ® Toachimus Abbas, Expositio in Apocalipsim, Venetiis, in aedibus Francisci Bindoni ac Maphei Pasini socii, 1527, cff. pp. [Al]r-Av. ™ Joachimus Abbas, Prophetia circa li pontefici et romana Ecclesia, Venetia, st., 1527. p. ALL6}r. " Ivi, p. A[I7]r. Adattate al messaggio politico e religioso della Riforma, le immagini di questo libro figurano anche nell opuscolo antiromano di Hans Sachs, il calzolaio di Norimberga, apparso lo stesso anno con il titolo Eyn wunderliche Weyssagung von dem Babstumb, wie es yhm biss an das Endi der Welt gehen sol in Figuren oder gemil begriffen, gefunden zu Niirmberg ym Cartheuse Closter, und ist sehr alt. Eyn Vorred Andreas Osianders [Norimberga, 1527]: cfr. Roland H. Bainton, The Joachimire Prophecy: Osiander and Sachs, ora nella raccolta degli scritti dello stesso studioso, Collected Papers in Church History, vol. Il, Studies in the Reformation, Boston, Beacon Press, 1963, pp. 62-66. Su questo volumetto e sulle tensioni chiliastiche del Sachs eft. anche Paul A Russell, Lay Theology in the Reformation cit...pp. 165 e segg. 2? Cosi il commissario generale dell’esercito imperiale scriveva da Roma a Carlo V il 27 mag- gio: eff. Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit., p. 124. 18 Dal sacco di Roma all’ Inquisizione generale contesto di minacciose congiunzioni astrali, di terrificanti segni apocalittici e al tempo stesso avvalorarne il messaggio. II grande Giudi- zio universale della cappella sistina verra commissionato a Michelangelo da papa Clemente VII nel 1533°%, dopo che nel ’30 una disastrosa inon- dazione del Tevere aveva nuovamente devastato la citta eterna, a segnala- re che l’ira di Dio ancora non era placata: «E] nome di Roma in tutto & spento», si scrivera allora™, mentre mastro Pasquino ne trarra spunto per annunciare «che presto il turco un di trabocchera, / e poi vedrem de noi quel che sera. / Alor si lascera Martin, concilio e tante longhe tramme, / ché peggio fia che sacco, pest’e fammen*®, Nel 1534, infine, apparira la prima edizione a stampa del celebre Prognosticon de eversione Europae del medico ferrarese Antonio Arqua- to (o Torquato), redatto verosimilmente negli anni novanta del Quattro- cento ma via via modificato nelle numerosissime stampe cinquecente- sche, che proprio per il 1526-27 aveva previsto l’avvio di una stagione di sventure, di «fortuna noverca», di «dura [...] mala» per gli alti prelati della curia romana*: Roma vi expugnabitur et exercitui imperatoris Romanorum praeda fiet et in ea interficientur multi. Papa vel fugabitur vel capietur. Cardinales et eccle- siastici praelati spoliabuntur et privabuntur bonis, et cardinales tristabuntur et praelatorum ecclesiasticorum divitum atque potentium incipiet ruina. Horrendum quidem et extremiscendum Ecclesiae Romanae futurum dicam. Ecclesia namque Romana divitiis ultra modum aucta ad id deveniet ut, posthabita rerum spiritualium cura, de rebus temporalibus duntaxat cogitatu- ra sit atque curam habitura, et regnum coelorum cuius claves sibi datas credi- tur in temporale terrenumque regnum commutabit. Propter quod Deus abii- ciet a se atque diris ac crudelissimis flagellis eos percutiet. Messaggio profetico e appello riformatore («Ecclesiae status renovabitur totus et velut sol oriens claro sereno formosus et decorus refulget in ter- ris») si intrecciavano in queste pagine, tanto pid impressionanti nella loro » André Chastel, 1! sacco di Roma cit., pp. 187 € segg. » Diluvio di Roma che fu a di sette di ottobre V'anno del mille cinquecento e trenta, col numero delle case roinate, delle robbe perdute, animali morti, huomini e donne affogate, con ordinata discretione di parte in parte, in Vinegia, ad instantia di Zoanmattia Lirico venetiano, 1530, p. [Ailv. 38 Pasquinate romane del Cinquecento, a cura di Valerio Marucci, Antonio Marzo e Angelo Romano, presentazione di Giovanni Aquilecchia, voll. 2, Roma, Salerno, 1983, cfr. vol. I, p. 377. 3 Cito dall’edizione Antonius Torquatus, Prognosticon de eversione Europae ab anno 1480 usque ad annum 1538, Matthiae Ungariae regi dicatum, Antuerpiae, in aedibus Ioannis Steebii, 1536, p. Crv. I sacco di Roma del 1527 19 veridica esattezza in quanto probabilmente adattate in parte post eventum alla cruda realta dei fatti, ma avvalorate comunque dal contesto comples- sivo nel quale si inserivano. Pare infatti risalire alla stesura originale Vannuncio dell’ imminente apparizione «a Septemtrione» di un «heresiar- cha magnus subvertens populos contra vota Romanae sedis cum magno- rum principum septemtrionalium auxilio, qui faciet magna et magna loquetur»*’. 3. Nel frattempo lo scisma continuava a dilagare in Germania e intere province si sottraevano all’obbedienza della Chiesa in nome di quella Riforma che nel ’27 i lanzi avevano portato fin dentro i palazzi, le basili- che, i luoghi sacri pit venerati della Roma papale, senza doversi far ripe- tere l’incitamento con cui, poco prima di essere colpito a morte, il conne- stabile di Borbone li aveva allettati con l’idea di «godersi le incredibili ricchezze di tanto viziosi e poltroni prelati»**. [1 nome di Lutero, I’esi- genza improcrastinabile di un concilio, l’opportunita di deporre I’«Antecristo» che si proclamava successore di san Pietro si affacciavano per esempio a chiare lettere in una Sopla hecha por un soldado sobre el 57 Ii, p, C2v. Sull’Arquato si veda Delio Cantimori, Incontri italo-germanici nell'etd della Riforma, ora in Umanesimo e religione cit., pp 112-41, ofr. pp. 112-16; Id., Eretici italiani del Cinguecento, Il ed., a cura di Adriano Prosperi, Torino, Einaudi, 1992, pp, 31-33; Id., Aspetti della propaganda cit., pp. 170-74; Eugenio Garin (del quale si veda anche la voce in DBI, vol. IV. pp. 299-301), Il pronostico dell’Arquato sulla distruzione dell’ Europa, in L'etd nuova cit., pp. 105-11. % Luigi Guicciardini, 1! sacco di Roma, in Il sacco di Roma del 1527 cit. pp. 9-244, cfr. p. 182. Secondo il resoconto di un contemporaneo, particolarmente aspro nei confront delle responsabilita asburgiche, il francese Cesar Grolier, il connestabile avrebbe addirittura detto: «Vos qui ab Romana dissentitis Ecclesia, quos plurimos esse me non praeterit, iam sectas vestras ampliare potestis, datur- que ad id tempus omnium commodissimum» (Cesar Grolier, Historia expugnatae et direptae urbis Romae per exercitum Caroli V imp. die v1 Maii 1527 Clemente VII pontifice, Patisiis, apud Sebastianum Cramoisy, 1637, p. 58). Cfr. anche le parole pronunciate dal Borbone a Siena secondo i versi di Bustachio Celebrino, II successo de tutti gli farti che fece il duca di Borbone in Italia, con il nome de li capitani, con la presa di Roma, Venetia, Francesco Bindoni et Mapheo Pasini, 1542, p. Biir: «Scoprir vi voglio i miei secreti archani, /ch’io scio che mai da me pid intesi havete. / Spero , + Cosi si legge nella truculenta descrizione del sacco che fa da premessa a Giovambattista Gyraldi Cinthio, Hecatommithi, voll. 2, Monte Regale, appresso Lionardo Tortentino, 1565 (cfr. vol 1, p. 4), il quale sottolineava con particolare vigore e controriformistico sdegno la blasfema empiet& degli invasori 22 Dal sacca di Roma all’ Inquasizione a uno san Pietro datoli 3 ferite [...]. La capella di San Piero era fatta stal- la di cavalli, né hanno alcuna religion né timor di Dio», L'1] maggio uno dei rifugiati in Castel Sant Angelo non e 1 parlare di una verae propria «beccheria» di frati e di mmonache® mentre altri la defini «matan- za» ¢ altri ancora volle attribuire soprattutto ai tedeschi la responsabilita del «macello orrendo in quella ¢ ove era tanto aborrita la setta di Lutero loro apostolo, nemici delle chiese e delle reliquie de” santi»”® «Beati quelli sacerdoti che poterono occultar la chierica», scriveva a Venezia un segretario dell ambasciatore’. «Ma sopra tutto in chie cimiteri /de* preti e frati fu crudel macello; / delle monache steri / per forza aperti foro e con flagello». si legge nel g metto La presa et lamento di Roma apparso nel 27; «Attila gid non fu crudel cotanto, / che assicurd ciascuno loco santo»s!. Solo in due chie: (quelle dei tedeschi e¢ degli spagnoli, Santa Maria dell’ Anima e San Pietro in Montorio) si celebrava ancora il culto religioso. «Siendo Roma cabeza de la cristiandad — si riferiva in un drammatico resoconto allora ” Marin Sanudo, / diurii, voll. 58, Venezia, 1879-1903, cfr. vol. XLV, coll. 164.67, Maria Ludovica Lenai, I! sacce di Roma cit.. p. 120. © Lenere di diversi illustrissimi Signon et republiche scrite a Uillusirissimo signore, il ugnor Vuello Vuelli, Firenze, Torrentino. 1551. pp. 141-45. “ Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit,, p. 441 * Leonardo Santoro, Dei successt cit., p. 7; eft. anche p. 10: «Nel tedesco, come germe novello di Lutero, era maggiore la sete del sangue ¢ degl'incendi delle chiese». % Cfr. la lettera datata «in galea in porto de Civitavecchia» il 20 maggio 1527, di li a poco pub- blicata con il titolo Copia de una lettera del successo et gran crudettade fatta drentw di Roma, che ‘non fu in Hierusalem 0 in Trowa cost grande, s.n.. «Non ve dito del vergognar citelle {...] monache [J gentildonne {.... Non gli & rimasto reliquia che habia habuto una maietta d'argento intomo che non habino tolta et buttate fe reliquie in terra et, se non polevano cosi presto aprire uno sacramento, Ii tiravano dentro de uno archebuso et rompevano le chiavadure, et non solamente passavano la por- tella, ma etiam el corpo de Chnisto, rompevano |i tabernaculi et buttavano in terra el corpo de Christo. Non ve dird altro, ma de la giesia de Santo Petro hanno fatto stalla de cavalli. Beati quelli sacerdati che poterno ocoltare la chicrica. Pils non se dice messa et mancho si sona campane, et preti €t frati et monache chi sono amacati et chi scampati senga vestimenti, € molte senca camise, con piit gran vituperio che mai fosse sotto le stelle: non si potrebbe creder chi non vedesse la gran crudelta- de» [cito dal raro esemplare custodito alla British Library, 239. b. 11(2)} 5 Lamenti storici cit.. pp. 363-64; cfr. pp. 373-75. Analoghi versi con qualche variante figurano anche in una Romae lamentatio apparsa a stanipa all'indomani del sacco (cfr. Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi, G.11.40, cc. 326r-328r, edita in La guerra di Comollia cit.. pp. 161 © segg.). Si vedano anche 1 versi inseriti dal Berni ne! suo rifacimento dell’ Orlando innamorato: «1 cast altari, i templi sacrosanti, / dove si cantan laudi € sparge incenso, / furon di sangue pien tutti di pianti, /Oh peccaio inaudito, infando, immenso! / Per terra tratte fur l'ossa de santi, / € (quel ch'io tremo a dir quanto pits il penso, / vengo bianco, Signore, agghiaccio ¢ torpo) / fu la tua came calpesta ¢ ‘I tuo corpo, / le tue vergini sacre a mille torti, /a mille scomi tratte pe’ capellin: Francesco Bei, Poesie ¢ prose, acura di Ezio Chidrboli, Genéve-Firenze, Olschki, 1934, pp. 8-9. M sacco dt Roma det 1527 23 inviato a Madrid - no se tafie campana, no se abre iglesia, no se dice misa, no hay domingo ni fiesta, no hay viernes ni sabados»*?, In un clima di festa crudele e beffarda, di vera e propria inversione carnevalesca, bande di mercenari tedeschi «per odio al nome della Chiesa»** ne irridono il cerimoniale liturgico e «vano per Roma a cavalo vestiti da papa, cardinali e vescovi e dicono: “Va la, papa!”, e ge dano de le pugne»*, trascinano in processione i prelati di curia addobbati da butfoni, li sottopongono a ogni genere di umiliazione, li obbligano a con- fessare in pubblico i loro «scellerati e nefandi costumi»*, a chiedere per- dono dei loro peccati, e ne organizzano macabri funerali. Addirittura si riuniscono in un parodistico conclave per eleggere un «ponteflce dei lan- zichenecchi», si danno appuntamento sotto le mura di Castel Sant’An- gelo al grido di «Luther Babst, Luther Babst!», «vivat Luther papa!», gozzovigliano davanti ai prelati che vi sono asserragliati invitandoli a brindare con loro, impartiscono derisorie benedizioni pontificali «suis complicibus nates vertentibus» *, mentre qualcuno giura di voler riferire allo stesso Lutero di aver inghiottito le budella di Clemente VIP’. F il mondo alla rovescia minacciosamente effigiato in alcune stampe coeve, che rappresentano una Roma capovolta e sommersa, «misera capu- mondi», tutta «afflicta et dolorosa», ormai solo in grado di gemere un suo «lamento lacrimoso», accoratoed inutile: «Summersa tutta Italia sara, / e verra al basso chi piii alto sede», Proprio nel gennaio del *27 era apparso * Antomo Rodnguez Villa, Memorus cit., p. 139; ft. Vicente Cadenas y Vivemt, Ef sac de Roma cit.. p. 336. «Chi volese uno calice in Roma per dire mesa, non se ne poteria avere», annotava a Modena Tommasino de’ Bianchi, detto Lancillott, Cronaca modenese, voll. 12. «Monumenti di stona patria delle provincic modcnesi=, voll. I-XII], Parma, Fiaccadon, 1862-1884, cfr. vol 27 * Francesco Guicciardim, Storia d'halia cit, vol. Il p. 1658 * Lancillotts, Cronuca modenese cit.. vol. Il, p. 251. © Luigi Guicciardimi, ff sacea di Roma cit, p. 227: «La oscenita e bruttezza de* quali - conti- nuava ~ faceva non solamente ammirare ¢ stupire gh oltramontani, ma affermare noa avere stimato prima che l'umano intelletto avesst potuto immaginare non che mettere in atto vizi tanto vituperosi e bestiah * Alous Romae cu. pp. 13-16; Cfr. Leonardo Santoro, Dei successi cit., p. 10; Kilian Leib, Historuirum sui tempors ub anno 1524 usque ad annum 1548 unnates, in Johann J. von Dallinger, Beurage zur patinschen, kirchlichen und Cultur-Geschichte der sechs letzten Jahrhunderte, vol. Ul, Kegensburg, G H. Manz, 1863, pp. 445-611, cft. pp. 141-45; Leon Doréz, Le suc de Rome cit., p. 402. * $1 veda il pamphlet tedesco appasso all’ indomani del sacco citato da Hans Schulz, Der sacco dt Roma cit. p. 47, cfr. Emmanuel Rodocanachi, Rome au temps de Jules Il cut., p. 433; Maria Ludovica Lenzi, ff sacea di Roma cit, pp. 146 © segg. * Lumento di Roma, s.a.t. {copia a Firenze, Biblioteca Nazionale, 6.6.5.3.11-25}, evito in Lament: stores, vol. UU eit, pp. 383-401, eft. pp. 383-84, 399; Masia Ludovica Lenzi, H! suevo di 24 Dal sacco di Roma all'Inquisizione a Venezia il Triompho de fortuna di Sigismondo Fanti, una sorta di com- plicato gioco di carte per prevedere il futuro e capire i «diversi mali acci- denti et casi che ogni giorno vediamo intervenire»®, nel cui splendido frontespizio, disegnato da Baldassarre Peruzzi, era raffigurato il papa orante posto in precario equilibrio su una sfera con i segni zodiacali, inin- terrottamente fatta ruotare da un angelo e da un demonio, e quindi sul punto di precipitare. Non pid caput ma «coda mundi», secondo il beffardo dileggio dell’ Aretino®, «Roma non pare pitt Roma e da chi a 100 anni non sera Roma», come annotava un cronista modenese*, Realta e fantasia si intrecciarono, si inseguirono, si superarono a vi- cenda in una folta aneddotica subito divulgata da avvisi, lettere, pamph- lets, resoconti di ogni sorta. Difficile, e in fondo inutile come in ogni Grande peur sceverare tra i fatti certi della realta e le forme simboliche dell’immaginario, distinguere la verita dei testimoni oculari da quella dei cantimbanchi e dei gazzettieri desiderosi di stupire e spaventare. Si rac- contd di vecchi e autorevoli cardinali portati in groppa dai soldati, di par- roci costretti a celebrar messa di fronte ad asini addobbati con paramenti sacerdotali, di dissacranti processioni guidate da un soldato con tanto di tiara e cappa pontificale su una candida mula accompagnato da vescovi e cardinali altrettanto carnevaleschi, di ostie sacre arrostite in padella e date in pasto ad animali, di venerabili reliquie «spogliate delli argenti»®, gettate a terra e calpestate, addirittura di teste degli apostoli divelte dai reliquiari e usate per giocare a palla «con li piedi» nelle strade®, di taber- Roma cit., p. 147, riproduce il frontespizio del raro opuscoletto, In un’altra edizione, Lamento di Roma, Cosa nova stampata per Bertocko, s.n.. {copia alla British Library, C.20.c.22(56)}, 'immagi- ne di Roma sul frontespizio non risulta capovolta. Cir. anche Romae lamentatio cit.: «Ahi, che a dir Roma alla riversa / amor si dice; ahi, ch’io son tanto amara / ch’altro che pianto in me pid non si versa! / Nel mondo fui gid splendida e preclara, / ospizio sol di regi e imperatori; / or fatta albergo son di gente ignara. / Gid sottomise il mondo i miei furori, / or sottomessa son da genti strane, / € posta al basso per i miei gravi errorin (La guerra di Comollia cit., p. 161). ® Sigismondo Fanti, Triompho di fortuna, Venegia, Agostin da Portese, 1527, p. Aiiv; eff. André Chastel, I! sacco di Roma cit., pp. 58-59. © Cfr. la lettera a Federico Gonzaga del 7 luglio 1527 pubblicata da Alessandro Luzio, Pietro Aretino nei suoi primi anni a Venezia e in corte dei Gonzaga, Torino, Loescher, 1888, p. 64; cfr. anche p. 70, nota. L’espressione ritorna poi in Pietro Aretino, Sei giornate, a cura di Giovanni Aquilecchia, Bari, Laterza, 1969, p. 221. * Lancillotti, Cronaca modenese cit., vol. Il, p. 251; eft. p. 237. © Cfr. la lettera inviata dal cardinal di Como Scaramuccia Trivulzio a un suo segretario, da Civitavecchia, il 24 maggio, pubblicata in If sacco di Roma del 1527 cit., pp. 469-90 (in particolare pp. 484-85), edita anche da Silvio Maurano, I! sacco di Roma cit., pp. 235 e segg. © Memoriale di Gio. Andrea Saluzzo di Castellar dal 1482 al 1528, ed. Vincenzo Promis, «Miscellanea di storia italiana», VIII, 1869, pp. 409-625, cfr. p. 614; André Chastel, I! sacco di Roma cit., p. 80, N sacco di Roma del 1527 25 nacoli profanati con le mani ancor lorde di sangue, di tombe dei santi violate™, di antiche chiese trasformate in lupanari, di sacre immagini divelte, frantumate, date alle fiamme e gettate nelle latrine, di crocifissi rivestiti con i panni sgargianti dei lanzichenecchi, di bolle papali fatte a brandelli e usate come paglia per le scuderie, di donne stuprate sugli alta- ti, di cadaveri di uomini e animali abbandonati nelle chiese e li sbranati dai cani, di solenni cerimonie religiose oscenamente parodiate, di calici rovesciati nel corso della messa e usati per tracannare vino e ubriacarsi tra orrende bestemmie®: «Los reniegos y blasfemias es cosa para que los buenos, si algunos hay, deseen ser sordos», si scrisse in Spagna®, Neanche i turchi 0 i saraceni, osservd Thomas More, si sarebbero comportati come «those fyerce heretyques», capaci di infierire sugli uomini e sulle cose pit sacre «like very bestys»®’. Evidente era i] violen- Cfr, José Ruysschaert, Le sac de Rome et la tombe de S. Pierre d’aprés deux notaires contem- porains, «Rémische Quartalschrift fiir christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte», LVIII, 1963, pp. 133-37. © Cfr. Luigi Guicciardini, 1! sacco di Roma cit., pp. 202 ¢ segg.; il resoconto attribuito a tacopo Buonaparte, /! sacco di Roma, in Il sacco di Roma del 1527 cit., pp. 245-408 (alcuni brani del quale sono anche in appendice al volume di André Piganiol, 1! sacco di Roma, Novara, De Agostini, 1971 {Ied. Paris, Albin Michel, 1964], pp. 331-60), in particolare pp. 360 ¢ segg.; Lamenti storici, vol. IIL , pp. 364-65; La guerra di Comollia cit., pp. 164-65; Leonardo Santoro, Dei successi cit., pp. 9 ¢ segg.; Cesar Grolier, Historia expugnatae et direptae urbis Romae cit., pp. 69 ¢ segg.; Colleccién de documentos inéditos, vol. VII cit., pp. 452 segg.; Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit., pp. 118 e segg., 134 e segg., 439 ¢ segg.; Kilian Leib, Historiarum cit., pp. 509 segg.; Pietro Balan, Clemente VII e I'lralia dei suoi tempi, Milano, Tip. di S. Gherzi, 1887, pp. 60 e segg.; Leon Doréz, Le sac de Rome cit., pp. 399 ¢ segg.; Johannes Mayerhofer, Zivei Briefe aus Rom aus dem Jahre 1527, «Historisches Jahrbuch», XII, 1891, pp. 747-56; Domenico Orano, I! sacco di Roma cit., pp. 270 e segg.; Vicente de Cadenas y Vicent, El saco de Roma cit., pp. 336, 340, 343; Lancillotti, Cronaca modenese cit., vol. Il, pp. 222-26, 237-38, 262-63; Galeazzo Capella [Capra], Commentarii delle cose fatte per la restitutione di Francesco Sforza secondo duca di Milano, tradotte in lingua toscana per M. Francesco Philipopoli fiorentino, Venetia, apud loannem Giolitum de Ferrai 1539, p. Lvv; Iacopo Nardi, Le storie della citté di Firenze [...) dall'anno 1494 fino all’anno 1531, Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1584, pp. 328-29; Mambrino Roseo, Aggiunta alla notabile histo- ria di M. Giovanni Tarchagnota (vol. II di Giovanni Tarchagnota, Delle historie del mondo, voll. 3), in Venetia, per Michele Tramezzino, 1562, pp. 63r e segg.; Pierre de Bourdeille, seigneur de Brantéme, Les vies des grands capitaines estrangers, in Oeuvres completes, ed. Ludovie Lalanne, vol. I, Paris, Jules Renouard, 1864, pp. 269 ¢ segg.; Alosis Romae cit., pp. 5 © segg.; eft. Judith Hook, The Sack of Rome cit., pp. 172 e sege. & Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit. p. 140. *? Thomas More, A Dialogue concerning Heresies [1531], ed. by Thomas M.C. Lawler, Germain Mare*Hadour and Richard C. Marius, New Haven-London, Yale University Press, 1981 (The Complete Works, vol. VI, part 1), pp. 370-72. Il segretario dell’ambasciata spagnola a Roma, Juan Pérez, il 18 maggio scriveva a Carlo V che la citta era stata «saqueada con tanta crueldad cuan- ta los turcos Io pudieran hacer» (Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit., pp. 163 ¢ segg.). «Hanno fato cosse in Roma che non faria il turco», scriveva anche Giovanni Andrea Saluzzo (Memoriale cit., 26 Dal sacco di Roma alt Inquisizione to scherno antiromano e antipapale di quei gesti, pitt o meno consapevol- mente carichi di un significato anche dottrinale (reliquie, messe, sacra- menti, monaci, preti, gerarchia ecclesiastica). Ne rendono eloquente testi- monianza, del resto, i rozzi graffiti che quei vandali dissacratori dilagati nei palazzi vaticani vollero incidere con la punta delle loro spade sui solenni affreschi che li decoravano, sulla millenaria tradizione storica che celebravano, sulla grandezza spirituale e temporale del papato che esalta- vano: «Martinus Lutherus» sulla Disputa del sacramento di Raffaello, «Babilonia» su un’ immagine di Roma, «i lanzichenecchi hanno fatto cor- rere il papa» nella Sala della prospettiva®, Il biblico flagello di quelle orde scatenate senza ritegno nell’ «extermi- nio et total ruina de Roma»®, dilagati nella citta «como lobos entre los corderos / después que los perros son muertos»”, segnd dunque nel modo pit atroce I’insuccesso dell’alleanza francese stretta da Clemente VII all’ indomani della battaglia di Pavia e della pace di Madrid nel tenta- tivo di sottrarsi allo strapotere imperiale. L’anno dopo, il fallimento della spedizione del Lautrec nel regno di Napoli e il passaggio di Andrea Doria e della sua flotta sotto le insegne spagnole avrebbero sanzionato uno status quo ormai consolidato, con Carlo V stabilmente insediato a Napoli e a Milano. La sua solenne incoronazione a Bologna nel 1530, per mano dello stesso pontefice che poco prima aveva sconfitto e umiliato, non avrebbe fatto altro che sanzionare, in un rutilante scenario simbolico di riti solenni, di cerimonie fastose, di immagini evocative e mitiche imprese, il trionfo dell’imperatore asburgico e il prosternarsi dell’ Italia tutta ai suoi piedi. Ma a lungo aperta e sanguinante restd la terribile ferita inferta da quel sacco, perpetrato «dalle pitt efferate e meno religiose nazioni che ne’ tempi nostri si trovino», se non altro per aver dimostrato p. 613): «lo mi temo per certo che in breve Dio ne fara vendeta, et se qussi non fasesa io diria che Dio non 2 Dio» (ivi, p. 614). «Nous ne pouvons penser que les infidéles en eussent sceu faire davan- tage, scriveva nell'agosto il re di Francia al pontefice (Leon Doréz, Le sac de Romie cit. p. 414); € Marcello Alberini,testimone oculare: «Furon ben peggiori che mori o turchi o altri barbari che mole- stassero mai questa patria» (Domenico Orano, i! sacco di Roma cit, p. 199); e Kilian Leib: «Vix Turcae Massagetaeque aut Numidae saevius, scelestius agere potuissent» (Historiarum cit p. 511); Johannes Mayerhofer, Zwei Briefe cit. p. 755. © Cir, André Chastel, i! sacco di Roma cit., pp. 68 e segg., che sottolinea il carattere di xcrociata antipapale» assunto da quelle immani devastazioni © Cosi si scriveva a Mantova il 7 maggio: Alessandro Luzio, Isabella d'Este e il sacco di Roma cit, p. 121 ® Vasco Diaz Tanco de Fregenal, Triumpho pugnico lamentable sobre la profana entrada et saco de la alma ciudad de Roma, (1528}, ed anast. delle pp. XLI-XLY di Los veinte triumphos, [Valencia, 1535 .], smt. (Madrid, J. Sénchez Ray6n, 18787] H sacco di Roma del 1527, 27 al mondo intero «quanto l’avaro, ambizioso ed oziosissimo governo de’ moderni prelati sia a’ populi pernizioso», come ebbe a scrivere Ludovico Guicciardini”'. Qualcuno parlera addirittura di «eversio [...] et suppressio imperii presbiterorum»”, e fino alla sua morte, avvenuta nel 734, Cle- mente VII non volle pit farsi radere la barba, che da allora si lascid cre- scere in segno di dolore e di penitenza™, 4. Larghissimi furono del resto gli echi della clamorosa vicenda in tutta la cristianita e aspre le discussioni ¢ le polemiche che su di essa si innestarono. Da parte dei romani e dell’ opinione publica filofrancese violente invettive vennero scagliate contro Carlo V, responsabile del «vilain escandale»” di quella «sacra ruina di Roma», al quale sarebbe stato dunque «sacrilego, solo per questo, attribuire il nome de imperato- re», come ebbe a scrivere il cronista Marcello Alberini, che non esitava a condannare di «eterno biasmo» anche Adriano VI, «homo barbaro, de nation vilissimo di Fiandra», su cui gravava l’ignominia di essere stato il precettore de! sovrano asburgico’®, Nelle sue pagine vibranti di sdegno la descrizione del sacco si concludeva con un’ invettiva violentissima contro quest’ultimo, che ardiva andare «superbo et altiero della ruina d’una Roma et della presa d’un vicario de Christo, triumpho pit conveniente a quelle turbe, farisei, scribi, sacerdoti et pontefici di hebrei, che da gloriar- sene uno imperatore cristiano, che doverebbe essere difensore, non destruttore della Chiesa santa». Intollerabile quindi la sua ipocrisia nel fingere di provare rammarico per quanto era accaduto: «Tacciano, taccia- no quelli che lo vogliono escusare! Et mentre lo canonizano per catholico et christiano, loro sono come lui diabolici et infideli». Il solo fatto che egli non avesse subito voluto liberare Roma da quegli «immanissimi satelliti et camefici suoi» bastava a provare come egli fosse «in colpa pid che loro [...1, pid crudele, pitt perfido et pid infidele de loro, et chi lo scusa pid che lui». E se al pontefice «fusse rimasto pid ardire et confidanza nelle censu- re che vilta nell’animo», non avrebbe dovuto esitare un istante a scomuni- carlo in quanto «indegno et inimico della sede apostolica [...], come altre volte hanno fatto dell’altri vicari di Christo offesi da simili iniqui»™. Luigi Guieciardini, 1! sacco di Roma cit, pp. 15,18 ” Cf, a letera dello «scriptor brevium apostolicorumm Theodor Gescheid datata da Roma il 17 giugno 1527, pubblicata da Johannes Meyerhofer, Zvei Briefe cit. p. 751. Cf. André Chastel, 1! sacco di Roma cit. pp. 174 e segg. % Brantéme, Les vies des grands capitaines cits p.273. * Domenico Orano, I! sacco di Roma cit, pp. 197, 203. % Ii, pp. 315-20. 28 Dal sacco di Roma all’ Inquisizione Se Leonardo Santoro, napoletano e quindi suddito di Spagna, si sfor- zava di distinguere tra «Cesare doglioso di tanto eccesso» e «il suo scele- ratissimo esercito» — ma senza riuscire a celare i suoi pit che legittimi dubbi sulla reale sincerita di quella «fronte mesta» con cui avrebbe appreso la notizia del sacco” — altri non esitd a bollare con parole di fuoco il sovrano spagnolo che, dopo quanto era accaduto, ancora ardiva fregiarsi indegnamente dell’ appellativo di re cattolico. Cattolico saria se avesse a Piero un segno mostro di religione: ed ha Roma il suo re, questi ha ’impero. Guasta ha la sua e di Dio la magione e violato ha I’alma intatta sposa, della credenza nostra alta cagione, si legge ad esempio in un Lamento d'Italia scritto all’indomani della «nefanda e spaventevol opra» al fine di sollecitare i] cristianissimo re di Francia a intervenire, additando i fulgidi esempi di Carlo Magno e di Goffredo di Buglione, per vendicare quell’ onta ignominiosa, per cancel- lare dalla faccia della terra «l’ebbro stuolo tedesco orrido e stolto, / senza onor senza legge, senza fede», per rimettere sul trono di Pietro «l’infelice vicario» di quell’ ®*, Qualche anno dopo, prendendo spunto dal Diluvio romano del 1530, un esule come Luigi Alamanni non perdeva occasione per scagliarsi ancora una volta contro l’imperatore, «I'altero Scytha», «l’impio duce» responsabile tanto del sacco quanto della restaurazione medicea a Firenze, per indicare nelle «giuste insegnie / christianissime et sante, i gigli d’oro» di Francesco I, le vere tutrici d'Italia contro la prepotenza spagnola e tedesca, il «barbarico stuol contrario a Christo’. In qualche misura simili erano le espressioni usate da un meno paludato notaio di provincia, ser Luca di Domenico Tomassini, che a Fabriano elencava con orrore le scelleratezze e le profanazioni di cui aveva avuto notizia: «Eo * Cesar Grolier, Historia expugnaae et direptae wrbis Romae cit., pp. 4-5; sull'autore eft. Hans ‘Schulz, Der sacco di Roma cit, pp. 52 segg.; Leon Doréz, Le sac de Rome cit, pp. 436 ¢ segg. 9g est Crit storia expugnata et drepaeurbs Romae ct, pp. 25,34, 84% et. anche pp. 1-92. “tv, pp. 121-22, ® Luigi Alamanni, Opere toscane, Lugduni, Sebastianus Gryphius, 1532, pp. 316 segg MI saceo di Roma del 1527 31 ventum est ~ concludeva ~ ut actum sit de rebus Romanis, de Ecclesiae Dei libertate»". E anche Enrico VIII d’Inghilterra, in una lettera del 10 luglio al cardinal Innocenzo Cybo in cui non rinunciava a fregiarsi del suo recente appellativo di Defensor fidei, deprecava quelle ignominiose «ingiurie fatte alla Chiesa» e al pontefice, «vero et unico vicario di Christo in terra, con intentione che, tronco il capo della christianita e per- cosso il pastore del gregge d’Iddio, la santa Chiesa ruinasse e le disperse pecorelle senza alcuna custodia in preda de’ lupi rapaci fussero esposte ad essere devoratey®. ‘A queste terribili accuse rispose da parte asburgica I’impegno, a volte non esente da imbarazzo, per cancellare quella macchia «de la infamia, que paresce que nos quedard perpetua — come gia nel maggio si scriveva a Roma ~ pues que ni se ha tenido respecto al sacramento ni 4 las reli- quias ni 4 las imagenes, que todo no ha ido por tierra>®, Di qui il tentati- vo di negare ogni diretta responsabilita per quello scempio, di sottolinea- re come «per sua singulare clemenza» I'«ottimo Cesare» avesse solleci- tamente fatto liberare il pontefice, sopportando «humanissimamente le sue provocazioni e non cessando di adoperarsi per «la publica pace del christianesmo»®!, Ma non mancd anche una coraggiosa rivendicazione di quanto era avvenuto, al di 1a di ogni arbitraria e parziale semplificazione. AlPindomani del sacco, per esempio, un romance spagnolo presentava papa Clemente, «la cabeza sin tiara / de sudor y polvo llena», che con- templava dall’alto di Castel Sant’ Angelo la rovina della «reina del mun- do / en poder de gente ajena», costretto a vedere los cardinales atados, los obispos en cadena, Romualdo Sassi, I saeco di Roma del 1527 negli atid un notaio contenporaneo, «Ati € ‘memorie della R. Depuiazione di storia patria per le Marche», serie LV, 1V, 1927, pp- 299-300. Cle. Maria Ludoviea Lenz, 1! sacco di Roma cit p. 137, ebe cita dalla taduzion italiana apparsa in un‘antologia di Lettre ci principipubbliataa Venezia nel 1575, % Colleccidn de documentos inédits, vol. Vl cit, pp. 461-82. *" Queste parole poterono essere lete anche in Tala nella traduzione (opera di Pietro Lauro) di Giovanni Carione, Chronica, in Venetia, per Michele Tramezino, 1548, pp. 154-155r; eft. anche Giovan Batista Adriani, Oratione reczata in Fiorenza nell'essequie di Carlo V imperatore. fatta volgare, nella quae si contengono tut ft ele laudi di Sua Maes cesarea, Bologna, Alessandro Benaecio, 1559, p. A3r, pronto ormai ad avallarel’opnione secondo cui il sacco doveva essere addebitato solo alla barbara soldataglia guidata dal Borbone: «Tutto era stato per la impieta de” capi- tani per avaritia de" soldat, senza saputa di Cesare», che inf di fa poco si era riconciliato con il pontefice, eancellando «del ttt ogni sospetto dell’ animo di ui, di dio copert, se ve ne fosse stato per cagione de” passai disagis, come la solemn incoronazione di Bologna aveva poi mosrato al mondo intro, Dal sacco di Roma all'Inquistzione las reliquias de los santos sembradas por el arena, el vestimento de Cristo, el pig de la Madalena, el prepucio y vera cruz hallada por santa Elena, las iglesias violadas sin dejar cruz ni patena. Un’immagine di desolazione, di amara sconfitta, nella quale vibravano tuttavia il compiacimento per una giusta punizione e la rivendicazione di un merito storico («la gran soberbia de Roma / hora Espafia la refrena») nell’aver contribuito a scatenare la tempesta vendicatrice che aveva col- pito la navicella di Pietro, miseramente affondata «por la culpa del piloto J che la rige y la gobierna»®, Un altro spagnolo, testimone oculare di quei fatti atroci vi riconoscera il segno della giustizia di Dio «que aunque tarda no olvida», della sua spada vendicatrice che — debitamente annun- ciata da innumerevoli segni profetici rimasti purtroppo inascoltati — aveva infine colpito quella nuova Sodoma in cui «se usaban todos los géneros de pecados muy descubiertamente [...], sodomia, idolatria, simonfa, hipocresfa>™, Particolarmente affascinante risulta da questo punto di vista il giudi- zio di un prete spagnolo lungamente vissuto nella Roma di Giulio Ile dei papi medicei, quel Francisco Delicado che nella sua Lozana andalusa seppe descrivere con crudo realismo e a volte con smagata malinconia il demi-monde di ruffiani e cortigiane che fu il suo, Ia Roma «trionfo dei ricchi, paradiso delle puttane, purgatorio dei giovani, inferno di tutti, fati- ca delle bestie, illusione dei poveri, covo dei furfanti», la «Roma Babilonia, [...] Roma meretrice, [...] cappa di tutti i vizi, [...] concubina i tutti quelli che vi arrivano», dove tutto @ ruberia, inganno, corruzione, avidita, libertinaggio, dove abitano «trentamila puttane e novemila ruffia- ni», dove i rimedi pid efficaci contro la sterilit& femminile sono «unghie di sacrestano in calore», «lenzuolo di frate», «sottana di un chierico ma- * Romance del saco de Roma, por las tropas del condestable de Borbon, in Romuancero general 4 colleccién de Romances castellanos anteriores al siglo XVIII, ed. Augustin Duran, vol. , Madrid, M. Rivadeneyra, 1861 («Biblioteca de autores espafoles», vol. XVI), Madrid, 1861, p. 162; eft. Enilio Teza, Il sacco di Roma cit, pp. 209 ¢ sega.; André Chastel, I! sacco di Roma cit, pp-3.26. ® Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit, p. 140; eft. Vicente de Cadenas y Vicent, El saco de Roma cit., pp. 336-37 Mi saceo di Roma del 1527 33 schio»®, Rifugiatosi a Venezia nel febbraio del '28, dove fece stampare la sua opera, il Delicado volle inserirvi un’appendice sui fatti tremendi di cui era stato spettatore: fatti che si erano abbattuti con la violenza di una spada vendicatrice sul groviglio di vizi descritto per pagine e pagine in quel libro (peraltro senza riprovazione o sdegno alcuno), che era stato infine reciso alla radice: «Chi mai avrebbe detto, o Roma, o Babilonia, che tanta confusione sarebbero venuti a portarti questi ultramontani occi- dentali vendicatori delle tue colpe?», scriveva con malcelato orgoglio di spagnolo, compiacendosi del fatto che tanta «sfrenatezza» fosse stata finalmente punita e che quella citta — un tempo «la cima della santita, la chiave del cielo, il collegio della dottrina, il nido dei sacerdoti e la patria universale> — fosse stata cosi duramente colpita e rovesciata, con la «testa al posto dei (...] piedi». Egli non risparmiava la descrizione di quegli orrori («profanarono senza esitare quello che il grande Sofi avreb- be profanato se fosse stato presente»), che tuttavia altro non erano se non il segno della provvidenza divina ai danni di chi per troppo tempo aveva ignorato l'ammonimento «vae tibi civitas meretrix!»"5. «Guai a colui per il quale lo scandalo viene!», «o gran giudizio di Dio!», che aveva infatti guidato gli assalitori nella nebbia «per castigare gli abitanti di Roma e mettere alla prova i suoi servi, molti dei quali, come noi, son contentissi- mi della sua punizione, che corregge il cattivo e vizioso vivere»®. Ancor pit! aspre, naturalmente, e in qualche caso traboccanti di scher- no furono le reazioni in terra tedesca, dove peraltro la cancelleria impe- riale (su iniziativa di Alfonso de Valdés) si preoccupd di far pubblicare una raccolta di documenti dell’anno precedente (brevi papali, lettere di Carlo V al pontefice, al sacro collegio, ai principi elettori ecc.) con l’evi- dente intento apologetico di mettere in evidenza il costante impegno asburgico per Ia pace e le gravi responsabilita romane nel progressivo deteriorarsi della situazione”. Qui gid all’indomani del sacco, il 18 mag- Cito dalla trduzione italiana di Francisco Delicado, La Lozana andaluse, a cura di Luisa Oriol, Milano, Adelphi, 1970, pp. 62,112, 25, 25960. ° Ivi pp. 278-79, 283, * Wi. 285. Prodivo Carole eius nominis quinto Romanorum inperator invictssimo, po, fice, semper Augusto, patrepatriae, in satisfactionem quidem sie talione eorum quae in illum seripta ae plera- que in vulgum editafuere, apologetic’ libri duo nuper ex Hispanis alla, Mogunvie, in aedibus loannis Schoeffer, 1527.11 ibro, apparso ai primi di setembre del ‘27, era inaugurato da un privile~ io di stampa datato da Valladolid il 2 marzo e controfimato da Alfonso de Valdés. I breve di Clemente VII a Carlo V del 23 giugno 1526 la rsposta di Carlo V del 17 settembre (qu ete a p. 9'e segg., 18 e segg.) furono pubblicate ~ probabilmente nell stesso ‘27 ~ anche in un volumetto 34 Dal sacco di Roma all’ Inquisizione gio, a Tiibingen, Ioachim Camerarius poteva licenziare per le stampe un breve resoconto di quelle vicende appena giuntogli da Roma, nella cui breve prefazione sottolineava come |’imperatore, nelle cui clamorose imprese parevano prender corpo antiche profezie, fosse stato un semplice «administer» della volonta divina’’. Un giudizio che spiega forse il futuro inserimento nell’Indice sistino di questo libello, che pure insisteva nella descrizione delle sacrileghe violenze perpetrate dai barbari tedeschi, «gente effreni», che non avevano perso occasione per far risuonare «parum plausibile Romanis auribus Lutheri nomen boatu horrido»”. II significato profetico di quei fatti fu messo in evidenza anche in altri opu- scoli, avvisi, fogli di notizie allora pubblicati' pronti tutti a soffermarsi con qualche compiacimento sulle atrocita perpetrate a danno di chiese ed ecclesiastici, «Miinch, Pfaffen und Nonnen [...], Cardinal, Bischoff, Prelaten und Cléster»'!. Particolarmente violenti risultano da questo punto di vista i versi annessi a un foglio volante con quelle clamorose Zeytiinge von Rom, che non esitavano a celebrare con un inno trionfale la caduta di Roma, la nuova Babilonia in cui ormai da troppo tempo la «rossa puttana» si era stabilita per attingervi dal suo «calice di abomi- nio»: «Sie ist gefallen, gefallen die grosse Stadt / dorinne die rothe Hure lang gesessen hat»'?. Nulla di tutto questo, invece, nello sgomento provato da Filippo Me- lantone, subito spaventato per le possibili conseguenze politiche e reli- autonomo: Epistolae duae. Altera Clementis VII papae ad Karolum V imperatorem Augustum ei, altera Karoli V imperatoris Augusti etc. Clementi respondentis, Coloniae, impensis Petri Quintell, s.d.; un’altra edizione apparve allora a Basilea, mentre Ia lettera papale fu pubblicata anche in tradu- zione tedesca I’anno successivo con il titolo di Newe Zeyttung. So in diesem Buchlein begrifen unn- sern geisilichen und welilichen Herren und Obirckeiten, 5... * Commentarius captae Urbis ductore Carolo Borbonio ad exquisitum modum confectus, ubi non modo ordine magis quam hactenus ab aliis exposita omnia, sed multa etiam aliter cernere liceat. Auctoris innominati, s.n1., (15271) Il libretto, ristampato a Basilea net 1536, verra poi inseri- to da Simon Schard nella sua raccolta Historiarum opus, vol. Il, Basileae, ex officina Henricpetrina, 1574, pp. 1197-1202. ® Commentarius cit, pp. 17, 19. © Cfr. ad esempio Nova quomodo a caesariano exercitu sexto Maii anno 1527 cum impetu urbs Roma capta, expugnata et expoliata sit, edita in Historiarum opus, vol. Il cit., pp. 1855-57. 41 Cfr. Eyn Sendbrieff so eyner seinem Bruder von Venedig herauss geschickt hat darynn Begriffen wie es zu Rom newlichen ergangen ist, s.n1. {1527}, che un'altra edizione, Ain Sendbrieff 0 einer seinem Bruder von Venedig herauss geschickt hat darinn Begriffen wie es zu Rom newli- chen ergangen ist, s.n., (1527], consente di datare al 2 giugno. 2 Hans Schulz, Der sacco di Roma cit, pp. 34 € segg. (cfr. p. 37, nota), dove & ripreso un testo gid pubblicato da August Hagen, Die Eroberung Roms im Jahre 1527, «Neue Preussische Provinzial-Blatter», Band VIII, 1849, pp. 146-57, 179-91, off. p. 152. M sacco di Roma del 1527 35 giose di quell’episodio e ferito al cuore dalle notizie sugli incendi e le inutili devastazioni che avevano colpito il centro stesso di quella cultura classica e cristiana in cui la sua coscienza di intellettuale e di uomo di fede si riconosceva: «Metuo bibliothecis quae nullo in loco totius orbis terrarum locupletiores sunt quam ibi», scriveva a un amico il 6 giugno 1527, subito dopo essere stato raggiunto dai primi «rumores de capta Ro- ma»'®5, A riflettere su quei fatti e a offrirne un sofferto commento fu dun- que il Melantone umanista ¢ non il riformatore, il praeceptor Germaniae e non il teologo luterano, come risulta con chiarezza dalla sua orazione De capta et direpta urbe Roma da lui pronunciata a Jena di li a poco™. Nulla poteva giustificare la gravita di quanto era avvenuto e nessuna scusa poteva attenuare l’enormita dei delitti che erano stati commessi nella devastazione della citta «omnium reginae atque dominae», cui la Germania stessa era debitrice di sapere e civilta, «quae nobis leges, quae religionem, quae omnes honestas disciplinas tradidit»'°5, Evidente era Vintento di Melantone di negare ogni responsabilit& politica e morale della sua gente e dell’autorita imperiale in cid che si era verificato «con- tra optimi principis Caroli voluntatem» e con suo infinito rammarico, rovesciando quindi ogni colpa su una soldataglia eterogenea e sbandata di uomini violenti e abbrutiti, tra cui i tedeschi erano stati verosimilmente. contaminati «contagio Hispanorum», dai quali avevano appreso «avari- ciam crudelitatemque»', Ma altrettanto evidente era il suo sforzo di evi- tare ogni indebita relazione tra simili atrocita, profanazioni, nefandezze e la Riforma protestante, come pure da pitl parti venne allora indicato, anche se non di rado con valutazioni di segno opposto. Tanto pidt sinceri potevano infatti essere il dolore e l’indignazione nel commentare quelle vicende e tanto pi dura I’esecrazione per quelle orde di selvaggi sangui- "©. Philippi Melanthonis, Opera quae supersunt omnia, ed. Carolus Gottlieb Bretschneider («Corpus reformatorun»), vol. I, Halis Saxonum, apud C.A. Schwetschke et filium, 1834, col. 869. "©! Cito dal testo che figura ivi, vol. XI (1843), coll. 130-39. Pubblicata a Wittenberg nel 1531 € poi pit volte ristampata nelle edizioni cinquecentesche delle Declamationes melantoniane, 'Oratio vert’ pubblicata anche in Historicum opus, vol. I cit. pp. 1860-65. 48S Philippi Melanthonis, Opera cit., vol. XI, col. 131 406 Ivi, coll. 131-32 («est enim liberandus culpa Caesar qui, etiamsi iustis de causis Romano pon- tific irascitur, tamen hoc exitu victoriae minime delectatur, Neque enim obscurum est eum natura ad clementiam moderationemque duci et a crudelitate abhorrere, Et cum maiores suos nomen ac titulum imperii in hane nationem a servata urbe Roma intulisse videantur, dubitari non debet quin, in illorum intuens exempla, intelligat omnes imperii opes ac vires ad huius urbis salutem defensionemque maxime convertendas esse»), 133-35, 36 Dal sacco di Roma alt" Inquisizione nari quanto pit la Roma offesa e compianta non era la Roma dei papi ma quella dei grandi maestri dell’antichita e dei loro eredi e successori, custode di un sapere millenario («non minus autem sacrilegium est bi- bliothecas quam phana diripere») e faro inestinguibile della civilta cri- stiana: «Nonne tot Urbis meritis etiam si quid peccasset pontifex condo- nari debuit?». Né quanto era accaduto poteva essere legittimato dai pur molti e gravi «vitia et incommoda» della citté, «quae qualiacunque sunt talibus certe remediis corrigi non potuerunt. Nemo dubitet parricidii esse reum qui patri leviter deliranti oculos effodiat aut praecidat manus»'”’, concludeva Melantone, affidando anche a queste pagine il suo messaggio irenico, la sua moderazione politica, la sua stessa identita culturale e la sua angoscia per lo smarrimento ideale, la violenta frattura storica che quell’ «indignissimum casum» pareva testimoniare. Una voce pressoché isolata nel mondo tedesco la sua, dal momento che, pur evitando toni troppo scopertamente aspri e condannando quegli orrori inescusabili, molti furono subito pronti a riversare sul pontefice («cui tribuit falso clementia nomen») ogni colpa per quanto era avvenuto ea individuare nell’imperatore nulla pid che un poderoso strumento del- Vira di Dio'®, Quanto ai fedeli alla Chiesa di Roma, qualcuno poté limi- tarsi a esecrare i] fatto che i cristiani infierissero contro sé stessi e la pro- pria religione pid crudelmente di turchi ed ebrei!®. Altri invece, come il canonico regolare lateranense Kilian Leib, volle scorgervi la realizzazio- ne di antiche e pit recenti profezie e la divina punizione per il fasto smo- dato, la sfrenata avidita, la dilagante corruzione, la «nimis lata vorago et chasma libidinum», l’arbitrario potere esercitato dai prelati di curia «legi- bus atque canonibus iuribusque abrogando, despensando, suspendendo reservandoque»: «Haec omnia expendenti — concludeva — videbatur tan- tae magnitudini atque superbiae vicinam esse ruinam»"?, "™ Ivi, coll. 136, 138. "1 Cfr. i versi Roma capta di Georgius Sabinus Brandeburgensis, Elegiae argumentis utiles ac vanae et carminibus elegantibus compositae, et nunc primum coniunctim expressae, Lipsiae, in offi- cina Valentini Papae, 1550, pp. A2r-B[I]v, poi editi in traduzione tedesca da August Hagen, Die Eroberung Roms cit. pp. 185-91. 1 Georg Kirchmair, Denkwiirdigkeiten seiner Zeit. 1519-1533, ed. Theodor Georg von Karajan, in Fontes rerum Austriacarum, Erste Abteilung, Scriptores, vol. 1, Wien, Kaiserl. Kénigl. Hof- und Staatsdruckerei, 1855, pp. 416-534, cfr. pp. 480-81 Historiarum cit, pp. 504 e segg. L’anno successivo, tuttavia, annotando nella sua cronaca il ritomo del pontefice a Roma, egli osservera amaramente che, quasi nulla fosse accaduto, di ‘nuovo «tune beneficiorum ecclesiasticorum cupidi Romam coeperunt cursitare> (ivi, p. 514) HU sacco di Roma del 1527 Ey 5. Anche all’ambasciatore mantovano, del resto, quei «tempi tanto mostruosi et turbolenti et pieni di miseria et calamita» non suggerivano solo considerazioni di desolata amarezza, ma anche cupe riflessioni sulla fine dei tempi che «tanta rina» sembrava annunciare imminente" Se ha da stare in grandissimo suspetto che de di in di non si scoprano nove angustie et exterminii, et che tutto il mondo habbia da andare in fracas- so et anichilatione, ché si pd far fermo iudicio che Dio habia evaginato la spada de la iustitia et revoltato il vaso de I’ira sua sopra la generatione huma- na. Vostra Signoria non si meravigli se parlo in questo modo ~ scriveva da Ostia a Giovanni Giacomo Calandra il 17 maggio ~ perché, se ancor lei havesse visto quello che ho io, la diria il medesimo e la concluderia che fos- sero venuti li di de la tribulatione et de le angustie. Analogo fu il parere espresso da un ufficiale dell’esercito imperial, Gian Bartolomeo Gattinara, che I’8 giugno del ’27 volle scrivere all’imperatore per riferirgli tra l’altro delle basiliche depredate, dei palazzi vaticani invasi e saccheggiati, delle sacre reliquie barbaramente profanate dall’ «alamanni- ca bestialita»: «Io so certo che a Vostra Maesta come ad imperatore cattoli- co e cristianissimo dispiacera ancora tanto strazio e vilipendio della citta di Roma: vero & che ognuno tiene per certo che questo sia successo per giudi- zio di Dio, perché la corte romana era posta in molta tirannia e disordi- ne»'!?_ E lo stesso Carlo V cercd di legittimare lo scempio perpetrato dalle sue truppe sforzandosi di negarne la diretta responsabilita e di sminuirne Peffettiva portata, ma soprattutto attribuendolo a un insondabile disegno prowvidenziale, a un «usto juicio de Dios»", «Bs sentencia de Dios: plega 4 61 que no se desdefie contro los que lo hazen», gli aveva scritto da Roma il 27 maggio il commissario generale dell’ esercito"™, 4 Alessandro Luzio, Isabella d’Este e il sacco di Roma cit, p. 126; ef. p. 129. "211 sacco di Roma del 1527 cit. pp. 491-530, cfr. p. 503; Antonio Rodriguez Villa, Memorias Cit., pp. 180 e segg. Sull’autore di questa missiva cfr. i chiarimenti offerti da Alfonso Corradi, Gian Bartolomeo Gattinara e il sacco di Roma nel 1527, «Atti della R, Accademia delle scienze di Torino», XXVI, 1891-92, pp. 238-56. 9 Cf. la lettera datata da Valladolid il 2 agosto 1527 ¢ inviata da Carlo V a Giovanni IIT det Portogallo ed Enrico VIII d’Inghilterra in spagnolo e a Sigismondo I di Polonia in latino, pubblicata da Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit., pp. 254 e segg.; oft. Vicente de Cadenas y Vicent, El ssaco de Roma cit. pp. 397-98; Maria Ludoviea Lenzi, 1! sacco di Roma cit, pp. 136-40. Si veda anche quella da lui indirizzata al cardinal Giovanni Salviati il 28 luglio nella quale, sottolineando (come in quella appena citata) il fatto che il sacco era avvenuto «praeter spem voluntatemque ostram», affermava che quelle truppe di sbandati «ad summam hanc impietatem insano quidam furore, vel Dei potius iuditio ductifuerunt»: Bemardo Morsolin, Una lettera di Carlo Val cardinale Giovanni Salviati, «Archivio storico italiano», serie II, XU, 1870, pp. 3-7. 44 Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit. p. 124; ft. anche Colleccién de documentos inédi- 10s, vol. VI cit. p. 450. Dal sacco di Roma all‘Inquisizione Di «giusta ira di Dio» parlera in futuro anche Ludovico Guicciar- dini"'S, che pur nelle pagine pit traboccanti di indignazione non man- chera di scagliarsi contro le antiche colpe e gli innumerevoli vizi dei «vezzosi e delicati prelati» della curia romana, contro «l’insaziabile appetito e nefande voglie di tanto sfrenati prelati e cortigiani», contro una generale corruzione invano mascherata dalle «simulate cerimonie» del sacro culto, contro quella caterva «di cardinali, [...] patriarch, arcivesco- vi, vescovi, protonotari, generali, provinciali, guardiani, abbati, vicari, insieme con l’altra ridicola e infinita turba dei moderni titoli di religiosi, che non onoravono ma oneravono (latinamente parlando) la cristiana religione»"®, Di qui la severa denuncia implicita nelle parole con cui sot- tolineava come quei «vasi d’oro e d’argento» rapinati nelle chiese da «saccomanni e da vilissimi furfanti» fossero «dimostrativi pit delle su- perbe ricchezze e vane pompe della romana corte che della umile povertd e vera devozione della cristiana religione»"”, Ancor pitt aspre saranno le parole di altri fiorentini, come Benedetto Varchi, lapidario nello scrivere «che mai non fu gastigo né pit crudele né pit meritato»"’, 0 come il filo- mediceo Francesco Vettori che, a Roma in quei giorni terribili, vi aveva scorto in tutta evidenza «uno esempio che li uomini superbi, avari, omi- cidi, invidiosi, libidinosi e simulatori non possono mantenersi lungamen- te»"9. E in un dialogo composto all’indomani del sacco, accennando anch’egli all’esigenza di un’ indilazionabile riforma, si diceva meraviglia- to del fatto che una simile punizione divina, «che i peccati di Roma meri- tano», fosse venuta proprio durante il regno del migliore dei pontefici da oltre mezzo secolo — «uomo giusto e uomo di Dio», come lo aveva defi- nito un ambasciatore veneziano'° ~, quel Clemente VII che aveva espresso il proposito «di ridurre la Chiesa non voglio dire come quella primitiva, ma in modo che si sarebbe giudicato all’apparenza di fuora che li pontefici, cardinali e altri prelati, se non potessino essere imitatori di "5 Luigi Guicciardini, 1! sacco di Roma cit., p. 125; cfr. anche pp. 132, 177 ¢ sege. 461i, pp, 233, 237, 239-41 1 Wi, p. 204. § Benedetto Varchi, Storia fiorentina cit. vol. I, p. 127. 4 Alfredo Reumont, Sommario della storia d'Italia dal 1511 al 1527 composto da Francesco Vettori. Con notizia delta vita di Francesco e di Paolo Vettori, «Archivio storico italiano, V1, 1848, pp. 261-387, cfr. pp. 380-81 "89 Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il secolo XVI, cura di Eugenio Albéri, setie Il, vol I, Firenze, Societd editrice fiorentina, 1841, p. 126 (relazione di Marco Foscari, 2 git- gno 1526). A sacco di Roma del 1527 39 Cristo, almanco potevano non li essere in tutto contrarii, come sono stati da molto tempo in qua»"*', Lo stesso Pietro Aretino, che pochi giorni prima su richiesta della corte romana si era rivolto all’imperatore per sol- lecitare la fine dell’occupazione militare della citta e la liberazione del pontefice, alla fine di maggio del ’27 non si peritava di scrivere a que- st'ultimo che la sua drammatica prigionia non aveva fatto altro che rive- lare «a tutto il mondo la giustizia con cui il cielo corregge gli errorin'™. Anche a Roma, d’altra parte, tra le vittime stesse risuonarono voci analoghe. II cardinale filoimperiale Pompeo Colonna, per esempio, che pure I’anno precedente aveva scagliato un violento attacco contro la citta, vera e propria prova generale del sacco, al suo rientro a Roma guardera attonito a quello scempio, vedendo in esso «non imperatoris aut militum ipsius [...] opus, [...] sed Dei omnipotentis»"?, Qualcuno, come il san- guigno notaio Micinocchi, si limitd ad accompagnarne la truculenta descrizione con un cumulo di vituperi all’indirizzo dell’inetto pontefice che a suo giudizio ne recava la responsabilita, «venditor Urbis et orbis [...] aetatis magna ruina suae», «infamia mundi, imperii labes spurcities- que sui, contemptor divi sceleris vir, publicus hostis, perfidus, ingratus, raptor, iniqu[u]s, atrox»!, Ma ci fu anche chi non mancd di scorgere nelle proprie stesse ferite i segni del «tempo qual Idio per iusto giuditio suo voleva gastigar il popul romano per li soi peccatin, come loscura suor Orsola Formicini, che aveva potuto assistere allo scempio perpetrato nel suo monastero da quella «gente barbara, fiera et crudele, inimicha de Dio et delli santi, sensa reverentia o respetto» e che nella sua scarna Cronica non risparmid esecrazioni nei confronti di quelli soldati impii et profani», giunti al punto di decapitare il bambin Gesii nel presepio e di profanare le ostie, tra i quali molti erano stati i «luterani», «bestie [...] inimici de Dio [...] persone sacrilege, scelerate, inique et pieni d’ogni impieta, degni de foco eterno, [...] leoni schatenati, [...] porci, [...] rapa- "21 Brancesco Vettori, 1 sacco di Roma, in I! sacco di Roma del 1527 cit, pp. 409-67, eft. pp. 424, 447 e segs. "2 Pietro Aretino, Lettere, a cura di Francesco Flora, Milano, Mondadori, 1960, pp. 15-175 cf. anche Alessandro Luzio, Un pronostico satirico di Pietro Aretino (1534), Bergamo, Istituto italiano @artigrafiche, 1900, p. 29. "2 Alosis Roniae cit, p. 17; eft. anche p. 27: «Haec consilio omnipotentis Dei ita gesta sunt, ut posteritas velut in speculo coram videre possit providentiam divinam criminosum hominum genus facinorosis alis ulcisci et punire solere 1 Antonino Bertolott, Note sincrone sui papi dalla meta del secolo XV a quella del XVI ¢ sul sacco di Roma, «Archivio storico, attstico, archeologico ¢ letterario della citta e provincia di Roma», VII/4, 1881, pp. 241-55, eft. pp. 250-52. 40 Dal sacco di Roma all'Inquisizione ci lupi»'?*. «Deus fortasse volebat ulcisci ab impietatibus quae Romae exercebantur», scrisse un altro testimone oculare, I’«Alemannus» (in realta olandese) Cornelius de Fine, la cui virulenta invettiva, densa di re- miniscenze profetiche, colpiva non tanto i barbari profanatori responsabi- li di quell’atroce «iuditium Dei», quanto il pontefice e la corrotta curia che lo circondava'?®; Deus omnipotens ob malum Urbis et cleri regimen non potuit amplius sufferre tantas Urbis ignominias: ibi omnia mundi scelera committebantur; ibi maior peccatum [sic] cleri vana gloria, nulla penitus religio nisi simulata et ficta hipocritarum, simoniae labes amplissime diffusa per Urbem, avaritia validissima, usura caput Urbis maxima libertate et sine freno, nulla iustitia sed omnia pro voluntate discernebantur, stupra, sacrilegia, ita quod vix virgo monialis et matrona inveniretur pudica, et in aliis illicitis Urbs quasi Sodoma sine verecundia facta erat et nulli fides servabatur. Ergo indignatio omnipo- tentis venit super Urbem ut commissa delicta plangerent et ad creatorem suum se converterent. Ob haec scelera iratus Altissimus misit ignem in ossi- bus eorum et rapida hostium manu abstulit omnia bona ecorum et pretiosa dedit sceptra eorum extraneis et honorem eorum inimicis, et facti [sunt] aliis in derisum et scandalum ob multitudinem peccatorum. Giudizi analoghi vennero espressi dal cronista Marcello Alberini, che pure — come si é visto — non aveva risparmiato contumelie all’ indirizzo di Carlo V. Inguaribile [audator temporis acti e geloso custode della tra- dizione repubblicana, fieramente ostile al governo papale e ai Medici, anch’egli intravide nel sacco un segno dell’indignazione divina «per le nostre colpe». In futuro |’Alberini non manchera di denunciare con durezza l’empieta di «quella immanissima bestia di Lutero» e della «fal- sa sua dottrina», ma non meno aspre risuonarono allora le sue parole cpntro «quegli indegni preti», inetti a «con pid giudicio governarsi» nella politica europea, contro la loro «avaritia cosi intensa», contro le loro «insopportabili et odiose gravezze che ogni di ce imponeno pit per satia- re li sfrenati e insatiabili desideri loro che per bisogno o necesita che ne habbino», incapaci di conquistarsi il rispetto «con li boni esempi et con una vita santa» e quindi di farsi «con le censure temere et reverire da tutti "5 Cronica del monastero di S. Cosimato: Biblioteca Apostolica Vaticana, Var. Lat. 7933, ce. 49r-61y, ofr. cc. 56re sege, "6 Ephemerides historicae ab anno 1511 ad annum 1531: Biblioteca Apostolica Vaticana, Ortob. Lat. 2137 (altra copia ivi, 1613; i volumi suecessivi ~ relativi agli anni 1536-1543 e 1544- 1548 ~ sono ivi, 1614 € 2138), pp. 163, 167-68, H sacco di Roma del 1527 41 i principi, i quali ispaventati (come gid quel Attila dal buon Leone) teme- vano pit la santa poverta della Chiesa che non honorano hoggi la gran- dezza della pompa, per le opere di chi la governa poco christiane»"”’, La scandalosa corruzione della corte romana, tanto a lungo denunciata e inu- tilmente deprecata nei decenni precedenti, offriva cosi una sorta di embrionale motivazione di quanto era accaduto, collocando quella cata- strofe in una sorta di disegno provvidenziale e attestando una volta di pid il costante intervento divino nella storia. Significativa & in tal senso un’ottava del gia citato poemetto La presa et lamento di Roma'™*: Gia fui sepulcro de pitt corpi santi, ma per li enormi mei commessi falli spartiti via da me son tutti quanti. Gia di preciose pietre, ori e metalli adorno fu di Pietro il sacro tempio; ora fatto 2 stalla d’asini e cavalli. Gia fui di castita nel mondo essempio, or son corrotta da ‘sto popol empio. Particolarmente interessanti risultano da questo punto di vista le rea- zioni di un personaggio come Iacopo Sadoleto, il raffinato umanista vis- suto a lungo nella curia romana al servizio dei papi medicei, personal- mente legato da un rapporto di devozione e di stima sincera nei confronti di Clemente VII, che una fortunata decisione aveva indotto a lasciare Roma una ventina di giorni prima del sacco per dirigersi alla volta della sua diocesi di Carpentras, con il proposito di esercitarvi il suo ministero pastorale e trovarvi la pace e il raccoglimento necessari ai suoi studi. «Dolore et [...] affanno», «ferita che nell’animo mio é insanabile» saran- no le sue prime, affrante reazioni alle notizie sulla tragica «rovina et cala- mita» che aveva brutalmente colpito il centro della cristianita, I’Italia tutta e tanti suoi amici; ma anche —e pur con qualche oscillazione di giu- 21 Domenico Orano, I! sacco di Roma cit., pp. 270, 292-93, 385; su di lui cft. dello stesso Orano, Marcello Alberini e il sacco di Roma del 1527, Roma, R. Societa romana di storia patria, 1395, Lament storici, vol. IN cit., p. 362; eft. p. 372. Per alti analoghi versi eft. Don Harran, The «Sack of Rome set o Music, «Renaissance Quarterly», XXII, 1970, pp. 412-21 ¥ Tacobi Sadoleti, Epistolae quotquot extant proprio nomine scriptae, voll. 3, Romae, Generosus Solomonius, 1760-1764, cfr. vol. I, pp. 179, 193, 218, 224-25, 316; si veda in merito Richard M. Douglas, Jacopo Sadoleto 1477-1547 Humanist and Reformer, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1959, pp. 54 ¢ segg. ee 42 Dal sacco di Rome all'Inquisizione dizio — consapevole amarezza di chi gid in passato aveva visto «le cose drizzate a l’infortunato essito» e troppo bene e da troppo tempo sapeva che «il secolo corrotto et i costumi della corte hanno tirato adosso la si grande ira di Dio». Di cid, del resto, di aver previsto «praeterita mala atque praesentia multo ante quam fierent», gli dava atto un amico come Girolamo Negri, scampato a stento da Roma «nudus rerumque omnium egenus», in una lettera del 12 luglio in cui ricordava quanto il Sadoleto stesso gli aveva detto alla vigilia della sua partenza «de impendenti Urbis excidio, de Italiae vastitate atque imminenti totius fere christiani orbis tuina». «Nemo est fere qui non palam dictitet nos erratorum nostrorum poenas luere», aggiungeva, chiarendo il senso di quelle parole e lamen- tando il fatto che i profughi dalla citté devastatata fossero stati ovunque accolti non solo «nulla humanitate, sed etiam Iudibrio probrisque [...], quasi dignos fortuna in quam miserrime concideramus»: giudizio certo ingiusto per degli innocenti, ma non del tutto arbitrario tenendd conto del fatto che quella catastrofe li aveva colpiti appunto a Roma, «hoc est in sentina omnium rerum atrocium et pudendarum»™! Nella ricorrenza dell’anniversario del sacco, il 15 maggio 1528, il vescovo Giovanni Stafileo volle commemorare I’evento a Roma con un’orazione pronunciata al cospetto dei suoi colleghi della sacra Rota, per ricordare tra I’altro le gravi devastazioni subite da quel tribunale. E anch’egli, cercando di dare un senso complessivo a quei fatti, non poteva scorgervi se non la mano di Dio stesso, «acerrimus vindex scelerum et flagitiorum nostrorum», che «per manus scelestissimorum hominum vel, ut verius dicam, saevissimarum ferarum iusticiam indixit»"?, La sua ri- © Jacobi Sadoleti, Epistolae cit, vol. 1, p. 178 (a Giovan Francesco Bini, Carpentras, 8 giugno 1527). Di qui il suo voler prestar fede al fatto che «queste cose sono contro la volonta et mente del- Vimperatore; ovvero pid fede non & al mondo» (ivi, p. 180). ‘8 Ivi, pp. 189-91; si veda anche ivi, pp. 192-97, la risposta del Sadoleto, datata da Carpentras 11 settembre, in cui si diceva anch’egli convinto che, se tutti avessero fatto il proprio dovere, «quod nunc ad omnium iniurias et contumelias proiectum est, in pristina sua veneratione maneret sacerdotium: sed recordaris profecto reliquorum ordinum morumque communium labem et confusio- nem. Quod ego accusando non insequar, non quia causa fuerunt universae calamitatis, sed quia non possum commemorare sine dolore quae et Urbi omnium nobilissimae et hominibus multis mihi necessitudine iunctis infanda et atrocia contigere»; nonché le successive lettere al Bembo del 3 novembre (pp. 207-10; la risposta di quest’ ultimo del 14 dicembre @ a pp. 210-15) e al cardinal Salviati del 3 febbraio e 5 maggio 1528 (pp. 217-20, 223-25). Cfr. anche la lettera spedita da Roma in Germania nel dicembre del "27, edita da Johannes Mayerhofer, Zwei Briefe cit., p. 755. % Joannes Staphileus, Orato [...] die Veneris 15 Maii anno 1528 habita, lectorem candidum haud dubie docens priscos prophetas teterrimam ac lachrymabilem Urbis direptionem signanter sub nomine Babylonis vaticinatos fuisse, s.n4. (Roma, 1528], p. [Ailv. L’opuscolo, apparso nello stesso anno anche in traduzione tedesca, verra poi ripubblicato in Historiarum opus, vol. I, cit, pp. 1858-60, € in Alosis Romae cit., pp. 28 e segg. Cft. André Chastel, Il sacco di Roma cit., pp. 174-75. I sacco di Roma del 1527 43 sposta alla domanda che ciascuno allora si poneva sul perché («quasve ob causas tot et tam gravissima incommoda nobis evenere?») insisteva quindi sulla necessita di accusare anzitutto sé stessi: «Quia omnis caro corruperat viam suam, eramus omnes cives et inhabitatores non Romae urbis sanctae sed Babylonis urbis peccatricis»™, E qui, nell’identifica- zione della sede papale con la corrotta citta delle antiche profezie dell’ Apocalisse giovannea, era il punto focale del suo appassionato e dolente discorso che, lungi dal soffermarsi sulle responsabilita politiche di quella vicenda, la collocava nella prospettiva di una storia sacra che si approssimava al suo compimento, alla consumazione dei tempi, e assiste- va al realizzarsi di bibliche minacce: «Quoniam pervenerunt peccata illius usque ad coelum et recordatus est Dominus iniquitatum eius, ideo in una die venient plagae eius; mors, luctus et fames desolatam facient illam et nudam et igne ipsam concremabunt»'**, Le guerre d'Italia, il connestabile di Borbone, Carlo V ¢ lo stesso Lutero scomparivano del tutto da questa visione profetica e dal coraggioso appello riformatore cui approdava, appello che tuttavia — coerentemente con le sue premesse — restava sul piano etico e individuale, senza neppure sfiorare quei proble- mi di ordine dottrinale, istituzionale e pastorale che altri (come si vedra) non avrebbero mancato di sollevare: «Quas ob res — concludeva lo Stafileo -, cum omnes deliquerimus, emendemus deinceps in melius quae ignoranter aut animo peccavimus»!"5, «Cur [Deus] passus est sacra prophanari?», si chiedera di 1a poco il cardinale Egidio da Viterbo nella sua Scechina: «Non sacra prophanari, sed prophanata sacra vindicari tandem permisit — cosi suonera la sua risposta —; sacerdotii enim munus ut divinissimum ita oportet esse mun- dissimum». Carlo V e il suo esercito diventavano cosi lo strumento di cui Dio stesso si era servito per purificare la sua Chiesa: «Te vero quem volueram absentem per exercitum purgatorem misi statim religionis, sacerdotii, dignitatis praesentem restitutorem atque instauratorem, ut caveant posthac, sibi prospiciant, sacerdotio consulant, intelligantque me ~8 Iddio che parla - odisse non sacra sed prophana, non Urbem sed cul- pam, non religionem sed mores»"*, «E] tempo & gionto», scriveva allora un poeta napoletano, guardando all’Italia e alle molte sciagure che da »® Toannes Staphileus, Oratio cit. p. Aiiv. Tui, p. Ailiv; eft. p. [Aiv}r: «Magna est profecto ira quando in sua casta, in sua tentoria, in ‘su0s denique milites saevit imperator» °S vi, p. Ail. 6 Cfr, Frangois Secret, Le symbolisme de la Kabbale chrétienne cit. pp 142-43. 44 Dal sacco di Roma alt'Inquisizione troppi anni la tormentavano: «Adonque io te exorto / a ritornare a Dio con penitentia. / [...] / Convertiti al Signor, superba Italia, / tante volte chiamata; hor non star pit, / ch’io temo ch’el pentir pitt non ti valia»™?. Con particolare attenzione, infine, le vicende del sacco furono seguite a Modena, che proprio in considerazione di quella svolta politica passd definitivamente dal dominio papale a quello estense. Un cronista di straordinario talento, l’austero notaio Tommasino de’ Bianchi detto Lan- cillotti, non mancd qui di registrare con la consueta cura tutte le voci e le notizie giunte in citta, via via pit colpito dalla violenza di quei fatti, dal loro significato simbolico, dal realizzarsi di antiche profezie che in essi si manifestava con luminosa chiarezza: «Credo [...] caso ocorso sia per iuditio de Dio», scriveva'®8, senza nascondere la speranza «che questa volta se finira le guere de Italia che dal 1494 sino a questo di ge sono sempre state» la sua fiera ostilita per l’inetto governo pontificio, I’intol- lerabile corruzione e ignoranza del clero, |’ offensivo fasto della curia, per le grande estorsion e tiranie che se facevano in Roma e li grandi piaceri de 18,000 putane che gerano, Ogni cosa coreva, putane, bardase e sodomiti, € tuto quello che si doveva spendere in adornamenti e bono governo della fede se spendeva in le cose soprascrite et in adornamenti de mule, cavali, grandi corte, grandi palaci bene adobati e altre vanita asai. De li reverendissi- mi cardinali ge n’era asai piti de 40, la magiore parte ignoranti e de basa con- dition, mal costumati, inimici de Dio e de’ santi: se stimavano como essere cardinali e como dei, et erano grandi ignoranti pieni de vitii e desonesta, et era venuta la Gexia in tanta abomination che ogni homo profetava che I’an- dava in ruina"™®. [...] Quello che & accaduto & stato per le cause sottoscrite: perché el non se credeva se non in oro e argento, cavalcature, corti, ben vestire e meglio mangiare, ¢ la mancha parte era el culto divino e la pit parte era la ruina de la Italia e de tuta la cristianit&: e Dio ha fato grande miracolo a punire tuta Roma da capo a piede con li spagnoli ¢ lanzechenechi como ha fato, et hano punito li boni et li tristi, e ancora non é finito™, 7 Si veda il raro opuscoletto Juditio sopra tutta alia quale @ stato trovato nella cittd di Roma in una pirramida sotto terra stata quaranta quattro anni, di cui cito alcuni versi pubblicati da Domenico Fava, La fortuna cit. pp. 147-48. Lancillotti, Cronaca modenese, cit. vol I, p. 223: ef. pp. 224, 304. © Tvi, pp. 218, 263: «Ben 2 stato vero ~ aggiungeva ~ quelo dico io Thomasino Lanceloto modenexe, perché 17 anni fa che questa cita de Modena & stata sotto la Gexia per la magior parte siamo stati mangiati e ruinati da soldatie da decime poste da li papa pasati e da questo del presente & pocha iustitia, tantoché la iusttia de Dio & sopra de lori» (pp. 263-64). "9 vi, p. 304, H sacco di Roma det 1527 45 Un giudizio di fuoco, che spiega come il Lancillotti potesse descrive- re quegli strazi inauditi e la «carastia grande e morbo grande» che aveva- no poi infierito sulla desolata citta, «cose inaudite dapoiché il mondo & mondo», senza una parola di commiserazione e di pieta, attribuendo anzi alla «volonta de Dio» la violenza del sacco e all"inetta ambizione di Clemente VII la responsabilita di aver scatenato la guerra con il suo vol- tafaccia antimperiale''. Di qui la reazione di Carlo V che aveva fatto calare in Italia il suo esercito di spagnoli ¢ lanzi tedeschi, «la pid trista generation che avese in Lamagna, che sono de le parti de Martin Utero heretico», fin troppo entusiasti di poter infierire sulle chiese, sugli oggetti sacri, sui preti, «sterminati in qua e in 18 come fa il lupo le pecoren: «Tute queste cose sono state predette molti anni fa da li predicatori e nisuno lo credeva; se pensa che mai pid a li nostri giorni tornara Roma in lo essere suo, se altre non vene», concludeva'®, 6. In molti di questi commenti e valutazioni il sacco acquisiva dunque il senso di un monito severo, di una traumatica sollecitazione a una coraggiosa riforma troppo a lungo procrastinata. In questa prospettiva anche quelle stragi orrende, quelle profanazioni sacrileghe finivano con Vassumere un valore provvidenziale e trovare quindi giustificazione e legittimita. Non stupisce che fosse soprattutto entourage di Carlo V e della corte spagnola, sui cui gravavano le responsabilit’ prime di quell’e- pisodio ¢ il peso stesso della dignit’ imperiale, a farsi carico di una rifles- sione volta a sottolineare anzitutto l'esigenza di un profondo rinnova- mento morale ¢ istituzionale della Chiesa di Roma, La controffensiva propagandistica volta a rispondere alle gravi accuse piovute da pitt parti finiva in tal modo con I’incontrare e far proprie alcune delle tensioni ideali dell” umanesimo cristiano, della cultura erasmiana e del suo energi- co impegno riformatore. Lo stesso valore simbolico di quello scontro tra i supremi poteri della cristianita, il suo esito clamoroso ¢ le inaudite atro- cit& che vi si erano consumate, il suo caricarsi di angosciose valenze chi- liastiche, la sua capacita di evocare immagini, miti, memorie del passato, il suo accompagnarsi a scismi e dilaganti eresie, contribuivano a estrapo- "1 Iyi, p. 207 (eft. p. 264); 270-71: «Chi vedese Roma a quello che ela era quando era in fiore non se ne poria dare pace: tute le case abandonate, desente, piene de ledamo, de homini e bestie ‘morte, e non se ge celebra mesa, el non g'@ botega se non poche; se uno infirmo el more de stento per non ge essere medico né medicine, né ove né polastri. [..] Tutti li offi et offitiali ruinati ¢ Te scripture bruxate>, 42 Ji, pp. 270-71. | 46 Dal sacco di Roma all"Inquisizione lare il sacco dalle vicende politiche e militari delle «guerre horrende de Italia» e fargli acquisire diverso spessore e significato, inserendolo in una drammatica cornice religiosa e profetica. Era appunto in questa prospettiva che i continui successi asburgici assumevano connotati miracolosi agli occhi dell’ambasciatore spagnolo a Genova, don Lope de Soria, che il 25 maggio 1527 scriveva a Carlo V invitandolo a ringraziare Iddio di tanta benevolenza «y pensar que tales cosas las permite con todo misterio porque su vicario y los otros principes cristianos conoscan ser su voluntad de castigarlos por mano de Vuestra Magestad como su verdadero siervo y cat6lico principe». Non diversa Ja lettera indirizzata da Roma qualche giorno prima alla cancelleria impe- riale da Francisco de Salazar: «Es gran dolor de ver esta cabeza de la Iglesia universal tan abatida y destruida, y se dello se ha de conseguir algun buen efecto, como se debe esperar, en la reformacién de la Iglesia, todo se ternd por bueno: lo cual principalmente esté en manos del empera- dor y de los perlados de esos reinos»". E anche il generale dei francesca- ni Francisco de Quifiones, giunto a Roma nel luglio per discutere I’accor- do col pontefice e ricevere il cappello cardinalizio, indicava a Carlo V il terreno della riforma come quello sul quale si sarebbe misurata la sua capacita di riscattare quell’atroce episodio e di ottemperare ai doveri impostigli dalla sacra dignita imperiale, smentendo con i fatti quanti ave- vano osato accusarlo di essere stato solo un «capitano di Lutero»"**. Non @ un caso, d’altra parte, che proprio all’indomani della dolorosa ferita inferta dal sacco la necessita di un’ incisiva riforma che esso aveva drammaticamente evidenziato si affiancasse (ma non sempre si collegas- se) con quella di un’altrettanto energica lotta contro le eresie d’oltralpe. Neanche il pur minimo accenno alla crisi morale dell’istituzione eccle- siastica trapelava per esempio dalle pagine su quelle vicende scritte da Leonardo Santoro, che invece vi inseriva uno stravolto profilo di Martin Lutero, sentina d’ogni vizio, «rapito d’un certo impeto bestiale ed impor- tuno», uomo «detestabile e funesto al genere umano nato, come si crede, di seme supposto del diavolo di cui egli confessava d’esser familiare, sporco di vita e bestialmente lussurioso», in cui si delineava a tutto tondo la precoce immagine in chiave demoniaca dell’eresiarca di Sassonia'*®: 9 Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit, pp. 166-67; eft. Colleccidn de documentos inéditas, vol. VII cit, p. 464. Antonio Rodriguez Villa, Memorias cit. p. 162, 8 Cf, Judith Hook, The Sack of Rome cit, pp. 281-82. © Leonardo Santoro, Dei success cit. pp. 3-4 HI saceo di Roma del 1527 47 Lutero ¢ i suoi seguaci, non bastando a loro d'avere sradicato Cristo nostro redentore dagli animi de’ popoli, hanno cercato e cercano indurvi il maomettismo [...]. L’eresia luterana e sue seguaci sono tutte fondate in bia simare ¢ lacerare la corte romana, le cerimonie antiche, i concili, i canoni e le dottrine de” santi padri, ed in turbare la pace e quiete comune, appoggiate e stabilite sopra la carne ¢ la gola ed imbriachezze, spregiando Dio ed i santi ed ogni legge divina ed umana [...], publici nemici d’uno Stato moderato e giusto, seminario perpetuo di discordie e di ruine. Un filo rosso lega indubbiamente queste posizioni a quelle che in futuro, con ben altro prestigio personale e ruolo istituzionale, affermera anche suo figlio Giulio Antonio Santoro, elevato alla dignitd arcivescovile da Paolo IV e alla porpora cardinalizia da Pio V per i suoi meriti di intransi- gente persecutore di eretici, autorevolissima guida per molti anni del supremo tribunale dell’Inguisizione romana. Del tutto privi di ogni sia pur minimo accenno ai temi della riforma della Chiesa risultano altresi gli 8 fogli di un Lamento de Italia contra Martin Lutherano in terzine, apparso forse a Bologna nel 1530 in occa sione dell’ incoronazione imperiale, opuscoletto di grande interesse per Hi precocit’ con cui si rivolgeva in volgare a un ampio pubblico, additando con notevole lucidita il pericolo di una larga diffusione nei ceti popolari delle dottrine d’oltralpe, di cui coglieva e denunciava la valenza liberato- ria, Ia capacit& di offrire risposte convincenti a bisogni religiosi larga- mente diffusi. II lamento pronunciato da un’ Italia afflitta, «in tale stato / che se Dio non I’ajuta in tanti guai / la star’ peggio che non stesse mai», si ricollegava con esplicite allusioni alle tragiche vicende del sacco: «lo fui gid Italia fior di tutto el mondo, / un fonte vivo di ricchezza tanta; / hor par che di straziarmi et porre al fondo / ogni vil tramontan si gloria et vantam. Di qui il tradizionale, scontato appello al papa, all'imperatore, al re di Francia e a tutti i principi della penisola a consolidare la pace e a impegnarsi in un rinnovato sforzo crociato, che tuttavia ~ segno dei tempi nuovi — avrebbe dovuto rivolgersi verso un duplice obiettivo, «'), attento alla sostanza e non alla forma delle cose. Un cristianesimo che in ogni momento rischiava la persecuzione da parte di coloro che avevano arbitrariamente «usurpato nome di perfettione et santitio, quei frati cio’ che non appena «veggono alcuno che con operationi 0 con parole inco- mincia a dimostrare in che consista la perfettione christiana, la religione et santita che i christiani deono tenere, subito come lupi rabbiosi si levano contra quel buono perseguitandolo senza fine, interpretando con malvagio senso le sue parole, rimproverandogli che habia detto quel che non pensd pur giamai, lo accusano et si sforzano di farlo condannare per heretico. Di modo che a pena vi & huomo che ardisca parlare né vivere come vero chri- stiano»'®, concludeva Alfonso de Valdés, certo pensando ai suoi maestri, primo fra tutti Erasmo da Rotterdam. E significativo del resto il fatto che il grande Erasmo, il padre ricono- sciuto della cultura europea, non reagisse con particolare enfasi alle noti- zie su quella direptio Urbis che, con la devastazione dei palazzi curiali e cardinalizi, con la fuga di letterati'™, pittori, scultori, architetti, con il vi, pp. 85-86. “vi, p. 157, © Wi, p. 250. CFE. Episiola in qua agitur de incommodis quae in direptione urbana passus est, pubblicata in appendice a Lilii Gregorii Gyraldi, Dialog! duo de poetis nosirorum temporum, lorentie, 5. 60 Dal sacco di Roma all" Inquisizione saccheggio delle sue biblioteche («patebant librariae tabernae...»5), segnd la fine della grande stagione dell’umanesimo romano e, come scrisse il Vasari, «fu cagione che all’arti per un tempo si diede bando»'*, Inutilmente Iacopo Sadoleto lo sollecitd a intervenire con tutto il suo pre- stigio per condannare quello scempio inaudito. Anzi I’anno successivo, nel suo dialogo Ciceronianus, egli volle pubblicamente attaccare il vacuo purismo stilistico, lo sterile culto archeologico dell’ antichita, il formali- smo retorico degli umanisti paganeggianti che affollavano una corte papale superba e corrotta, pervicacemente disattenta ai suoi compiti pastorali e del tutto insensibile alle inquietudini, alle tensioni, alle lace- ranti fratture che travagliavano la respublica christiana, ormai inconteni- bili nell’alveo delle certezze e delle gerarchie tradizionali'™, 1551, pp. 113 e segg., versi in cui egli narrava la sua fuga da Roma nei giorni del sacco e piangeva il doloroso destino di tanti che come lui avevano dovuto abbandonare Ia corte romana e vivevano ora in povert, dispersi per la penisola 8 Cesar Grolier, Historia expugnatae et direptae urbis Romae cit., pp. 84-85. % Giorgio Vasari, Le vite de” pit eccellenti pitti scultori ed archirettori, a cura di Gaetano Milanesi, voll. 9, Firenze, Sansoni, 1878-1885, cfr. vol. V, p. 225. Sulla crisi nel mondo artistico romano ¢ sugli esti stilisticie figurativi da essa indoti cfr. André Chastel, 1! sacco di Roma cit. pp. 136 segg, "9 Cir. André Chastel, Il sacco di Roma cit. pp. 112¢ segs. IL IL PROBLEMA STORICO DELLA RIFORMA ITALIANA EJUAN DE VALDES 1. A differenza della Spagna, dove le dottrine protestanti conobbero una diffusione sostanzialmente circoscritta a piccole comunita toletane, sivigliane e aragonesi, I'Italia del Cinquecento vide un diffuso pullulare di gruppi eterodossi. Chierici e laici, uomini e donne, aristocratici e gente comune, intellettuali e umili artigiani diedero vita a un movimento ereti cale articolato in tutta la penisola, capace di costituire gruppi efficace- mente organizzati e vere e proprie Chiese clandestine, di alimentare una corposa emigrazione verso le terre d’oltralpe fino agli anni ottanta del 500 e oltre, di promuovere non solo la circolazione di libri luterani 0 calvinisti, ma una cospicua produzione di scritti dotati di peculiare creati- vit’ religiosa, in qualche caso destinati essi stessi a grande sucesso nel mondo riformato (si pensi al Beneficio di Christo 0 ad alcune opere di Juan de Valdés e di Bernardino Ochino). Ma, com’é noto, nessuna regio- ne o cittd italiana conobbe la Riforma protestante: neanche laddove — come a Lucca 0 a Modena! ~ le stesse classi dirigenti del mondo urbano furono largamente coinvolte nel dissenso religioso. La ragione & presto detta: oyunque in Europa la Riforma ebbe successo dove seppe intrec- ciarsi con robusti interventi e dislocazioni del potere politico (come in Germania, in Inghilterra, nel mondo scandinavo, nei Paesi Bassi pit tardi, e anche in Francia, nei decenni in cui la crisi della monarchia riapri le lotte delle fazioni nobiliari), mentre fall invece dove cid non avvenne. Fu il caso dell’ Italia, dove la millenaria presenza storica del papato e I'i- * Gf. Susanna Peyronel Rambaldi, Speranzee crsi nel Cinguecento madenese, Tension’ religiose ¢ vita cittadina ai tempi di Giovanni Morone, Milano, Angeli, 1979; Simonetta Adami Braccesi, «Una cinta infett, La repubblica di Lucea nella crisi religiosa del Cinqueceno, Firenze, Olschki, 1994, 62 Dal sacco di Roma all'Inquisizione nestricabile rete di legami, di dipendenze, di interessi che legava gli Stati e le classi dirigenti della penisola alla Chiesa, al suo sistema beneficiario, alla sua rete di poteri, al suo ruolo finanziario, alla sua burocrazia curiale, alla sua capillare presenza sul territorio, rappresentd un ostacolo insupe- rabile all’abbattimento di una struttura portante degli equilibri politici e istituzionali, economici e sociali vigenti. Una realt& che pud essere sche- maticamente riassunta nelle celebri parole con cui Francesco Guicciar- dini esprimeva tutto il suo rancoroso disprezzo per l’intollerabile «ambi zione [...] avarizia e [...] mollizie de’ pretin, ma sottolineava anche di essere stato «necessitato a amare per el particulare mio la grandezza loro»: «Se non fussi questo rispetto, arei amato Martino Luther quanto me medesimo», concludeva, anche se non certo per liberarsi «dalle legge indotte dalla religione cristiana nel modo che & interpretata e intesa com- munemente, ma per vedere ridurre questa caterva di scelerati a’ termini debiti, cio’ a restare o sanza vizi o sanza autorit’>?. Erede di una antica tradizione di anticlericalismo, nutrita di cultura umanistica, di rigore etico, di passione civile, che traspare anche dalle pagine della sua Storia d'Italia, uomo lontanissimo (cosi come Machia- velli) da ogni inquietudine di natura teologica, Guicciardini era tuttavia un sommo, disincantato esponente di una generazione ormai al tramonto. Negli anni in cui egli scriveva i suoi Ricordi, infatti, quelle inquietudini teologiche avevano ormai invaso anche I'Italia e il confronto con la Riforma d’oltralpe non era pit! soltanto una questione di politica ecclesia- stica 0 un affare interno della Chiesa, ma riassorbiva la tradizione anti- clericale dando ad essa nuovo spessore, diffondeva curiosita e interessi, si intrecciava con la crisi della religione civica del mondo urbano e con le sue ultime e ormai attardate tensioni profetiche, invadeva la predica- zione dal pulpito, suggeriva indagini e riflessioni, stimolava discussioni di idee e circolazione di libri, imponeva scelte morali e religiose non pid riservate alla cerchia dei dotti, dei chierici, dei teologi di professione. Non @ certo questa la sede per tracciare un pur sommario profilo della Riforma in Italia, della sua capillare diffusione, delle sue embrionali strutture organizzative, delle sue multiformi articolazioni sociali, dei suoi sviluppi dottrinali®. Mi limiterd soltanto a indicarne alcune peculiarita, * Brancesco Guicciardini, Ricord, in Opere, vo. Let, pp. 735-36. > Sulla Riforma in Talia mi limito a rinviare, anche per pit ampi riferimenti bibliografci, alla recente sintesi di Salvatore Caponetto, La Riforma protestante nell'halia del Cinguecento, Torino, Claudiana, 1992 (Il ed, 1997), e al mio profilo storico, Riforma protestante ed eresie nel halia del Cinguecento, Roms-Bari, Laterza, 1993 ‘La Riforma italiana e Juan de Valdes 63 che impediscono di definirla soltanto come una propaggine abortita della Riforma luterana o calvinista, il cui fallimento andrebbe cercato soprat- tutto nella severa repressione di cui fu fatta oggetto, specie a partire dalla riorganizzazione dell’ Inquisizione romana nel 1542. Le ricerche di Silvana Seidel Menchi, per esempio, hanno sottolinea- to il ruolo de! messaggio religioso erasmiano non soltanto come signifi- cativa premessa alla diffusione delle idee eterodosse, ma come persisten- te riferimento intellettuale e morale anche dopo la meta del secolo, quan- do il solco che divideva il grande umanista di Rotterdam non solo da Lutero ma anche dai suoi discepoli svizzeri si era ormai rivelato in tutta la sua profondita. Non v'é dubbio che proprio I’assenza di solide struttu- re ecclesiastiche e di una qualche autorit’ normativa, la dispersione dei gruppi ereticali e il conseguente permanere della Riforma italiana a uno stadio incoativo, embrionale, attento a definirsi essenzialmente come riappropriazione del sacro (di qui I'importanza dell’uso del volgare) con- tro la corruzione, gli abusi e I'ignoranza del clero e contro le pratiche religiose e cultuali di una pietd superstiziosa e oggettualizzata, contribui- rono a preservare lintatta freschezza della lezione erasmiana. E contri- buirono anche a ostacolare la comprensione della sostanziale alterita del suo progetto di riforma cristiana, fondato sulla pacata riproposizione delle originarie istanze etiche del messaggio evangelico, rispetto alla purezza dottrinale per la quale combattevano invece i teologi delle nuove Chiese. Mi pare significativo, in questa prospettiva, che Martin Butzer si affannasse da Strasburgo per sollecitare i ‘fratelli’ italiani a evitare di invischiarsi e dividersi sulle pericolose questioni eucaristiche che conti- nuavano a lacerare il mondo riformato’, lanciando appelli di moderazio- ne e di concordia sostanzialmente inutili, dal momento che tale questione non sembrd destare particolari interessi al di qua delle Alpi, dove i pro- blemi erano altri e diversi. Ma sarebbe un errore attribuire una sorta di semplicistica etichetta erasmiana allo spiritualismo (spesso non solo estraneo ma addirittura ostile alla dimensione dottrinale della vita religiosa) che parve contrasse~ gnare largamente, soprattutto in una prima fase, i fermenti eterodossi dell’ Italia cinquecentesca, ricollegandosi peraltro a specifiche tradizioni culturali, quali le eredita tardomedievali dell'eresia begarda, del libero * Silvana Seidel Menchi, Erasmo in lala 1520-1580, Torino, BollatiBoringhes, 1987, fe. Paolo Simoneelli,Inquisizione romana e Riforma in halia, «Rivista stric italiana», C, 1988, pp. 5-125, in particolare pp. 36 eseeg. 64 Dal sacco di Roma all'Inguiscione spirito, dei fraticelli, dalle quali non si pud prescindere — per fare un caso — nel valutare le origini cappuccine e quindi le radici prime della straor- dinaria esperienza religiosa di Bernardino Ochino*, Per poco che si affondi lo sguardo in quei fermenti eterodossi, infatti, ne emergono pecu- liarita sorprendenti, che ne motivavano e condizionavano lo stesso con- fronto con le nuove dottrine d’oltralpe, indicando percorsi originali ed esiti creativi, all’insegna di uno sperimentalismo ricco di aperture, di possibilita, di sincretistiche mediazioni e di ardite innovazioni. Come spiegare, per segnalare alcune delle peculiarita pid evidenti della Riforma italiana, il fatto che il dissenso religioso parve coinvolgere qui una folta schiera di gente comune, di artigiani, di insegnanti, di mercanti, ma anche prestigiosi intellettuali, affermati predicatori, dotti chierici e prela- ti, nonché alcuni personaggi ai vertici della scala sociale ¢ del potere politico (principi e principesse come Cosimo de’ Medici, Renata di Francia, Caterina Cibo, Eleonora Gonzaga, Margherita di Savoia, grandi aristocratici come Ascanio Colonna, Camillo Orsini, Galeazzo Caraccio- lo, Ferrante Sanseverino principe di Salerno, Giovanni Bernardino Boni- facio marchese d’Oria, prestigiosi patrizi veneti, lucchesi, modenesi, fio- rentini, senesi, mantovani ecc.), senza peraltro lasciare mai intravedere un qualche possibile esito istituzionale di quella Riforma? Come spiegare il fatto che particolarmente consistente fu qui un'attiva presenza femmi- nile, come indicano i nomi sopra segnalati, ai quali vale la pena di ag- giungere almeno quelli di Isabella Brisegna, di Giulia Gonzaga, di Vit- toria Colonna, di Costanza d’Avalos Piccolomini, di Isabella Villama- rina? Che quelle dottrine eterodosse trovarono qui convinti fautori ¢ in qualche caso spregiudicati propagandisti in autorevolissimi esponenti della gerarchia ecclesiastica (cardinali in odore della tiara come Reginald Pole, Ercole Gonzaga, Federico Fregoso, Pietro Bertano, Giovanni Mo- rone, Cristoforo Madruzzo, generali di ordini religiosi, come I’Ochino € il Seripando, vescovi e patriarchi come Vittore Soranzo, Pier Paolo Vergerio, Giovanni Tommaso Sanfelice, Pietro Antonio Di Capua, An- drea Centani, Giovanni Grimani e tanti altri)? Che l’anabattismo conobbe qui sorprendenti sviluppi in senso antitrinitario, peraltro destinati a solle- cita scomparsa dopo la severa repressione del movimento a partire dai primi anni cinquanta, ma anche a nutrire il radicalismo degli ‘eretici? in * Si veda in merito importante contributo di Giovanni Miccoli, Problemi e aspett della vita religiasa nell'ralia del primo Cinguecento le origini dei cappuccini in Ludovico da Fossombrone ¢ lordine dei cappuccin, a cura di Vincenzo Criscuolo, Roma, Istituto storico dei cappuccini, 1994, pp. 9-48 La Riforma italiana e Juan de Valdés 65 terra svizzera e a sfociare infine nel socinianesimo? Che il nicodemismo, inteso non solo come prassi ma come consapevole teorizzazione della liceita della simulazione religiosa, ebbe qui i pit arditi fautori, in grado di esplicitarne le matrici spiritualistiche fino a un’aperta contestazione dell’autoritarismo ecclesiastico ¢ della esclusiva pretesa di verita del sapere teologico? Che stupefacenti relazioni personali collegarono qui gli intellettuali, le nobildonne, gli ecclesiastici raccolti intorno al cardinal d’Inghilterra e ai cosiddetti ‘spirituali’ con alcuni rappresentanti dei movimenti anabattisti e antitrinitari, come Giorgio Siculo 0 Girolamo Busale? Fenomeni di cui sarebbe arbitrario non cogliere i molteplici echi e riflessi europei, ma di cui sarebbe altrettanto sbagliato non percepire le peculiarita e non indagare quindi sulle loro specifiche premesse italiane. Certo, si tratta di fenomeni complessi che escludono spiegazioni uni- voche e storie riduttivamente lineari, E tuttavia, a ben guardare, un altro e fondamentale punto di riferimento emerge prepotente accanto a quelli, in qualche misura ovvi, del grande Erasmo e poi di Lutero, di Butzer e di Calvino: mi riferisco a Juan de Valdés, esule in Italia dal 1531, il cui inconfondibile magistero religioso, affidato alle migliaia di pagine da lui scritte nell’appartato ritiro napoletano dopo il "35, trapela costantemente = ora in piena luce, ora come una sotterranea ma ineludibile presenza ~ in un pulviscolo di vicende individuali e collettive da un capo all’altro d'Italia. Credo di aver dimostrato in altra sede che la nascita della cosid- detta Ecclesia Viterbiensis raccolta intorno a Reginald Pole si debba datare alla primavera-estate del 1541, al momento del trasferimento del Flaminio da Napoli a Viterbo, poi seguito da altri personaggi di spicco, come Ini passat attraverso il vivificante incontro con l’esule spagnolo?. Fu allora che vennero preparati per le stampe alcuni scritti del Valdés, destinati dapprima a una cauta ma larga circolazione manoscritta a Napoli come a Bologna, a Modena come a Siena, a Lucca come a Venezia, e a essere poi pubblicati sullo sfondo delle prime riunioni del Tridentino, presiedute tra gli altri dal cardinal d’Inghilterra. Fu li che venne messa a punto la stesura definitiva del Beneficio di Christo, la cui prima redazione era avvenuta a Napoli, per mano di don Benedetto Massimo Firpo, Tra alumbrados e «spiralis Stal su Juan de Valdés ei! valdesianesimo nella crisi religiosa del ‘500 italiano, Firenze, Olschki, 1990, in particolare pp. 135 e segg., 135 € segg.: mi permetto di rinviare anche alla mia introduzione a Juan de Valdés, Alfabero cristiano. Domandee rispaste, Della predestinazione. Catechismo, Torin, Einaudi, 1994, pp. e seg. 66 Da sacco di Roma all nqusicione Fontanini da Mantova: uno scritto denso di citazioni calviniane ma con pagine intere tratte di peso dai testi valdesiani, di cui riproponevano l’as- senza di spunti polemici contro la Chiesa di Roma, il rifiuto della logica controversistica, l’annuncio tutto in positivo del messaggio di salvazione universale affidato alla passione della croce®. Alla lettura di alcune opere del Valdés fu affidata la «seduction» del cardinal Giovanni Morone e la sua tanto improvvisa quanto convinta adesione agli orientamenti degli ‘spirituali’, destinata a lasciare un segno indelebile sul suo impegno pastorale e curiale, fino al drammatico processo inquisitoriale di cui fu fatto segno durante il pontificato di Paolo IV°. Decisivi furono la rifles- sione e il coinvolgimento nelle dottrine valdesiane per teologi e predica- tori di spicco, come l’Ochino e il Vermigli, entrambi passati attraverso Pesperienza napoletana, cosi come per le nobildonne cui si faceva sopra riferimento, dalla Gonzaga alla Cibo, dalla Brisegna alla Colonna. Lo stesso Girolamo Busale, il maestro e I’artefice primo del tentativo di svolta in senso antitrinitario dell’anabattismo veneto, ¢ con lui altri in- quieti personaggi come Giovanni Laureto, Lorenzo Tizzano, Giulio Basali, Juan de Villafranca, emergono nel movimento ereticale italiano attraverso la fitta rete di contatti con gli epigoni del valdesianesimo napoletano. Sono soltanto alcuni esempi, cui non sarebbe difficile aggiungeme altri, che impongono di guardare all’ umbratile figura dell’e- sule spagnolo come a una cifra fondamentale ~ anche se ovviamente non esaustiva ~ della Riforma italiana e delle sue complesse peculiariti dot- trinali e sociali. 2. Fare riferimento al ruolo centrale del Valdés, tuttavia, implica anche volgere lo sguardo alla tradizione culturale e religiosa di cui egli era portatore al momento dell’arrivo in Italia, evitando di concentrarsi esclusivamente sui termini di raffronto pid scontati — e peraltro inevitabi- Ji ~ quando si cerchi di comprendere la Riforma italiana: Wittenberg ¢ Martin Lutero, Ginevra e Giovanni Calvino, Zurigo e Huldreich Zwingli, Strasburgo e Martin Butzer. Implica lesigenza di guardare anche alla grande Spagna erasmiana, a Valladolid, ad Alcala de Henares, alla fervi- * Sulla questione si veda infra, pp. 119 ¢ sege., e Vintroduzione premessa a Marcantonio Fla rinio, Apologia del «Beneficio di Christo» e altri scrti inediti, a cura di Datio Marcatto, Firenze, Olschki, 1996, pp. 7¢ sege. Massimo Fitpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone eit suo processo d'eresia, Bologna, i Mulino, 1992, in particolare pp. 113 ¢ segg,, 184 e sege. La Reforma italiana e Juan de Valdés 67 da stagione culturale e religiosa che ha trovato nella classica sintesi di Marcel Bataillon un affresco ancor oggi insuperato”. E, come & stato dimostrato, 2 impossibile comprendere il pensiero del giovane Valdés negli anni in cui ~ intomno al 1528-29 ~ veniva scrivendo il suo Didlogo de doctrina cristiana, subito condannato dall’ Inquisizione spagnola, senza tener conto di quel movimento alumbrado con il quale era venuto in contatto a Escalona, ascoltando la predicazione di Pedro Ruiz de Alcaraz nel palazzo del marchese di Villena'', Le origini storiche, le radi- ci intellettuali, gli sfondi culturali e sociali, i nessi con il mondo converso econ la tradizione francescana dell'alumbradismo spagnolo costituisco- no un problema storico di grande complessiti e ancor oggi aperto, cui in questa sede non @ dato neanche accennare"?, Non si possono tuttavia pas- sare sotto silenzio alcuni elementi di fondo di quel movimento, destinato a lunga durata e complesse metamorfosi («la tinica herejia original y per- sistentemente espafiola», secondo |’acuta definizione di Antonio Mar- quez"’), che riemergono anche nelle peculiari specificita della Riforma italiana: la centralita dei laici, il ruolo privilegiato delle donne, il coinvol- gimento della grande aristocrazia titolata e gli stupefacenti raccordi sociali tra semplici contadores e ignoranti beatas da una parte e potenti grandes e dotti complutensi dall'altro, all’insegna di un individualismo religioso fondato sull’illuminazione dello spirito quale unica fonte di verita, in contrapposizione al magistero ufficiale della Chiesa e degli interpreti autorizzati della Scrittura. Di qui uno spiritualismo spesso ani- mato da tensioni mistiche, disposto a salvaguardare ruolo e funzioni del- Vistituzione e della gerarchia ecclesiastica, ma riservando a ogni credente spazi illimitati di liberta interiore con il rifiuto degli sterili vincoli di devozioni rituali, cerimonie, pratiche sacramentali, tutte ridotte al rango di inutili e superstiziose ataduras, e proteggendo tale libert& al riparo di raffinate mediazioni nicodemitiche, fondate sulla gradualita e la riserva- tezza di un percorso religioso fatto di conoscenza e di esperienza e scan- dito da caute comunicazioni di natura iniziatica. © Marcel Bataillon, Erasme et Espagne cit "Cir, Jos6 C. Nieto, Juan de Valdés y los origenes de la Reforma en Espaiia e Hala, I ed, -México-Madrid-Buenos Aires, Fondo de cultura econémica, 1979. Mi limito a rinviare all'importante monografia di Antonio Marquez, Los alumbrados. Origenes y flosofia (1525-1559), I ed., Madrid, Taurus, 1980; e alla recente sintesi di Alastair Hamilton, Heresy and Mysticism in Sixteenth Century Spain. The «Alumbrados», Cambridge, James Clarke & Co, 1992, 8 Antonio Marquez, Los alumbrados ct, p61 68 Dal sacco di Roma all Inquisizione La repressione non tardd a colpire duramente (V’editto di Toledo & del 1525) i fermenti di alumbradismo, diffusi anche nel mondo di alta cultura umanistica che si raccoglieva intorno all’ universita di Alcal4, mentre alla fine degli anni venti si inaugurava la fitta sequela di arresti e condanne che in pochi anni avrebbe stroncato l’erasmismo spagnolo'. Lo stesso fra- tello di Juan, Alfonso de Valdés, l’autore del Didlogo de las cosas occur- ridas en Roma, vera ¢ propria apologia politica e religiosa del terribile sacco del ’27, dovette avvertire lo stringersi intorno a sé della morsa inquisitoriale, nonostante il suo autorevole ruolo di segretario dell’ impera- tore Carlo V"5, Se la precoce morte di Alfonso, avvenuta a Vienna nel 1532, impedi forse l’aprirsi di un vero e proprio processo a suo carico, la pubblicazione del Didlogo de doctrina cristiana di Juan nel '29 fu all’ori- gine di un’inchiesta formale cui egli, nell’inverno del 1530-31, pot sot- trarsi solo con la fuga ¢ il definitivo esilio in Italia. A suggerire quelle improvvise chiusure e quella severa repressione, che identificava (con evi- dente forzatura, ma anche con efficace semplificazione) tanto nell’alum- bradismo quanto nell’erasmismo le premesse dell’eresia luterana, era il dilagare della protesta religiosa nei domini imperiali di casa d’ Austria ¢ in tutta ’Europa del nord. Per quanto arbitrarie dal punto di vista storico teologico, tuttavia, tali forzature e semplificazioni in qualche misura col- pivano nel segno, cogliendo intrecci contaminazioni reali in una stagio ne ancora fluida, in cui i messaggi religiosi si sovrapponevano e si interse- cavano nell’attesa di una radicale riforma della Chiesa che le tumultuose vicende di quegli anni inducevano a ritenere imminente, diffondendo tal- volta apocalittiche attese di radicale palingenesi, come appare evidente per esempio alla vigilia della grande Bauernkrieg tedesca. Intrecci e contaminazioni che emergono con chiarezza, del resto, pro- prio nelle pagine apparentemente piane e pacate del valdesiano Didlogo de doctrina cristiana, la cui aperta professione di erasmismo mascherava in realta stratificazioni pid profonde del testo, in cui si annidavano tanto agli eversivi germi spiritualistici del movimento alumbrado quanto vere e proprie citazioni testuali da opere di Lutero, Melantone, Ecolampadio"®. Cir, Juan de Valdés, Alfabero cristiano cit, pp. XxXIL Segg., XL segs, ' Su di lui si veda la monografia di Donald, Lézaro, Alfonso de Valdés cit; eft. anche supra, pp. 49. segs. ° Cfr. Mimportante contibuto di Catlos Gilly, Juan de Valdés: Oberseteer und Bearbeiter von Luthers Schifien in seinem «Didlogo de doctrina», «Archiv fir Reformationsgeschichte», LXXIV, 1983, pp. 257-305, una cui redazione pid breve in spagnolo & apparsa in Misceldnea de estudios hispdnicos. Homenaje de los hispanistas de Suiza a Ramon Sugranyes de Franch, ed. Luis Lopez Molina, Montserrat, Publicacions de Abadia, 1982, pp. 85-106; cf. infra, pp. 82 e sege. La Riforma italiana e Juan de Valdés 69 Proprio la creativa sintesi di erasmismo, alumbradismo e luteranesimo, in fondo, garantiva a quelle pagine valdesiane ~ cosi come alle successi- ve opere dell'esilio — il loro significato autentico, la loro creativita reli- giosa, il loro spessore storico. Il cristianesimo etico di Erasmo, fondato sull'impegno personale e sull'aspra polemica contro sterili formalismi ottuse superstizioni devozionali, si coniugava infatti con lo spiritualismo alumbrado ¢ la sua lotta contro le vane ataduras della religione tradizio- nale; e Ia dottrina dell’illuminazione interiore dello spirito si sposava a sua volta con l'annuncio luterano della libert& del cristiano, facendo pro- pria l’adesione incondizionata alla dottrina della giustificazione per sola fede quale fondamento portante e premessa ineludibile della scelta cri- stiana, ma riducendo la Scrittura al rango di una «fioca candela», del tutto inadeguata a guidare il cammino verso la conoscenza dei «grandisi- mos secretos de Dios» e la suprema «sabidurfa de perfectos» che «se alcanza por revelazién, reveléndola el espiritu sancto a las personas a quign es comunicado>"® Certo, il rifiuto di ogni rottura con la Chiesa tradizionale e la denuncia dei gravi pericoli insiti nel riproporsi di nuove ortodossie e negli scontri su questioni dottrinali sostanzialmente irrilevanti ai fini di un reale rinno- vamento religioso sottraevano alle dottrine protestanti la loro dirompente forza storica, ma le rendevano al tempo stesso compatibili tanto con il messaggio erasmiano quanto con il radicale soggettivismo esoterico degli alumbrados. «Le persone vanno conoscendo le cose spirituali e divine secondoché vanno purificando li loro animi con fede e con amore € con unione con Dio», scrivera il Valdés, paragonando «l’errore delle persone pie quando nelle cose spirituali e divine che conoscono formano li loro fermi concetti secondo quello che con la prima cognizione vengono a conoscere, non aspettando altre cognizioni pid chiare ed evidenti», a quello «del cieco che comincia a ricuperare la vista degli occhi, quando nelle cose che comincia a vedere forma li suoi fermi concetti secondo quello che al principio gli pare, non aspettando di vederle meglio e pit chiaramente»"®, La coscienza individuale emergeva in tal modo come unico Iuogo deputato a mediare le contraddizioni tra certezze interiori e "Juan de Valdés, Le cento e deci divine considerazioni, ed. Edmondo Cione, Milano, Bocca, 1944, p. 257. "Juan de Valdés, La epistola de san Pablo a los Romanos ita I. a los Corintios, Ambas tradu- cidas i comentadas por Juan de Valdés, [ed. Luis Usoz y Rio, Madrid, s<.), 1856 («Reformistas ntiguos espaftoles», voll. X-XI), eft. Romanos, . 212; I Corintos, . 39. "8 Juan de Valdés, Le centae dieci divine considerazioni ct. pp. 308-10. 70 Dal sacco di Roma all" Inquisizione prassi istituzionali, a indicare i diversi percorsi del «cammino» di ciascu- no, a definire i sempre precari e mobili equilibri di un «negotio christia- no» fatto non tanto di arida «scientia» quanto di personali «inspirationi et esperientie»”, ad accogliere la rivelazione dello spirito, diversa da uomo a uomo e talvolta mutevole nel corso del tempo: la Scrittura, infatti, «& intesa dalle persone che hanno lo spirito santo da [una in un’altra parte et da] un’altra in altra, secondoché sono diversi li doni che gli sono comu- nicati da Dio con lo spirito santo». Di qui la consapevole scelta nicodemitica fondata su una concezione minoritaria dei veri cristiani («el negocio christiano es de pocos»”), sul dovere di rispettare «los mandamientos de la Yglesia» solo «exterior- mente» e di mantenere sempre e comunque «la paz e concordia christia- na», sulla legittima diversiti delle opinioni religiose di ciascuno («dif- ferentemente Dio [...] comunica del suo spirito, a chi pitt e a chi meno, e a chi di una maniera e a chi di un’altra»*, e quindi «non sono stranieri nel divino palazzo ancora quelli che stanno guardandolo di fuori»), sulla tolleranza del dissenso religioso («mi debbo guardare come dal fuoco di perseguitare alcun uomo di qualsivoglia maniera, pretendendo servire a Dio in cid»), sull’invito al costante esercizio della prudenza e della riservatezza («esta sabidurfa de perfectos es oculta, es secreta i encubierta»”?) per non scandalizzare «los flacos en la fe» e scongiurare improvvidi «exdmenes contenziosos»*, polemiche dottrinali, condanne teologiche, scismi. Certe verit& «mas es menester que se tengan imprimi- das y encaxadas en el dnima que escritas en los libros», aveva scritto % Juan de Valdés, Lo evangelio di san Matteo, ed. Carlo Ossola, testo critico di Anna Maria Cavallarin, Roma, Bulzoni, 1985, p. 123; eft. Massimo Firpo, Tra alumbrados e «spirituali» cit, pp. 4B sees. 3 Juan de Valdés, Le cento e dieci divine considerazioni cit, pp. 261-62 (la necessaria integra- zione testuale @ stata fatta in base all'edizione originale del 1550), 2 Juan de Valdés, La episiola de san Pablo (..]I.a los Corintios cit. p. 143; eft. p. 167. % Juan de Valdés, Didlogo de doctrina cristiana y el Salterio traducido del ebreo en romance castellano, ed. Domingo Ricart, México, Universidad nacional auténoma de México, 1964, pp. 17- 129, cfr. pp. 44, 88. Juan de Valdés, Le cento e dieci divine considerazioni cit, p. 21 % Giovanni Valdesso, Sul principio della dottrina cristiana. Cinque trattatelli evangelici, ed Eduard Boehmer, Halle sulla Sala, Georg Schwabe, 1870, pp. 23-25; ma si veda ora Marcantonio Flaminio, Apologia del «Beneficio di Christo» cit., pp. 158-59. Anche per quanto segue cfr. Massimo Fitpo, Tra alumbrados e «spiritual cit., pp. 9, 65 € segg., 83-84. % Juan de Valdés, Le cento e deci divine considerazioni cit. p. 324. » Juan de Valdés, La epistola de san Pablo a los Romanos cit, p. 266, ¥ Jvi,e La eptstola de san Pablo (a los Corintios ct. p. 37, ® Juan de Valdés, Didlogo cit, p. La Riforma italiana e Juan de Valdés W gid nel "29 lo stesso Valdés, che anche a Napoli preferira insegnare la sua dottrina «semplicemente», evitando di esplicitare subito le possibili «conclusioni» 0 le «illationi» eterodosse che potevano scaturime, «come quello che o non le teneva esso, overo le dissimulava per non dare scan- dalo alli suoi discipoli»®. 3. Fu dunque con un complesso bagaglio culturale e religioso che Juan de Valdés si trasferi in Italia nel 1531, per cercare rifugio presso la curia di Clemente VII, protetto dal suo rango sociale e da un peraltro oscuro ruolo di agente politico di Carlo V nella Roma papale. E anche dopo il suo definitivo ritiro a Napoli nel ’35, all’indomani dell’elezione di Paolo Ill, la sua corrispondenza con Ercole Gonzaga e con Francisco de los Cobos testimonia di un atteggiamento tutt’altro che distaccato rispetto alle cose del mondo, di un giudizio politico vigile, di una tensio- ne morale profondamente sensibile ai problemi della riforma della Chiesa e alle carenze amministrative dello Stato*!. Fu in quegli anni, dopo aver dato un contributo decisivo alla ridefinizione del castigliano moderno come lingua colta con il Didlogo de la lengua, che egli si dedicd alla stesura delle sue opere: il commento ai salmi, alle lettere pao- line e ai vangeli, l’Alphabeto christiano, il breve catechismo Qual manie- ra si devrebbe tenere a informare insino dalla fanciullezza i figliuoli de’ christiani delle cose della religione, le Cento e dieci divine consideratio- ni, le Dimande et risposte, e poi lettere, discorsi, trattatelli, traduzioni. Un’attivita prodigiosa ¢ una riflessione religiosa ormai matura, conse- gnata a opere rapsodiche e in qualche misura parziali o frammentarie, ma tutte capaci di presentare sotto angolature diverse la sua inconfondibile interpretazione del «negotio christiano», offrendone un’ immagine nitidis- sima e al tempo stesso evitando una sintesi sistematica, incompatibile del resto con il suo pensiero e con il soggettivismo religioso che ne costitui- va il nocciolo. A quelle pagine egli affidava il suo straordinario messaggio, denso di succhi radicali ed eversivi ma al tempo stesso pacato, esente da ogni volonta di definizione di una nuova ortodossia, di polemica controversi- stica, di lacerazione istituzionale, capace di porsi come una proposta in % Estrato del proceso di Pietro Carneseechi, edito da Giacomo Manzoni, in «Miscellanea di storia italiana», X, 1970, pp. 187-573 (dora in avanti citato come Processo Carnesecchi), p. 533: ft. pp. 197, 336-37. » Cartas inéditas de Juan de Valdés al cardenal Gonzaga, ed. José F. Montesinos, Madrid, S. Aguirre, 1931; eft. 'introduzione a Juan de Valdés, Alfabeto cristiano cit, pp- LV € segs.

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