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Libri consigliati:
http://www1.mate.polimi.it/didattica/turbolenza/dispense.html
Si ringraziano Antonella Abba, Luca Dede e Andrea Mola per i loro contributi.
2
0. Indice
1 Introduzione 5
3
4 INDICE
7 Turbolenza bidimensionale 89
7.1 Generalita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
7.2 Approccio statistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
7.3 La teoria di Kraichnan . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
E esperienza comune che il moto di un fluido molto viscoso e/o quasi a riposo tende ad essere
ordinato e regolare (laminare). Viceversa fluidi con piccola viscosita e/o molto veloci tendono
a diventare irrequieti e caotici (turbolenti ). La transizione da moti laminari a moti turbolenti
avviene attraverso una serie di passaggi, di cui diamo ora un paio di illustrazioni.
Nel 1923 Taylor fece lesperimento di riempire con acqua lo spazio tra due cilindri con-
centrici. Il cilindro esterno veniva mantenuto fermo mentre quello interno era stato posto in
rotazione uniforme. Per basse velocita del cilindro interno il fluido possiede un moto stazio-
nario e puramente toroidale. Aumentando la velocita di rotazione sopra una soglia critica
appaiono dei vortici stazionari con simmetria toroidale, chiamati vortici di Taylor , che si
sovrappongono al moto stazionario precedente. La causa dellapparizione di questi vortici e
la forza centrifuga che tende a spostare il fluido verso il cilindro esterno. Se essa e piccola le
forze di pressione e quelle viscose riescono a smorzare i moti radiali, mentre superato un valore
limite essa prevale e il fluido acquista un moto radiale. Ragionando in termini dimensionali
il problema e caratterizzato dai seguenti parametri: la velocita angolare del cilindro interno
, la viscosita del fluido , la distanza tra i due cilindri d, il raggio R e la lunghezza L del
cilindro interno. Con questi parametri si possono costruire 3 quantita adimensionali:
2 d3 R d L
Ta = , ,
2 R R
Il primo di questi e il numero di Taylor , ed e quello che regola lapparizione dei vortici di
Taylor. Per cilindri lunghi (L R) e poco distanziati (d R) si osserva sperimentalmente
che il valore critico di T a non dipende dalle dimensioni esatte dellapparato ed e pari a 1700
circa. Allaumentare della velocita del cilindro interno (ossia del numero di Taylor) i vortici
diventano a loro volta instabili e appaiono dei moti con dipendenza temporale periodica.
Altre biforcazioni si succedono allaumentare del numero di Taylor, finche il moto diventa
completamente disordinato nello spazio e nel tempo.
La seconda esperienza e quella di Benard che mise dellacqua tra due pareti orizzontali
poste a temperature differenti, con quella in basso piu calda. Per valori piccoli della diffe-
renza di temperatura tra le due pareti, il fluido rimane in equilibrio statico e il calore fluisce
verso lalto per il solo effetto della conduttivita molecolare. Allaumentare della differenza
di temperatura si crea uninstabilita nel fluido a riposo che conduce alla formazione di celle
di convezione stazionarie (le celle di Benard ). Il meccanismo responsabile dellinstabilita e
la forza di Archimede dovuta alla differenza di densita del fluido (il fluido piu caldo in bas-
so e piu leggero di quello in alto e percio tende a salire). La forza di Archimede compete
5
6 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE
con quella gravitazionale e con le forze viscose che vorrebbero ristabilire la quiete. La soglia
dellinstabilita e regolata da un numero adimensionale, il numero di Rayleigh, definito come
gT d3
Ra =
dove T e la differenza di temperature tra le due pareti, d e la distanza tra di esse, g e
laccelerazione di gravita, e il coefficiente di espansione termico del fluido, e sono i
coefficienti di viscosita e di diffusivita termica. Il valore critico del numero di Rayleigh e,
curiosamente, lo stesso del numero di Taylor visto precedentemente, ossia 1700 circa. Allau-
mentare del numero di Rayleigh si assiste a una serie di biforcazioni che portano il fluido ad
avere un comportamento spaziale e temporale sempre piu complesso, fino ad arrivare ad uno
stadio completamente disordinato, la turbolenza. Il trasporto del calore, che nel caso statico
avveniva per conduzione, e incrementato notevolmente per convezione: le celle di Benard
trasportano fluido piu caldo verso lalto in modo molto efficace.
E esperienza comune che la turbolenza aumenta notevolmente la diffusivita del fluido.
Esempio: la diffusione del fumo di una sigaretta. In assenza di moti la concentrazione di
fumo nellaria puo descritta da unequazione di diffusione:
C
= KC
t
dove C e la concentrazione di fumo e K 0.22cm2 /s e il coefficiente di diffusivita del fumo
nellaria. La stima del tempo di diffusione si ottiene con argomenti dimensionali: T L2 /K.
Come si vede dalla tabella che segue i valori riscontrati sono molto piu piccoli rispetto alla
previsione; la discrepanza e spiegata dal fatto che laria non e in quiete ma e soggetta a moti
turbolenti che incrementano notevolmente la velocita di diffusione.
distanza tempo
10cm 7 minuti
1m 12 ore
4m 8 giorni
10m 52 giorni
Il campo di velocita fluttua aleatoriamente nel tempo e nello spazio e contiene un ampio
spettro di frequenze temporali e spaziali. Una simulazione numerica accurata deve
quindi contenere molte variabili e deve avere un passo temporale molto piccolo.
Sensibilita alle condizioni iniziali, che si traduce nellimpossibilita di predire i valori del
campo di velocita su tempi lunghi. Si puo tuttavia sperare di ottenere una descrizione
statistica dei flussi turbolenti.
Cap. 2. Le equazioni della
fluidodinamica
La formula del trasporto di Reynolds consente di portare la derivata temporale sotto il segno
dintegrale. Consideriamo una generica quantita f (x, t) contenuta in un volume materiale
V (t). La formula di Reynolds e:
Z Z
d f
f d = + (f v) d (2.1)
dt t
V (t) V (t)
Talvolta essa viene scritta nel seguente modo (si sfrutta il teorema della divergenza):
Z Z I
d f
f d = d + f v n d
dt V (t) V (t) t V (t)
n
v dt
d
C
B
A Sout
Sin
7
8 CAPITOLO 2. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA
d = v ndt d
dove n e il versore normale allarea di contorno infinitesima d e orientato verso lesterno.
Analogamente il terzo termine rappresenta il flusso di f attraverso la porzione di superficie
di V (t) dalla quale entra del fluido:
Z
f (x, t + dt) d
Z
A
lim = f (x, t)v n d
t0 dt
Sin
Per il teorema della divergenza si ha infine
Z Z
f (x, t)v n d = (f v) d
S V (t)
Per larbitrarieta del volume di controllo V (t) si ricava la forma differenziale (conservativa)
dellequazione di continuita:
+ (v) = 0 (2.2)
t
In un fluido incomprimibile la densita e costante lungo le traiettorie:
d
= + v = 0
dt t
Cio implica che la velocita e a divergenza nulla: v = 0. Questa condizione sostituisce
lequazione evolutiva (2.2) per la densita; a causa di cio gli schemi numerici per i fluidi
incomprimibili sono notevolmente diversi da quelli usati per i fluidi comprimibili.
Un fluido con densita costante e sicuramente incomprimibile. Non e detto pero che un
fluido incomprimibile abbia densita costante.
Z Z I
d
v d = f d + t d
dt V (t) V (t) V (t)
z }| { z }| { z }| {
variazione della risultante delle forze risultante degli sforzi
quantita di moto specifiche di volume interni
Dove f e la forza specifica esterna e t sono gli sforzi interni. t puo essere scritto come
t = T n, dove T e il tensore degli sforzi di Cauchy (n e la normale uscente alla superficie
del volume V (t)).
Nel caso di un fluido non viscoso gli sforzi sono nella direzione della normale; T e un
tensore diagonale: Tij = pij , e p viene chiamata pressione.
Nel caso viscoso T non e piu un diagonale. Se il fluido e non polare esso e un tensore
simmetrico. Scriveremo
T = p I +
10 CAPITOLO 2. LE EQUAZIONI DELLA FLUIDODINAMICA
Tabella 2.1: Valori numerici del coefficiente di viscosita cinematico per alcuni fluidi alla
temperatura T = 20o .
Nel caso di un fluido incomprimibile il contributo (tr S ) I = v I ovviamente si
annulla. Passando dalla forma integrale a quella differenziale si ottiene:
v
+ vv T = f
t
e in forma indiciale:
vi
+ j (vi vj Tij ) = fi
t
Notiamo che questa equazione e scritta in forma conservativa.
Sfruttando lequazione di continuita essa puo essere scritta nella seguente forma non
conservativa, talvolta piu pratica:
v
+ (v ) v = T + f
t
In notazione indiciale:
vi
+ vj j vi = j Tij + fi
t
Le equazioni precedenti sono sufficienti per calcolare il moto di un fluido incomprimibile.
Riassumendo possiamo scriverle nelle forme seguenti:
Forma conservativa:
+ (v) = 0
t
v
+ vv + p I 2 S = f
t
v =0
2.3. CHIUSURA DELLE EQUAZIONI PER I FLUIDI COMPRIMIBILI 11
(A B) = A(B) + B(A) + (A )B + (B )A
applicata a A = B = v:
(v )v = (v 2 /2) v
Nel caso in cui anche la viscosita fosse costante, sfruttando la (2.3) si otterrebbe:
v p v2
= v + + f + v (2.4)
t 2
Si ottiene cos:
E
+ (Ev v T ) = (f v + r) (2.5)
t
Introducendo poi lentalpia specifica totale
P
h=E+
la (2.5) diventa:
E
+ (hv v
) = (f v + r)
t
Per chiudere il sistema di equazioni bisogna fornire una relazione per le variabili termodi-
namiche: la legge di stato. In un gas ideale ad esempio si ha:
e cp
P = ( 1)e, = , =
cv cv
In un liquido invece si puo assumere che la pressione non abbia effetti sulla densita e
che questultima dipenda poco dalla temperatura, in modo da scrivere la seguente equazione
linearizzata
= 0 [1 ( 0 )]
dove e il coefficiente di dilatazione termica. Lenergia interna e legata alla temperatura
dalla relazione
e = c, c = cv cp
Le equazioni precedenti sono sufficienti per calcolare il moto. Riassumendo possiamo
scriverle nella seguente forma conservativa:
Q
+F =G
t
v 0
Q = v , F = v v + p I v I 2 S , G = f
E hv v v 2 S v (f v + r)
j (vi ij ) = vi j ij + ij i vj (2.6)
2.4. EQUAZIONE DELLA VORTICITA 13
= 2Sij Sij
(v) = v v + ( )v (v )
Z
Nel limite dt 0 i primi due termini tendono a n d. Per gli altri due termini
t
S(t)
notiamo che il flusso totale attraverso una superficie chiusa e nullo. Pertanto
Z Z Z
(x, t) n d (x, t) n d (x, t) n d
S(t+dt) S(t) SL
=
dt dt
Lultimo integrale puo essere scritto come
Z
(x, t) n d
Z Z Z
S
L = ( dlv) = (v) dl = [(v)] n d
dt
C(t) C(t) S(t)
Pertanto Z
d
= (v) n d = 0
dt t
S(t)
Dalla conservazione del flusso di vorticita discende una proprieta molto interessante: si puo
pensare alle linee di vorticita come se fossero congelate dentro il fluido e lo seguissero nei suoi
spostamenti. Per convincerci di cio consideriamo una superficie molto sottile che racchiuda
una linea di corrente ad un dato istante t0 : il flusso attraverso questa superficie e nullo. Ad
un istante successivo t esso rimane nullo e si puo pensare che la nuova superficie racchiuda la
linea di vorticita allistante t. Dunque e come se la linea di vorticita abbia seguito il fluido
nel suo movimento.
Vediamo unaltra proprieta interessante dellequazione (2.9). Mostriamo che lequazione
di evoluzione del raggio vettore di due punti infinitesimamente vicini e la stessa della (2.9).
Poniamo l = r2 r1 .
dl r2 (t + dt) r1 (t + dt) r2 (t) + r1 (t)
= = v(r2 , t)v(r1 , t) = [(r2 r1 ) ] v1 = (l)v
dt dt
Supponiamo che a un istante iniziale t0 i vettori (r0 , t0 ) e l siano allineati:
(r0 , t0 ) = l(t0 )
Allora agli istanti successivi essi rimarranno allineati con lo stesso coefficiente di proporzio-
nalita:
(r, t) = l(t)
Infatti pongo w = l:
dw d
= ( l) = [( l) ]v = (w )v
dt dt
w = 0 e soluzione di questa equazione con la condizione iniziale nulla.
Nelle regioni dove elementi contigui di fluido paralleli al vettore vorticita si allontanano,
|r2 r1 | aumenta e di coneguenza la vorticita aumenta, mentre nelle regioni dove questi si
avvicinano la vorticita diminuisce.
Cap. 3. Equilibrio, stabilita,
biforcazioni, transizione alla
turbolenza
3.1 Generalita
Classificazione dei tipi di flussi:
flussi con parametro di controllo moderatamente grande (Re dellordine di qualche cen-
tinaia o migliaia): in questo regime le soluzioni stazionarie diventano instabili e si assiste
a transizione al caos caratterizzata da biforcazioni successive in cui il campo di moto
diventa sempre piu complesso.
15
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
16 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
tale che ||V (x, 0) V0 (x, 0)|| < ||V (x, t) V0 (x, t)|| < per t > 0
Il sistema e detto asintoticamente stabile se ||V (x, t) V0 (x, t)|| tende a zero quando il tempo
t tende allinfinito.
Stabilita spaziale.
Sia V0 (x, t) lo stato di riferimento di un sistema, e V0 (x0 , t) il suo valore in x0 al variare del
tempo t. Il sistema e detto stabile in senso spaziale se
tale che ||V (x0 , t) V0 (x0 , t)|| < ||V (x, t) V0 (x, t)|| <
Il significato della stabilita spaziale e che piccole perturbazioni imposte in un punto x0 non
vengono amplificate lontano dal sottodominio. Si puo naturalmente estendere la definizione di
stabilita spaziale imponendo le perturbazioni in un sottodominio invece che in un solo punto
x0 .
Stabilita convettiva.
Uninstabilita si dice di tipo convettivo se la perturbazione massima maxx ||V (x, t)V0 (x, 0)||
cresce nel tempo ma limt+ ||V (x, t) V0 (x, 0)|| = 0 x, ossia se il disturbo si allontana
indefinitamente.
3.3. METODO DELLA LINEARIZZAZIONE 17
a seconda che il problema abbia estensione rispettivamente infinita oppure finita (o periodica).
I modi normali sono gli autovettori del problema linearizzato:
e si assume che essi costituiscano una base completa dello spazio funzionale dove vive V1 .
Sostituendo nella (3.1) si ha, nel caso discreto:
X X
ak (t)k (x) = ak (t)k k (x)
t
k k
Ossia
X ak (t)
k ak (t) k (x) = 0
t
k
Per la completezza della base si deve avere:
ak (t)
k ak (t) = 0
t
pertanto
ak (t) = ak (0)ek t
k = kR + ikI e lautovalore (in generale complesso). kR e il tasso di crescita e kI e la
frequenza. Il problema della stabilita si traduce nella ricerca degli autovalori: se tutti gli
autovalori hanno parte reale negativa o nulla lequilibrio e linearmente stabile, mentre se
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
18 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
esiste almeno un autovalore con parte reale strettamente positiva lequilibrio e linearmente
instabile.
Nel caso di autovalori multipli i modi normali corrispondenti contengono dei termini
secolari :
(0) (1) (2)
V1k (x, t) = k (x) + k (x)t + k (x)t2 + ... ek t
Problemi con estensione infinita nelle direzioni orizzontali ed equilibrio dipendente solo
dalla coordinata verticale:
Z + Z +
V1 (x, y, z, t) = dkx dky Vb1 (kx , ky , z, t)ei(kx x+ky y)
Z + Z +
1
Vb1 (kx , ky , z, t) = dx dyV1 (x, y, z, t)ei(kx x+ky y)
(2)2
Problemi periodici nelle direzioni orizzontali ed equilibrio dipendente solo dalla coordi-
nata verticale:
+
X +
X 2k
i( 2kx
x+ L y y)
V1 (x, y, z, t) = Vb1 (kx , ky , z, t)e Lx y
kx = ky =
Z Lx /2 Z Ly /2 2ky
1 i( 2k x x+ y)
Vb1 (kx , ky , z, t) = dx dyV1 (x, y, z, t)e Lx Ly
Lx Ly Lx /2 Ly /2
V1 2ikx b V1 2iky b
V1 , V1
x Lx y Ly
V1 /z ik Vb1 , V1 / imVb1
Problemi con equilibrio a simmetria sferica: conviene usare come funzioni di base le
armoniche sferiche Ylm :
dove Plm sono le funzioni di Legendre (in particolare Pl0 sono i polinomi di Legendre)
(1)m+l 2 m/2 d
l+m
Plm (x) = (1 x ) (1 x2 )l
2l l! dxl+m
s
2l + 1 (l m)!
Clm
4 (l + m)!
Si pone:
+ X
X l
V1 (r, , , t) = V1 (l, m, r, t)Ylm (, )
l=0 m=l
v
+ (v )v = p + v (3.2)
t
v =0
Assumiamo che i contorni siano costituiti da due piani paralleli perpendicolari alla coordinata
z distanziati tra loro di 2L. Le condizioni al contorno cambiano a seconda del problema
considerato:
per pareti fisse e aderenza del campo di velocita alla parete si porra v = 0.
per pareti fisse e lisce (ossia che non trasmettono sforzi nella direzione tangente alla
vy
parete): vz = xz = yz = 0 che si traduce in: vz = v
z = z = 0
x
Le
e,
v = U0 v x = Le
x, y = Le
y, z = Le
z, t= t, p = U02 pe
U0
La (3.2) diventa (omettiamo dora in poi per comodita di notazioni le tilde dalle variabili):
v 1
+ (v )v = p + v (3.3)
t Re
U0 L
dove abbiamo introdotto il numero di Reynolds Re = .
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
20 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
vx = U0 (z), vy = vz = 0, p = p0 (x)
Nel caso in cui le pareti siano fisse si trova il profilo di Poiseuille piano:
2x
U0 (z) = 1 z 2 , p0 (x) = (z : 1 1)
Re
Per pareti in movimento esiste una soluzione con pressione costante, il cosiddetto profilo
di Couette:
U0 (z) = z, p0 (x) = costante
v = v0 + v1 , 1
v1 1
+ (v0 )v1 + (v1 )v0 = p1 + v1
t Re
3.5. STABILITA TEMPORALE DEI FLUSSI STAZIONARI PIANI
PARALLELI 21
Per comodita di notazioni omettiamo dora in avanti il pedice 1 dalle variabile perturbate.
d2 U 0
Poniamo anche dU
dz U0 e dz 2 U0 . Lequazione precedente diventa
0
v v 1
+ U0 + U0 vz i = p + v (3.5)
t x Re
Si ricava facilmente una equazione nella sola variabile vz procedendo nel seguente modo:
loperatore divergenza applicato alla (3.5) fornisce una relazione fra la pressione e vz :
vz
p = 2U0 (3.6)
x
Consideriamo poi il laplaciano della componente z della (3.5):
2 vz vz 1 2
+ U0 vz + 2U0 + U0 = p + vz
t x xz x z Re
b(z)ei(x+yt)
v=v
p = pb(z)ei(x+yt)
La condizione di instabilita e che esista almeno un autovalore con parte immaginaria
positiva.
b e pb; per comodita di notazioni omettiamo
Intendiamo scrivere le equazioni per le variabili v
dora in avanti il cappello b. Loperatore laplaciano si scrive:
2
d 2
= k , k 2 = 2 + 2
dz 2
Le condizioni al contorno sono le seguenti: v = 0 se il fluido aderisce alle pareti, che si traduce
in vz = vz = 0 (per ottenere la seconda condizione si e sfruttata la divergenza nulla del campo
di velocita). Se le pareti sono rigide e lisce invece si ha vz = xz = yz = 0; lannullamento
vy
degli sforzi tangenziali equivale a v
z = z = 0. Derivando lequazione di divergenza nulla
x
2
del campo di velocita si vede allora che zv2z = 0. Dunque le condizioni al contorno sono
vz = vz = 0.
La (3.8) viene detta equazione di Orr-Sommerfeld . Il teorema di Squire afferma che per
ogni soluzione tridimensionale (ossia con , , vx e vy non nulli) instabile esiste una soluzione
bidimensionale (vy = = 0) instabile con un numero di Reynolds inferiore. La conseguenza di
questo teorema e che al fine di determinare il numero di Reynolds critico per la stabilita ci si
puo limitare a studiare il caso bidimensionale.
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
22 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
z z vz 1
+ U0 = U0 + z
t x y Re
Procedendo con lanalisi in modi normali otteniamo lequazione di Squire:
2
1 d 2
i(U0 ) k z = iU0 vz
Re dz 2
Combinando lequazione di Orr-Sommerfeld con lequazione di Squire possiamo scrivere
in modo compatto:
d2
vz LOS 0 dz 2
k2 0
iM q = Lq, q= , L= , M=
z iU0 LSQ 0 1
dove
2 2
d2 2 1 d 2
LOS = iU0 k iU0 k
dz 2 Re dz 2
2
1 d 2
LSQ = iU0 k
Re dz 2
Le soluzioni si dividono in due categorie:
vz
i modi di Orr-Sommerfeld OS : con vz =6 0: vz e soluzione dellequazione di
z
Orr-Sommerfeld, z e funzione di vz ed e fornita dallequazione di Squire.
0
i modi di Squire SQ : . Si dimostra che i modi di Squire sono sempre stabili.
z
3.5. STABILITA TEMPORALE DEI FLUSSI STAZIONARI PIANI
PARALLELI 23
e il primo termine a secondo membro e nullo in virtu delle condizioni al contorno. Sostituendo
in (3.11) e separando le parti reale e immaginaria otteniamo:
Z +1
2 2 2 U0 (U0 Re(c)) 2
|vz | + k |vz | + |vz | dz = 0 (3.12)
1 |U0 c|2
Z +1
U0
Im(c) |v |2 dz = 0
2 z
(3.13)
1 |U 0 c|
Da questultima equazione si vede che se U0 non cambia mai di segno lintegrale non puo
essere nullo, e pertanto deve valere Im(c) = 0, dunque stabilita.
Nel caso in cui vi siano dei punti di flesso nel profilo dequilibrio si puo dedurre un criterio
leggermente piu raffinato (teorema di Fjortoft): detto zs un punto di flesso (U0 (zs ) = 0),
condizione sufficiente per la stabilita e che in tutti i punti si abbia
U0 (z)(U0 (z) Us ) 0
dove abbiamo posto Us = U0 (zs ). Per dimostrare questo criterio supponiamo Im(c) 6= 0
e combiniamo linearmente le due equazioni (3.12) e (3.13):
Z +1 Z +1
Re(c) Us U0 (U0 Us ) 2
(3.12) + (3.13) : |vz | dz = (|vz |2 + k 2 |vz |2 ) dz
Im(c) 1 |U0 c|2 1
E chiaro che se U0 (U0 Us ) non cambiasse mai di segno lintegrale a primo membro non po-
trebbe essere negativo; tuttavia lintegrale a secondo membro e sempre negativo. Si cadrebbe
allora in contraddizione e cio vorrebbe dire che Im(c) = 0, dunque stabilita.
z z
zs
z
-0.2
-0.4
tasso di crescita
-0.6
-0.8
-1
-1.2
Av = Bv
20 20
40 40
60 60
80 80
100 100
120 120
Figura 3.2: Problema in geometria sferica con discretizzazione in armoniche sferiche nelle
direzioni angolari (si accoppiano l 1, l, l + 1). A sinistra: matrice risultante da discretiz-
zazione radiale con polinomi di Chebyshev (metodo spettrale); a destra: discretizzazione alle
differenze finite di ordine 4.
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
26 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
Se invece interessa solo una parte dello spettro nelle vicinanze di un punto dato del
piano complesso si puo adottare un algoritmo di tipo iterativo che sono piu rapidi del
metodo QZ e preservano la sparsita delle matrici; i piu efficaci sono il metodo di Arnoldi
basato sulle iterazioni nel sottospazio di Krylov (metodo disponibile ad esempio nella
libreria open source ARPACK) e il metodo di Jacobi-Davidson.
Il problema di Couette piano e linearmente stabile per tutti i valori del numero di
Reynolds. Tuttavia gia per Re 350 si osserva la transizione alla turbolenza.
La discrepanza tra gli esperimenti e lanalisi lineare puo essere spiegata con la non nor-
malita degli operatori. Ricordiamo che un operatore lineare si dice normale se esso commuta
con il suo aggiunto, ossia se LL+ = L+ L, dove loperatore L+ e definito da
una piccola forzante periodica (ad esempio vibrazioni dellapparato sperimentale) puo
rendere instabile il sistema.
3.6. CARATTERISTICHE DEGLI OPERATORI NON NORMALI 27
Lo spettro degli autovalori e molto sensibile alla forma delloperatore: piccole pertur-
bazioni delloperatore (causate ad es. da imperfezioni o da rugosita del canale) possono
modificare radicalmente lo spettro e rendere instabili alcuni autovalori.
e la norma di Frobenius e
||Ax2 p
||A||2 = max = max (B + B)
x6=0 ||x||2
Da notare che il numero di Henrici e solo una delle tante formule che caratterizzano la
non normalita di un operatore lineare.
Dove e un numero reale positivo molto piccolo e v(t) e w(t) sono due funzioni reali. Gli
autovalori del problema sono
1 = , 2 = 2
e gli autovettori normalizzati corrispondenti sono:
1 0
q1 = , q2 =
1+ 2 1 1
Sviluppando la soluzione nella base degli autovettori si ricava direttamente la soluzione del
problema (3.14):
v
= a 1 e 1 t q1 + a 2 e 2 t q2
w
dove a1 e a2 sono due costanti che vengono determinate dalle condizioni iniziali: posto v(0) =
v0 e w(0) = w0 si ha:
1 + 2 v0
a1 = v0 , a2 = w 0
Pertanto:
v0 t
v(t) = v0 et , w(t) = e e2t + w0 e2t (3.15)
Sia v che w per t + e tendono a zero in quanto il sistema e linearmente stabile.
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
28 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
v(t) v0 v0 t, w(t) v0 t + w0
Vediamo che v(t) rimane limitata, mentre w(t) cresce linearmente nel tempo e la sua crescita
non dipende da . Nel limite 0 la crescita lineare si mantiene fino a t +.
La non normalita delloperatore di evoluzione puo essere caratterizzato calcolando langolo
tra i due autovettori, ottenuto mediante il loro prodotto scalare:
1
cos = q1 q2 =
1 + 2
Nel limite 0, cos 1 e pertanto 0. La figura 3.3 illustra graficamente la crescita
temporanea.
La figura 3.4 mostra che cio non avviene nel caso di un operatore normale. Infatti se L e
un operatore normale con spettro nel semipiano Re 0, allora detti i gli autovettori di L
con autovalori i si ha:
X X
q(0) = Ai i ; q(t) = Ai ei t i
i i
X
|q(t)|2 = Ai Aj e(i +j )t (i , j )
i,j
Poiche loperatore e normale il prodotto scalare tra gli autovettori vale (i , j ) = ij . Pertanto
X X
|q(t)|2 = |Ai |2 e2Re(i )t |Ai |2 = |q(0)|2
i i
q(0) q(t)
a2 q 2 a1q1 a2(t) q2 a1(t)q1
Figura 3.3: Crescita temporanea della soluzione in un problema non normale (langolo tra
gli autovettori q1 e q2 e molto piccolo). A sinistra la condizione iniziale; a destra si vede che
|q(t)| e aumentato.
q(0)
a2 q 2 q(t)
a2(t)q2
a1q1 a1(t)q1
dv
= Lv per t 0, v(0) = v0
dt
dove L e un operatore differenziale lineare. La soluzione viene scritta formalmente come
2 3
v(t) = exp(tL)v, dove exp e loperatore esponenziale (exp(A) = 1 + A + A2! + A3! + ...).
Il fattore massimo di amplificazione della soluzione e
||v(t)||
Gmax (t) = || exp(tL)||2 = sup
v0 6=0 ||v0 ||
Se L fosse un operatore normale con spettro nel semipiano Re() 0, allora si avrebbe
|| exp(tL)|| 1 t 0. Nei flussi di Poiseuille e Couette invece si trova maxt || exp(tL)||
O(Re). Piccole perturbazioni possono crescere fino ad innescare fenomeni non lineari .
dv
= Lv + eit u
dt
dove e una frequenza data e u una funzione non dipendente dal tempo. La soluzione e
v = eit (L iI)1 u
||(L iI)1 || 1
Figura 3.5: spettro ed -pseudo-spettro per il profilo di Couette piano a Re = 350. Lo spettro
e colorato in grigio, le curve continue rappresentano l-pseudo-spettro per pari a 102 ,
102.5 , 103 e 103.5 .
Poiseuille
Couette
0.01
0.001
0.0001
1e-05
1e-06
1e-07
100 1000 10000
Re
Figura 3.7: Valore minimo dellampiezza della perturbazione affinche il problema diventi
instabile. Si noti come sia per Poiseuille che per Couette la curva segue una legge min Re2 .
I due cerchi corrispondono ai valori del numero di Reynolds critico osservati sperimentalmente.
Per dimostrare questa proprieta partiamo dalla relazione di dispersione nella forma
D(, , R) = 0 (3.16)
Differenziando otteniamo:
D D D
dD = d + d + dR = 0
R
Nel problema temporale viene fissato = 0 . La variazione di al variare di R e data da:
D D D/R
d|0 + dR = 0 d|0 = dR (3.17)
R D/
Nel problema spaziale invece si fissa = 0 . La variazione di e:
D D D/R
d|0 + dR = 0 d|0 = dR (3.18)
R D/
Inoltre per un fissato valore del parametro di controllo R = R0 si ha:
D D D/
d|R0 + d|R0 = 0 d|R0 = d|R0
D/
Ma daltra parte, fissando R = R0 e considerando come funzione di si ha
d|R0 = d|R0
R0
n An = (r r0 kn2 )An
Ossia:
dA1 1
= 1 A1 + [A1 A2 (k2 k1 ) + A2 A3 (k3 k2 ) + A3 A4 (k4 k3 ) . . . ] (3.23)
dt 2
dA2 1
= 2 A2 + [A21 k1 + A1 A3 (k3 k1 ) + A2 A4 (k4 k2 ) + . . . ] (3.24)
dt 2
dA3 1
= 3 A3 + [A1 A2 (k1 + k2 ) + A1 A4 (k4 k1 ) + A2 A5 (k5 k2 ) + . . . ] (3.25)
dt 2
e cos via. Le equazioni (3.22) possono essere scritte nella forma
dAn
+ |n |An = fn (t) (3.26)
dt
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
34 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
la cui soluzione e
Z t Z 0
An (t) = A0 e|n |t + fn ( )e|n |( t) d = A0 e|n |t + fn (t + s)e|n |s ds
0 t
fn (t)
An (t) = A0 e|n |t +
|n |
e dopo un transiente iniziale rimane solo il secondo termine:
fn (t)
An , t |n |1
|n |
Cio significa che a regime si puo sostituire lequazione differenziale (3.26) con
|n |An = fn (t)
Si puo quindi risolvere direttamente per i modi A2 (t), A3 (t), . . . in funzione di A1 . Le (3.24)
e (3.25) forniscono allordine piu basso in |n |:
A21 k1 A31 k1 (k1 + k2 )
A2 = , A3 = ,
22 42 3
Inserendo nella (3.23) si ottiene lequazione per A1 :
dA1 k1 (k2 k1 ) 3
= rA1 A1
dt 4|2 |
Generalizziamo ora il procedimento. Consideriamo il caso in cui un numero piccolo di
autovalori sia vicino alla marginalita. Le equazioni per le ampiezze dei modi normali saranno
dAi
= i Ai + Ni (A)
dt
dove i sono gli autovalori del problema linearizzato e Ni e un operatore non lineare. Sepa-
riamo le ampiezze in due categorie, quelle centrali Ac corrispondenti agli autovalori vicini alla
marginalita, e quelli stabili As .
dAsi
= i Asi + Ni (Ac , As )
dt
dAci
= i Aci + Ni (Ac , As )
dt
dAs
Nella prima equazione si possono trascurare i termini dti e si ricavano cos le ampiezze dei
modi stabili As in funzione di quelli centrali: As = G(Ac ). La loro sostituzione nella seconda
equazione fornisce allora delle equazioni nelle sole Ac :
dAci
= i Aci + Ni (Ac , G(Ac ))
dt
3.8. BIFORCAZIONI E TRANSIZIONE AL CAOS 35
Diamo di seguito lelenco delle generiche forme normali che si incontrano quando un
autovalore reale o due autovalori complessi coniugati diventano instabili.
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
36 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
dA
= rA bA3 dA5 + ...
dt
p
Le soluzioni stazionarie sono date da A=0, A = r/b (trascurando il termine di grado 5).
Biforcazione supercritica. Corrisponde al caso b > 0. La soluzione non nulla esiste solo
per r > 0 ed e stabile.
Biforcazione sottocritica. Corrisponde al caso b < 0. La soluzione non nulla esiste solo
per r < 0 ed e instabile.
A
0 0
0 0
r r
Figura 3.8: Biforcazione a forcella. A sinistra il caso supercritico, a destra quello sottocritico.
Le soluzioni stabili sono in linea continua, quelle instabili sono tratteggiate.
Biforcazione transcritica
Corrisponde al caso di un autovalore reale, in presenza di termini quadratici.
dA
= rA aA2 + ...
dt
Biforcazione di Hopf
Corrisponde al caso in dui due autovalori complessi coniugati diventano instabili. La forma
normale e
dZ
= (r + i)Z g|Z|2 Z
dt
Z e un numero complesso. Se e la fase di Z:
d|Z| d
= (r Re(g)|Z|2 )|Z|, = Im(g)|Z|2
dt dt
p
La soluzione biforcata ha unampiezza costante |Z| = Re(g) > 0
r/Re(g) (stabile se
caso supercritico, instabile se Re(g) < 0 caso sottocritico) e una fase (t) = Im(g)
Re(g) r t.
Consideriamo una soluzione periodica di periodo T : x(T +t) = x(t). Scegliendo una posizione
iniziale vicina a quella di equilibrio le piccole varizioni saranno date da x(T + t) = M x(t),
dove M e la matrice di Floquet.
Im
Hopf
+
Sottoarmonica
1 1 Re
Vi sono due biforcazioni di Hopf successive; la terza porta direttamente a un regime caotico.
3.8. BIFORCAZIONI E TRANSIZIONE AL CAOS 39
Attrattore di Lorenz
Come noto sono sufficienti pochi gradi di liberta per ottenere un comportamento caotico.
Cio e illustrato ad esempio dal modello di Lorenz. Esso e ottenuto mediante troncatura del
problema di Rayleigh-Benard (convezione termica tra due piastre orizzontali):
dA1
= P r(A2 A1 )
dt
dA2
= rA1 A2 A1 A3 (3.30)
dt
dA3
= bA3 + A1 A2
dt
dove P r = / e il numero di Prandtl, r = Ra/Rac e il rapporto tra il numero di Rayleigh e
quello critico, b e legato a un numero donda.
Per ricavare il modello di Lorenz si parte dalle equazioni della fluidodinamica in appros-
simazione di Boussinesq, valide per un fluido con un coefficiente di dilatazione termica molto
piccolo; le variazioni di densita con la temperatura vengono tenute nella spinta di Archimede
e trascurate altrove.
1 v v2
+ v = p + + k + v (3.31)
P r t 2P r
v =0
+ (v ) = Ravz +
t
3
dove P r = e il numero di Prandtl, Ra = gLT e il numero di Rayleigh, g laccelerazione
di gravita, il coefficiente di dilatazione termica, T la differenza di temperatura imposta
tra le pareti orizzontali e L la loro distanza. v e la velocita, vz la sua componente verticale e
la fluttuazione di temperatura da quella dequilibrio.
Si fa lipotesi che la velocita non abbia dipendenza dalla coordinata y; poiche la divergenza
della velocita e nulla si puo porre
v = ( j) = i + k
z x
e chiamata funzione di corrente. Le condizioni al contorno sulle pareti orizzontali sono
vz = vz = 0. La prima condizione fornisce = costante sulle pareti. Con una traslazione
x
del sistema di riferimento di velocita costante lungo la direzione x si puo fare in modo che
2
= 0 sulle pareti. La seconda condizione si traduce in z2 = 0. Infine imponiamo una fissata
temperatura delle pareti orizzontali, ossia = 0. Nelle direzioni orizzontali le condizioni al
contorno sono supposte periodiche. Sviluppiamo e in serie delle funzioni trigonometriche,
fermandoci ai primi termini dello sviluppo:
(x, z, t) = 1 (t) cos z sin qx, (x, z, t) = 1 (t) cos z cos qx + 2 (t) sin 2z
ossia
vx = 1 (t) sin z sin qx, vz = q1 (t) cos z cos qx
3.8. BIFORCAZIONI E TRANSIZIONE AL CAOS 41
q 2 q 2
A2 = 1 , A3 = 2
2( 2 + q 2 )3 ( 2 + q 2 )3
e si pongono
q 2 Ra 4 2
r= , b=
( 2 + q 2 )3 2 + q2
Le tre equazioni (3.33)-(3.35) diventano cos le equazioni (3.30) del modello di Lorenz.
CAPITOLO 3. EQUILIBRIO, STABILITA, BIFORCAZIONI,
42 TRANSIZIONE ALLA TURBOLENZA
0.001
1e-06
0 2 4 6 8 10
f
Figura 3.12: Modello di Lorenz. A sinistra si vede la traiettoria caotica che ricalca lattrattore
strano. A destra lo spettro di frequenze temporali. I parametri sono r = 28, b = 1.6, P r = 10.
Figura 3.14: Diagramma delle biforcazioni successive del modello di Lorenz al variare del
parametro di controllo r. Si noti come per valori grandi di r si ritrovano zone di periodicita.
Conclusione
In questo capitolo abbiamo visto come la transizione alla turbolenza di un fluido puo essere
inquadrata nellambito della teoria dei sistemi dinamici.
La transizione alla turbolenza avviene secondo modalita che dipendono dal problema
(biforcazioni supercritiche o sottocritiche, di Hopf o pitchfork, ecc.). Lo scenario piu
comune e quello di Ruelle e Takens.
e puo essere pensato come la media dinsieme hXi ottenuta realizzando N volte lo stesso
esperimento nelle stesse condizioni:
N
1 X
hXi = lim Xn
N N
n=1
La media dinsieme puo dipendere sia dallo spazio che dal tempo; loperatore di media
commuta sia con la derivata temporale che con quelle spaziali.
Definiamo il momento di ordine n della v.a. X come il valore atteso di X n :
Z +
n
Mn = hX i = xn fX (x) dx
45
46 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
1 1 x 2
fX (x) = e 2 ( )
2
La sua funzione di ripartizione vale
Z x
1 12 ( t )
2 x 1 x
FX (x) = e dt = = 1 + erf
2 2 2
con Z x Z x
1 t2 /2 2 2
(x) e dt, erf(x) et dt
2 0
Unaltra famiglia di grandezze utili per caratterizzare la turbolenza sono i cumulanti di ordine
n: essi sono gli scarti alla gaussiana dei momenti di ordine n: se la variabile aleatoria X fosse
normale il cumulante sarebbe nullo. Esso fornisce dunque una misura quantitativa dello
scarto del segnale dalla gaussiana. Si definisce kurtosis il cumulante normalizzato di ordine
4: K = F 3.
Lipotesi di ergodicita consente di effettuare le medie statistiche non piu mediante nume-
rose realizzazioni, come sarebbe richiesto dalloperazione di media dinsieme, bens con una
sola realizzazione. Nel caso di una corrente turbolenta ergodica e statisticamente stazionaria
si puo ad esempio eseguire la seguente media temporale
Z T /2
1
hX(x)i = lim X(x, t) dt
T T T /2
Da un punto di vista pratico la media temporale non si puo fare che su un arco di tempo
finito; tale media approssima bene quella dinsieme quando si consideri un intervallo di tempo
campione T maggiore di un tempo integrale dellordine di qualche Eddy Turnover Time, che
definiamo come:
l0
0 = ,
v0
dove l0 e la lunghezza integrale, che definiremo in seguito una volta introdotto il concetto
di spettro di energia, mentre v0 e il valore r.m.s. (root mean square) delle fluttuazioni di
velocita, cioe p
v0 = hv 2 i
4.2. CORRELAZIONI E FUNZIONI DI STRUTTURA 47
Questo tipo di media e effettuabile quando il dominio spaziale e di estensione grande rispetto
alla scala integrale l0 .
Nel caso infine di corrente stazionaria ed omogenea, si puo effettuare una media spazio-
temporale:
Z Z
1 1 T /2
hXi = lim X(x, t) d3 x dt
T,V T V T /2 V
turbolenta (lenergia cinetica turbolenta e lenergia cinetica del campo di velocita al quale
viene sottratto il campo medio).
Il tensore Qij gode della seguente proprieta:
Qij Qij
= =0 (4.2)
xi xj
Infine con un altro abuso di notazioni definiamo il tensore delle correlazioni doppie riferite
alla posizione relativa r x x usando la stessa notazione di (4.1):
Qij (x, r) = vi (x, 0)vj (x + r, 0)
Qij (x, x ) 1
= lim vi (xk )vj (xk + ) vi (xk )vj (xk )
xk 0
1
Qij (x, r)
= lim vi (xk )vj (xk + rk + ) vi (xk )vj (xk + rk ) =
0 rk
Funzioni di struttura
Le funzioni di struttura Sn sono definite come:
Esse sono facilmente riconducibili a correlazioni a due punti. Sono particolarmente importanti
le funzioni di struttura relative agli incrementi di velocita. Introdotti
e un versore e (che puo dipendere da x e r), la funzione di struttura di ordine p per gli
incrementi di velocita e definita come:
b ]p i ,
Sp (x, r, t) = h[v(x, r, t) n b rb
n (4.6)
4.3. OMOGENEITA E ISOTROPIA 49
Inoltre vale
Qij (r) = Qji (r)
Analogamente la funzione di struttura Sp (x, r, e, t) non dipende dalla coordinata x:
e]p i
Sp (r, e, t) = h[v(0, r, e, t) b (4.8)
Piu in generale tutte le grandezze statistiche sono legate alle collocazioni relative dei punti
coinvolti ma risultano indipendenti dalla posizione allinterno della corrente.
Nella turbolenza omogenea oltre alla (4.3) vale anche la seguente:
Infatti:
Qij (x, x ) 1
= lim vi (xk + )vj (xk ) vi (xk )vj (xk )
xk 0
1
= lim vi (xk + )vj (xk + rk ) vi (xk )vj (xk + rk )
0
1
Qij (x, r)
= lim vi (xk )vj (xk + rk ) vi (xk )vj (xk + rk ) =
0 rk
La turbolenza si dice isotropa se le medie dinsieme godono della proprieta dinvarianza
rispetto alle rotazioni.
Nel caso di turbolenza statisticamente stazionaria, omogenea ed isotropa, i momenti di
secondo ordine Qij (x1 , x2 , t1 , t2 ) dipendono soltanto da t = t2 t1 e da r = |x2 x1 |:
e Qij si riduce a:
A+B 0 0
Q = 0 A C (4.12)
0 C A
La forma (4.11) si riduce alla (4.12) quando r = ri ed e invariante per rotazioni, ossia se
P e la matrice di rotazione si ha
P Q(r)P T = Q(P r)
Per i primi due termini della (4.11) la cosa e evidente. Per il terzo termine si sfrutta la
proprieta seguente del tensore di Ricci:
Vedremo in seguito come lespressione (4.11) possa essere generalizzata al caso di tensori
di ordine m a n punti. Notiamo che A(r) e B(r) sono delle funzioni scalari mentre C(r) e
uno pseudo-scalare, cioe cambia di segno se cambia lorientamento della base (da destrorsa
a sinistrorsa o viceversa). Pertanto se il flusso fosse statisticamente invariante per riflessioni,
sarebbe C(r) = 0.
La condizione dincomprimibilita fornisce una relazione tra A e B; infatti dalle (4.2) e
(4.3) otteniamo subito:
Qij
=0
rj
e in virtu della (4.11):
ri rj ijk rk
A(r)ij + B(r) 2 + C(r) =0
rj r r
Sfruttiamo lidentita
r
= r2 rj
rj
e otteniamo
dA ri dB ri rj rj ri d Cr rj rk C
+ 3
+ 2B 2
+ ijk + ijk jk = 0
dr r dr r r dr r r
Gli ultimi due termini sono nulli, pertanto
dA dB 2B
+ + =0 (4.13)
dr dr r
Spesso invece di A e B si usano le correlazioni di velocita longitudinale normalizzata f (r)
e trasversale g(r), quantita misurabili direttamente negli esperimenti:
Qxx Qyy
f= , g =
2
hvx2 i vy
4.3. OMOGENEITA E ISOTROPIA 51
Poniamo u2 = vx2 = vy2 = vz2 . Dalla forma di Qij (4.12) si vede subito che f = (A+B)/u2
e g = A/u2 . Lequazione (4.13) diventa:
r df 1 d(r2 f )
g=f+ =
2 dr 2r dr
In conclusione possiamo scrivere il tensore di correlazione come
2
2 1 d(r f ) ri rj df rk
Qij = u ij + C(r)ijk
2r dr 2r dr r
Le funzioni f (r) e g(r) godono delle seguenti proprieta:
f e g valgono 1 in r = 0. Infatti:
Qxx (0) hvx (x)vx (x)i
f (0) = = =1
u2 u2
e analogamente per g(0).
r2 rf r2
f (r) 1 , g(r) = f + 1 2 (4.14)
22 2
ha le dimensioni di una lunghezza e viene chiamata la lunghezza di Taylor .
1 u2 1 u2
R(r) = (Qxx + Qyy + Qzz ) = (f + 2g) = u2 (3f + rf ) = 2 r3 f (4.16)
2 2 2 2r
52 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
k u2 2
S2 r
2
In virtu dellisotropia Q deve essere invariante per rotazioni. Esso puo dipendere soltanto
dagli invarianti costruiti con i vettori a, b, . . . , r, s, . . . da cui esso dipende, ossia da |a|, |b|,
. . . , |r|, |s|, . . . , e dagli angoli tra questi vettori, cioe in definitiva da ai bi , ai ci , . . . , ai ri , ai si ,
. . . , bi ci , . . . , bi ri ,. . . , ri si ,. . . , r2 , s2 , . . . (siccome per costruzione a2 = b2 = c2 = = 1,
questi invarianti possono essere ignorati). Se la turbolenza non fosse invariante per parita
bisognerebbe includere gli invarianti del tipo ijk ai bj rk . Per semplicita supponiamo invarianza
per parita.
La formula (4.18) dipende in modo lineare dai vettori a, b, c, . . . , h ed e una funzione
omogenea di questi; la forma piu generale per Q e pertanto una somma di termini del tipo:
dove ogni componente ai , bi , ci ,. . . ,hi interviene una ed una sola volta, contratta con un altro
membro dello stesso gruppo oppure con uno degli ri , si , . . . . Avremo allora:
(m)
X
Qij...,p (r, s, . . . ) = A (r2 , s2 , . . . , ri si , . . . )ri sj kl . . . (4.19)
dove kl indica la delta di Kronecker e la somma e estesa a tutti i modi possibili di combinare
le componenti ri , sj , . . . dei vettori posizione e le delta di Kronecker.
4.3. OMOGENEITA E ISOTROPIA 53
Vediamo come casi particolari le espressioni piu generali possibili per qualche tensore delle
correlazioni a due punti (n = 2):
Per n = 2, m = 2:
Qij (r) = A2 (r)ri rj + B2 (r)ij (4.20)
Per n = 2, m = 3:
Per n = 2, m = 4:
2 Qmq
ij = ilm jpq
xl xp
e sfruttiamo lidentita
ilm jpq = ij lp mq + ip lq mj + iq lj mp ij lq mp ip lj mq iq lp mj
2 Qkk
ij = + Qji ij Qkk (4.22)
ri rj
dove indica loperatore laplaciano;nel caso di turbolenza isotropa esso dipende solo dalla
coordinata radiale r: = r12 r
r2 r .
Di particolare interesse e la correlazione del prodotto scalare
2 Qll
= ii (r) = ii Qll + + Qii = Qll = 2R =
ri2
54 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
21 d 3 u2 d 2 d 1 d 3
= u 2 (r f ) = 2 r (r f )
r dr r dr dr r2 dr
Nellintorno dellorigine tenendo conto della (4.14) otteniamo:
2 15u2
= 2
Definiamo lenstrofia Z = 12 2 , e ricordiamo che u2 = 2
3E dove E e lenergia cinetica.
Allora la lunghezza di Taylor si esprime come
5E
2 = (4.23)
Z
Infine definiamo le correlazioni di elicita H(r) = hi (x)vi (x )i. Nel caso omogeneo si
ricava:
Qqi rl
H(r) = ipq hvq (x)vi (x + r)i = ipq = ipq C(r)iql
xp rp rp r
dove C(r) e la funzione che appare in (4.11). Elaboriamo ulteriormente questa formula:
Crl 2Crj
H(r) = 2pl =
rp r rj r
essa prende il nome di tensore spettrale della turbolenza omogenea. Naturalmente la trasfor-
mata inversa e Z
Qij (r, t) = ij (k, t)eikr d3 k
Il tensore ij e Hermitiano:
ji (k, t) = ij (k, t)
dove () indica il numero complesso coniugato. Cio e conseguenza del fatto che
Qij
=0 ki ij = 0
ri
4.4. TENSORE SPETTRALE DELLA TURBOLENZA OMOGENEA 55
Qij
=0 kj ij = 0
rj
Lenergia cinetica turbolenta e legata alle componenti diagonali di ij . Infatti
Z
1 1
E(t) = Qii (0, t) = ii (k, t) d3 k
2 2
Introduciamo ora gli spettri. Poniamo
Z
e ij (r) = 1
Q Qij (r) d
4r2 S(r)
dove per comodita di notazioni abbiamo omesso la variabile temporale (sara sottintesa da ora
e ij (r) e percio il valore medio di
in avanti); S(r) e la sfera di raggio r centrata nellorigine. Q
Qij per due punti posti a distanza r. Definiamo lo spettro nello spazio di Fourier:
Z
e
ij (k) = ij (k) d
S(k)
eij (k)dk e il contributo allintegrale del tensore spettrale a due punti per numeri donda di
Ossia le due funzioni rQ e ij (r) e eij (k) sono trasformate di seni luna dellaltra. Dimostriamo
k
la (4.24):
Z Z Z Z Z
e 1 1 ikr 3 1 3
Qij (r) = Qij (r) d = d ij (k)e d k= ij (k) d k deikr
4r2 S(r) 4r2 S(r) V 4r2 V S(r)
Pertanto Z Z + Z
e ij (r) = sin kr 3 sin kr
Q ij (k) d k= dk ij (k) d =
kr 0 S(k) kr
Z + Z Z +
sin kr eij (k) sin kr dk
= dk ij (k) d =
0 kr S(k) 0 kr
56 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
La contrazione sugli indici delle relazioni (4.25) e (4.24) fornisce allora delle relazioni che
legano E(k) e R(r): Z +
sin kr
R(r) = E(k) dk (4.27)
0 kr
Z
2 +
E(k) = R(r)kr sin kr dr (4.28)
0
Il tensore spettrale ij puo essere calcolato a partire dal tensore di correlazione della
trasformata di Fourier delle componenti della velocita. Posto
Z
1
vbi (k) = vi (x)eikx d3 x
(2)3
si ha infatti:
ij (k)(k k ) = vbi (k)b
vj (k ) (4.29)
dove (k) indica la delta di Dirac. Da cio si vede che nello spazio di Fourier non ce correlazione
tra grandezze valutate per vettori donda diversi. Dimostriamo ora la (4.29):
Z Z
1
vbi (k)b
vj (k ) = 6
vi (x)vj (x )ei(kxk x ) d3 xd3 x
(2)
1
Z= hi (x)i (x)i
2
Risulta: Z +
1
Z = ii (0) = Z(k) dk
2 0
Lo spettro di enstrofia e quello di energia sono legati dalla relazione:
Z(k) = k 2 E(k)
Mostriamo adesso che il tensore spettrale nel caso di turbolenza omogenea ed isotropa si scrive
in generale come
E(k) iH(k)
ij (k) = 2
ij + ijn kn (4.30)
4k 8k 4
dove E(k) e lo spettro di energia e H(k) e lo spettro di elicita (questultimo si annulla se la
kk
turbolenza e invariante per riflessione). Il tensore ij = ij ki 2j viene chiamato tensore di
proiezione poiche gode della proprieta che dato un qualsiasi vettore a, il vettore bi = ij aj e
perpendicolare a k.
Per dimostrare la (4.30) scomponiamo il tensore ij in una parte simmetrica Sij e una
antisimmetrica A ij :
1 1
ij = A S
ij + ij , A
ij = (ij ji ), Sij = (ij + ji )
2 2
58 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
1 1 1 b
H(k) b
H(k) b
H(k)
nij kn A
ij = nij kn (ij ji ) = inj kn ij jni kn ji = =
2 2 2 2i 2i i
nij kn A 2
ij = inij ijp kn kp h(k) = 2inp kn kp h(k) = 2ik h(k)
Il confronto tra questi due risultati mostra che
b
H(k) = 2k 2 h(k)
Occupiamoci adesso della parte simmetrica del tensore ij . La forma piu generale e data
dalla (4.20):
Sij = b(k)ij + c(k)ki kj
Imponiamo lincomprimibilita:
b(k)
ki sij = 0 = c(k) =
k2
Pertanto
ki kj
Sij
= b(k) ij 2 = b(k)ij
k
Ricaviamo lespressione di b(k) in funzione dello spettro di energia:
Z Z
1e 1 1
E(k) = ii (k) = ii (k) d = 2b(k) d = 4k 2 b(k)
2 2 S(k) 2 S(k)
4.5. CORRELAZIONI TRIPLE A DUE PUNTI 59
Notiamo che esiste un solo tipo indipendente di correlazioni triple a due punti. Ad esempio
si vede subito che il tensore
Sijk (r) = hvi (x)vj (x + r)vk (x + r)i
e funzione di Sijk :
Sijk (r) = Sjki (r)
Nel caso di turbolenza statisticamente invariante per riflessioni si ha:
Infatti
Sijk (r) = hvi (x)vj (x)vk (x + r)i = h[vi (x)][vj (x)][vk (x r)]i =
Imponendo la solenoidalita del campo di velocita si mostra che Sijk (r) dipende da una
sola funzione scalare. Definiamo
K(r) = S111 (ri) (4.33)
si mostra che
K rK 2K + rK K
Sijk (r) = r i r j r k + (ri jk + rj ik ) ij rk (4.34)
2r3 4r 2r
La funzione scalare K(r) e legata alla funzione di struttura longitudinale di ordine 3:
k
S3 [vk (x + r) vk (x)]3 = 6K(r) (4.35)
dove
1 1 (r4 K)
(r) = 2 (4.37)
2r r r r
e e loperatore laplaciano in simmetria sferica: = r12 r
r2 r mentre R e K sono definite
in (4.15) e (4.33). Per dimostrare la (4.36) partiamo dalle equazioni di Navier Stokes scritte
per le variabili v = v(x) e p = p(x) e per le variabili v = v(x ) e p = p(x ) (con x = x + r):
vi p
+ (vk vi ) = + vi (4.38)
t xk xi
vj p
+ (vk vj ) = + vj (4.39)
t xk xj
D E
Consideriamo lequazione (4.38)vj + (4.39)vi e sfruttiamo il fatto che xk = rk e che
xk
= rk :
Qij
vj vk vi + vi vk vj = pvj p vi + 2Qij
t rk rk rk rk
Qij
Sikj + Sjki (r) = pvj p vi + 2Qij
t rk rk rk rk
D E
Mostriamo ora che i termini di pressione pvj e hp vi i si annullano; in virtu dellisotropia la
forma piu generale possibile per un generico vettore hAi (r)i e hAi i = A(r)ri (cf. (4.19)). Se
Ai e solenoidale allora Ar
ri = 0 e pertanto
i
dA
r + 3A = 0
dr
Da cio si deduce che A = r3 ; se hAi i non diverge nellorigine deve essere A(r) = 0 e dunque
hAi i = A(r)ri = 0.
Sfruttiamo il fatto che Sjki (r) = Sjki (r):
Qij
(Sikj + Sjki ) = 2Qij (4.40)
t rk
Operiamo la contrazione sugli indici i e j:
Qii Siki
2 = 2Qii
t rk
Dallespressione (4.34) ricaviamo:
rK + 4K Siki 1 d 1 d(r4 K)
Siki = rk , = 2
2r rk 2r dr r dr
e la (4.36) segue direttamente. La (4.36) puo essere scritta in termini delle funzioni di
struttura: !
k k
r4 S2 r4 k S 2 4
S = r4 2 + r (4.41)
2 t r 6 3 r r 3
4.7. LA DINAMICA NELLO SPAZIO DI FOURIER 61
dove = dE 2
dt e la potenza dissipata. Infatti moltiplichiamo la (4.36) per r e sfruttiamo la
relazione (4.16):
1 u2 r3 f 1 1 r4 K 2 R
= 2 r (4.42)
2 r t 2 r r r r r
Notiamo che
2 R u2 4 f
r = r
r 2r r r
Sostituendo in (4.42) e moltiplicando per 2r otteniamo:
u2 r4 f r4 K 4 f
= 2u2 r (4.43)
t r r r
2
Notiamo che u2 = 32 E e che u 2
t = 3 . La relazione (4.41) segue direttamente usando le
(4.35), (4.16) e (4.17).
Nel caso di turbolenza statisticamente stazionaria le equazioni (4.38) e (4.39) non conten-
gono le derivate temporali ma bisogna aggiungere la forzante f a secondo membro. la (4.40)
diventa
(Sikj + Sjki ) = 2Qij + fi vi + fi vi
rk
La forzante viene supposta agire a grande scala; per valori sufficientemente piccoli di r ab-
biamo allora hfi vi i hfi vi i = e analogamente hfi vi i hfi vi i = . Dopo qualche passaggio
otteniamo lequazione analoga della (4.41):
!
k
r4 k S 2
S3 = r4 2 + r4
r 6 r r 3
Questa equazione (4.41) puo essere integrata in r e fornisce una relazione molto utile, lequazione
di Kolmogorov :
k
S2 4 k
6 = r + S3 (4.44)
r 5
b
vi
b k 2 vbi
i vj = iki p
+ ikj vd
t
dove il cappuccio indica la variabile trasformata secondo Fourier. Lequazione di continuita
fornisce ki vbi = 0. Proiettiamo lequazione nel piano ortogonale a k, applicando il proiettore
kk
ij = ij ki 2j :
2 i
+ k vbi = iij kn vdj vn = Pijn vd
j vn
t 2
dove Pijn = ij kn + in kj . Siccome
Z Z Z
3
vd
j vn = vn (k p) d p =
vbj (p)b vn (q)(p + q k) d3 p d3 q
vbj (p)b
62 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
si vede che alla variazione dellarmonica k contribuiscono solo i modi con p e q tali che
p + q = k. Linterazione puo essere locale, quando coinvolge scale di movimento simili
(|p| |q| |k|), oppure non locale, quando uno dei tre vettori donda della triade e molto
piu corto degli altri due, cioe quando nellinterazione e coinvolta una scala piu grande delle
altre: in questultimo caso vi puo essere uno scambio energetico non locale.
E(k)
= T (k) 2k 2 E + (k) (4.45)
t
dove Z +
2
T (k) = (r)kr sin krdr
0
e (r) e definita in (4.37). T (k) proviene dal termine convettivo dellequazione di Navier-
Stokes ed e chiamata funzione di trasferimento. (k) e la dissipazione di energia proveniente
dalla forzante esterna. Risulta Z +
T (k)dk = 0
0
Infatti: Z +
sin kr
(r) = T (k) dk
0 kr
e quindi Z Z
+ +
sin kr
(0) = lim T (k) dk = T (k)dk
r0 0 kr 0
ma
4K 7 r
(0) = lim + K + K
r0 r 2 2
e il limite vale 0 poiche K(0) = K (0) = 0.
T dunque trasferisce lenergia ma non la crea ne la distrugge. Integrando la (4.45)
otteniamo: Z Z +
d +
E(k)dk = 2 k 2 Edk +
dt 0 0
da cui si vede che la dissipazione di energia e pari a 2Z, dove Z = 21 2 e lenstrofia media.
Il bilancio energetico attraverso il numero donda k viene ottenuto integrando lequazione
di evoluzione dello spettro di energia tra 0 e k:
Z k Z k Z k Z k
2
E(q, t) dq T (q, t) dq = 2 q E(q, t) dq + (k) dk
t 0 0 0 0
4.8. EQUAZIONE DI EVOLUZIONE PER LO SPETTRO DI ENERGIA 63
vale a dire Z Z Z
k k k
2
E(q) dq + k = 2 q E(q, t) dq + (k) dk (4.46)
t 0 0 0
dove k e il flusso di energia ed e legato al trasferimento T (k) dalla relazione
k
T (k) =
k
Osserviamo infine che il tasso di dissipazione dellenergia per unita di massa
Z
= 2 k 2 E(k, t) dk
0
presenta un fattore k 2 nellintegrale: questo significa che il contributo delle piccole scale
risulta prevalente. Se inoltre consideriamo lequazione della quantita di moto senza forzante
nel limite dei k grandi, risulta prevalere il termine viscoso ( k 2 ) rispetto a quello convettivo
( k), riducendosi cos a
+ k 2 vbi (k, t) = 0
t
La soluzione si calcola immediatamente:
2t
vbi (k, t) = vbi (k, 0)ek
essa indica che la velocita delle piccole scale turbolente decade esponenzialmente con un tempo
caratteristico pari a 1/(k 2 ).
64 CAPITOLO 4. DESCRIZIONE STATISTICA DELLA TURBOLENZA
Cap. 5. Teoria di Kolmogorov e
sviluppi successivi
2. Si assume che lenergia dissipata per unita di massa e nellunita di tempo sia indipen-
dente dal numero di Reynolds nel limite di grandi numeri di Reynolds. Cio vuol dire
che essa ha un limite finito per 0.
3. Nello spazio di Fourier si possono individuare tre bande energetiche: una banda a piccoli
numeri donda (ossia a grande scala) dove viene iniettata lenergia e dove essa non viene
dissipata; una banda a grandi numeri donda dove agisce la dissipazione viscosa; infine
una banda intermedia (la banda inerziale, cos chiamata perche in essa prevale il termine
inerziale) dove lenergia non viene ne creata ne dissipata ma soltanto trasferita da/verso
le altre due bande.
65
66 CAPITOLO 5. TEORIA DI KOLMOGOROV E SVILUPPI SUCCESSIVI
Se CD non dipende dalla viscosita, allora neanche dipende dalla viscosita, e dunque ammette
limite finito quando 0.
Definiamo adesso le tre bande energetiche relative alla terza ipotesi. La dimensione carat-
teristica della banda a grande scala (o banda energetica) e la lunghezza di correlazione della
velocita, anche chiamata lunghezza integrale, definita come
R + Z R +
0 R(r) dr 2 +
0 k 1 E(k) dk
l0 = = f (r) dr = R +
R(0) 3 0 2 E(k)dk
0
Z
+ Z
+ Z
+ Z
+ Z
+ Z
+
sin kr E(k) sin x E(k)
R(r) dr = dkE(k) dr = dk dx = dk
kr k x 2 k
0 0 0 0 0 0
1 v3
= CD 0
2 l0
Caratterizziamo ora la scala alla quale agisce la dissipazione viscosa. Come abbiamo visto
prima la dissipazione e tanto piu attiva quanto piu la lunghezza in gioco e piccola.
Per determinare la lunghezza dissipativa supponiamo che tutta la dissipazione provenga
da un solo numero donda kD . Allora
2
= Fvisc vD kD vb(kD ) vb(kD ) (5.3)
dove vD e la velocita caratteristica del fluido a questa scala e vb(kD ) e la sua trasformata
di Fourier. Confrontiamo il temine inerziale con quello dissipativo:
e chiediamo che questo rapporto sia dellordine dellunita, ossia che il numero di Reynolds
basato sulla velocita alla scala dissipativa e la lunghezza di questa sia unitario: Inseriamo
nella (5.3):
1/4
2 2 2
kD kD kD
3
La lunghezza della scala dissipativa, anche detta lunghezza di Kolmogorov , e dunque
1/4
1 3
lD = =
kD
Alle scale piu piccole di lD la viscosita predomina, mentre alle scale piu grandi essa e
ininfluente. Il rapporto tra la lunghezza integrale e quella di Kolmogorov vale:
3/4
l0 l0 l0 l0 v 0
= 1/4 = 1/4 = = Re3/4 (5.4)
lD 3 3
v03 /l0
Si vede quindi che le due scale sono tanto piu separate quanto piu e grande il numero di
Reynolds.
La banda intermedia e costituita da quei numeri donda per i quali
1 1 l0
k0 k kD k 1 kl0 = Re3/4
l0 lD lD
Una banda inerziale estesa richiede quindi che il numero di Reynolds sia molto grande.
Vediamo in quale zona si trova la lunghezza di Taylor definita in (4.14) e espressa da
(4.23):
5E 10E
2 = =
Z
(Lultima uguaglianza viene da = 2Z). Sostituiamo = v03 /l0 e E = v02 /2:
5l02
2 = = 5Re1 l02
l0 v 0
Pertanto
= 5Re1/2 l0
Ricordando dalla (5.4) che lD = l0 Re3/4 ricaviamo infine
1/3 2/3
= 5l0 lD
La lunghezza di Taylor e dunque una sorta di media geometrica pesata della lunghezza in-
tegrale e di quella di Kolmogorov, con un peso piu importante per questultima. Essa cade
comunque nella banda inerziale (in quanto l0 lD ). Viene talvolta usato in letteratura
il numero di Reynolds basato sulla lunghezza di Taylor, ossia:
v0 v0 l0 Re1/2
ReT = = Re1/2
68 CAPITOLO 5. TEORIA DI KOLMOGOROV E SVILUPPI SUCCESSIVI
Per p = 3 vale il risultato esatto (5.5) per cui possiamo affermare che 3 = 4/5.
Con argomenti dimensionali siamo in grado di ricavare anche la forma funzionale dello
spettro di energia: se E(k) (dimensione V 2 L) dipende solo da V 3 L1 e da k L1 allora
necessariamente
E(k) = CK 2/3 k 5/3 (5.7)
CK e la costante di Kolmogorov, sperimentalmente valutata CK 1.4.
Le costanti 2 e CK non sono indipendenti in quanto esiste un legame diretto tra la
funzione di struttura S2 e lo spettro di energia E(k):
Z
4 + 3 cos x 3 sin x
S2 (r) = E(k)H(kr) dk, H(x) = 1 + (5.8)
3 0 x2 x3
Infatti riprendiamo la (4.17)
S2
f (r) = 1
2u2
dalla (4.16) otteniamo poi il legame tra R(r) e S2 (r):
u2 d 3 u2 d 3 r3 S2 3 1 d 3
R(r) = 2 (r f ) = 2 r 2
= u2 2 (r S2 )
2r dr 2r dr 2u 2 4r dr
Inseriamo quindi questa espressione nella (4.27):
Z +
d 3 sin kr
(r S2 ) = 6r2 u2 4r2 E(k) dk
dr 0 kr
e integriamo su r: Z Z
+ r
3 3 2 E(k)
r S2 = 2r u 4 dk s sin ks ds
0 k 0
5.1. TEORIA DI KOLMOGOROV 69
Z +
2 E(k)
S2 = 2u 4 3
(sin kr kr cos kr) dk
0 (kr)
R +
Inoltre abbiamo E = 21 v 2 = 32 u2 , per cui u2 = 32 0 E(k) dk:
Z
4 + 3 sin kr 3 cos kr
S2 = E(k) 1 + dk
3 0 (kr)3 (kr)2
che coincide con la (5.8). Inserendo in questa equazione le espressioni (5.6) e (5.7)
otteniamo: Z +
4 5/3 3 sin x 3 cos x
2 = CK x 1 + dx 1.32CK
3 0 x3 x2
Riprendiamo le due equazioni di evoluzione per lo spettro di energia (4.45) e per il suo
integrale (4.46). Nella banda inerziale la funzione di trasferimento T (k) e nulla (lenergia
cinetica non viene creata ne distrutta) e il flusso di energia cinetica (k) e costante e pari
a . Nella banda energetica T (k) e negativa (lenergia viene prodotta) mentre nella regione
dissipativa essa e positiva (lenergia viene distrutta).
Si sottolinea che la teoria di Kolmogorov non prevede nessun tipo di trasferimento di
energia inverso dalle scale piccole a quelle grandi, ossia (k) > 0 k. Per questo motivo
si parla di cascata diretta di energia, o cascata di Richardson; sperimentalmente invece si
osservano spesso fenomeni di fusione di strutture piccole che generano vortici piu grandi con
conseguente trasferimento inverso di energia.
Geometricamente si puo fornire una semplice visualizzazione della teoria di Kolmogorov
(si veda la figura 5.1): immaginando successive generazioni di vortici che, partendo dalla scala
integrale l0 alla quale si introduce lenergia sviluppano per frammentazione vortici piu piccoli,
in numero tale da riempire la stessa porzione di spazio (in virtu dellipotesi di omogeneita in
senso statistico). Il processo si ripete in tutta la banda inerziale, trasferendo indipendente-
mente dalla scala sempre la stessa quantita di energia (k) = , fino a giungere alla scala
dissipativa lD (indicata con nella figura) dove intervengono gli sforzi viscosi.
dr2
= c1/3 r4/3
dt
dove c e una costante universale senza dimensioni. La soluzione di questa equazione differen-
ziale e
1
r = ( 1/3 t + d)3/2
3
in particolare ponendo d = 0 (particelle coincidenti allistante iniziale) :
1
r = 1/2 t3/2
27
70 CAPITOLO 5. TEORIA DI KOLMOGOROV E SVILUPPI SUCCESSIVI
da cui si vede che le particelle si allontanano molto piu rapidamente che se fossero in un
campo di velocita costante nel tempo (in questo caso sarebbe r t)
5.2 Intermittenza
Il difetto fondamentale della teoria di Kolmogorov sta nel fatto che un segnale turbolento e
intermittente. Un aspetto del problema e che il tasso di dissipazione non e una quantita
costante nello spazio e nel tempo ma e una variabile aleatoria. Questa e la famosa obiezione
di Landau alla teoria di Kolmogorov. In altri termini, invece di scrivere
Sp rp/3 p/3
Le due ultime espressioni sono uguali solo per p = 3, come era da aspettarsi visto che la legge
p/3
4
S3 = 5 r hi e esatta. Il problema diventa quindi quello di prescrivere il valore di .
Cominiciamo con definire lintermittenza: un segnale intermittente e una funzione che
manifesta attivita solo in certe regioni dello spazio o per intervalli di tempo che diminuiscono
con la scala in considerazione. Con questa definizione non sono intermittenti ne segnali
gaussiani, ne segnali che soddisfano alle ipotesi di Kolmogorov. Il termine intermittente
in turbolenza fa riferimento alle caratteristiche di non gaussianita della turbolenza o per
caratterizzare risultati in discordanza a quelli della teoria originale di Kolmogorov.
5.2. INTERMITTENZA 71
Figura 5.2: Andamento sperimentale della curva p (p) fornito da misure sperimentali
(contrassegnati da simboli geometrici) e da alcuni modelli di intermittenza
Sp rp
Tabella 5.1: Esponenti di scala per le funzioni di struttura di vario ordine: valori misurati a
confronto con le previsioni della teoria di Kolmogorov
che nella teoria di Kolmogorov rimane costante, in realta cresca indefinitamente per r piccoli,
pur rimanendo nel range inerziale.
Un altro indice di intermittenza nelle correnti turbolente omogenee e isotrope e la non
gaussianita delle funzioni densita di probabilita di grandezze fisiche quali le derivate o gli
incrementi di velocita, caratterizzate da distribuzioni con code meno ripide, con ali piu larghe,
piu vicine ad una funzione esponenziale questo e significativo della presenza di eventi rari
e particolarmente intensi, quali la concentrazione della vorticita elevata in zone limitate,
dalla struttura filamentosa, osservata in numerose simulazioni numeriche dirette. La presenza
di queste strutture coerenti, dette comunemente worms (vedi figura 5.3), su uno sfondo di
vorticita debole, porta a segnali tipicamente intermittenti con zone di attivita alternate a
zone spente.
Prendendo in esame le p.d.f. per le componenti di velocita, sia da prove sperimentali che
numeriche, emerge una distribuzione abbastanza vicina a una gaussiana, anche se leggermente
piu ripida (figura 5.4).
Il carattere fortemente non gaussiano si legge nelle p.d.f. per le derivate della velocita:
la derivata longitudinale (per esempio vx /x, figura 5.5) risulta nelle code piu vicina ad
una esponenziale. Queste code nelle distribuzioni di probabilita sono dovute principalmente
a forti fluttuazioni di velocita a piccola scala.
inerziale risulta abbastanza buona lapprossimazione con code esponenziali (figure 5.6 e 5.7).
Presentiamo ora in sintesi alcuni modelli di intermittenza con le relative correzioni alle
leggi di scala della teoria di Kolmogorov.
74 CAPITOLO 5. TEORIA DI KOLMOGOROV E SVILUPPI SUCCESSIVI
5.3 Modello
Questo modello consiste in una semplice correzione del modello fenomenologico della cascata
di energia illustrato in precedenza: linterpretazione geometrica fornita consisteva nellimma-
ginare una successiva frammentazione di strutture dalle scale integrali fino a quelle dissipative,
in cui alla n esima iterazione vortici di scala rn fanno nascere un numero di vortici di scala
rn+1 = rn ( < 1) tale da riempire lo stesso volume di spazio dei precedenti (si veda la
figura 5.1). Ora correggiamo questa visione supponendo che ad ogni passo il volume comples-
sivo occupato diminuisca di una frazione < 1. Alla generazione n la scala e rn = n l0 e la
frazione di volume occupata e pn = n . Da cio si ricava
log
n
log(r/lo ) r log
p(r) = = log =
l0
Poniamo log / log = 3 D:
3D
r
p(r) =
l0
p(r) puo essere interpretata come la probabilita che una sfera di raggio r intersechi lo spa-
zio frattale su cui si accumulano le strutture vorticose. Queste strutture hanno quindi una
dimensione frattale pari a D.
Ci proponiamo ora di ricavare landamento delle funzioni di struttura in funzione di r. La
dissipazione alla scala r sara data da
v3
r pr
r
Il tasso di dissipazione per ipotesi non dipende dalla scala, pertanto
1/3 1 3D
v03 vr3 r 1/3 r 3 3
pr = vr v0 pr = v0
l0 r l0 l0
1
Le velocita hanno dunque un esponente di scala h = 3 3D sul frattale di dimensione D con
3 3D
proporzione di volume in cui esse risiedono pari a pr = lr0 . Landamento delle funzioni
di struttura e infine:
p +(3D)(1 p )
p p p r 3 3
Sp (r) = hvr i vr pr = v0
l0
da cio si vede che lesponente di scala p delle funzioni di struttura non vale p/3 come nella
teoria di Kolmogorov ma
p p
p = + (3 D) 1
3 3
Notiamo che per p = 3 si ottiene 3 = 1 conformemente alla (5.5). p e ancora una retta ma
con pendenza minore rispetto al valore 1/3 del modello di Kolmogorov. La correzione ottenuta
non e dunque ancora in grado di riprodurre bene landamento sperimentale del diagramma
p vs. p, soprattutto per ordini p elevati.
Lesponente dello spettro di energia e legato a quello della funzione di struttura di ordine
2. Infatti S2 (r) e E(k) sono legate dalla relazione (5.8). Assumendo E(k) k :
Z + Z +
(kr) dkr 1
S2 (r) H(kr) =r x H(x) dx
0 r r 0
5.4. MODELLI BI-FRATTALE E MULTIFRATTALE 75
Quindi
Sp (r) rp , p = min(ph1 + 3 D1 , ph2 + 3 D2 )
Dunque al variare di p il contributo dominante sara dovuto a uno o allaltro frattale.
Ad esempio consideriamo come primo frattale il modello di Kolmogorov: D1 = 3, h1 = 1/3
e come secondo frattale quello del modello : h2 = 13 (3D
3
2)
. Otteniamo:
p p p
p = per 0 p 3, p = + (3 D2 ) 1 per p 3
3 3 3
cioe la turbolenza e di tipo Kolmogorov per p 3 e intermittente secondo il modello per
p 3.
Il modello bi-frattale puo essere generalizzato nel modello multifrattale: si assume che
esista per la velocita un intervallo di esponenti di scala h [hmin , hmax ]; per ciascuno di tali
h esista inoltre un insieme Sh di dimensione frattale D(h) tale che
h
vr r
v0 l0
dp
h=
dp
76 CAPITOLO 5. TEORIA DI KOLMOGOROV E SVILUPPI SUCCESSIVI
rn = l0 2n
r = W1 W2 Wn
log2 hW1q i
n log2 r r
hqr i = q
hW1q . . . Wnq i = q
hW1q i = q
hW1q i l0
= q
l0
Pertanto
q
r
hqr i = q
con q = log2 hW q i
l0
Pertanto
p D E
p = log2 W p/3
3
Con diverse scelte delle p.d.f di W si possono generare diversi modelli di intermittenza, tra
cui lo stesso modello precedentemente studiato.
p p
q = log2 hW q i = (1 q) log2 , p = 1 log2
3 3
Modello log-normale
Uno dei primi modelli proposti per correggere i risultati della teoria di Kolmogorov fu in-
trodotto da Kolmogorov stesso nel 1962 ed e noto come modello log-normale. In esso si
assume che il logaritmo di W abbia una distribuzione gaussiana: W = 2Y con Y variabile
aleatoria gaussiana Y N (m, 2 ). Si puo mostrare che la condizione hW i = 1 impone che
2m = 2 log 2. Poniamo = 2m; risulta:
p
q = (q q 2 ) p = + (3p p2 )
2 3 18
Notiamo che per p = 3 si ottiene come previsto 3 = 1.
Il principale difetto di questo modello consiste nel fatto che per p > 32 + 3 , p risulta una
funzione decrescente di p: questo viola le condizioni secondo cui 2p deve essere una funzione
concava e non decrescente di p, altrimenti si produrrebbe una singolarita nel campo di moto
(come mostreremo nella sezione 5.7).
Modello log-Poisson
Si accenna infine ad un modello nel quale la variabile Y (W = 2Y ) ha una distribuzione
di Poisson ; questo porta ad una relazione p che risulta in ottimo accordo con i risultati
sperimentali disponibili:
p/3
p 2
p = + 2 2 .
9 3
d
+ kn un = i(an un+1 un+2 kn2 un1 un+1 kn3 un1 un2 ) + fn ,
2
kn = k0 2n
dt
Le soluzioni numeriche ottenute con questo modello indicano che le funzioni di struttura
Sp (n) = h|un |p i hanno una legge di scala
p
Sp (n) kn
con esponenti p che dipendono in modo non triviale da p; il modello dunque mostra interes-
santi caratteristiche di multifrattalita.
2. 2p deve essere una funzione non decrescente di p, altrimenti la velocita avrebbe una
singolarita.
quindi se Sp = Ap rp : p
Ap+q rp+q A2p A2q r(2p +2q )/2
s
A2p A2q
rp+q (2p +2q )/2
A2p+q
Nel limite r 0 il primo membro rimane limitato alla condizione che
per q = p + 2:
2p+2 (2p + 2p+4 )/2
e pertanto 2p deve essere una funzione concava di p.
Dimostriamo ora la seconda proprieta. Sia Vmax il valore massimo del modulo della velocita
assunto dal fluido nello spazio e nel tempo.
(v)2p+2 = (v)2p (v)2 4 (v)2p Vmax 2 2
= 4Vmax (v)2p
Quindi
A2p+2 r2p+2 4A2p Vmax
2
r2p
cioe
2 A2p+2 2p+2 2p
Vmax r
4A2p
se 2p+2 2p < 0 allora il secondo membro della disuguaglianza diverge per r 0.
Cap. 6. Diffusione e trasporto di
uno scalare passivo in un moto
turbolento
79
CAPITOLO 6. DIFFUSIONE E TRASPORTO DI UNO SCALARE PASSIVO
80 IN UN MOTO TURBOLENTO
Re 1 e Pe 1, per cui gli effetti diffusivi sono significativi solo a livello della
microscala della turbolenza;
campo di velocita medio nullo hvi = 0 (anche se tale caso si verifica raramente nella
realta permette di semplificare la trattazione statistica che seguira);
hCi = 0, per cui le fluttuazioni implicano valori positivi e negativi per C (e unipotesi
conveniente ai fini della trattazione seguente).
C 1
C + (Cv )C + C 2 v = CC + C C C C, (6.2)
t 2
da cui, riarrangiando i termini:
C2 1
( ) + [( C 2 )v] = [CC] C C. (6.3)
t 2 2
Applicando loperazione di media allequazione precedente ed osservando che grazie allipotesi
di omogeneita di C i termini con la divergenza sono nulli, si ottiene:
d 1 2
C = hC Ci ; (6.4)
dt 2
tale equazione descrive la diffusione di C 2 tra zone a C positivo a C negativo ed esprime il
fatto che le fluttuazioni di C vengono distrutte ad un tasso proporzionale a:
C := hC Ci , (6.5)
per cui C rappresenta il rateo di distruzione della varianza di C, ovvero delle fluttuazioni
di C. A prima
vista la convezione, e quindi la turbolenza, sembra non avere influenza sulla
2
dissipazione di C in quanto non entra direttamente nellEq.(6.5). Tuttavia la convezione
e la turbolenza giocano un ruolo fondamentale nella generazione di C, per cui, tanto piu
marcata e la turbolenza, maggiore e il termine C e quindi la dissipazione delle fluttuazioni
di C. Questo fenomeno puo essere evidenziato con un esempio pratico: si pensi ad esempio
di disporre della crema (che rappresenta lo scalare C) al centro di una tazza di caffe. In
assenza di moto convettivo la crema diffonde molto lentamente nella tazza; se invece il caffe
viene mescolato con un cucchianino, la crema viene dispersa e si formano dei filamenti di
crema (piu in generale di C) tanto piu marcati quanto maggiore e la convezione. Quando tali
filamenti sono molto fini la diffusione puo finalmente intervenire diffondendo la crema, ovvero
dissipando le fluttuazioni di C.
A questo punto si vuole caratterizzare la scala spaziale delle fluttuazioni di C. A questo
proposito, definendo C come la lunghezza caratteristica della scala delle piu rapide variazioni
spaziali di C, ovvero lanalogo lunghezza caratteristica della microscala di Kolmogorov per
la turbolenza, il rateo di dissipazione della varianza C puo essere stimato come:
(C)C 2
C , (6.6)
C
2 C resti invariato a livello delle scale piu grandi della microscala C , per cui la varianza
C , e quindi le fluttuazioni di C, vengono trasportate a livello della scala C , dove vengono
dissipate per diffusione ad un rateo C . Allo stesso modo si ipotizza che a livello delle scale
CAPITOLO 6. DIFFUSIONE E TRASPORTO DI UNO SCALARE PASSIVO
82 IN UN MOTO TURBOLENTO
allinterno di tale banda si verificano: la dominanza delle forze dinerzia su quelle viscose
(r > ), la dominanza della convezione di C sulla diffusione, per cui localmente Pe > 1
(r > C ) e la dipendenza dalle grandi scale solo dal flusso di energia cinetica turbolenta e
dal rateo di dissipazione delle fluttuazioni di C, C (r < l e r < lC ). Quindi, nella banda
inerziale-convettiva S2C dipende solo da r, e C , per cui:
Si osservi che, pur valendo la legge dei dueterzi allinterno della banda inerzialeconvettiva,
si puo in prima approssimazione, estrapolare il risultato ai limiti della banda, ovvero:
1 2
(S2C )max C 3 max
3
,
1 2 (6.14)
(S2C )lmin C 3 lmin
3
.
A questo punto si vuole determinare la lunghezza caratteristica delle piu rapide variazioni
spaziali di C, ovvero C . A tal proposito risulta conveniente definire il numero di Schmidt
come:
Sm := , (6.15)
6.1. FLUTTUAZIONI LOCALI DELLO SCALARE PASSIVO INDOTTE
DALLA TURBOLENZA 83
ovvero il rapporto tra la viscosita cinematica del fluido e il coefficiente di diffusione dello
scalare. Se Sm > 1 la diffusione di C e meno efficace della diffusione per vortici, per cui
filamenti di C sono trasportati dai vortici di piccola scala; al contrario se Sm < 1 la diffusione
di C avverra anche a livello dei vortici della scala inerziale. Si osservi che se Sm > 1 si puo
ipotizzare che > C , mentre se Sm < 1 si avra C > ; sinteticamente si scrive:
Sm > 1 max > C e la banda per C < r < si dice banda viscosaconvettiva;
Sm < 1 max C > e la banda per < r < C si dice banda inerzialediffusiva;
analogamente se r < min := min{, C } la banda e detta viscosadiffusiva. Nel caso in cui
Sm > 1 da considerazioni teoriche ed esperimenti numerici si rileva che:
1
2
C , (6.16)
v
dove v e la velocita caratteristica della miscroscala di Kolmogorov; dato che in questa banda
localmente Re 1, si ha v , per cui:
1 1
2
C = Sm 2 . (6.17)
Se invece Sm < 1 si ha localmente Pe = vCC 1, essendo vC la velocita caratteristica delle
1 1
fluttuazioni di C sulla scala C ; dato che r > vale u 3 3 , dove u rappresenta la velocita
caratteristica dei vortici della banda inerziale, per cui, essendo C > , si ha:
1 1
vC 3 C3 . (6.18)
C
3
Dato che a livello della microscala di Kolmogorov Re 1, per cui v , si ha 4
, da cui
1
34
vC C
3
ed infine:
3 3
4
C = Sm 4 . (6.19)
Infine resta da determinare il tempo caratteristico della dissipazione delle fluttuazioni di C,
ovvero del mescolamento di C; a tal proposito si ipotizzi che lC < l. Sulla base di questa
ipotesi si ritiene valida la legge dei dueterzi per lo scalare passivo, per cui:
1 2
S2C C 3 lC3 , (6.20)
V3
da cui, essendo l , da analisi dimensionali si ottiene:
1 2
C C 2 V l 3 l C 3 , (6.21)
dove, essendo hvi = 0, V rappresenta la velocita caratteristica dei vortici di larga scala.
Riprendendo lEq.(6.4) si ha:
d 1
2 1 2
C = C V l 3 lC 3 C 2 , (6.22)
dt 2
CAPITOLO 6. DIFFUSIONE E TRASPORTO DI UNO SCALARE PASSIVO
84 IN UN MOTO TURBOLENTO
Figura 6.2: Diffusione di Taylor: evoluzione della nuvola di particelle rilasciate in modo
continuo.
1 2
l 3 lC3
TC . (6.23)
V
Se in galleria del vento viene utilizzata una griglia riscaldata per generare turbolenza e
fluttuazioni dello scalare C si ha lC l, per cui:
d 1
2 V
2
C C , (6.24)
dt 2 l
che fornisce un risultato del tutto analogo al rateo di dissipazione di energia in un flusso
turbolento che decade liberamente:
d 1
2 V
2
v = v . (6.25)
dt 2 l
RN = RN 1 + LN . (6.26)
da cui mediando ed essendo hRN 1 LN i = 0 dato che la direzione dello spostamento risulta
indipendente dalla posizione assunta dalla particella, si ha:
2
2
RN = RN 1 + L2 . (6.28)
Si osservi come tale distanza non e nulla pur essendo ogni spostamento in direzione casuale.
Analogamente si puo supporre che leffetto della turbolenza di piccola scala sulla distanza
percorsa da una particella a partire dal punto del suo rilascio sia analogo a quello del cammino
casuale, per cui:
1
R t2 . (6.31)
Tale risultato e confermato da analisi teoriche ed esperimenti, tuttavia non vale per gli istanti
di tempo immediatamente dopo il rilascio della particella, per cui:
R t, t & 0; (6.32)
cio e giustificato dal fatto che per tempi piccoli la particella si muove allincirca con la sua
velocita iniziale, per cui R V0 t. Si osservi che questi risultati possono essere applicati alla
valutazione del raggio di una nuvola di uno scalare C che viene rilasciato continuamente in
un funzione del tempo, almeno finche la dimensione della nuvola non diventa comparabile con
quella dei vortici della banda inerziale.
Figura 6.3: Problema di Richardson: evoluzione delle nuvole di particelle rilasciate in modo
discreto.
Figura 6.4: Problema di Richardson: effetto dei vortici della microscala (caso A), della scala
inerziale (caso B) e di larga scala (caso C) sulla nuvola di punti.
landamento nel tempo del diametro della nuvola puo essere determinato in maniera analoga
al problema della diffusione di Taylor (Sec.6.2), per cui:
1
R t2 . (6.33)
che viene detta legge dei quattroterzi di Richardson; dalla precedente si ottiene infine che il
diametro varia nel tempo secondo il seguente legame:
3
R 2 t 2 . (6.36)
Infine, se il diametro assume dimensione comparabile con quella dei vortici di larga scala
(anche a causa dei vortici della banda inerziale), leffetto piu evidente della turbolenza di
grande scala sara quello di trasportare la nuvola (Fig.6.4 caso C), la cui forma viene al tempo
stesso alterata dai vortici di scala piu piccola (della banda inerziale e microscala). Per questo
motivo si puo supporre che il diametro si comporti come nel caso di turbolenza di piccola
scala, per cui:
1
R t2 . (6.37)
CAPITOLO 6. DIFFUSIONE E TRASPORTO DI UNO SCALARE PASSIVO
88 IN UN MOTO TURBOLENTO
Cap. 7. Turbolenza bidimensionale
7.1 Generalita
La turbolenza bidimensionale e presente in fluidi con una delle seguenti caratteristiche:
fluido che scorre in un dominio in cui una delle dimensioni e molto piccola rispetto alle
altre due.
dove S(t)R indica una superficie materiale trascinata dal fluido, deduciamo che la quantita
integrale S(t) f ()d si conserva. In particolare si conserva lenstrofia:
Z
1
= 2 d
2 S(t)
89
90 CAPITOLO 7. TURBOLENZA BIDIMENSIONALE
dv
= p
dt
d
=
dt
d 1 2
v = (pv) [ 2 + (v)]
dt 2
d 1 2
= ()2 + [ ()]
dt 2
d 1
()2 = Sij [()2 (())]
dt 2 xi xj
d 1
2
v = 2 (7.1)
dt 2
d 1
2
= ()2 (7.2)
dt 2
d 1
2
() = Sij ()2
dt 2 xi xj
Dallequazione (7.2) vediamo che lenstrofia non puo mai crescere; allora lequazione (7.1)
mostra che lenergia cinetica
2 decresce nel tempo con un tasso che e sempre minore o uguale del
valore iniziale poiche e limitato superiormente dal suo valore iniziale. Pertanto per 0
d 1
2
la derivata temporale dt 2 v tende a zero: nella turbolenza bidimensionale lenergia cinetica
tende a conservarsi. Cio e in contrasto con quanto avviene nella turbolenza tridimensionale
dove il tasso di dissipazione dellenergia cinetica tende a un valore finito quando la viscosita
tende a zero (si veda la sezione 5.1). La differenza di comportamento e dovuta al fatto
che nella turbolenza bidimensionale e assente il termine di stiramento dei vortici ( )v
nellequazione della vorticita. Questo termine nella turbolenza tridimensionale e responsabile
della cascata di Richardson (secondo la quale i vortici piu grandi vengono divisi in vortici
sempre piu piccoli fino a raggiungere le dimensioni della scala di Kolomogorov, dove vengono
dissipati; si veda la figura 5.1). In 3D lo spettro di enstrofia aumenta allaumentare del
numero donda Z(k) k 2 E(k) k 1/3 . Al diminuire di la scala di Kolmogorov diminuisce
e lenstrofia aumenta. In 2D invece lenstrofia non puo crescere per compensare un minore
valore di poiche essa e sempre maggiorata dal suo valore iniziale. Lesponente della legge
di potenza dello spettro di enstrofia in funzione di k deve percio essere negativoo.
7.3. LA TEORIA DI KRAICHNAN 91
E(k) 2/3 k 3
La cascata inversa di energia non puo ovviamente protrarsi allinfinito poiche le dimensioni
massime del sistema impongono un limite al numero donda raggiungibile: k k. Ci propo-
niamo di calcolare in quanto tempo venga raggiunto il numero donda k iniettando energia al
numero donda kin k. Lenergia totale del sistema e approssimativamente
Z kin
3 2/3
E= CK 2/3 k 5/3 dk CK 2/3 k
k 2
dE
Poniamo dt = :
5/3 dk
CK 2/3 k =
dt
3CK 2
(k )1/3
t=
2
Nelle simulazioni numeriche di turbolenza bidimensionale si osserva che i vortici, che
contengono lenergia cinetica, tendono ad aggregarsi per formare vortici sempre piu grandi
e longevi (cascata inversa di energia) mentre la vorticita si concentra in regioni con forti
gradienti di velocita e viene rapidamente dissipata (cascata diretta di enstrofia). Cio e in
buon accordo con la teoria di Kraichnan.
92 CAPITOLO 7. TURBOLENZA BIDIMENSIONALE
Cap. 8. Strato limite laminare,
strato limite turbolento
Lo strato limite e quella regione vicino alle pareti dove la viscosita gioca un ruolo essenziale.
In questo capitolo tratteremo lo strato limite piano, prima nel caso di flusso laminare e poi
in quello turbolento.
4. Spessore dello strato limite molto piccolo rispetto alla dimensione longitudinale L.
Supporremo quindi che le derivate in direzione longitudinale scalino come /x L1 ,
mentre in direzione perpendicolare alla parete scalino come /y 1 .
93
CAPITOLO 8. STRATO LIMITE LAMINARE, STRATO LIMITE
94 TURBOLENTO
Studiamo adesso la forma del profilo di velocita allinterno dello strato limite. Chiamiamo
u = vx la velocita longitudinale e v = vy quella verticale (ricordiamo che per ipotesi vz = 0).
Procediamo ad unespansione in serie di potenze di = /L delle variabili:
u = u0 + u1 + 2 u2 + ..., p = p0 + p1 + 2 p2 + ...
u0 u0 p0 2 u0
u0 + v1 = + (8.2)
x y x y 2
p0
=0 (8.3)
y
Le condizioni al contorno si ripercuotono naturalmente sulle variabili sviluppate in serie:
Lequazione (8.3) mostra che la pressione allordine piu basso dipende solo dalla coordinata
longitudinale x; possiamo allora sostituire la derivata parziale p0 /x in (8.2) con la derivata
totale dp0 /dx.
Trattiamo inizialmente il problema semplificato con pressione uniforme, ossia dp/dy = 0;
supponiamo inoltre che u0 e v1 possano essere descritte in forma autosimile:
y
u0 = U f (), v1 = V (x)g(),
b(x)
V (x) U f ()
= (8.5)
b (x) g ()
Il primo termine dipende esclusivamente da x e il secondo termine da . Entrambi devono
dunque essere costanti. Poniamo senza perdita di generalita V (x)/b (x) = U . La seconda
equazione diventa:
b (x)
2 b (x) U
U 2 f ()y 2
f () + U g()f () = f ()
b(x) b(x) b(x)2
8.1. STRATO LIMITE LAMINARE 95
Profilo di Blasius
2
F
f
1.5 f
0.5
0
0 1 2 3 4 5
Ossia
f ()
U b(x)b (x) = (8.6)
(g() f ())f ()
Di nuovo abbiamo il primo membro che dipende esclusivamente da x e il secondo da :
entrambi devono essere costanti. Poniamo allora bb = d2 dove d e una lunghezza caratteristica.
Da cio ricaviamo b = dx. La (8.6) diventa:
Ud
f = f (g f )
2
Ud
Poniamo 2 = 1 e isoliamo g:
f
g= + f (8.7)
f
infine deriviamo rispetto a e sfruttiamo il fatto che g = f (dalla (8.5)):
f
= f (8.8)
f
Questa equazione viene chiamata equazione di Blasius. Le condizioni al contorno sono:
f (0) = 0 (velocita orizzontale nulla a parete),
f (0) = 0 (velocita verticale nulla a parete) e
f (+) = 1 (velocita costante fissata allestremo superiore dello strato limite).
Viene spesso usata
R una seconda forma dellequazione di Blasius impiegando come variabile
la primitiva F = f d:
F + F F = 0 (8.9)
Le condizioni al contorno per F sono F (0) = F (0) = 0 e F (+) = 1. Le funzioni f e F
non sono esprimibili mediante funzioni elementari ma possono essere calcolate numericamente
(fig. 8.1).
Determiniamo ora landamento dei profili per 0 e . Nellorigine le condizioni
al contorno impongono f (0) = f (0) = 0. Inoltre dalla (8.8) si ricava f (0) = 0. Si puo
CAPITOLO 8. STRATO LIMITE LAMINARE, STRATO LIMITE
96 TURBOLENTO
a2 4
f () = a + O( 7 )
24
con a = f (0) 0.4696. Il profilo di velocita si mantiene quindi praticamente lineare in un
intorno abbastanza esteso dellorigine.
Nellaltro estremo ( ) f tende a 1 e lequazione (8.8) tende alla f = f , da cui
2 /2
f = e , f () = erf()
La velocita verticale vicino al bordo superiore e negativa, cioe lo strato limite aspira il fluido
2
esterno. Infatti g = f e g(+) = 0, da cui g e /2 < 0.
Passiamo adesso al caso in cui il gradiente di pressione non sia nullo. Cerchiamo sempre
delle soluzioni autosimili:
U non e piu costante ma dipende dalla coordinata longitudinale x. Le equazioni (8.1) e (8.2)
diventano:
b U V
U f 2 yf + g = 0
b b
b U UV dp U
U f (U f
2
yf ) + gf = + 2 f
b b dx b
Che possiamo riscrivere in questo modo:
b2 U f bb U f + bV g = 0 (8.10)
b2 dp
b2 U f 2 bb U f f + bV gf = + f (8.11)
U dx
Si porra dunque
b2 dp
2bb U = c1 , b2 U = c2 , bV = c3 , = c4 (8.12)
U dx
R
con c1 , c2 , c3 e c4 costanti. Definiamo come prima F = f d ed eliminiamo g dalle equazioni
(8.10) e (8.11):
c1 2
F + ( + c2 )F F c2 F + c4 = 0
2
Con la scelta ( c21 + c2 ) = , c2 = c4 = si arriva infine allequazione di Falkner-Skan:
2
F + F F + (1 F ) = 0
Ritorniamo ora alle definizioni (8.12). Si vede che U e p soddisfano semplici leggi di
potenza in x:
8.2. STRATO LIMITE TURBOLENTO 97
s
dp 2
U (x) = Axm , = A2 mx2m1 , b(x) = x(1m)/2 , m=
dx A(m + 1) 2
Si puo mostrare che lo strato limite di un flusso che passa sopra uno spigolo inclinato di
una angolo equivale allo strato limite piano con = 2 = m+1m
. Per m > 0 lo spigolo e
concavo mentre per m < 0 esso e convesso.
Calcoliamo infine la resistenza di attrito su una lastra piana: essa e data dallo sforzo di
taglio a parete
vx vy vx U
tx = xx nx +xy ny = xy = 2 Sxy |parete = + = Re1/2 U 2
y x parete y parete
Il valore critico teorico basato sullanalisi di stabilita del profilo di Blasius e Re 645.
Quando il gradiente di pressione e positivo il valore critico aumenta fino a valori del-
lordine di 10000.
Per gradienti di pressione negativi invece lo strato limite diventa turbolento gia per Re
di ordine 100.
CAPITOLO 8. STRATO LIMITE LAMINARE, STRATO LIMITE
98 TURBOLENTO
(v )v = p + + R (8.13)
Dove abbiamo introdotto il tensore degli sforzi di Reynolds ijR = vi vj . Supporremo nel
seguito che ijR dipenda soltanto dalla coordinata y.
Scriviamo le componenti x e y dellequazione (8.13):
p v x
0= + vx vy (8.14)
x y y y
p 2
0= v
y y y
Da questultima equazione ricaviamo:
p + vy2 = 0 p + vy2 pw (x)
y
Ossia la quantita p + vy2 e funzione solo della coordinata x e la chiamiamo pw (x). Poiche
le fluttuazioni di velocita sono nulle sulla parete la quantita pw (x) e la pressione a parete
(wall in inglese, da cui il nome).
Siccome vy2 e supposto indipendente da x, possiamo sostituire x p
nella (8.14) con dp
dx :
w
v x
dpw
vx vy =
y y dx
Il primo membro di questa equazione dipende solo da y, mentre il secondo membro dipende
solo da x; pertanto entrambi devono essere costanti:
d dv x dpw
vx vy = K (8.15)
dy dy dx
R = du v v dipende linearmente
Dunque vediamo che lo sforzo di taglio totale xy + xy dy x y
R (0) lo sforzo totale a parete.
dalla distanza y dalla parete. Definiamo con w = xy (0) + xy
Introduciamo anche la velocita di attrito V w e le variabili
V y y
y+ ,
8.2. STRATO LIMITE TURBOLENTO 99
dv x
vx vy = V2 Ky
dy
Da questa relazione vediamo che nella regione piu vicina alla parete (y ) lo sforzo
totale e approssimativamente costante
dv x
vx vy V2
dy
In questa regione si passa rapidamente da una situazione in cui lo sforzo totale e puramente
viscoso (in y 0) e dove pertanto la velocita v x e funzione lineare di y: v x = V y + , ad
una zona in cui lo sforzo totale diventa prevalentemente turbolento: xy R . In tutta
questa regione la velocita non puo dipendere da , dunque v x = v x (y, , V ). Con argomenti
dimensionali si puo scrivere allora:
v x = V f (y + ), 1
Nella regione dello strato limite piu lontana dalla parete lo sforzo viscoso invece e trascu-
rabile:
V y
vx vy = V2 Ky, y+ 1
In questa regione si puo affermare che v x dipende solo da y, e V e non da : v x =
v x0 + v x (y, , V ), dove v x0 e una velocita media costante. Con argomenti dimensionali si
puo concludere che:
v x v x0 = V g(), y+ 1
Supponiamo che le due regioni appena definite abbiano unintersezione comune. Cio
avviene se V 1, cioe se il numero di Reynolds basato sulla velocita di attrito e sullo
spessore dello strato limite e grande. Nellintersezione si avra da una parte
dv x
y = V y + f (y + )
dy
e daltra parte
dv x
y = V g ()
dy
Dove abbiamo indicato con f e g le drivate rispetto alle coordinate da cui esse dipendono.
Dunque
y + f (y + ) = g ()
Siccome cio deve valere sia al variare di e di V (cambia y + ma non ) che di (varia
ma non y), entrambi i membri devono essere costanti:
1
y + f (y + ) = g () =
e una costante universale, detta costante di von Karman. Integrando si ottiene:
CAPITOLO 8. STRATO LIMITE LAMINARE, STRATO LIMITE
100 TURBOLENTO
1
v x = V log y + + A 1 (8.16)
1
v x = v x0 + V log B y+ 1
Questa e la famosa legge logaritmica di parete. Sperimentalmente la costante di von Karman
e stata determinata con un valore compreso tra 0.38 e 0.43, mentre le costanti A e B valgono
rispettivamente 5.5 e 1.0.
Ricapitolando, lo strato limite turbolento puo essere diviso nelle 4 zone di figura 8.2:
I) una regione piu interna, il sottostrato viscoso, delimitato approssimativamente da y + <
5, dove gli sforzi turbolenti sono trascurabili e la velocita longitudinale dipende linear-
mente dalla distanza alla parete:
V2 y
vx = , y+ < 5
II) una zona cosiddetta di buffer generalmente delimitata da 5 < y + < 30 dove vale una
legge (da determinare) che raccorda il sottostrato viscoso con la regione logaritmica:
V y
v x = V f , 5 < y + < 30
III) la regione logaritmica che si estende da y + 30 a 0.15:
1 V y
v x = V log +A , y + > 30, < 0.15
IV) la regione esterna y
v x = v x0 + g , y + > 0.15