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davvero utile perchè ricostruisce – anche con l’ausilio di una comprensiva bi-
bliografia degli scritti di Poggi – l’intero percorso di ricerca intrapreso da questo
autore. In particolare, sono i densi capitoli contenuti nelle sezioni centrali del
volume, dedicate rispettivamente alle diseguaglianze nella vita quotidiana e, ap-
punto, alla politica e lo stato, a ripercorrere cinque decenni di attività accademica
e scientifica intensa e multiforme.
Ma andiamo direttamente al terzo elemento, ovvero l’uso dei classici. Poggi
è, soprattutto per i lettori delle ultime generazioni, lo studioso italiano che ha
più contribuito alla interpretazione ed alla divulgazione di maestri come Weber
e Durkheim. Questo non è certo un caso: la sua è una costante corsa al fianco dei
giganti, che egli rivisita con grande accuratezza, e con il preciso intento di tenere
assieme e rivitalizzare le grandi coordinate teoriche. Le pagine scritte per questa
raccolta da allievi e colleghi di diversa estrazione sono altamente illustrative dell’im-
portanza che ha avuto per Poggi la rivisitazione dei classici. Sempre operando una
selezione impietosa, citeremo al riguardo il saggio di un allievo americano di Poggi,
come Kumar (incentrato proprio sulla lezione del suo maestro circa l’importanza
di uno studio selettivo ed accurato dei classici) e quelli di due altri «accademici
cosmopoliti», come Alessandro Pizzorno (su Tocqueville) e Arpad Szakolczai, il
quale rivisita un vecchio libro di Poggi, Images of society, che appunto introduceva
le teorie sociologiche dei tre grandi autori sopra menzionati. A questa costante
opera di riscoperta e riconnessione teorica si lega del resto lo stesso racconto che
Poggi regala (si tratta in realtà di una nota autobiografica scritta negli anni ottanta)
all’ultima sezione del volume, dedicata appunto ai ricordi personali.
C’è dunque molto da imparare dall’opera di uno studioso versatile e pro-
fondo, e questo libro aiuta senz’altro a conoscerlo meglio.
Partendo da una accurata ricostruzione degli approcci che sono stati adottati
nella letteratura esistente sull’interazione tra le strategie dei partiti etnoregionalisti
e l’integrazione europea, l’A. propone di costruire un indice multi-dimensionale
atto a rilevare sia il grado di sostegno da parte di questi partiti verso l’Europa,
sia la posizione dei partiti secondo la scala interpretativa elaborata di Hirschman
(1970), sulla quale si distinguono quattro opzioni: loyalty, voice, exit parziale, exit
totale. L’applicazione di tale indice all’analisi della posizione dei partiti etnoregio-
nalisti verso l’issue europea – sostiene l’A. – deve tener conto, per l’appunto, delle
varie dimensioni di questo fenomeno, quali: la propensione dei partiti ad essere
coinvolti nell’integrazione sovranazionale (dimensione politica); la valutazione
dei vincoli e delle opportunità economiche legate al sistema del Mercato unico
(dimensione economica); la percezione dell’impatto dell’integrazione dell’UE
sulle identità e i diritti delle minoranza (dimensione culturale); la condivisione del
grado di autonomia che i governi sub-statali acquisiscono nell’UE (dimensione
istituzionale). L’ipotesi centrale intorno a cui si costruisce l’analisi presentata
nel libro verte sul rapporto di causalità che esiste tra l’atteggiamento dei partiti
etnoregionalisti verso l’integrazione e due gruppi di fattori: 1) i fattori di Push,
che sono legati alla collocazione (centrale o periferica) dei partiti etnoregionalisti
nel sistema politico regionale; 2) i fattori di Pull, relativi alla loro percezione degli
eventuali limiti e benefici (politici, economici, ecc.) derivanti dall’UE. Per poter
misurare il grado e la natura del sostegno dei partiti etnoregionalisti verso l’in-
tegrazione all’interno delle suddette dimensioni, l’A. elabora un’apposita griglia
interpretativa attraverso la quale viene analizzato il contenuto dei documenti dei
partiti (programmi elettorali europei, dichiarazioni ufficiali, ecc.), presi in esame
alla luce dell’ipotesi avanzata.
Proseguendo in una prospettiva diacronica, il libro ricostruisce dunque la
formazione e l’evoluzione del sostegno verso l’integrazione europea, nel periodo
tra il 1979 e il 2004, di tre partiti etnoregionalisti: il Bloque Nazionalista Galego
(BNG), la Convergencia i Unió (CiU) e la Südtiroler Volkspartei (SVR). La scelta
di concentrare l’analisi empirica sul percorso di questi tre partiti si fonda su una
serie di considerazioni metodologiche condivisibili, secondo cui i partiti selezionati
in base alla strategia dei casi più dissimili rappresentano un campione ottimale
per poter cogliere le tendenze caratterizzanti del fenomeno, che tuttora presenta
molti lati inesplorati.
L’approfondita e dettagliata analisi dei partiti presi in considerazione, svi-
luppata nella seconda parte del libro, consente di verificare, infatti, il grado di
supporto che ciascuno di questi attori esprime verso l’integrazione europea. Da
questo quadro vengono poi estrapolate le similitudini e le divergenze emerse tra
i casi, per essere messe a confronto nella terza parte del volume, che riassume i
risultati riscontrati, collocandoli sulla scala di valori costruita all’inizio (p. 90).
L’A. rileva, in tal modo, sostanziali differenze sia nella posizione iniziale,
sia nelle dinamiche evolutive dell’atteggiamento dei tre partiti verso l’integra-
zione europea rispetto alle quattro dimensioni individuate prima. Per quanto
concerne la dimensione politica, ad esempio, solo la CiU, ha dimostrato sin da
subito una visione positiva del progetto di integrazione, mentre ci sono voluti
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decenni perché gli altri due partiti cominciassero ad interpretare l’UE come una
opportunità per realizzare gli interessi specifici delle proprie regioni: la SVP ha
cambiato posizione a favore dell’integrazione nel 1984, mentre il BNG ha mante-
nuto un atteggiamento negativo fino al 1994. Un quadro simile si prospetta anche
in termini di sostegno legato alla valutazione dei vantaggi e dei limiti di natura
economica derivanti dall’integrazione europea. La CiU anche in questo caso si
è espressa in modo lineare e positivo, mentre gli altri due partiti sono rimasti
contrari per un periodo pressappoco coincidente con quello indicato nell’analisi
della dimensione politica. Nell’analisi della dimensione culturale, viene riscon-
trata ancora una posizione stabile e positiva della CiU, mentre gli altri due partiti
hanno registrato un andamento differente. La SVP, partendo da una posizione
negativa, ha cominciato a mostrare sostegno verso l’integrazione già dal 1979. Il
BNG, invece, dopo l’estrema opposizione registrata nei primi anni Novanta, ha
cambiato drasticamente posizione a partire dal 1999. La dimensione istituzionale,
sottolinea l’A., risulta essere l’unica in cui tutti i tre partiti hanno manifestato una
posizione positiva, con il sostegno massimo e costante da parte della SVP e un
crescente supporto da parte del BNG.
Una puntuale ricostruzione dell’evoluzione delle variabili interne ed esterne
che incidono sulla posizione dei partiti etnoregionalisti verso l’issue europea, che
conduce l’A. alle suddette conclusioni, conferma dunque l’ipotesi iniziale, secondo
cui un’analisi del fenomeno in esame può essere esaustiva solo se supportata dalle
correlazioni che esistono tra i cambiamenti che avvengono nell’ambiente comuni-
tario (le riforme dei Fondi Strutturali, la creazione del Comitato delle Regioni, le
posizioni delle istituzioni dell’UE su questioni relative ai diritti delle minoranze,
ecc.) da un lato e le trasformazioni interne alle arene politiche regionali dall’altro.
Non appare del tutto convincente, tuttavia, l’affermazione che l’atteggiamento
positivo dei partiti verso l’integrazione aumenti proporzionalmente al rafforza-
mento del partito stesso all’interno del sistema politico regionale di riferimento.
Tale tendenza si rivela evidente nel caso del BNG, mentre la ricostruzione delle
dinamiche che hanno caratterizzato la SVP lasciano dei dubbi in proposito. Ri-
mane sullo sfondo, inoltre, l’importanza della leadership politica regionale come
fattore esplicativo delle trasformazioni osservate, sebbene ampiamente trattato
dall’A. nella ricostruzione dei casi.
È senz’altro apprezzabile, infine, che nella parte conclusiva l’A. suggerisca
possibili percorsi di sviluppo della ricerca sul fenomeno preso in analisi, indicando
una serie di aspetti che meriterebbero ulteriore approfondimento, tra cui il muta-
mento nel tempo dei fattori interni ed esterni che determinano l’attitudine più o
meno europeista dei partiti etnoregionalisti, il possibile legame tra la posizione di
questi ultimi e l’orientamento dell’opinione pubblica nei confronti del processo
di integrazione, la relazione tra la collocazione destra/sinistra e l’atteggiamento
dei partiti verso l’UE.
di fatto una limitazione dei diritti di cittadinanza. Il saggio sul sistema dei media
italiano (Hanretty) mette in luce un’ulteriore criticità, ossia la scarsa autonomia e
la forte dipendenza partitica dei mezzi di comunicazione di massa; questo vecchio
problema non ha fatto altro che acuirsi con l’entrata in politica di Berlusconi.
La seconda parte del libro mette a fuoco l’incapacità italiana di venire a patti
con il proprio passato inteso sia come eredità fascista (Arthurs), sia come conflitto
mai risolto sul passato più prossimo degli anni Sessanta e Settanta (Cento Bull).
Quanto al primo punto la ricerca verte sui monumenti e i luoghi fascisti, come il
Foro Italico, lasciati sprovvisti di un qualsiasi commento ragionato e critico. Tale
scelta ha le pericolose conseguenze di agevolare il tentativo di normalizzazione del
Ventennio e di permettere l’uso politico di questi luoghi in momenti di trasforma-
zione sociale o di crisi. Quanto al secondo aspetto si evidenzia come gli anni di
piombo abbiano lasciato profonde divisioni, antagonismi e recriminazioni, mai del
tutto risolte perché non si è mai avviato un processo di recupero della verità sui
crimini e sui risultati conseguiti in termini di giustizia. Gli attori politici e sociali
hanno preferito cullarsi in una «amnesia collettiva» che, in anni recenti, ha portato
alla decisione di secretare i documenti delle commissioni di inchiesta Mitrokhin e
di quella sui massacri. La rimozione impedisce la costruzione di identità collettive
tolleranti seppur divise e contribuisce alla costruzione di interpretazioni esclusive
del proprio passato.
La terza parte affronta un problema culturale e sociale enorme e di recente
formazione: quello dell’istituzionalizzazione del concetto di esclusione. Un saggio
(Avanza) analizza i tratti xenofobi che caratterizzano la Lega Nord, mentre un
altro (Sigona) la profonda ostilità verso i rom e gli immigrati rumeni che carat-
terizza larga parte degli italiani e che si innesta come componente essenziale
della battaglia politica sulla sicurezza. Uno studio finale (Garau) cerca invece di
approfondire la posizione non sempre chiara della Chiesa in merito al problema
dell’immigrazione e dell’identità nazionale. Sebbene la Chiesa rimanga la voce
più autorevole contro le derive razziste, sembra prospettare un modello di iden-
tità e cittadinanza basato su una sorta di «solidarietà selettiva» dove i concetti di
religiosità e nazione finiscono per coincidere. La pericolosa conseguenza è che la
Chiesa finisca per dare spazio a interlocutori politici che hanno un approccio di
mera esclusione in merito all’immigrazione.
Parte importante di questo volume collettaneo esamina uno dei più rilevanti
e, se vogliamo, cronici problemi italiani: quello della criminalità organizzata nel
Mezzogiorno. In particolare, un saggio (Parini) è dedicato alla ‘Ndrangheta,
come l’esempio più radicato di mafia che ha saputo inglobare ogni sfera della
vita sociale, politica ed economica. Un altro saggio (Allum e Allum) riguarda il
caso napoletano che non ha registrato cambiamenti positivi rilevanti in merito
al fenomeno del clientelismo e alla diffusione della camorra come ci si illudeva
potesse succedere con l’avvento dell’era Bassolino.
Infine, nell’ultima parte, ci si concentra sulle questioni economiche più
preoccupanti degli ultimi anni: l’acuirsi del divario Nord-Sud, soprattutto come
gap relativo all’industrializzazione (Iona, Leonida e Sobbrio) il fenomeno del
capitalismo familiare (Minetti) che caratterizza numerose aziende e che non può
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della morte del civismo e della partecipazione politica o sono comunque una ri-
sorsa per il cittadino-elettore? A questa domanda i due autori danno una risposta
piuttosto articolata. Il fenomeno della politica pop appare, infatti, complesso: non
tutte le esperienze servono davvero a costruire curiosità ed informazione sulla
politica e i suoi protagonisti. Tuttavia, a prescindere dalla pochezza di alcuni
strumenti mediatici come, ad esempio, i reality show (e, si potrebbe aggiungere,
dalla limitatissima autonomia dei media in Italia), la strada della politica pop è
segnata. È la stessa logica dei media a spingere verso la direzione del consumo di
politainment e i politici finiscono per adattarsi alle regole del gioco mediatico. Lo
spazio sempre più ampio riservato ad una comunicazione politica schiacciata sulla
costruzione mediale determina nuove capacità dei politici di plasmare la realtà,
a partire dalla presenza e dal rendimento televisivo. I confini tra comunicazione
e discorso politico si fanno, dunque, più sfumati, con il risultato che la popola-
rizzazione della politica può comportare, a certe condizioni, maggiore coscienza
politica e in definitiva maggiore civismo. Su queste condizioni e sulle implicazioni
positive della politica pop si può e si deve naturalmente discutere.
Si tratta, insomma, di un libro da leggere e commentare con attenzione. Pro-
babilmente, anche di un libro di cui riproporre varie edizioni aggiornate negli anni,
dal momento che il cambiamento di cui gli autori parlano è pienamente in corso.
Sotto questo profilo, sarebbe stato forse interessante, nella seconda parte
del libro, lo sviluppo di una analisi relativa al tipo di fruitore e agli effetti della
polarizzazione politica che si legano alla fruizione di alcune trasmissioni, tra loro
molto diverse: dai reality shows, al giornalismo di inchiesta di Report, dalla satira
politica di Maurizio Crozza a quella di costume delle Iene e Striscia la notizia.
Questo tipo di analisi selettiva avrebbe dato più corpo all’interpretazione della
attuale politica pop italiana, rispetto ad una appendice molto ampia per un volu-
me di queste dimensioni, che poteva forse prendere la forma di una pagina web
(magari aggiornabile nel tempo) sul quantum di politica processata dai contenuti
dei vari programmi televisivi di successo.
rilevanti del Fmi abbiano un’idea coerente del modo in cui funziona il mondo.
Moschella svolge un utile servizio pescando dagli archivi del Fmi documenti di
lavoro e policy papers, intervistando gli attori rilevanti e confrontando le loro
concezioni economiche. Ne emerge un’abbondanza di ambiguità.
In secondo luogo, ove vi sono divisioni nel Fmi, circa il modo in cui funziona
il mondo, fra differenti gruppi di economisti, studiosi di policy, rappresentanti
nazionali e simili figure, non siamo sicuri del processo con cui una particolare
concezione del mondo giunge ad avere la precedenza sulle altre. Le idee vengono
alla ribalta con la forza dell’argomentazione o dell’influenza politica? Esse preval-
gono sempre per la medesima ragione o per fattori che variano da una situazione
all’altra? Non si può dire. In parte perché l’ambiguità di cui sopra rende più
facile a quei gruppi il nascondere le proprie vere intenzioni nel processo decisio-
nale. Per altra parte poiché rende loro possibile il lavorare insieme nonostante
le differenze che li dividono. In breve: è proprio l’ambiguità a far funzionare il
processo decisionale.
In terzo luogo, una volta che un’idea si è consolidata, non c’è garanzia che
funzioni come inteso. Spesso brillanti policy analysts sono fraintesi e influenti
rappresentanti nazionali incorrono in errori disastrosi. È a questo riguardo che
Moschella dà il suo contributo originale. La sua tesi è che le idee che sono rin-
venute manchevoli possano essere cambiate nonostante le resistenze. Simili idee
non sono interamente scartate. Piuttosto, si permette che «evolvano». Questo
processo evolutivo è incrementale e si adatta in modo flessibile. Esso dipende sia
dall’interpretazione storica sia da ciò che funziona e non funziona. Più importante
ancora, il successo dell’evoluzione ideazionale non è auto-evidente. Le idee devono
essere vendute (dagli imprenditori di policy che suggeriscono gli adattamenti) e
devono anche essere comprate (dai decisori che le approvano e implementano): si
tratta di un circuito di retroazione della legittimità che è incorporato in successive
innovazioni senza le quali l’evoluzione di un’idea specifica potrebbe solamente
interrompersi.
Moschella fa un lavoro eccellente nel mostrare questo processo in atto. La
sua analisi dell’evoluzione della politica di liberalizzazione del mercato dei capi-
tali del Fmi è di prima qualità. Ciononostante, c’è un limite oltre il quale la sua
interpretazione non può andare. La crisi finanziaria globale in corso lo mostra.
Per cominciare, se Moschella ha ragione nell’illuminare il ruolo delle idee, il
suo argomento richiede di differenziare fra le idee come prescrizioni e come più
ampi paradigmi. Nonostante abbia presente il lavoro di Thomas Kuhn, questa
differenza non è tracciata. Se non la si traccia, è difficile anticipare una rivolu-
zione o una cesura in una particolare linea ideazionale. Perciò Moschella legge
la crisi finanziaria corrente come la scintilla di uno scivolamento verso regole
che disciplinino maggiormente il mercato. Può essere così ma sarebbe un errore.
Questa crisi ha rivelato qualche cosa di più profondo circa la nostra difficoltà di
comprendere l’economia mondiale. Il problema è che non siamo sicuri di – né
possiamo accordarci su – cosa indebolisca realmente la nostra comprensione.
Inoltre, se le idee sono importanti come sostiene Moschella, esse meritano
un’analisi dall’esterno oltre che dall’interno. Moschella è davvero efficace nel
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mappare il modo in cui certe nozioni si muovono nei corridoi del Fmi; tuttavia,
lo è meno nell’abbozzare il modo in cui queste idee emergono dal mainstream
economico e nel segnalarne le assunzioni critiche così come le implicazioni logiche.
Ciò rende impossibile al lettore verificare i meriti dei diversi giudizi normativi
circa il successo o il fallimento di una certe prescrizione politica, e comprender-
ne le ragioni. Di conseguenza, mentre Moschella ci rassicura che l’evoluzione
ideazionale è empiricamente testata, il lettore non ha modo di verificarlo. Si
consideri il tema della cartolarizzazione. Il mercato delle obbligazioni che hanno
come garanzia collaterale un debito è fallito a causa della ridotta regolazione o
per qualche elemento intrinseco al processo di cartolarizzazione? Nel secondo
caso, c’è un problema.
L’ultimo punto riguarda i limiti della concezione del mondo del Fmi. Mo-
schella racconta una vicenda che inizia e termina con le prescrizioni politiche del
Fmi. Questa tecnica è utile per analizzare gli sviluppi decisionali di un’istituzione
ma ha meno successo per spiegare come le idee filtrano dentro quella scatola
dall’esterno. Nella sua analisi della crisi finanziaria globale, Moschella omette di
fare riferimento agli squilibri macroeconomici che si sono imposti all’attenzione
e che stanno al cuore delle tensioni fra gli Stati Uniti e la Cina circa il modo in
cui costruire una soluzione durevole, e che spiegano anche la crisi del debito
sovrano della Grecia.
A conti fatti, comunque, il lavoro di Moschella si presenta sia come uno
studio di casi sofisticato sia come un più ampio contributo di valore. Mentre gli
economisti politici si sono limitati a focalizzarsi sulle proprie spiegazioni materia-
liste o costruttiviste, Moschella porta all’attenzione nozioni più convenzionali (e
più potenti) del «realismo scientifico» e della ragionevole comparazione causale
post-positivista. Ciò è tanto più notevole poiché non intenzionale. Moschella cita
Kuhn ma non menziona Imre Lakatos o Richard Miller, che sono però gli spettri
al banchetto della sua analisi. Moschella ci ricorda che per prendere le idee sul
serio dobbiamo centrare l’attenzione sulla «critica e la crescita della conoscenza»,
su «fatti e metodi». I processi decisionali possono essere influenzati dagli interessi,
dalle mode, dalla politica ma, dopo tutto, sono basati sulla «scienza».