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ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE I

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2001
COME LEGGERE CON PROFITTO
QUESTO LIBRETTO

«Uno solo è il vostro Maestro» disse Gesù Cristo (Mt


23,10).
Dunque, prima di cominciare, il discepolo si metta, col
cuore, ai piedi del suo divino Maestro e, mentre legge, gli sem-
bri di udire la Sua voce.
Incominci con il segno della Croce e con la preghiera inse-
gnata dal Signore: il Padre nostro.
Mentre legge, metta attenzione a queste due cose:
1. a comprendere bene il senso di ciò che legge
2. a meditano e assaporarlo molto col gusto interiore.
Concluda proponendo a se stesso di custodire quanto ha
imparato, ringraziando Dio e recitando l’Ave Maria.
Lezioni Spirituali: Lez. I:La vita perfetta

Lezione I

La vita perfetta
1. Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù Cristo, in qua-
lunque stato e condizione si trovino, sono chiamati alla perfe-
zione, perché sono chiamati al Vangelo, che è legge di perfe-
zione. A tutti ugualmente il divino Maestro disse: «Siate perfet-
ti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).
2. La perfezione del Vangelo consiste nel pieno adempi-
mento dei due comandamenti della carità: di Dio e del prossi-
mo.
Qui nasce il desiderio e lo sforzo che il cristiano compie per es-
sere portato in Dio totalmente: con tutti i suoi affetti e con tutte
le opere della sua vita, per quanto è possibile in questo mondo.
Gli è stato infatti comandato: «Amerai il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua men-
te» e «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,37.39).
3. Per ottenere questa perfezione di amore a cui il discepo-
lo di Gesù Cristo deve tendere continuamente, vi sono tre
mezzi utilissimi: la professione di un’effettiva povertà, castità e
ubbidienza.
Questi, però, non sono precetti per ogni cristiano, ma solo con-
sigli dati dal Vangelo, adatti a rimuovere ogni ostacolo dalla

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Lezioni Spirituali: Lez. I:La vita perfetta

mente, dal cuore e dalla vita del cristiano, così che possa occu-
parsi totalmente dell’amore del suo Dio e del prossimo.
4. La professione dei tre consigli evangelici forma quella
che viene chiamata perfezione religiosa. Questa non è di tutti i
cristiani, ma solo dei generosi discepoli di Gesù che si spoglia-
no effettivamente delle ricchezze, dei piaceri e della propria
volontà, per essere più liberi di dare tutto il loro amore a Dio e
al prossimo.
5. Il religioso, cioè il cristiano che professa i tre consigli e-
vangelici dell’effettiva povertà, castità e ubbidienza, deve o-
rientare questi tre mezzi ad accrescere la perfezione dell'amore,
la stessa perfezione cui sono chiamati tutti i suoi fratelli, gli al-
tri cristiani.
6. Il cristiano che aspira alla perfezione dell’amore di Dio
senza professare i consigli evangelici (è stato dedicato all'amo-
re di Dio nel santo Battesimo, e lo ha promesso a Dio) deve
guardarsi, come dice san Tommaso, dal disprezzare tutto ciò
che attiene alla pratica dei consigli evangelici (Summa II,II, q.
186,2). Anzi, deve riconoscerli ottimi, e amarli. Deve desiderare
di avere egli stesso quell’animo generoso e quell'intelligenza
spirituale della verità che spinge l’uomo alla pratica di mezzi
così adatti a liberare il cuore da tutte le preoccupazioni e gli in-
tralci che impediscono di dirigere tutta la mente e tutta la vita
in Dio nella carità. Chi vive nella vita comune può essere tenta-
to qualche volta di non apprezzare pienamente questi consigli
divini, perché un suggerimento segreto dell’amor proprio lo
trattiene dal riconoscere in sé una generosità inferiore a quella
degli altri. Invece soltanto con l’umiltà egli piacerà pienamente
al suo Dio e completerà quanto gli manca di generosità e di

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Lezioni Spirituali: Lez. I:La vita perfetta

conoscenza spirituale, perché l’umiltà lo mantiene giustamente


in un sentire basso di sé, sapendo di avere nel regno di Dio uno
stato molto meno nobile di quello religioso.
7. La carità perfetta, autentica perfezione di ogni cristiano,
poiché porta tutto l’uomo nel suo Creatore, può definirsi una
consacrazione totale o sacrificio che l’uomo fa di se stesso a
Dio, imitando quanto fece il suo Figlio unigenito, il nostro Re-
dentore Gesù Cristo.
Per questa consacrazione egli propone di avere come scopo ul-
timo di tutte le sue azioni solo il culto di Dio, e di non profes-
sare né cercare altro bene o gusto sulla terra se non in ordine al
bene di piacere a Dio e di servirlo.
8. Così il vero cristiano che desidera tendere alla perfezio-
ne a cui è chiamato, deve proporsi di seguire sempre, in tutte le
azioni della propria vita, ciò che ritiene più gradito al suo Dio e
che torna a sua maggior gloria e volontà.
9. Ora, per conoscere che cosa è conforme alla volontà di
Dio nella condotta della propria vita, egli deve avere sempre
davanti agli occhi e sempre meditare tra sé lo spirito del suo
divino Maestro e i suoi divini insegnamenti.
10. Questi insegnamenti divini riguardano due punti
focali ai quali tutto il Vangelo può essere ricondotto. Essi sono:
1° - il fine dell’agire, che il cristiano deve aver sempre presente
per seguirlo con la semplicità della colomba; e a questo scopo
cercherà di formarsene la più chiara e distinta idea;
2° - i mezzi con cui egli può, con la prudenza del serpente, ot-
tenere il fine.

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Lezioni Spirituali: Lez. I:La vita perfetta

NOTA
Circa il fine, il cristiano deve proporsi e meditare conti-
nuamente tre massime fondamentali. E altre tre massime deve
proporsi e meditare circa i mezzi. In tutto sei massime, che sono
le seguenti:
1. Desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio,
cioè di essere giusto.
2. Orientare tutti i propri pensieri e le azioni all'incremento
e alla gloria della Chiesa di Gesù Cristo.
3. Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che av-
viene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Gesù Cri-
sto, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio.
4. Abbandonare se stesso nella Provvidenza di Dio.
5. Riconoscere intimamente il proprio nulla.
6. Disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno
spirito di intelligenza.
Ora queste sei massime formeranno l’argomento delle sei
letture che seguono.

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ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE II

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez .II: Prima massima

Lezione II

PRIMA MASSIMA:
desiderare unicamente e infinitamente di pia-
cere a Dio, cioè di essere giusto.
1. Chi ama Dio come comanda il Vangelo, cioè «con tutto
il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente», sa che a Dio
non può dare alcun bene, perché Dio li ha tutti. Perciò desidera
almeno usargli giustizia riconoscendo le sue infinite perfezioni,
e desidera servirlo in tutte le proprie azioni, offrendogli
l’ossequio, la sottomissione e l’adorazione più grandi che sia
possibile.
Il che equivale a dire: desidera unicamente e infinitamente la
gloria di Dio.
E siccome nell’ossequio e nella gloria resa a Dio sta la santità
dell’uomo, la perfezione del cristianesimo comporta una ten-
denza a conseguire la maggiore santità che sia possibile.
2. Ora, il maggior ossequio che l’uomo può dare a Dio
consiste nel mettere la propria volontà alle dipendenze della
Sua, nel desiderare unicamente la maggior conformità possibile
del proprio volere col Suo, in modo che, qualunque cosa prefe-
risca, anch’egli sia subito disposto a preferirla ad ogni altra,
perché non ama altro che essere più caro a Dio che sia possibi-
le. Questo è per lui il suo unico bene, e lo domanda continua-
mente.

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Lezioni Spirituali: Lez .II: Prima massima

3. Ciò che ci rende più cari a Dio è la giustizia. Dunque il


cristiano deve domandare incessantemente di diventare sem-
pre più giusto, sempre più buono.
Egli ha bisogno di essere insaziabile e incontentabile in questo.
Lo chieda sempre di più, con la massima fiducia di essere tanto
più caro a Dio quanto più glielo chiederà, incoraggiato da que-
ste parole: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati» (Mt 5,6).
In chi professa la religione cristiana tutto deve essere ricondot-
to a quest’unico punto: desiderare di essere sempre più giusto
di quello che è, domandare questa giustizia senza posa e senza
misura, infinitamente, per essere reso “uno” con Gesù così
strettamente come Gesù è “uno” con il Padre. Sia pure insazia-
bile, non abbia mai timore di chiedere troppo; lasci che pensi
l’infinità bontà di Dio Padre a soddisfarlo di ricchezza spiritua-
le con i suoi interminabili e più che inestimabili tesori.
Dio saprà come farlo, e tanto più lo farà, quanto più egli do-
manderà insaziabilmente di essere sempre più giustificato e
immedesimato con la pura divinità.
Glielo garantisce Gesù: «Qualunque cosa domanderete al Padre
in mio nome, egli ve la darà» (Gv 16,23).
Col proprio esempio Gesù lo sprona a questo. Il cristiano deve
infatti sapere che Cristo ha già domandato per lui, con una
preghiera che non poteva restare inesaudita, quella giustizia
che egli intende domandare per sé al Padre, qualunque essa
sia. E in questa giustizia, ottenuta con la propria preghiera,
Cristo ha fondato la Chiesa degli eletti, la quale non può perire.
4. Ecco la preghiera di Gesù che deve incoraggiare il disce-
polo a domandare al Padre di essere reso sempre più giusto:

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Lezioni Spirituali: Lez .II: Prima massima

«Non prego solo per questi [cioè per i suoi apostoli], ma anche
per quelli che per la loro parola crederanno in me: perché tutti
siano uno. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi
in noi uno, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la
gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro perché siano
come noi uno. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti
nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai a-
mati come hai amato me» (Gv 17,20-23).
5. Dunque il discepolo di Gesù Cristo deve talmente desi-
derare la giustizia, da essere davvero consumato nella carità e
non viva più lui – come diceva l’Apostolo – ma via in lui Cristo
(Cfr. Gal 2,20).
6. Ora, è necessario che questo desiderio di giustizia senza
limite e senza misura, sia in lui reso puro e semplicissimo.
Per ottenere questo, deve ripeterlo incessantemente, tutto con-
centrato in se stesso, lontano col pensiero da tutte le cose este-
riori, in una perfetta solitudine interiore. In questa concentra-
zione egli deve domandare senza stancarsi la medesima cosa,
come dice Gesù: «Vegliate e pregate in ogni momento» (Lc
21,36).
Deve anche esaminarsi per vedere se questo desiderio è vera-
mente diventato semplice e puro da ogni altro desiderio, così
che in tutte le cose egli ami solo di essere più buono e più giu-
sto, cioè più caro a Dio, da lui più approvato.
7. Il cristiano non deve assolutamente smarrirsi e arrestarsi
se le cose esteriori lo impressionano. Deve ricorrere alla con-
centrazione del suo cuore e lì ripristinare senza posa il deside-
rio della pura giustizia, finché giunga alla determinazione di
non volere assolutamente più nessuna cosa della terra se non

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Lezioni Spirituali: Lez .II: Prima massima

per la giustizia, cioè per fare la cosa più cara possibile al suo
Dio.
8. È necessario che egli comprenda – e non è facile – che
tutti gli altri desideri debbano dipendere dal desiderio della
pura giustizia. Il suo libero desiderio di qualsiasi cosa deve
sgorgare solamente da questo desiderio.
In altre parole, il desiderio di un’altra cosa deve esserci perché
quella cosa corrisponde a giustizia e lo rende più giusto, e non
perché ha in sé qualche altro pregio diverso da questo solo.
9. La giustizia perfetta viene direttamente da Dio e non da
altro. Perciò il cristiano non deve amare alcuna cosa qui in ter-
ra, se non quando sa che essa è il mezzo scelto da Dio per la
sua santificazione.
E deve stare bene attento a non immaginare che lo sia, per
l’affetto nascosto che porta alla cosa, come succede a troppi.
Anzi, egli deve fermamente credere che nella mano di Dio tutte
le cose diventano strumenti ugualmente idonei ai suoi fini, e
che spesso il Signore si compiace di mostrare la propria poten-
za usando per i suoi fini le cose che di loro natura sembrano le
meno adatte.
L’uomo non deve giudicare di ciò prima che Dio gli manifesti
la sua volontà circa l’uso delle cose umane.
10. Quando il cristiano desidera essere caro a Dio infinita-
mente, desidera per sé tutti i veri beni. Per essere caro a Dio,
infatti, è necessario, che li desideri.
Dunque questo desiderio comprende tutti i possibili buoni de-
sideri. Chi ha questo grande desiderio, desidera implicitamente
la salvezza di tutti i suoi fratelli, e la desidera nella forma cara
a Dio e da Dio voluta.

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ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE III

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© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
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STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez .III: Seconda massima

Lezione III

SECONDA MASSIMA:
Orientare tutti i propri pensieri e le azioni
all’incremento e alla gloria della Chiesa di Ge-
sù Cristo.
1. Il primo desiderio che nel cuore del cristiano viene gene-
rato dal desiderio supremo della giustizia, è il desiderio
dell’incremento e della gloria della Chiesa di Gesù Cristo.
Chi desidera la giustizia desidera tutta la possibile gloria di
Dio desidera qualsiasi cosa sia cara a Dio. Ora, il cristiano sa
per fede che tutte le compiacenze del Padre sono riposte nel
suo unigenito Figlio Gesù Cristo, e sa che le compiacenze
dell’unigenito Figlio Gesù Cristo sono riposte nei suoi fedeli, i
quali formano il suo regno.
2. Dunque il cristiano non può mai sbagliare quando si
propone tutta la santa Chiesa come oggetto dei suoi affetti, dei
suoi pensieri, dei suoi desideri e delle sue azioni.
Egli conosce con certezza la volontà di Dio a questo proposito.
Sa con certezza che la volontà di Dio è questa: che la Chiesa di
Gesù Cristo sia il grande strumento per mezzo del quale il suo
nome venga glorificato pienamente.
3. Il cristiano può dubitare circa qualunque cosa particolare
se Dio voglia renderla strumento della sua gloria in un modo o
in un altro. Ma riguardo a tutta la Chiesa di Gesù Cristo non

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Lezioni Spirituali: Lez .III: Seconda massima

può dubitare. Sa con certezza che essa è stabilita come il gran-


de strumento e il grande mezzo della sua glorificazione davan-
ti a tutte le creature intelligenti.
4. Non potrebbe essere altrettanto sicuro quando si trattas-
se di una sola parte non essenziale al grande corpo della santa
Chiesa.
Egli deve dare i suoi affetti a tutta intera l’immacolata sposa di
Gesù Cristo, ma non allo stesso modo a tutto ciò che potrebbe
formarne una parte e che Dio non ha manifestato se veramente
e stabilmente le appartenga. Non deve amare illimitatamente e
incondizionatamente nessun mezzo particolare, anche se, con-
siderato in se stesso, potrebbe essere strumento per la gloria di
Dio, se Dio volesse. Può darsi che Dio, le cui vie sono scono-
sciute ai pensieri e ai giudizi degli uomini, respinga da sé quel
mezzo.
Ma quando si tratta di tutta la Chiesa, non c’è più dubbio: Dio
la elesse come strumento della sua gloria senza alcuna possibi-
lità di pentimento per tutta l’eternità.
Dunque il compito del cristiano che si propone di assecondare
la propria vocazione e di seguire la perfezione, e che ha deciso
di non far altro che cercare in tutte le cose la gloria di Gesù Cri-
sto, necessariamente consiste nell’impegnare le sue forze a ser-
vire unicamente la santa Chiesa. Ad essa deve pensare in ogni
modo possibile; per essa deve desiderare di logorare le proprie
forze e di versare il proprio sangue, imitando Gesù Cristo e i
martiri.
5. La santa Chiesa di Gesù Cristo si divide in tre parti:
quella che è in cammino qui in terra, quella che è nello stato di
termine in cielo, e quella che è prossima a questo termine, nel

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Lezioni Spirituali: Lez .III: Seconda massima

purgatorio.
Il cristiano sa che tutte e tre queste parti della Chiesa durano
finché dura questa terra, e la Chiesa che è nella gloria del cielo,
eternamente. Tutte e tre, infatti, sono elette come strumento e
sede della gloria di Dio in Gesù Cristo, che ne è il capo e il go-
vernatore. Perciò il cristiano, membro di una società così augu-
sta, deve amarle in Gesù Cristo tutte e tre illimitatamente, e
desiderare di consumarsi per esse nelle fatiche, fino a spargere
il proprio sangue.
6. Il cristiano sa, per le parole di Gesù, che la Chiesa che è
in cammino qui in terra è fondata su una pietra contro cui non
possono prevalere le forze dell’inferno. E fondata sul capo de-
gli Apostoli san Pietro e sui suoi successori, i Pontefici Romani,
supremi Vicari in terra di Gesù Cristo. Dunque egli sa, per di-
vina rivelazione, che questa sede fu scelta per beneplacito del
suo divin Fondatore, e che perciò non può mai venir meno.
Si può dire perciò che essa è diventata, per questa elezione, la
parte essenziale della Chiesa di Gesù Cristo. Tutte le altre sue
parti si possono considerare solamente come accidentali, per-
ché, singolarmente prese, non hanno ricevuto la promessa in-
fallibile di non dover perire per qualche tempo.
Dunque il cristiano dovrà nutrire in sé un affetto, un attacca-
mento e un rispetto illimitato verso la santa Sede del Pontefice
Romano.
Senza alcun limite dovrà amare e procurare la vera e santa glo-
ria, l’onore e la prosperità di questa parte essenziale
dell’immacolata sposa di Gesù Cristo.
7. Riguardo, poi, alla parte della santa Chiesa che è giunta
nello stato di termine, il fedele cristiano dovrà continuamente

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Lezioni Spirituali: Lez .III: Seconda massima

desiderarla come la parte che ha già il suo perfetto sviluppo e


la sua perfetta bellezza.
Deve suscitare in sé e continuamente accrescere il desiderio che
tutti i membri della Chiesa, o certo quanti dall’eternità vi sono
predestinati ed eletti, giungano alla sua piena perfezione, così
che venga tutto il regno di Gesù Cristo, e intorno a lui tutto si
aggreghi, compiendo così la sua gloria e il suo trionfo per tutti
i secoli dei secoli.
Questo è ciò che vuole la divina amorosa volontà e ciò in cui
Dio stesso ab eterno si è compiaciuto. Perciò questo deve esse-
re anche l’unico termine ai desideri del cristiano, perché è il
termine alla volontà di Dio.
8. Ma questo termine non può avvenire senza che prima
tutte le cose della terra periscano. Il cristiano stesso dovrà mo-
rire e il suo corpo convertirsi in polvere; e tutto l’universo, alla
fine, essere distrutto e giudicato.
Dunque il cristiano desidererà anche questo, perché conosce
che questo è il mezzo stabilito da Dio per conseguire la pienez-
za della gloria divina e il grande trionfo di Gesù.
Perciò, come deve aver sempre presente la gloria dei cieli, così
deve aver sempre presente, in ogni sua azione, la caducità di
tutte le altre cose, la loro fugace comparsa, e la morte, come
mezzo verso l’ultimo riposo in cielo.
9. Camminerà in questa vita come se ogni giorno dovesse
abbandonare tutto, come se dovesse morire ad ogni istante,
senza fare per sé provvedimenti di lunga durata, ma custoden-
do nel proprio cuore le parole del divino Maestro: «Siate pronti,
con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a coloro che
aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito,

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Lezioni Spirituali: Lez .III: Seconda massima

appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno
troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà
mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della
notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene que-
sto: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lasce-
rebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio
dell’uomo verrà nell’ora che non pensate» (Lc 12,35-40).

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ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE IV

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STRESA 2008
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STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez .IV Terza massima

Lezione IV

TERZA MASSIMA:
rimanere in perfetta tranquillità circa tutto
ciò che avviene per disposizione di Dio ri-
guardo alla Chiesa di Gesù Cristo,lavorando
per essa secondo la chiamata di Dio.
1. Gesù Cristo ha la potestà su tutte le cose, in cielo come
in terra, e si è meritato di diventare Signore unico di tutti gli
uomini.
Per questo egli è anche l’unico che regola tutti gli avvenimenti
con sapienza, potenza e bontà inenarrabile, secondo il suo be-
neplacito divino, per il maggior bene dei suoi eletti che forma-
no la sua diletta sposa, la Chiesa.
2. Perciò il cristiano, per quanto gli avvenimenti possano
sembrare contrari al bene della stessa Chiesa, deve godere una
perfetta tranquillità e conservare una gioia piena, riposando in-
teramente nel suo Signore.
Tuttavia non deve smettere di gemere e di supplicare che av-
venga la volontà del Signore come in cielo così in terra: cioè
che gli uomini pratichino sulla terra la sua santa legge di carità
come i santi la vivono in cielo.
3. Il cristiano, dunque. deve bandire dal proprio cuore l'in-
quietudine e ogni specie di ansietà e di preoccupazione: anche

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Lezioni Spirituali: Lez .IV Terza massima

quella che sembra talvolta avere per scopo il solo bene della
Chiesa di Gesù Cristo.
Molto meno ancora egli deve temerariamente lusingarsi di po-
ter mettere riparo a questi mali prima di vedere chiara la vo-
lontà del Signore a loro riguardo.
Deve aver presente che solo Gesù Cristo governa la sua Chiesa,
e che la cosa che più gli dispiace ed è più indegna del suo di-
scepolo, è la temerità di quanti, dominati da cecità di mente e
da nascosto orgoglio, senza essere chiamati e mossi da lui, pre-
sumono di fare di propria iniziativa qualche bene, anche mini-
mo, nella Chiesa. Come se il divin Redentore avesse bisogno
della loro miserabile cooperazione o di quella di chiunque al-
tro.
Nessuno è necessario al divin Redentore per la glorificazione
della sua Chiesa. Essa consiste nella redenzione dalla schiavitù
del peccato, in cui tutti gli uomini si trovano.
Solamente per la sua gratuita misericordia egli assume fra i re-
denti quelli che gli piace elevare a tale onore.
Di solito, poi, per le opere più grandi, egli si serve di ciò che è
più infermo e più spregevole agli occhi del mondo.
4. Concludiamo, dunque, e riassumiamo tutto ciò che ab-
biamo detto circa il fine che il cristiano deve prefiggersi e deve
tener sempre presente in tutte le sue azioni.
Abbiamo visto che questo fine deve essere:
I. - la giustizia o santità, perché in essa consiste la gloria di
Dio;
II. - la Chiesa di Gesù Cristo, perché è il modo stabilito da
Dio per conseguire la sua gloria;
III. - la chiamata di Gesù Cristo, perché è lui che nella sapien-

20
Lezioni Spirituali: Lez .IV Terza massima

za governa la Chiesa a proprio beneplacito, in modo che


essa porti a Dio la massima gloria.

Dopo aver purificato in questo modo le proprie intenzioni ed es-


sersi proposto unicamente il fine sopra descritto a cui orientare tutte
le azioni della propria vita, il discepolo di Gesù Cristo deve anche co-
noscere e stabilire i mezzi con cui poter ottenere quel fine desiderato.

Egli li troverà dirigendo il proprio comportamento secondo le tre


massime di cui si parla nelle letture che seguono.

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ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE V

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

Lezione V

QUARTA MASSIMA:
abbandonare totalmente se stesso
nella Provvidenza di Dio.
1. Non c’è forse altra massima che più di questa aiuti a ot-
tenere la pace dei cuore e la costante serenità propria della vita
del cristiano.
2. Non ce n’è forse nessuna altra che, praticata con la sem-
plicità e la generosità di cuore che richiede, rende più caro al
Padre il discepolo di Gesù Cristo.
Infatti essa abbraccia un’intera confidenza in Dio e in Dio solo,
un intero distacco da tutte le cose della terra che appaiono pia-
cevoli, potenti e illustri, abbraccia un tenero amore riservato
tutto a Dio solo.
Abbraccia una fede vivissima e certa che tutte le cose del mon-
do, piccole e grandi, stanno ugualmente nella mano del Padre
che è nei cieli e agiscono soltanto come egli dispone per rag-
giungere i suoi altissimi fini. Fede in una infinita bontà, miseri-
cordia, liberalità e generosità di Dio Padre, che tutto dispone
per il bene di quelli che confidano in lui. Questo vuoi dire che i
suoi doni, le sue finezze, le sue sollecitudini, le sue grazie sono
proporzionate alla confidenza che hanno in lui i suoi amati fi-
gli.
3. Non c’è nessuna altra massima che il divino Maestro

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Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

abbia raccomandato più di questa con le sue parole e con il suo


esempio.
Ecco il discorso che egli fece ai suoi discepoli per confortarli
nelle persecuzioni che avrebbero subito da parte degli uomini:
«A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e
dopo non possono far più nulla. Vi mostrerò invece chi dovete temere:
temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geen-
na. Sì, ve lo dico, temete Costui. Cinque passeri non si vendono forse
per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a
Dio. Anche i capelli dei vostro capo sono tutti contati. Non temete,
voi vale-te più di molti passeri. [...l Per questo io vi dico: Non datevi
pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro
corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del ve-
stito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ri-
postiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi vale-
te! Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un’ora sola alla
sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa,
perché vi affannate del resto? Guardate i gigli, come crescono: non
filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tut-
ta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così
l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più
voi, gente di poca fede? Non cercate perciò che cosa mangerete e ber-
rete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccu-
pa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.
Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in ag-
giunta. Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto
di darvi il suo regno. Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fa-
tevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i
ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro

24
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,4-7, 22-34).


4. Come è completa questa istruzione del divino Maestro
sul modo con cui il suo fedele discepolo deve abbandonarsi
nelle braccia amorose della divina Provvidenza!
5. I - Prima di tutto il discepolo impara che è Gesù stesso il
fondamento della sua totale e illimitata fiducia.
Già all’inizio del suo discorso Gesù dice che sta parlando ai
suoi amici. E per amici egli non intende solo i perfetti, ma tutti
i cristiani, e fra i cristiani gli stessi peccatori. Chiama suoi amici
quelli che lui ha trattato da amici, quelli a cui ha manifestato il
Vangelo.
Tutti, perciò, devono molto confortarsi, pensando che Gesù
non ha rifiutato di chiamare amico neppure Giuda quando gli
veniva incontro per tradirlo. Basta, dunque, che uno creda in
Gesù per avere in lui, oggetto della propria fede, un fondamen-
to di fiducia illimitata nel Padre che è nei cieli; e questa fiducia
non gli deve venir meno neppure per le sue stesse colpe.
6. II - Impara poi che, quanto è ragionevole abbandonarsi
interamente nelle mani amorose di Dio, altrettanto è stolto
confidare in se stesso. L’uomo è debolissimo, e neppure in mi-
nima parte può alterare il corso che Dio ha stabilito per ciascu-
na cosa nell’universo. La sua prosperità, la sua esistenza sta
tutta nelle mani di Dio, e da queste mani non può sottrarlo
qualunque cosa egli faccia e in qualunque luogo vada, sia in
cielo sia in terra.
7. III - Impara ancora che, avendo delle ragioni così grandi
per nutrire una confidenza illimitata nel Padre che è nei cieli,
assolutamente non deve temere di abbandonare anche tutte le
cose umane, di vendere i suoi beni e di darli ai poveri, di pro-

25
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

fessare cioè la povertà effettiva.


Ma deve farlo per dedicarsi unicamente alle cose di Dio, per
dedicare tutto se stesso a Dio, per cercare il suo regno e la sua
giustizia, per sgombrare dal proprio cuore tutti gli affetti terre-
ni. Lo deve fare, insomma, per seguire Cristo e stringersi alla
beata nudità della sua croce, morendo su di essa alla terra, e
vivendo solo per il cielo, poiché dove sta il suo tesoro, lì sta an-
che il suo cuore.
8. IV - Impara che non gli è vietato domandare il necessa-
rio al suo Padre che è nei cieli, anche se gli è vietata l’ansia per
le cose umane e gli è consigliato di abbandonarle. Deve do-
mandarlo, però, dopo avergli chiesto il suo regno e la sua giu-
stizia e in ordine ad essi. Davvero, allora, il «pane quotidiano»
che domandiamo (Mt 6,11) potrà sempre definirsi più che so-
stanziale, perché anch’esso è strumento di benedizione spiritua-
le.
9. «Chiedete e vi sarà dato - dice in un altro passo il divino
Maestro - cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiun-
que chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Chi tra
di voi al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? O se gli chie-
de un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete
dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei
cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!» (Mt 7,7-11).
10. Queste parole insegnano al cristiano a domandare al
Padre con grande semplicità e confidenza tutte le cose, e ad
aprirgli tutti i desideri del proprio cuore. Lo deve fare, però,
con l’unico desiderio che avvenga sempre ciò che Dio preferi-
sce.
In questo modo sempre egli otterrà un grande frutto con la sua

26
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

preghiera, perché Dio la esaudirà. E nel caso chieda cose inutili


o dannose, Dio correggerà la sua ignoranza e imperfezione: lo
esaudirà, dandogli altrettanti beni veri, cioè più di quanto do-
manda.
Dio, infatti, è un Padre che sa dare le cose buone ai suoi figli,
mai le cose dannose.
11. V - Impara che non gli è vietato compiere tutte le azio-
ni con cui naturalmente si soddisfano i bisogni della vita. È la
sollecitudine, l’ansietà che gli viene proibita; essa io rende in-
quieto per il desiderio di ciò che gli manca, e così gli toglie la
pace del cuore e la tranquillità caratteristica di quelli che si ri-
posano in Dio.
Può vedere la volontà di Dio nelle sue condizioni presenti, e
con semplicità e rendimento di grazie godere i beni che ha. È
contrario invece all’abbandono nella divina Provvidenza che
egli si preoccupi e premediti l’avvenire, perché riguardo ad es-
so il volere di Dio non è ancora noto, e il cristiano non deve
amare che il volere di Dio.
Può amarlo godendo moderatamente e innocentemente i beni
che attualmente ha, perché sono dati da Dio, ma non inquie-
tandosi per quelli futuri, perché il Signore non ha ancora dispo-
sto di essi. Se ama la volontà del Signore egli godrà della loro
privazione (qualora essa disponga così) quanto della loro ac-
quisizione.
12. Infatti dice ancora Gesù: «Cercate prima il regno di Dio e
la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non
affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue
inquietudini. A ciascun giorno basta la sua malizia» (Mt 6,33-34).
Cioè: le macchie che la coscienza prende pensando agli interes-

27
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

si di oggi, non siano aumentate anche con i pensieri del doma-


ni.
13. In breve, il cristiano ha un segno certo per conoscere se
manca alla piena fiducia comandata dal Vangelo nella provvi-
dente cura del Padre suo che è nei cieli. Esamini se stesso e ve-
da se prova in cuore qualche preoccupazione circa i beni e i
mali del mondo: se è sempre pienamente tranquillo, pienamen-
te riposato e disposto a tutto in ogni avvenimento, o se si sente
crucciato e preoccupato di cose umane, per il successo o
l’insuccesso delle quali soffre agitazione, e se, come uomo di
poca fede, spera troppo e teme troppo, cioè vacilla continua-
mente.
14. VI - La perfezione della vita cristiana, dunque, è il pro-
posito sempre rinnovato di volere, in tutte le azioni della vita,
solo ciò che sta più a cuore a Dio ed è di sua maggiore volontà;
e la vita perfetta è la professione di rendere a Dio, in tutti gli
atti, il maggior servizio possibile. Ne consegue che anche le a-
zioni oneste che l’uomo compie per la conservazione della
propria vita, anche il suo godere i doni di Dio con animo rico-
noscente, deve essere da lui fatto non per il suo bene presente
o il suo piacere presente, ma solo perché è persuaso che nella
circostanza in cui si trova, quella è la cosa più cara a Dio e per-
ciò la più perfetta.
15. Insomma, il perfetto cristiano non fa alcun cambiamen-
to per una sua soddisfazione presente, sia pure onesta in se
stessa, ma solo per compiere ciò che è suo dovere, e per essere
più caro a Dio.
16. Da questa massima deriva la stabilità del perfetto cri-
stiano. Il cristiano non ama i cambiamenti. In qualunque con-

28
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

dizione si trovi, per quanto umile e spregevole sia e sprovvista


di tutto ciò che gli uomini amano, vi rimane contento e lieto,
senza pensare a cambiamento, se non conosce che Dio lo vo-
glia. E proprio della gente del mondo non essere mai contenta
dello stato in cui si trova; gli uomini del mondo si fanno una
continua guerra per occupare i posti migliori. La perfezione del
cristiano, invece, richiede che sia contento di qualunque posto e
che non si dia altro pensiero che di eseguire i doveri inerenti il
proprio stato. Per lui tutto al mondo è la medesima cosa, pur-
ché egli sia caro al suo Dio, che ritrova in ogni condizione.
17. Questa costanza e stabilità del cristiano nella condizio-
ne in cui si trova, forma degli uomini che conoscono a fondo il
proprio stato, che lo amano e che ne sanno eseguire tutte le in-
combenze. E quanto è saggia nella caducità delle cose umane!
Appunto per questo san Paolo la raccomandava caldamente ai
Corinzi: «Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condi-
zione in cui era quando è stato chiamato. Quanto alle vergini, non ho
alcun comando dal Signore, ma do un consiglio, come uno che ha ot-
tenuto misericordia dal Signore e merita fiducia. Penso dunque che
sia bene per l’uomo, a causa della presente necessità, di rimanere così.
Ti trovi legato a una donna? Non cercare di scioglierti. Sei sciolto da
donna? Non andare a cercarla. Però se ti sposi non fai peccato; e se la
giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tri-
bolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele.
Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi
quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che
piangono, come se non piangessero e quelli che godono, come se non
godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che
usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la

29
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

scena di questo mondo! Io vorrei vedervi senza preoccupazioni»


(1Cor 7,24-32).
18. VII - Il cristiano che ha queste regole per la sua condot-
ta, con altrettanta facilità e serenità sarà disposto a cambiare
condizione quando gli si manifesti la volontà di Dio, o quella
dei suoi superiori che fanno le veci di Dio. Il suo animo sarà
sempre fondato e conservato nello splendido stato di indiffe-
renza che sant’Ignazio raccomandava tanto, e che pose come
base dei suoi Esercizi Spirituali, cioè di tutta la vita spirituale.
19. Questa indifferenza nasce non solo dal proposito di
servire Dio, che è il fine per cui tutti sono creati, ma anche dal
proposito di servirlo nel modo in cui Dio vuol essere servito da
ciascuno di noi.
Questo modo è il primo mezzo con cui si può ottenere quel
grande fine.
20. Infatti, se il cristiano desidera servire Dio secondo il
modo prescrittogli da Dio e da Dio voluto, e non secondo il
modo scelto da se stesso, giungerà ad essere indifferente (nella
sua libera volontà e non certo nella sua naturale inclinazione)
alle quattro condizioni seguenti, così bene distinte da
sant’Ignazio:
1° - alla salute o alla malattia;
2° - alla ricchezza e ai comodi o alle miserie della vita;
3° - all’onore o al disprezzo da parte del mondo;
4° - a una vita lunga o una vita breve o che si convenga abbre-
viare per le fatiche e i dolori;
21. Esaminandosi di frequente per conoscere se sia davve-
ro indifferente alla povertà e alla ricchezza, all’onore e al di-
sprezzo, alla salute e alla malattia, alla lunga o breve vita, il di-

30
Lezioni Spirituali: Lez. V: Quarta massima

scepolo di Cristo scoprirà il cammino da lui fatto nella strada


della perfezione evangelica.
22. Questa indifferenza a cui il fedele cristiano deve inces-
santemente tendere, si può ridurre anche ai tre seguenti punti:

1° - a qualunque incombenza gli venga affidata;


2° - a qualunque luogo gli sia dato da abitare;
3° - a qualunque stato di salute fisica egli abbia.

31
ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE VI

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez. VI: Quinta massima

Lezione VI

QUINTA MASSIMA:
riconoscere intimamente il proprio nulla
1. Il discepolo di Gesù Cristo deve vivere sempre in una
solitudine interiore, nella quale, come se tutte le altre cose fos-
sero scomparse, non ritrovi che Dio e la propria anima.
2. Deve aver sempre presente Dio per adorarne la gran-
dezza, e sempre presente se stesso per sempre più conoscere la
propria infermità e il proprio nulla.
3. Il cristiano deve avere impresse nella mente le ragioni
del proprio nulla: prima quelle che dimostrano il nulla di tutte
le cose, poi quelle che dimostrano l’umiltà specifica dell’uomo,
in terzo luogo quelle che dimostrano l’umiltà della sua perso-
na.
4. Come è un atomo rispetto all’universo, così egli è un
nulla rispetto a Dio, dal quale soltanto viene tutto ciò che egli
ha di bene.
La colpa in cui è stato concepito, l’inclinazione al male che por-
ta in sé, e i peccati di cui egli stesso si è macchiato, lo devono
rendere persuaso di due grandi verità:
1° - che da se stesso egli non è capace di fare nessun bene;
2° - che non solo è capace di tutto il male, ma è così labile, che

33
Lezioni Spirituali: Lez. VI: Quinta massima

può venir meno ad ogni istante, se la misericordia di Dio non


lo soccorre; per cui - come dice san Paolo - deve continuamente
attendere alla propria salvezza «con timore e tremore» (Fil 2,12).
5. La prima di queste due grandi verità lo deve convincere
a non intraprendere nulla - non solo per cambiare la propria
condizione in questa vita, come già detto, ma neppure per qua-
lunque altro scopo - se non vi sia spinto dal conoscere che quel-
la è la volontà di Dio. L’uomo che sinceramente si crede inca-
pace di ogni bene, non può intraprendere nulla di propria ini-
ziativa.
6. Nel cristiano, perciò, devono trovarsi due disposizioni
apparentemente opposte, ma che stanno insieme armoniosa-
mente: un grandissimo zelo per la gloria di Dio e per il bene
del suo prossimo, assieme a un sentimento che gli dice di esse-
re incapace di ogni bene, incapace di porre alcun rimedio ai
mali del mondo.
7. Il cristiano dunque deve imitare l’umiltà di Mosè. Quan-
to stentò a credere di essere lui l’eletto a liberare il popolo di
Dio! Con affettuosa semplicità e confidenza rispose a Dio stes-
so di dispensarlo da quell’incarico, perché era balbuziente. Lo
pregò di mandare, invece, Colui che doveva essere mandato: il
Messia promesso. E tutto questo, sebbene Mosè traboccasse di
zelo per la salvezza del suo popolo.
Il cristiano deve meditare e imitare continuamente la profon-
dissima umiltà della Vergine Maria. Nelle divine Scritture la
vediamo descritta sempre in quiete, in pace, in continuo riposo
interiore. Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile,
ritirata e silenziosa, dalla quale non viene tolta se non dalla vo-
ce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente

34
Lezioni Spirituali: Lez. VI: Quinta massima

Elisabetta.
A giudizio umano, chi potrebbe credere che della più perfetta
di tutte le creature umane ci fosse raccontato così poco nelle
divine Scritture? Nessuna opera da lei intrapresa; una vita che
il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimo-
strò essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di
tutte le vite. Per essa quest’umile e sconosciuta giovanetta fu
innalzata dall’Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di
gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra
gli uomini, ma anche tra gli angeli.
8. La seconda verità deve ingenerare nel cristiano un ra-
gionevole timore dei pericoli di cui le divine Scritture ci dicono
che è ripieno il mondo. Difatti l’evangelista Giovanni giunge
ad avvertirci che tutto ciò che è nel mondo è pericolo (cfr 1Gv
5,19).
9. Perciò il cristiano che vuol essere perfetto, professerà
una vita ritirata, il silenzio e l’operosità continua.
10. Professerà una vita ritirata prescrivendo a se stesso di
non uscire di casa senza necessità, cioè senza che ve lo induca-
no i doveri del suo stato o la carità del prossimo intrapresa se-
condo ragione.
11. Professerà il silenzio cercando di non dire parole inutili,
cioè quelle che non hanno alcun fine buono per la propria o
l’altrui edificazione, o che non sono necessarie ai doveri e ai bi-
sogni della propria vita.
12. Professerà infine l’operosità più assidua, in modo che
non gli accada mai di perdere un solo briciolo di tempo. Pense-
rà spesso che il tempo è preziosissimo, che sono per sempre
persi i momenti che gli sfuggono senza trarne profitto per la

35
Lezioni Spirituali: Lez. VI: Quinta massima

propria anima, e che anche di questi momenti dovrà rendere


preciso conto a Dio come di un talento che gli era stato affidato
da far fruttare. Infine penserà che questo è richiesto in modo
speciale dalla professione della vita perfetta, perché con essa
l’uomo si propone di dedicarsi al culto di Dio nel modo più
immediato possibile e unicamente, cioè con tutte le sue forze e
con tutto il suo tempo.

36
ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE VII

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
SUOR MARIA MICHELA RIVA
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2001
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

Lezione VII

SESTA MASSIMA:
disporre tutte le occupazioni della propria vita
con uno spirito di intelligenza.
1. Il cristiano deve camminare sempre nella luce, mai nelle
tenebre.
2. A questo scopo egli deve chiedere allo Spirito Santo, con
continue preghiere, il dono dell’intelletto per poter penetrare e
capire le sublimi verità della fede, il dono della sapienza per po-
ter giudicare rettamente delle realtà divine, il dono della scienza
per poter giudicare rettamente delle realtà umane, e infine il
dono del consiglio per poter dirigere se stesso applicando alle
singole opere della propria vita le verità che ha conosciuto.
3. Il cristiano deve essere caratterizzato dalla proprietà del
comportamento, dalla riflessione e dalla maturità in tutte le co-
se. Deve fuggire la fretta e la precipitazione dell’uomo del
mondo perché contrarie ai doni dello Spirito, ed effetti di una
volontà umana carica dell’ansietà che toglie la pace tanto rac-
comandata dal divino Maestro.
4. Lo spirito dell’intelligenza lo indurrà sempre a pensare
assai prima alla propria correzione che a quella del prossimo.

37
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

3. A - Riguardo alla correzione e alla perfezione di se stes-


so la volontà di Dio gli si renderà nota con facilità. Prima di
tutto la riconoscerà dalle circostanze in cui si trova.
Secondo questo principio certissimo, egli comprenderà che:
I - La prima cosa che la volontà di Dio gli prescrive è di adem-
piere con fedeltà, esattezza e prontezza tutti i doveri del pro-
prio stato, di corrispondere a tutte le relazioni in cui si trova
legato con gli altri uomini, di usare verso di essi tutte le amo-
revolezze e i riguardi che derivano in modo naturale da queste
relazioni. In breve, si comporterà con essi con tale carità, che
dovranno restare soddisfatti di lui. La sua conversazione con le
persone con cui deve trattare sia piena di dolcezza, di santa
amabilità e di vera edificazione.
Per amore alla vita ritirata, eviterà di trattare con le persone
con cui non ha alcun obbligo.
6. Questo principio di corrispondere allo stato di vita rice-
vuto da Dio e di occupare bene tutto il proprio tempo, renderà
il cristiano amante della fatica e in particolare dell’arte o man-
sione che professa, nella quale si impegnerà assiduamente.
Se gli riuscirà di fare in essa dei progressi, li guarderà come un
merito presso Dio. Infatti è volontà di Dio che egli corrisponda
bene allo stato in cui l’ha posto.
7. Se il cristiano è impegnato negli studi, vi si impegnerà
non per amore di essi, ma per amore di Dio che egli serve. Se
ha in mano un lavoro manuale, vi si impegnerà per lo stesso fi-
ne.
Così il cristiano non riterrà mai un incarico più nobile dell’altro
o più vile dell’altro, perché con tutti serve ugualmente lo stesso
Dio. Ciascuno lavora la propria parte come umile addetto nella

38
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

grande bottega dello stesso padrone, e alla fine della giornata


ne riceve il salario non secondo il tipo di mestiere esercitato,
ma secondo la fedeltà, l’assiduità, la premura e l’amore al pa-
drone nel compierlo.
8. II - Dopo i doveri del proprio stato (fra i quali sono
comprese le pratiche della religione), il discepolo di Gesù Cri-
sto occuperà il tempo che gli rimane:
1° - in letture di carattere religioso, sia per istruirsi bene nella
dottrina della religione, sia per meditare le grandezze di Dio: la
bontà infinita, l’onnipotenza, la sapienza;
2° - nell’orazione di iniziativa spontanea, praticata quanto più
gli sia possibile anche durante il suo lavoro. Deve rendersi fa-
miliare e carissima questa preghiera, anzi, per lui deve essere la
cosa più cara; e dovrà considerare le ore spese in essa come ore
di delizie e di grazia. Quando l’uomo prega, infatti, viene in-
trodotto, vilissimo com’è, all'udienza del suo Re divino, e am-
messo a intrattenersi direttamente con lui.
9. III – E concesso al cristiano occupare una parte del suo
tempo nelle necessità corporali, le principali delle quali sono il
mangiare, sobrio e non ricercato, e il dormire, anch’esso rego-
lato da una giusta moderazione.
10. Il cristiano si permetterà anche un moderato riposo alla
sua stanchezza. Gesù Cristo gli ha dato l’esempio di fare tutto
quanto è richiesto per la propria sussistenza, e anche di riposa-
re. Per esempio si mise a dormire nella barca, e si sedette vici-
no al pozzo di Samaria.
11. IV - — Le circostanze del proprio stato e le relazioni
che legano il cristiano ai suoi simili, potrebbero essere tali da
permettergli di passare alla pratica dei consigli evangelici, cioè

39
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

alla professione effettiva della povertà, della castità e


dell’obbedienza. In questo caso il cristiano, ardente di assomi-
gliare il più possibile al suo divino Esemplare e di non trascu-
rare nessuna cosa che il suo divino Maestro ha raccomandato
come appartenente a una vita di perfezione, abbraccerà corag-
giosamente e avidamente questi consigli: tutti, se le sue circo-
stanze glielo permettono, o almeno qualcuno, se nelle sue cir-
costanze gli è possibile abbracciarne soltanto qualcuno.
12. B - Anche se il cristiano non cerca di fare nulla di gran-
de da se stesso, perché si trova sinceramente incapace di tutto,
anche se esegue affezionato e contento solo i doveri del suo
stato, anche se sceglie per sé una vita ritirata e il più possibile
solitaria, silenziosa e nascosta, tuttavia egli non è insensibile ai
beni o ai mali dei suoi fratelli. Egli prega per loro, arde per il
loro bene, ed è sempre pronto a donarsi e a sacrificarsi anche
tutto per la loro spirituale salvezza. Basta che abbia solide ra-
gioni di credere che ciò che fa per loro, non è fatto di propria
volontà e presunzione, ma perché Dio lo vuole da lui.
13. Anche in questo lo deve guidare lo spirito d'intelligen-
za: per conoscere la volontà di Dio circa i servizi che deve pre-
stare ai suoi fratelli.
14. Questo spirito d’intelligenza gli dice che anche riguar-
do alla carità che deve praticare verso i suoi fratelli, la volontà
di Dio si manifesta prima di tutto e in modo ordinario attra-
verso le circostanze esterne.
15. Queste circostanze da cui può fondatamente conoscere
quali particolari atti di carità è chiamato a compiere verso il
suo prossimo, sono le seguenti:
1° - i bisogni del prossimo che gli vengono sott’occhio. Infatti

40
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

san Giovanni gli dice chiaramente: «Ma se uno ha ricchezze di


questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il pro-
prio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?» (lGv 3,17);
2° - la richiesta di qualche servizio di carità da parte del suo
prossimo. Il Maestro divino, infatti, che dice: «Siate perfetti come
è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48), dice anche che il no-
stro Padre che è nei cieli ci dà tutto quello che gli chiediamo in
nome di Gesù (cfr Mt 7,11). Dunque anche il cristiano, se vuole
essere perfetto come il Padre che è nei cieli, dia tutto quello che
può dare, quando il prossimo glielo chiede.
16. Per eseguire bene l’opera di carità che gli è richiesta,
egli deve prestarla con coraggio e con letizia, se vuole davvero
corrispondere alla vocazione di una vita perfetta nella carità.
E lo farà anche con suo grave disagio, a sue gravi spese; in-
somma, con tutto quell’amore ardente che non cerca e non
pensa alle cose proprie, ma sempre a quelle degli altri.
Lo farà con la carità del divino Maestro verso gli uomini: Gesù
ha dimostrato che la perfezione della carità non ha limiti di
umane delicatezze, poiché è giunto a versare il proprio sangue,
e il sangue sopra un patibolo.
17. E così succede che l’umile e fervoroso cristiano (che da
parte sua non sa scegliere per sé che una vita nascosta, lontana
dai pericoli e dagli uomini, tutta occupata in una continua con-
templazione, distribuita fra la preghiera prolungata e lo studio
o l’esercizio di qualche professione o attività manuale, fra le
necessità della vita e alcuni momenti di riposo) venga pian
piano, dalle forze della carità, tirato fuori dal suo nascondiglio,
che egli ama non per inerzia, ma per sincera umiltà. Viene por-
tato, per il bene del suo prossimo, a una vita attiva, immerso,

41
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

se Dio lo vuole, anche in un mare sconfinato di pensieri, di bri-


ghe, di faccende, di affari grandi e piccoli, rinomati e disprez-
zati: comunque siano, i primi che la volontà di Dio dispone che
egli veda.
18. Con questo spirito d’intelligenza, il cristiano che ha
l’anima piena di carità, diventa, dentro alle circostanze, più
grande di se stesso: abbraccia cose grandissime, faticosissime,
pericolosissime; insomma abbraccia tutto, purché Dio gli faccia
sentire internamente di averne la capacità, purché i suoi supe-
riori non glielo vietino, e purché ne sia richiesto espressamente
o tacitamente dal suo prossimo, nel quale vede sempre il suo
divino Signore.
19. Il cristiano che ama la perfezione, assume queste opere
di carità senza avere una volontaria predilezione per l’una piut-
tosto che per l’altra.
20. Egli si attiene perciò alle tre regole seguenti:
1° - Abbraccia le prime opere di carità che il suo prossimo gli
chiede e, comunque siano - piccole o grandi, piacevoli o impor-
tune, eseguibili da qualsiasi persona o solo da lui - mai le rifiu-
ta per aspettarne di future, incerte.
2° - Se contemporaneamente gli vengono richieste più opere di
carità e non può assumerle tutte insieme, procede a farne la
scelta secondo l’ordine della carità, attento sempre ad accollar-
si solo quelle che sono proporzionate alle sue forze.
3° - Infine non si stanca o si lascia infastidire da nessuna opera
di carità. Se può, le porta a termine tutte; e se comportano una
continuità, persevera e non passa ad assumerne altre in più di
quanto ha già intrapreso, ma rimane nelle opere assunte come
rimanendo nella propria vocazione.

42
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

21. La volontà di Dio – che si manifesta nel modo più or-


dinario attraverso le circostanze esterne – può anche manife-
starsi attraverso straordinarie interne ispirazioni, quando però
le circostanze esterne non dicano assolutamente il contrario.
22. Il cristiano, dunque, può anche andare in senso contra-
rio alla coscienza del proprio nulla quando un interno impulso
dello Spirito Santo gli manifesta con chiarezza il volere di Dio.
In questo caso egli può assumere opere diverse da quelle che
gli suggerisce lo stato in cui si trova.
23. Ma simili ispirazioni hanno bisogno di essere ben di-
mostrate, e i segreti del cuore vagliati, per evitare che in esse si
mescolino le voci dell’amor proprio, e l’uomo non venga forse
ingannato dal demonio, il quale talvolta si trasforma in angelo
di luce.
Infine giova moltissimo che queste ispirazioni siano conferma-
te dai superiori che lo dirigono spiritualmente.
24. Regola infallibile e generale per avere la prova che sia
volontà di Dio quella che si è manifestata attraverso i segni del-
le circostanze esterne, come anche quella manifestata attraver-
so i segni delle ispirazioni interne, deve essere la pace e il tran-
quillo gusto delle cose, provato dal cristiano nel profondo della
sua coscienza. Deve concentrarsi in se stesso e ascoltare atten-
tamente se sente qualche inquietudine. Se ci bada attentamen-
te, troverà qui il segnale indicatore della sua condizione.
L’amor proprio e un fine umano qualsiasi mettono sempre un
po’ di turbamento.
Conosciuto questo lieve turbamento nella propria coscienza, il
cristiano potrà scoprirne subito la causa, se lo vuole. Potrà co-
noscere che cosa in lui non procede dal puro spirito di Dio -

43
Lezioni Spirituali: Lez. VII: Sesta massima

spirito di calma perfetta - ma dal proprio spirito, da una sottile


superbia, da una sensibilità non completamente sottomessa;
insomma, da un inganno del «nemico».
23. E se i cristiani, secondo gli insegnamenti del loro Mae-
stro divino, praticassero tutte queste cose, formerebbero in-
sieme una società pacifica e beata, non solo nella vita futura,
ma anche nella presente.

44
ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE VIII

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
DON GIANNI PICENARDI
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2008
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

LEZIONE VIII

Di un meditare ordinato alla purificazione dell’anima1

1. Benedetto XIV, colla sua Costituzione Quemadmodum del 16 dicembre 1746 a


quelli che si occupano nell’insegnare o imparare il modo di fare meditazione,
ogni volta che la fanno, e si comunicano, accorda sette anni d’Indulgenza e
sette quarantene.
A quelli che vi si esercitano assiduamente, e s’accostano alla santa Comunio-
ne, in giorno da eleggersi una volta il mese a loro scelta, concede indulgenza
plenaria, che possono applicare alle anime del purgatorio.
A quelli finalmente, che si trattengono almeno un quarto d’ora tutti i giorni di
un mese a fare meditazione e confessati s’accostano alla santa Comunione,
una volta il mese, in giorno da eleggersi a loro scelta, concede indulgenza
plenaria pure applicabile ai defunti.
BENEDETTO XIV, Quemadodum mihi, V,1: «In primo luogo a tutti e ai singoli,
sia nelle Chiese che altrove, o in qualsiasi luogo pubblico o privato, che inse-
gneranno a persone rudi e inesperte di preghiera e di meditazione a pregare e
a meditare, e a coloro che interverranno a queste pie istituzioni, e ogni volta
che così agiranno, Noi concediamo l’Indulgenza di sette anni e sette quaran-
tene, purché veramente pentiti ricevano la Santa Comunione: e questo nella
forma consueta della Chiesa. Come pure benignamente concediamo semel in
mense l'Indulgenza Plenaria di tutti i loro peccati sia ai docenti che ai disce-
poli che assiduamente avranno compiuto le predette orazioni e fatto la medi-
tazione, purché similmente pentiti e ricevendo la Santa Comunione eleveran-
no pie suppliche a Dio per la concordia dei Principi Cristiani, per
l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della Santa Madre Chiesa.
L’Indulgenza potrà essere applicata come suffragio alle anime dei fedeli cri-
stiani che siano passati da questa vita uniti a Dio nella carità. Pure con la No-
stra Autorità e con simile tenore concediamo l’Indulgenza Plenaria semel in
mense, con la remissione di tutti i peccati, a tutti coloro che per mezz’ora con-

45
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

1. Chi si accinge alla meditazione, deve disporsi con buona


volontà, cioè voler sinceramente trarre dalla meditazione il suo
profitto spirituale.
2. Il Signore ha detto: «A chi ha sarà dato, ma a chi non ha sa-
rà tolto anche ciò che crede di avere»2. Perciò chi vuol trarre gio-
vamento, si disponga alla meditazione con un cuore buono ed
ottimo per ricevere la semente che il divino agricoltore vi spar-
ge e conservarla con frutto. L’uomo che si dispone con cuore
docile e arrendevole alle sante ispirazioni, è colui di cui fu det-
to «che ha», e perciò a lui sarà dato.
3. La meditazione, secondo il metodo di cui parliamo, si
divide in 1° preparazione, 2° esercizio di memoria, 3° esercizio
d’intelletto, 4° esercizio di volontà.

I. PREPARAZIONE

4. È la divina Scrittura che raccomanda a chi vuol fare me-


ditazione di preparare il suo spirito, affinché sia consono alla
medesima: prima della meditazione, si legge nel Siracide, «pre-

tinua o almeno per un quarto d’ora ogni giorno, per tutto il mese si dediche-
ranno all’orazione mentale, purché pentiti e confessati, ricevano il Santissimo
Sacramento dell’Eucaristia ed elevino a Dio pie preghiere per la concordia dei
Principi Cristiani, per l’estirpazione delle eresie e per l’esaltazione della Santa
Madre Chiesa. L’indulgenza potrà essere applicata a modo di suffragio alle
anime dei fedeli cristiani, che congiunte a Dio con la carità, sono migrate da
questa vita».
2. Lc 8,18.

46
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

para te stesso, non fare come un uomo che tenta il Signore»3.


5. E poiché la meditazione è quasi una conversazione che
lo spirito fa con Dio, è troppo indegno che l’uomo vi si accosti
sbadatamente senza aver prima raccolto i suoi pensieri e rivol-
ta l’attenzione alla somma riverenza con cui si deve trattare
con Dio, tanto più per un affare tale, qual è l’eterna salvezza.
Chi si dispone a meditare con animo sviato e scomposto, tenta
Iddio, provocandolo a punirlo anziché ad esaudirlo; il che però
non avviene se le distrazioni sono involontarie.
Ed ancora: poiché lo scopo della meditazione è d’impetrare che
la santità di Dio si comunichi al nostro spirito, se noi la faccia-
mo mal preparati, pretendiamo temerariamente, che il Creato-
re operi in noi senza quella cooperazione che noi possiamo
comunque possiamo; il che è aspettarci un miracolo non neces-
sario, o, secondo la frase scritturale, un tentare Iddio. S. Bernar-
do stima tanto necessario che chi prega prima si prepari, da far
dipendere l’esito della meditazione dalla preparazione, e dice:
«Come tu ti sarai preparato a Dio, così Dio apparirà a te nella
tua orazione»4.
6. La preparazione che può premettersi alla meditazione, è
remota e prossima.
Annotazione. Giova che chi vuol darsi all’esercizio della medi-
tazione, scelga a sua guida un libro, e stabilisca un ora fissa in
cui farla, la quale preferibilmente sia la prima ora del mattino,
appena alzati, parendoci quella la migliore di tutte.

3. Sir. 18,23
4. S. BERNARDO, Discorsi sul Cantico dei Cantici, 69,7.; (S. BERNARDI Opera, PL,
Sermones in Cantica, LXIX,7). B C N, S. Bernardi Opera, ex MABILLON cum
Appendice EDMUNDI MARTENE, Venetiis 1726.

47
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

7. La preparazione remota può consistere nelle seguenti


operazioni: 1°. la sera precedente leggere nel libro destinato la
materia della meditazione, e annotarsene i punti; 2°. dopo cori-
catosi, fermarsi un momento a riandare colla mente ai punti
stabiliti, riassumendone il frutto in una breve sentenza, o in
una giaculatoria, la quale sia come una tessera da ripetersi nella
veglia della notte, e per il giorno veniente; 3°. all’indomani
all’ora prefissa disporsi con prontezza alla meditazione.
8. La detta tessera serve a richiamare alla memoria con fre-
quenza il meglio della meditazione, traendone un facile e con-
tinuo pascolo di spirito; perciò quanto più è spirituale e più
adatta per suscitare in quell’ora grande impressione sulla per-
sona che l’adopera, quasi parola dettale da Dio, di cui viva,
tanto è migliore.
Annotazione. Se alcuno non può dare alla meditazione l’ora del
mattino, ma dovesse darle qualche ora di sera, farà al mattino
la preparazione remota.
9. La preparazione prossima consiste in una preghiera prepa-
ratoria, e nei preludi.
10. L’orazione preparatoria si fa in questo modo5. Suonata
l’ora, un passo distante dal luogo destinato alla meditazione,
l’uomo si soffermi un poco a mettere lo spirito in pienissima
calma e tranquillità. Quindi con l’intimo del cuore faccia soa-
vemente: 1° un atto di fede della presenza di Dio, rammentan-

5. S. Ignazio di Lojola, Esercizi spirituali: Addizioni per fare meglio gli Esercizi e per
trovare più facilmente quello che si desidera: «[75] Terza addizione. Per la durata
di un Padre nostro, starò in piedi a un passo o due dal posto dove sto per
contemplare o meditare: volgendo in alto la mente e pensando che Dio nostro
Signore mi guarda e cose simili, farò un atto di riverenza o di umiltà».

48
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

dosi anche la grandezza del negozio che s’appresta a trattare;


2° un atto di dolore per le mancanze commesse, e specialmente
di quelle che impediscono il frutto della meditazione; 3° un
proponimento di evitare ogni volontario difetto nella medita-
zione, soprattutto quelli che è solito commettere in essa; 4° un
atto d’indifferenza circa il successo della meditazione abban-
donandosi a Dio, contento che il Signore gliela faccia riuscire
secondo il divino suo beneplacito, a maggior sua gloria, e a
maggior bene della sua anima.
11. Questi atti se sono fatti col puro spirito, senza parole, è
meglio. Ognuno però deve aiutarsi come può, anche colle paro-
le, quando non si sente capace di farli col solo spirito; e li faccia
semplicemente, a quel modo che lo stesso spirito gli suggeri-
sce. Per evitare tuttavia la fiacchezza di certi uomini, o di certi
tempi, giova avere pronta alla mente qualche formula prestabi-
lita come, a modo d’esempio, la seguente:
«O mio Dio, e mio Creatore, ecco dinanzi a te un servo infedele, che
va pur cercando le vie di salvezza. Non guardare i miei peccati di cui
ti chiedo perdono, ma avendo pietà di me, in questa meditazione, fa’
sovrabbondare la grazia, dove è abbondata l’iniquità.
Stabilisco di usare ogni diligenza per evitare i difetti che di solito
commettere nella meditazione.
Del resto a te mi abbandono, o mio Dio: da te riceverò l’aridità, o la
consolazione ugualmente: se mi vorrai nelle tenebre, sii tu benedetto;
se nella luce, sii benedetto; se desolato, tentato, distratto, sii sempre
benedetto; non mi rimuoverò per questo dal santo esercizio prima del
tempo stabilito; ti chiedo solo di aver pietà di me ora e sempre, per
Gesù Cristo mio Signore. Così sia».
Nel recitare questa preghiera non s’impieghi che poco tempo

49
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

con una breve pausa fra l’uno e l’altro sentimento, o nel fare gli
atti contenuti nella medesima,: si faccia dunque tutto con
somma calma di spirito: due minuti sembrano sufficienti a tal
fine.
12. Dopo la preghiera, si genufletta in segno di adorazione
a quel Dio, che in quel punto deve esserci intimamente presen-
te; e poi, giunti nel luogo e con l’atteggiamento adeguato, s in-
cominci.
13. L’atteggiamento migliore, comunemente parlando, è in
ginocchio, come insegna il padre Surin6. Tuttavia, se questa po-
sizione (a cui conviene tentare di assuefarsi) riesce troppo sco-
moda o dannosa alla salute, si cerchi quella che dà maggior
quiete e riposo allo spirito, secondo quell’insegnamento di S.
Filippo Neri, il quale affermava, che per far bene la meditazio-
ne giova che anche il corpo sia tenuto in una posizione como-
da7. Tuttavia il soffrire qualche po’ di pena, quando non osta-
coli la presenza dello spirito, rende la preghiera più meritoria,
e lo spirito pare aiutato per essa a staccarsi sopra i sensi.
14. Sistematosi l’uomo nel luogo e nella posizione miglio-
re, cominci dai preludi, e sono:
Preludio I. Si richiami brevemente la meditazione precedente,
quando le meditazioni siano legate insieme, o abbiano un ordi-

6. Catéchisme Spiritual de la Perfection chrétienne composé par le R. P. J. J. Surin,


Ahaillot Ainé, Avignon 1825, I, p. 5: «D. Dans quelle posture faut’ il prier? -
R. À genoux, autant qu’on le peut, si on veut prier avec respect, e trouver de
la dévotion dans sa prière».
7. BACCI, Vita di S. Filippo.
B C N: «Vita di San Filippo Neri del p. Pietro Giacomo Bacci, in Venezia 1794,
presso Domenico Fracasso»: il documento qui citato non vi si trova.

50
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

ne.
Preludio II. Se la materia è storica, od ha relazione colla storia,
si faccia la costruzione del luogo. E si fa per immaginazione,
rappresentandoci il luogo dov’è avvenuto quel fatto, colle sue
circostanze; per esempio Gerusalemme, il Calvario, il Sinedrio,
i Giudici, il popolo, ecc. Se poi la materia è semplicemente spe-
culativa, si consideri questa vita come un esilio, e l’uomo, cioè
se stesso, pellegrinante lontano da Dio sua patria, e suo fine.
Preludio III. Giaculatoria, con cui si domanda l’effetto ed il frut-
to particolare che si intende ottenere colla meditazione, o sia
esso un difetto che vogliamo conoscere in noi e distruggere, o
una virtù che bramiamo di acquistare.
Annotazione I. Se le meditazioni non hanno relazione fra loro,
né tendano allo stesso effetto, il primo preludio può omettersi.
Annotazione II. Questi preludi sono stati insegnati da S. Ignazio
di Lojola8, e valgono a frenare, quanto è possibile, la fantasia

8. S. IGNAZIO DI LOJOLA, Esercizi spirituali, Prima settimana. – Primo esercizio: «[47]


Il primo preludio è la composizione vedendo il luogo. Qui è da notare che nel-
la contemplazione o meditazione di una realtà sensibile, come è contemplare
Cristo nostro Signore che è visibile, la composizione consisterà nel vedere con
l'immaginazione il luogo materiale dove si trova quello che voglio contempla-
re: per luogo materiale si intende, ad esempio, il tempio o un monte dove si
trova Gesù Cristo o nostra Signora, secondo quello che voglio contemplare.
Nella contemplazione o meditazione di una realtà non sensibile, come in que-
sto caso dei peccati, la composizione consisterà nel vedere con l'immagina-
zione e nel considerare la mia anima imprigionata in questo corpo mortale, e
tutto l'uomo come esule in questa valle fra animali bruti: tutto l'uomo, si in-
tende cioè anima e corpo.
[48] Il secondo preludio consiste nel domandare a Dio nostro Signore quello
che voglio e desidero. La domanda deve essere conforme all'argomento trat-
tato. Per esempio, se contemplo la risurrezione, domanderò gioia con Cristo
gioioso; se contemplo la passione, domanderò dolore, lacrime e sofferenza

51
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

dall’impazienza e mobilità, da cui chi medita è disturbato più


che da qualsiasi altra facoltà; come pure valgono a far sì che
l’animo più quietamente penetri in tutte le singole parti della
materia.
15. La formazione di questi preludi deve esser breve e
chiara, e generalmente non potranno eccedere i due minuti o
tre; si faccia però tutto tranquillamente, e senza ansietà.
16. Chi per difetto d’immaginazione non sa costruirsi il
luogo, non faccia troppa violenza a se stesso; ciò gli potrebbe
nuocere, rendendogli la mente stupida anziché alacre e desta;
ma ometta piuttosto quel preludio.

II. ESERCIZIO DELLA MEMORIA

17. Si entra nella meditazione senza sforzo con l’esercizio


della memoria, che è un percorrere con l’occhio della mente le
singole parti della materia semplice, quasi ancora come spetta-
tore.
18. L’esercizio della memoria giova per non immergere
troppo presto lo spirito nel più profondo della meditazione.
Anzi conviene tener lo spirito soave per un poco, affinché
all’inizio non si stanchi troppo, e non possa poi durare al lungo
corso.
19. L’esercizio della memoria non deve occupare troppo

con Cristo sofferente. Qui sarà domandare vergogna e umiliazione per me


stesso, vedendo quanti si sono dannati per un solo peccato mortale, e quante
volte io avrei meritato di essere condannato ineterno per i miei tanti peccati».

52
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

tempo, ma esser fatto il più possibile esattamente e chiaramen-


te, perché l’intelletto trovi la via preparata. Se durante l'eserci-
zio della memoria sorgono degli affetti, non si sopprimano, ma
si tengano, per così dire, imbrigliati.
Se lo spirito procede da se ordinatamente, e senza perdersi o
inaridirsi, s’abbandoni a quel soave suo corso, senza pensare al
metodo. Se invece l’andamento riesce stentato e turbato, biso-
gna sottometterlo al metodo che rigorosamente; perciò sarà u-
tile a tutti l’apprenderlo e saperlo al bisogno praticare.

III. ESERCIZIO DELL’INTELLETTO

20. Preparata la via con l’esercizio della memoria, tocca


all’intelletto il mettersi per essa, il che si può fare in questo mo-
do.
Annotazione. Lo scopo del metodo che presentiamo, è quello di
purificare l’anima nostra dai vizi, e santificarla, e per ottenerlo
si comincia con l’esercizio dell’intelletto, e si finisce con
l’esercizio della volontà.
21. 1° Noi dobbiamo cercare, contemplando e argomentando,
quali siano le eterne verità che stanno dentro alla materia pro-
posta da meditare. 2°. Ponderarne, in un certo senso, il peso in-
finito. 3°. Costringere la riflessione sullo stato della nostra a-
nima, scrutandone attentamente vizi e imperfezioni, che con-
traddicono a quelle verità, con il più imparziale giudizio. 4° In-
dagarne le radici e le ragioni. 5° Trovare i mezzi efficaci per sra-
dicare col divino aiuto queste radici e ragioni delle mancanze.
6° Stabilire il proponimento di detestare quei difetti e le radici di

53
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

quei difetti, e di metter mano ai mezzi che abbiamo giudicati


idonei a estirparli interamente.
22. Il processo che fa chi medita con l’intelletto, può para-
gonarsi a quello che fa il contadino. Questi parte dalla proposi-
zione generale: «Se non lavoro il mio campo, io non ho da
mangiare». Applica questa verità generale, e conclude: «Dun-
que debbo sudare, e lavorare il mio campo». Discende a ciò che
deve fare in particolare: «Nel tal tempo debbo dunque disso-
dare, nel tal altro seminare, ecc.». Ecco i mezzi, a cui conse-
guono i proponimenti.
23. Un’avvertenza poi dalla quale molto dipende il frutto
della meditazione, è di non proporsi la correzione dei difetti in
generale; ma, quanto è possibile, si cerchi di conoscere e pren-
der di mira i propri difetti in particolare, e i rimedi più efficaci
a vincerne la malizia.
24. A chi riuscisse difficile fare la seconda delle operazioni
indicate per l’intelletto, colla quale pesiamo le verità morali,
troverà la via spianata se si propone di considerare successi-
vamente, 1° la necessità, 2° l’utilità, 3° l’equità, 4° la dignità, 5° la
dolcezza, 6° la facilità della verità che medita, ed infine, 7° i dan-
ni del non conformarsi alla medesima e i beni del conformarvi-
si.
25. E se, dopo che abbiamo ponderata la verità eterna, e
conosciuto ciò che nella nostra vita è opposto alla medesima, ci
riuscisse difficile a stabilire il proposito, noi saremo confortati in
questa nostra debolezza dalle seguenti riflessioni: 1° quale sa-
rebbe il consiglio che in una simile situazione daremmo ad un
amico che ce lo domandasse; 2° cosa vorremmo avere scelto se
ci dovessimo trovare di fronte al giudizio di Dio, o sulla soglia

54
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

dell’eternità; 3° che cosa esigono da noi gl’infiniti benefici che


Dio ci ha fatti, non volendo essere ingrati; che cosa esiga la
grandezza del premio futuro, l’aumento del nostro merito,
l’esempio di Cristo, ecc.
26. I difetti principali nei quali si può incappare facendo
l’esercizio dell’intelletto, sono:
1°. La mancanza di soavità e quindi l’ansietà e l'inquietudine.
L’ansietà e l’inquietudine nascono o dal temere che manchi il
tempo a percorrere la materia proposta, o dal temere di passa-
re troppo in fretta da un punto all’altro, o infine da troppo
sforzo e discordia di spirito. S’avverta dunque: I. di non preoc-
cuparsi dell’avvenire della meditazione, lasciandosi andare con
libertà senza timore né che manchi il tempo, né che manchi al
tempo la materia; II. di non fare sforzi eccessivi, ma procedere
dolcemente, o contemplare, se non vengono facilmente le ri-
flessioni. E s’avverta di non occupare tutta l’ora o buona parte
di essa nell’esercizio dell’intelletto, ma di lasciare la maggior
parte di essa alla volontà, che è l’esercizio principale e più di
frutto. Quindi si badi ancora di non perdere il tempo in rifles-
sioni inutili, astratte o curiose; ma di procedere con l'intelletto
in modo spirituale, edificante, sostanzioso per l’anima, che
prepari e serva all’operare della volontà, che è l’operar pratico,
e tendente ad una reale correzione e purificazione dai difetti.
2°. La mancanza di un ordine semplice, il che genera confu-
sione nel discorso intellettuale. Quest’ordine s’ottiene più fa-
cilmente quando non vogliamo meditare più verità insieme,
ma ce ne prendiamo una, e procuriamo di cavar frutto da quel-
la; il qual frutto non è maggiore in ragione delle molte verità,
ma dell’intensità con cui il nostro spirito entra in esse. Una

55
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

considerazione intensa sopra un solo punto, vale assai più che


delle leggere escursioni su molti.
27. Quelli che penetrano sufficientemente e in poco tempo
dentro alle verità proposte, passino pure all’esercizio della vo-
lontà, dal quale ci si deve aspettare il maggior frutto, come di-
cevamo, della meditazione.
28. Lo scopo della meditazione nostra è un proponimento ef-
ficace: e l’operazione dell’intelletto mira unicamente a mostrar-
celo tale, quale deve essere.
29. A tal fine: 1° si rivolga la nostra attenzione ai vizi più
sostanziali9, cioè a quelli che contengono un difetto essenziale,
e dopo sradicati questi, si passi a colpire i difetti esterni e ma-
teriali. Per la medesima ragione, prima si devono sradicare i
propri vizi, che proporsi a fare unicamente opere di sopraero-
gazione. 2°. Si presti attenzione ai vizi più vicini e ai difetti
quotidiani, anziché a quelli contingenti e lontani: perché il pen-
sare ai tempi futuri prima che allo stato e condizione presente,
è spesso un inganno e una maliziosa finezza dell’amor proprio,
il qual si sottrae dal contemplare i difetti di cui noi siamo al
presente macchiati.
In una parola, si porti il ferro al taglio dei nostri vizi, i più ur-
genti ed essenziali e i più vicini.
30. Da queste due avvertenze fondamentali, secondo le
quali deve farsi il proposito per non battere l’aria invano, si co-
nosce l’error di coloro, che:
1° Fanno grandi progetti di convertire anime e di predicare
il Vangelo fra i pagani, o di riformare il mondo ecc., senza cu-

9. formali

56
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

rarsi di sradicare i difetti della propria anima. Distratti da quel-


le grandi idee, che di solito sono figliuole di segreta superbia,
rifiutano di abbassarsi a conoscere e rimuovere da sé i più te-
naci difetti, quali l’orgoglio, l’impazienza, l’amarezza,
l’avventatezza, la vanità, ecc. Essi errano nell’ordine, perché
dimenticano il necessario, inseguendo il sopraerogatorio: dimenti-
cano lo sradicamento dei vizi, che precede al radicare le virtù: e
anziché pensare a sé, pensano alla correzione degli altri.
2°. O esaminando i propri difetti, si fermano ai più mate-
riali ed esterni, anziché entrare a colpire principalmente gli spi-
rituali e gli interni, che hanno l’essenza di vizio, e che guastano
propriamente lo spirito. A questo secondo numero appartiene
tutto ciò che offende la verità, la carità, la giustizia verso gli al-
tri uomini, l’umiltà e giustizia verso Dio. E perciò procede in
un ordine falso e inverso chi, prima di scrutare i difetti interni
del proprio spirito circa queste materie essenzialmente morali,
si ferma con sollecitudine a scrutare i difetti contro i precetti
positivi della Chiesa, i digiuni, il numero delle preghiere vocali,
la dizione materialmente esatta delle medesime, il rispetto ri-
goroso delle ore prescritte da sé a sé stesso, ecc. Tali cose si
devono sì regolare, ma senza trascurare le precedenti, come di
gran lunga più importanti. Erra poi contro la seconda avver-
tenza chi, come abbiamo detto, trascura di colpire i difetti quo-
tidiani, vagando a combattere i difetti solo possibili e lontani.

IV. ESERCIZIO DELLA VOLONTÀ

31. L’esercizio della volontà consiste nel fare realmente, e

57
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

confermare mediante gli affetti e la supplica della divina grazia,


il proposito che con l’intelletto fu progettato.
32. Sant’Ignazio dice10, che l’esercizio della volontà richie-
de maggiore considerazione dell’esercizio dell’intelletto, per-
ché in esso vengono infervorati in noi gli affetti, coi quali trat-
tiamo più intimamente con Dio. Secondo quest’indicazione di
S. Ignazio, chi non può rimanere tutta l’ora della meditazione
in ginocchio, potrebbe mettersi in questa posizione quando en-
tra nell’esercizio della volontà, facendo il resto o in piedi, o se-
duto.
33. La volontà può procedere facendo 1° un atto di pro-
fondissima umiltà, mirando ai vizi conosciuti presenti, in se
stessi, vergognandosi e inabissandosi nella propria miseria in
faccia a Dio ed ai suoi eletti; e insieme 2° un atto di dolore. 3°.
Dopo il dolore, venga immediatamente l’emissione del proposi-
to, che noi abbiamo precedentemente ideato con l’intelletto tut-
to teso ai nostri particolari bisogni.
34. Se il proposito non riguarda un’opera di sopra-
erogazione, o qualche pia abitudine utile al progresso dello spi-
rito nostro e non assolutamente necessaria, ma un nostro vizio
sostanziale11, piccolo o grande ch’egli sia; allora dobbiamo ado-

10. S. IGNAZIO DI LOJOLA, Esercizi spirituali, Annotazioni per avere una qualche com-
prensione degli esercizi spirituali che seguono, e per aiutare sia chi li deve proporre
sia chi li deve fare: «Terza annotazione. In tutti gli esercizi spirituali che seguo-
no ci serviamo degli atti dell'intelletto per ragionare e di quelli della volontà
per suscitare gli affetti; perciò teniamo presente che negli atti della volontà,
quando rivolgiamo preghiere vocali o mentali a Dio nostro Signore o ai santi,
si richiede da parte nostra un maggiore rispetto di quando ci serviamo dell'in-
telletto per ragionare».
11. formale

58
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

perare tutte le capacità possibili, per riuscire a renderlo effica-


ce, poiché esso è essenziale alla nostra purificazione.
35. E al fine di dare maggior forza a questo proposito,
possiamo concepirlo 1° alla presenza di tutta la corte celeste,
innanzi al soglio della divina Maestà, immaginando di vedere
il cielo, gli angeli, e i santi, e quell’altare d’oro nominato nel-
l'Apocalisse, che sta innanzi al trono di Dio12, e di porre in su
d’esso quasi per iscritto il nostro proposito. 2° Possiamo pure
considerare, che del proposito che stiamo facendo, gli angeli e i
santi sono testimoni; e deporranno a nostro favore o contro di
noi nel giorno del giudizio, secondo che il proposito sarà since-
ro o falso; pregando i santi, specialmente quelli che la Chiesa
onora e prega in quel giorno, che essi intercedere per noi ri-
guardo alla sincerità del nostro proposito e la fedeltà ad esso.
3° Offriamo a Dio in pegno di quanto gli promettiamo la salu-
te, l’onore, la vita, i sensi del corpo ecc., supplicandolo che vo-
glia toglierci tutte queste cose, piuttosto che lasciarci cadere
nella violazione del santo nostro proposito; e se cadiamo, che
ci castighi privandoci di queste cose, anziché con l’eterno sup-
plizio, aggiungendo al castigo temporale la grazia della nostra
piena emendazione. 4° Riflettiamo, che noi dobbiamo mante-
nere il detto proposito specialmente a motivo del sangue per
noi sparso dal Salvatore; sicché potremo anche immaginare di
presentare a Dio la scrittura del nostro proposito sigillata da
quel sangue preziosissimo, perché sia riposto nella piaga del
divino costato, dove si conservi finché da lì sia tratto il giorno
che saremo giudicati. 5° Ed infine gioverà che proponiamo a

12. Ap 8,3.

59
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

noi stessi una certa pena o mortificazione, da farsi ogni qual-


volta infrangiamo quel proposito. Non è tuttavia necessario far
sempre tutte queste considerazioni, ma più o meno usarle, se-
condo l’importanza della materia, e la difficoltà nel vincere noi
stessi.
36. Se il proposito non riguarda cosa essenzialmente vizio-
sa, ma solo qualche mancanza nei metodi e in altre cose positi-
ve e sopraerogatorie, libere da veri precetti; allora lo si confer-
mi semplicemente con grandi atti di umiltà per la nostra inco-
stanza, con preghiere a Dio perché ci renda diligenti in tutte le
cose proposte, secondo ch’egli conosce esser utile al fine no-
stro; rassegnandoci d’altra parte tranquillamente, se così a Dio
piacesse per conservarci nell’umiltà, anche a sopportare la va-
riazione o l’abbandono di quei metodi, di quelle pratiche ecc.,
che noi proponiamo solo perché crediamo esser mezzi atti a ot-
tenerci la perfezione spirituale.
37. Fatto il proposito, segua un atto di diffidenza di sé, e di
timore della propria incostanza, confessando a sé e a Dio illi-
mitatamente la propria debolezza, impotenza, leggerezza nel
violare quelle promesse, se non ci aiutasse la divina grazia.
38. Dalla diffidenza di noi, e dal timore e scoraggiamento,
solleviamoci poi ad un atto di piena confidenza in Dio, nella on-
nipotenza della sua grazia, domandandogliela con i più caldi
sospiri.
39. Possiamo domandare la grazia, unico e saldo fonda-
mento delle nostre speranze, 1° dal Padre eterno per Cristo, 2°
dal Figlio divino per se stesso, 3° dallo Spirito Santo per il suo
amore, 4° dal Salvatore per il suo sangue, piaghe e morte, 5°
dalla beatissima Vergine, e dai Santi celebrati dalla Chiesa in

60
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

quel giorno. Gioverà aiutare il nostro affetto con l’immagine di


presentarci a Dio, a Cristo e a Beati, come un pezzente che mo-
stra a dei ricchi signori la sua miseria, la sua nudità, le sue pia-
ghe: e ciò non al fine di spingere gli spiriti celesti a compassio-
ne, ma, come dicevamo, di infiammare noi stessi a supplicare
intensamente da loro il soccorso di cui abbiamo bisogno.
40. Alla fine della preghiera fatta con gran confidenza per
impetrare la divina grazia, che sola rende validi i nostri propo-
siti, si erompa in un atto di ardentissimo amor di Dio.
41. L’atto di amore può farsi: 1° preferendo Dio stesso a
quel compiacimento che proponiamo di abbandonare, o a quel-
la difficoltà, qualunque ella sia, che proponiamo di vincere: 2°
giubilando dell’infinita gloria di Dio interna ed esterna, e ar-
dendo di desiderio di accrescere questa seconda colla piena
santificazione propria, e con il mantenimento del proposito
concepito: 3° amareggiandoci di aver tante volte disprezzata
quella immensa bellezza, e sì tardi efficacemente conosciuta13:
invitando tutti i Beati ad amare la Divinità, offrendo i loro a-
mori e quelli dei Serafini insieme con l’amor nostro, perché tut-
to questo amore valga a rendere efficace l’emesso proposito.
42. L’atto di amore deve produrre l’intima e quieta unione
dell’anima collo Sposo celeste, che è tanto più stretta, quanto
più orientiamo ad essa tutte le nostre potenze.
43. Si applica al celeste Sposo la memoria, vuotandola da
ogni altra idea fuori di lui, e occupando tutta l’attenzione no-
stra in lui solo, come se nessun altra cosa esistesse, come dice

13. Cfr.: «Tardi ti amai, tardi t’amai o bellezza tanto antica e tanto nuova», S. AGO-
STINO, Confessioni, 10,27.

61
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

S. Teresa, se non l’anima nostra e Dio14. Si applica l’intelletto,


vuotandolo di ogni opinione umana, e al solo Sposo e alla sua
voce attendendo. Si applica la volontà, vuotandola di ogni at-
tuale affetto umano, perché si riempia dell’amore di quell'unico
suo Diletto, stimando lui solo per assoluto, e tutte le altre cose
in modo puramente relativo a lui. S. Ignazio insegna anche a
fare l’applicazione al celeste Sposo dei cinque sensi immaginari15

14. Cfr. SCRITTI DI SANTA TERESA DI GESÙ, Cammino di perfezione, 47,1: «Questo mo-
do di pregare, sia pur fatto vocalmente, raccoglie lo spirito assai più rapida-
mente d’ogni altro e apporta mille vantaggi. Si chiama orazione di raccogli-
mento, perché l’anima raccoglie tutte le potenze e si ritira in se stessa con il
suo Dio»; 47,4: «Il fuoco dell’amore divino si accende più facilmente, perché,
stando proprio vicino al fuoco, basta un minimo soffio dell’intelletto perché
tutto, alla minima scintilla, s’incendi. Non essendoci alcun impedimento este-
riore e trovandosi l’anima sola con il suo Dio, è pronta per un’intesa con lui»;
Castello interiore, Quinte mansioni, 1,4: «Perfino quanto all’amare - se ama -
non sa come né che cosa ami, né ciò che voglia. Insomma, è come essere asso-
lutamente morti al mondo per più vivere in Dio. Proprio così: una morte pia-
cevole, uno sradicarsi dell’anima da tutte le operazioni che può avere stando
nel corpo; piacevole, perché, pur stando in esso, sembra invero che l’anima se
ne separi, per meglio vivere in Dio, in modo che io non so ancora se le resti
tanto di vita da poter respirare…». Rosmini possedeva: B C N, Opere Spiri-
tuali della Santa Madre Teresa di Gesù, divise in due tomi, Venezia 1739. nel-
la Stamperia Baglioni; interno copertina autografo: «Del Signor Donn’Antonio
Rosmini Serbati».
15. S. Ignazio di Lojola, Esercizi spirituali, Quinta settimana, Primo giorno, «121
Quinta contemplazione, Applicazione dei sensi. Dopo la preghiera preparato-
ria e i tre preludi, giova ripercorrere con i cinque sensi dell'immaginazione la
prima e la seconda contemplazione nel modo seguente.
[122] Primo punto: vedo con la vista dell'immaginazione le persone, meditan-
do e contemplando nei particolari le circostanze che le riguardano, e ricavan-
do qualche frutto dalla loro vista.
[123] Secondo punto: ascolto con l'udito quello che dicono o potrebbero dire;
e, riflettendo su me stesso, cerco di ricavarne qualche frutto.
[124] Terzo punto: odoro e assaporo, con l'olfatto e con il gusto, l'infinita soa-

62
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

aiutando colla nostra immaginazione la debolezza del nostro


spirito, cioè rimuovendo i nostri sensi da ogni sensazione ter-
rena, e immaginando di veder cogli occhi la bellezza dello Spo-
so, di assaporare col palato il cibo spirituale delle sue parole, di
udire la dolcezza della sua voce cogli orecchi, di sperimentare
la soavità dei suoi profumi con l’odorato, e col tatto la felicità
dei suoi casti amplessi. E così tutte le nostre potenze occupate
nel diletto, eletto fra mille16, fan sì che l’uomo dica: «Vivo io? già
non io: ma vive in me Cristo»17.
44. Nell’intima e quieta unione collo Sposo celeste, l’anima
può udire, o rispondere, a seconda che trovi più quiete e spiritua-
le sentimento; può anche entrare in familiare colloquio col me-
desimo, e sfogare i suoi affetti, e trattare qui di tutti i suoi affa-
ri, nei quali ella ha bisogno di lume e di aiuto sia per sé, sia per
altri.
45. Giova molto, che in questa unione l’anima si tenga as-
sai quieta e senza dir nulla per buon tempo, e senza far nulla in
particolare; ma solo stia attenta cogli orecchi del cuore a ciò
che il Diletto le dice, e con riverenza ascolti le divine voci. In
questa pace talora dica, con Samuele: «Parla, o Signore, perché il

vità e dolcezza della divinità, dell'anima e delle sue virtù, e di tutto il resto, a
seconda della persona che contemplo; e, riflettendo su me stesso, cerco di ri-
cavarne qualche frutto.
[125] Quarto punto: sento con il tatto, per esempio accarezzo e bacio i luoghi
dove queste persone camminano e siedono; e sempre cerco di ricavarne frut-
to.
[126] Colloquio. Alla fine farò un colloquio, come nella prima e nella seconda
contemplazione, [109, 117] e dirò un Padre nostro».
16. Ct 5,10.
17. Gal 2,20.

63
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

tuo servo ti ascolta»18. E qualche altra volta: «Mostrami ciò che ti


dispiace in me, quale attaccamento, qual vizio, toglimi la ben-
da, dammi la grazia di sacrificarti tutto».
46. Sia nella scelta dello stato, sia nell’eseguire i doveri del-
lo stato scelto, la perfezione cristiana consiste nell'uniformarsi
in pensieri, parole, opere, intieramente alla volontà di Dio. Ma
le nostre inclinazioni naturali ripugnano alla perfetta unifor-
mazione. Perciò il cristiano che aspira all’esecuzione perfetta
dei suoi doveri, ha bisogno di fortezza d’animo per superare
quelle ripugnanze che la natura oppone alla piena esecuzione
dei voleri divini. Ad ottenere tale e tanta fortezza, egli deve
preparare il suo spirito contro tutte le ripugnanze; e la migliore
occasione di prepararlo è quest’intima unione collo Sposo cele-
ste. A tal fine, in tale unione faccia le operazioni seguenti:
1° Disporsi a ricevere dalla mano di Dio tutte le avversità futu-
re che potranno intervenire. E qui vada prevedendo ciò che
può accadere di molesto ai sensi e all’amor proprio, dolori, ma-
lattie, umiliazioni, disprezzi, persecuzioni, calunnie, molestie,
uffici e ministeri gravi, e contro il proprio genio, mutazione di
metodi di vita, di fortune, di casa, di paese ecc., e faccia un atto
di rassegnazione interna e d’indifferenza a tutte queste cose
che Iddio potesse destinargli.
2° Consumare collo spirito il sacrificio a Dio di tutto ciò che
abbiamo di più caro al mondo. Si stacchi da tutto ciò ch’è ter-
reno l’affetto del cuore; e specialmente da quella cosa creata,
da quell’opinione, da quella comodità, da quell’ufficio, da quel
luogo, da quella persona, da quel grado ecc., a cui conosciamo

18. 1Sam 3,10.

64
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

di essere affezionati. Ci aiuteremo a ciò immaginando di pren-


der il posto di Abramo, che afferra il coltello ed immola corag-
giosamente il suo diletto, il suo figlio unigenito Isacco.
3°. Dopo esserci così preparati a sostenere le avversità future e
sacrificare a Dio le più care affezioni di questa vita, concludere
con un atto d’intero abbandono nella pietà e misericordia di lui,
disposti a perder tutto, la salute, la scienza, l’uso dei sensi, la vi-
ta; a tollerar tutto, i disprezzi, la povertà, i disonori, le persecu-
zioni, le malattie; a far tutto, le cose più faticose e più dannose
alla salute, alla fama, al piacere della nostra privata devozione,
anche se ci sembrassero infruttuose; quando ciò sia per amor
suo, quando ciò ci renda uniformi alla sua divina volontà; met-
tendo questa nostra pienissima rassegnazione nelle sue mani
pietose, perché egli realizzi in noi colla sua grazia ciò che a lui
proponiamo, ed accetti il nostro sacrificio secondo la sua sa-
pienza e la sua misericordia, in virtù della quale «non siamo
giammai indotti nella tentazione».
47. Il nostro dialogo può variare, facendolo ora con Dio
Padre, ora colle persone della santissima Trinità, ora con Gesù
Cristo, ora con Maria Vergine Madre, ora con l’Angelo Custo-
de, ora cogli altri esseri celesti, secondo la convenienza delle
materie e l’attuale disposizione di chi medita; e alla fine si dica
l’orazione dominicale.

V. ESAME DA FARSI DOPO L’ORAZIONE MENTALE

48. Dopo la meditazione, secondo l’insegnamento di S. I-


gnazio, si faccia un diligente esame dei difetti commessi nella

65
Lezioni Spirituali: Lez. VIII: Di un meditare ordinato

medesima meditazione19.
49. Si esamini 1°. se ci siamo applicati alla meditazione con
fervore e con riverenza: 2° se abbiamo occupata tutta intera l’ora
stabilita: 3° se per eccessiva e minuziosa premura di conservare
il metodo abbiamo raffreddati gli spontanei movimenti del
cuore: 4° se ci siamo allontanati dal metodo non per assecon-
dare gl’impulsi spontanei del cuore e le ispirazioni dello Spirito
Santo, il che è lodevole, ma per negligenza, accidia, e mala vo-
lontà di bene apprenderlo, il che è difettoso: 5° se abbiamo ri-
volto la nostra meditazione a conoscere sinceramente ed estir-
pare i particolari, più frequenti, e più urgenti nostri difetti e vi-
zi: 6° infine, se ci siamo corretti dai difetti nei quali eravamo soliti cadere fa-
cendo la meditazione, o se siamo incespicati in essi come prima.
50. Quando si fa la meditazione per la scelta del proprio
stato, o nel tempo degli esercizi spirituali, giova che questo e-
same duri circa un quarto d’ora: ma nella meditazione giorna-
liera può durar meno, se chi medita ha già fatto del profitto
nell’arte del meditare, ed ha superati i difetti principali.
51. Conosciuti i difetti commessi, si annotino, con l’animo
d’evitarli in futuro.

19. S. IGNAZIO DI LOJOLA, Esercizi spirituali: «[73] ADDIZIONI PER FARE MEGLIO GLI E-
SERCIZI E PER TROVARE PIÙ FACILMENTE QUELLO CHE SI DESIDERA … [77] Quinta ad-
dizione. Dopo aver finito l'esercizio, per un quarto d'ora, stando seduto o pas-
seggiando, esaminerò come mi è andata la contemplazione o la meditazione:
se è andata male, cercherò la causa da cui questo deriva e, dopo averla indi-
viduata, me ne pentirò per emendarmi in avvenire; se è andata bene, ringra-
zierò Dio nostro Signore e un'altra volta farò allo stesso modo».

66
ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE IX

D
Deellll’’eessaam
mee d
dii ccoosscciieen
nzzaa

STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
DON GIANNI PICENARDI
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2008
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

LEZIONE IX

Dell’esame di coscienza

1. Si chiama esame generale di coscienza quello che si pro-


pone di farci riconoscere tutti i peccati e difetti da noi commes-
si, e le altre condizioni morali del nostro animo.
2. L’esame generale può estendersi a tutta la vita, e si fa in
occasione di una confessione generale. Può limitarsi ad una
parte della vita, e si fa in occasione di confessione annuale, o
semestrale, ogni volta che ci confessiamo, o finalmente ogni se-
ra, quando ci esaminiamo su come abbiamo passato la giorna-
ta.
3. L’esame particolare invece è quello che prende di mira un
solo vizio o difetto particolare al fine di vincerlo, o una partico-
lare virtù al fine d’acquistarla.
4. L’esame particolare si deve considerare come un esercizio
totalmente pratico ed esecutivo, che tende a far mettere in atto
i buoni proponimenti dell’esame generale. Sicché l’esame par-
ticolare è quasi uno strumento, o mezzo dell’esame generale,
perché questo abbia efficacia, e sia attuato ciò ch’egli propone.
Diremo prima alcune cose utili sia all’esame generale, sia a
quello particolare, e poi parleremo di ciascuno di questi due
modi di esaminarsi.

67
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

I. AVVERTENZE SULL’ESAME IN COMUNE

5. Il profitto spirituale che l’anima trae dall’esame di co-


scienza, come pure dalla meditazione e da ogni altra attività
spirituale, dipende dalla rettitudine della volontà colla quale
l’uomo vi si accinge. La pace che recò in terra Gesù Cristo non
è annunziata che «agli uomini di buona volontà»1.
La buona volontà poi consiste nel desiderare con sincerità
di affetto la giustizia. Questo desiderio che Dio vede nelle ani-
me, è il principio di ogni profitto spirituale e di ogni loro celere
crescita; e questo stesso desiderio viene da Dio, e chi non anco-
ra lo si sente glielo deve domandare ininterrottamente. Perché
colui che facesse l’esame di coscienza anche se con esattezza,
ma soltanto per abitudine o per imitazione o, anche peggio,
per acquietare con tali pratiche devote i rimorsi, e non per di-
struggere in sé stesso ogni ingiustizia, non gli varrebbe nulla.
Questo dunque deve essere il fine purissimo dell’esame, la de-
siderata giustizia.
6. Or dunque cosa fa l’uomo coll’esame? Cerca di acquista-
re una chiara e consapevole cognizione di se stesso, e specialmen-
te dei suoi peccati e dei mezzi per evitarli.
7. A tal fine conviene:
1° conoscere il numero e la qualità dei peccati da noi commessi;
2° pesarne davanti a Dio la malizia, al fine di sentirne tutta
l’indegnità, la quale può essere veramente valutata per quella
che è solamente alla luce della conoscenza di Dio, e dei suoi be-
nefici verso noi;

1. Lc 2,14.

68
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

3° considerare il grado d’attaccamento che portiamo al peccato, e


la cecità che ce ne deriva.

8. La cecità viene all’uomo dall’affetto al peccato, ed è la


cosa che ci sfugge di più, appunto perché ci toglie la capacità di
vedere e fa sì che non discerniamo i nostri vizi e difetti; che se-
guiamo giudizi segreti ed ingiusti sopra noi stessi, e che giusti-
fichiamo quello che dovremmo condannare e che talora cam-
biamo in virtù ed in meriti quegli atti che sono veri vizi e de-
meriti. Ciascuno deve temere questa cecità spirituale, perché è
troppo difficile trovarsene interamente esenti, e appena è cre-
dibile che sappiano riuscirci uomini provetti nell’ultima perfe-
zione. Perciò il timore di questa cecità, o almeno appannamen-
to della vista spirituale, deve essere motivo:
1° per operar sempre con timore e tremore la nostra salute spiri-
tuale;
2° per non credere mai d’avere coll’esame di coscienza conosciuto
abbastanza noi stessi;
3° per usare sempre maggior diligenza per renderci imparziali nel
riconoscere e giudicare dei nostri vizi, come se si trattasse di
quelli di un’altra persona;
4° per innalzare preghiere incessanti a Dio, affinché ci purifichi
anche dai peccati occulti;
5° per riporre solo in Dio, e non in noi stessi e nelle nostre capaci-
tà, confidenza e speranza.

9. Al fine di conoscere i mezzi di evitare i peccati, è necessa-


rio rilevare e discernere bene:
1° quali fra i nostri peccati siano causa degli altri, e quali effetto;
2° quali motivi o principi interni siano quelli che ci fanno inclinare

69
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

e poi cadere in peccato;


3° quali siano le abitudini viziose;
4° quali le occasioni esterne che c’indeboliscono o anche ci fanno
cadere e
5° finalmente quali siano i mezzi opportuni, e i modi di combatte-
re contro i nemici nostri così conosciuti;
e tali mezzi conviene che tendano appunto:
§ a distruggere principalmente quei peccati che sono causa
degli altri;
§ ad opporsi ai principi interni, da cui procedono le nostre ca-
dute;
§ a contrariare le abitudini viziose;
§ ad evitare le occasioni esterne che sono a noi d’inciampo.

10. È bene riflettere assai, che quando si tratta di principi


interni o di nostri attaccamenti, l’appannamento del vedere
spirituale che ne consegue, ci rende difficile il persuaderci della
necessità di adoperare certi mezzi che sarebbero utilissimi, ma
di cui noi, appunto per questo, abbiamo timore e grave ripu-
gnanza, e li allontaniamo perfino dal nostro vedere intellettivo.
Contro questo insidiosissimo pericolo che talora mette in forse
la salute eterna delle anime e spesso poi tronca la via della per-
fezione a tal punto che l’uomo invano s’affatica, non vi può es-
sere nessun migliore espediente di quello di aprirsi sincerissimi
e candidissimi fino allo scrupolo con chi dirige l’anima nostra; i
quali possono così vedere quello che noi non vediamo, e ci soc-
corrono.

70
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

II. L’ESAME GENERALE

11. La formula dell’esame generale quotidiano insegnata


da S. Ignazio ha cinque punti2 Il 1° punto è rendere grazie a
Dio per i benefici ricevuti. Il 2° chiedere immediatamente gra-
zia di conoscere e vincere tutti i peccati. Il 3° rendersi conto,
ora per ora, di tutta la giornata, da quando ci si alza; e prima
circa i pensieri, poi circa le parole, finalmente circa le operazio-
ni. Il 4° domandare perdono dei peccati commessi. Il 5°, pro-
porre l’emendazione; e questo proponimento si può fare in
quel modo che abbiamo detto, esponendo il metodo del medi-
tare.
12. È bene cominciare dal rendimento di grazie, e dal ri-
cordo dei benefici ricevuti, affine di trarne sconcerto, conside-
rando poi come li abbiamo ricambiati colle infedeltà.
13. Quando l’esame generale si estende ad un tempo più
lungo che non sia un solo giorno, si usa la stessa progressione
di atti, non esaminandosi ora per ora, il che non sarebbe possi-
bile, ma tempo per tempo successivamente.
14. Giova assai usare nell’esaminarsi le seguenti avverten-
ze:

2. S. IGNAZIO, Esercizi Spirituali, n. 43: «MODO DI FARE L'ESAME GENERALE: COM-


PRENDE CINQUE PUNTI. Primo punto: ringraziare Dio nostro Signore per i bene-
fici ricevuti. Secondo punto: chiedere la grazia di conoscere i peccati e di eli-
minarli. Terzo punto: chiedere conto alla propria coscienza ora per ora, o pe-
riodo per periodo, da quando ci si è alzati fino al momento di questo esame,
prima sui pensieri, poi sulle parole e infine sulle azioni, seguendo lo stesso
procedimento che è stato indicato nell'esame particolare [25]. Quarto punto:
chiedere perdono a Dio nostro Signore per le mancanze. Quinto punto: pro-
porre di emendarsi con la sua grazia. Infine dire un Padre nostro.

71
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

1° evitare quel rigorismo, o quella falsa umiltà, che vuol trovare


peccato anche dove non vi è peccato alcuno;
2° non pretendere di conoscere sempre perfettamente i nostri pec-
cati, o la loro gravità, ma contentarsi di rimanere tranquilli
nell’incertezza, segno della nostra ignoranza, e proprio a moti-
vo di umiltà e confidenza in Dio;
3° usar diligenza: il dolore sia sincero e profondo; sarà più sincero,
quanto più sarà illuminato dal lume intellettivo; sarà più pro-
fondo, quanto più vi metteremo di affetto, impiegandovi anche
buona parte del tempo destinato all’esame, come nella cosa più
principale di tutte.

15. L’esame generale deve determinare il particolare; cioè


conviene scoprire nell’esame generale qual sia la nostra passio-
ne dominante, e trovatala, conviene che la stabiliamo a materia
dell’esame particolare. Vinto poi un vizio, se ne propone
all’esame particolare un altro, e dopo i vizi le virtù, comincian-
do da quella di cui abbiamo più difetto e bisogno.

III. DELL’ESAME PARTICOLARE

16. L’esame particolare si può fare due volte al giorno,


prima di pranzo e prima del riposo.
17. Alla sera si unisce e continua coll’esame generale in
questo modo: Percorsi i tre primi punti dell’esame generale, ed
esaminati generalmente i peccati di tutta la giornata, si comin-
ciasi a far l’esame particolare da mezzogiorno in poi, cioè
dall’ultimo esame particolare per noi fatto. Il quarto e il quinto
punto sono comuni, usandosi l’avvertenza, che il dolore e il

72
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

proposito, dopo averlo applicato a tutti i difetti in generale, si


applichi anche in particolare su quello che si prende più di mi-
ra.
18. A fare bene l’esame particolare, S. Ignazio insegna3:
1° fin dal mattino alla sveglia, proponiamo una diligente custodia

3. S. IGNAZIO, Esercizi Spirituali, n. 24-30: «[24] ESAME PARTICOLARE QUOTIDIANO:


COMPRENDE TRE TEMPI E SI FA DUE VOLTE AL GIORNO. Primo tempo. Al mattino,
appena alzati, si deve fare il proposito di evitare con impegno quel peccato
particolare o quel difetto da cui ci si vuole correggere ed emendare.
[25] Secondo tempo. Dopo il pranzo si chiede a Dio nostro Signore quello che
si vuole, cioè la grazia di ricordare quante volte si è caduti in quel peccato
particolare o in quel difetto, e la grazia di emendarsene per l'avvenire. Si fa
poi il primo esame, chiedendo conto alla propria coscienza di quel punto par-
ticolare dal quale ci si vuole correggere ed emendare, passando in rassegna
ora per ora, o periodo per periodo, da quando ci si è alzati fino al momento di
questo esame. Sulla prima linea della g = si segnano tanti punti quante sono le
volte che si è caduti in quel peccato particolare o in quel difetto, e si rinnova il
proposito di emendarsene fino al secondo esame che si farà.
[26] Terzo tempo. Dopo la cena si fa il secondo esame allo stesso modo, di ora
in ora, a partire dal primo esame fino a questo secondo. Sulla seconda linea
della stessa g = si segnano tanti punti quante sono le volte che si è caduti in
quel peccato particolare o in quel difetto.
[27] Seguono quattro addizioni per eliminare più facilmente quel peccato par-
ticolare o quel difetto. Prima addizione. Ogni volta che si cade in quel peccato
particolare o in quel difetto, si porti la mano al petto dolendosi di essere ca-
duti; questo gesto si può fare anche in presenza di molti, senza che se ne ac-
corgano.
[28] Seconda addizione. Dato che la prima linea della g = indica il primo esa-
me e la seconda linea il secondo esame, alla sera si veda se c'è un migliora-
mento dalla prima linea alla seconda, cioè dal primo al secondo esame.
[29] Terza addizione. Si confronti il secondo giorno con il primo, cioè i due
esami di questo giorno con i due esami del giorno precedente, e si veda se c'è
stato un miglioramento da un giorno all'altro.
[30] Quarta addizione. Si confronti una settimana con l'altra, e si veda se in
questa settimana c'è stato un miglioramento rispetto alla precedente».

73
Lezioni Spirituali: Lez. IX: Dell’esame di coscienza

di noi stessi circa quel difetto particolare su cui ci impegniamo


ad emendarci;
2° a mezzogiorno, quando facciamo il primo esame di coscienza,
proponiamo nuovamente di usare tutta la diligenza per evitare
quel difetto per il resto della giornata;
3° accadendoci di cadere, ogni volta, posta la mano al petto, fac-
ciamo immediatamente un atto di dolore; e lo possiamo anche
fare senza che altri se n’accorga;
4° la mattina e la sera, dopo esaminatici, annotiamo il numero del-
le cadute; e venuta la notte, paragoniamo insieme un numero
coll’altro della mattina e della sera, di un giorno e d’un altro
giorno, di una settimana e di un’altra settimana, osservando
come proceda la nostra emendazione di quel difetto. E se ve-
diamo profitto, rendiamone grazie a Dio; se invece non ne ve-
diamo, non per questo dobbiamo perderci d’animo, ma investi-
garne le ragioni, impiegando con maggiore efficacia la volontà,
chiedendo a Dio la vittoria con più insistenza, e imponendoci
anche, o facendoci imporre qualche penitenza ogni volta che
cadiamo.

19. Non è bene mutare troppo presto materia all’esame


particolare; tuttavia si può intercalare per breve tempo qualche
altra materia, se ciò giovasse ad allontanare la noia che ci cau-
sasse la troppa lunga insistenza sulla medesima, tornando poi
alla prima con più fervore d’animo.
E tutto ciò si faccia sempre con soavità e dolcezza di spiri-
to, e colla maggior serenità di mente possibile.

74
ANTONIO ROSMINI

LEZIONI SPIRITUALI
LEZIONE X

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STRESA 2008
© Trasposizione in lingua aggiornata di
DON GIANNI PICENARDI
Centro Internazionale di Studi Rosminiani
STRESA (VB) 2008
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

LEZIONE X

Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio,


secondo lo spirito dell’Istituto della Carità

«Unam petii a Domino hanc requiram ut


inhabitem in domo Domini omnes dies vi-
tae meae …»1.

CAPO I. DELLA PETIZIONE NECESSARIA ED OTTIMA

1. Il fine di questa Società è unico, quello di eseguire nel


modo più perfetto possibile la giustizia, e in conseguenza con-
seguire la salvezza e la perfezione della propria anima.
Annotazione. La giustizia, che dà salvezza e perfezione al-
l'anima, consiste nella carità: nell’aver noi per unico e sempli-
cissimo oggetto dei nostri affetti Dio: e più questa carità è squi-
sita, più l’uomo è perfetto. La carità unisce l’uomo a Dio, ed è
un possesso di Dio, che troverà compimento nell'altra vita, do-
ve sarà intero e perfetto e formerà la beatitudine. Tanto la giu-
stizia, quanto la beatitudine possono dirsi fine dell’uomo; ma la

1. Sal 26,4: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del
Signore tutti i giorni della mia vita …».

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

giustizia è il fine che l’uomo deve proporre a se stesso; la beati-


tudine è il fine che Dio si è proposto creando l’uomo,. La natura
dell’uomo desidera essenzialmente la beatitudine; perciò ap-
punto la beatitudine non è un dovere, non è, come tale, il fine
che deve proporsi la volontà dell’uomo, ma il fine che può pro-
porsi, e che non può fare a meno di proporsi. Se poi si conside-
ra quello che vi è di giusto nella beatitudine, a cui l’uomo è de-
stinato, allora anche la beatitudine è fine che l’uomo deve pro-
porsi; cioè egli deve voler esser beato per amore di giustizia;
deve amare la felicità considerata come effetto della giustizia,
perciò come cosa voluta da Dio; giacché Iddio vuole la beatitu-
dine del giusto; ed è cosa troppo giusta che il giusto sia beato.
La ragione principale per cui anche i beati in cielo godranno
della felicità, sarà appunto questa, che la riconosceranno giu-
sta; sicché nella stessa beatitudine ameranno soprattutto la giu-
stizia, e loderanno per essa e in essa la giustissima volontà di
Dio. Per la medesima ragione le pene dei reprobi entreranno
ad accrescere la beatitudine dei santi, perché ameranno in esse
la giustizia. Sicché la giustizia è sempre l’ultimo fine, ossia
l’ultima ragione di amare nel modo dovuto qualsiasi cosa.
2. Da ciò deriva che la preghiera principale ed essenziale dei
membri dell’Istituto della Carità è quella che chiede incessan-
temente la salvezza e perfezione della propria anima e divenire
sempre più giusti e più buoni. E benché una tale verità sia assai
chiara per sé, tuttavia non è inutile il fiancheggiarla di buone
ragioni; e ne indicherò sette delle principali.
3. 1ª ragione. Intendano a fondo i nostri fratelli questo gran
vero, che nella giustizia e nella santità dell’anima propria, cia-
scuno possiede ogni bene perché possiede Dio, bene infinito,

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

oltre il quale non può estendersi alcun desiderio; anzi non vi è


desiderio di creatura, che possa arrivare ad esaurire mai e poi
mai quel bene, che è l’essenza del bene, perciò, come diceva-
mo, ogni bene. E mi dica, chi ha fede, e crede in Gesù Cristo,
qual bene può mancare a colui che ha la giustizia, né d’altro si
cura? Nessuno; perché, riguardo a cose desiderabili, a costui
non può mancare mai nulla; per questo motivo Gesù Cristo
disse: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste
cose vi saranno date in aggiunta»2. E S. Paolo più in generale:
«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che a-
mano Dio. - Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi
sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma
lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con
lui?»3.
Annotazione. A chi non ha inteso a fondo questa dottrina, si
affaccerà la seguente obiezione: «Se penso a farmi santo io so-
lo, non sarò un egoista? e la salvezza altrui non è altrettanto
pregevole quanto la mia?».
Rispondo, quanto a questa seconda domanda, se la salvez-
za altrui non sia altrettanto pregevole quanto la mia: la salvez-
za degli altri rispetto ad essi è certo tanto pregevole e necessa-
ria, quanto è la mia rispetto a me. Ma come ad essi non giove-
rebbe che io mi salvassi, se si dannassero; così a me non giove-
rebbe che si salvassero, se io mi dannassi, secondo il detto di
Cristo «che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima»

2. Mt 6,33.
3. Rom 8,28.31-32.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

se l’ha perduta4: e perciò non può redimerla con le anime degli


altri suoi fratelli che si salvano.
Quanto poi al primo dubbio, che il nostro principio risenta
di egoismo, questo è un non averlo inteso. Perché si osservi
bene, che sono di diversa natura, anzi contrarie l’avidità delle
cose terrene e l’avidità della giustizia. La prima è certo causa
ed effetto di egoismo; perché appropriandomi io stesso dei be-
ni di questa terra, li tolgo ad altri; quando invece l’avidità della
giustizia non è che un ardentissimo desiderio di dare a tutti il
suo, di esser con tutti buono, con tutti generoso, con tutti senza
limite benefico. Per cui la sola giustizia mia propria importa
una carità universale; e il pregare che io faccio affinché Dio mi
renda sommamente giusto, è un pregare implicitamente per
tutto il mio prossimo, nessuno eccettuato; perché con ciò prego
che Dio mi renda ottimo verso tutti, e mi conduca a far tutto
quel bene che è secondo il suo divin beneplacito, cooperando
alla sua infinita carità verso il mondo.
4. 2ª ragione. Il non accontentarsi di questo bene, cioè di es-
sere resi a pieno giusti, non può nascere che da poca fede e po-
ca cognizione di un bene così eccelso, come mostra quello che è
stato detto; poiché la nostra giustizia comprende contempora-
neamente ogni bene per noi e una carità universale per gli altri
(n. 3). Se poi conosciamo che cosa è, e come è perfetto il bene
della giustizia e tuttavia non ci accontentiamo di lui, manifeste-
remmo apertamente una infinita debolezza viltà e malizia
d’animo affezionato all’apparenza del bene, anziché al bene
stesso.

4. Mt 16,26.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

5. 3ª ragione. L’occuparci interamente nel grande intento di


conseguire il maggior grado possibile di giustizia, senza darci
altra sollecitudine di noi stessi, rimettendoci, per quanto con-
cerne il nostro stare bene e male, nelle sante mani di Dio, affin-
ché egli faccia per noi e di noi tutto e soltanto ciò che gli piace;
è un chiaro atto perfetto di virtù, disinteressato, generosissimo.
«Vi è più gioia nel dare che nel ricevere»5, disse Gesù Cristo nostro
maestro; cioè è atto più nobile meritare, che godere. Perciò lo
stesso Gesù c’invita ad essere più premurosi della giustizia, che
del premio stesso di essa, cioè della beatitudine; domandando
al Padre suo per suoi apostoli, non già il cielo, ma l’innocenza
della vita, in quelle parole: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo,
ma che li custodisca dal maligno»6: parole in cui non domanda al-
tro se non la custodia dal male; ma in questa sola cosa è tutto:
perché qualora l’uomo sia scevro da ogni male, Iddio per la sua
bontà essenzialmente diffusiva lo ricolma naturalmente di tutti
i beni.
6. 4ª ragione., Noi sappiamo con certezza che la nostra giu-
stizia o santità è volontà di Dio, dicendoci la Scrittura: «Questa
è la volontà di Dio, la vostra santificazione»7; e ancora: «Beati piut-
tosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»8. Ora che
questa sia l’unica cosa che per noi ha valore assoluto e finale, si
rileva anche dalle parole che Gesù disse a Maria: «Ma una sola è
la cosa di cui c'è bisogno»9. E come sappiamo con certezza che

5. At 20,35.
6. Gv 17,15.
7. 1Ts 4,3.
8. Lc 11,28.
9. Lc 10,42.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

questa è la volontà di Dio, il quale ci diede la legge perché la


custodissimo; così ci resta incognita la sua volontà circa tutto il
rimanente che non è necessario, finché non ce lo sveli.
E qui si consideri tutti gli elogi che la Scrittura fa della leg-
ge e della parola di Dio, i quali tutti provano l’eccellenza e la
necessità di questa supplica.
7. 5ª ragione. Come questa preghiera domanda la sola cosa
necessaria, e sulla quale la volontà di Dio è palese; così è anche
la sola supplica che viene con ogni certezza esaudita, non po-
tendo mai essere privo di effetto il desiderio sincero della giu-
stizia, del quale Gesù disse: «Beati quelli che hanno fame e sete
della giustizia, perché saranno saziati»10. Perciò in questa petizio-
ne si trova la pace, e la sicurezza interiore di piacere a Dio nel
farla, laddove nelle suppliche per le cose non necessarie, pos-
siamo temere di sentirci rimproverare da Cristo con quelle pa-
role: «Finora non avete chiesto nulla nel mio nome»11; o con quelle
altre: «Voi non sapete quello che chiedete»12.
8. 6ª ragione. Questa petizione è anche per questo eccellen-
tissima: domandando a Dio il fine, l’uomo si rimette nelle sue
mani in quanto ai mezzi: il che è un atto di abbandono nel di-
vin volere, e quindi di piena fede nella sapienza, potenza, e
bontà sua; è ancora un atto di umiltà, perché l’uomo rinunzia
con ciò alla volontà propria e al proprio giudizio, quasi dicen-
do a Dio: «Signore, dammi la giustizia, e per il resto fai tu: io
non so nulla: tu solo sai come darmela questa giustizia, e i

10. Mt 5,6.
11. Gv 16,24.
12. Mt 20,22.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

mezzi che adoprerai, quelli sono gli opportuni, in quelli ti be-


nedirò; tu solo dunque fai la scelta, perché io non li conosco, e
ne sono indifferente, bastandomi che tu mi dia il fine».
9. 7ª ragione. Questa orazione universale è adoperata spes-
sissimo dalla Chiesa. L’adopera ogni volta che dice: «Signore,
misericordia», Kyrie eleison, senza più: ogni volta che dice nel-
l'Ave Maria o nelle Litanie generalmente: «Prega per noi», Ora
pro nobis, e in altre simili preghiere universali. Nelle quali la
santa Chiesa non specifica nulla, ma rimette tutti i mezzi della
nostra salute all’arbitrio di Dio e nelle mani di Maria. E tali so-
no pressoché tutte le orazioni delle quali è composta la santa
Messa, e particolarmente quella che si recita con altre due pri-
ma della comunione del corpo di Cristo, la quale è questa: «Si-
gnore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e
con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per
il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue liberami da ogni col-
pa e da ogni male, fa’ che sia sempre fedele alla tua legge e non sia
mai separato da te»13. Il medesimo stile e ordine si mantiene nel-
la massima parte delle preghiere della Chiesa.
10. E qui si consideri che cosa sia che vieta di vedere l'ec-
cellenza altissima di questa orazione, proprissima del nostro
Istituto, come di tutti i discepoli di Cristo. Questo solitamente
è il falso zelo, che va accompagnato da una segreta presunzio-
ne. Per esso l’uomo dimenticando se stesso, come se non aves-

13. Il testo è quello attualmente posto nell’ordinario della Santa Messa del Mes-
sale Romano; la seconda preghiera, posta in alternativa a questa è: «La comu-
nione con il tuo Corpo e con il tuo Sangue, Signore Gesù Cristo, non diventi per me
giudizio di condanna, ma per la tua misericordia sia rimedio e difesa dell’anima e
del corpo».

81
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

se gran bisogno di migliorare nello spirito, s’affanna solo per il


bene del prossimo, e tutto occupato degli altri, si sottrae al pe-
sante e noioso lavoro di conoscere e vincere i propri difetti, e
va lusingandosi, che tutto consista nel fare il bene al prossimo
e che questo suo zelo faccia per lui le veci di tutte le virtù. Di-
fende questo suo errore col pretesto della gloria di Dio, ed è
una difesa speciosa e che inganna molti ecclesiastici.
Ma che gli varrebbe che Dio fosse glorificato, quando poi
egli fosse perduto? che vale la gloria che ha Dio nei paradiso,
per i dannati?
Ovvero ancora: Dio ha forse bisogno della gloria che l'uo-
mo vuoi dargli contro sua volontà? dico, contro la sua volontà;
perché sappiamo che la volontà di Dio è la nostra personale
santificazione; non sappiamo, generalmente parlando, quanto
e come voglia servirsi della nostra opera per la santificazione
del prossimo: per la cura delle anime del prossimo è necessaria
una manifestazione, una missione speciale, e tale l’ebbero gli
apostoli, tale l’hanno i vescovi, e dai vescovi i parroci e coope-
ratori loro. Se il cristiano, o il sacerdote avesse un segno certo
del divin volere, se ha una missione, allora la cura stessa delle
anime diventa un dovere per lui, e quindi è divenuta parte del-
la sua propria giustizia. Dunque la giustizia e l'esecuzione della
parola divina è finalmente l’unica cosa, che anche in questo ca-
so egli deve cercare e desiderare. Dunque la gloria che noi pos-
siamo e dobbiamo ottenere a Dio, è solo quella di fare piena-
mente colla sua grazia l’adorabile sua volontà in tutte le cose; e
così d’eseguire la sua legge santissima, e nulla più, e nulla me-
no. Maggior gloria di questa non possiamo né dobbiamo dare
a Dio creator nostro.

82
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

E la giustizia è condizione così strettamente congiunta alla


gloria esterna che a Dio noi diamo, che quand’anche fossimo
certi, che con un peccato nostro leggerissimo noi potessimo
convertire tutti gli uomini che sono nel mondo, e salvare tutti
quelli che ci verranno, e convertire anche l’inferno con tutti i
demoni, conducendoli al massimo grado di santità, ancora noi
non lo dovremmo fare. Né ci scuserebbe il pretesto della gloria
divina, perché quella gloria che potremmo dare a Dio mediante
una minima colpa, non compete più a noi di darla a Dio, anzi
siamo tenuti a non darla, perché Dio santissimo non la vuole
da noi. Dico di più: un vero amatore di Dio non consentirebbe
a diminuire d’un grado solo l’amore che egli porta al suo Dio,
quand’anche sapesse, che in compenso di questa diminuzione
dell’amor suo, Dio ricevesse atti infiniti di amor serafico da tut-
te insieme le creature; e ciò perché un vero amatore non può
assolutamente rinunziare a nessun grado d'amore per minimo
ch’egli sia, ma ritiene ogni piccola scintilla del suo amore un te-
soro infinito e impareggiabile, anzi lo tiene tutto per sé e non
sarà mai disposto a privarsene cambiandolo con qualsiasi altro
bene, giacché da parte sua vuole amare ad ogni costo il suo Dio
quanto più possa e niente meno, indipendentemente da quello
che possono fare le altre creature. Il suo bene è l’amore di lui; e
solo in questo sta la sua perfezione, la sua giustizia e quello che
vuole Dio da lui.
Ecco perché per gli uomini retti sono abominevoli le frodi
pie, o le bugie dette per falso zelo, ed ogni alterazione della
pura e semplicissima verità, od altra offesa di Dio fatta col pre-
testo del guadagno dell’anime. Cose tutte sommamente odiose
ai veri servi di Dio e agli occhi di Dio loro padrone; giacché

83
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

«Perché non dobbiamo fare il male affinché venga il bene»14, come


dice l’Apostolo.
11. Rimane adunque ben fermo, che la petizione principale
ed essenziale, particolarissima di questo Istituto, è quella con
cui si domanda che ci venga comunicata la giustizia di Dio, ab-
bandonandoci poi nelle mani di Dio stesso, quanto ai mezzi
ch’egli possa impiegare al fine di comunicarci la sua santità e
giustizia.
12. Ma dopo tutto ciò sarà facile vedere, che questa prima
supplica complessiva, ne suppone un’altra pure santissima; ed
ecco in che modo.
Ciò che noi vogliamo è la giustizia: dunque se domandia-
mo di possedere la giustizia, dobbiamo anche domandare quel-
lo a cui la giustizia stessa ci porta, dobbiamo cioè domandare
in universale tutto ciò che è giusto.
13. Perciò il Signore, nella sua orazione, c’insegnò a di-
mandare al Padre, che sia santificato il suo nome, appunto perché
è giusto che sia; che venga il suo regno, perché è giusto che ven-
ga; che si faccia la sua volontà, perché è giusto che si faccia. Que-
sto è ciò che è giusto verso Dio. Per noi stessi preghiamo poi
per il pane “soprasostanziale”, che è veramente il Verbo di Dio
umanato (soprattutto nel suo essere sacramentale); la remissione
dei nostri debiti, e la liberazione dal male e dalle tentazioni; le quali
cose si riferiscono alla giustizia verso noi stessi.
14. Ugualmente si possono trovare molte altre formule
santissime ed ottime, come sono appunto quelle in cui si do-
manda o ciò che è certamente giusto in generale, o la giustizia

14. Rom 3,8.

84
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

nostra propria. Per esempio, pregando che si compia la prede-


stinazione divina, come fece Cristo quando disse: « Io prego per
loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato, perché
sono tuoi»15; non può chiedersi cosa migliore, perché ottima e
giustissima. Pregando per la Chiesa, affinché essa produca il
massimo frutto e la massima gloria di Dio, si fa certamente o-
razione santa: domandando tutto il bene nell’ordine conosciuto
della sapienza divina, tutti i mezzi di salvezza che a Dio piac-
ciono, ed altre tali cose certamente giuste, e contenute nella vo-
lontà di Dio, non si fa che domandare sempre l’ottimo, e non si
esce dall’ottima petizione di cui parliamo in questo capitolo.

CAPO II. DI ALTRE PETIZIONI

15. La petizione principale di cui parlammo fin qui, la qua-


le si divide in due, cioè 1° nel domandare per noi stessi la giu-
stizia, e 2° nel dimandare tutto ciò che è giusto, è anche il prin-
cipio che dà ordine a tutte le altre suppliche.
E veramente conviene considerare, che il principio della
giustizia, semplice ed uno quando si guarda in se stesso, pro-
duce poi, quando si applica alle circostanze, delle conseguenze,
che sono altrettante regole di condotta speciale a quelli che se-
guono l’Istituto della Carità, il quale non ha altro principio e fi-
ne che la giustizia. Queste regole speciali, che escono dal prin-
cipio della giustizia, ove si applichi, possono ridursi a tre:
a. Ad eseguire puntualmente i doveri annessi al proprio stato:

15. Gv 17,9.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

b. A seguire gl’inviti della Provvidenza o volontà di Dio manifesta-


ti a noi mediante le esterne occasioni di fare il bene:
c. A spingerci avanti spontaneamente più che possiamo in ciò che
riguarda la vita contemplativa, o l’unione con Dio.
16. Ora da queste tre regole generali nascono tre classi di
petizioni ordinate secondo l’indole propria di questo Istituto:
cioè
1° le petizioni nelle quali ciò che si domanda è determinato dai
doveri fissi annessi al nostro stato;
2° le petizioni nelle quali ciò che si domanda è determinato dalle
manifestazioni accidentali della volontà divina; e
3° le petizioni spontanee, in cui domandiamo ciò che più ci piace,
rimanendo liberi di chiedere qualunque cosa vogliamo.
Diciamo un po’ di ciascuna di queste tre classi di petizioni.

§ I Di ciò che giova domandare in conseguenza del pro-


prio stato
17. La prima cosa, che ci conviene domandare a Dio, dopo
la giustizia per noi stessi, e tutto ciò che è giusto, come fu det-
to, è la giustizia di quelle anime che sono da Dio affidate alla
nostra cura, se Iddio ce ne affidò.
18. E questa preghiera speciale era implicitamente conte-
nuta, come osservammo, nella richiesta universale della giusti-
zia per noi stessi, ed essa stessa è un atto di giustizia; perché se
Dio ci affidò quelle anime, noi abbiamo il dovere di pregare
per esse, perché questo è il mezzo più efficace di tutti per esse-
re loro utili. Perciò la Chiesa impone ai vescovi ed ai parroci di
offrire il santo sacrificio della Messa ogni domenica per il po-
polo loro affidato; e il preposito generale dell’Istituto celebra

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

ogni giorno per le anime di tutti gli ascritti al medesimo; ed


ogni altro preposito celebra ogni domenica per le anime di
quelli che sono soggetti al suo governo spirituale. Ciò è con-
forme all’esempio datoci da Cristo che nella preghiera che fece
dopo la cena, e avanti d’andare al Getsemani, prima pregò per
se stesso; ma possedendo già ogni giustizia, non dovette do-
mandare al Padre che l’effetto giusto della giustizia, cioè la
gloria; quindi «Padre, disse, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo»16.
E questa stessa gloria la domandava per l’amore della gloria
del Padre; quindi con atto di generosità e di giustizia riferendo
la gloria propria a quella del Padre, alle parole «Padre, è giunta
l'ora, glorifica il Figlio tuo», aggiunge queste altre: «perché il Fi-
glio glorifichi te». Ora dopo d’aver pregato così per sé, prega,
per suoi apostoli, cioè per quelli che avea più prossimi fra
quanti gli erano stati dati dal Padre: «Io prego per questi»; e ne
adduce in ragione l’essergli appunto dati in cura ed in proprie-
tà dai Padre suo: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che
mi hai dato »17. E per essi non chiede che cose spirituali; ma
queste in grado sommo, infinito, dicendo colla maggior espres-
sione che possa avere il linguaggio umano: «perché siano una co-
sa sola, come noi». E dopo aver pregato per quelli che gli appar-
tenevano più da vicino, che gli erano più prossimi nell'ordine
spirituale, prega inoltre per quelli, che gli appartenevano, ma
gli erano meno vicini, dicendo: «Non prego solo per questi, ma
anche per quelli che per la loro parola crederanno in me». Il che da
esempio ai superiori di pregare non solo per quelli, che al pre-
sente hanno sotto la loro cura, ma anche per tutti quelli che di-

16. Gv. 17,1.


17. Gv 17,11.

87
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

penderanno da loro in futuro; e inoltre testimonia l’unità di


questa parte del corpo, ad immagine dell’intero corpo della
Chiesa, come fece Cristo, che espresse l’oggetto altissimo della
sua preghiera in queste parole: «Perché tutti siano una sola cosa.
Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa
sola»18.
19. È dunque dovere di ciascuno il pregare, dopo d’averlo
fatto per sé, per le persone a lui affidate, ed è la giustizia che lo
vuole; ma in questa stessa preghiera si deve osservare l’ordine
della volontà di Dio, il qual ordine meglio s’intenderà colle se-
guenti riflessioni.
20. Ciascuno sa che Dio vuoi che si salvi, vuole che ami Id-
dio, vuole che sia perfetto come il Padre celeste è perfetto, e sa,
che nella propria volontà cooperante alla grazia divina, è mes-
so il salvarsi effettivamente. Ma se egli può salvar se stesso col-
la sua volontà, non può in egual modo salvare il suo fratello,
quando la volontà di questo non acconsenta. Perciò l'uomo può
esser certo di venire esaudito quanto alla salvezza propria, co-
operando alla grazia; ma non sa se verrà esaudito quanto alla
salute di quei suoi confratelli, per i quali prega. Dunque deve
pregare per questi condizionalmente, cioè sottomettendo ogni
cosa a colui, che non essendo debitore di nulla a nessuno, pre-
destinò ab eterno alcuni gratuitamente alla gloria, ed altri, cono-
scendo prima le loro colpe, a dannazione. Le preghiere dunque
per i nostri fratelli debbono incessantemente conformarsi
all’eterna predestinazione degli eletti; pregando non per altro
fine, se non perché abbia compimento l’ottima, sapientissima,

18. Gv 17,20-21.

88
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

santissima e giustissima predestinazione degli eletti, come ab


eterno è stata dall’Ottimo e Massimo Essere determinata e vo-
luta, non potendo darsi altro ben maggiore di quello, che ab e-
terno fu voluto dall’ottimo Dio nostro. Quindi la preghiera per i
nostri fratelli si limita a chiedere, che tutti gli eletti realizzino la
loro vocazione come piace al Padre. E di questa uniformità col
divino volere, che è regola d’ogni bontà, ci diede esempio Gesù
Cristo: «Non prego, disse, per il mondo, ma per coloro che mi hai
dato, perché sono tuoi»19, cioè per quelli che hai predestinati ad
eterna salvezza, donandoli appunto a me; per essi io prego,
non tanto perché son miei, ma perché sono tuoi, cioè perché a
te così piacque; prego per essi in grazia dell’amore senza fine,
che io porto a te.
Annotazione. Quanto alle preghiere della Chiesa, che cia-
scuno deve fare per precetto, è bene unirsi allo spirito della
Chiesa e chiedere tutte le cose che in queste preghiere sono
contenute, sempre nell’ordine debito; e ciò per il principio stes-
so del nostro dovere. Tuttavia in esse gioverà tenere presente
l’ordine che in questo libretto esponiamo. Del qual ordine le
due regole principali, per riassumerle brevemente sono le se-
guenti:
1ª Regola. Pregando per gli altri, s’intenda prima di tutto
pregare per la loro salvezza eterna, secondo quella legge: «Tut-
to quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a lo-
ro»20, ed ancora: «Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagne-

19. Gv 17,9.
20. Mt 7,12.

89
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

rà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?»21. Perciò qualo-


ra si chiedano cose temporali, si chiedano sempre condiziona-
tamente al ben delle anime.
2ª Regola. Pregando per il bene di una o più persone in par-
ticolare, s’intenda pregare implicitamente per il bene di tutto il
corpo della Chiesa, cioè, affinché la vigna di Cristo produca il
massimo frutto, e ciascuna persona il massimo frutto che possa
dare al padrone, stando in questo la gloria del Padre celeste,
che Cristo cerca continuamente: «In questo è glorificato il Padre
mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli»22. E sem-
pre nella parabola della vite, Cristo dice che l’agricoltore la po-
ta perché porti più frutto23.
21. In secondo luogo, ciascun deve pregare perché ogni in-
carico ricevuto, e quindi annesso al proprio stato, sia benedetto
da Dio, cioè che ottenga il bene per la salvezza dell’anima pro-
pria, per la gloria di Dio, ed a vantaggio delle anime altrui, sia
chiedendo lumi e forze per eseguire perfettamente quel dovere
o incombenza, sia chiedendo che l’opera stessa in tutte le sue
circostanze venga protetta dalla divina bontà.
E ho detto, affinché ottenga il bene per la salvezza
dell’anima propria, per la gloria di Dio, ed a vantaggio delle
anime altrui, perché l’ordine spirituale va sempre preferito
all’ordine corporale e visibile: e nessuna cosa di questo mondo
ha valore, se non quando è un mezzo orientato alla salvezza
dell’anima propria, e poi delle altrui, ed alla divina gloria; e di

21. Mt 16,26.
22. Gv 15,8.
23. Cfr. Gv 15,2.

90
Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

conseguenza qualunque cosa, anche del proprio ufficio, si do-


mandi, conviene domandarla condizionalmente, se e come
giova all’aumento della propria giustizia, alla maggior gloria di
Dio, e alla santificazione maggiore delle anime del prossimo.
22. In terzo luogo, ciascuno in quanto dipendente da altri,
deve pregare per i superiori, e prima di tutto per il Sommo
Pontefice e per tutto il governo della Chiesa universale, poi per
il Capo dello Stato e per il suo governo, vista l’influenza gran-
dissima che può avere un sovrano, o un governo, sebbene tem-
porale, al bene della santa Chiesa, se Iddio lo illumina e lo
muove ad essere suo servo fedele nel governare il suo popolo.
Poi man mano per i particolari superiori ecclesiastici e laici, e
per tutti quelli da cui dipende il benne dell’anima sua e il buon
andamento del corpo morale a cui appartiene, affinché Dio il-
lumini tutti a far ciò che più giova a un tanto fine.
23. In quarto luogo ancora, il dovere della legge naturale, e
quindi la giustizia muove ciascuno a pregare per tutti i suoi be-
nefattori in ragione dei loro benefici e della parte che hanno
avuta nel procurarglieli: e questi benefattori non solo vivi, ma
anche defunti.
24. E qui conviene anteporre i genitori, come quelli da cui
ci è venuta l’esistenza, che è condizione di tutti i beni sia spiri-
tuali, sia temporali; poi coloro a cui dobbiamo benefici spiri-
tuali, vanno innanzi agli altri a cui dobbiamo solo benefizi
temporali.
Or consideriamo le cose che ci vengono suggerite dal do-
mandare al Signore secondo le circostanze esteriori.

§ II Ciò che dobbiamo ragionevolmente chiedere a Dio se-

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

condo le circostanze esteriori


25. Le circostanze esteriori, che determinano le nostre pre-
ghiere per il prossimo, sono due: il nesso spirituale che abbia-
mo con esso, ed il nesso o vincolo naturale.
26. In quanto al nesso spirituale, prima conviene pregare per
quelli che attualmente pregano con noi; giacché pregando at-
tualmente con noi, hanno con noi il nesso spirituale più intimo,
davanti a Dio sono un cuor solo, un’anima sola: è una sola voce
di un solo corpo, che s’eleva al trono della Maestà. Secondo
quest’ordine prega spessissimo il sacerdote nel sacrificio della
Messa, come all’offertorio: «Accogli Padre santo, onnipotente ed
eterno Iddio, quest’ostia immacolata che io indegno tuo servo ti offro,
Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli miei peccati offese e negli-
genze (ecco la preghiera per sé, colla quale il sacerdote doman-
da la giustizia) e per tutti i presenti (ecco la preghiera per quelli
con i quali insieme prega), ma anche per tutti i fedeli cristiani vivi
e defunti (ecco la preghiera per quelli con i quali il vincolo spiri-
tuale è attualmente meno stretto), affinché giovi a me e a loro per
la salvezza nella vita eterna»24. E questa preghiera è tutta tesa a
chiedere la giustizia e il premio eterno che ne consegue.
27. In secondo luogo, ciò che ci deve muovere a pregare
per il prossimo è la domanda ch’esso stesso ce ne fa. Dobbia-
mo dunque poi pregare per quelli che si raccomandano alle no-
stre preghiere, riconoscendo nella loro istanza un invito della
Provvidenza ad esercitare verso loro la carità, assecondando un
loro onesto e buon desiderio.

24. S. PIO V, Messale Romano, Ordinario della messa, Offertorio.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

28. Oltre a ciò c’è un nesso naturale, come dicemmo, il qua-


le, essendo ragionevole, si santifica dalla grazia, e ci deve esser
stimolo a pregare: tal nesso nasce principalmente per compas-
sione. Ogni moto di compassione, come pure ogni altro ragio-
nevole affetto naturale può essere considerato da noi come uno
stimolo della divina Provvidenza ad usare carità al prossimo,
anche col pregare per esso. E tutto questo è pur secondo
l’esempio di Cristo. Al sepolcro di Lazzaro egli pianse, e pre-
gò, e, rendendo grazie, lo risuscitò; lo stesso fece alla vista del-
la vedova di Nain, desolata per il figliuolo morto. Ora una si-
mile tenerezza di compassione, di cui tanti esempi ci diede Cri-
sto, è molto secondo lo spirito dell’Istituto, e la preghiera che
nasce da quella è un’espressione di sincera e santa carità a Dio
molto gradita. Poi la compassione sensibile si accende ancor
più alla vista delle miserie sensibili e temporali, perciò si con-
sideri, che per la compassione noi siamo giustamente mossi a
pregare, perché i mali, fossero anche piccoli, siano allontanati
dal nostro prossimo; non così per i beni superflui, di cui non
dobbiamo aver avidità, secondo la dottrina evangelica, e
l’esempio di Cristo.
29. Tuttavia i beni in generale e di ogni tipo si possono
chiedere come conseguenze della giustizia volute da Dio: infat-
ti domandando la giustizia, si domanda veramente con questo
stesso anche la pienezza dei beni.

§ III Ciò per cui possiamo pregare spontaneamente


30. Dopo di ciò, qualsiasi preghiera, purché sia fatta se-
condo l’ordine o espresso o sott’inteso, è sempre un atto santo,
e di quelli che appartengono alla vita occulta, assunta da noi

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

per legge dell’Istituto nostro, spontaneamente. Veramente gli


impegni del proprio stato, e gli incentivi esterni non sono quel-
li da cui ci convenga attendere l’impulso alla preghiera, ma so-
no solamente quelli che c’indicano in maniera più determinata
la materia della preghiera. Qualora dunque la preghiera sia
spontanea, e la materia non sia determinata dai due principi
indicati, quale sarà l’ordine più conveniente delle cose da do-
mandarsi al Signore?
31. Non vi sono generalmente altri ordini che i due accen-
nati. Conviene perciò assecondare in ogni occasione assai soa-
vemente e seguire la mozione dello Spirito Santo, che «soffia
dove vuole»25.
32. Ma la nostra preghiera non errerà giammai, se dimore-
rà costante nella petizione necessaria e fondamentale, si usi pu-
re la formula che si vuole, come per esempio quella che ha per
oggetto il bene della Chiesa universale. Questa formula certo è
eccellentissima, purché chi la usa intenda ciò che fa, pregando
per la Chiesa; intenda cioè di pregare complessivamente per
tutte quelle ragioni speciali nell’ordine che abbiamo esposto, e
quindi di comprendere in quella sola orazione tutte le orazioni
possibili ordinatamente. Infatti non è anch’egli membro della
Chiesa? Perciò pregando per la Chiesa, prega anche per sé, e
prega in quell’ordine e modo che conviene che per sé preghi;
prega per tutti gli altri, in quell’ordine pure che esige la mag-
gior gloria e la volontà di Dio, che sta riposta nel maggior bene
delle anime. Da questo principio deriva come all’inizio del Ca-
none della Messa si fa un’orazione universale, supplicando il

25. Gv 3,8.

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Lezioni Spirituali: Lez. X: Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio

Padre celeste che accetti i doni e i sacrifici che si offrono «anzi-


tutto per la tua Chiesa santa e cattolica perché tu le dia pace e la pro-
tegga, la raccolga nell’unità e la governi su tutta la terra con il tuo
servo il nostro papa, il nostro vescovo e con tutti quelli che custodi-
scono la fede cattolica, trasmessa dagli apostoli»26. E si consideri,
che la stessa preghiera che facciamo per noi stessi, come ci
venne suggerita da Cristo, si riflette in quella per tutta la Chie-
sa: dicendo noi a Dio in plurale: «Padre nostro», cioè padre di
noi tutti quanti siamo incorporati con Cristo, padre di tutti i
membri della Chiesa, padre di me, e di tutti i miei fratelli.
E a questa orazione essenziale e fondamentale, come alla
più sublime ed alta di tutte, sia portato il più sovente lo spon-
taneo moto delle nostre anime.

26. Oggi: Prece Eucaristica I o Canone romano.

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