NUMERO
2 /2012
EDIZIONI NERBINI
Egeria
Rivista dellIstituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X di Arezzo
Periodico semestrale
ISSN 2279-7653
ISBN 978-88-6434-181-1
Stampa:
Editoriale
Marco Giovannoni p. 5
NOTE
3
SOMMARIO
RECENSIONI
4
Marco Giovannoni
EDITORIALE
5
Marco Giovannoni
6
Editoriale
7
Marco Giovannoni
8
Donatella Pagliacci
DAL PERSONALISMO COMUNITARIO
UNA LEZIONE PER IL BENE COMUNE
Premessa
L rale dei nostri tempi senzaltro una realt che viviamo con sgomento, ma
nello stesso tempo con la consapevolezza di essere, proprio in questo momento
di prova, convocati alla responsabilit. Infatti, nei momenti pi difficili che cia-
scuno di noi prende coscienza della necessit di attivare lintelligenza nella direzione
dellimpegno, affinch le risposte cercate e pensate siano realmente capaci di tenere
insieme le istanze pi profonde della persona, quali la domanda sulla natura delles-
sere personale e il bisogno di trascendenza, le dimensioni della sicurezza sociale e il
bisogno di stabilit, la crescita economico-sociale e la capacit di interagire con mo-
delli culturali e religiosi profondamente diversi e distanti, tutti convergenti nello
spazio pubblico.
La nostra riflessione, non potendo in questa sede articolare un discorso ad ampio
raggio sui malesseri della societ attuale, intende solo proporre un breve ripensa-
mento di quello che consideriamo il cuore e il fulcro di ogni domanda e di ogni ri-
sposta: la persona.
Solo ripartendo dalla persona, infatti, come ribadisce anche Benedetto XVI nella
Caritas in veritate, possiamo sperare che lagire umano sia capace di contrastare lin-
dividualismo e promuovere il bene comune. Cosa infatti il bene comune?
9
Donatella Pagliacci
Per queste ragioni pensiamo sia utile ripartire dalla persona proprio approfon-
dendo la lezione di uno dei maestri del personalismo, Emmanuel Mounier, la cui
chiave di lettura quella dellimpegno2, che riuscito declinare la persona con la
vita comunitaria, conciliando in tal modo, nel segno del rispetto e della dignit del-
lessere umano, singolarit e comunit, particolarit ed universalit3.
Il titolo di Personalismo comunitario gi di per s, come ammette lo stesso Mou-
nier, un pleonasmo4, ossia unespressione ridondante che serve a convalidare la ve-
rit propria del personalismo. Questa verit, attorno alla quale ruota tutto il discorso
svolto da Mounier, si riassume in unaffermazione tanto concisa quanto energica,
contenuta in quello che pu essere considerato come il suo testamento filosofico, Il
personalismo (1949), in cui, riflettendo sullesperienza interiore della persona, am-
mette: La prima esperienza della persona lesperienza della seconda persona. Il tu,
e in lui il noi, precede lio, o per lo meno laccompagna5.
Questo riconoscimento e questa sfida guida il nostro breve percorso riflessivo,
che articoliamo in quattro nuclei tematici: si tratta in primo luogo di fare un po di
chiarezza nelluso dei termini, procedendo alla chiarificazione di espressioni quali
1
Caritas in veritate, n. 7.
2
G. Campanini, Incontro con Emmanuel Mounier, Eupress, FTL, Varese 2005, 25.
3
Questo perch, come avverte anche Rigobello: Il metodo di Mounier duplice: studio della natura della
persona in sede metafisica [] ed indagine comparata delle varie forme di societ; in altri termini: deduzione
da principi teoretici ed induzione da realt di ordine storico-empirico. Entrambi i metodi confluiscono nel
chiarire la medesima verit che sempre verit incarnata, pense engage (A. Rigobello, Il contributo filo-
sofico di Emmanuel Mounier, Fratelli Bocca, Roma 1953, 88-89).
4
Il pleonasmo (dal greco pleona,smoj: pleonasms) la figura retorica per cui si ha unaggiunta di parole
o elementi grammaticali esplicativi a unespressione gi compiuta dal punto di vista sintattico. A tale accor-
gimento, il cui effetto unevidente ridondanza, si ricorre per ragioni stilistiche, al fine di dare alla frase una
maggiore chiarezza o efficacia.
5
E. Mounier, Il personalismo, AVE, Roma 2004, 60.
10
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
1. Definire il personalismo
Di diverso avviso sembra essere Jacques Maritain che, almeno fino ad un certo
punto, ha condiviso lesperienza del gruppo sorto intorno alla rivista Esprit. Que-
sti, temendo laccentuazione dellaspetto dottrinale, fa risaltare la matrice rivoluzio-
naria del personalismo, nella misura in cui lo intende come un vero e proprio moto
di reazione contro i mali che stavano dilaniando il secolo breve: individualismo e to-
talitarismo.
La sintesi pi efficace sembra offerta dallo stesso Mounier che, non potendolo ri-
durre ad un fenomeno unitario, ritiene che si possa affermare che vi sono dei persona-
lismi e che sarebbe estremamente riduttivo ricondurli tutti ad ununica matrice. Per
sintetizzare, si pu intendere il personalismo in due diverse accezioni: in senso stretto
pu essere definito come una filosofia che individua nella persona il suo centro teore-
6
Mounier, Il personalismo, 28.
11
Donatella Pagliacci
tico. Si pu anche ammettere che alla base di questa prospettiva filosofica vi sia lin-
tuizione originaria della persona nella sua trascendenza e inesauribilit; in un senso
pi largo personalismo indica non tanto una filosofia, quanto un universo di atteg-
giamenti pratici, morali, politici qualificati dal primato della persona sulla natura.
Per tornare a Mounier, che la fonte ispiratrice delle nostre riflessioni, vi in lui
la propensione per una visione stretta di personalismo, inteso come filosofia della
persona, mentre Maritain propende per un personalismo pi orientato in chiave
etico-politica, nel senso che vede nella persona il criterio per prese di posizioni e
programmi di impegno.
Anche Paul Ricoeur, che ha conosciuto e, almeno fino ad un certo punto, con-
diviso le preoccupazioni e gli slanci culturali dello stesso Mounier7, ci offre un va-
lido contributo per rileggere lesperienza del personalismo. Infatti, nel suo breve ma
incisivo saggio intitolato: La personne, del 1983, contenuto in Lectures 2. La contre
des philosophes, nonostante la personale stima nei confronti di Mounier, sentenzia:
muore il personalismo, ritorna la persona8. Una simile affermazione rappresenta
una presa di distanza dal personalismo e unaccusa rivolta al fondatore della rivista
Esprit, che aveva voluto qualificare la propria prospettiva attraverso un -ismo, met-
tendolo in competizione con altri -ismi, quali, marxismo ed esistenzialismo. Una si-
mile scelta doveva rivelarsi come del tutto fallimentare, a sentire Ricoeur, soprattutto
alla luce dellelaborazione strutturalista, nel senso che apportava un modo di pen-
sare secondo lidea di sistema e non di storia [] e soprattutto un pensiero opera-
tivo che pretendeva di non aver bisogno dalcun soggetto per conferire senso a
qualunque cosa9.
Una volta sottolineati i limiti della prospettiva di Mounier, presentati forse dallo
stesso Mounier, Ricoeur passa a spiegare perch occorre abbandonare il personalismo
e ritornare alla persona. Non si pu, infatti, rimanere indifferenti di fronte ai conti-
nui soprusi che, in molti paesi del mondo, ledono i diritti delluomo, si pensi ad
esempio al problema dei diritti dei prigionieri o dei detenuti o ancora ai difficili casi
di coscienza posti dalla legislazione di estradizione: come si potrebbe argomentare
avverte Ricoeur in ciascuno di questi casi senza rifarsi alla persona?10. Ma se la
persona ritorna, dice ancora Ricoeur, perch essa resta il miglior candidato per so-
stenere le lotte giuridiche, politiche, economiche e sociali evocate da altri, un can-
7
Ho approfondito la mia amicizia con Emmanuel Mounier poco prima della sua morte, che fu per me
un grande lutto. Mi rivedo, nel 1950, nel giardino dei Murs blancs, a Chtenay-Malabry, ignaro che un
giorno vi avrei abitato, e col volto in lacrime. La persona di Mounier mi aveva davvero conquistato, meno le
sue idee che lui stesso: ero gi sufficientemente strutturato da un punto di vista filosofico per essere uno dei
suoi discepoli, ma ne sono stato comunque compagno (P. Ricoeur, La critique et la convinction, Calmann-
Levy, Paris 1995; tr. it. di D. Iannotta, La critica e la convinzione, Jaca Book, Milano 1997, 48).
8
P. Ricoeur, La persona, Morcelliana, Brescia 1997, 21.
9
Ricoeur, La persona, 23.
10
Ricoeur, La persona, 26-27.
12
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
didato migliore, dunque, spiega Ricoeur, rispetto a coscienza, soggetto, io, la per-
sona appare oggi un concetto sopravvissuto e ritornato a nuova vita11.
Giunti a questo punto e con le suggestioni raccolte, pu essere opportuno per
comprendere il ruolo e il valore della persona nella prospettiva della vita comunita-
ria fare unulteriore precisazione inerente il significato del termine comunit.
In senso generale, comunit indica ci che pubblico, universale, generale, in
quanto contrapposto a proprium, di uno solo. In senso pi specifico, si possono rin-
tracciare due accezioni del termine, tra loro complementari; la prima rimanda alla
radice etimologica latina (communis) e indica ci che costituisce un bene accessibile,
condiviso e ripartito su basi di uguaglianza fra coloro che fanno parte di un deter-
minato gruppo sociale; la seconda si ricollega al latino cum-munus e rimanda allidea
di reciprocit di un obbligo, di un dovere o di un dono. Queste due diverse sfuma-
ture ispirano alcune considerazioni che proveremo ad articolare rispettivamente sul-
lidea di bene comune e sul rapporto tra relazioni interpersonali e istituzioni.
Se vero, come vero, che tali e tanti sono i significati del termine comunit,
tanto da porre seri problemi ermeneutici, altrettanto vero che ci che qui a noi in-
teressa rilanciare lidea, che gi un compito, del nesso inscindibile tra dimen-
sione personale ed esperienza comunitaria. A questo riguardo ci appelliamo
nuovamente a Mounier, che ammette: La comunit ha luogo con lemergere della
persona dallanonimato, allorquando una persona diviene per qualcuno una seconda
persona, un Tu12.
Da qui la necessit di costruire, per dirlo ancora con le parole di Mounier, una
comunit di persone, realmente unite nella condivisione e nella mutua comprensione
per la difesa e promozione della giustizia sociale e dei valori morali della libert e della
pace, come auspicavano anche i padri del Concilio Vaticano II nella dichiarazione
Nostra aetate, n. 3 in cui si affrontava tra laltro anche la questione dei rapporti tra
cristiani e musulmani.
Non bisogna del resto dimenticare, ci ricorda Giovanni Paolo II nellenciclica
Centesimus annus, che quando non riconosce il valore e la grandezza della persona
in se stesso e nellaltro, luomo di fatto si priva della possibilit di fruire della pro-
pria umanit e di entrare in quella relazione di solidariet e di comunione con gli altri
uomini per cui Dio lo ha creato13. Questo spiega come il personalismo cristiano, ri-
lanciando il valore della persona, riesca a non farsi risucchiare dal vortice dellindi-
vidualismo nel quale si corrode tutta la ricchezza dellesperienza personale. In questo
senso, avverte ancora Mounier,
11
Ricoeur, La persona, 27.
12
E. Mounier, Manifesto al servizio del personalismo comunitario, Ecumenica Editrice, Bari 1975, 29.
13
Centesimus annus, n. 41.
13
Donatella Pagliacci
lattenzione volta alluomo come singolo non dissolve per se stessa la comunit so-
ciale, come pure a volte si crede; ma lesperienza ha mostrato che ogni disfacimento
della comunit sociale si stabilisce su un cedimento dellideale personale proposto
a ciascuno dei suoi membri. Lindividualismo un decadimento dellindividuo
prima di essere un isolamento dellindividuo; esso ha isolato gli uomini nella misura
in cui li ha avviliti14.
14
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 70.
15
J. Ratzinger, LEuropa di Benedetto nella crisi delle culture, Cantagalli, Roma-Siena 2005, 138-139.
16
L. Alici, Crisi dellantropologia e infinito della persona, in Cattolicesimo e futuro del Paese - VII Forum
del Progetto culturale - Roma, 2-3.XII.2005.
17
Mounier, Il personalismo, 30.
18
Mounier, Il personalismo.
14
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
Dentro e fuori, tutta intera, incarnata, presente e operante nel proprio tempo, ca-
pace di vivere nel segno dellimpegno e della responsabilit, la persona nel corpo
ed il suo corpo, vive e si esprime per mezzo della propria corporeit, che la eleva e
le fa vivere sia le esperienze pi edificanti, che quelle pi deprimenti. Nessun essere
umano, dice Mounier, pu
pensare senza essere, n essere senza il mio corpo: per mezzo suo io sono esposto a
me stesso, al mondo, agli altri, per mezzo suo che sfuggo alla solitudine di un pen-
siero che sarebbe soltanto il pensiero del mio pensiero. Rifiutandomi di concedermi
una completa trasparenza a me stesso, mi getta continuamente al di fuori di me,
nella problematica del mondo e nelle lotte delluomo. Attraverso la sollecitazione dei
miei sensi mi lancia nello spazio, attraverso il suo invecchiamento mi fa conoscere
il tempo, attraverso la sua morte mi mette di fronte alleternit19.
19
Mounier, Il personalismo, 51.
20
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 118.
21
Si vedano su questo punto tra gli altri scritti di Mounier le Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero
della sofferenza, a cura di D. Rondoni, Rizzoli, Milano 2001.
22
Il senso preferibile da dare a queste parole di Dio quello dintendere che la frase espressa al plurale
e non al singolare: Facciamo luomo a nostra immagine e somiglianza, per la ragione che luomo fatto a im-
magine non del solo Padre o del solo Figlio o del solo Spirito Santo, ma della stessa Trinit (De gen. ad litt.
imp., 16,61).
15
Donatella Pagliacci
23
Il concetto stesso della Trinit, che ha alimentato due secoli di controversie, rivela lidea sorprendente
di un Essere Supremo entro cui pi persone dialogano intimamente, e che gi, di per se stesso, la negazione
della solitudine (Mounier, Il personalismo, 34).
24
Mounier, Il personalismo, 58.
25
Mounier, Il personalismo, 61-62.
26
M. Scheler, Essenza e forma della simpatia, Citt Nuova, Roma 1980, 326-327. Su questo punto si veda
il nostro lavoro In interiore homine habitat veritas. Riletture contemporanee del paradigma agostiniano, in G.
De Simone, (ed.), Le vie dellinteriorit. Percorsi di pensiero a partire dalla riscoperta contemporanea dellinte-
riorit, Cittadella Editrice, Assisi 2011, 37-75.
16
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
Si direbbe quindi che per Mounier, come per Scheler, il noi origine e compito
dellintero agire morale.
Accanto a ci Mounier si rende anche conto della distanza che separa ogni essere
umano dagli altri, una specie di forza di attrazione e di repulsione ci unisce e ci re-
spinge. Siamo attratti dallamore e respinti dal nostro egoismo che, come un veleno
mortale, minaccia il desiderio di donazione27. Siamo cos interiormente appesantiti
da una specie di opacit e di resistenza che si manifesta come difetto di comunica-
zione e ostacolo alla perfetta reciprocit28. Per la sua fragile condizione, la natura
umana rivela tutte le sue potenzialit, ma anche le sue debolezze. Essa aperta agli
altri, ma vive spesso in una condizione di solitudine profonda, un deserto nel quale
sembra riuscire a sopravvivere solo un germe di speranza:
Lessere, il nulla, il male, il bene, che cosa infine trionfa? Una sorta di gioiosa fi-
ducia, legata allesperienza personale dischiusa, ci indirizza verso una risposta otti-
mista. Ma n lesperienza, n la ragione possono decidere. Coloro che lo fanno,
cristiani o no, non lo fanno se non guidati da una fede che sopravanza ogni espe-
rienza29.
27
C sempre negli altri qualcosa che sfugge al nostro pi volenteroso sforzo di comunicazione. Nei dia-
loghi pi intimi non possibile la coincidenza perfetta; nulla mi assicura che essa non sia mista a malintesi,
salvo in rarissimi momenti, che hanno del miracolo, in cui la certezza della comunicazione pi forte di ogni
analisi, e che sono un viatico per tutta la vita. Questa la profonda solitudine dellamore; quanto pi esso
perfetto, tanto pi lavverte (Mounier, Il personalismo, 64) .
28
C qualche cosa dentro di noi che resiste intimamente allo sforzo di reciprocit, una specie di cattiva
volont congenita (Mounier, Il personalismo, 64).
29
Mounier, Il personalismo, 120. Si vedano su questo punto anche le lettere degli anni 1940-1941, in cui
lo stato danimo spesso combattuto tra desiderio di speranza e abbattimento.
30
Sentivo che mi avvicinavo a quel piccolo letto senza voce come a un altare, a qualche luogo sacro da
cui Dio parlava mediante un segno. Una tristezza penetrava profonda, profonda, ma leggera e trasfigurata. E
tutto intorno a lei, non ho altra parola: unadorazione. Senza dubbio non ho mai conosciuto cos intensamente
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Donatella Pagliacci
domanda dalla quale siamo tutti convocati: la vita al limite della stessa fragilit
davvero solo uno scarto? Inutile presenza, incapace di produrre e di esibire qualcosa?
O non racchiude, forse, il senso pi profondo e intimo del mistero dellesistenza?
Non potendo liquidare una risposta tanto impegnativa in poche battute rite-
niamo, come abbiamo gi avuto modo di osservare altrove31, che riconoscere le po-
tenzialit positive del fragile non significa operare un ingenuo depistaggio rispetto
alloscenit del male, ma provare a rispondere alla sfida del male con un surplus di
bene, un bene comprensivo e avvolgente in cui trovano posto la cura, la disponibi-
lit e laccoglienza verso la vulnerabilit propria e altrui. La forza e la costanza di con-
trastare il male con il bene nascono dalla convinzione che spesso si tende a
demonizzare il dolore, il negativo, la malattia, come ha avvertito anche Paul Rico-
eur, solo come difesa, cio per timore o per paura che laltro, nella sua sofferenza, ci
riconduca alla nostra vulnerabilit e in ultima ipotesi alla nostra mortalit32.
Allora possibile percorrere unaltra strada. Quella che lo stesso Ricoeur defini-
sce la via che abbraccia stima di s e reciproco riconoscimento. Si tratta di rendersi
conto che ognuno di noi, per condurre unesistenza sana, cerca, fin dalla pi tenera
et, approvazione e amore; ciascuno di noi si aspetta un gesto o una parola che ci
confermino laffetto e la stima di coloro che ci circondano e appartengono al nostro
vissuta alla nostra storia comune. Come osserva anche Virgilio Melchiorre, Il nesso
affettivo con laltro implica in qualche modo una reciprocit: lesser caro dellaltro
infatti legato al riconoscimento che da lui mi viene, ma per converso non potrei ac-
cettare questo riconoscimento se a mia volta non riconoscessi laltro nella sua verit.
, in definitiva, questa reciprocit che costituisce il nostro con-essere ed per essa
che il riconoscimento diventa riconoscenza e rendimento di grazie33. Si tratta di quello
che Mounier stesso definisce come il credito nei confronti dellessere umano, sem-
lo stato di preghiera come quando la mia mano diceva delle cose a quella fronte che non rispondeva nulla,
come quando i miei occhi si arrischiavano verso quello sguardo assente che volgeva lontano, lontano dietro
di me, non so che specie di atto che assomigliava a uno sguardo, e che guardava meglio di uno sguardo. Mi-
stero che non pu essere che di bont; occorre avere il coraggio di dire: una grazia troppo pesante. Unostia
vivente tra noi , muta come lostia, risplendente allo stesso modo []. Noi per molti mesi le abbiamo augu-
rato di lasciarci se avesse dovuto rimanere cosi. Non questo un sentimentalismo borghese? Che vuol dire per
lei essere una sventurata? Chi pu dire che lo sia? Chi sa se non ci richiesto di custodire e di adorare unostia
tra di noi, senza dimenticare la presenza divina sotto una povera materia cieca? (Mounier, Mounier et sa g-
nration. Lettres, carnets et indits, Editions Parole et Silence, Saint-Maur [1956] 2000, 269-270).
31
Si vedano su questo punto i nostri lavori: La fragilit tradita e donata, in Sacramentaria e Scienze Re-
ligiose, 37 (2011), 87-94; Intorno alla definizione di normale e patologico: il contributo di Paul Ricoeur, in L.
Alici (ed.), La felicit e il dolore, Aracne, Roma 2010, 119-131.
32
La societ vorrebbe ignorare, nascondere, eliminare i propri handicappati. E perch? Poich essi co-
stituiscono una sorda minaccia, un inquietante richiamo alla fragilit, alla precariet, alla mortalit. Essi co-
stituiscono un insopportabile memento mori (P. Ricoeur, La differenza tra il normale e il patologico, in Il giusto,
2, Effat Editrice, Cantalupa [TO], 232).
33
V. Melchiorre, Al di l dellultimo. Filosofie della morte e filosofie della vita, Vita & Pensiero, Milano 1998,
73.
18
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
pre, comunque e ovunque si trovi, infatti, trattarlo come un soggetto, come un es-
sere presente, significa riconoscere che non lo posso definire, classificare, che ine-
sauribile, colmo di speranze, e che egli solo pu disporre delle sue speranze34.
Come abbiamo visto la relazionalit alla radice dellesperienza dellincontro con
laltro, questa sembra, altres, articolarsi in due direzioni: la prima quella costitu-
tiva, che fonda il legame asimmetrico con lAltro (con la lettera maiuscola): in cui
ciascuno si scopre da sempre chiamato allessere e da cui scaturisce anche la respon-
sabilit; la seconda quella della relazione simmetrica con tutti gli altri, o per dirlo
con Janklvitch, con il primo non-me, fuori di me, il pi prossimo di me, e il pi
simile, che nello stesso tempo non sia me35, questo altro con il quale costruisco tutti
i rapporti affettivi di amicizia, fraternit, amore.
Latto primo della persona, quindi ci dice ancora Mounier , quello di su-
scitare, assieme ad altri, una societ di persone in cui le strutture, i costumi, i senti-
menti ed infine le istituzioni siano contraddistinti dalla loro natura di persone36.
questa la societ che parte dagli atti originali di cui si parlato, ed pensata come
il luogo, lo spazio in cui la persona d prova di assumersi, senza condizioni, limpe-
gno dellaltro, rinunciando al proprio egocentrismo e accettando di convivere con
quel senso di vertigine che sempre accompagna la scelta dellalterit.
Da qui nasce il necessario decentramento della persona che non perdita di s, ma
donazione gratuita, disponibilit, docilit, sollecitudine per laltro, condivisione di
esperienze e incontro fecondo con un altro che pu anche opporre una resistenza
ostile o una diffidenza nei riguardi della nostra apertura, ma che rimane pur sempre
un altro che come me, spera, soffre e ama.
Lapertura alla dimensione comunitaria del personalismo suppone uninversione
radicale di prospettiva, in cui alla logica utilitaristica dei rapporti interpersonali viene
opposta la logica della generosit e della donazione disinteressata. Questo perch, ri-
corda Mounier, leconomia della persona uneconomia di dono, non di compen-
sazione o di calcolo37, in cui, paradossalmente, la persona non si ritrova che
perdendosi38.
Non si tratta di un ascetismo ingenuo, ma di un altro modo di concepire il rap-
porto con i propri beni, fondato non sullavidit del possedere, ma sul piacere della
34
Mounier, Il personalismo, 62.
35
V. Janklvitch, Trait des vertus, II, [Bordas, 1970], Flammarion, Paris 1986, 128.
36
Mounier, Il personalismo, 61.
37
Mounier, Il personalismo, 62.
38
Mounier, Il personalismo, 80.
19
Donatella Pagliacci
39
Caritas in veritate, n. 9.
40
Mounier, Il personalismo, 66-67.
41
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 91.
42
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 67.
43
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier.
44
E. Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, Ecumenica Editrice, Bari 1984, 73.
45
Anche su questo punto il personalismo di Mounier sembra essere di grande attualit, se si leggono an-
cora le parole dellultima enciclica, in cui viene riaffermato il compito della Chiesa affinch in ogni circostanza
si attivi per riaffermare il valore insopprimibile della dignit personale: La fedelt alluomo esige la fedelt alla
verit che, sola, garanzia di libert (cf. Gv 8,32) e della possibilit di uno sviluppo umano integrale. Per que-
20
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
sto la Chiesa la ricerca, lannunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di
verit per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale momento singolare di questo annuncio: essa
servizio alla verit che libera. Aperta alla verit, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa
laccoglie, compone in unit i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della
societ degli uomini e dei popoli (Caritas in veritate, n. 9).
46
Rigobello, Il contributo filosofico di E. Mounier, 94.
47
J. Maritain, Umanesimo integrale, Borla, Roma 1977, 213.
48
Mounier, Il personalismo, 102.
21
Donatella Pagliacci
49
G. Ambrosetti A. DAmato G. Faggin, III. Il bene comune, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, 2,
Bompiani, Milano 2006, 1160.
50
S. Zamagni, Leconomia del bene comune, Citt Nuova, Roma 2007, 12.
51
Maritain, Umanesimo integrale, 243.
52
Questa la tesi sostenuta da Francesco Botturi, nel suo saggio: Inattualit del tema del bene comune,
in Vita & Pensiero, 2 (1996), 82-94.
53
Gaudium et spes, n. 26.
54
Anche nei paesi dove vigono forme di governo democratico non sempre questi diritti sono del tutto
rispettati. N ci si riferisce soltanto allo scandalo dellaborto, ma anche a diversi aspetti di una crisi dei sistemi
22
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
4. Unipotesi di attuazione
democratici, che talvolta sembra abbiano smarrito la capacit di decidere secondo il bene comune. Le domande
che si levano dalla societ a volte non sono esaminate secondo criteri di giustizia e di moralit, ma piuttosto
secondo la forza elettorale o finanziaria dei gruppi che le sostengono. Simili deviazioni del costume politico
col tempo generano sfiducia ed apatia con la conseguente diminuzione della partecipazione politica e dello
spirito civico in seno alla popolazione, che si sente danneggiata e delusa. Ne risulta la crescente incapacit di
inquadrare gli interessi particolari in una coerente visione del bene comune. Questo, infatti, non la semplice
somma degli interessi particolari, ma implica la loro valutazione e composizione fatta in base ad unequilibrata
gerarchia di valori e, in ultima analisi, ad unesatta comprensione della dignit e dei diritti della persona
(Centesimus annus, n. 47).
55
L. Alici, Crisi dellantropologia e infinito della persona, in Cattolicesimo e futuro del Paese - VII Forum
del Progetto culturale - Roma, 2-3.XII.2005.
56
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 156.
57
Mounier, Manifesto a servizio del personalismo comunitario, 156.
58
Su questo punto si riprendono i nostri lavori sulla famiglia: Lamore tra autenticit affettiva e orizzonte
comunitario: il vincolo familiare, in L. Alici (ed.), Forme della reciprocit. Comunit, ethos, istituzioni, Il Mu-
lino, Bologna 2004, 309-347; Lamore tra prossimit e fraternit, in L. Alici (ed.), Forme del bene condiviso, Il
Mulino, Bologna 2007, 161-189; La famiglia: esperienza di promozione umana e sociale, in L. Sandon (ed.),
La struttura dei legami. Forme e luoghi della relazione, Anthropologica. Annuario di studi filosofici, 2 (2010),
159-170.
23
Donatella Pagliacci
tesa come una comunit di persone che possibile ricostruire i tratti distintivi del
personalismo comunitario di Mounier.
Proprio accogliendo e facendo nostra la lezione del filosofo francese proviamo a
svolgere alcune considerazioni intorno al significato e al valore autentico della co-
munit familiare. La famiglia, infatti, pu essere qualificata come luogo della dona-
zione, dellamore e della maturazione di una coscienza sociale, perch realizza
lequilibrio tra pubblico e privato, mostrando la continuit tra ordine interiore ed
esteriore, tra individuo e societ, immettendo nella stessa societ, avverte anche Cam-
panini sulla scia di Mounier,
quelle energie di personalizzazione che sono lunica reale salvaguardia contro il ri-
schio dellanonimato e della perdita di significato dellesistenza. Espressione emi-
nente delluniverso personale, la famiglia dunque ancora una volta il crocevia il
punto di incontro e il punto di separazione, il luogo del dialogo e insieme quello del
giudizio del pubblico e del privato59.
59
G. Campanini, Fra pubblico e privato, in La persona e i nomi dellessere. Scritti in onore di Virgilio Mel-
chiorre, II, Vita & Pensiero, Milano 2002, 1071. Nella stessa direzione si consideri anche lattenzione rivolta
alla continuit tra famiglia e societ proposta da Eibesfeldt che riconosce che la famiglia in grado di garan-
tire alluomo quellamore e quella sicurezza dalle quali sorge la fiducia verso i congeneri; e questa fiducia la
premessa per il libero dispiegamento della sua umanit []. Solo nella famiglia vengono risvegliate le posi-
tive predisposizioni sociali delluomo e, con esse, la capacit di responsabilit e di identificazione (I. Eibl-Ei-
besfeldt, Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, Adelphi, Milano 1971, 283). Una
certa attenzione alla dimensione sociale della paternit viene sottolineata, ma in maniera negativa, anche da
taluni interpreti, per i quali il padre rappresenta il modello autoritario che riproduce, allinterno della fami-
glia e in maniera funzionale rispetto al sistema societario, lautorit esercitata dallo Stato sul cittadino. Si
pensi, ad esempio, alle posizioni di Fromm, Marcuse o Horkheimer. In modo particolare questultimo, nel
saggio dedicato allautorit e la famiglia, ritiene che il sistema borghese riesca a condizionare tutti i rapporti
interpersonali, persino quelli affettivi, come lamore. In particolare osserva: In generale lautorit domina
lumanit borghese anche nellamore e determina il suo destino (M. Horkheimer E. Fromm H. Marcuse
et al., Studi sullautorit e la famiglia, UTET, Torino 1974, 71).
60
Il nostro percorso sembra, tuttavia, assai lontano dallattuale orientamento della cultura contempora-
nea. Come sottolinea anche Riconda le odierne tendenze concepiscono la famiglia come luogo pi o meno
stabile di mutuo appoggio e soddisfazione di bisogni elementari, per ridurla sul piano spirituale a luogo di fu-
sione affettiva, in un contesto per lo pi dominato da forti spinte individualistiche (la famosa realizzazione
di s), che, quando nella famiglia siano frustrate, possono portare alla sua negazione o disfacimento (G. Ri-
conda, Personalismo, famiglia, amore, in Humanitas, 58 [2003], 1125).
24
Dal personalismo comunitario una lezione per il bene comune
suo accadere, del suo attualizzare una promessa, quella che si condensata in un
giuramento, mediante il quale due estranei si sono impegnati a donarsi amore vi-
cendevole per lintera durata della loro vita.
Ciascuno di noi si scopre dentro il progetto che altri hanno pensato, desiderato,
realizzato, prima del nostro venire al mondo61. La nostra storia ha inizio sempre a
partire da quella di altri. Questo scoprirci parte di un divenire familiare ci su cui
edifichiamo la nostra intera esistenza. importante, riordinando ricordi e imma-
gini, saper guardare indietro per capire da dove siamo venuti, comprendere ci che
siamo e cosa possiamo essere se solo sappiamo trovare un senso a ci che di buono
o di drammatico si svolto dietro le quinte della nostra vita. Di fatto il nostro de-
bito verso il passato si rende presente in tutto ci che incarniamo o riproduciamo
nella nostra vita, nelle nostre scelte come nella nostra capacit di ricreare relazioni o
di infrangerle. Questo esercizio di ricomposizione del nostro vissuto familiare ci
aiuta a maturare uno spirito di accoglienza e di riconoscenza della storia degli altri
nella nostra storia, per dirlo con Ricoeur, di ospitalit narrativa.
Da questo punto di vista, dunque, la comunit familiare il luogo elettivo in cui
apprendere concretamente anche la pratica del perdono; ricostruendo, ma anche in-
frangendo, il passato, nostro e altrui, riconosciamo il nostro debito di gratitudine,
con la volont e la paura di dare in eredit o di ripetere insegnamenti ed errori.
La pratica familiare chiede una sollecitudine costante per rinnovare gli impegni
e le promesse di amore che hanno caratterizzato lavventura familiare fin dal suo co-
stituirsi; cos, ha ragione Marcel quando sottolinea il carattere progettuale della fa-
miglia che si fonda, si edifica come un monumento, la cui pietra angolare non pu
essere n un istinto che si vuol appagare, n un impulso al quale si intenda cedere,
n un capriccio al quale ci si abbandoni62. Questa consapevolezza dellamore fami-
liare come condizione per ledificazione e per la coscienza che io sono anche sempre
noi di fondamentale importanza per la costituzione di una piena identit personale;
proprio a partire da questa prospettiva comunitaria che si qualifica la vita morale
e spirituale della persona. Lamore per laltro, vissuto nella quotidianit dei rapporti
familiari, capace, dunque, di rivelare allio una verit sul noi che tutta da scoprire
e da apprezzare.
Attraverso la relazione coniugale, chiamando in causa la variet di motivi che ab-
biamo cercato di delineare nel nostro percorso, si attua quindi lautentica vocazione
61
Per poter scoprire e fare proprio il fondamento antropologico della famiglia occorre, con Godbout, ri-
flettere sul suo dinamismo interno che viene attivato dalla donazione. Avverte infatti lAutore: La famiglia
stessa fondata su un dono, sulla creazione di un legame di dono: lunione di due estranei per formare il nu-
cleo di quello che sar il luogo meno estraneo, il luogo della definizione stessa di ci che non estraneo: la
famiglia (J. Godbout, in coll. con A. Caill, Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino 1993, 41).
62
Godbout, Lo spirito del dono, 101.
25
Donatella Pagliacci
umana che, come ripete anche Scheler, comunitaria: Luomo, il portatore della
forza razionale dellanima, unessenza fatta per la comunit. Dove vi un io, vi
un noi, oppure io appartengo a un noi63. Si tratta di ripensare in un senso
pi ampio alloriginariet stessa dellessere umano, alla realizzazione di quel noi ar-
chetipo e privilegiato, che normalmente si attua solo nella vita familiare64. Questo
essere noi, questa scoperta di un originario essere-con-altri, non solo ci costituisce,
come detto, ma invoca di essere attuato in un impegno che, spezzando la tensione
egoistica, allontani luomo dalla minaccia dellalienazione.
per mezzo del vincolo del matrimonio che lamore divenuto il paradigma per
eccellenza del rapporto interpersonale, perch in grado di realizzare quel modello
comunitario al quale Mounier guarda in maniera positiva: Il rapporto dellio al tu
lamore, con cui la mia persona in certo modo si decentra e vive nellaltra pur pos-
sedendosi e possedendo il suo amore. Lamore lunit della comunit come la voca-
zione lunit della persona65. Lunione genera una comunione, che tale solo se si
attua nel segno della differenza e della reciprocit, della libert e del dialogo, dello
scambio e della possibilit, e trova, tra laltro, nella fraternit il suo momento di
massima attuazione. Ci perch il vincolo fraterno, disinteressato, indissolubile, non
codificato, inclusivo si offre allinterno stesso della famiglia come modello di vita
comunitaria che pu essere guardato, apprezzato nella sua esemplarit e dunque tu-
telato e promosso anche a livello sociale.
Tra i fratelli esiste, infatti, un rapporto di reciprocit, che si esplica nella simme-
tria dei ruoli e alimenta solidariet, comunione, rispetto e responsabilit mediante i
quali possibile accogliere e rendere possibile la coesistenza pacifica di alterit, che
rimangono sempre irriducibilmente altre66.
Lintera realt familiare, nella sua fecondit spirituale, ma anche nei suoi aspetti
pi controversi, rappresenta una condizione imprescindibile per il costituirsi e per
la valorizzazione dellumano67, non solo perch in essa le persone coinvolte decidono
di mettere in gioco la propria vita, per conseguire ciascuna il bene dellaltra, ma per-
ch, cos facendo, creano le condizioni per divenire noi, ossia unentit del tutto di-
versa e superiore alla somma dei singoli esseri individuali.
63
M. Scheler, Lidea cristiana dellamore, Logos, Roma 1985, qui citato nella trad. it., in M. Scheler,
Leterno nelluomo, Logos, Roma 1991, 383-384.
64
G. Marcel, Homo viator, Borla, Roma 1980, 93.
65
Marcel, Homo viator, 105.
66
Lirriducibilit data dal fatto, come spiega tra gli altri anche Genghini che laltro sempre, nello
stesso tempo, in me e davanti a me: perci il nostro rapporto pi che da categorie dialettiche, andr descritto
da categorie drammatiche (responsabilit, sostituzione, dono), poich soltanto queste rendono giustizia sia
allimmanenza sia allesteriorit del volto altrui (N. Genghini, Identit comunit trascendenza. La prospettiva
filosofica di Charles Taylor, Roma, Edizioni Studium, Roma 2005, 70).
67
Cf. F. DAgostino, Una filosofia della famiglia, Giuffr Editore, Milano 2003, 62.
26
Anselmo Grotti
TRINIT E INCARNAZIONE
COME ARCHETIPI DEL LINGUAGGIO
Le radici teologiche della comunicazione
1
Educare alla vita buona del Vangelo, n. 51: La comunicazione nella cultura digitale.
2
Molto belle le espressioni che il gesuita p. A. Spadaro svolge nel suo blog: La Rete non un mezzo da
usare per far qualcosa, ma un contesto abitativo, un luogo di esperienza. Formare a vivere dentro un ambi-
ente significa apprenderne i linguaggi e i contesti specifici, non al modo dellapprendimento di una grammatica
astratta, ma nella modalit della vita concreta (http://www.cyberteologia.it/).
3
1Pt 3,15.
27
Anselmo Grotti
1. Il paradigma fondativo:
il Dio trinitario e la comunicazione Dio/uomo
4
Cf. L. Alici nel commento ad Agostino, La Citt di Dio, Bompiani, Milano 2004, 462.
5
Si veda su questo laltra interpretazione della radice etimologica di religione, quella di Cicerone, se-
condo cui religione significa ripercorrere con diligente attenzione le procedure dei riti, al fine di onorare ade-
guatamente la divinit.
28
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
6
Catechismo della Chiesa Cattolica, 232.
7
Catechismo, 255. In questo passo il Catechismo cita la bella espressione dellXI Concilio di Toledo, nel
675: Nei nomi relativi delle Persone, il Padre riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo alluno e
allaltro; quando si parla di queste tre Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura
o sostanza.
8
Si veda per queste riflessioni P. Coda, Dio uno e trino, San Paolo, Milano 1993, soprattutto 257-272.
29
Anselmo Grotti
9
In tal senso alcune riflessioni molto stimolanti di mons. Pompili, Sottosegretario della CEI e Diret-
tore dellUfficio Nazionale per le comunicazioni sociali, proposte al convegno Abitanti digitali: Le nuove mo-
dalit extraterritoriali di restare in contatto vanno spesso a detrimento delle nostre prossimit immediate e
tendono a scivolare verso una superficialit cha fa scambiare il network per la comunit, e la condivisione di di-
vertimento per amicizia. La causa di questo pessimismo la stessa che sembrava possedere un potere liberante:
leccesso di orizzontalit (e, potremmo aggiungere, di immanenza). Il convegno si svolto a Macerata nel 2011.
Per i testi si veda: http://www.chiesacattolica.it/pls/cci_new_v3/v3_s2ew_consultazione.mostra_pagina?id_
pagina=18847.
30
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
modo pi pregnante di quanto oggi possa fare lOnu degli Stati. A maggior ragione
questo vale per il mondo della cultura, dei saperi, delle esperienze. In linea di prin-
cipio ciascun abitante del pianeta pu mettersi in contatto con qualsiasi altro essere
umano e con tutto il patrimonio della cultura mondiale. Noi viviamo di relazioni,
la nostra stessa coscienza e le nostre idee si formano e si sviluppano nel gioco, me-
raviglioso e terribile, tra quanto ci scambiamo con gli altri e come lo elaboriamo
nella nostra libert.
Senza lattuale modello tecnologico di internet questo non sarebbe possibile a li-
velli cos alti. Si ricordi che quando ci colleghiamo alla rete non ha importanza con
quale dispositivo lo facciamo (pc, tablet, iphone), con quale marca e modello,
con quale sistema operativo, con quale lingua, con quale programma Tutto deve
essere trasparente e intercomunicabile. Ciascuno mantiene la sua diversit (cultu-
rale e tecnologica) e allo stesso tempo comunica con tutti gli altri. Non un dato
scontato: ci sono molte pressioni (politiche ed economiche) per creare zone ristrette,
dazi, pedaggi, controlli. Molte aziende propongono un utilizzo facilitato della rete
a patto di rinunciare alla universalit. Tornano gli steccati: per comunicare dob-
biamo avere hardware solo Apple, oppure essere per forza su Facebook, oppure ab-
bonarci a Cubovision Tornano anche gli ostacoli economici: nella opzione
universalistica di internet si pu accedere a tutti i contenuti con uno strumento da
100 euro in modo non troppo dissimile da uno da 10.000 euro. In quella propugnata
dalle grandi aziende occorre spendere per dotarsi dellhardware adatto e poi spendere
ancora per accedere a contenuti significativi. Come successo per la tv, si pu creare
un doppio ambiente: gratis (pi la pubblicit) per i poveretti che si guardano le te-
levendite mentre il resto a pagamento.
31
Anselmo Grotti
che si riconosca non soltanto lunit senza divisione ma altres la Trinit senza con-
fusione10.
10
Agostino, Omelia 95.
11
Cf. il successivo paragrafo 2.
32
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
12
P. Ricoeur, La metafora viva, Jaca Book, Milano 2010.
13
Agostino, Listruzione cristiana, Fondazione Valla Mondadori, Milano 1994.
14
Agostino, Listruzione cristiana, Prologo, 4.
33
Anselmo Grotti
bambino che sillaba diligentemente le sue prime parole scritte e alla cura amorevole
delladulto che lo guida. Il mistero e la grandezza dellIncarnazione coinvolgono
anche la modalit della comunicazione divina. Il Dio che si rivela nella brezza leg-
gera percepita dal profeta Elia sceglie, scandalosamente, non la potenza della sua pa-
rola diretta, ma il percorso rischioso della comunicazione umana, storica, imperfetta,
equivoca. Eppure, proprio perch sempre parziale, essa aperta alla collaborazione
comunitaria, alla fraternit.
Come infatti sarebbero state vere le parole: Santo il tempio di Dio che siete voi,
se Dio non avesse proferito i suoi oracoli da quel tempio che luomo ma avesse
fatto echeggiare dal cielo e per mezzo di angeli tutto quello che voleva rivelare agli
uomini a loro istruzione? E finalmente un rilievo sulla carit che unisce gli uomini
tra loro col vincolo dellunit. Se gli uomini non avessero da imparare nulla dai pro-
pri simili, alla carit verrebbe tolta una via importante per conseguire la fusione e,
per cos dire, linterscambio degli animi15.
15
Agostino, Listruzione cristiana, 4-5.
16
A puro titolo esemplificativo citiamo di de Kerkhove: La civilizzazione video-cristiana, Feltrinelli, Mi-
lano 1995; L architettura dellintelligenza, Testo & immagine, Torino 2001; La pelle della cultura: unindagine
sulla nuova realt elettronica, Costa & Nolan, Genova 1996; Brainframes: mente, tecnologia, mercato, Basker-
ville, Bologna 1993. Di P. Lvy: Le tecnologie dellintelligenza. Lavvenire del pensiero nellera dellinformatica,
ES/Synergon, Bologna 1992; Gli Alberi delle conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle competenze, Fel-
trinelli, Milano 2000; Lintelligenza collettiva. Per unantropologia del cyberspazio, Feltrinelli, Milano 1996;
Lintelligenza collettiva, Parigi-European IT Forum, intervista in Mediamente, Rai Educational http://www.
mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/l/levy.htm#link001; C unintelligenza collettiva nel futuro dellevo-
luzione umana, in Telma, estate-autunno 1999, http://www.fub.it/telema/TELEMA18/Levy18.html. La
posizione di de Kerkhowe appare pi equilibrata di quella di Lvy.
17
Mt 13,31.
34
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
tropologica. Ma anche vero che tutto questo non sarebbe potuto avvenire senza il
contributo, magari remoto, della grande riflessione cristiana sulla comunicazione.
un aspetto che va ricordato (anche ai molti cattolici che non ne sono consapevoli)
con serenit, senza spiriti egemonici o desiderio di annessione alla propria parte,
visto che siamo in presenza di fenomeni molto complessi. Non un caso che de
Kerckhove abbia dichiarato: Io sono cattolico, sono nato cattolico, e sono un cat-
tolico praticante18, come del resto era cattolico (proveniente dallanglicanesimo) il
suo famoso maestro McLuhan:
Un giorno un giornalista lo ha intervistato nel suo studio allUniversit di To-
ronto. E ad un certo punto gli ha chiesto cosa fosse quella cosa sul muro. Un cro-
cifisso fu la risposta. E il reporter: Ma lei non sar cattolico?. E lui: Della peggior
specie, un convertito. Proveniva dallanglicanesimo. Tutto risaliva al suo incontro
con Chesterton19.
Sappiamo come Chesterton sia stato un maestro nel forzare il linguaggio at-
traverso paradossi, ossimori, metafore, riuscendo spesso a sorprendere il lettore e a
renderlo capace di vedere con sguardo nuovo e pi pulito quanto credeva di aver gi
classificato.
Non a caso abbiamo citato Agostino. Comincia con lui un percorso millenario
sul paradosso irrisolvibile eppure pi ragionevole di ogni sillogismo: lesperienza e
lintelligenza di Dio Trinit20.
Nel De Trinitate Agostino scrive di voler amare Dio non solo con il cuore che
crede ma anche con lintelligenza che vede. In questo processo non si pu non par-
tire da un elemento che viene prima del soggetto, la regula fidei creduta e trasmessa
dalla Chiesa. Ci si accosta dunque a Dio sempre attraverso la mediazione comuni-
cativa della comunit, poich proprio nella relazione di fraternit si pu sperimen-
tare la presenza di Dio. Scrive Piero Coda a proposito della intelligentia fidei di cui
tratta il libro V del De Trinitate:
Agostino fa una strepitosa scoperta. Gli antichi filosofi, Aristotele in testa, ma
anche la rivelazione che Dio ha fatto di s a Mos (cf. Es 3,14), dicono che Dio
lEssere, Colui che , immutabile ed eterno. Ma nota Agostino il Nuovo Testa-
mento ci parla di un Padre che Se stesso in relazione al Figlio, il quale a sua volta
Se stesso in relazione al Padre, mente lo Spirito Santo il Dono di entrambi, e
quindi anchegli relazione.
18
D. de Kerkhove, La mente umana e le nuove tecnologie di comunicazione, intervista del 23.6.1995 su Me-
diamente (http://www.wcod.it/d3rr1ck/reference/4.pdf).
19
D. de Kerkhove, Cos Chesterton convert McLuhan, in Avvenire, 7 giugno 2011.
20
Cos si intitola il X capitolo del testo di P. Coda, Dio che dice Amore, Citt Nuova, Roma 2007, cui ci
rifaremo per questo breve excursus.
35
Anselmo Grotti
Dio allora ecco la scoperta non solo essere in-s e per-s (sostanza, nel lin-
guaggio della filosofia greca), ma relazione. La quale dunque riferita a Dio non
il pi debole degli accidenti (come secondo Aristotele), ma qualcosa di essen-
ziale perch esprime appunto la vita di Dio21.
Dio relazione, comunicazione. Noi non facciamo esperienza piena di cosa vo-
glia dire relazione, ma ne percepiamo limportanza. Riprendiamo a leggere Agostino:
Riposiamo qui un poco la nostra intenzione, non perch ritenga di aver gi tro-
vato ci che cerca, ma come solito riposarsi colui che ha trovato il luogo in cui cer-
care qualcosa: non lha ancora trovata, ma ha trovato dove cercarla. Che quanto
detto ci basti e sia come il primo filo a partire dal quale tesseremo tutto il resto22.
La comunicazione e i corpi che la rendono possibile (il nostro stesso corpo fi-
sico, gli oggetti, i supporti cartacei o digitali) non sono strumenti, ma ambienti:
luoghi nel linguaggio agostiniano. Non dovrebbe passare inosservata la metafora
del filo e del tessere che chiude la citazione. Molti secoli dopo in contesti apparen-
temente molto diversi potremo leggere espressioni come la seguente: Le reti e lin-
telligenza umana sulle reti sono la cosa pi vicina alla spiritualit che la tecnologia
ci abbia mai dato finora23.
Se Dio relazione, la comunicazione non pu non riconoscere di avere le pro-
prie radici in un contesto teologico. Ancora una volta il modello della Trinit ad
essere decisivo. Se luomo imago Dei lo soprattutto per la sua attitudine alla pa-
rola, alla relazione, alla fraternit. Secondo una logica che potremmo denominare a
frattale la relazione trinitaria illumina ogni aspetto della vita umana: la vita della
persona, della famiglia, della societ civile, della politica.
Nella persona il modello trinitario permette di evitare gli errori opposti di una vi-
sione monolitica della persona e di una contrapposizione di pulsioni psichiche, ge-
netiche e ambientali. Il cuore umano certamente un guazzabuglio (Manzoni)
molto lontano dalla linearit scintillante di Cartesio o dalla progressiva autosuffi-
cienza intellettuale di Spinoza. Avvertiamo il disagio di non saper mettere in comu-
nicazione i molti aspetti che ritroviamo nel nostro io, e a volte il disagio cos
grande che smettiamo di chiamarlo come tale e lo assumiamo come dato inevitabile.
Eppure avvertiamo allo stesso tempo una esigenza di conciliazione24.
Nella famiglia il paradigma trinitario salvaguarda la fraternit dei legami di san-
gue e della comunione senza soffocare le singole individualit e tiene ben distanti dal
familismo presente in tante logiche di clan e di casta.
21
Coda, Dio che dice Amore, 134.
22
Agostino, De Trinitate, VIII, 10,14.
23
D. de Kerkhove, La mente umana e le nuove tecnologie di comunicazione.
24
quanto ha detto (e fatto) fr. Roger Schtuz di Taiz in tanti suoi scritti: la consapevolezza della nostra
fragilit ci insegna lumilt, ma non deve portarci alla disperazione.
36
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
Nella societ civile diviene chiave di lettura e sostegno in situazioni sempre deli-
cate ma oggi forse particolarmente difficili: la convivenza di generazioni, culture,
modi di vedere il mondo, spesso molto diversi.
Nella politica esprime una forza di universalit che non globalizzazione impo-
sta o uniformit da conquistatori, e neppure regressione nella propria particolare
identit, pregiudizio, apartheid se non apertamente razzismo.
La Trinit esprime lo stesso paradosso della comunicazione, quellinsieme di ma-
nifestazione ma anche nascondimento che la sorgente misteriosa di ogni relazione.
La riflessione teologica si mossa allinterno di questa feconda contraddizione, cer-
cando di volta in volta di esprimerne un aspetto. Pochi anni dopo la caduta del-
lImpero Romano dOccidente lautore conosciuto come Dionigi Areopagita sostiene
che di fronte alla trascendenza di Dio non c altra strada che il silenzio. La mistica
non comunicabile. Mos che sale sul Sinai si libera di ogni cosa, anche della parola,
per giungere alla non conoscenza. Nel secolo scorso Schoenberg ha ripreso questa
concezione nellopera Mos e Aronne. Dopo il peccato di idolatria del suo popolo
Mos comprende che non possibile comunicare la legge divina e spezza le tavole
della Legge. Nellopera Aronne canta, come gli altri personaggi. Mos invece si limita
a parlare, cio musicalmente a stare in silenzio. Solo il silenzio pu evitare il tra-
dimento del messaggio divino, la cui comunicazione dunque impossibile. A mag-
gior ragione perch Schoenberg lascia lopera incompiuta nel terzo atto. Se per
Dionigi il silenzio esprime limpossibilit della comunicazione per leccedenza e la
trascendenza di Dio, nel Novecento il silenzio esprime la sfiducia nichilista nella di-
cibilit del reale.
Eppure non sono mancate voci diverse. Tommaso dAquino viola il divieto di
Dionigi (Piero Coda) e riprende il tema agostiniano della comunicazione. Non si co-
munica il prodotto partogenetico di un sapere autosufficiente, ma una verit prima
contemplata e poi trasmessa. La relazione trinitaria in Tommaso non riguarda solo
le Persone divine, ma comprende il rapporto tra Dio e la sua creazione. Anche per
lui la relazione tuttaltro che il debole accidente di Aristotele: lessere-per-s
(relazioni sussistenti)25. La dialettica paradossale tra manifestazione e nascondi-
mento, comunicazione e silenzio prosegue: anche Tommaso, come Schoenberg
molto tempo dopo di lui, non conclude la terza parte della Summa Theologiae: Re-
ginaldo non posso non posso, perch tutto ci che ho scritto mi sembra paglia,
rispetto a ci che ho visto e che mi stato rivelato26. Dunque, il silenzio non della
disperazione ma della consapevolezza della sproporzione tra Creatore e creatura: una
sproporzione che darebbe ragione a chi propende per una trascendenza assoluta di
Dio, tale da renderlo del tutto inaccessibile. Eppure larchetipo trinitario non si
25
Tommaso, Summa Theologiae, I, 29,4.
26
Processus, n. 79, 376, citato da Coda, Dio che dice Amore, 144.
37
Anselmo Grotti
Ancora una volta siamo di fronte a una radice teologica della possibilit stessa
della comunicazione: lesperienza di Ges stesso abbandonato dal Padre che re-
dime lincomunicabilit tra creatore e creatura. Senza questa esperienza saremmo di
fronte a un Dio di cui non si pu dire nulla, tanta la differenza ontologica che ci
separerebbe.
Ges davvero il Verbo del Padre, la possibilit stessa della comunicazione.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che non ha ragion dessere un atteggia-
mento di ostilit o di estraneit alla rivoluzione comunicativa operata nel mondo
contemporaneo dallirrompere degli ambienti digitali. La civilt delle immagini, il
moltiplicarsi di realt virtuali e di network sociali non sono elementi estranei o sem-
plicemente neutri rispetto alla comunit ecclesiale. Sarebbe ingenuo non avere pre-
senti i rischi e le contraddizioni, ma sarebbe altrettanto superficiale non cogliere la
radice profonda che li ha generati. Una radice tuttaltro che estranea alla storia del
cristianesimo.
I Padri della Chiesa si sono gi trovati di fronte a obiezioni di questo genere.
Scrive Giovanni Damasceno: Io non raffiguro la divinit invisibile, ma la carne di
Dio che stata vista28.
Quale criterio possiamo dunque trovare per discernere il modo corretto di co-
municare, di rendere ragione della fede ma anche di stabilire la condivisione dei no-
stri paesaggi mentali? Lalternativa non tra lutilizzo delle immagini, del virtuale,
della rete, o liconoclastia. Il discrimine piuttosto rintracciato da unaltra domanda:
a che cosa rimanda il medium utilizzato nella comunicazione?
Per Origene possibile onorare le icone senza essere idolatri perch si consa-
pevole a che cosa esse rimandano e da dove sono state generate. Lidolo prodotto
a partire dalle cose finite, si presenta come originario mentre non altro che la con-
27
Riportato in Coda, Dio che dice Amore, 161.
28
Contro coloro che disprezzano le immagini, I, 4.
38
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
traffazione dellesistente. Nella retorica truffaldina dei sofisti, loratore convince fa-
cilmente gli ascoltatori della bont del suo discorso intercettando le loro aspettative
e confermando i loro pregiudizi. In uno scambio sintattico suadente e teratogeno si
presenta come desiderabile quanto era semplicemente desiderato. Lidolatria camuffa
ci che umano, troppo umano in divinit e rende cos alienante la genuflessione
davanti agli idoli. Anche le societ antiche conoscevano lenorme potenza della pa-
rola, della fama, capace di ingannare le menti degli uomini. A maggior ragione
questo possibile nella rivoluzione digitale. Nel film S1m0ne29 la protagonista non
esiste, la rappresentazione digitale e virtuale dei sogni degli spettatori, un po come
Elena nellomonima tragedia di Euripide.
Torniamo ad Origene: mentre lidolatria rimanda a un prodotto umano, la ve-
nerazione delle icone rimanda a uneccedenza di significato, a un prima della pa-
rola umana. Qualcosa di per s indicibile, se non fosse per lIncarnazione.
Questo criterio teologico carico di conseguenze per lanalisi delle forme di co-
municazione e per lecologia degli ambienti digitali. Bucare il cielo di plastica30
senza cadere nella critica generalizzata degli apocalittici e degli iconoclasti pu av-
venire riconoscendo una trascendenza di ci che si comunica rispetto al comunica-
bile, una parzialit del nostro contributo. Ecco che il criterio si fa molto chiaro: non
troveremo autentica comunicazione in tanti modi di fare televisione (reality, talk
show, fiction..) o stampa o internet... ma non per motivi un po banali e superfi-
ciali. Il motivo vero profondo: perch parlano solo di se stessi, perch la tv non sa
che discettare della tv, lospite di uno show il conduttore dellaltro, il comico che
fa una gag interrotto dallo spot pubblicitario dove recita il medesimo comico di
prima, il protagonista del reality si presenta come luomo comune, ma allo stesso
tempo diventa il modello per luomo comune. Nasce qui, di nuovo, un cortocir-
cuito suadente e teratogeno: il turpiloquio in tv sdoganato perch la gente (la
ggente...) di fatto lo usa nella vita comune; nella vita comune il turpiloquio am-
missibile perch tanto ormai lo si usa anche in tv da parte di politici e di vip. In un
gigantesco girotondo, Mario va dove va tutta la gente, e tutta la gente va dove
vanno tutti i Mario. La vera e propria idolatria rappresentata dalluso dei sondaggi
ne un ulteriore esempio: lesito di un sondaggio genera una verit, un evento co-
municativo che in realt un non-evento. Ci che viene dopo diviene un
prima. Nellordine: abbiamo fabbricato un idolo, ci dimentichiamo che si tratta di
un idolo, aspiriamo a conformarci allidolo che abbiamo (o hanno) costruito.
29
Film di Andrew Niccol, Usa 2002.
30
L. Alici, Cieli di plastica. Leclissi dellinfinito nellepoca delle idolatrie, San Paolo, Roma 2009.
39
Anselmo Grotti
simo, che per ha un grande potere. Socrate ne parla pi volte, Platone si pone il pro-
blema del potere manipolatorio della parola scritta, Aristotele cerca di distinguere
una retorica positiva da una adescatrice, e cos via. Il potere permette laddomesti-
camento del linguaggio, e la comunicazione cos asservita offre al potere una forza
ancora maggiore.
Tuttavia anche il suo opposto pericoloso. Lo sono anche la negazione della pa-
rola, la censura. La stessa iconoclastia una tentazione. Al tempo della distruzione
delle immagini nellalto medioevo era il potere degli imperatori che non tollerava
ostacoli e concorrenti. Solo limperatore poteva far circolare la sua immagine, cio
la sua presenza, il suo potere. Una politica condivisa anche da non pochi mo-
derni.
La Rivoluzione Francese tent, nella sua fase pi ideologica, la sostituzione del
linguaggio prerivoluzionario e religioso con un vocabolario tutto immanente, ra-
zionale, senza contatto con la storia. Niente pi settimana, ma la decade, niente pi
gennaio, febbraio ma Nevoso, Brumaio, Vendemmiaio La Rivoluzione di ot-
tobre riprende questa aspirazione, con una nuova iconoclastia:
Si liquidava totalmente la semisfera definita nemica: si cambiavano i nomi dello
stato, i suoi emblemi, i titoli onorifici, le uniformi, la religione, lalfabeto, il calen-
dario, le feste, le usanze e i riti, i nomi di citt, di vie, di prodotti, i nomi propri, le
forme di relazione, si regolamentava laspetto fisico [].
Lattacco alla parola si colleg alla lotta contro la cristianit e procedette di pari
passo con la distruzione delle chiese, icone, croci, attraverso il rito pagano della
combustione, interpretato anche come reazione alla tradizione cristiana di in prin-
cipio era il verbo, in questi anni lottare contro il verbo coincideva con il contra-
stare lodiato ordine (vecchio e borghese)31.
31
G.P. Piretto, Due mondi alla parete: iconografia e iconoclastia popolare in Unione Sovietica tra gli anni Venti
e Trenta, in Contro limmagine, in Filosofia dellarte 1 (2001), 61-62.
32
G.W. Bush nel 2004, riportato tra gli altri su Jesus 9 (2004), 21.
40
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
33
Padre B.W. Harrison, O.S., Riflessioni di un avvocato del diavolo, in Latin Mass, 14 (2005) 5. Tra-
duzione dallinglese di Daniela Sgro dellufficio romano di Vita Umana Internazionale.
34
Paolo VI, udienza generale a Castelgandolfo, 5 agosto 1964.
41
Anselmo Grotti
35
G. Ravasi, In principio la Parola, in Letture 526 (1996).
42
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
4. La parola e il corpo
43
Anselmo Grotti
culturale o mentale. Lintreccio tra i due risulta particolarmente efficace nei processi
di conoscenza.
Coinvolgere la dimensione pragmatica nel tema della comunicazione significa
considerare efficace la comunicazione stessa solo se accompagnata da azioni che la
rendono chiara.
Latto linguistico si compie solo se lintenzione viene riconosciuta. La comuni-
cazione essenzialmente riconoscimento di intenzioni. Comunicare si differenzia
da informare perch presuppone il riconoscimento dellintenzione. Nelle interazioni
comunicative quotidiane comunichiamo pi di quanto dicano le espressioni usate.
Esiste un principio di cooperazione nella cooperazione. La conversazione resa
possibile dal fatto che i parlanti si aspettano ragionevolmente il rispetto di massime.
Spesso violiamo le regole esplicite della conversazione, modifichiamo il linguag-
gio e diciamo qualcosa di evidentemente non sostenibile. Il che spinge linterlocu-
tore a uscire dagli automatismi, a interrogarsi sulla differenza tra ci che il parlante
ha detto e ci che aveva intenzione di dire. il caso della metafora, del paradosso,
dellironia. Si pensi a Dante che invita il lettore della terza cantica a interrompere la
lettura evidentemente con ben altra intenzione.
Se invece abbiamo motivi per ritenere che il parlante non rispetti il principio di
cooperazione, potremmo attribuire lo scarto tra ci che ha detto e ci che aveva in-
tenzione di dire chiamando in causa altri aspetti, non razionali e in ogni caso ignoti
al parlante stesso (contenuti rimossi, stati alterati di coscienza, mancanza di con-
trollo razionale sulle proprie espressioni, ecc.).
Quando McLuhan dice: il mezzo il messaggio mette certamente in evidenza
il fatto che nella comunicazione il medium ha delle caratteristiche che necessaria-
mente influenzano il contenuto della comunicazione. Ma alla radice di una osser-
vazione spesso letta solo per descrivere le caratteristiche del messaggio televisivo si
pu trovare molto di pi. La radice cattolica di McLuhan ci rimanda allidentit cri-
stologica di Evangelo e di Messia, di Verbo incarnato: Ges allo stesso tempo il
mezzo e il messaggio che Dio rivolge agli uomini. In perfetta analogia Paolo VI dir
che gli uomini devono essere allo stesso tempo maestri e testimoni: la loro stessa vita
attraverso cui annunciano il vangelo essa stessa vangelo.
Il celebre aforisma rimanda in modo non lineare alla dicotomia paolina let-
tera/spirito, cos come pone una differenza fondamentale tra laccettazione della co-
municazione antropomorfa del cristianesimo e delle altre grandi religioni monoteiste.
Periodici tentennamenti, come liconoclastia, non sono mancati nella storia della
Chiesa. Molte immagini religiose nelle chiese del Sud Italia provengono dallOriente,
portate in Italia per salvarle dalliconoclastia a partire dal 730.
La comunicazione corporea, antropomorfa, legata a una fisicit della materia ri-
pudiata nella cultura ebraica e islamica (ma con eccezioni). Si pensi ad esempio alle
indicazioni che potrebbe suggerire il dato storico della persistente ostilit del mondo
44
Trinit e incarnazione come archetipi del linguaggio
musulmano alla stampa a caratteri mobili, dal fallito tentativo di Paganino a Vene-
zia nel 1583 alla spedizione napoleonica che li porta per la prima volta in Egitto.
Anche in ambito cristiano la fisicit del corpo non ha mancato di creare difficolt.
I protestanti hanno spesso accusato di idolatria certe pratiche cattoliche, come la ve-
nerazione delle reliquie o del corpo dei santi, oltre naturalmente alluso di immagini
e statue nelle chiese.
Gli ugonotti bruciano i corpi rimasti incorrotti dei santi. Quello di san France-
sco da Paola bruciato nel 1562, dopo essere rimasto incorrotto per mezzo secolo.
Calvino molto duro contro la venerazione delle reliquie:
Il primo vizio, quasi la radice del male, stato che, anzich cercare Ges Cristo
nella sua parola, nei suoi sacramenti e nelle sue grazie spirituali, la gente, secondo il
suo costume, ha perso tempo con le sue vesti, le sue camicie e la sua biancheria; e fa-
cendo ci ha trascurato lessenziale per seguire laccessorio. Allo stesso modo si com-
portato con gli apostoli, i martiri e gli altri santi. Anzich meditare sulla loro vita per
seguirne lesempio, infatti, ha posto tutto il suo impegno nel contemplare e nel tener
come tesori le loro ossa, camicie, cinture, i loro berretti e sciocchezze simili36.
36
Calvino, Sulle reliquie, Mimesis Edizioni, Milano 2010, 12. Giovanni Calvino, Jehan Cauvin, scrisse
questo breve e denso testo nel 1534.
37
Nel testo citato Calvino prende esplicitamente posizione contro lautenticit della Sacra Sindone, oggi
a Torino.
45
Anselmo Grotti
46
Pietro Domenico Giovannoni
IL DE EPISCOPORUM POTESTATE
IN ECCLESIASTICAM DISCIPLINAM
DEL GIOVANE ANTONIO MARTINI
L 30 APRILE 1787, nel consesso dellassemblea dei vescovi voluta da Pietro Leo-
1
Cf. A. Drigani, La potestas dispensandi episcopi negli atti dellassemblea degli arcivescovi e vescovi di To-
scana tenuta a Firenze nellanno 1787 in Archivio storico italiano 149 (1991), 163-184.
2
Su Antonio Martini (1721-1809) rettore del Collegio ecclesiastico di Superga (Torino) dal 1751 al
1765, autore della prima traduzione italiana della Bibbia ufficialmente approvata da Roma (Torino 1769-
1781) e arcivescovo di Firenze dal 1781 al 1809, cf. P.D. Giovannoni, Fra trono e cattedra di Pietro. Antonio
Martini arcivescovo di Firenze nella Toscana di Pietro Leopoldo (1781-1790), Firenze 2010; C. Lamioni, Tra
giansenismo e riformismo: la nomina di Antonio Martini ad arcivescovo di Firenze (1781), in Rassegna storica
toscana 22 (1976), 3-46; su aspetti della formazione e della biografia intellettuale cf. P.D. Giovannoni,
Unopera a quattro mani: Il Breve trattato delle azioni umane. Agostinismo e antiprobabilismo negli arcivescovi In-
contri e Martini, in Vivens homo 11 (2000), 193-234; Id., Gli orientamenti culturali e politici di Antonio Mar-
tini tra il 1750 e il 1769 nelle lettere ad Antonio Niccolini, in D. Menozzi (ed.), Antonino Baldovinetti e il
riformismo religioso toscano del Settecento, Roma 2002, 39-80; Id., Da Prato a Superga. Note sugli anni giova-
nili di Antonio Martini, in Vivens homo 12 (2008), 387-416; sulla traduzione della Bibbia cf. C. Guasti,
Storia aneddota del volgarizzamento dei due Testamenti fatto dallab. Antonio Martini, in Rassegna nazionale
47
Pietro Domenico Giovannoni
Christianam Religionem (quum ea non humanae Artis, aut ingenii res sit, sed
summi Artificis opus multo praeclarissimum) ipso exordio undequaque perfectam
fuisse nemo est, qui in dubium audeat revocare5.
25 (1885), 235-282; P. Stella, Il Vangelo secondo Matteo tradotto e annotato da Antonio Martini. Derivazioni e
fortune, in Salesianum 29 (1967), 326-267; Id., La Bibbia tradotta e annotata da Antonio Martini (1769-
1779), in Il Giansenismo in Italia. Collezioni di documenti. Piemonte, II, Zurich 1970, 307-343; Id., Produ-
zione libraria religiosa e versioni della Bibbia in Italia tra et dei lumi e crisi modernista, in M. Rosa (ed.),
Cattolicesimo e lumi nel Settecento religioso italiano, Roma 1991, 99-125.
3
Giovannoni, Fra trono e cattedra di Pietro, 385-390.
4
A. Martini, De episcoporum potestate in Ecclesiasticam Disciplinam et in Ecclesiaticorum Hominum Judi-
cia Dissertationem Inauguralem Illustrissimo, Clarissimoque Viro Francisco Bondelmontio Nobili Patricio Floren-
tino Senatori et Equiti Splendidissimo D.D.D. Antonius Martinus Pratensis Publicus in Pisana Academia Canonici
Juris Lector Extraordinarius, Lucae Typis Josephi Salani & Vincenti Junctini MDCCXLVII.
5
Martini, De episcoporum potestate, 5.
48
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
Martini dichiara subito che non sua intenzione, n daltro canto se ne sentirebbe
capace, di definire i modi ed i limiti delle due potest, civile ed ecclesiastica; anzi
osserva che ci stato tentato, senza successo, da molti uomini coltissimi. Il suo
obiettivo spiegare, secondo verit storica, da quali inizi si sia formata lautorit
dei Vescovi di giudicare determinate cause, quali provvedimenti siano stati presi in
materia da imperatori e sovrani ed infine quali siano stati i giudizi espressi dagli ec-
clesiastici stessi.
Neque vero illud mihi ego sumpserim, ut quis modus, qui termini ab utraque
Potestate Civili, & Ecclesiastica servandi sint audeam definire; () Sed historica ve-
ritate explicare conabor a quibus initiis ad maximam se amplitudinem extulerit
Episcoporum Auctoritas7.
Dove il sed historica veritate suona come una dichiarazione dintenti a non fare
opera politica, ma opera di ricostruzione dei fatti. La stessa prudenza ritorna nella
conclusione:
6
Martini, De episcoporum potestate, 6.
7
Martini, De episcoporum potestate, 6.
49
Pietro Domenico Giovannoni
Qua quidem in re, si non ingenii, atque doctrinae, moderationis certe laudem
mihi aliquam non despero; ita enim tota hanc orationem meam temperavi, ut ne-
mimi injurius fuerim, nullius dignitatem ne verbo quidem violarmi8.
8
Martini, De episcoporum potestate, 621.
9
Ignazio vescovo dAntiochia tra il 110 e il 130. Arrestato e condotto a Roma dove pat, a quanto sem-
bra, il martirio. Lungo il viaggio dopo aver fatto tappa a Filadelfia, in Asia minore, soggiorn a Smirne, il cui
vescovo era allora Policarpo. Ricevette qui i vescovi di Efeso, Tralli e Magnesia a cui consegn una lettera per
le rispettive chiese. Poi si spost a Troade e da qui scrisse alle chiese di Smirne, di Filadelfia e allo stesso Poli-
carpo. Si sa che in seguito pass da Filippi. Furono proprio i Filippesi che, scrivendo a Policarpo, chiesero copia
delle lettere di Ignazio. A causa del suo grande interesse questo dossier venne largamente diffuso; fu conosciuto
da Ireneo (Adv. Haer. X, 28,4), da Origene (Hom. Lc. 6,4) e da Eusebio (HE III, 36) che enumer tutte le
parti che lo componevano, citandone degli estratti (P. Nautini, in Dizionario patristico e di antichit cristiane,
diretto da A. Di Berardino, Casale Monferrato, Marietti 1983, 1743-1744.
10
Di Gregorio di Nissa (335/340-394) il Martini cita la Vita di Gregorio Taumaturgo (PG 46,893-958)
e la trentaduesima delle Orationes vii de beatitudinibus (PG 44,1193-1301). Di Agostino il paragrafo 3 del libro
sesto delle Confessioni, le Epistole 110, 3, 147 e il Sermone 24 sul Salmo 128.
50
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
Raras tunc inter ipsos fuisse lites satis persuadent tum sincera illa, qua se se in-
vicem prosequebantur benevolentia, tum bonorum omnium abdicatio, venditio-
que, quae ab iis fiebat quum christianae militiae nomen dabant11.
11
Martini, De episcoporum potestate, 7.
12
Teodoreto di Ciro (Antiochia 393-466) nel 423 fu eletto vescovo di Ciro. Delle sue lettere ne riman-
gono oltre duecento (PL 83). Cf. Cavalcanti, in Dizionario patristico e di antichit cristiane, 3371-3374.
13
1Cor 6,4: Sacularia igitur judicia si habueritis, contemptibiles qui sunt in ecclesia, illos constitute ad
judicandum.
14
Scrive infatti Martini: Mitto enim (ne in re satis nota diutius, quam par est immorari videar) quae in
hanc rem a Theodosio, ac Constantino Justiniani Patre statuta fuerunt. Valentiniani vero III lex illa, qua non
Laicorum modo, sed & Clericorum causas omnes ab Episcoporum tribunalibus avocarit, adeo perbrevis Aevi
fuit, ut contempta potius, quam abrogata fuisse videatur (Martini, De episcoporum potestate, 7-8).
15
Martini, De episcoporum potestate, 8.
51
Pietro Domenico Giovannoni
mento in qualit di funzionario che caus la sua deposizione dalla cattedra vescovile.
Dioscoro di Alessandria, legato allarchimandrita Eutiche di Costantinopoli, in-
fluente questultimo alla corte di Teodosio II, in quanto amico delleunuco Crisafio,
fu chiamato dallo stesso Teodosio II a presiedere il Concilio di Efeso del 449. Qui
sostenne il monofisita Eutiche contro Flaviano patriarca di Costantinopoli, susci-
tando violenze a tal punto che il Concilio si appell latrocinio efesino. Morto Teo-
dosio II, Dioscoro fu condannato ed esiliato nel Concilio di Calcedonia16. Dioscoro
rappresenta un episodio isolato, sembra dirci il Martini, ricordando che multum
quidem, & ante Dioscorum valuerunt Alexandrini Archiepiscopi. La loro giurisdi-
zione si estendeva, con il consenso degli imperatori, fino allamministrazione delle
cose civili e comprendeva, oltrepassando i limiti dellarcidiocesi, tutto lEgitto. Cos:
His itaque temporibus certum est non modo Ecclesiasticos omnes Ordines, Mo-
nachosque ipsos non alio, quam Ecclesiastico Judice quaecumque inter eos incidis-
sent controversiae, usus fuisse; Sed & Laicorum causas frequentissime ab Episcopis
cognitas fuisse17.
16
Su Paolo di Samosata cf. M. Simonetti, Dizionario patristico e di antichit cristiane, 2633-2635; su
Dioscoro dAlessandria cf. D. Stiernon, in Dizionario patristico e di antichit cristiane, 985.
17
Martini, De episcoporum potestate, 9.
18
Cf. Martini, De episcoporum potestate, 9: Justinianus quidem Majestatis, Jurisque sui tenacissimus Im-
perator facultatem litigantibus concessit, ut in civili negotio Sacrae Legis Antistitum cognitioni se subiicerent.
19
Martini, De episcoporum potestate, 10.
52
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
duceva, nel nostro caso, nel riconoscimento del diritto del vescovo di giudicare il
proprio clero e di esercitare la potest di giudicare anche cause riguardanti laici. Teo-
dorico, capo della parte ariana, conserv alla Chiesa cattolica i suoi privilegi in que-
sto campo come dimostrano gli atti del Concilio di Palmare. Martini si riferisce
allepisodio dello scisma laurenziano; nel 498 alla morte di papa Anastasio II la parte
avversa a Costantinopoli elesse papa il diacono Simmaco, mentre la minoranza elesse
larcidiacono Lorenzo. Teodorico, invitato a dirimere lo scontro, appoggi inizial-
mente Simmaco (499), ma in seguito rimand la questione ad un Concilio (501).
Quanto fece Atalarico in favore della Chiesa ce lo dimostra Cassiodoro20. Diversa la
situazione dopo linvasione longobarda.
Sub Langobardis tamen Regibus non eodem omnino jure usi sunt Ecclesiastici
Viri. Ex iis enim, quae tum a Ludovico Muratorio V.C., tum ab aliis referuntur Ec-
clesiasticae Antiquitatis peritissimis Viris satis, superque patet saepissime ab Epis-
coporum Judiciis ad Regium Tribunal ipsos tum Episcopos; tum Clericos
appellationem interposuisse21.
Sotto il regno longobardo il clero non fru quindi dello stesso diritto. Infatti i ve-
scovi ed il clero si appellavano al tribunale civile e non a quello ecclesiastico. Si trat-
tava di un diritto di appello, nel senso che il tribunale civile poteva ordinare che il
processo venisse di nuovo celebrato dallo stesso giudice, ecclesiastico o civile che
fosse, che aveva emesso la prima sentenza. Si verific quindi che il clero si appellava
ai Re, in virt del medesimo diritto con cui si rivolgeva al Romano Pontefice, di
modo che si riteneva che ricorrere in appello al Re o al Pontefice Romano fosse la
stessa cosa22. Per questo motivo i vescovi furono spogliati non soltanto di quellam-
plissimo potere (potestas) che nella giurisdizione civile era stato loro riconosciuto e
concesso dai primi imperatori cristiani, ma anche dei diritti (iura) nelle controver-
sie dello stesso clero. La posizione del problema in epoca carolingia si fa pi com-
plessa, in quanto se da una parte si sostiene che i vescovi conservarono sotto i Franchi
la loro giurisdizione nella disciplina ecclesiastica, dallaltra parte si sostiene che i re
franchi abbiano rivendicato ed esercitato la loro supremazia anche nella disciplina del
clero. Da qui la necessit di affrontare pi dettagliatamente il problema, facendo ri-
ferimento ai Capitolari emanati in materia.
20
Martini, per quanto riguarda lo scisma laurenziano, dipende dal Muratori degli Annali della storia dIta-
lia e dagli Annali del Baronio; per quanto riguarda Cassiodoro si riferisce allEpistola 24 del libro ottavo delle
Variarum di Cassiodoro. Clero ecclesiae Romanae Athalaricus rex (PL 69,757-758). In ea Epistola scripsit
Athalaricus ad Clerum Rom. Urbis, ut si cuipiam cum Clero ipso controversia inciderit, ille ad Romanum Pon-
tificem se conferat, qui rem cognoscat, poena iis proposita, qui se aliter gesserint, decem librarum auri (Mar-
tini, De episcoporum potestate, 11).
21
Martini, De episcoporum potestate, 11. Come vedremo pi dettagliatamente in seguito Martini si ap-
poggia alla settantesima dissertazione delle Antiquitates Italicae del Muratori.
53
Pietro Domenico Giovannoni
I libri di storia sono pieni di esempi che ci convincono che c stato effettiva-
mente un degrado in tutti i rapporti umani. Sarebbe stato un miracolo se, in tale si-
tuazione, il clero fosse riuscito a mantenere incorrotta la santit dei predecessori.
La crisi del clero quindi rispecchiava la crisi della societ. E questo perch
tanta est Ecclesiasticae Politiae cum Republica conjunctio, ac necessitudo, ut con-
velli, ac labesactari una sine altera nequaquam possit24.
Tanti e tanti sono gli esempi, pi o meno noti, di questa triste situazione dello
stato del clero, ma su una cosa non si pu tacere. Che cosa c di pi deplorevole, ci
si domanda, di vedere un sacerdote, o peggio ancora un vescovo, andare alla guerra
e prendersi, a costo di stragi e saccheggi, ci che i sacri concili non vollero che il
clero usasse nemmeno per gioco?25 Pi che giusto e legittimo quindi fu lintervento
dei re franchi ed in particolar modo di Carlo Magno; proprio lui viet ai sacerdoti
ed ai vescovi di partecipare alla guerra, eccetto per coloro che dovevano svolgervi la
predicazione. Ma tanta era allora la passione per larte militare, si osserva, che que-
sto provvedimento fu preso dallo stesso clero come offensivo e Carlo Magno dovette
rispondere che il suo operato andava a salvaguardare la dignit e lonore dei vescovi.
Di nuovo Martini sceglie di tralasciare tanti altri esempi a dimostrazione di quanto
proprio coloro ai quali era stata affidata la cura dei popoli nella religione (sacris in
22
Martini rimanda alla settantesima delle Antiquitates Italicae sive Dissertationes De Moribus, Ritibus, Re-
ligione del Muratori contenuta nel quinto volume uscito a Milano nel 1741. Il titolo della dissertazione set-
tanta : De cleri et ecclessiarum immunitatibus, privilegiis, ac oneribus, post invectas in Italiam barbaras gentes.
23
Martini, De episcoporum potestate, 12.
24
Martini, De episcoporum potestate, 12.
25
Scrive Martini in nota: Ut rem omnibus antea saeculis inauditam; pessimique exempli narrat Grego-
rius Turonensis, Saloninum Episcopum Ebrodunensem, & Sagittarium Episcopum Vapingensem Fratres con-
tra Langobardos, qui post primum in Italiam adventum, irruptionem in Galliam fecere, cum aliis Civibus arma
induisse, & non modo armatos in acie fuisse, sed & Barbaros quosdam sua ipsos manu trucidasse. Bellatores
isti Episcopi damnati sunt in Concilio Lugdunensi, & in Cabilonensi, sed eos, qui imitarentur deinde non
defuere (Martini, De episcoporum potestate, 13). Il riferimento alla Historia Francorum di Gregorio di Tours
(Clermont 538 circa Tours 594). Gli episodi a cui si accenna sono anteriori di ben due secoli allepoca ca-
rolingia di cui parla ora il Martini.
54
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
In nota Martini scrive che gi il Boehmer volle dalle stesse parole di Carlo Magno
ricavare come lo stesso imperatore rivendicasse per s il diritto di riformare la Chiesa.
26
Il riferimento a J. Mabillon, De re diplomatica, lib. 2, cap. 22. Capitolo intitolato De Analphabetis Epis-
copis.
27
Martini, De episcoporum potestate, 13.
28
Il Martini ha davanti ledizione del Baluzio: Capitularia Regum Francorum Additae Sunt Marcusi Mo-
nachi & Aliorum Formulae Veteres, & Notae Doctissimorum Virorum. Stephanus Balutius Tutelensis In Unum Col-
legit, Ad Vetustissimos Codices Manuscriptos Emendavit, Magnam Partem Nunc Primum Edidit, Notis Illustravit,
Parisiis MDCLXXVII.
29
Martini, De episcoporum potestate, 15.
55
Pietro Domenico Giovannoni
Ius reformandi Ecclesiam sibi vindicasse Karolum Magnum ex istis illius verbis
colligere voluit Bohmerus Jur. Eccl. Lib. I. tit. 31. Quam recte ii dijudicent, qui &
totum Capitulare, & quae de eo sequenti nota dicemus perlegerint30.
Carlo ha esercitato quindi nella disciplina del clero legittimamente il suo jus re-
formandi. Tale legittimit garantita dallortodossia dei provvedimenti presi. In-
fatti tutti i Capitolari rimandano ai canoni dei concili, in particolar modo a quelli
di Nicea, Antiochia e Calcedonia. Anzi si dice che nessuno pu mettere in dubbio
che quei capitolari siano stati desunti dal santuario dei concili. Di questo parere
sono stati Vito Amerpachio, che per primo raccolse i Capitolari nel 1545, Antonio
Agostino, Baluzio e Van Espen. Perci quei canoni contenuti nei Capitolari da una
parte venivano confermati come tratti dai concili dallautorit dellImperatore e dei
Vescovi, dallaltra parte furono promulgati da assemblee riunite non solo per le cose
civili ma anche per quelle ecclesiastiche. Cos nel Concilio Troslejano quei Capito-
lari sono chiamati appendici (pedissequa = accompagnatori) dei Concili e molti di
essi furono trasferiti poi nel Corpo del Diritto Canonico.
Nellultima parte della dissertazione Martini cerca di spiegare quelli che sono
stati i giudizi espressi dagli stessi ecclesiastici riguardo alla potest episcopale. Non
sono mancati scrive Martini coloro che hanno sostenuto che quel diritto di ap-
pello da parte del clero al tribunale civile diritto riconosciuto al clero dai Longo-
bardi si sia conservato anche sotto i Franchi. Questo provato da molti documenti
e Martini rimanda nuovamente al Muratori della settantesima dissertazione delle
Antiquitates Italicae. E tuttavia tutto questo contraddiceva pienamente con quanto
prescritto dal diritto scritto, ovvero con quello che gli imperatori franchi vollero
fosse sancito attraverso la promulgazione dei Capitolari.
30
Martini, De episcoporum potestate, 15. Il riferimento allo Jus Ecclesiasticum Protestantium usum ho-
diernum juris canonici juxta seriem Decretalium ostendens di Just-Henning Boehmer uscito nel 1714. Boehmer
J.H. nato a Hanovre nel 1674 e morto ad Halle nel 1749, dopo aver studiato a Jena divenne nel 1701 pro-
fessore allUniversit di Halle, poi Consigliere di Stato di Federico I di Prussia. Guglielmo I lo nomin Ret-
tore dellUniversit nel 1731. Fra le sue opere: Corpus Juris Canonici, Halle-Magdebourg 1747. Questedizione
stata utilizzata in Germania fino al 1836 quando apparve ledizione di Richter (1836-1839). Tradusse il De
Concordia Ecclesiae et Imperii di Pietro De Marca (1708). Si deve ancora a lui la traduzione latina delle Insti-
tutions au droit ecclesiastique del Fleury: Institutiones juris ecclesiastici, Francfort et Leipzig 1723, 1753. Ledi-
zione francese fu messa allIndice nel 1693; quella latina nel 1729. Cf. R. Naz, Bohemer J.H. in Dictionnaire
de Droit Canonique publi sous la direction de R. Naz, T. II, Libraire Letouzey et An, Paris 1937, col. 928.
Martini, una volta assunto lincarico di preside del Collegio di Superga, richiese al marchese Niccolini pro-
prio i volumi del Corpus Juris Canonici del Boehmer per utilizzarli nel Collegio. Evidentemente fu lo stesso
marchese a consigliare di adottare quella edizione; si legge infatti nella lettera del Martini in data 16 febbraio
(1752): Devo a V.S. Ill.ma in primo luogo i miei pi sinceri ringraziamenti per la bont colla quale ha vo-
luto comunicarmi i suoi sentimenti riguardo allo studio de Sagri Canoni Mi nota la edizione del Decreto,
e delle Decretali fatta dal Boemero, ma in Piemonte i Libri tedeschi non si trovano. Se V.S. Ill.ma volesse farmi
il piacere di far ricercare se in Firenze sianvi queste due opere (Firenze, Archivio Piccolini, Lettere di An-
tonio Martini ad Antonio Niccolini, D. 5ta. 23. Fasc. 49-50).
56
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
Oltre a citare in nota Capitolari franchi dalla raccolta del Baluzio accanto a Ca-
noni di Concili medievali, Martini si sofferma nuovamente sul Capitolare di Aqui-
sgrana del 789. Carlo Magno decret che mai nessun ecclesiastico osasse appellarsi
al tribunale civile ovvero anche al Re, a meno che non avesse al riguardo un per-
messo scritto del vescovo o del metropolitano, e che comunque questo tipo di cause
venissero esaminate in quella che lo stesso Capitolare definisce lassemblea ordina-
ria dei vescovi. Con questa solerte e provvida decisione Carlo volle che fosse chiusa
la strada alla pervicacia di quei chierici che, giudicati colpevoli di grandissimi crimini
dal tribunale ecclesiastico, andavano gridando di aver subito torto per eludere in
qualche modo la sentenza dei loro giudici ordinari. Nella stessa direzione, ovvero
quella di riconoscere il foro ecclesiastico e di garantirne lautonomia, si mosse Carlo
Magno quando, con un severissimo editto32, riprese severamente i conti e gli altri giu-
dici che aveva saputo aver pi volte interposto la loro autorit al fine di non far pre-
sentare gli ecclesiastici davanti ai loro ordinari diocesani. Carlo Magno in questo
editto non solo ordin alle autorit civili di assistere quelle ecclesiastiche nellesecu-
zione delle sentenze, ma dichiar nulli gli atti dei giudici secolari se inerenti a cose
ecclesiastiche. Ma il diritto scritto veniva contraddetto dalla prassi. Contro quanto
stabilito da Carlo Magno si verificarono ricorsi in appello a tribunali civili da parte
di ecclesiastici senza il permesso dellordinario diocesano o del metropolita. Non
solo, ma dopo listituzione dei missi Dominaci proprio a loro fu trasferita gran-
dissima autorit e grandissimo potere anche in tutta la Sacra Politia.
Neque id solum, sed post Missos etiam constitutos maxima in eos quoque in tota
Sacra Politia auctoritas, atque potestas collata est; quod tamen postmodum in ip-
sorum Sacrorum Praesulum amplitudinem cessit, uti deinde ostendemus33.
I messi, veri e propri giudici extra ordinem, venivano inviati per ascoltare le ri-
provazioni del popolo, per rendere giustizia a chi aveva subito sentenze ingiuste.
Censori, in un certo senso, dei conti e degli altri giudici di cui, infatti, potevano
anche annullare gli atti. La loro giurisdizione comprendeva molti villaggi e contee,
e talvolta anche delle intere province. Erano creati ogni anno dallimperatore scelti
31
Martini, De episcoporum potestate, 17-18.
32
Edictum Dominicum De honore & adjutorio Episcopis praestando Comitibus & aliis jdicibus, datum
circa annum Christi DCCC. Martini riporta in nota parte del decreto non citando la fonte. Baluzio comun-
que lo riportava nei suoi Capitularia Regum Francorum alla pagina 330 del primo volume.
33
Martini, De episcoporum potestate, 19-20.
57
Pietro Domenico Giovannoni
tra i vassalli e i funzionari di corte, che per avevano osserva Martini uno scarso
patrimonio. Nell802, proprio quando fu chiaro che i messi, per arricchirsi, avevano
abusato dei loro poteri, Carlo Magno volle scegliere i nuovi messi tra gli arcivescovi,
vescovi e abati oltre che tra i nobili vassalli. Ed ecco pertanto dato ai vescovi della
Chiesa quel grandissimo potere di cui godevano prima i messi regi; quale e quanto
esso sia stato si capisce bene dal Capitolare dell854 di Ludovico II. Limperatore or-
dinava infatti ai messi non solo di inquisire gli atti e i costumi stessi dei giudici or-
dinari, emendare se necessario le loro sentenze, ma ordinava anche di controllare e
vigilare sui conventi maschili e femminili. In questi uffici i messi dovevano essere
coadiuvati dagli ordinari diocesani.
Hujusmodi autem Missorum judiciis eo quoque tempore, quo Laicis tantum
Viris ea provincia demandabatur intererant Episcopi, qui eo etiam consilio, ut
eorum praesentia aequitati totius consuleretur ad omnia Placita a Missis invitaban-
tur; quod non his demum temporibus inventum fuisse, sed & Langobardorum
Regum aetate fuisse institutum exploratum, certumque est34.
Cerchiamo ora di rimettere sul tavolo i libri che Martini, in partenza per Lucca
dove avrebbe consegnato il manoscritto alleditore, rimise al loro posto dopo averli
studiati, letti o magari solo consultati. Tre sicuramente le fonti principali, quelle che
pi spesso ritornano nelle note: le Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae di Joseph
Bingham35, le Antiquitates Italicae del Muratori36 e i Capitularia Regum Francorum
di Stefano Baluzio37.
La prima parte della dissertazione, quella inerente alla Chiesa primitiva, dipende
in gran parte dal Bingham. In particolare Martini si appoggia al secondo libro delle
Origines, intitolato De diversis clericorum ordinibus in primitiva ecclesia. I paragrafi a
34
Martini, De episcoporum potestate, 21.
35
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae ex lingua anglicana in latinum vertit Io.
Henricus Grischovius Halberstadiensis accedit praefatio Io. Franc. Buddei Theol. D. et P.P.O, Halae sumptibus or-
phanotrophei MDCCXXIII.
36
L.A. Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi sive dissertationes de moribus, ritibus, religione, t. V,
Mediolani MDCCXLI.
37
Capitularia Regum Francorum Additae sunt Marcusi Monachi & Aliorum Formulae Veteres & Notae Doc-
tissimorum Virorum Stephanus Balutius Tutelensisin unum collegit ad vetustissimos codices manuscriptos emenda-
vit, magnam partem nunc primum edidit, notis illustravit, Parisiis MDCLXXVII.
58
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
38
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 104.
59
Pietro Domenico Giovannoni
loco Bingamus A.[ntiquitates] E.[cclesiasticae] lib. 2 cap. 7 ubi to. e;xw evnh,menoj ex
Lightfooti sententia interpretatur. Paolo, constatando che nella comunit cristiana
di Corinto vi erano dissidi e scontri, invitava i fedeli a prendere come giudici anche
i pi infimi tra la comunit, pur di evitare di rimettersi alla sentenza di un tribunale
pagano. Il Bingham dedicava al passo paolino sopracitato un intero paragrafo del
capitolo settimo del libro secondo delle sue Antiquitates. Molte traduzioni - scriveva
lerudito inglese - rendevano il greco e;xw evnh,menoj h; e`cclhsi,a| con il latino homi-
nes nullo loco in Ecclesia habitos, ma il Lightfoot aveva sostenuto che la stessa espres-
sione greca si poteva rendere con homines summae existimationis. Questo perch la
voce greca e;xw evnh,menoj traduceva la parola ebraica che indicava i giudici privati, ov-
vero arbitri eletti dalle stesse parti in causa. Ora, era proprio costume dei Giudei
avere, accanto ai giudici veri e propri, degli arbitri eletti per dirimere la piccole
cause. Erano questi chiamati idioti & non Autentici, non perch plebei, ma per-
ch ultimi nella classe giudiziaria; infatti questi arbitri non erano investiti dallau-
torit del Sinedrio, bens eletti dalle parti in causa. Il Bingham, appoggiandosi alla
lezione del Lightfoot39, sosteneva che san Paolo consigliava alla comunit di Corinto
di adottare proprio lo stesso costume.
Tales privatos judices Apostolus Christianos in Ecclesia eligere, ad eosque con-
troversias ac lites suas referre iubet: quo ipso non mandat, ut de pauperrimis, infi-
mis & rerum maxime ignaris ex populo iudices eligant, sed contra potius, ut
homines idoneos, sapientia conspicuos, qui iudicium ferendi atque controversias
inter fratres suos dirimendi auctoritate valeant, adsciscant40.
Ora, si chiedeva il Bingham: chi pi dei vescovi stessi rispondeva a questi requi-
siti? E poteva quindi concludere: Atque inde haec officii et functionis Episcopalis
pars veram suam originem traxisse mihi videtur41.
Martini rimanda agli Annali dItalia del Muratori in due luoghi. Il primo si rife-
risce alla legge di Valentiniano III del 452 che revocava al tribunale dei vescovi non
solo le cause secolari, ma anche ecclesiastiche. Il Martini notava che pi che abro-
gata questa legge fu disattesa, tanta era la stima riposta nel giudizio del foro eccle-
siastico. Cos scriveva il Muratori ad annum 452:
Per lo contrario Valentianiano Imperadore in questo medesimo anno cos fune-
sto allItalia, con una sua Legge ristrinse la giurisdizione dei Vescovi, ordinando che
39
John Lightfoot: filologo e teologo anglicano, nato a Stoke-upon-Trent il 29 marzo 1602 e morto a Ely
il 6 dicembre 1675. Profondo conoscitore dellebraico e della letteratura rabbinica pubblic le Horae He-
braicae et Talmudicae (sui Vangeli, le Epistole di Paolo, gli Atti degli Apostoli), pubblicate pi volte tra il 1658
ed il 1678 a Cambridge e a Londra. Non fu estraneo alla stampa della Bibbia Poliglotta uscita a Londra tra il
1654 ed il 1657 ad opera di B. Walton.
40
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 126.
41
Iosephi Binghami Angli Origines sive Antiquitates Ecclesiasticae, vol. I, 126.
60
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
i medesimi non potessero giudicare cause criminali, e n pur le civili fra Chierici; e
se le giudicassero, fosse solo per compromesso: riserbando loro unicamente quelle
di religione. () Trovarono i susseguenti Augusti indecente questa Legge, e per la
scartarono. Intanto il Cardinal Baronio alla indebita pubblicazion dessa attribuisce
tutte le disgrazie accadute in questanno, non a Valentiniano, che stava a divertirsi
in Roma, ma alle citt della Venezia, Insubria, ed Emilia che niuna colpa aveano di
questo Editto42.
Martini nel riportare lepisodio della legge di Valentianiano III traduce il Mura-
tori: Valentiniani vero III lex illa, qua non Laicorum modo, sed & Clericorum cau-
sas omnes ab Episcoporum tribunalibus avocavit, adeo perbrevis Aevi fuit, ut
contempta potius, quam abrogata fuisse videatur43. Dove il contempta fuisse tra-
duce il fu trascurata del Muratori. Non muratoriano invece il commento seguente:
Neque aliter mihi tunc videtur fieri potuisse, quum Populos tanto Ecclesiae Anti-
stites obsequio, tanta reverentia prosequeretur, ut non sine magno Reipublicae motu,
ac detrimento eorum auctoritatem coarctare Imperatores potuerint44. Commento
pi vicino allinterpretazione del Baronio, di cui si faceva beffa il Muratori, che ve-
deva nella discesa di Attila una punizione per lempia legge di Valentiniano. Che il
Martini avesse anche davanti gli Annali del Baronio ce lo dice lui stesso, citandoli due
volte. Ma che li accostasse a quelli del Muratori evidente in un caso, probabile in
un altro. Iniziamo dal secondo. Dopo aver citato la legge di Valentiniano III del 452,
Martini si sofferma sulla condanna di Dioscuro dAlessandria da parte del Concilio
di Calcedonia. Il Muratori ad annum 452 non accennava nemmeno allargomento,
ma invece il Baronio ci si soffermava ampiamente45. Nel secondo caso lo stesso
Martini che ci mette sulla buona strada. Larrivo dei Goti scrive non segn, per
quanto riguarda il foro ecclesiastico, la fine dei diritti episcopali. Anzi lo stesso Teo-
dorico, Arianae factionis Princeps, chiamato a risolvere lo scisma laurenziano e a
prendere posizione tra Simmaco e lantipapa Lorenzo, dichiar essere il Concilio la
sede idonea a tale causa. In nota Martini scrive: Vide Rei gestae seriem apud Mu-
ratorium in Annal. Ital. & Baronium, in quo admiranda plane in Romanae Eccle-
siae Adversario moderatio perspicitur.
Le Antiquitates Italicae, e pi precisamente le dissertazioni settantesima e nona,
sono tuttavia lopera del Muratori a cui fa pi spesso riferimento il Martini. La prima
intitolata De Cleri et ecclesiarum immunitatibus, privilegiis ac oneribus post invectas
42
L.A. Muratori, Annali dItalia dal principio dellera volgare sino allanno 1750 compilati da L. A. Mura-
tori colle prefazioni critiche di Giuseppe Catalani, Monaco, nella stamperia di Agostino Olzati 1761, 156.
43
Martini, De episcoporum potestate, 8.
44
Martini, De episcoporum potestate, 8.
45
Annales Ecclesiastici auctore Caesare Baronio Sorano e Congregatione Oratorii S.R.E. Presbytero Cardina-
lis Tit. SS. Nerei et Achillei et Sedis Apostolicae Bibliothecario una cum critica historico-chronologia P. Antonii Pagii
Doctoris Theologi Ordinis Minorum Convent. S. Francisci, T. VIII, Lucae, Typis Leonardi Venturini MDCCXLI,
125-127.
61
Pietro Domenico Giovannoni
Anche Martini scriveva tuttavia poco dopo: Idem vero etiam sub Augustis &
Francis Regibus obtinuisse eruditi Viri non pauci opinati sunt48. E siccome vi sono
coloro che sostengono che i re franchi abbiano rivendicato non solo questo partico-
lare diritto di appello, ma tutta la supremazia sulla disciplina ecclesiastica, Martini
ritiene necessario affrontare pi distesamente largomento facendo riferimento ai
Capitolari emanati dai re franchi. Ma prima di tutto, con levidente scopo di con-
testualizzare e legittimare lopera dei re franchi, si soffermava come abbiamo gi
visto sulla crisi della disciplina ecclesiastica e dei costumi del clero in epoca caro-
lingia.
Di nuovo Martini richiama la dissertazione settantesima delle Antiquitates nella
seconda parte del suo breve saggio, dove faceva riferimento infatti ai documenti ri-
portati dal Muratori attestanti molti casi di ricorso in appello al tribunale regio da
parte di sacerdoti e vescovi anche in epoca carolingia.
46
Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, vol. V, 914.
47
Muratori, Antiquitates Italicae medii aevi, vol. V, 916.
48
Martini, De episcoporum potestate, 12.
62
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
Quel scripto tamen riferito come vedremo ai Capitolari rivela una pro-
fonda distanza dallerudizione muratoriana che pur doveva aver affascinato il nostro
giovane abate. Rivela in definitiva lo scarto che c tra un erudito votato alla storia
ed un canonista affascinato dallerudizione. Lo scarto fra chi guarda al flusso degli
eventi, allo scorrere del tempo, e chi portato a cristallizzare lo stesso evento in un
canone, in un articolo di legge. Muratori esordiva nella sua dissertazione avvertendo
che avrebbe lasciato ai teologi ed ai canonisti il risolvere la questione dellorigine
umana o divina dellimmunit delle persone ecclesiastiche e dei beni della Chiesa.
Sua intenzione di mostrare ci che anticamente si fece, non gi indicare ci che al
presente si debba fare. Ad una prima lettura si potrebbe esser tentati di accostare
una siffatta dichiarazione programmatica allesordio del Martini, dove anchegli di-
chiarava di non voler stabilire i confini legittimi tra potest civile e potest ecclesia-
stica, ma solamente ricostruire i fatti secondo historica veritate. Tuttavia ad
unanalisi pi attenta risulta evidente lo scarto tra lhistorica veritate del Martini
ed il muratoriano ostendere quid factum fuerit. Muratori riporta e commenta
molti documenti di epoca carolingia dimostrando come fosse usanza il ricorso in
appello al tribunale regio da parte di vescovi e sacerdoti e conclude dicendo che in-
negabile che i re stimassero proprio dovere giudicare gli ecclesiastici e non nega-
bile che gli stessi vescovi ed il Papa appoggiassero lazione dei sovrani, vedendo che
essi agivano per ledificazione, e non gi per la distruzione della Chiesa. I Papi in-
cominciarono a lamentarsi e ad opporsi ai sovrani soltanto quando videro questa
consuetudine degenarare in smoderata libert a danno e pregiudizio della Chiesa.
Anche Muratori rimandava il lettore che avesse voluto approfondire la materia ai
Capitolari dei re franchi. Tuttavia nella parte della dissertazione riguardante lim-
munit delle persone ecclesiastiche non ne citava nemmeno uno. Invece il Martini
dedica la maggior parte del suo lavoro proprio ai Capitolari, fonte principale per ca-
pire lazione dei re carolingi. Lo scarto tra il canonista e lo storico erudito a cui si ac-
cennava prima evidente proprio nelluso che fa il Martini dei Capitolari. Se a
Muratori premeva ci che il documento attestava, a Martini premeva la legittimit
del documento stesso. Cos, Muratori, la cui intenzione era ricostruire come erano
andate le cose, si basava soprattutto su diplomi attestanti cause tra chierici e ricorsi
al tribunale regio; Martini, invece, la cui intenzione era ricostruire come le cose sa-
rebbero dovute andare, si basava proprio sui Capitolari, sforzandosi di dimostrare la
loro legittimit e validit in un contesto di cooperazione tra sacerdozio ed impero.
49
Martini, De episcoporum potestate, 17.
63
Pietro Domenico Giovannoni
vero quindi, riconosce il Martini, che anche sotto i Franchi si ricorse allo iussio
Regis, ma anche vero che questa usanza era in contraddizione con quanto stabilito
dai sovrani nei loro Capitolari. Ed ancora, i re franchi poterono emanare legittima-
mente quei Capitolari solo in quanto essi non facevano altro che ribadire quanto
gi stabilito dai canoni dei Concili. questo il centro di tutta la dissertazione; il
punto focale che ci rivela la prospettiva nella quale il Martini vuole inserire lanalisi
della politica in materia di disciplina ecclesiastica operata dai Franchi.
Riferendosi al De episcoporum potestate il primo biografo del Martini, Antonino
Longo, nella gi citata Orazione funerale, scriveva: In essa scopr la poca buona fede
del Baluzio nella pubblicazione dei Capitolari di Carlo Magno50. La stessa cosa
avrebbero poi ripetuto il Becagli ed il Guasti. Nella tomba del Martini fu posta una
copia in cartapecora delliscrizione latina dellabate Luigi Lanzi, chiusa in un tubo
di piombo; in essa vi si legge:
Canones tamen sanctiones attentus et vehementius scrutatus lectorque extra or-
dinem brevi dictus primam lectionem quae typis est edita ceteris lectoribus et lyceo
universo plaudentibus et admirantibus recitavit in qua Balutii fraudes in publican-
dis capitolaribus (sic enim loquuntur) Caroli Magni detexit51.
Tuttavia nelle poche pagine del saggio del Martini non si trova nessun esplicito
riferimento alla poca buona fede del Baluzio. Da dove lorigine di questa convin-
zione? Martini, portandosi nella tomba la citata biografia latina, port con s il se-
greto di questo piccolo arcano. Non da escludere che Martini nello scrivere la
sua dissertazione e nellutilizzare quindi i Capitolari abbia effettivamente sospettato
dellattendibilit delledizione del Baluzio; ed abbia pensato di approfondire largo-
mento, magari nellopera grande che meditava sulla concordia tra sacerdozio ed
Impero. Ma il Longo nel momento in cui fissava il Martini nellimmagine del gio-
vane erudito confutatore di Baluzio si riferiva probabilmente a brandelli di ricordi,
di rievocazioni di una giovinezza ormai lontana, racconti riportati magari non dallo
stesso Martini, ma da altri. Sarebbe inutile cercare di inseguire e ricostruire i fili di
anonime memorie umane. E se anche il Longo avesse fondato la sua asserzione su
racconti diretti dello stesso Martini, la cosa non cambierebbe molto. Ci scontre-
remmo con una forza ambigua e fragile, quanto indispensabile, amica e nemica della
ricostruzione storica: la memoria personale, forza che disgrega i ricordi del passato,
riaggregandoli mescolando le carte della verit, confondendo gli eventi con le aspet-
tative, le intuizioni, i progetti pensati e non realizzati che questi eventi portavano con
50
A. Longo, Orazione funerale recitata in occasione delle solenni esequie di Monsignor Antonio Martini ar-
civescovo di Firenze ecc., con la relazione delle medesime e con le iscrizioni del Sig. Ab. Luigi Lanzi, Carli e comp.,
Firenze 1810, XIX.
51
Liscrizione dellabate Luigi Lanzi pubblicata in Longo, Orazione funerale, XXXI.
64
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
Tanto vero continua il Martini che il Concilio Trosleiano defin quei Ca-
pitolari pedissequa dei Canoni dei Concili. Il richiamo al Concilio Trosleiano Mar-
tini lo desume proprio dal Baluzio che, nel dimostrare la pari riverenza dei vescovi
carolingi nei confronti dei Canoni conciliari e delle costituzioni dei Capitolari, scrive:
Sed insigne in primis esse videtur testimonium Episcoporum apud Trosleium in
pago Suessionico Congregatorum anno DCCCCIX qui Regum capitularia vocant
canonum pedissequa
52
Martini, De episcoporum potestate, 16.
53
Capitularia Regum Francorum, vol. I, XI.
65
Pietro Domenico Giovannoni
Anche Martini scriveva che quei Capitolari traevano la loro legittimit sia dal-
lessere desunti dai Canoni conciliari sia dallessere stati emanati in assemblee civili
e religiose allo stesso tempo e, come Baluzio, riportava il titolo del sopracitato Ca-
pitolare dell814. Ma Martini in nota aggiungeva:
Sed quamquam res auctoritate non indiget, adferre hic tamen lubet Viti Amer-
pachi testimoniu cuius haec sunt pag. 9 ubi de suscepto a se opere loquitur =Sunt
(Capitularia) ex magna parte veluti Flores quidam e diversis Legum Imperatoris
hujus (Karoli) Voluminibus, & Actis habitorum ab eo cum Episcopis Conciliorum:
salva tamen ubique auctoritate Sedis Apostolicae, imo reverenter habita, ut clare
sub finem Operis indicatur=55.
54
Capitularia Regum Francorum, vol. I, VIII.
55
Martini, De episcoporum potestate, 16.
56
Jacob Gretser (1562-1624) gesuita e autore di numerose opere apologetiche antiprotestanti. Il riferi-
mento polemico del Baluzio al suo Caesar Baronius S.R.E. Cardinalis Amplissimus a rationalis Calviniani
criminationibus vindicatus, et in eo cum alii Pontificis romani, tum Gregorius VII, Ingolstadii 1610. Lopera
venne scritta in risposta a Melchior Goldast, autore della Rationale constitutionum Imperialium ex temporale
in quo cum ipsis constitutionibus argumenta dicuntur, tam S.R.I. jura adversus Caesaris Baronii Annales prae-
scribuntur, Francoforte 1707.
57
Melchior Goldast von Heiminsfeld (1576-1635) giurista protestante autore del Tractatus de traslatione
Imperii Romani a Graecis ad Francos, Hanau 1606 e della Monarchia S. Romanii Imperii sive Tractatus de juri-
sdictione imperiali et pontificia, Hanau-Francoforte 1611-1615.
66
Il De episcoporum potestate del giovane Antonio Martini
licano Pierre De Marca58. Il Martini non entra affatto in tale polemica, erudita e po-
litica insieme, ma la precisazione, attraverso Vito Amerpachio, salva tamen Aucto-
ritate Sedis Apostolicae non pu che suonare se non come indizio di un dissenso
dallimpostazione baluziana.
58
Pierre De Marca (1594-1662). Su richiesta del Cardinale Richelieu ed in risposta allOptatus Gallus de
cavendo schismate scrisse il De concordia sacerdotii et imperii seu de libertatibus ecclesiae gallicanae apparso nel
1641. A causa della sua opera, messa allIndice il 7 aprile 1642, Roma non volle spedire le Bolle di nomina a
vescovo della diocesi di Conserans. Dopo aver scritto una parziale ritrattazione pot entrare in possesso della
sua diocesi. Arcivescovo di Tolosa nel 1652, fu nominato arcivescovo di Parigi nel 1662, ma mor lo stesso
giorno in cui ricevette la Bolla da Roma. Fu gallicano e rigido antigiansenista. Suo segretario fu proprio Ste-
fano Baluzio che dette alla luce a Parigi nel 1663 la seconda edizione del De concordia, pubblicando gli ine-
diti quattro ultimi libri.
67
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
LA DEFINIZIONE DI LEGGE E IL SUO FINE
SECONDO SAN TOMMASO DAQUINO
Introduzione
I
I CAN 7 DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO stabilisce listituzione della legge: Lex
instituitur, cum promulgatur. Una disposizione legislativa che ha come fonte il
can. 8 1 del Codice abrogato: Leges instituuntur, cum promulgantur. Com
possibile apprezzare, il testo , infatti, identico con lunica variante del passaggio dal
plurale al singolare.
Si tratta di un canone in cui, negli schemi del 1980 e 1982, era stata proposta lin-
troduzione di una definizione che richiamava appunto i termini e il contenuto di
quella che sar pi avanti esaminata in questo contributo e che stata formulata da
san Tommaso dAquino: lex, quae quidem est norma generalis ad bonum commune
alicui communitati a competenti auctoritate data, instituitur cum promulgatur1, ma
posteriormente fu introdotta una piccola modifica: Lex, norma scilicet generalis
eliminando lespressione quae quidem est. La definizione proposta n fu accettata n
compare nel Codice e ci per due motivi essenziali: innanzitutto perch nel diritto
le definizioni sono pericolose, stando allinsegnamento della Regula Iuris Antiqui di
I. Prisco Gaio, omnis definitio in iure civili periculosa est: parum est enim, ut non su-
berti posset2; e, in secondo luogo, perch lespressione bonum commune e parimenti
la definizione non erano del gradimento dei Padri della Commissione, riuniti nella
Congregazione plenaria del 19813.
69
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
Il termine legge deriva etimologicamente dal latino legem, accusativo di lex, la cui
origine incerta4. Gli Autori, tuttavia, si rifanno a diverse voci latine che hanno ana-
logia semantica e fonetica con la parola legge, in altre parole ognuna di quelle voci
presenta significati che, parzialmente, convengono con essa. SantAgostino accett
la voce eligere (scegliere), seguita anche da Cicerone5, perch le leggi erano scelte tra
i migliori programmi per governare una comunit6; letimologia si fonda, dunque,
sulla natura stessa di legge, la quale , da parte del superiore, la scelta dei mezzi e delle
azioni che devono essere prescritte.
Per santIsidoro di Siviglia7 come riporta anche Cicerone nel De legibus8 , de-
riva da legere (leggere) perch esisteva labitudine di scrivere in tavole pubbliche le di-
sposizioni di legge o senatoconsulti affinch il popolo le leggesse e, una volta lette e
quindi conosciute, potesse accettarle o rifiutarle.
San Tommaso far derivare il termine legge dal vocabolo latino ligare (vincolare,
obbligare): poich la legge ha un carattere normativo, essa vincola e obbliga ad agire
in conformit con la medesima9.
Autori posteriori quali Alfonso X el Sabio (1221-1284) scelsero diverse etimolo-
gie latine (ligare e legere):
La ley es una leyenda en que yace enseamiento e castigo escrito que liga y apre-
mia la vida del home que no faga mal, e muestra e ensea el bien que el home debe
facer e usar10.
4
La parola greca equivalente a legge nomos, derivata da nomo, che ha in s il significato di distribuire, as-
segnare. La parola latina lex formata dalla radice leg (lex = lecs, da leg-s), la quale esprime tanto lidea di sce-
gliere quanto quella di leggere. Mentre Cicerone riterr che la prima quella che si trova in fondo alla parola,
i filologi moderni sono del parere che sia la seconda, e che, pertanto, lex qualcosa che si legge, cio un pre-
cetto fissato per mezzo della scrittura; in opposizione a mos (consuetudine), che il precetto che non stato scritto.
Si noti che nelle lingue semitiche, legge sinonimo di scrittura.
5
De legibus, l. I, n. 6: [...] ego nostro a legendo. Nam ut illi aequitatis, sic nos delectus uim in lege ponimus,
et proprium tamen utrumque legis est.
6
Quaest. in Heptateuchum, l. 3, q. 30, in PL 34, 681: Unde etiam legem a legendo, id est ab eligendo latini
auctores appellatam esse dixerunt.
7
Etymologiarum sive Originum, l. 2, c. 10; l. 5, c. 3, in PL 82, 130-199.
8
De legibus, l. I, n. 6: Sed quoniam in populari ratione omnis nostra uersatur oratio, populariter inter-
dum loqui necesse erit, et appellare eam legem, quae scripta sancit quod uult aut iubendo aut prohibendo, ut
uulgus appellare solet. Cicerone riporta quindi lidea corrente nel suo tempo secondo la quale la legge quello
che scritto, quello che pu essere letto.
9
Sum. Theol., I-II, q. 90, art. 1.
10
Libro de las leyes o Partidas, I, Lex Nova, Madrid 1989, tit. I, l. 4: La legge una leggenda in cui gia-
ciono insegnamento e punizione scritto che vincola e preme la vita delluomo affinch non faccia il male, e
mostra ed insegna il bene che luomo deve fare e seguire.
70
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
Fonti
Oltre che nella Summa Theologiae, san Tommaso tratta della legge, anche non in
modo sistematico, in altre parti della sua opera: Commento alle Sentenze di Pietro
Lombardo, dove parla della legge in rapporto al matrimonio11; della legge naturale
e divina positiva a proposito del Decalogo12. Nella Summa contra gentiles, dove tratta
della legge divina eterna e positiva13. Infine, nel Commento allEtica Nicomachea non-
ch nei primi libri del Commento alla Politica di Aristotele14, luogo dove espone in
modo particolare la legge civile.
Diverse sono le fonti di cui si serve san Tommaso; ne possiamo citare due per ri-
tenerle le pi importanti e frequenti: Aristotele (Etica e Politica) e santAgostino, il
quale rinvia a Cicerone, santIsidoro di Siviglia e Graziano, che, a loro volta, fondano
il loro pensiero sui giuristi Ulpiano e Gaio. Tra le fonti prossime si possono citare il
De legibus et praeceptis, trattato francescano che a sua volta fonte alla Summa uni-
versae theologiae sive quaestiones super quattuor libros Sententiarum di Alessandro di
Hales, ofm (c. 1185-1245)15, che poggia soprattutto in santAgostino. In questa
Summa si trovano tutti gli elementi riguardanti la legge che san Tommaso riprender,
ordiner e sistematizzer nel suo trattato, che pi tardi Surez porter a compimento
e perfezione nel suo De legibus16.
Definizione
Il primo compito che si propone san Tommaso nellaffrontare la questione della
legge di darne una definizione. A questo proposito egli dedica interamente la quae-
stio 90 de essentia legis. Tuttavia, pi che tentare di dare una definizione, san Tom-
maso si preoccupa di determinare le caratteristiche e la struttura logica della legge nel
suo significato pi generale, intesa come forma dellagire. La definizione si estende
11
4 Sententia, d. 33, q. 1.
12
3 Sententia, d. 37, q. 1.
13
3, cc. 111-118.
14
Liber 1, 5, 10.
15
Summa universae theologiae sive quaestiones super quattuor libros Sententiarum, t. 4, l. 3, p. 2 de legibus
et praeceptis, Ex typographia collegii S. Bonaventurae, Quaracchi 1948.
16
De legibus, l. I, c. 1, ca. 4, n. 2. Rivolgersi al mondo antico e alle opere da esso tramandate pu essere
vitale in ogni senso per lo storio perch si indagano in esso problemi di sempre che sono presenti nella realt
moderna anche se diverso il contesto storico; cf. E. Gabba, Cultura classica e storiografia moderna, Bologna
1995, 396.
71
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
anche ad altre specie di legge: lex aeterna17, naturalis et divina18, humana19 (q. 91),
che convengono nellessere un ordine razionale. Pertanto, per dare una definizione
generale di legge, che sia onnicomprensiva quindi delle diverse specie, non solo bi-
sogna far riferimento agli aspetti meramente specifici di ogni specie, ma necessa-
rio arrivare alla struttura profonda della legge in quanto categoria logica particolare.
Per san Tommaso la legge quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo
qui curam communitatis habet promulgata20. Precedentemente egli aveva dato, nellart.
1, una definizione semplicemente nominale: regula et mensura actuum. Infatti, se-
condo san Tommaso la legge regola e misura degli atti umani in quanto induce a
fare o a non fare un determinato atto.
Si chiama legge perch deriva da legare, che obbliga ad agire. Orbene, la regola
e misura degli atti umani la ragione, principio primo degli atti umani [...]. Si con-
clude dunque che la legge una norma che emana dalla ragione.
17
La legge eterna impressa in tutte le creature e le indirizza verso il loro fine ultimo. Nelluomo, que-
sta impressione particolare in quanto luomo essere razionale e pertanto la legge eterna non si manifesta
come una necessit ma come libert. Luomo, realizzando la sua essenza razionale, realizza il disegno provvi-
denziale e partecipa della legge eterna. Ma luomo non conosce direttamente la legge eterna se non in quanto
partecipata a lui, cio in quanto legge naturale, innata poich inscritta nel suo essere.
18
La legge naturale conosciuta da tutti gli uomini; non dipende n dal tempo n dal luogo; indipen-
dente dalle evoluzioni culturali. Tuttavia, la legge naturale pu essere oscurata e offuscata non in quanto ai
suoi principi, ma nelle sue conclusioni particolari dalla concupiscenza, dalla sensualit, dalle condizioni
corporali non positive, dalle cattive abitudini, dagli errori del raziocinio. In rapporto alla partecipazione alla
legge eterna, la legge naturale immutabile, non soggetta a variazioni o evoluzioni di qualunque genere.
nellinteriore delluomo, mai fuori dalla storia. Cicerone, sul quale fondamenta remotamente san Tommaso
la sua definizione e concezione di legge naturale, per tutto il primo libro e allinizio del secondo indaga sulla
natura del diritto e spiega come essa derivi da ci che pi connaturato alluomo (De legibus, 1, 16-17) e cio
da quella legge naturale, eterna e razionale che ha preceduto ogni legge scritta e che ordina ci che si deve fare
e proibisce di fare il contrario (De legibus, 1, 18-19).
19
La legge umana non altro che unapplicazione della legge naturale al bene della comunit. Le leggi
umane sono mutabili e possono essere perfezionate e derogate in determinati casi in vista del bene comune,
purch non sia violata la legge naturale e la legge divina. Una legge ingiusta, contraria alla legge naturale e alla
legge divina, non una legge ma una corruzione della stessa legge e, pertanto, non obbliga in coscienza. La
legge, regola e misura degli atti umani, ha come fine il bene, e il bene il fine ultimo della creatura: la cono-
scenza di Dio, imperfetta in questo mondo e perfetta nellaltra vita. Alla luce del concetto della legge natu-
rale, i diritti degli uomoni non sono diritti derivati dal consenso dei popoli o dalla volont delle autorit, ma
sono preesistenti indipendentemente dalle culture e dalle legislazioni nazionali o internazionali. Difendere i
diritti umani significa rispettare la legge naturale, derivata dalla legge eterna.
20
Sum. Theol., I-II, q. 90, art. 4.
21
Vi una legge vera, ragione retta conforme alla natura, presente in tutti, invariabile, eterna, tale da ri-
chiamare con i suoi comandi al dovere, e da distogliere con i suoi divieti dallagire male... A questa legge non
possibile si tolga valore n lecito che in qualcosa si deroghi, n essa pu essere abrogata; da questa legge
72
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
retta dalla ragione divina. Perci il disegno ordinato delle cose in Dio ha forza di legge
[...]; da ci si conclude che necessario chiamare eterna questa legge. La legge na-
turale dunque la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.
Da quanto appena esposto circa la legge naturale, appare evidente che luomo, in
tutte le sue azioni, ha presente e tende ad attuare questa legge come ideale di perfe-
zione, ovvero come obiettivo del bene supremo o della felicit suprema. perci
che tale ideale costituisce il fine ultimo, inteso come valore assoluto prioritario.
Nella definizione compresa nellart. 4 della q. 90, possiamo individuare il con-
tenuto della legge: ordinatio rationis; il suo fine: bonum commune; la sua fonte, ov-
vero: chi curam communitatis habet; i destinatari o membri della comunit:
communitatis, e, infine, la sua forma, costituita dalla promulgatio.
Dallanalisi di questi elementi presi separatamente, san Tommaso conclude la sua
formula contenuta nellultimo articolo della quaestio 9022.
non possiamo essere sciolti ad opera del senato o del popolo... Essa non diversa a Roma o ad Atene, non
diversa ora o in futuro: tutti i popoli invece in ogni tempo saranno retti da questunica legge eterna e immu-
tabile; ed unico comune maestro, per cos dire e sovrano di tutti sar Dio; di questa legge egli solo lautore,
linterprete, il legislatore; e chi non gli obbedir rinnegher se stesso, e rifiutando la sua natura di uomo, per
ci medesimo incorrer nelle massime pene, anche se potr essere sfuggito ad altre punizioni: Cicerone, De
re publica, III, 22, 33.
22
Il trattato delle legge [di san Tommmaso] unopera immortale e a chi labbia compreso a fondo nulla
rimane di sapere circa i grandi principi che debbono guidare il legislatore: J. Balmes, El protestantismo com-
parado con el catolicismo, in Obras completas, BAC, Madrid 1967, t. 4, 581.
73
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
74
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
necessario lintervento della volont verso il fine. Affermare che nella psicologia del
soggetto agente latto della volont precede latto della ragione non significa che il
mandato o la norma, in quanto formula logica, non sia un atto razionale.
San Tommaso non discute circa la priorit della volont sulla ragione, ma so-
stiene che qualunque sia lincidenza della volont sullagire pratico, affinch esista la
legge necessario che la volont sia razionale. La volont legge quando aliqua ra-
tione regulata (corrispondenza della regola o norma al fine).
23
Sum. Theol., I-II, q. 98, art.1.
24
Sum. Theol., I-II, q. 98, art.1.
75
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
25
Sententia libri Politicorum I, 1, 10. Su questo commento di san Tommaso, cf. A. Martnez Lorca, com-
munitas liberorum. en torno a sententia librl politicorum de Tomas de Aquino, in Pensamiento 51 (1995)
199, 89-100.
76
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
Come si vede, anche il secondo elemento della legge, il fine, individuato nel bene
comune, stabilito da san Tommaso in un senso puramente formale.
La dottrina esposta finora, secondo la quale esiste la legge quando una regola
diretta a un fine globale, permette di risolvere uno dei tradizionali problemi della
scienza giuridica, quello della generalit della legge. questo uno dei caratteri della
legge difesi pi tenacemente dai giuristi, ma viene smentito continuamente dalla re-
alt delle leggi con contenuto particolare.
Si pu ricordare a questo proposito come dietro a ci ci sia un giudizio di valore,
per cui si considera che la legge debba essere generale perch la giustizia richiede che
sia eguale per tutti, o un giudizio di fatto, poich si osserva che normalmente le leggi
hanno un carattere generale.
Al primo punto si pu osservare che la legge uguale per tutti solamente nel
senso che tutti debbono rispettare lordine da essa stabilito, ma non perch il suo pre-
cetto primario stabilisca per tutti la stessa cosa.
Quanto al secondo punto, il fatto che si tratti della rivelazione di un carattere non
assoluto bens accidentale, mette in dubbio il suo valore.
Il pensiero di san Tommaso circa quanto appena detto evita entrambi le diffi-
colt. Quando afferma che la legge deve tendere alla felicit comune, egli stabilisce
che il fine della legge e non il suo contenuto che deve essere generale.
Per raggiungere il bene comune possono essere necessarie le disposizioni di con-
tenuto particolare, che diventano leggi quando rispondono al requisito essenziale di
generalit del fine, ovvero quando pongono la legge nellorizzonte della societ.
Malgrado tutte distinzioni tra beni particolari e comuni, i due tipi di beni ri-
mangono indissolubilmente uniti; limplicazione del bene particolare in quello co-
mune stata affermata da san Tommaso:
qui quaerit bonum commune multitudinis, ex consequenti etiam quaerit bonum
suum26.
26
Sum. Theol., II-II, q. 47, art. 10, ad 2.
77
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
Fonte della norma ordinata al fine pu essere solamente chi titolare del fine, cio
la comunit stessa o un suo rappresentante. Si deve, dunque, ribadire la stretta in-
terdipendenza annunciata da san Tommaso tra legge e comunit, di modo che non
si pu dare la prima se non quando la norma indirizzata al bene comune sia posta
dalla seconda. Nessuna difficolt ad accettare quando si parla dellordine umano:
Ubi societas, ubi lex.
Il principio della socialit della legge, gi affermato a proposito del fine, trova la
sua piena conferma anche nel trattare della sua fonte. Tuttavia, anche in questo caso
il ragionamento tomistico non pare si possa applicare ad ogni specie di legge da lui
contemplata, ma soltanto alla legge umana. Come applicare questaffermazione o
elemento costitutivo della legge alla legge divina ed eterna? Nellad 2 egli afferma che
il potere di fare leggi spetta unicamente alla persona pubblica; nellad 3 reclama una
volta ancora lidentificazione aristotelica della communitas perfecta con la civitas.
Tutti questi termini sono applicabili solamente alla comunit umana e perci
alla legge umana che, indubbiamente, di nuovo il modello psicologicamente pi
presente in san Tommaso.
La societ presieduta da unautorit costituita, cos come la ragione presiede a
tutte le altre facolt, e come la ragione non pu presentare se non il bene come og-
getto appetibile, cos lufficio dellautorit di promuovere il bene tra i cittadini. Per
attuare questa funzione si serve delle leggi che costruisce, propone e impone per il
bene comune. Lefficacia delle leggi sta nella fonte dalla quale il legislatore la prende,
ovvero dalla lex aeterna di Dio, lordine impreso da Dio nella creazione e che luomo
capace di riconoscere con la propria ragione: la prima regola della ragione la legge
naturale insegna san Tommaso cos che ogni legge fatta dallautorit umana corri-
sponde al concetto di legge in quanto deriva dalla legge naturale; invece, se discordante in
qualche punto con la legge naturale, non sar legge bens corruzione della legge.
Nel testo si afferma che la comunit fonte della legge: perch? cos in realt?
Non sempre la comunit fonte di legge.
Anche nel piano umano, un successivo brano della Summa distingue due tipi di
societ: quella che pu dare a se stessa una legge; quella che non habet liberam po-
stestatem condendi sibi legem, vel legem a superiori potestate positam removendi27.
La realt empirica non offre sempre comunit dotate di potere legislativo. In con-
seguenza, lecito dubitare che san Tommaso abbia attribuito alla comunit il potere
di dare a s delle leggi.
Daltra parte, non si pu dire che secondo san Tommaso la comunit per essere
tale abbia necessit del potere di fare leggi (v.g. le comunit non libere).
Non resta, dunque, altra possibilit se non quella di affermare che la comunit
pu essere fonte di legge solamente in quanto titolare del fine.
27
Sum. Theol., II-II, q. 97, art. 3, ad 3.
78
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
Mentre a livello umano solamente la comunit titolare del fine comune, a li-
vello soprannaturale caratteristico delle comunit ordinate dalla lex aeterna e dalla
lex divina Dio non solo il titolare del fine, ma sidentifica con esso: pertanto,
fonte della legge.
Nella formula conclusiva dellart. 4 della q. 90 la fonte della legge si trova in
colui qui curam communitatis habet, espressione anche generica che comprende sia
il legislatore umano, che detiene il suo potere per delega della comunit, sia il legi-
slatore divino, nel quale il potere di legiferare immanente.
Volendo essere rigorosi, si dovrebbe affermare che fonte della legge il titolare del
fine. In questo modo, per, non si evidenzierebbe sufficientemente il carattere so-
ciale della legge a cui san Tommaso attribuisce grande importanza. Infatti, la co-
munit definita e delimitata, come abbiamo visto, dalla subordinazione ad un
unico fine comune; conseguentemente, essa non si riduce alla mera coesistenza, per-
ch al puro fatto naturalistico della coesistenza si aggiunge nella comunit lelemento
spirituale del fine.
Dal requisito della socialit si deduce implicitamente il quarto elemento della
legge: i destinatari, che sono precisamente i membri della comunit.
Il concetto di destinatario non implica un particolare contenuto; un requisito
formale che discende logicamente dal concetto di regola, la quale, per la sua stessa
necessit, deve essere regola di qualcuno o di qualcosa. Il requisito del destinatario,
anche se necessario affinch ci sia una legge, non comporta, dunque, una determi-
nazione concreta dei destinatari della medesima, i quali possono essere sia il mondo
delle cose materiali sia quello degli esseri animati, razionali o irrazionali, ognuno
nellambito dellassociazione che le propria e che la delimita.
Lappartenenza ad una data comunit ci che, caso per caso, serve per specifi-
care chi siano i membri della medesima e perci i destinatari della legge.
Forma: promulgata
Lart. 4 contiene lenunciato del quinto e ultimo requisito della legge: la sua
forma. Affinch esista, la legge deve essere promulgata.
Infatti, se la legge regula et mensura actuum necessario che sia applicabile a co-
loro che secundum eam regulari debent, cio ai destinatari della stessa. Affinch
ci sia possibile, necessario che la legge sia conosciuta da coloro che la debbono ri-
spettare, e da qui, conclude san Tommaso, promulgatio necessaria est ad hoc quod
lex habeat suam virtutem.
79
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
In sintesi, possiamo dire che nella q. 90, art. 4 san Tommaso d una definizione
completa di legge perch contiene tutti gli elementi necessari: essenza o causa formale
lordinazione della ragione; il fine o causa finale: il bene comune; la causa effi-
ciente: lautorit responsabile della comunit; elemento necessario per lapplicazione
della legge la sua promulgazione. Questa nozione si applica alla legge umana po-
sitiva proporzionalmente, ma vale anche per la legge naturale ed eterna.
Dai giuristi romani e da santIsidoro, san Tommaso riassume la causa efficiente
e la causa finale. Dai primi, le fonti si trovano, in concreto, nelle Pandette e nelle In-
stitutiones: dalla comunit promana la legge e concerne il bene comune o generale,
elemento questultimo preso dalle Etimologiarum. Di Graziano, invece, ricorda lele-
mento della promulgazione, mentre che lordinatio rationis (opera propria della ra-
gione), ovvero lessenza, trova la sua fonte nellanalisi di Aristotele sulla legge civile
e in quello di santAgostino sulla legge eterna.
28
Cf. il celebre dictum di Graziano nel suo Decreto: Leges instituuntur cum promulgatur, D. IV, can. 3.
29
Nel diritto romano promulgare una legge (dal latino promulgare, provulgare) aveva il significato di pro-
porre al popolo il suo progetto. I romani sceglievano i loro rappresentati e votavano inoltre le leggi che essi
davano; la votazione si faceva dopo essere stata proposta dal magistrato o per iniziativa dello stesso, a chi spet-
tava convocare i comizi legislativi. La proposta del progetto di legge si chiamava promulgazione della legge
(cos Cicerone: promulgare legem nella preghiera Pro lege Manilia, in Collezione di classici greci e latini [a cura
di G. Marra], Serie latina, Citt di Castello, 69). La proposta di legge si faceva durante tre mercati di seguito
affissandola in pubblico affinch tutti la potessero esaminare prima di approvarla o rifiutarla nei comizi; una
volta ottenuta la maggioranza dei suffragi comiziali, si pubblicava normalmente il risultato.
30
Sum. Theol., II-II, q. 91, art. 2.
80
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
31
Ma la stessa idea diritti umani idea di cui si abusa nei nostri giorni non potr mai avere una pre-
gnanza sufficiente se non riposer sul diritto naturale, che garantisce quei diritti dei soggetti umani che prin-
cipalmente si esplicitano come diritto alla vita, a formare una famiglia, alla libert religiosa, a dare e ricevere
uneducazione, ad associarsi e a partecipare alla stessa vita della comunit. Ecco perch compito del legisla-
tore deve essere quello di individuare nelle varie situazioni storiche ci che giusto nel concreto, avendo come
riferimento il diritto naturale, che anteriore alla sua stessa volont, cf. Cultura&Identit II (2010) 7, 30.
32
La concezione tomistica di bene comune stata genialmente ripresa e sviluppata soprattutto da Jacques
Maritain nella sua opera politica pi matura, cio The Man and the State, University of Chicago Press, Chi-
cago 1951. Il bene comune non soltanto la somma delle utilit e dei servizi che lorganizzazione della vita
comune presuppone, come un sano regime fiscale, una forza militare di una sufficiente potenza, il complesso
delle giuste leggi, dei buoni costumi e delle sagge istituzioni che conferiscono una sua struttura alla societ po-
litica, il retaggio delle sue grandi memorie storiche, dei suoi simboli e delle sue glorie, delle sue vive tradizioni
e dei suoi tesori culturali. Il bene comune implica altres lintegrazione sociologica di tutto ci che vi di co-
scienza civica, di virt politiche e di senso della legge e della libert, di attivit, di prosperit materiale e di ric-
chezze spirituali, di sapienza ereditata inconsciamente operante, di rettitudine morale, di giustizia, di amicizia,
di felicit, di virt e di eroismo nella vita individuale dei membri del corpo politico, nella misura in cui tutte
queste cose sono, in un certo modo, comunicabili e fanno ritorno a ciascun membro, aiutandolo a perfezio-
nare la propria vita e la propria libert di persona, e costituiscono nel loro complesso la vita buona della mol-
titudine: Luomo e lo stato, Marietti, Genova-Milano 20033, 16-17. Sullargomento si pu leggere anche E.
Berti, Il concetto di bene comune di fronte alla sfida del terzo millennio. Doctor Communis. Nova Series 4/1-2
81
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
(2004): Atti del Congresso Tomista Internazionale Lumanesimo cristiano nel III Millennio. La prospettiva di
Tommaso dAquino (Roma, 21-25 settembre 2003), 145-163. Sul primato del bene comune i testi tomistici
sono innumerevoli, per esempio: III Sent. d. 35, q. 1, art. 3; IV Sent. d. 2, q. 1, art. 3; d. 19, q. 2, art.1, ad 6
m; d. 26, q. 1, art. 2; Sum. contra gent., III, 125, 146; DRP I, 9; In 5 Eth. Lectio II (n. 910) I Poi. Lectio I
(n. 39); Sum. Theol., II-II q. 26, art. 4, ad 3; Sum. Theol., II-II, q. 40, art. 4; etc.
33
Cf. Summ. Theol., I, q. 5 art. 3; q. 48, art. 5, ad. 6.
34
Cf. Summ. Theol., I, q. 5 art. 3; q. 48, art. 5, ad. 6.
35
Cf. VI Metaf., Lectio IV; I Eth., Lectio III (n. 30). Su questo punto cf. anche C. De Koninck, De la
primaut du bien commun contre les personalistes, Quebec 1943. Di posizione diversa invece J. Maritain, Per-
sona e bene comune, Morcelliana, Brescia 1973.
82
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
Come quella di legge, anche la nozione di bene comune analogica, cos che il
suo significato varia e viene determinato secondo un piano reale nel quale va consi-
derato, e secondo il genere di legge in funzione della quale definito.
Se si tratta di una legge eterna, il bene comune un bene universale al quale par-
tecipano tutti gli esseri: Dio stesso, fine ultimo di ogni cosa, in quanto ogni cosa
partecipa e imita la sua perfezione e la bont infinita. Se riguarda invece la legge na-
turale, il bene comune un bene specificamente umano, a cui partecipa ogni uomo:
ed Dio, fine ultimo della vita umana, nella cui conoscenza e nel cui amore consi-
ste la nostra felicit e perfezione. Se si tratta, viceversa, della legge civile o positiva,
il bene comune un bene politico-sociale, il bene cio della comunit politica (o
Stato), a cui ogni cittadino ha diritto di partecipare. Questo bene consiste nellunit,
nellordine, nella prosperit e nella pace della societ politica, necessaria affinch i cit-
tadini che la compongono possano raggiungere il loro fine in quanto uomini.
In questo modo, san Tommaso integra la visione aristotelica di bene comune36.
Il bene comune, in quanto fine della legge, la sua ragion dessere. Esso deve
pertanto animare ogni ordinamento legislativo; ogni forma o precetto che non sia or-
dinato al bene comune non ha ragion di legge. La definizione di legge data dallari-
stotelismo scolastico pone il bonum commune come fine ultimo dellordine giuridico.
Da ci deriva il grande valore e la grande importanza che la filosofia aristotelica con-
cede alla determinazione del concetto di bonum commune, prescindendo dal quale
le nozioni di diritto e di legge rimangono come nozioni senza un contenuto ogget-
tivo, universale. La nozione di bene comune segna quindi anche il limite dei poteri
dello Stato per quanto concerne la sua incidenza nella sfera privata dei singoli. Lo
Stato che interferisce con i diritti naturali dei singoli, infatti, viola il bene comune
ed destinato a perdere la sua legittimit37.
La filosofia del diritto ha cercato o nella giustizia o nella sicurezza o nella libert
il fine non solo della norma, ma anche dellordinamento giuridico in generale. Am-
mettere che non c diritto senza giustizia e che il diritto garanzia di sicurezza e
di libert non porta ad escludere che loggetto finale dellordine giuridico sia il bene
comune. Il bene comune, oltre ad essere una categoria etica, anche una categoria
logica.
Nel pensiero di san Tommaso, la dottrina politica intesa come oggettivit della
morale stessa in armonia con la metafisica e la teologia. La societ, per san Tom-
maso, un fattore indispensabile affinch lindividuo raggiunga la sua completezza;
perci Aristotele aveva insegnato giustamente che luomo socievole per natura.
36
Si vedano ad es. In decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum expositio, Marietti, Torino-Roma
1949, I, lectio I, 4. In octo libros Politicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino-Roma 1966, proemium, 4;
I, lectio I, 11.31.
37
Sul tema dello Stato, e sui suoi limiti, cf. G. Ambrosetti, Lessenza dello Stato, Studium, Roma 1972.
83
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
38
La nozione tomistica di bene comune esclude la possibilit di una sua identificazione con il mero bene
privato (o con la somma dei beni privati) dal momento che il bene privato non pu essere fine della societ
(in quanto tale, in quanto cio non subordinato al bene comune) perch, in tal caso, si produrrebbe una ne-
gativa confusione della sfera privata dei singoli con la sfera familiare e la sfera sociale, derivando da ci la sop-
pressione della libert naturale e moralmente lecita dei singoli e dei gruppi.
39
Sum. Theol., II-II, q. 64, art. 2.
40
Sum. Theol., II-II, q. 21, art. 4.
41
Cf. J. Maritain, Humanisme integrale, Paris 1936, 147.
84
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
solo cos si ottiene un senso completo. Se luomo parte della societ ( qualcosa di
particolare rispetto al bene comune), non lo , tuttavia, secundum se totum, perch
il valore personale supera la specifica subordinazione alla societ. La persona per-
sona precisamente perch non semplice parte di un tutto sociale, viceversa sarebbe
individualit. Luomo, precisamente perch al tempo stesso un bene particolare e
un supremo bene universale, si trova in uno stato di tensione spirituale. Le persone
sono parti di unopera sociale comune alla quale sono subordinate, e al tempo stesso
hanno una vocazione che supera il bene comune, che diventa strumento rispetto al
destino eterno della persona.
Affinch il bene comune possa essere considerato realizzato occorre che non abbia
alcun pregiudizio del bene della persona. Infatti, un canone dellordine etico quello
dellequivalenza dei valori indipendentemente dal fattore qualitativo: il diritto di un
uomo sacro quanto quello di un milione di uomini42.
Quando il bene comune inteso in questo modo, non ha gi senso listanza del
liberalismo individualistico che vede nel bene comune una minaccia al bene privato.
Questa preoccupazione del liberalismo individualistico sarebbe giustificata soltanto
se si intende il bene comune come la quantit maggiore che pu imporsi ad una
quantit minore. Tanto per le dottrine utilitaristiche quanto per le dottrine che ri-
solvono le relazioni sociali a mere relazioni di forza, il fattore quantit decisivo: per-
ci il malinteso bene comune considerato nemico del bene particolare, e nemico
pericoloso perch pi forte quantitativamente. La relazione tra persona e bene co-
mune deve per essere considerata come relazione tra due qualit. Da vari decenni
le leggi hanno relativizzato in molti Paesi la sua natura di cellula primordiale della so-
ciet. Spesso le leggi cercano pi di adattarsi ai costumi e alle rivendicazioni di par-
ticolari individui o gruppi, che non di promuovere il bene comune della societ43.
42
Cf. G. Del Vecchio, Saggi intorno allo Stato, Roma 1935, 117.
43
Benedetto XVI, Discorso, la prima volta, Alla Conferenza Episcopale francese, 14 settembre 2008,
in http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/september/documents/hf_ben-xvi_spe_
20080914_lourdes-vescovi_it.html.
44
Concilium Vaticanum II, Decl. Dignitatis humanae, De libertate religiosa, 7 decembris 1965, n. 6a:
Cum societatis commune bonum, quod es summa earum vitae socialis condicionum, quibus homines suam ipsorum
perfectionem possunt plenius atque expeditius consequi, maxime in humanae personae servatis iuribus et officiis con-
sistat, in AAS 58 (1966), 933.
45
Concilium Vaticanum II, Const. past. Gaudium et spes, De Ecclesia in mundo huius temporis, 7 de-
cembris 1965, n. 26a, in AAS 58 (1966), 1046.
46
Ioannes XXIII, Litt. Enc. Mater et magistra, De recentioribus rerum socialium processibus christiana prae-
cepta componendis, 15 maii 1961, II: Sed ad hos optatos exitus quo facilius pervehatur, debent qui publicae
85
Mara Victoria Hernndez Rodrguez
Pacem in terris47. Da questi testi si possono ricavare le seguenti caratteristiche del bene
comune:
lesigenza del rispetto dei diritti e doveri della persona umana, da cui si pu evi-
denziare la tendenza personalistica dellespressione conciliare;
lessere comune alla societ e agli individui contemporaneamente;
lessere distribuibile a tutti, per cui una nota caratteristica dello stesso bene
comune la comunicabilit;
si distingue non solo quantitativamente ma anche qualitativamente dal bene
degli individui che per la loro natura un bene singolare, individuale, tenendo pre-
senti le osservazioni gi evidenziate sul bene comune della Chiesa;
non radicalmente contrario al bene degli individui.
Per il Concilio Vaticano II il bene comune
[] bonum commune seu summam earum vitae socialis condicionum quae tum
coetibus, tum singularis membris permittunt ut propriam perfectionem plenius
atque expeditius consequantur48.
Nella Chiesa, il bene del fedele e del Popolo di Dio nella sua totalit si realizza
attraverso le leggi morali, che tendono pi al bene degli individui, e le leggi giuri-
diche, rivolte prevalentemente al bene societario; trova, tuttavia, la sua unit pro-
fonda nella suprema legge, la salvezza delle anime.
Il bene comune lessenza della legge, per cui la legge stessa perde il suo valore
e la sua efficacia giuridica nel momento in cui non lo perseguiti pi.49 Nel dubbio
se persegue effettivamente il bene comune, la legge deve essere osservata poich si
presume sempre che tenda verso il giusto e sia conforme alla giustizia; per superare
tale presunzione, intrinseca al concetto stesso di legge, si deve provare il contrario.
Rimangono nel caso due soluzioni possibili da parte del popolo di Dio e della co-
munit interessata: cio, chiedere al legislatore competente la revisione della legge
in questione; oppure iniziare consapevolmente e legittimamente una consuetudine
contraria.
Nella Octogesima adveniens, Paolo VI affermer che i progetti politici a cui un cri-
stiano pu aderire dovrebbero essere indirizzati a realizzare forme dirette ad otte-
rei praesunt compertam habere rectam de communi omnium bono notionem, quae summam compectitur earum
vitae socialis condicionum, quibus homines suam ipsorum perfectionem possint plenius atque expeditus consequi,
in AAS 53 (1961), 417.
47
Ioannes XXIII, litt. enc. Pacem in terris, De pace omnium gentium in veritate, iustitia, caritate, liber-
tate constituenda, 11 aprilis 1963, II: Verum cum hac nostra aetate commune bonum maxime in humanae per-
sonae servatis iuribus et officiis consistere putetur, in AAS 55 (1963), 273.
48
GS n. 26.
49
Se il bene comune lessenza della legge, questa deve poterlo raggiungere in modo stabile; si presenta
dunque il problema della perpetuit della legge secondo due termini possibili: perpetuit positiva, che sa-
rebbe uguale a irrevocabilit della legge, e perpetuit negativa, che equivarrebbe a durata indefinita della legge.
86
La definizione di legge e il suo fine secondo san Tommaso dAquino
nere il vero bene comune, compreso il fine spirituale delluomo50. Un bene comune
cercato e ottenuto nella comunit sociale che deve essere garanzia del bene personale,
familiare e associativo, secondo linsegnamento conciliare51.
Tra i principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa troviamo la dignit
della persona umana, nella quale trova fondamento qualsiasi altro principio e con-
tenuto della dottrina sociale52, pertanto il bene comune, la sussidiariet e la solida-
riet. Il bene comune della societ non un fine a se stesso: esso ha valore solamente
in riferimento allottenimento dei fini ultimi della persona e al bene comune uni-
versale dellintera creazione. Infatti, poich il bene comune non un qualcosa di
privato, ma precisamente comune e destinato a tutti, esso deve essere distribuito a
tutti i membri. Il suo fine principalmente morale implica la centralit della persona,
in vista del suo perfezionamento.
50
Paulus VI, Epist. apost. Octogessima adveniens, octogesimo expleto anno ab editis Litteris Encyclicis e
verbis appellatis Rerum Novarum, 21 aprilis 1971, n. 46, in AAS 63 (1971), 433-435.
51
GS, n. 32.
52
Ioannes XXIII, Mater et magistra, in AAS 53 (1961), 453.
87
N O T E
Roberto Fornaciari
MOMENTI, SISTEMI E FIGURE
DEL MONACHESIMO ITALIANO CONTEMPORANEO
Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo in Italia
dallUnit nazionale ad oggi (1861-2012)
1
R. Fornaciari, Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci. Levoluzione istituzionale del mo-
nachesimo dallUnit ai giorni nostri, in Cristiani dItalia. Chiese, societ, Stato, 1861-2011, vol. II, Roma 2011,
911-927.
2
Si possono citare P. Hnigsheim, Mnchtum, in Religion im Geschichte und Gegenwart, 4 (1960),
1070-1072; G. Laczkowski, Mnchtum, in Lexicon ft Theologie und Kirche 8 (1962), 544; J. Leclercq,
Le monachisme comme phnomne mondial, in Le Supplement 26-27 (1973-1974), 461-478 e 93-119.
3
R.M. Parrinello, Monachesimo cristiano, in Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento, a cura di
A. Melloni, vol. II, Bologna 2011, 1078.
4
V. Cattana, Storiografia ed erudizione monastica tra Otto e Novecento, in Il monachesimo in Italia tra Vati-
cano I e Vaticano II, Atti del III Convegno di studi storici sullItalia benedettina (Badia di Cava dei Tirreni 3-5,
91
N O T E
settembre 1992), a cura di F.G.B. Trolese, Cesena 1995, 473. Di seguito citato: Il monachesimo in Italia. Diverso
pu essere il discorso sulla storiografia monastica italiana che si occupata delle epoche precedenti, a questo ri-
guardo G. Penco, La storiografia monastica italiana negli ultimi trentanni, in Benedictina 46 (1999), 445-478.
5
Cf. G. Penco, La storiografia monastica italiana tra aspetti istituzionali e indirizzi culturali, in Dove va la
storiografia monastica in Europa?, Atti del Convegno internazionale (Brescia-Rodengo, 23-25 marzo 2000), a
cura di G. Andenna, Milano 2001, 21.
6
Va subito rilevato quello che uno dei caratteri fondamentali della vita monastica nellet contempo-
ranea in confronto di quella di altre epoche, e cio lessere diventata (dal punto di vista esterno) una compo-
nente piuttosto secondaria della vita della Chiesa al punto che la sua pu essere definita una sorta di
microstoria, limitata per lo pi allinterno delle vicende domestiche: G. Penco, La vita monastica in Italia dal
Vaticano I al Vaticano II, in Il monachesimo in Italia, 2.
7
Penco, La vita monastica in Italia, 3.
8
Parrinello, Monachesimo cristiano, 1109.
9
Cf. Parrinello, Monachesimo cristiano, 1109; G. Penco, Note sulla vita eremitica in Italia nellOttocento,
in Studia Monastica 12 (1970), 311-315; F. Ferrero, s.v. Eremitismo individuale in Occidente (dal sec. XV),
in Dizionario degli Istituti di perfezione, III, Roma 1976, 1245-1258.
10
Sugli eremiti dellItalia centrosettentrionale vedi I. Turina, Esperienze eremitiche nellItalia contempora-
nea. Valutazione di unindagine sociologica, in Sanctorum 3 (2006), 165-180; ID., I nuovi eremiti. La fuga
mundi nellItalia di oggi, Milano 2007.
11
Parrinello, Monachesimo cristiano, 1110.
12
Cf. ad es. G. Penco, Tra due riviste benedettine: la storiografia monastica italiana nel ventennio 1927-1947,
in Benedictina 51 (2004), 151-179.
92
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo
siste a una nuova inversione di tendenza come mostrano le attivit intraprese dal Centro sto-
rico benedettino italiano, dal Centro di studi avellaniti13 e da singole congregazioni che hanno
riscoperto un nuovo interesse per la propria storia, come la vallombrosana e la camaldolese,
rivolto per prevalentemente allepoca medioevale e rinascimentale, i cui lavori si affiancano
agli studi di cultori di storia locale ai quali era ormai demandata la materia.
Ne deriva che molti temi, specie quelli pi generali, di intersezione tra il mondo mona-
stico e il resto della societ rischiano di rimanere un po in ombra, perch ancora non sono
stati oggetto di unindagine approfondita. Si pu usufruire di opere riguardanti la soppressione
dei monasteri in et napoleonica e gli effetti della Restaurazione ma limitatamente ad alcune
regioni, come anche di repertori regionali14 e monografie su singoli monasteri o biografie re-
lative a singoli personaggi o a serie di abati, spesso per condotte con criteri pi agiografici
che storico-scientifici, come pure non mancano edizioni di opere appartenenti alla memo-
rialistica. Osservava ancora Penco che quasi nulla comparso per ci che riguarda la perio-
dizzazione, la cultura monastica, la letteratura, larte, la spiritualit, ossia proprio quel tessuto
connettivo che unisce ambienti e movimenti al di l delle diverse epoche e appartenenze geo-
grafiche e istituzionali15.
Anche riguardo a un argomento specifico come la prima guerra mondiale, malgrado una
vastissima bibliografia in cui sono presenti alcuni studi che trattano della posizione assunta
dal clero e alcuni altri relativi ai cappellani militari e ai cosiddetti preti-soldati, sono invece
carenti se non completamente assenti studi specifici sulle congregazioni religiose. Mancano
ancora studi di genere che considerino lesperienza religiosa femminile a parte quelli di Gian-
carlo Rocca sulle congregazioni femminili16.
La storiografia recente ci ha portati a valutare come sia spesso molto significativo vagliare
attentamente un particolare che fa parte di un pi vasto sistema per vedervi riflesso come
in un microcosmo lintero orizzonte entro cui esso si colloca. Un simile sguardo non risulta
estraneo agli interessi attuali della storiografia verso la contemporaneit o, addirittura, verso
la storia attuale e immediata, aiutando a cogliere meglio i rapporti tra passato prossimo e pre-
sente e riproponendo, quasi in maniera palpabile, la possibilit di una verifica di concetti sto-
riografici come continuit, crisi, rinascita, riforma, restaurazione, vecchio e
nuovo monachesimo che cos frequentemente sono applicati ai diversi periodi della storia
medioevale17.
Estremamente scarso appare il numero delle opere di sintesi riguardanti la storia degli or-
dini o delle singole congregazioni presenti in Italia. Daltronde non si pu fare a meno di ri-
levare come la storiografia monastica sia per sua natura storiografia di singoli monasteri, anche
se ci fa molta fatica ad essere recepito [] e questo comporta di per s uninevitabile fram-
13
Al Centro di studi, fondato nel 1974 al Monastero di Fonte Avellana dal card. Pietro Palazzini e da don
Ramiro Merloni, si deve la pubblicazione di sette volumi di carte di Fonte Avellana, di una piccola serie di opere
monografiche oltre che degli atti di una lunga seie di convegni, di cui il primo celebrato nel 1977. Cf. L.
Ricci, Il pellegrinaggio del Cardinale Pietro, in Monachesimo e vita religiosa. Rinnovamento e storia tra i secoli XIX-
XX, Atti del XXII Convegno del Centro Studi Avellaniti, S Pietro in Cariano (VR) 2002, 271-283.
14
Ad es.: G. Spinelli (a cura di), I monasteri benedettini della diocesi di Bergamo. Repertorio, Cesena 1976;
P. Zavotto, Il monachesimo benedettino del Friuli. Introduzione e repertorio, Quarto dAltino 1977; G. Picasso
(a cura di), Monasteri benedettini in Lombardia, (Fontes Ambrosiani 65), Milano 1980; G. Spinelli (a cura di),
Monasteri benedettini in Emilia Romagna, Milano 1980.
15
Penco, La storiografia monastica italiana, 19.
16
G. Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, in Religiose, religiosi, economia e societ nel-
lItalia contemporanea, a cura di G. Gregorini, Milano 2008, 29-101; Id., Le religiose italiane, in Cristiani
dItalia. Chiese, societ, Stato, 1861-2011, Roma 2011, 959-973.
17
Rocca, La storiografia italiana sulla congregazione religiosa, 21-22.
93
N O T E
mentazione del discorso18. Per una visione generale fino allo scorso anno occorreva rifarsi an-
cora al secondo volume della Storia del monachesimo in Italia di Gregorio Penco, che risale per
al 1968, la cui lettura pu essere integrata dagli atti del gi citato terzo convegno di studi sto-
rici sullItalia benedettina19. Dal maggio del 2011 possiamo fare riferimento alla Storia del
monachesimo occidentale dal medioevo allet contemporanea. Il carisma di san Benedetto tra VI
e XX secolo, data alle stampe da Mariano DellOmo dellAbbazia di Montecassino. Si tratta di
una nuova sintesi, condotta con metodo scientifico, della storia dellesperienza monastica be-
nedettina dalle origini fino ad oggi. Solo per la Congregazione sublacense, facilitata dal fatto
di essere lultima nata, esiste unopera di sintesi che copre buona parte del segmento tempo-
rale oggetto di questo studio.
In questa situazione, oltre che a singole monografie, occorre riferirsi agli articoli comparsi
in diverse riviste, in particolare sulla Rivista storica benedettina (1906-1926) e dal 1947 su
Benedictina.
Si attende la pubblicazione degli atti del convegno che si tenuto a Subiaco dal 4 al 6 ot-
tobre 2011 in occasione del bicentenario della nascita dellabate Pietro Casaretto e per il 150
anniversario di fondazione del Collegio internazionale missionario di S. Ambrogio in Roma
(1861).
18
G. Spinelli, Il monachesimo nella vita della Chiesa e nellesperienza spirituale degli ultimi due secoli, in Mo-
nachesimo e vita religiosa, 85.
19
Il monachesimo in Italia. Prezioso ma ormai datato P. Lugano (a cura di), LItalia benedettina, Roma
1929.
94
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo
Opere di sintesi
I testi ai numeri 1-4 non verrano nuovamente citati nelle sottosezioni.
10. E. Zaramella, Benedettini, in Dizionario degli Istituti di perfezione, I, Roma 1974, 1284-
1346, in particolare 1325-1346.20
20
Il Dizionario degli Istituti di perfezione (DIP), diretto prima da Guerrino Pelliccia (1962-1968) in se-
guito da Giancarlo Rocca (1969-2003), composto da dieci volumi editi dalle Edizioni Paoline di Roma tra il
1974 e il 2003, presenta numerosissime voci concernenti direttamente il monachesimo e non sono da tra-
scurarsi le molte altre in cui si possono rintracciare riferimenti ad esso; non quindi possibile la menzione di
tutte queste voci, nel presente lavoro verranno richiamate le principali e quelle che possono rivestire un par-
ticolare interesse.
95
N O T E
11. R. Fornaciari, Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci. Levoluzione isti-
tuzionale del monachesimo dallUnit ai giorni nostri, in Cristiani dItalia. Chiese, societ,
Stato, 1861-2011, vol. II, Roma 2011, 911-927.
12. R.M. Parrinello, Monachesimo cristiano, in Dizionario del sapere storico-religioso del Nove-
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Atti del XXII Convegno del Centro Studi Avellaniti, S. Pietro in Cariano (VR) 2002,
18-81.
96
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo
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Purituba-San Paolo (Brasile) (1967) Vallombrosani, camaldolesi (1966) e silvestrini (1973)
entrano nella Confederazione benedettina Capitoli generali straordinari per la revisione delle
Costituzioni Accoglimento dimissioni di G. Dossetti da pro-vicario generale di Bologna
(1968), suo ritiro a Gerico (1972) Nascita della comunit di Bose (E. Bianchi) e altre realt
monastiche di nuova fondazione Revisione della Lex propria della Confederazione (1970)
Il caso dellabate Giovanni Franzoni (1973) Nascita della commissione DIM allinterno del-
lAIM (1977) Convegno annuale delle abbadesse benedettine Scuola monastica delle be-
nedettine Il monastero di Isola San Giulio riconosciuto priorato sui iuris (1973).
101
N O T E
mitico Riapre leremo camaldolese di Rocca del Garda (1993) Costituzione del Segreta-
riato del DIM riconosciuto dal Congresso degli abati (1994) I cistercensi a Prad Mill
(1995) Bose: apertura fraternit di Ostuni (1998) Approvazione delle costituzioni del-
lUnione dei monasteri delle benedettine camaldolesi (1999) Segnali di crisi: abbandoni e
dimissioni forzate di abati, ristrutturazione comunit di San Paolo f.l.m. (2005), chiusura
Abbazia S. Croce in Gerusalemme (2011) Camaldoli: termine priorato Calati (1987), prio-
rato Bargellini (1987-2005), priorato Cozzarini (2005-2011) Montecassino: termine ab-
baziato DOnorio (2007) Vallombrosani termine abbaziato Russo (2007), silvestrini termine
abbaziato Pantaloni (2007), olivetani termine abbaziato Tiribilli (2011) Camaldoli: fonda
un monastero maschile in Tanzania (2010) Celebrazione millenario della fondazione di
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R. Nardin, G. Picasso, Unesperienza monastica tra storia medioevale e spiritualit contempora-
nea. I Benedettini di Monte Oliveto (Quaderni di Monte Oliveto 2), Monte Oliveto 2010.
102
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2.2. Basiliani
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195-269.
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Labate Giuseppe Cozza-Luzi archeologo, liturgista, filologo, Atti della Giornata di Studio (Bol-
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104
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San Michele in Isola Isola della conoscenza. Ottocento anni di storia e cultura camaldolesi nella
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Codice forestale Camaldolese, Foresta e monaci di Camaldoli un rapporto millenario tra ge-
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2.5. Cassinesi
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G. Mazzucco, Contributo alla definizione delle cronotassi abbazziali dei monasteri della Con-
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L. Crippa, Gita a Maredsous (1888) dellabate cassinese D. F.L. Zelli Iacobuzzi, in Benedic-
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G. Brizzi, Iconografia dei santi Bernardo Tolomei e Francesca Romana (secoli XV-XX), (Italia be-
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R. Nardin, G. Picasso, Unesperienza monastica tra storia medioevale e spiritualit contempora-
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2.10. Silvestrini
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A. Pantaloni, Un pioniere della fondazione silvestrina negli U.S.A.: d. Filippo Bartoccetti, in
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C. Tuderti, Contesa applicazione dei beni del soppresso monastero di S. Silvestro Abate in Nepi.
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V. Fattorini, Monaci silvestrini italiani missionari in Sri Lanka, in Inter fratres, 60 (2010),
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S. Tonini, La lenta ripresa della congregazione silvestrina nel sec. XX, in Inter fratres, 62
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L. Sena, La congregazione silvestrina in Italia dal Vaticano II allalba del terzo millennio, in
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2.12. Vallombrosani
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D.F. Tarani, Vita monastica e religiosa lungo i secoli, in Fiesole, una diocesi nella storia. Saggi con-
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D.F. Tarani, Vallombrosa. Labbazia e la congregazione. Note storiche, a cura di G. Monzio
Compagnoni, Vallombrosa 1994 [revisione critica di testi editi nel 1973].
L.B. Giustarini, Lotta per una stanza. Le vicissitudini della congregazione vallombrosana OSB
nei secoli XIX-XX, in n. 6, 143-161.
Bibliografia sul monachesimo vallombrosano in sezioni (pp. 157-161).
R.N. Vasaturo, s.v. Vallombrosa, Vallombrosane, Vollombrosani, in DIP, X, Roma 2003, 1692-
1702.
108
Roberto Fornaciari | Nota bibliografica per lo studio della storia del monachesimo
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N O T E
2.15. Biblioteche
G. Scannerini, Note sulla biblioteca di Praglia tra Ottocento e Novecento, in n. 9, 507-571.
F. G.B. Trolese, La dispersione delle biblioteche monastiche, in n. 5, 581-631.
D. Mazzucconi, Le vicende della biblioteca di Monte Oliveto Maggiore dopo la soppressione, in
n. 5, 633-684.
L. Merolla, La dispersione dei codici di San Michele di Murano, in n. 5, 685-699.
G. Mazzucco, Codici e incunaboli di monasteri cassinesi nelle raccolte librarie della Biblioteca Na-
zionale Marciana di Venezia, n. 5, 701-721.
R. Grgoire, Elementi di storia della biblioteca del monastero di S. Silvestro in Fabriano, in
Inter fratres, 55 (2005), 191-205.
L. Merolla, La biblioteca di San Michele di Murano allepoca dellabate Giovanni Benedetto Mit-
tarelli, Roma 2010.
R. Grgoire, Biblioteca e cultura nei monasteri silvestrini nei secoli XIX-XX, in Inter fratres,
62 (2012), 73-92.
110
Carlo Leonardi
APPUNTI DI FILOSOFIA NEOTOMISTA:
IL CONFRONTO BONTADINI-FABRO
SUL CROCEVIA TRA METAFISICA CLASSICA
E GNOSEOLOGIA MODERNA
A questo proposito, Fabro, con felice sintesi, amava parlare di opposizione fra trascenden-
tale classico (essere) e trascendentale moderno (auto-coscienza), [ poich] il moderno, a co-
minciare appunto da Cartesio, pone nellevidenza e quindi nella auto-coscienza dello Io-penso
trascendentale (il cogito assolutizzato o lIch denke berhaupt di Kant), e non nello essere-
della-cosa, il fondamento della verit2.
Ora, con riferimento al dibattito sullo gnoseologismo moderno, svoltosi in Italia nella
prima met del secolo scorso, sono da annoverare, da un lato, gli alfieri di quello che Prini de-
finisce un tomismo puro e rigido, testimoniato ad esempio dallopera di Mattiussi, autore
de Il veleno kantiano (1907), il quale riassume le ragioni di fondo del suo totale rifiuto di
Kant, sostenendo che chiunque creda di poter da lui accettare anche una piccola parte della
sua dottrina, sospettando che qualche punto di ci che abbiamo nellintelletto, per naturale
istinto, vogliamo a torto por nelle cose [], non avrebbe pi modo di salvarsi dallidealismo
e dallo scetticismo []. Se lerrore fosse nella stessa natura, non ci sarebbe rimedio!3
1
Il termine stesso di gnoseologia dovuto al filosofo moderno A.G. Baumgarten (1714-1762); cf. S.
Vanni Rovighi, Filosofia della conoscenza, ESD, Bologna 20072 (1a ed. 1963), 188.
2
G. Basti, Ontologia formale: Tommaso dAquino ed Edith Stein, in A. Ales Bello F. Alfieri M. Shahid
(a cura di), Edith Stein, Hedwig Conrad-Martius, Gerda Walther. Fenomenologia della persona, della vita e della
comunit, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2011, 107-388 (spec. 130).
3
G. Mattiussi, Il giuramento antimodernista, Bergamo 1909, 41, citato in P. Prini, La filosofia cattolica ita-
liana del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1996, 42. Questultimo riconosce altres che Fabro, al contrario, ha
saputo vedere la ricchezza problematica e la grande avventura di esplorazione della soggettivit che ha aperto
orizzonti nuovi [ed ha caratterizzato la filosofia moderna] (p. 60). A sostegno, poi, del proprio giudizio, Prini
cita il seguente passo di Cornelio Fabro in Introduzione allateismo moderno, Studium, Roma 1964, 1011: Il
polimorfismo del cogito e il conseguente battagliarsi delle contrastanti alternative non sono stati vani. Nella
frenesia di vincere il dubbio, facendo dellAssoluto la testa di ponte, la coscienza cosiddetta autonoma ha spe-
rimentato in questi ultimi tre secoli la variopinta gamma delle sue affascinanti e terribili possibilit mostrando
che essa pu bens arrivare al nulla ma non raggiungere lessere. Da una parte infatti luomo si confrontato
con lInfinito in modo finito, e dallaltra si confrontato in modo infinito col finito: che in un caso si trat-
tasse di uno pseudo-Infinito di contenuto e nel secondo di pseudo-infinit di atto, ci non impedisce di ri-
conoscere la straordinaria ricchezza di valenze spirituali che a questo modo sono state evocate in una forma
prima sconosciuta.
111
N O T E
Dallaltro lato, non mancato chi come Zamboni abbia difeso il primato della gno-
seologia pura, che discende dallinaffidabilit dei dati della sensibilit per la nostra cono-
scenza del reale nella sua inseit. Era una constatazione ben nota nella filosofia moderna e
rifiutata soltanto dalla persuasione del senso comune e di alcuni scolastici che non vogliono
essere critici!4 Hume, conclude Zamboni,
con tutti i filosofi seri da Tommaso a Rosmini, si era gi accorto che i sensi (esterni) non ci for-
niscono delle cose n la sostanza (atto di essere ed essenza sostanziale), n gli accidenti, n
lazione, n vera passivit, n vera causalit: nulla dunque di ci a cui connessa la necessit (dei
principi fondamentali della sostanza e della causa). Ci rivelano soltanto la successione e la si-
multaneit pi o meno regolari delle nostre impressioni5.
Certamente, avverte Prini, non si tratta di un tomismo che corrisponda con esattezza
alle sue fonti filologiche e gli avversari dello Zamboni hanno avuto buon gioco nel rinfacciargli
alcune sue infedelt di interpretazione6.
Del resto, aggiunge Prini,
il conflitto che si profila tra due metafisiche: quella dellessere e quella dellesserci, quella del-
lactus essendi e quella del fatto di esistere, di esser l davanti ad una coscienza. evidente
che san Tommaso sta dalla parte della prima e lempirismo positivistico moderno della realt
non fondata, anemica e puramente fattuale sta da quella della seconda7.
In tale situazione di radicale contestazione del veleno kantiano, da una parte, e di gno-
seologia pura, dallaltra, Gemelli present nel 1924 al Congresso filosofico di Napoli in oc-
casionane del VII centenario della canonizzazione di Tommaso dAquino la terza via nella
quale, a suo dire, doveva indirizzarsi la neoscolastica italiana, in seguito allistituzione del-
lUniversit Cattolica di Milano:
Oggi una terza tendenza, fresca di energie giovanili, sta formandosi in Italia []. Di que-
sta terza tendenza, che considera in modo tutto proprio la vitalit e le deficienze del Tomismo,
espressione e propugnatrice la Scuola che io ho lonore di avere fondata e di reggere. Pare cio
a noi che lo stesso principio della razionalit della storia vieti di tagliare il corso storico della
cultura in due parti e di condannarne una. Come inconcepibile che la storia si sia svolta ra-
zionalmente solo sino al secolo XIII, cos inammissibile che la razionalit si inizi con Carte-
sio o con la Rinascenza italiana. Nella sua evoluzione perenne, la storia ha ununit dinamica,
la quale un altare su cui nulla si sacrifica alla morte, ma dove tutto si coordina armonicamente
nellorganicit del reale e nella continuit dello sviluppo []. Insomma, tra il san Tommaso
dei ripetitori, che lhanno mummificato, ed il san Tommaso dei carnefici, che vorrebbero tru-
cidarlo, pare a noi che ci sia posto per il san Tommaso di coloro che nello sviluppo della cul-
4
G. Zamboni, Scolastica, filosofia moderna, neoscolastica, Milano 1932, 46.
5
G. Zamboni, A distanza di un secolo: note esegetiche e critiche alla dottrina della conoscenza di Antonio Ro-
smini, Verona 1929, 109.
6
Prini, La filosofia cattolica italiana del novecento, 50.
7
Prini, La filosofia cattolica italiana del novecento, 49. Non vi dubbio, poi, che la posizione di Zamboni
rievocasse in qualche misura le tesi moderniste, censurate nellenciclica Pascendi (1907) di Pio X, in quanto
ritenute capaci di condurre allagnosticismo, vale a dire alla dottrina secondo la quale la ragione umana
ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che
apparisce []. Per lo che non dato a lei dinnalzarsi a Dio, n di conoscerne lesistenza, sia pure per intro-
messa delle cose visibili.
112
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista
tura cedono al programma di Marsilio Ficino: a bono in bonum; di coloro, cio, che la storia
non concepiscono come un succedersi di corsi e ricorsi, n un avvicendarsi di costruzioni e di
distruzioni, bens come la spirale di Goethe, come un vero progresso, in cui la inadeguatezza
fra un sistema costruttivo e le esigenze sperimentali della coscienza sospingono innanzi, per la
via anche di affermazioni errate, se si vuole, le quali per si armonizzano poi nella philosophia
perennis, dopo essere state corrette e spogliate dalle loro esagerazioni e dalle loro scorie8.
qui preconizzata quella piega attualistica, che costituisce a giudizio di Fabro il vi-
tium originis della neoscolastica legata allUniversit Cattolica di Milano, e a Bontadini in
particolare, il quale fu il pi strenuo assertore del guadagno teoretico, scaturente dalla sin-
tesi dialettica tra il realismo metafisico (tomista) e il principio idealistico, rappresentato dalla
filosofia di Gentile.
***
Sar questaccusa, a tratti molto dolorosa, dalla quale Bontadini, dovr difendersi per
una vita: quella di essersi lasciato irretire dal fascino idealista fino al punto di cedere (anche
solo implicitamente) verso posizioni potenzialmente immanentiste e solipsistiche9.
Ebbene, il filosofo milanese riconosce in principio che la deviazione metafisica, riscon-
trabile agli inizi della filosofia moderna, identificabile con
la prospettiva idealistica: secondo la quale il pensiero moderno avrebbe dissolto la cosiddetta
trascendenza dellessere al conoscere, e con ci stesso posta lintrascendibilit, e pertanto, las-
solutezza del conoscere stesso []. La filosofia moderna, cos traguardata, risulta, pertanto,
gnoseologistica, intendendosi per gnoseologismo il predetto predominio del problema del co-
noscere10.
Sennonch, evocando una sorta di astuzia della ragione di hegeliana memoria, Bonta-
dini prosegue:
La conclusione idealistica mentre dissolve ben legittimamente la trascendenza presup-
posta o dogmatica, restaura in effetti cosa di cui ci si pot render conto dopo lidealismo, a cose
decantate la possibilit di una trascendenza non dogmatica []. Allora: 1) posto che la pre-
supposizione naturalistica (il realismo dualistico presupposto) sia responsabile (o almeno cor-
responsabile) della crisi e del rifiuto della metafisica; 2) essa per rappresenta un disguido
teoretico, precisamente o semplicemente perch un presupposto; 3) tale disguido viene cor-
retto dalla stessa filosofia moderna, che pure da esso prende labbrivio. Si scorge da questa pun-
tualizzazione che la filosofia moderna quel ciclo in s raccolto un ciclo che sopprime se
stesso, che, per cos dire, si fa dimenticare, in quanto la sua conclusione leliminazione del suo
stesso presupposto di partenza11.
Dunque, vi una deviazione metafisica allorigine del pensiero moderno, ma una devia-
zione che lo stesso pensiero si incaric di superare. Lo gnoseologismo afferma Bontadini
8
A. Gemelli, Il mio contributo alla filosofia neoscolastica, Vita e Pensiero, Milano 19322 (1a ed. 1926), 8ss.
9
L. Grion, Biografia di Gustavo Bontadini, in C. Vigna (a cura di), Bontadini e la metafisica, Vita e Pen-
siero, Milano 2008, 495-502 (spec. 498).
10
G. Bontadini, La deviazione metafisica allinizio della filosofia moderna, in Scritti in onore di Carlo Gia-
con, Antenore, Padova 1972, 365-381 (spec. 365).
11
Bontadini, La deviazione metafisica allinizio della filosofia moderna.
113
N O T E
pu ben considerarsi quindi una malattia e vi chi, riferendosi alla filosofia moderna, parl nel
secolo scorso di una patologia della mente umana: ma trattasi, secondo lautore, di malattia
dallesito fausto! Da qui muove anche lelogio riservato a Gentile: Per buona sorte, il risultato
maggiore di quella conclusione del ciclo moderno, in cui sta la dignit dellidealismo gentiliano,
proprio quello di avere ristabilita la possibilit della metafisica, ossia quella possibilit che, con
Kant, veniva negata in base ad una certa prospettazione del rapporto soggetto-oggetto o co-
noscere-essere12. Pertanto, il recupero della metafisica non dipende come di solito si dice
dal fallimento dellidealismo, ma dal suo inveramento: tale recupero va riconosciuto come
il frutto della secolare fatica dellidealismo13.
Ammesso quindi il debito di riconoscenza che lo unisce allattualismo gentiliano, Bon-
tadini descrive la propria posizione teoretica, definita neoclassica, la quale contempla il
momento dellidentit di idealismo-realismo14. Ecco come procede nella testuale rico-
struzione di Fabro la formulazione della tesi dellidentit di idealismo-realismo, espressa con
particolare baldanza da parte di Bontadini15:
(Origine) La posizione filosofica [di Bontadini] si form alla confluenza tra lidealismo
considerato specialmente nella sua edizione attualistica e la neoscolastica. Il che come dire
(e questa equivalenza si tratta appunto di illustrare): tra la filosofia moderna e la filosofia tra-
dizionale.
(La risoluzione idealistica) Giacch, sempre a mente di [Bontadini], lidealismo lepi-
logo della filosofia moderna; e la neoscolastica conserva il patrimonio essenziale della tradi-
zione premoderna.
(Tesi) La caratteristica di questa posizione filosofica, se una caratteristica pu esserle as-
segnata e, subordinatamente, un contributo esserle riconosciuto, che essa considera come
veri cio teoreticamente e criticamente validi, incontrovertibili tanto lidealismo quanto
la neoscolastica, una volta che luno e laltra siano portati alla loro espressione autentica, quale
12
G. Bontadini, Gentile e noi, in Id., Dal problematicismo alla metafisica, Marzorati, Milano 1952, 7-26
(spec. 11).
13
Cf. Bontadini, Gentile e noi, 16. Come risulter chiaro qui di seguito, Fabro fortemente critico verso
la filosofia neoclassica di Bontadini, la quale, invece, trova positiva accoglienza in L. Messinese, Il cielo della
metafisica: filosofia e storia della filosofia in Gustavo Bontadini, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, 38: Vista
nel suo esito ultimo, la filosofia moderna riesce a togliersi come filosofia della conoscenza, cio come quella
che pone quale suo problema pregiudiziale la questione delle capacit conoscitive del soggetto umano, e in
tal modo il venire in chiaro del dogmatismo inerente alle costruzioni metafisiche del pensiero moderno a ra-
gione avvistato da Kant non conduce necessariamente allimpossibilit del sapere metafisico. Infatti, con
la riconquistata identit intenzionale del pensiero con lessere affermata dal pensiero post-kantiano viene
a cadere la pregiudiziale negativa circa la metafisica come scienza, e, cos, questa viene ricostruita nella sua
possibilit []. Cos facendo la riproposta della metafisica classica non si pone semplicemente accanto o
di contro alla filosofia moderna, ma quale soluzione speculativa del problema metafisico al quale essa
stessa perviene al termine del suo processo.
14
Cf. G. Bontadini, Per una filosofia neoclassica, in La filosofia contemporanea in Italia. Invito al dialogo,
Arethusa, Asti 1958, 89-126.
15
Cf. C. Fabro, Lalienazione delloccidente, Quadrivium, Genova 1981, 82, laddove egli ricostruisce cri-
ticamente per intero il teorema bontadiniano, non celando la vis polemica che lo anima: Non si vuol ne-
gare che Bontadini conosca gli altri filosofi moderni [allinfuori di Gentile]: ma credo che non si distanti
dal suo itinerario intimo dicendo che li ha letti e compresi od almeno interpretati a ritroso secondo quello che
precisamente anche il criterio della storiografia idealistica per la quale lo Spirito avanza [] ad una sem-
pre pi esplicita realizzazione di se stesso cos che in questo avanzamento la filosofia, per dirla con Hegel e
con unespressione cara al Bontadini, va insieme con s.
114
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista
risulta dal compimento dialettico della loro intenzione originaria, o del loro fondamento spe-
culativo.
(Annullamento della polemica) Diciamo caratteristica questa nota, perch essa distingue la
posizione in parola sia dallatteggiamento che veniva preso generalmente dagli idealisti, come
da quello che veniva o viene preso, per lo pi, dai neoscolastici: i quali entrambi si son sem-
pre contenuti, rispettivamente come avversari. Si pu ricordare che questa opposizione veniva
considerata addirittura come lo scontro o la lotta di due mondi.
(Storicizzazione positiva dellopposizione) In quanto lidealismo il consuntivo della filo-
sofia moderna, e la neoscolastica lo scrigno dellantico tesoro, lautore tenendo come validi
luno e laltro, considera inautentico sul piano filosofico quello scontro o lotta; e tende
pertanto a fare la somma anzich, come luso pi corrente, la sottrazione degli apporti
dottrinali pi salienti della filosofia occidentale.
Non irenismo, per, n sincretismo precisa Bontadini ma come autenticazione
della filosofia moderna nella sua esigenza propria che solo ora [] si pu presentare nella
sua effettiva libera essenza come unica filosofia cristiana criticamente fondata16.
Nessun dubbio quindi che il Bontadini tratti di unidentit di realismo e idealismo [in-
concepibile per lo scrivente!], ch identit in senso forte cio strutturale, sovrastorica (anzi con-
tro la storia e presentata come fine delle opposizioni che la tradizione filosofica ha sempre
presentato e non cessa ancora di presentare) cio identit speculativa []. Lobiettivo della
tesi quindi evidente: sganciare lidealismo dallimmanentismo ateo e mostrare che lideali-
smo, qualora sia afferrato nella sua esigenza originaria, porta al realismo valido cio critica-
mente fondato []. Bontadini pu ora parlare del reciproco contributo della metafisica classica
e dellidealismo, grazie al quale essi vengono liberati dalle secche di una sterile per quanto se-
colare polemica che non avrebbe giovato a nessuno dei contendenti []. La critica antiideali-
stica, che caratterizza la filosofia contemporanea, [] nasconde, secondo il Bontadini,
unincomprensione di principio, cio del principio stesso dellessenza dellidealismo la quale ha
invece pieno diritto alla sopravvivenza nellinteresse della stessa metafisica quale patrocinata
dal realismo tomistico17.
16
Fabro, Lalienazione delloccidente, 85.
17
Fabro, Lalienazione delloccidente, 86ss. Severo e in sintonia con il pensiero di Fabro il giudizio
espresso recentemente da Vittorio Possenti in Dottrina della conoscenza, logica, metafisica. Gentile, Bontadini
e noi, in Per la filosofia: filosofia e insegnamento, XXIV (2007), 77-98: La filosofia dellessere e il realismo
non hanno bisogno di attendere limbeccata dellidealismo, n vi una verit dellidealismo che il realismo
gi non conoscesse e che debba far propria (p. 97)! Sul tema, cf. anche A. Sanmarchi, Lonere delle ascendenze
attualistiche e della questione gnoseologica nella filosofia di Gustavo Bontadini, Relazione tenuta al convegno
La filosofia cristiana dopo Giovanni Gentile, svoltosi presso la Pontificia Universit Lateranense, Roma 13
maggio 2005 (http://www.teorefilo.net/abstracts.html).
18
B. Mondin, Storia della metafisica, III, ESD, Bologna 1998, 701, il quale tiene a precisare che la for-
mula con oltre appartiene allo stesso Bontadini e ad un suo saggio intitolato: Con Tommaso oltre Tommaso,
in Rivista di filosofia neoscolastica, LXVI (1974), 813-817.
115
N O T E
sopravanzare le aporie che indiscutibilmente lidealismo stesso presenta, laddove tenti di ri-
solvere lessere nel pensiero (fenomenismo) ha cercato in verit riparo e approdo sicuro
nella metafisica dellessere di Parmenide, prima ancora che in quella dellAquinate (proprio
ci che mai gli verr perdonato da Fabro)19. Da ultimo, tuttavia, litinerario bontadiniano, me-
diante il ritorno a Parmenide, termina con lantinomia tra la constatazione del divenire, da
un lato, e la denuncia della sua contraddittoriet, dallaltro. La ragione ha, infatti, sotto di s
due protocolli, come li chiama Bontadini:
19
Cf. G. Perini, Pagine recenti di letteratura tomista, in Divus Thomas, 80 (1977), 398-422, il quale ben
riassume la tesi fondamentale di Fabro secondo cui la filosofia non potr rigenerarsi se non riprendendo il
suo compito primario e specifico che, come ammonisce Heidegger, il ritorno al fondamento, allessere
[]. Secondo Fabro, uno strumento adatto per tale auspicato ritorno della filosofia a se stessa il tomismo
inteso quale modello di pensiero universale []. Si tratta di un tomismo ridotto allessenziale (tomismo
essenziale) che, innanzi tutto, assume lessere e non lidea di essere o lessere della coscienza come ine-
sauribile fondazione dellattivit della coscienza, come atto di ogni atto, aperto allInfinito cio allEssere stesso
che Primo Atto (p. 404). E altrove lo stesso Cornelio Fabro in Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma
1969, 226ss, afferma: stato san Tommaso il primo, e per quanto mi consta rimane ancora lunico, a trat-
tare lesse stesso come atto, come latto di ogni forma e di ogni altro atto, grazie al quale qualsiasi altro atto e
forma pu dirsi in-atto: mentre per Aristotele lo eivnai come tale non e non significa nulla, ma si disperde
nella realt delle forme e nei significati della copula dei predicati del giudizio. Anche per san Tommaso,
come per Aristotele, lens polivalente: non per per disperdersi nella forma ma per raccogliersi nel suo atto
fondante ch lesse []. Il fatto che la nozione tomistica abbia potuto giovarsi della nozione biblica della di-
vinit (Exod. 3,14) e della tradizione ebraico-patristica che ha visto in Dio il mar dellessere non nuoce af-
fatto alla completa saldatura del discorso teoretico. Esso sinizia con lessere indeterminato (Parmenide), si
espande nel plesso delle forme trascendenti (platonismo), nel distinguersi delle forme immanenti (aristoteli-
smo) e si compie nellemergenza assoluta dellesse come atto intensivo (tomismo) di ogni forma []. stato
allora lapprofondimento tomistico dellatto, la scoperta dellesse al di l dellessenza, quel decisivo passo in-
dietro [auspicato pi volte da Heidegger, sebbene in tuttaltra direzione!] che ha recuperato la verit appena
intuita e subito smarrita dellente parmenideo.
20
G. Bontadini, Per una teoria del fondamento, in Sapienza, 26 (1973), 333-355 (spec. 342).
21
Bontadini, Per una teoria del fondamento.
22
G. Bontadini, Conversazioni di metafisica, II, Vita e Pensiero, Milano 1971, 193.
116
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista
ha ben poco a che fare anzi si oppone alla nozione classica di productio rei ex nihilo sui et
subjecti [a cui aderisce Tommaso]: la creazione come autoporsi dellessere, dato che il dive-
nire detto non essere e in s contraddittorio [ rispetto al principio di creazione] laffer-
mazione dellimmutabilit dellessere e lesperienza non sono verit, ma solo momenti dialettici.
Bontadini concepisce tale Prima Veritas in due momenti:
a) mediante latto creatore il divenire visto insidente nellatto creatore, il quale insuc-
cessivo. La vera realt (lo ontos n) questo atto, ossia latto annullatore del non essere del di-
venire (sic!). E questo rapporto detto, con la terminologia del Severino [allievo di Bontadini],
la Struttura originaria o lIntero. Di qui:
b) lunica realt Dio e, poich Dio creatore, con la sua realt posta anche quella del
mondo. Quindi, non dal mondo a Dio ma viceversa da Dio al mondo. la forma dellargo-
mento ontologico, non per nella linea di santAnselmo, ma dellidealismo e del Gioberti per
i quali il mondo della finitezza apparire e non essere, che rimanda allessere del Tutto e del-
lAssoluto di cui manifestazione. Giustamente perci il Severino taccia il maestro di incoerenza
per voler salvare siffatto mondo e occuparsi ancora dei fenomeni, quando non si tratta altro
[] che di prospettare la verit come lapparire e lo scomparire sullo sfondo od orizzonte
dellessere. Non difficile vedere nella filigrana di questa prova ch detta di proposito dia-
lettica, e il termine significativo la dialettica idealistico-panenteistica di essere ed apparire:
in fin dei conti, il mondo per Bontadini come per lidealismo non ha realt in s e per s e ri-
mane nel suo fluire refrattario al pensiero23.
***
Fabro e Bontadini furono entrambi relatori al IV Convegno Nazionale dei docenti italiani
di filosofia nelle Universit, Seminari e Studentati religiosi dItalia, svoltosi ad Assisi dal 27
al 29 dicembre 1972, sul tema: Il problema del fondamento, i cui Atti, inclusi i dibattiti con-
gressuali, sono raccolti nella rivista Sapienza del luglio-dicembre 1973.
Fu un momento di chiarificazione importante, da cui Fabro trasse ispirazione per scrivere
il pamphlet: Lalienazione delloccidente (1981), volto a contestare la teoria neoclassica e il ri-
torno a Parmenide di Bontadini, ma soprattutto le evoluzioni aberranti che ad avviso di
Fabro tale indirizzo di pensiero ha avuto in Severino24.
Dal confronto emerse innanzitutto come, per Bontadini, fosse il negativo a chiamare in
causa il fondamento: Il primato che cos viene attribuito al negativo connesso al fatto
(factum rationis) che solo con la comparsa del negativo si apre lo spazio per il fondamento (an-
zitutto per la richiesta del fondamento). Del puro positivo, infatti, non si d ragione, o fon-
damento [ di modo che] il primato del negativo primato dialettico la via della
posizione del primato del positivo25.
Si pu dire allora commenta Fabro che il momentum metaphysicum del divenire nella
sua negativit, ossia nel non avere nessuna positivit, poich proprio dellesperienza del di-
venire il suo continuo passare ad altro (Hegel), che Bontadini indica con lespressione for-
23
Fabro, Lalienazione delloccidente, 91ss.
24
Sui rapporti tra Bontadini e Severino, cf. L. Grion, Bontadini vs. Severino e L. Messinese, Nota sul punto
di arrivo della disputa tra Severino e Bontadini, in Vigna (a cura di), Bontadini e la metafisica, 417-479 e 481-
493. Sulle repliche severiniane a Fabro, cf. il recente E. Severino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Riz-
zoli, Milano 2011.
25
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 333ss.
117
N O T E
male di venire meno del dato, da cui scaturisce appunto la contraddittoriet del divenire,
che viene chiamata la grande contraddizione []. Se non che, tocca osservare, per il fatto che
Bontadini pensa di fare il passaggio dal divenire, inteso come pura negativit, allImmobile,
come Tutto della positivit, puntando tutto sulla negativit, non sfugge alla risoluzione pa-
nenteistica: egli si sforza di sfuggirla con il semantema del principio di creazione, ove per
non si tratta di creazione come produzione dellente dal nulla, ma come apparizione del-
lEssere al nulla del divenire, che continua ad essere nulla in s perch questa negativit che
fa fare (si badi bene!) il balzo verso lImmobile []. In conclusione, per il Bontadini: a) il di-
venire (ed in esso si deve includere il molteplice e diverso) come tale, e come tale per-
mane, contraddittorio poich il suo essere non-essere, nella linea di Parmenide, Platone
secondo lesegesi idealista seguita da Bontadini e Severino;26 b) tale contraddittoriet o nega-
tivit assoluta esige la metbasis eis allo ghnos, il passaggio del mobile allImmobile come as-
soluto di positivit che assume e ingloba in s il divenire. Attenzione ora alla conclusione del
tutto coerente: c) Lente [il divenire] che temporale [nulla] in quanto empirico, eterno in
quanto divino. Ma il secondo in quanto risolve in s il primo senza residuo.27 Se non che,
tocca subito aggiungere, non pu leterno e il divino, che il positivo nella stessa posizione
del Bontadini, risolvere in s il temporale, che per lui il negativo, poich quel positivo
Bontadini stesso lo ripete di continuo sorge e si aderge da/su quel negativo che gli fa da
spalla, anche se poi si dice o piuttosto si postula che il positivo (lImmobile) Grund del di-
venire temporale: per risolvendolo in s. Quindi il negativo non molla la sua stretta sulles-
sere e sulla verit e la metafisica resta compromessa alla radice: lo sviluppo antimetafisico e ateo
delle filosofie contemporanee, figlie variopinte ma fedeli del cogito moderno, stato del tutto
coerente e inevitabile28.
La morsa del negativo, quindi, stringe in assedio lente che indicato da Severino in os-
sequio al pensiero del maestro Bontadini, cos almeno ritiene Fabro come non-niente, ove,
annota questultimo, il qualificante e fondante riportato o riferito al fondamento del niente
(non-niente) come semantica appunto significante (sic!)29.
Qui la distanza da Fabro, per il quale lens ens in quanto finite participat esse, non po-
trebbe essere maggiore: Dire pertanto che lente il non niente non esprime alcunch, n
nella sfera dellessenza n in quella dellessere: qui le due negazioni (non-niente) non fanno
unaffermazione, come in matematica, ma reduplicano il negativo e fanno il vuoto radicale
allinterno dellanima30.
E ancora: Come giustifica Severino che lente un non-niente, cio laffermazione
che comporta la negazione della negazione? Quale affermazione pu mai essere lessere, se il
26
Lalienazione delloccidente, 140ss, al contrario, ritiene che il divenire non sia contraddittorio e lo afferma
esplicitamente: Lopposizione di Aristotele, non solo agli Eleati e allo stesso Platone, precisamente non la
semplice affermazione della realt del divenire e dei molti di contro allEssere e allUno immobile, ma la sco-
perta e articolazione del nuovo logo dialettico, cio la convinzione che la realt stessa convenga sia allente
molteplice che al divenire (il molteplice e il divenire non sono del tutto la stessa cosa, quello riguarda lente
come tale, mentre questo si rapporta alle sue eventuali mutazioni) riferita ad una duplicit di principi com-
plementari che sono la potenza e latto.
27
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 350; i termini qui inseriti tra parentesi quadre appartengono
a Fabro.
28
Fabro, Lalienazione delloccidente, 134ss.
29
Fabro, Lalienazione delloccidente, 116.
30
Fabro, Lalienazione delloccidente.
118
Carlo Leonardi | Note di filosofia neotomista
suo fondamento (Grund) posto nella negazione presa come latto originario dello spirito
e precedente, anzi, fondante lessere stesso?31
La risposta allinterrogativo di Fabro la fornisce indirettamente lo stesso Bontadini, al-
lorch, muovendo decisamente oltre Tommaso, lamenta che a suo sommesso avviso []
la fecondit costruttiva, la portata inferenziale, di cui avrebbe dovuto esser carico il concetto
di esse ut actus [] viene in piena luce se il concetto stesso compenetrato, per cos dire, con
quello che emerge considerando lopposizione al negativo, ossia intendendo lessere lac-
tus essendi, appunto nel suo originario opporsi al non essere32. E aggiunge:
La domanda Perch lessere piuttosto che il nulla?, che spuntata varie volte nella storia
della filosofia moderna [] con la sua implicita dubitazione che il nulla possa essere un con-
corrente dellessere, trae origine manifestamente dallesperienza del non essere dellessere del-
lesperienza, della sua contingenza. Continge lessere, ma, per ci stesso, continge il nulla; capita
che lessere, questo essere, ci sia, ma capita pure che non ci sia. Chi decide, allora, tra lessere e
il nulla?33
Codesta domanda ribatte Fabro per noi posteriore e non pu aver alcun significato
prima che non sia stabilito il cos lente e lessere dellente. Per noi la prima evidenza che
lente c: desso il primo svegliarsi della coscienza, al di l del quale non c [] che il buio
dello spirito34. Cosicch conclude Fabro:
31
Fabro, Lalienazione delloccidente, 122, laddove lautore cos completa il proprio ragionamento: La
doppia negazione pu essere funzione ponente cio affermante in matematica perch il numero un astratto
formale della quantit che pu astrarre dalla qualit dellessere: il due di due elefanti non un due maggiore
del due di due moscerini o di due microbi Non cos lessere dellente che tale in quanto ha sempre un con-
tenuto (essere elefante) che lo fa essere questo o quello nella diversit delle nature degli enti ed ha un atto
ponente cio latto di essere mediante il quale lente si trova collocato ed operante nella realt, sia allinterno
di s come nel suo ambiente fisico, biologico, sociale.
32
Bontadini, Con Tommaso oltre Tommaso, 813. In tal senso, cf. S. Vanni Rovighi, Storia della filosofia con-
temporanea, La Scuola, Brescia 1985, 742; la novit di Bontadini consiste proprio in questa volont di se-
mantizzazione del termine essere: La scolastica e la neoscolastica non avevano finora sentito lesigenza di
semantizzare il termine essere, paghe di dichiarare che lessere indefinibile perch quello in cui si risolve
ogni altro concetto; Bontadini ritiene invece necessaria la semantizzazione del termine, e afferma che il signi-
ficato di essere emerge solo in correlazione con il significato del non. In altri termini, non vi alcun contenuto
intenzionale del termine essere, se non in quanto esso esprime lopposizione al negativo (G. Bontadini, Con-
versazioni di metafisica, I, 291). Di contro alle critiche rivolte da Vanni Rovighi, Berti e soprattutto Fabro
verso siffatta eredit bontadiniana, che giunge fino a Severino, cf. L. Messinese, Lapparire del mondo. Dialogo
con Emanuele Severino sulla struttura originaria del sapere, Mimesis, Milano 2008, 369ss: La tesi di fondo di
Fabro che, per Severino, lessere non lactus essendi rigorosamente affermato da Tommaso, ma lessere
mentale posto dallatto del giudizio, che identifica il soggetto al predicato, la essentia (= il possibile), alla exi-
stentia (= lesistere di fatto). La mia tesi, al contrario, che lesse al quale fa riferimento Severino pur con tutti
i problemi che esso comporta sul piano del concreto articolarsi della filosofia prima lo stesso actus essendi
di Tommaso e non, semplicemente, lesse existentiae. Di pi, lactus essendi assunto esplicitando lorizzonte della
opposizione assoluta dellessere al non essere []. Severino, quindi, non afferma affatto leternit dellesistenza
di ogni ente a partire dallestensione indiscriminata dellesse existentiae ad ogni essentia nellatto del giudi-
zio, ma sostiene leternit di ogni ente a partire dalla valorizzazione, in una forma che egli ritiene pi rigorosa,
proprio dellatto di essere. Se le osservazioni critiche rivolte a Fabro hanno valore, la critica autentica da rivolgere
a Severino riguarda la tesi che, in Tommaso, il nichilismo si esprime nel concetto di partecipazione, concetto che,
invece, abbiamo visto essere intimamente connesso con quello antinichilistico di creazione.
33
Bontadini, Per una teoria del fondamento, 339.
34
Fabro, Introduzione allateismo moderno, 56. Cf. in merito A. Robiglio, La logica dellateismo. Il princi-
pio di non contraddizione secondo C. Fabro, in Divus Thomas, CII (1999), 120-143, il quale ricorda op-
119
N O T E
portunamente: A rigore quindi non si dovrebbe parlare dapprincipio del problema dellessere, se non come
problema di fondazione o risoluzione dellente. Dalla prise iniziale sur le complexe de lens, et non pas sur
ltre [C. Fabro, Rec. a A. Keller, Sein oder Existenz, in Revue Thomiste, LXX (1970), 456-463 (spec. 463)]
si passa (per viam resolutionis) alla distinzione di essenza ed atto dessere e a livello logico alla semantizza-
zione di essere e non-essere. Il percorso inverso [e qui il riferimento alla teoria del fondamento di Bontadini],
prendendo le mosse da una differenza (quella tra essere e non-essere) non fenomenologico-reale e non quali-
tativa (bens univoca e posta come tolta attraverso una negazione, a sua volta, univoca), ricade sotto la ti-
rannia dellidentit e dellunivocit, che ammette quale unico rapporto ad extra la negazione (p. 124).
35
C. Fabro, Lodissea del nichilismo, Guida, Napoli 1990, 14ss. E ancora cf. C. Fabro, La comunicazione
della verit nel pensiero di Kierkegaard, in Id. (a cura di), Studi kierkegaardiani, Morcelliana, Brescia 1957, 125-
164: Lerrore della filosofia hegeliana quello di identificare lessere col pensiero, il razionale con il reale, di
scambiare quindi la possibilit con la realt e si pu comprendere allora come la dialettica hegeliana sfuma nel
nulla (p. 139). Analoga considerazione svolta da V. Possenti in Dottrina della conoscenza, logica, metafisica,
84: Qui il trucco consiste nellassumere che lo svolgimento apriorico e logico-dialettico del pensiero sia identi-
camente lo sviluppo dellente: un assunto in cui si cela una magna hallucinatio in cui sembrano incorsi Hegel e
Gentile. Alla dialettica hegeliana, Fabro contrappone la dottrina dei medi di Kierkegaard, secondo la quale
il medio dellessere la realt extramentale, che comporta limpegno, la fatica, la sofferenza dellattuazione etica,
mentre il medio della possibilit, intesa propriamente come pensiero e riflessione, la fantasia, che non ne-
cessita di alcuno sforzo di attuazione. Se si confonde il pensiero con il reale, come avviene nella dialettica he-
geliana, tutti i possibili diventano realizzabili in quanto semplicemente pensabili e dunque tutto diventa
possibile. Lio viene colto da una vertigine infinitizzante che lo porta ad una sorta di onnipotenza fantastica.
Per Fabro, laver confuso il medio dellessere con quello del pensiero ha condotto Hegel, ed i suoi seguaci, ad
una ontologizzazione della fantasia e ad una fuga dalla realt e dallimpegno etico, che essa richiede; cf. A.
Sanmarchi, Lo stile come cifra della libert intellettuale: il filosofare secondo Cornelio Fabro, in Rivista di filo-
sofia neoscolastica, 93 (2001), 95-128.
120
R E C E N S I O N I
LETTERE DAL FRONTE CECILIANO Mauro Casadei Turroni Monti
123
R E C E N S I O N I
124
IL ROGO SULLA PIAZZA Antonio Palesati
Pia si domandava come resistere e da dove proprio questo suo esplicito sostegno in un
iniziare una rivincita che appare come contesto tanto importante scaten forze av-
lunica agenda possibile del futuro (dalla verse che portarono Amelli a interrompere
Prefazione di A. Melloni). Una cattolicit ogni impegno in questo campo.
attaccata e divisa anche al suo interno, sem- Nel 1885 si ritir allabbazia di Monte-
plificando, tra chi tenta di avviare movi- cassino, emettendo la professione religiosa
menti di riforma, accomunati dallidea che nel 1887. Vocazione monastica seguita dal-
solo un profondo rinnovamento della labate Bonifacio M. Krug priore a Monte-
Chiesa possa permetterle di non arenarsi su cassino fino al 1888, quando divenne abate
posizioni sempre pi sterili e amare; e chi, di Cesena. Erano quelli gli anni in cui il
dallaltro lato, aderisce a correnti reaziona- monachesimo italiano tentava faticosa-
rie, che si appellano a quei principi di au- mente di uscire dalla tragedia delle soppres-
torit che la modernit pare mettere in sioni decretate dalle leggi dello Stato nel
discussione. 1866, 1867 e applicate alla provincia ro-
Amelli partecipa a questa vita ecclesiale mana nel 1873. Il mondo monastico ita-
allinterno del movimento liturgico che alla liano si presentava tuttaltro che unificato,
fine dellOttocento si occupava, poteva per composto comera di piccole congregazioni
il momento solo occuparsi, di musica sacra. dalle tradizioni antiche, i cui monaci, pri-
Convinto che la strada da percorrere non vati dei loro beni e costretti alla dispersione,
fosse quella della modernizzazione, ma al con fatica erano riusciti a riformare le co-
contrario occorresse togliere tutto ci che munit e riaprire i noviziati. Con lecce-
lepoca moderna e barocca avevano appe- zione del processo di germinazione dai
santito, per tornare alle fonti pi pure: vi si benedettini cassinesi della congregazione
riconosce gi la premessa alla riforma litur- sublacense dellabate Casaretto, non esisteva
gica propiziata dal Vaticano II. In questo in Italia nulla di simile al processo di rina-
ambito fu a capo della corrente che soste- scita del mondo benedettino che aveva
neva la scuola di Solesmes contro quella di coinvolto molti paesi europei, in primo
Ratisbona per il restauro dellantica tradi- luogo Francia, Germania e Belgio dove
zione gregoriana. Ma fu biasimato dalla erano state riaperte abbazie e fondati nuovi
Congregazione dei Riti e si mise da parte, monasteri. Il riferimento ovviamente al-
fino a quando Pio X dopo un cambiamento lopera di Prospero Guranger (1805-
di tendenza avvenuto nel 1904, rilanci il 1877), rifondatore di Solesmes, e ai fratelli
suo contributo in questo settore. Mauro e Placido Wolter, fondatori di Beu-
Lopera di Casadei Turroni Monti si sof- ron e Maredsous. Mentre queste abbazie
ferma sullimpegno profuso nellambito crescevano e riproponevano un monache-
della musica sacra, ma Amelli fu anche bi- simo intriso di romanticismo che identifi-
blista, storico, archivista, codicologo e pa- cava il Medioevo come momento esemplare
leografo: sicuramente una delle figure pi a cui rivolgersi, per riprodurlo anche sul
caratteristiche della cultura ecclesiastica ita- piano organizzativo, musicale (tramite il
liana tra la fine del XIX e il principio del canto gregoriano) e architettonico, in Italia
XX secolo. buona parte delle congregazioni monastiche
Il suo nome resta soprattutto legato alla compiva notevoli sforzi per non scomparire.
restaurazione della musica sacra in Italia, di In campo politico Amelli fu conciliari-
cui fu iniziatore e attivo propugnatore con sta come labate Luigi Tosti; questa sua po-
numerose iniziative che spesso non ebbero il sizione, che oggi sarebbe definita di
successo auspicato e gli procurarono avver- pontiere, gli procur difficolt e laccusa
sioni e controversie. Tra laltro fu presidente di essere regalista, ma venne rivalutata aper-
del Congresso europeo di canto liturgico di tamente dopo il 1929.
Arezzo nel 1882, che costitu il primo fer- Era membro della Commissione Biblica
vente contributo italiano ai solesmensi. Ma e il suo nome legato allistituzione della
125
R E C E N S I O N I
Commissione per la Volgata (1907), di cui avveniva in questo campo in diversi paesi
divenne vicepresidente nel 1916. dEuropa. Una formazione che lo poneva
come personaggio eminente del ceciliane-
Dal 1908 aveva lasciato Montecassino simo italiano, movimento che tentava di
inviato come abate della Badia Fiorentina, superare il ritardo in cui versava la musica
ma con il triste compito di dover provve- sacra nel nostro paese a causa del forte in-
dere alla chiusura della comunit (1919). flusso esercitato dal melodramma e dal ge-
Durante il periodo in cui fu archivista a nere bandistico. Il movimento delle accade-
Montecassino, comp numerosi ritrova- mie di Santa Cecilia cercava di andar oltre
menti e forn contributi di carattere storico, questo repertorio di consumo attraverso un
alcuni dei quali pubblicati, altri rimasti ma- vasto progetto che comprendeva scholae can-
noscritti e poi perduti nella distruzione del- torum, produzione editoriale, associazioni
labbazia durante la Seconda guerra mon- per un ritorno a stili pi sobri e classici. Il
diale. Iniziatore dello Spicilegium Casinense volume offre contributi nuovi di indagine
e della Miscellanea Cassinese, Amelli mor a sia sul versante scientifico-musicale che in
Montecassino il 25 agosto 1933. ambito spirituale monastico con riflessi sulla
Il volume, che presenta una copiosa Congregazione benedettina cassinese. La
scelta del ricco carteggio conservato nellar- trascrizione delle lettere stata effettuata
chivio dellAbbazia del Monte di Cesena, seguendo criteri diplomatici, al fine di mo-
costituisce la prima monografia sullimpe- strare la koin culturale-linguistica degli scri-
gno profuso a favore della musica sacra in venti in rapporto alle abitudini primonove-
Italia da un personaggio che ebbe la possi- centesche.
bilit di rapportarsi direttamente a quanto Roberto Fornaciari
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GLI AUTORI
Roberto Fornaciari
Professore ordinario di storia del monachesimo e della vita religiosa in Toscana,
Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo
Anselmo Grotti
Docente di storia e filosofia nei licei, professore incaricato di sociologia della comu-
nicazione, Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo
Carlo Leonardi
Dottorando in filosofia, Universit di Siena
Donatella Pagliacci
Direttrice dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose Beato Gregorio X, Arezzo,
docente di filosofia morale
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