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Il Codice Italiano di Deontologia Medica (cdm 3 ottobre 1998) art. 14 dice che il
medico deve astenersi dallostinazione in trattamenti, da cui non si possa
fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento
della qualit della vita. Lart. 32 sottolinea infine che, per il principio
dellautodeterminazione di ogni soggetto, ogni trattamento, soggetto alla regola del
consenso informato non essendo consentito alcun trattamento medico contro la
volont della persona. Infine, allart 37 dice In caso di malattie a prognosi
sicuramente infausta pervenute alla fase terminale, il medico deve limitare la sua
opera allassistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutili sofferenze,
fornendo al malato, trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualit
della vita.
In caso di compromissione dello stato di coscienza il medico deve proseguire nella
terapia di sostegno vitale, finch ritenuta ragionevolmente utile. (Vedi principio di
proporzionalit delle cure)
Il lavoro di quipe
La complessit dei bisogni del malato terminale e della famiglia, incluso il supporto
durante il lutto, richiedono lintervento integrato in quipe di diverse figure
professionali competenti: infermieri, medici, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali
e spirituali. Cio una risposta altrettanto complessa. Lquipe un luogo di
confronto e di conforto dove i diversi professionisti che ne fanno parte, discutono e
prendono decisioni, si pongono obiettivi, si calano sui bisogni del malato e della
sua famiglia, riaggiornandoli, soprattutto perch in questi malati le condizioni
cambiano velocemente e gli interventi pertanto, devono essere rimodulati.
I setting assistenziali
Se lquipe il luogo di risposta ai bisogni complessi del malato e della sua famiglia
dal punto di vista assistenziale, la Rete lo , dal punto di vista organizzativo. La
Rete costituita dallassistenza al domicilio, in Hospice, in ambulatorio. Le cure
pertanto, possono essere realizzate al domicilio se il paziente lo desidera e la
famiglia, supportata adeguatamente, pu diventare parte integrante dellassistenza;
possono inoltre essere realizzate in ospedale e in strutture di ricovero specializzate,
chiamate hospices. Hospice il termine anglosassone che indica non solo un luogo
ma soprattutto un approccio, quello delle cure palliative. Di fatto le cure palliative
nascono in Gran Bretagna nella seconda met del Novecento a opera di Cicely
Saunders, una giovane donna dellalta borghesia inglese che, in seguito alle sue
esperienze prima come infermiera e poi come assistente sociale in ospedali del
Regno Unito, decise di occuparsi attivamente della cura dei pazienti inguaribili. Dopo
avere conseguito la laurea in medicina, la Saunders, grazie allimpiego di fondi
privati, fond e attiv nel 1967 a Londra il St. Cristophers hospice, la prima struttura
residenziale per lassistenza gratuita dei pazienti in fase terminale. Questa esperienza
di integrazione tra organizzazione del settore privato sociale e servizio sanitario
pubblico fu di riferimento per il movimento degli hospices nei Paesi anglosassoni e in
seguito in altre parti del mondo. Lintuizione di Cicely Saunders stata quella di aver
capito che le persone che si trovavano in condizione di terminalit avevano dei
bisogni DIVERSI da quelli delle persone che guarivano dopo un evento acuto. Era
quindi necessario, assisterli con altri occhi, cambiare lo sguardo dal malato acuto
al malato terminale era per loperatore sanitario un imperativo se si voleva
rispondere alla complessit dei bisogni di questi malati.
Modelli assistenziali
La caratteristica comune dei modelli assistenziali di cure palliative, sviluppati in
tempi diversi in tutto il mondo, riassumibile nel concetto di presa in carico globale
del paziente da parte di una quipe multiprofessionale e interdisciplinare allo scopo
di poter rispondere a bisogni specifici e differenziati in campo medico,
infermieristico, psicologico, spirituale e sociale.
Allo stesso tempo, unaltra caratteristica delle cure palliative lattenzione nei
confronti di quelle persone, familiari o amici, che si prendono cura (caregivers) del
malato e che rappresentano il cosiddetto supporto informale. La persona pi vicina e
importante per il paziente, e che diviene il principale interlocutore per il team di cure
palliative, viene definita caregiver primario. Lindividuazione dei bisogni del
caregiver comprende, nel rispetto assoluto della volont del paziente, unadeguata
informazione circa la diagnosi, la storia naturale e la prognosi della malattia. Questo
indispensabile per assicurare la qualit dellassistenza, per aiutare il paziente ad
affrontare scelte di carattere medico, sociale e personale, per alleviare paure
immotivate e attenuare lansia che deriva dallincertezza. La rete di supporto
informale si assume lonere di molte funzioni di assistenza domiciliare, dalla cura
della persona alla gestione dei farmaci, che vanno a sommarsi alle altre attivit
relative al vivere quotidiano. Spesso chi assiste un malato deve rinunciare o
ridimensionare i suoi impegni lavorativi con conseguente mancato guadagno e
modificazione del suo ruolo sociale. Vi evidenza di come i caregivers abbiano un
rischio elevato di incorrere in disturbi psicologici di tipo depressivo di diversa entit,
sindromi ansiose, disturbi del sonno e calo ponderale. I caregivers pi anziani, per la
loro maggiore fragilit, hanno un rischio aumentato di morbilit e mortalit.
Lidentificazione di categorie di caregivers ad alto rischio di tipo sia psicosociale sia
medico consente alle quipes di cure palliative di sviluppare un piano di assistenza
volto a evitare la perdita del sostegno fondamentale svolto dal sistema informale,
senza il quale qualsiasi assistenza domiciliare non potrebbe essere svolta. Il piano di
supporto al caregiver deve completarsi con un piano di assistenza durante la fase del
lutto, perch tale esperienza associata ad alto rischio di malattia depressiva e a
unalta mortalit.
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Quadro normativo
In Italia le cure palliative sono diventate tema di discussione di attualit dopo
lapprovazione del Piano sanitario nazionale (1998-2000) che, al fine di tutelare la
salute dei soggetti deboli, individuava come prioritaria lassistenza alle persone che
affrontano la fase terminale della vita, indicando le azioni da privilegiare, quali il
potenziamento dellassistenza medica e infermieristica a domicilio, il potenziamento
degli interventi di terapia palliativa e antalgica e la realizzazione degli hospices. In
quel periodo erano gi operanti esperienze spontanee di cure palliative di tipo
prevalentemente domiciliare, erogate e finanziate da organizzazioni di volontariato e
non lucrative del settore privato-sociale. Queste esperienze hanno rappresentato una
prima risposta della societ civile ai bisogni di pazienti in fase terminale e hanno
indicato la via da perseguire nello sviluppo di una rete assistenziale di cure palliative.
In considerazione del fatto che la sola attivit del settore privato-sociale non poteva
soddisfare le richieste di una grande utenza di malati, le istituzioni sanitarie italiane
hanno cominciato, ad approntare un piano strategico per colmare un vuoto
assistenziale molto vasto. La pubblicazione del programma nazionale per la
realizzazione di strutture per le cure palliative, del 28 settembre 1999 (Gazzetta
ufficiale n. 55 del 7 marzo 2000), e del decreto ministeriale recante i requisiti
strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per i centri residenziali di cure
palliative, del 20 gennaio 2000 (Gazzetta ufficiale n. 67 del 21 marzo 2000), ha
quindi consentito alle Regioni di creare le unit di cure palliative, composte da
medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali e operatori sociosanitari. Secondo le
indicazioni contenute nellaccordo della Conferenza unificata Stato e Regioni del 19
aprile 2001, la rete di assistenza ai pazienti terminali costituita da unaggregazione
funzionale e integrata di servizi distrettuali e ospedalieri, sanitari e sociali che eroga
le cure in diversi ambiti.
Lobiettivo era quello di gestire in modo unitario, da parte dellunit di cura, il
sistema di rete e di garantire ai malati e alle loro famiglie una continuit terapeutica e
assistenziale attraverso lospedale, lassistenza domiciliare e lhospice. Le esigenze di
elevata personalizzazione dellassistenza rendono necessarie strutture di piccole
dimensioni con numero limitato di posti letto.
Nella primavera 2008, al termine della legislatura, lallora ministro della Salute Livia
Turco firm il decreto ministeriale che prevede linserimento delle cure palliative
domiciliari e residenziali nei nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) per la
popolazione italiana. Secondo tali indicazioni, dovr essere garantita la continuit
assistenziale ai pazienti seguiti a domicilio attraverso la programmazione degli
interventi per tutti i giorni della settimana e la pronta disponibilit medica nelle 24
ore. Gli hospices vengono definiti come centri specialistici, in cui medici, infermieri e
operatori tecnici hanno competenze specifiche in relazione agli obiettivi che il piano
assistenziale si prefigge nei confronti del malato e della famiglia.
La conclusione di questo percorso legislativo, ha visto lapprovazione unanime, della
Legge 38/2010 che costituisce larchitettura delle cure palliative in Italia. Di fatto
la Legge 38 Disposizioni per garantire laccesso alle Cure Pallaitive e alla
terapia del dolore da indicazioni precise per lo sviluppo delle Cure Palliative
attraverso la Rete, la formazione, e lorganizzazione dei setting. (STUDIARE
BENE LA LEGGE 38). Successivamente, a luglio del 2012, laccordo Stato
Regioni, ha sancito le indicazioni per lapplicazione della suddetta legge in modo
uniforme su tutto il territorio nazionale. In tempi diversi, le Regioni hanno recepito le
indicazioni per la costituzione delle Reti Locali di Cure Palliative e per la
implementazione della Legge.
I punti salienti della legge possono essere cos riassunti:
a) Lobbligo per i professionisti sanitari (medici e infermieri) di rilevare,
misurare e monitorare nella cartella clinica il dolore dei malati affetti da una
qualsiasi condizione morbosa. Il dolore diviene quindi un parametro vitale
paragonabile ad altri quali la pressione arteriosa e la temperatura corporea.
b) Listituzione di due reti distinte di strutture sanitarie e di professionisti: una per le
cure palliative, laltra per la terapia del dolore. Tali strutture metteranno in
connessione diversi centri specializzati in questo tipo di cure, formando delle figure
professionali specifiche. Questa distinzione appare assai importante in quanto le
competenze dei professionisti e gli obiettivi delle cure palliative non coincidono
necessariamente con quelli della terapia del dolore.
c) La legge prevede una semplificazione e una facilitazione della prescrizione dei
farmaci oppiacei non iniettabili. I medici del sistema sanitario nazionale e i medici
di medicina generale potranno prescrivere questo tipo di farmaci con la semplice
ricetta del Servizio sanitario nazionale.
d) Al fine di ridurre le disparit in termini di costi e di qualit delle cure attualmente
presenti tra le diverse Regioni, la legge prevede unomogeneit delle tariffe per le
cure palliative su tutto il territorio nazionale.
e) Sar rafforzata lattivit dei comitati Ospedale senza dolore, istituiti
dallomonimo progetto ministeriale del 2001, per iniziative di tipo formativo e
operativo sulla terapia del dolore in ambito ospedaliero e territoriale. Inoltre
prevista listituzione di master professionali per i professionisti impegnati nelle cure
palliative e la terapia del dolore.
f) La legge introduce infine la definizione del diritto per i pazienti minori di 18 anni
di ricevere a livello domiciliare assistenza relativa alle cure palliative e alla terapia
del dolore, primo provvedimento normativo di questo genere a livello mondiale.
Dolore e sofferenza
Quanto sino ad ora esposto fa comprendere come il dolore possa essere ritenuto un
fenomeno complesso, soggettivo che si caratterizza per diverse dimensioni intensit,
qualit, evoluzione, significato personale, vissute in maniera unica da ogni individuo
e quindi con diverso indice di criticit..
Nelle situazioni cliniche acute lattenzione diretta sulla causa, sulla sede,
sullintensit e sullevoluzione temporale del dolore; nelle situazioni di dolore
cronico si deve aggiungere a quanto gi considerato, la valenza dei fattori
psicosociali e comportamentali che incidono e condizionano il grado di rispondenza
tra terapia, trattamento e risultato inteso come beneficio realizzato per il paziente.
Non tutti i dolori provocano sofferenza e la sofferenza espressa come dolore non
sempre origina dal dolore fisico. La sofferenza stata descritta come uno stato
specifico di stress che si verifica quando lintegrit della persona viene minacciata,
dura fino al termine della minaccia o fino a quando lintegrit non ristabilita. Questa
considerazione rimanda in maniera esplicita al pensiero della Saunders ma
indirettamente si ricollega anche al pensiero fondamentale delle teorie del Nursing,
atte a vedere la persona allinterno della concezione olistica della stessa, senza la
dicotomizzazione tra corpo e vissuto. La malattia in ogni sua forma sempre ritenuta
esperienza di vita.
Fornire cure competenti e compassionevoli nel dolore, nella malattia e nelle fasi
terminali della vita al paziente e alla sua famiglia, rappresenta un cambiamento
enorme per la medicina tradizionale: significa porre attenzione alla persona e non
solo alla patologia. Paradigma concettuale di riferimento in risposta al principio della
proporzionalit delle cure. Lattenzione alla persona, lascolto, la comunicazione,
leducazione e tutte le pratiche messe in atto per alleviare il paziente dalla sofferenza,
rappresentano le diverse sfaccettature di un approccio compassionevole al dolore,
quale scambio di significati tra chi si prende cura e chi soffre.
Una precisazione particolare merita il dolore oncologico, detto anche dolore cronico
maligno. In questa definizione compaiono due elementi peculiari: il termine
cronico con il quale si fa riferimento ad un dolore insorto da almeno tre mesi, e il
termine malignoche, in base allanalisi fatta, in termini sociologici o scientifici, pu
rispettivamente indicare le sensazioni del paziente (ad esempio odio, depressione,
sconforto, ecc.), o la vera e propria distruzione cellulare ad opera della malattia.
Scale di controllo
Secondo le linee guida dellAgency for Healt Care Policy and Research opportuno
valutare attentamente il dolore con strumenti di documentazione specifici che
rendano pi oggettive possibile le conclusioni, riducendo linfluenza di preconcetti
verso il paziente che lamenta dolore.
Gli strumenti di valutazione sono suddivisi in due gruppi: le scale di misurazione, che
consentono di quantificare lintensit del dolore riferito dal paziente; gli strumenti
multidimensionali, che permettono di interpretare, oltre allintensit, anche la
dimensione qualitativa dellesperienza dolorosa attraverso un approccio di raccolta
dati globale.
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Le scale di misurazione
VAS scala analogico-visiva : tra queste la pi utilizzata, anche se non si tratta della
scala pi esaustiva, proposta da Scott e Huskisson nel 1975. Essa presenta una
struttura molto semplice: consiste in una linea di 10 cm di lunghezza, alle cui
estremit sono riportate le diciture assenza di dolore e dolore della massima
intensit possibile. Nel corso degli anni ne sono state proposte sei diverse versioni,
in alcune delle quali venivano aggiunti dei descrittori numerici o verbali in modo tale
da aiutare il paziente nella scelta della tipologia del dolore. Tra le diverse versioni,
due sono risultate le pi adeguate nel consentire una distribuzione omogenea delle
risposte: la VAS senza descrittori di alcun tipo, e la versione con descrittori verbali tra
loro molto simili.
Viene chiesto al paziente di indicare sulla linea il punto in cui ritiene di collocare il
dolore avvertito. Il punteggio viene dunque calcolato misurando i segmenti con un
righello e annotando la distanza tra lestremit e il punto indicato.
Vantaggi: evita qualsiasi disagio a quei pazienti che, per motivi fisici, psichici o
culturali, non sono in grado di utilizzare altre scale o non ne comprendono le
modalit di applicazione; risulta uno strumento agevole sia per la semplicit della
procedura di compilazione, sia per il tempo richiesto per lesecuzione e la lettura. In
ogni caso risultano pi semplici, per la facilit della somministrazione, quelle dotate
di indicatori numerici poich possono essere presentati sia in forma scritta che orale.
Svantaggi: deve necessariamente essere presentata visivamente al paziente; quindi
necessita di un supporto cartaceo, che ne limita lutilizzo a quelle persone con deficit
visivi, cognitivi o fisici. Inoltre i pazienti che si trovano in uno stato avanzato della
malattia e particolarmente debilitati, non sempre hanno la forza di collaborare nella
compilazione della scala.
Dolore della
Assenza massima
di dolore intensit possibile
indicare sul disegno le zone investite dal dolore (ci implica lintegrit dellapparato
visivo e cognitivo del paziente).
IL Lutto
Note
La prima autrice ad affrontare questa tematica stata E. Kubler Ross che ormai
diventata punto di riferimento obbligatorio per coloro che si accingono ad
approfondire la tematica del processo del vivere e del morire.
Lautrice identifica cinque fasi o stadi che sottolineano non essere n obbligatorie n
sequenziali ma si ritrovano con grande frequenza nello studio dei vissuti della
persona morente.
Lautrice, nel suo testo La morte e il morire, pone in risalto che non tutti i morenti
attraversano i cinque stadi o fasi psicologiche nellordine descritto, non tutti arrivano
al grado di elaborazione del proprio morire che si esprime nellaccettazione e le fasi
possono essere caratterizzate anche dalla regressione a stadi precedenti.
Paura della morte e dellignoto: una paura definita naturale in quanto il non
conosciuto spaventa luomo a prescindere dalla sua natura, la paura della morte
ovviamente acutizza questo stato essendo caricata da tutta la valenza che nota. I
meccanismi di difesa (dalla rabbia alla negazione ect..) sono da ritenersi normali
strategie che lindividuo pone in atto per fronteggiare quanto di drammatico lo sta
coinvolgendo e sul quale non ha potere di controllo. Talune persone si vergognano di
manifestare questa paura, per differenti ragioni, tra le quali il venir meno della loro
dimensione fideistica. La paura del morire legata anche allimmaginario
difficilmente ricostruibile in quanto assente di testimoni, vi la paura di soffrire, di
provare dolore che sono solo parte dellespressione pi piena della paura del morire.
Le fasi di adattamento possono essere caratterizzate da picchi di depressione dovuti
allestrema difficolt del vissuto che ciascuno chiamato a fronteggiare.
Paura della perdita del proprio corpo: riguarda la paura relativa alla perdita della
propria immagine e della propria integrit in quanto il corpo non percepito come un
appendice ma come parte integrante del s. Vi la vergogna del presentarsi agli
altri, la possibile non accettazione di menomazioni o deformazioni secondarie alla
malattia o primarie della stessa, la difficolt di gestire protesi esterne o lessere
portatori di cateteri e/o stomie. La fragilit dellesistenza vissuta e percepita
attraverso la fragilit del corpo con forte rimando al sentimento della perdita.
Paura della solitudine e del rifiuto: si matura in questa fase la paura dellessere
rifiutati perch spiacevoli o sgradevoli da accettare (implementato da eventuali forme
di menomazioni o presenza di lesioni deturpanti e/o maleodoranti), dellessere
abbandonati dagli altri e in contemporanea si vive il senso di rifiuto verso i contatti
umani perch dolorosi. Si instaura un difficile rapporto tra il desiderio della
compassione e il rifiuto della stessa, il bisogno di conforto e la volont di non vedere
gli altri soffrire.
Paura della perdita dei familiari e amici si matura qui il sentimento della paura del
distacco, del lasciare ci che di significativo ci appartiene e al quale apparteniamo ( si
ricordi come il senso di appartenenza sia tappa significativa nella strutturazione della
propria identit, sin dalla primissima infanzia). Da un lato si vorrebbe rendere
significativo ogni singolo istante della propria esistenza, dallaltro ci si rifugia in uno
stato di isolamento emotivo e relazionale. Si parla di dolore anticipatorio per il taglio
dei legami che sono simboli di sicurezza e di identit.
Qualit di vita
Considerazioni
Nel Decreto 14 settembre 1994, n. 739 (profilo professionale dellinfermiere) si
riscontra che lassistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa
di natura tecnica, relazionale, educativa di estrema importanza in quanto il profilo
professionale considerato uno dei riferimenti normativi pi significativi per la
professione infermieristica ed la prima volta che nella normativa relativa allattivit
infermieristica si riscontra un riferimento alle cure palliative.
Il codice deontologico fonte di riferimento in quanto riconosce limpegno
dellinfermiere nell alleviare i sintomi assistendo la persona qualunque sia la sua
condizione clinica e fino al termine della vita. Afferma inoltre la contrariet degli
infermieri verso le cure sproporzionate e introduce i concetti di qualit di vita,
autonomia della persona, diritto allinformazione, coinvolgimento di familiari,
principi fondamentali nelle cure palliative. Afferma inoltre il ruolo dellinfermiere nei
confronti dei familiari, in particolare nel momento della perdita e nella elaborazione
del lutto.
Riferimenti.
Dispense di Macaela Lo Russo
Claudio Cartoni Medicina e Cure Palliative
Luciano Orsi Note seminari e convegni diversi
Saiani e Brugnoli Trattato di Cure Infermieristiche
Codice Deontologico dellInfermiere
Enciclopedia Trecani