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MILENA SANTERINI
PIERPAOLO TRIANI
PEDAGOGIA
SOCIALE
PER EDUCATORI
EDUCatt
Ente per il Diritto allo Studio Universitario dellUniversit Cattolica
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215
e-mail: editoriale.dsu@unicatt.it (produzione); librario.dsu@unicatt.it (distribuzione)
web: www.unicatt.it/librario
ISBN 978-88-8311-542-4
MILENA SANTERINI - PIERPAOLO TRIANI
PEDAGOGIA SOCIALE
PER EDUCATORI
Milano 2007
2007 Universit Cattolica del Sacro Cuore - diritto allo studio (I.S.U. - EDUCat)
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215
e-mail: editoriale.isu@unicatt.it (produzione); librario.isu@unicatt.it (distribuzione)
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ISBN: 978-88-8311-542-4
Leditore disponibile ad assolvere agli obblighi di copyright per i materiali eventualmente utilizzati
allinterno della pubblicazione per i quali non sia stato possibile rintracciare i beneciari.
Questo volume stato stampato nel mese di novembre 2007
presso la LITOGRAFIA SOLARI - Peschiera Borromeo (Milano)
INDICE
Capitolo primo
LEDUCATORE NELLAMBITO SOCIALE
1.1. Immagini delleducatore............................................................................. 5
1.2. Cura di s e cura dellaltro........................................................................12
1.3. Leducatore debole .....................................................................................16
1.4. Responsabilit verso la polis.....................................................................24
Capitolo secondo
IL DIBATTITO SULLEDUCATORE
2.1 .La ricerca di una distinzione con altre gure .....................................29
2.2. Lidentit delleducatore tra modelli forti..........................................35
2.2.1. Prima area .........................................................................................35
2.2.2. Seconda area.....................................................................................39
2.3. La dialettica unit-molteplicit e la dialettica professione-
mestiere .........................................................................................................43
2.3.1. Leducatore tra unit e molteplicit...........................................43
2.3.2. Leducatore tra professione e mestiere ......................................48
Capitolo terzo
LE LOGICHE DI AZIONE EMERGENTI
3.1. Progettazione...............................................................................................53
3.2. Rete ................................................................................................................70
3.3. Empowerment.............................................................................................84
4.4. Strada.............................................................................................................95
4.5. Animazione............................................................................................... 108
3
Capitolo quarto
I CONTESTI EDUCATIVI
4.1. Case di accoglienza per bambini in dicolt................................... 125
4.1.1. Ambiente educativo e progetto................................................ 131
4.2. Comunit per adolescenti..................................................................... 134
4.2.1. Un progetto dierenziato ......................................................... 140
4.3. Le comunit per tossicodipendenti .................................................... 151
4.4. Case di riposo, istituti, residenze sanitarie assistenziali................. 164
4.5. Educare sulla strada................................................................................. 174
4.5.1. Ladolescenza dicile................................................................. 175
4.5.2. Violenza e rischio......................................................................... 179
4.5.3. Minori e criminalit organizzata ............................................. 188
4.5.4. Educatori sulla soglia .................................................................. 194
4.5.5. Tra i nomadi ................................................................................. 197
4
Capitolo primo
LEDUCATORE NELLAMBITO SOCIALE*
5
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
to nei servizi extra-scolastici, La Nuova Italia, Firenze 1992; M. Donati, M. Maetti (a cura
di), Leducatore indispensabile, Vita e Pensiero, Milano 1992; AA.VV., La formazione degli
educatori nella prospettiva della cultura degli anni Novanta, Atti del XXXIII Convegno di
Schol, La Scuola, Brescia 1995. Inoltre P. Zaghi, Leducatore professionale. Dalla pro-
grammazione al progetto, Armando Armando, Roma 1995; P. Caspari, Leducatore profes-
sionale. Una provocazione per la pedagogia contemporanea, Anicia, Roma 1995. Nel settore
sociosanitario e dellhandicap. cfr. A. Canevaro (a cura di), La formazione delleducatore
professionale. Percorsi teorici e pratici per loperatore pedagogico, Nis, Roma 1991; L. Tosco,
Professione educatore. Loperatore pedagogico nel settore socio-sanitario, Franco Angeli, Mi-
lano 1994.
2
Per un panorama dal punto di vista francese, valido anche per lItalia, sul ruolo
delleducatore e sulle altre professioni sociali cfr. F. Le Poultier, Recherches valuatives en
travail social, Presses Universitaires de Grenoble, Grenoble 1990, p. 27; J.L. Martinet, Les
ducateurs aujourdhui, Privat, Toulouse 1993.
6
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
3
Alcune metafore sono in C. De Jonckeere, Images de lducateur, Les ditions I.E.S.,
Genve, 1987, p. 76.
4
M.T. Moscato, Il viaggio come metafora pedagogica: introduzione alla pedagogia inter-
culturale, La Scuola Brescia 1994.
5
Si veda in questo senso la lettera pastorale di C.M. Martini, Dio educa il suo popolo,
Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi religiosi, Milano 1987. Sullidentit pro-
fessionale delleducatore nel senso del servizio e sulle competenze, si veda S.S. Macchietti,
Relazione introduttiva: La formazione degli educatori nella prospettiva della cultura degli
anna Novanta, in La formazione degli educatori nella prospettiva degli anni Novanta, Atti
del XXXIII convegno di Schol, La Scuola, Brescia 1995, pp. 18 ss.
7
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
6
E. Lvinas, Totalit e innito. Saggio sullesteriorit (trad. dal francese), Jaca Book;
Milano 1990, pp. 219 ss.
8
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
7
P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi dicili. Pedagogia interpretativa e linee di interven-
to, La Nuova Italia, Firenze 1993.
8
C. De Jonckeere, Images de lducateur, pp. 81-89.
9
J.P. Chartier, Les adolescents diciles. Psychanalyse et ducation spcialise, Privat,
Toulouse 1991, p. 124.
9
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
10
M. Groppo, Educazione e riabilitazione. Modello medico e modello pedagogico a
confronto, in M. Groppo (a cura di), Professione educatore, pp. 109-110.
11
A. Vilbrod, Dvenir ducateur: une aaire de famille, LHarmattan, Paris 1994.
12
J.P. Chartier, Les adolescents diciles, p. 107.
10
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
il suo posto: giudici, assistenti sociali, animatori teatrali ed altri ancora ten-
dono ad assumere funzioni educative.
Il cammino percorso in Italia con listituzione del corso di laurea in
Scienze dellEducazione per educatori professionali extrascolastici ha ini-
ziato un circolo virtuoso di denizione della sua identit professionale. La
rivalutazione della gura delleducatore, tuttavia, non dipende solo da un
titolo di studio, ma soprattutto dalla sua eettiva rispondenza ai problemi
sociali. In questo senso si assiste ad un processo ambivalente e non privo di
ambiguit. Da una parte leducatore diviene necessario a causa, della sempre
pi diusa delega e debolezza della famiglia. stato messo in rilievo ad e-
sempio da Remo Fornaca come lestensione dellextrascolastico possa essere
funzionale al ritiro della famiglia dalle sde educative. Lo stesso si pu dire
per quanto riguarda la scuola, in cui esiste ancora la tendenza a scindere la
sfera educativa da quella dellistruzione, respingendo la prima allesterno.
Ci avviene ormai pi per motivi di saturazione (gli insegnanti denunciano
una responsabilizzazione eccessiva che grava su di loro) che per cause ideo-
logiche, salvo ricorrenti tentativi di scolarizzare il tempo libero degli alunni.
Daltro canto (ed laltra faccia della medaglia) la crescita dei bisogni
educativi connessa allespansione dei luoghi esterni, pubblici. La presenza
degli educatori in questi luoghi, nelle pieghe del sociale, soprattutto, sulla
soglia tra dentro e fuori, tra integrazione e marginalit, costituisce un in-
dubbio vantaggio; anche nei servizi pubblici lentamente gli educatori stan-
no conquistando uno spazio.
Esiste, dunque, un rischio di banalizzazione del lavoro educativo. Tale
pericolo va contrastato realizzando un prolo professionale distinto e ori-
ginale in complementarit con gli altri, ma soprattutto respingendo ogni
connotazione tecnicistica (senza naturalmente rinunciare alla competen-
za), sottolineando, come ha scritto Vattier, il ruolo delleducatore come a-
gente di promozione umana, individuale e collettiva, nonch la ricchezza
di questo mestiere, lo straordinario potenziale di innovazione e di progresso
costituito dalla sua esperienza, la sua capacit di riessione, la diversit delle
situazioni sperimentali da lui vissute13.
Lecacia dellesperienza di vita e della maturit personale non in con-
traddizione con la competenza e la capacit critica. Al contrario, la variet
13
G. Vattier, Les tches actuelles de lducateur spcialis, Privat, Coll. Msop, 1977,
pp. 33-34.
11
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
14
J.P. Chartier, Les adolescents diciles, pp. 113-115.
15
L. Dumont, Saggi sullindividualismo (trad. dal francese), Adelphi, Milano 1993.
12
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
Si potrebbe ipotizzare che, anche per operare una ricerca intorno al pro-
lo delleducatore, sia necessario prendere in considerazione la disputa
sullio, il signicato attribuito a quella invenzione moderna ed occidenta-
le costituita dallindividuo, tentando di valutare criticamente lazione edu-
cativa rispetto a questo versante culturale.
Foucault ricostruisce la storia della cura di s a partire dalla losoa gre-
co-romana, in cui occuparsi di se stessi veniva ritenuta una delle regole fon-
damentali della condotta sociale e dellarte di vivere16 . La cura messa in
relazione alla conoscenza di s; ma se in un primo momento occorre cono-
scere per esercitare sollecitudine, via via nel tempo il secondo precetto
prende il sopravvento, oscurando il primo. Nel pensiero cristiano la cura
verr guardata con maggiore severit; secondo Foucault il pensiero moder-
no sarebbe erede di questa tradizione del pensiero giudaico-cristiano, che
dionde la rinuncia a se stessi, la conoscenza come denuncia delle proprie
tentazioni e desideri e la necessit di essere liberi dal peso dellio17.
Il tema, in Foucault, assunto come lo conduttore della genesi della
mentalit collettiva, attraverso una serie di passaggi. Allinizio la cura di s
rappresenta uningiunzione corrente nella filosoa greca, a partire da So-
crate, colui che vigila perch i suoi concittadini si preoccupino di se stessi;
in secondo luogo Foucault concentra la sua attenzione sulle tecniche, le
tecnologie, con cui si esercita questa attenzione: esercizi, pratiche, attivit,
esami di coscienza, mettendo in evidenza la connessione con il pensiero e la
pratica medica.
Inne, il pensatore francese aerma che tutte le tecniche sono orientate
ad uno scopo: la conversione a s, cio ritrovarsi interiormente come in
unoasi, una fortezza protetta dal mondo esterno. Si tende ad unetica della
padronanza, del dominio, attraverso il puro piacere tratto da se stessi e dalla
soddisfazione della propria compagnia18.
Questo punto di vista diusamente ripreso non certo casualmente
nel pensiero attuale. In una societ senza padri viene sentita lesigenza di
16
M. Foucault, Tecnologie del s, in L.H. Martin, H. Gutman e P.H. Hutton (a cura
di), Tecnologie del s. Un seminario con Michel Foucault (trad. dallinglese), Bollati Borin-
ghieri, Torino 1992, p. 15.
17
Ivi, p. 18.
18
M. Foucalt, La cura di s. Storia della sessualit 3 (trad. dal francese), Feltrinelli, Mi-
lano 1991, pp. 68-69.
13
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
costruzione di unetica laica, per alcuni da fondarsi proprio sulla base della
cura di s. Letica che scaturisce dalla preoccupazione per se stessi non viene
considerata una forma di egoismo, in quanto egoista chi si occupa di ci
che ha, non di ci che ; la preoccupazione per s non escluderebbe quella
per gli altri in quanto si perviene allimpegno verso lesterno solo attraverso
laccesso alla ragione, che mette in comunicazione universale con gli altri.
La cura di s, in questo senso, potrebbe sostituire la responsabilit.
Oggi, quindi, la cura di s rimane un valore, ma in senso molto diverso
dallaccezione di cui si parlato. La sollecitudine socratica verso la crescita
interiore e la profondit di pensiero, lamore per la propria cultura, non
sembrano al centro dellansia delluomo moderno, ossessionato pi spesso
dal problema del possesso dei beni. Allopposto, nelle forme pi dete-
riori che la nostra societ sembra sempre pi interessata alla cura di s. Uno
degli aspetti pi signicativi la proliferazione della dimensione terapeuti-
ca. Fin dalle origini la psicoanalisi ha costituito, ad esempio, uno degli e-
sempi di tecnologia del s che ha arontato le paure e le angosce delluomo.
La diusione ormai universale della vulgata psicologica, delle attenzioni
minuziose ai propri desideri e pulsioni, sembra far parte di questa inarre-
stabile tendenza. La cura, anzich assumere la forma di crescita interiore,
diviene la chiusura, il rifugio dellio minacciato dal mondo esterno. Descri-
vendo il mondo attuale, Lasch ha denito narcisista una societ minacciata
dalla disintegrazione in cui, si potrebbe dire, predomina la cura di s. Lio
minimo della nostra societ occidentale narcisista non nel senso che ama
se stesso, come Narciso che si specchia e si innamora di s, ma al contrario
perch si fonde nella realt esterna, annulla la dierenziazione, fa crollare i
conni tra s e lesterno, il mondo reale della responsabilit. La maturit
dellidentit personale si attua, dal punto di vista dello sviluppo sia psichico
sia culturale, attraverso la divisione tra interno ed esterno, tra interiorit ed
esteriorit; ci avviene di norma nella prima infanzia, con la separazione
dalla madre. Lio immaturo, invece, a livello individuale, ma anche come
soggetto collettivo, non perviene ad operare questa oggettivazione19.
19
Per lanalisi che segue si fa riferimento a C. Lasch, Lio minimo. La mentalit della
sopravvivenza in unepoca di turbamenti, Feltrinelli, Milano 1985; dello stesso autore, cfr.
anche La cultura del narcisismo. Lindividuo in fuga dal sociale in unet di disillusioni col-
lettive, Bompiani, Milano 1981.
14
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
20
R.N. Bellah, Le abitudini del cuore. Individualismo e impegno nella societ complessa
(trad. dallinglese), Armando Editore, Roma 1996, p. 167.
21
C. Lasch, Lio minimo, p. 143.
22
Ivi, p. 179.
15
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
23
P. Ricoeur, Persona, comunit e istituzioni, pp. 78-79.
24
C. Taylor, Radici dellio: la costruzione dellidentit moderna, Feltrinelli, Milano
1993, p. 616.
25
Ivi.
16
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
26
Cfr. P. Zaghi, Leducatore professionale, pp. 30-33; M. Venturello, Leducatore e la
conoscenza di s nella relazione educativa, in Animazione Sociale, 8/9 agosto-settembre
1994, pp. 47-52.
17
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
27
La dierenza tra il modello psicoterapeutico e quello educativo in L. Pati,
Leducazione nella comunit locale. Strutture educative per minori in condizione di disagio
esistenziale, La Scuola, Brescia 1990, pp. 254 ss.
28
M. Groppo (a cura di), Professione educatore, pp. 101-102.
29
R.N. Bellah, Le abitudini del cuore, p. 161.
30
M. Postic, La relazione educativa, pp. 120-121.
18
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
31
C. Scurati, La gura delleducatore professionale, in M. Groppo, Leducatore pro-
fessionale oggi, p. 37.
32
Centro Studi E Formazione Sociale Fondazione E. Zancan, Leducatore professio-
nale, in Animazione Sociale, 8/9, agosto-settembre 1996, pp. 16-26.
33
D. Demetrio, Lavoro sociale e competenze educative. Modelli teorici e metodi di inter-
vento, La Nuova Italia Scientica, Roma 1988, p. 40.
19
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
34
J.L.Martinet, Les ducateurs aujourdhui, p. 110.
35
R. Bellah, Le abitudini del cuore, p. 169.
36
A.M. Huberman, Gli adulti imparano?, in Quaderni dellIstituto R. Owen, Mi-
lano, 1984.
20
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
mazione di tipo aziendale, che, pur costituendo a tutti gli eetti un mercato
in forte espansione, presenta anche una miseria culturale e eettiva inani-
t operativa37.
Contrattualismo, negoziazione e transazione, come ha osservato Postic,
costituiscono aspetti importanti della relazione educativa, soprattutto nella
scuola. Indicano la possibilit da parte di bambini, adolescenti e adulti di
partecipare a pieno titolo e come parte attiva al dialogo educativo. Nella
transazione messo in evidenza soprattutto il vantaggio che la persona da
educare (in particolare lalunno) pensa di ricevere stabilendo in anticipo
condizioni dello scambio con linsegnante. Il contratto, di conseguenza,
una metodologia pedagogica estremamente rimotivante nei confronti di
bambini e ragazzi in dicolt o che hanno avuto esperienze negative in
campo scolastico e che possono far valere le proprie ragioni nei confronti
degli adulti. Nel contratto messa in rilievo la reciprocit, la scelta di regole
che guidino il rapporto permettendo alle parti di ottenere ci che desidera-
no dallaltro (ad esempio ascolto e giustizia da parte degli insegnanti, parte-
cipazione e disciplina da pate degli alunni)38.
stato tuttavia osservato che la contrattazione, sul piano educativo, ha
anche altri scopi. Come ha messo in rilievo Postic, commentando le ricer-
che di J. Filloux, attraverso di essa le parti stabiliscono le regole del rappor-
to, diritti e doveri reciproci, ma soprattutto si tutelano da ogni incertezza
denendo i limiti da non oltrepassare. Il contratto costituisce una difesa
dalle possibili aspettative dellaltro e sposta la relazione su un piano imper-
sonale. Cos il rapporto di diritto mascheragli aspetti di dominio e potere
presenti in ogni relazione educativa, sotto unapparenza puricata da ogni
conittualit39.
Questa analisi basata sul potere non viene qui richiamata allo scopo di
annullare lasimmetria del rapporto educativo, specie nel caso dei bambini,
con la relativa conclusione di considerare ogni rapporto come manipola-
zione; tale tendenza radicale gi stata ampiamente discussa negli ultimi
37
R. Massa, Educare o istruire, Unicopli, Milano 1987, p. 27. Sul rapporto tra educa-
zione e formazione, cfr. R. Massa, La formazione oggi come campo di interventi e di sape-
ri: il rapporto con la pedagogia, in F. Gambi, E. Frauenfelder (a cura di), La formazione.
Studi di pedagogia critica, Unicopli, Milano 1994, pp. 285-303.
38
M. Postic, La relazione educativa, pp. 122-138.
39
Ivi, pp. 131-132.
21
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
decenni, a partire dalle ricerche della pedagogia istituzionale, delle tesi de-
scolarizzatrici, e cos via. Si vuole invece porre lattenzione sulla funzione di
controllo presente anche nei rapporti paritari o contrattuali. La parteci-
pazione dellaltro (tanto pi se adolescente, giovane o adulto) indispensa-
bile; ma la contrattazione anticipata, la ssazione di regole, la negoziazione
dei rispettivi ruoli non devono costituire una difesa, da parte
delleducatore, nei confronti delle attese di personalizzazione, attenzione,
aetto, coinvolgimento dellaltro. debole non leducatore che instaura
una dinamica educativa partecipata ed attiva, ma quello che si nasconde da-
vanti allimprevisto.
Un altro tipo di ruolo assunto frequentemente da insegnanti e educatori
quello di mediazione. Si tratta di un compito necessario nella complessit
delle situazioni e del contesto; tuttavia leducatore non necessariamente
ostaggio della complessit. La societ attuale, nella sua multiformit, pre-
senta allinterno legami deboli e allentati. La crisi della famiglia e delle isti-
tuzioni tradizionali come la scuola, la labilit delle appartenenze in un
mondo sempre pi allargato, la proliferazione dei mass media che permet-
tono la comunicazione a distanza congurano un quadro di rapporti tenui
e dierenziati. Il nuovo tipo di societ, in cui si trovano molteplici e diversi
tipi di relazioni, crea la necessit di un educatore che sappia gestire la com-
plessit.
Molti contesti educativi presentano, in scala, la stessa situazione di si-
stema a legame debole, caratterizzata cio da precariet, indeterminatez-
za, temporaneit40. Se si escludono le istituzioni totali come i vecchi collegi
o i carceri, gli altri contesti (in particolare i servizi sociosanitari) possono
presentare una mancanza di chiarezza nel rapporto tra mezzi e ni, a causa
delle dierenze tra le persone impegnate, a dierenze interne come
lincertezza sul proprio ruolo, o esterne, nellambiente sociale. Di conse-
guenza pongono alla persona il problema di ridenire continuamente il
proprio ruolo e le proprie funzioni in una situazione che presenta molte va-
riabili, senza soccombere di fronte alla complessit41.
Leducatore, in questa concezione, diviene il nodo della rete costituita
dalle relazioni sociali, parentali, aettive in un determinato sistema. Egli si
40
O. Liverta Sempio, Il lavoro delleducatore nei sistemi di relazione, in M. Groppo
(a cura di), Professione educatore, p. 132.
41
Ivi, pp. 135 ss.
22
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
42
F. Folgheraiter, Operatori sociali e lavoro di rete. Saggi sul mestiere di altruista nelle so-
ciet complesse, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento 1990; si veda anche L. Sanicola (a
cura di), Reti sociali e intervento professionale, Liguori, Napoli 1995.
43
Ivi, pp. 176-77.
44
Ibidem.
45
Ivi, pp. 188-189.
23
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
46
O. Liverta Sempio, Il lavoro delleducatore nei sistemi di relazione, in M. Groppo
(a cura di), Professione educatore, 152.
47
Un quadro di tale tendenza nella societ americana in R. Bellah, Le abitudini del
cuore.
24
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
possibilit di altri rapporti che non siano quelli guidati dallinteresse perso-
nale48. La comunit sociale, cos come la famiglia, rappresenta secondo
questa visione un luogo di dare-avere, dove esprimere e soddisfare i propri
bisogni, un rimedio temporaneo contro la solitudine.
Oltre allenfasi sul s sempre pi spesso denito come S sono dun-
que le dimensioni sociali e politiche che appaiono trascurate in una societ
(e in uneducazione) di tipo narcisista. inclinata verso la dimensione te-
rapeutica la societ che vive uninazione della psicologizzazione, cio la
trasformazione di un problema che andrebbe denito storicamente, so-
cialmente e politicamente in una situazione il cui senso si esaurisce nella
dimensione psicologica49. Non si vuole naturalmente mettere in questione
luso corretto della psicologia, ma discutere leccesso di codici individualiz-
zanti applicati a situazioni che possono essere descritte, spiegate ed aron-
tate a livello di sviluppo economico, caratteristiche sociali, tradizioni an-
tropologiche e cos via50.
Anche lapproccio educativo sembra progressivamente voler fare a me-
no, della politica e della comunit. La societ viene assunta come sfondo,
un contesto che a volte viene tratteggiato dagli educatori esclusivamente
come scenograa su cui si svolge lazione. La dimensione sociopolitica, co-
me hanno messo in rilievo molte ricerche nellultimo decennio, spaventa
soprattutto i giovani a causa della complessit. Leducazione si fa terapeuti-
ca e si allontana dalla funzione critica, tentando di occuparsi esclusivamen-
te dellindividuo. Lattenzione per il piano storico e sociale, invece, conduce
a leggere la realt non soltanto in base a ci che percepito soggettivamente
dalla psiche.
Nessun intervento educativo mai neutrale rispetto alle visioni di socie-
t assunte anche implicitamente dalleducatore e veicolate attraverso
lazione, il comportamento, il linguaggio. Lassunzione del livello sociopoli-
tico consiste nellesplicitazione, da parte delleducatore, della sua visione di
societ e di una scelta di trasformazione dei rapporti sociali allinterno del
lavoro di comprensione, in un progetto per la persona e per la societ sulla
48
Ivi, p. 181.
49
Tale rischio evidenziato in R. Castel, Verso una societ relazionale. Il fenomeno psy
in Francia (trad. dal francese), Feltrinelli, Milano 1982, p. 38.
50
Ivi, p. 44.
25
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
51
P. Ricoeur, Persona, comunit, istituzioni, p. 90.
52
M. Hellemans, Senso o non senso di una pedagogia cristiana, in Pedagogia e Vita,
1, 1992, pp. 7-17.
53
R. Simon, Ethique de la responsabilit, Les ditions du Cerf, Paris 1993, p. 63.
54
Ivi, pp. 71 ss.
26
Capitolo primo - Leducatore nellambito sociale
55
Ivi, p. 154.
56
Ivi, p. 74.
57
P. Ricoeur, Persona, comunit, istituzioni, pp. 108-109.
58
P. Ricoeur, La critica e la convinzione, Jaca Book, Milano 1997.
27
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
28
Capitolo secondo
IL DIBATTITO SULLEDUCATORE*
* Tratto da: P. Triani, Sulle tracce del metodo, Pubblicazioni dellI.S.U. Universit Cat-
tolica, Milano 2004, pp. 26-50.
1
Accanto alla distinzione tra lavoro educativo e lavoro sociale, diversi autori operano
una distinzione tra lavoro educativo e lavoro pedagogico per distinguere unazione educa-
tiva spontanea da unazione realizzata invece attraverso unadeguata preparazione teorico-
pratica. Nel contesto della presente riessione, si ritenuto opportuno non arontare di-
rettamente questa distinzione.
2
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 165.
29
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
3
Ibi, p. 159.
4
Ibi, p. 150.
5
Ibi, p. 165.
6
Ibi, p. 150.
7
Cfr. Ibi, pp. 165-166.
8
Collegandosi esplicitamente al lavoro di Folgheraiter, recentemente, R. Franchini ha
proposto larticolazione di quattro gure professionali dei servizi sociali, suddivise su due
comparti: sociale e educativo. Ogni comparto si caratterizza per la presenza di una profes-
sione maggiormente orientata alla guida dellazione, al coordinamento e di una seconda
professione maggiormente orientata alla declinazione operativa dei progetti e alla gestione
concreta dei processi. Ne deriva un quadro dinsieme delle professioni dei servizi sociali
caratterizzato da: operatore socio-sanitario; assistente sociale; educatore professionale; pe-
dagogista. Cfr. R. Franchini, Costruire la comunit-che-cura, FrancoAngeli, Milano 2001,
pp. 62-84.
30
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
9
Cfr. D. Demetrio, Lavoro sociale e competenze educative. Modelli teorici e metodi di in-
tervento, La Nuova Italia Scientica, Roma 1988, p. 23.
10
Cfr. ibi, p. 40.
31
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
11
D. Demetrio, Educatori di professione, op. cit., p. 69.
12
Ibi, p. 67.
13
Ibi, p. 93.
32
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
14
R. Maurizio, op. cit., in AA.VV, La professione di educatore, op. cit., p. 142
15
D. Demetrio, Educatori di professione, op. cit., p. 74. (Il corsivo nostro).
33
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
16
Per un approfondimento della nozione di intenzionalit, nel campo pedagogico, si
rimanda al capitolo quarto del presente volume.
17
D. Demetrio, Lavoro sociale e competenze educative, op. cit., p. 27. (Il corsivo nel te-
sto).
18
D. Demetrio, Educatori di professione, op. cit., p. 235.
34
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
19
Kaneklin parla di modelli forti. Cfr. C. Kaneklin, Fantasmi, fantasie e progetto edu-
cativo, in M. Donati M. Maetti (a cura di), Leducatore indispensabile, Vita e Pensiero,
Milano 1992, p. 14.
20
A questo proposito Cfr. C. Scurati (a cura di), Volti delleducazione, La Scuola, Bre-
scia 1996.
35
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
21
Cfr. C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit.
22
Ibi, p. 10-11.
23
Ibi, p. 11 (il corsivo non presente nelloriginale). Nello stesso volume, lintervento
di Nicora Prodi contiene una osservazione analoga: il lavoro educativo in area extrascola-
stica (cio quella appunto di pertinenza delleducatore professionale) pu mutuare ben
poco dalle proposte pedagogiche tradizionali pertanto va riformulata una nuova pedagogia
di supporto. A. Nicora Prodi, Il modo di pensare il tirocinio: la scuola di Trento, in M.
Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 198.
36
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
24
C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 12.
25
opportuno rilevare come spesso sia presente uninterpretazione delle agenzie for-
mative classiche, soprattutto quella scolastica, troppo generica, che non rende giustizia
della loro articolazione di interventi, di modelli, di ricerca continua di strade nuove.
26
C. Kaneklin, op. cit., in M. Donati M. Maetti (a cura di), op. cit., p. 15.
27
Cfr. ibi, p. 17. Evidentemente lautore non nega il valore della supervisione, ma come
egli precisa nella stessa pagina: La supervisione uno strumento formativo delicato nel
senso che, per esperienza, mi sembra poter dare buoni frutti allinterno di due sets precisi.
(Il corsivo nelloriginale).
37
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
attraverso uno sforzo di attribuzione di senso a quei dati che sono presenti;
un cammino che faticoso, perch per tutti noi pi facile andare a memo-
ria e pensare che sia possibile anticipare il futuro sulla base dellesperienza
passata28.
Ci che d forza al lavoro delleducatore, in ultima istanza, la capacit
di prendere parte con azioni pensate, con comportamenti interpretativi
di tipo non verbale e verbale, in processi trasformativi terapeutico-
rieducativi29. La consistenza dunque della gura educativa direttamente
proporzionale al suo grado di consapevolezza di un agire pensato in rap-
porto al contesto. Per questo opportuno da parte della riessione e della
formazione portare lattenzione su ci che succede nella mente
delloperatore30.
28
Ibi, p. 23.
29
Ibi, p. 20.
30
Ibidem.
31
Si prenda, come esempio, quanto aerma P. Marcon: Egli [leducatore] esprime la
sua attivit promozionale non attraverso linsegnamento di contenuti culturali, ma attra-
verso la condivisione, attraverso la partecipazione alle vicende, agli avvenimenti, non di
rado imprevisti o imprevedibili, come si detto, della vita di ogni giorno: un amico, com-
pagno di cammino, lungo la strada che conduce alla maturit nel tentativo di recuperare al
processo di crescita le tante occasioni, umili talora, ma non insignicanti, oerte dalla vita
di ogni giorno. P. Marcon, Leducatore professionale nellorizzonte educativo, in I proble-
mi della pedagogia, 1-3/1997, p. 171.
38
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
32
Ho utilizzato lavverbio prevalentemente nella consapevolezza che alcune gure,
soprattutto lo psicologo, non possono essere circoscritte alla sola area del recupero.
39
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
33
M. Groppo, Educazione e riabilitazione: modello educativo e modello medico a con-
onto, in M. Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 101.
34
Ibidem.
35
Riprende la distinzione in termini pi problematici L. Tosco. si potrebbe parlare
di modello medico (prevalenza della salute come assenza di malattia e delleducazione co-
me pedagogia dello scarto) e di modello socio educativo (prevalenza della salute come ben-
essere e della educazione come pedagogia della concertazione). A questo proposito per
necessario fare alcune precisazioni:
i due paradigmi costituiscono una tipologia e quindi uno strumento concettua-
le/astratto per analizzare la realt;
questa realt estremamente complessa e pertanto i vari modelli si collocano
allinterno di un continuum tra le due polarit, con diversi gradi di prevalenza delluna o
dellaltra;
la prevalenza non peculiare di speciche gure professionali. In altre parole, un
educatore professionale pu utilizzare un modello medico e un medico quello educativo.
In termini generali, si pu per dire che nelle professioni educative occorre prevedere
ed agire un modello socio-educativo, utilizzando aspetti di quello medico in relazione a
40
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
specici contesti e situazioni. L. Tosco, Gli intrecci. Percorsi accidentati: progettare dentro
lesperienza del limite, in AA.VV., La professione di educatore, op. cit., p. 122.
36
Distinguendo tra una logica terapeutica e una logica educativa, ha cercato una possi-
bile strada di chiaricazione Pati, che scrive: la dierenza tra i due [metodo psicoterapeu-
tico e metodo educativo, ndr.] pu essere cos tratteggiata: la psicoterapia si pregge lo
scopo di sanare un danno psichico, di ricucire una lacerazione emotivo-aettiva, di guarire
una malattia interiore. Pu quindi riguardare lo studio delle radici incosce della condotta
umana per risolvere al meglio settoriali problemi di crescita in un limitato arco di tempo.
Ne scaturisce spesso la necessit disolare il paziente rispetto al contesto di vita, per me-
glio osservarlo e chiarire i moduli di comportamento. Leducazione mira a ridestare le po-
tenzialit individuali, correlandole ai vari ambiti di esperienza. Essa si occupa dei compiti
di sviluppo, che coinvolgono in maniera diretta e attiva leducatore e leducando. Prospetta
modalit relazionali intenzionalmente e axiologicamente circostanziate, guidando il sog-
getto in istato di bisogno, alla consapevole assunzione delle stesse. Per tali ragioni, colloca
lintervento individualizzato nel pi vasto clima educativo generale e privilegia
lorganizzazione dei tempi lunghi. L. Pati, Leducazione nella comunit locale, op. cit., pp.
254-255.
37
A tal proposito pu essere utile riportare quanto aermato dal Responsabile di un
servizio di Alcologia, che si caratterizza per la compresenza dello psicologo e
delleducatore. Alla domanda Perch ha ritenuto importante inserire in questo servizio
leducatore professionale? il Responsabile ha risposto: Per garantire la continua risposta
educativa nellarco della giornata. Leducatore professionale nel nostro Servizio si occupa,
infatti, di garantire che gli obiettivi educativi individuati dallequipe vengano perseguiti
quotidianamente sia nei momenti strutturati (con il supporto di strumenti quali il grup-
po) sia nei momenti pi conviviali. In R. Bombelli, La metodologia educativa nei servizi
alcologici. Il caso del servizio di alcologia della A.O. Ospedale Maggiore di Crema, Tesi di
Laurea in Scienze dellEducazione, Universit Cattolica del Sacro Cuore, Sede di Brescia,
A.A. 1999/2000, p. 208.
41
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
38
Cfr. AA.VV., Il tavolo e la quarta gamba: leducazione nel Sert, in Animazione So-
ciale, 11/1995, pp. 91-94.
39
Ibi, p. 92.
40
Ibi, p. 92.
41
G. Scaratti, Metodi e tecniche dellintervento educativo. Suggerimenti metodologici per
lassunzione del ruolo di educatore professionale, in M. Groppo (a cura di), Professione: edu-
catore, op. cit., p. 174.
42
A. Nicora Prodi, Educatore professionale e percorso formativo nellesperienza di una
scuola triennale, in M. Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 242.
42
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
La dialettica con modelli forti porta alla luce unulteriore chiave inter-
pretativa del metodo delleducatore di estrema importanza: la centralit
della persona stessa delleducatore.
Tale centralit, a sua volta, porta con s la sottolineatura della valenza
etica attribuita alla gura educativa43 e la risonanza esistenziale del suo la-
voro. Ogni lavoro sociale esistenzialmente denso, ma questa dimensione
ulteriormente raorzata da un modo di comprendere leducatore in cui
lattore e le vie di azione tendono generalmente allidenticazione.
Non essendoci nulla allesterno che pu rafforzarlo, leducatore, nella ri-
essione attuale, invitato ad assumere su di s delle caratteristiche forti,
non per eludere la complessit o cercare di dominarla, ma per arontare
con strumenti originali lambiguit, contraddittoriet e fragilit dei rappor-
ti umani e delle caratteristiche organizzative nei contesti in cui lavora44.
43
M. Santerini, ad esempio, declina la valenza etica delleducatore in corrispondenza
alle categorie di Ricoeur. La funzione delleducatore si trova invece nella struttura terna-
ria proposta da Ricoeur: cura di s e dellaltro allinterno di istituzioni giuste. Si tratta,
quindi, in senso lato, di una funzione politica in quanto viene esercitata unazione di re-
sponsabilit verso la comunit di vita e la polis, unattenzione per la persona nel quadro del
contesto storico e sociale. M. Santerini, Leducatore tra professionalit pedagogica e respon-
sabilit sociale, La Scuola, Brescia 1998, p. 7.
44
Ibi, p. 91.
43
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
45
C. Scurati, La gura delleducatore professionale, in M. Groppo (a cura di),
Leducatore professionale oggi, op. cit., p. 31.
46
P. Bertolini (a cura di), Loperatore pedagogico. Problemi e prospettive, Cappelli Edi-
tore, Bologna 1984.
44
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
di l delle previsioni che avevamo fatto allinizio sulla base di semplici in-
tuizioni o di informazioni parziali e/o settoriali, che quello delloperatore
pedagogico, o come lo si voglia denire, risulta essere un settore professio-
nale poco denito e perci complesso e non privo di vere e proprie con-
traddizioni. () Lo dimostrano i dati, ormai ben noti, relativi alle anagrafi
delle due Regioni, i quali presentano una quarantina di qualiche diverse e
solo in parte sovrapponibili molte delle quali ancora presenti nei campioni
degli operatori che hanno risposto al nostro questionario47.
Nel tentativo di dare ordine al materiale emerso, la ricerca giungeva
allinserimento delle diverse gure, allora esistenti nelle due Regioni, in
cinque raggruppamenti.
Primo raggruppamento: animatore socio-culturale; animatore culturale;
operatore culturale; operatore culturale CSPCR (Centri di servizi e pro-
grammazione culturale regionale).
Secondo raggruppamento: animatore del tempo pieno; programmatore
scolastico; psicopedagogista; operatore dei centri ricreativi; operatore edu-
cativo-culturale CRSEC (Centri regionali servizi educativi e culturali).
Terzo raggruppamento: bibliotecario; ludotecario.
Quarto raggruppamento: coordinatore dquipe; esperto in scienze
delleducazione; pedagogista.
Quinto raggruppamento: educatore terapeuta; assistente/educatore de-
gli handicappati; vigilatrice dinfanzia e assistente di gioco ospedalieri; pe-
dagogista o educatore sanitario; educatore degli appartamenti.
Accanto alla molteplicit, la ricerca per riconosceva la presenza di una
prospettiva pedagogica comune alle diverse gure, tale da consentire di in-
terpretare la professione delloperatore pedagogico come una professione
unitaria pur nella molteplicit delle sue specicazioni48. Da qui la proposta
di ricondurre le diversit ad una forma di unit, attraverso il potenziamen-
to di una gura dotata di alta competenza pedagogica, applicabile in diverse
realt con modalit dierenti, denibile come operatore pedagogico49, da
formarsi in ambito universitario.
47
Ibi, pp. 268-269.
48
Ibi, p. 287.
49
Cfr. ibi, p. 23.
45
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
50
Scurati agli inizi degli anni 90 scriveva: la ricerca stessa di un fulcro basilare comu-
ne della prestazione (e conseguentemente della formazione) il bisogno? il territorio? il
contenuto pedagogico? appare tuttaltro che compiuta. C. Scurati, Leducatore profes-
sionale. Una formazione dicile, ma necessaria, in M. Groppo (a cura di), Professione edu-
catore, op. cit., p. 43. Nella stessa pagina egli solleva alcune obiezioni alla proposta del-
loperatore pedagogico: Le obiezioni critiche a questa impostazione mettono
sostanzialmente in evidenza, questa volta un eccesso di contrazione categoriale, che con-
duce a tre principali osservazioni:
la restrizione disciplinare alla pedagogia non lascia il dovuto spazio ad altri settori, che
invece hanno avuto ed hanno un ruolo di predominanza nellattrezzatura tecnico-
metodologica necessaria per ladempimento dei compiti richiesti;
il campo in esame comprende un insieme di compiti, da quelli medico-assistenziali a
quelli clinico terapeutici, che va al di l dellaccezione pedagogica tout court;
lapertura di un ombrello cos vasto apre il varco ad analogie ed apparentamenti
come quello con le professioni didattiche fuorvianti ed, alla ne, poco desiderabili.
51
Centro Studi e Formazione Sociale Fondazione E. Zancan, op. cit., p. 19. (Il corsivo
nelloriginale).
52
Cfr. Ibidem.
46
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
53
A. Mongelli, La costruzione della professionalit delleducatore, FrancoAngeli, Milano
1997, p. 30.
54
O. Liverta Sempio, Il lavoro delleducatore nei sistemi di relazione, in M. Groppo (a
cura di), Professione: educatore, op. cit., p. 150.
47
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
55
Si possono ricordare, senza nessuna pretesa di esaustivit: D. Demetrio, Educatori di
Professione, op. cit.; M. Groppo (a cura di), Leducatore professionale oggi, op. cit.; M.
Groppo (a cura di), Professione: educatore, op. cit.; A. Mongelli, La costruzione della profes-
sionalit delleducatore, op. cit.; AA.VV., La professione di educatore, op. cit.
56
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 186. Per una pa-
noramica storica sul dibattito in merito al carattere professionale del servizio sociale cfr.
F. Villa, Dimensioni del servizio sociale, Vita e Pensiero, Milano 1994, pp. 161-201.
48
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
57
M. Donati M. Maetti, op. cit., p. 118.
58
F. Villa, Prolo e criteri di formazione delleducatore professionale, in M. Groppo (a
cura di), Leducatore professionale oggi, op. cit., p. 191.
49
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
59
L. Tosco, op. cit., in AA.VV., La professione di educatore, op. cit., pp. 119-120.
60
F. Villa, op. cit., in M. Groppo, Leducatore professionale oggi, op. cit., p. 192
61
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 190.
62
Ibi, p. 189.
63
A. Dhers, Indeterminazione e tecnicit nel lavoro sociale, in L. Sanicola (a cura di), Re-
ti sociali e intervento professionale, Liguori, Napoli 1995, p. 346.
50
Capitolo secondo - Il dibattito sulleducatore
64
P. Reggio, La progettazione degli interventi di animazione di comunit, in Anima-
zione Sociale, 10/1995, p. 72.
65
J. Huet, Cambiamento, asse portante delleducatore professionale, in LEducatore
Professionale, Maggio-Agosto 1998, p. 13. In merito allimportanza attribuita oggi al te-
ma del progetto, signicativo, ad esempio, notare come un articolo dedicato alla metodo-
logia dellintervento educativo in una Rivista di settore inizi la riessione: Per realizzare
un intervento, anche un intervento tipicamente educativo, nei vari ambiti nei quali gli
Operatori Sociali sono chiamati ad interagire, un primo necessario passo quello di sten-
dere un Progetto, di formulare delle ipotesi di lavoro intese come linee operative da svi-
luppare, A. Bellizzi, Appunti di metodologia per lintervento educativo, in LEducatore
Professionale, Maggio-dicembre 1995, p. 22.
51
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
66
Cfr. C. Scurati (a cura di), Volti delleducazione, op. cit., p. 7.
67
M. Donati, Il mestiere di educare, in M. Donati M. Maetti, op. cit., p.69
52
Capitolo terzo
LE LOGICHE DI AZIONE EMERGENTI*
3.1. Progettazione
La progettazione costituisce oggi nel campo sociale la principale logica
di lavoro. Una logica che chiede un continuo lavoro di riessivit, anch
non cada nella banalizzazione e non rimanga un mero uso formale delle pa-
role. La progettazione cruciale per chiunque faccia lavoro sociale. Non si
pu non progettare. Eppure pi si legge, si fa, si riette sulla progettazione e
pi si costretti a complessicare1.
* Tratto da: P. Triani, Sulle tracce del metodo, Pubblicazioni dellI.S.U. Universit Cat-
tolica, Milano 2004, pp. 62-137.
1
F. Olivetti Manoukian, Generare progettualit sociale, in Quaderni di Animazione e
Formazione, La progettazione sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999, p. 5. Tutto il
53
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
54
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Sostenuti dalla forza delle immagini, non ci si pu, per, sottrarre alla
fatica del concetto. bene perci tentare di delineare meglio i contorni
della logica della progettazione, allo scopo di portarne alla luce le ragioni e i
signicati.
La situazione contemporanea richiede modalit di azione che si caratte-
rizzino non solo per la loro stabilit ma anche per la loro essibilit, per una
pi alta capacit di rispondere rapidamente ai cambiamenti. La progetta-
zione si rapporta innanzitutto a questa esigenza, veicolando lintenzione di
coniugare unazione che abbia insieme solidit e duttilit. Ha osservato L.
Guasti: la natura della progettazione risponde, invece ad una forma di le-
game debole con lo sviluppo e si colloca sul versante della rapidit della ri-
sposta, della essibilit dei modelli, della duttilit degli strumenti operativi.
Nello stesso tempo introduce una percezione dello sviluppo di tipo dina-
mico, legata al contesto operativo, basata sugli attori del sistema e sulla rela-
tiva instabilit della situazione3.
La progettazione inoltre intende esprimere uno spostamento da una lo-
gica strettamente istituzionale, dove al centro sta la permanenza di uno
schema di comportamento predenito e generalizzato per ogni situazione,
ad una logica maggiormente etnograca centrata sullanalisi della situa-
zione e sulla capacit di arontare la soluzione in tempi educativamente
adeguati, cio proporzionati alla manifestazione del bisogno4. Ci non si-
gnica cadere in un lavoro senza alcun punto di riferimento, ma piuttosto
lavere uno schema talmente agile che sappia coniugarsi con la specicit dei
singoli problemi.
3
L. Guasti, Introduzione, in L. Guasti P. Plessi, Rapporto sul progetto giovani nella
Scuola Secondaria Superiore di Piacenza, Universit Cattolica di Brescia Provveditorato
agli Studi di Piacenza, Brescia 1999, p. 13.
4
Ibidem.
55
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
5
A. Orsenigo, Progettare: alcuni nodi critici, in Quaderni di Animazione e Formazio-
ne, La progettazione sociale, op. cit., p. 29.
6
Ibi, pp. 32-33.
56
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
7
L. Guasti, Introduzione, in L. Guasti P. Plessi, op. cit., p, 13.
8
F. DAngella A. Orsenigo, Tre approcci alla progettazione, in Quaderni di Anima-
zione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 53.
57
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
9
Cfr. innanzitutto Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale,
op. cit. La classicazione si muove in unottica sincronica, cercando di cogliere in che mo-
do oggi viene declinata la logica progettuale. Sarebbe interessante integrare questa lettura
con una sguardo diacronico nel tentativo di individuare quali orientamenti ha assunto,
durante i cambiamenti di questi anni, la progettazione. Un esempio di analisi diacronica
rappresentato da M. Lussignoli, Cultura e metodo del progetto nella rivista Animazione
Sociale, Tesi di Laurea in Scienze dellEducazione, Universit Cattolica del Sacro Cuore,
Sede di Brescia, Anno accademico 1998/1999. Lussignoli riconosce la successione di tre
orientamenti teorici: dialettico, razional-lineare, sistemico.
10
Cfr. F. dAngella A. Orsenigo, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione,
La progettazione sociale, op. cit., p. 54.
11
F. dAngella, Per un approccio dialogico alla valutazione, in Quaderni di Animazione
e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 170.
58
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
12
F. dAngella A. Orsenigo, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, La
progettazione sociale, op. cit., p. 57.
13
Cfr. ibi, p. 58.
14
Ibidem.
59
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
15
F. dAngella, Per un approccio dialogico alla valutazione, op. cit., in Quaderni di A-
nimazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 172.
16
Per tutte le tre citazione riguardanti gli aspetti problematici, Cfr. F. dAngella A.
Orsenigo, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op.
cit., p. 61.
60
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Progettazione dialogica
Alla luce delle critiche rivolte ai due approcci precedenti, in atto un o-
rientamento culturale che propone una progettazione denita dialogi-
ca17. Questapproccio intende la costruzione del progetto secondo una lo-
gica non tanto anticipatrice ed ordinatrice, quanto piuttosto relazionale e
concertativa.
In questottica la progettazione intesa come un processo inter-
soggettivo di ricerca e di costruzione collettiva che avviene mediante scam-
bi, negoziazioni tra pi soggetti18. Alla centralit della pianicazione, o alla
centralit della scomposizione del problema, viene sostituita la centralit
della comunicazione.
Essa richiede il riconoscimento condiviso di una questione, di un nodo,
di un problema: spesso nel riorganizzare un servizio la dicolt di coin-
volgere le persone e il fallimento dei progetti dipende dal fatto che il pro-
blema non sia sentito e riconosciuto cos importante, essenziale da dover
investire delle energie, delle risorse e del tempo19.
A partire da questo riconoscimento, la comunicazione si declina:
nella costruzione di un signicato comune del problema attraverso il
confronto: la progettazione nel processo di costruzione di un signica-
to condiviso del problema enunciazione, scambio, inter-azione, con-
itto tra le diverse mappe, con il grande sforzo di costruire un modo
comune di leggere, comprendere e interpretare il problema20.
nella costante e progressiva riformulazione degli obiettivi attraverso una co-
stante revisione su quanto svolto: lequipe che deve riorganizzare un servi-
zio costruisce un pensiero sulle azioni da intraprendere e attiva costante-
mente un processo di riessione sulle azioni realizzate. La metariessione
consente di riprogettare gli obiettivi del lavoro. Linter-azione tra pensiero e
azione implica un apprendimento dallesperienza21.
La prospettiva dialogica, in sintesi, intende costruire il progetto secondo
quattro criteri metodologici:
17
Cfr. Ibi, p. 54.
18
Ibi, p. 62.
19
Ibi, pp. 64-65.
20
Ibi, p. 64.
21
Ibi, p. 65.
61
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
22
F. dAngella, Progettarsi costruendo mondi possibili, in Quaderni di Animazione e
Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 77.
23
diventata necessaria una capacit decentrata se non diusa di lettura della do-
manda, A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella proget-
tazione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 99.
62
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
I referenti
Questa seconda dimensione pu essere espressa attraverso la domanda con
chi?. La progettazione sociale chiama in causa sempre una serie di persone: co-
loro che hanno la responsabilit operativa, ma anche i servizi, le istituzioni e,
soprattutto le persone, i gruppi, le organizzazioni a cui si intende rivolgere
lazione e che si intende coinvolgere. Ci comporta, per chi attua il progetto,
una chiara consapevolezza dei soggetti in gioco e una presa di posizione in me-
rito al valore da dare ai destinatari in quanto i clienti sono rappresentabili
con modelli assai diversi: come soggetti passivi, semplici acquirenti del nostro
prodotto, o come cittadini attivi24.
La ragione fondante (il senso)
Perch si mette in atto un progetto? Per quale ragione si chiede ad alcune
persone di mettere in gioco le loro energie? Ogni progetto costruito in base a
delle motivazioni che possono essere, a volte, molto diverse a seconda dei sog-
getti protagonisti, perch chiamano in causa in loro orientamento verso la vita.
Chiarire le ragioni fondanti un progetto e cercare di creare una base motiva-
zionale comune risulta, essere un fatto strategico non secondario per una sua
buona riuscita25. Tale base comune, che richiama la questione del senso della
propria partecipazione, non , per, un fatto statico, quanto piuttosto un dato
che chiede di essere sostenuti durante il processo.
il senso di fondo, spesso inconsapevole, che guida od orienta le azioni e
ancor pi i pensieri di chi lavora in un progetto () Con la progettazione di un
intervento sociale possono entrare in contatto, anche in termini conittuali,
visioni, ideologie, sistemi di signicato preesistenti. Il senso di un progetto non
quindi necessariamente dato e condiviso tra i vari attori. Esso lo inuenza e
ne inuenzato. Cosicch un progetto pu contribuire alla costruzione del
senso di un servizio e allo stesso tempo sensato in quellorganizzazione, ma
potrebbe non esserlo al di fuori26.
24
Ibi, p. 103.
25
I presupposti progettuali sono sempre presenti perch propri di ogni attore sociale,
ma spesso non vengono apertamente dichiarati. La loro esplicitazione utile, invece, ai ni
della chiarezza e coerenza progettuali, favorisce il confronto e precisa lidentit stessa dei
progetti, P. Reggio, op. cit., p. 78.
26
A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella progetta-
zione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 104.
63
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
Scopi e obiettivi
Accanto ad una dimensione motivazionale, la progettazione si caratterizza
per una dimensione che potremmo chiamare nalistica, in quanto chiama cau-
sa la questione del verso quale risultato ci si intende muovere.
Secondo P. Reggio, a tal proposito, la progettazione richiede innanzitutto
una esplicitazione dello scopo che ha una formulazione di carattere generale (
la nalit, la meta ultima alla quale il progetto tende, che pu essere raggiunta
anche in tempi che superano il progetto in questione27) e, successivamente
durante la fase pi propriamente denita di programmazione la precisazione
degli obiettivi che rappresentano la declinazione operativa, circoscritta, dello
scopo stesso.
Orsenigo, invece, riconoscendo la necessit di una pregurazione dei risul-
tati, introduce il concetto di prodotto, mettendo in luce la sua dicile deni-
zione nel campo sociale. Se relativamente semplice rappresentare il prodotto
di chi produce beni materiali, assai pi dicile da rappresentare per chi ero-
ga servizi, ossia oggetti in gran parte intangibili: informazione, educazione, in-
tegrazione sociale, salute28.
Loggetto di lavoro
La progettazione richiede di lavorare non solo per raggiungere qualcosa, ma
anche di lavorare su qualcosa. Generalmente nel lavoro sociale i contenuti sono
presentati sotto la forma di problemi. Questo termine, tuttavia, chiede di es-
sere utilizzato con attenzione, per non cadere in una prospettiva di azione sol-
tanto orientata sulla carenza e sulla mancanza. Loggetto di lavoro, general-
mente, non un dato immediato, perci la progettazione richiede che si
investa sulla sua chiaricazione da attuarsi con un diretto coinvolgimento dei
diversi protagonisti. Esso individuato, o forse meglio, costruito
dalloperatore, in relazione con il cliente e in funzione dei modelli, della routi-
ne, della cultura del Servizio, e dellambiente in cui opera29.
27
P. Reggio, op. cit., p. 78.
28
A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella progetta-
zione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit., p. 101.
29
Ibi, p. 102.
64
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Le procedure
La questione del come30 una dimensione pervasiva; la progettazione in-
fatti nel suo insieme un modo di rapportarsi e di agire sulla realt. Chi costrui-
sce un progetto si trova in realt sollecitato a considerare un triplice piano di
procedure. Vi innanzitutto un piano generale di procedure costituito dallo
schema generale di lavoro (lo richiamer brevemente anche tra poco) con le
sue fasi di analisi, ideazione, strutturazione, esecuzione, conclusione. Vi
quindi il piano caratterizzato dalle procedure che danno concretezza ad ogni
singola fase, vi sono operazioni per lanalisi, per il confronto e cos via. Inne vi
il piano in cui tradizionalmente si pone la questione del come. il piano della
cosiddetta realizzazione, in cui si attuano speciche modalit per lavorare
sulloggetto e raggiungere qualche risultato. La decisione di realizzare, ad esem-
pio, un percorso per i genitori, richiede la precisazione di quale congurazione
dare ad esso e di quali strategie educative mettere in atto.
La costruzione del progetto chiama in causa perci la sensibilit alla que-
stione metodologica, la capacit di articolare un quadro coerente di procedure
proprie delle diverse fasi, di denire, in ordine al campo di intervento, appro-
priate modalit di azione, di dare concretezza a queste modalit.
Laspetto economico
La progettazione, anche se pu essere svolta con spirito di assoluta gratuit,
ha sempre dei costi concernenti le risorse e la loro gestione. Realizzare un pro-
getto comporta limpegno di valorizzare al meglio i diversi soggetti con i loro
talenti e le loro energie, di valorizzare il tempo, gli spazi, gli strumenti, il bu-
dget a disposizione. Vi perci una dimensione, che possiamo chiamare eco-
nomica, che va ben al di l del dato monetario. Essa concorre a determinare i
limiti della progettazione e richiama gli operatori alla necessit di non separare
i desideri dalle possibilit e dalle scelte, allimportanza di considerare le conse-
guenze delle azioni in un confronto aperto con la realt.
La riessione e la metariessione
Le dimensioni no ad ora viste possono essere assolte solo nella misura in
cui gli operatori prendono sul serio laspetto cognitivo della progettazione. Per
progettare occorre analizzare, comprendere, denire, scegliere, analizzare e
30
Cfr. M. Maviglia T. Rossetto, Il P.O.F. in azione. Pianicare e progettare nella scuo-
la dellautonomia, Junior, Bergamo 2000, pp. 40-41.
65
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
31
F. dAngella A. Orsenigo, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, La
progettazione sociale, op. cit. p. 65.
32
F. DAngella, Per un approccio dialogico alla valutazione, in Quaderni di Animazione
e Formazione, La progettazione sociale, op. cit. p. 176.
66
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Figura 1: Tratta da C. Hadji, La valutazione delle azioni educative, op. cit., p. 45.
33
Cfr. C. Hadji, La valutazione delle azioni educative, La Scuola, Brescia 1995.
67
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
34
Cfr. A. Orsenigo, La costruzione delloggetto di lavoro e il modo di trattarlo nella pro-
gettazione, in Quaderni di Animazione e Formazione, La progettazione sociale, op. cit.
68
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
35
P. Zaghi, Leducatore professionale. Dalla programmazione al progetto, Armando,
Roma 1995, p. 20.
36
G. Sordelli, Nuovi modi di prendersi cura?, in Animazione Sociale n. 8-9/2001, p. 65.
69
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
3.2. Rete
La nozione di rete, declinata in diverse espressioni non propriamente
omogenee tra loro (lavoro di rete, intervento di rete, terapia di rete37), rap-
presenta il punto di riferimento di una seconda prospettiva emergente nel
lavoro sociale.
La rete richiama un intreccio tra punti, un insieme di ramicazioni che
collega tra loro vari elementi. Questa idea, per, assume una pi precisa con-
notazione in correlazione al contesto di uso e in correlazione al fatto che pos-
sono esservi diversi modi di intendere sia la natura dellintreccio sia il ruolo
giocato dai singoli punti. Per questo, J. Huguet precisa:
Ogni volta che si parla di rete nel campo delle scienze sociali, la dicolt
maggiore consiste nella necessit di denire di che cosa si tratta. In eetti il
termine rete indica da una parte delle realt spaziali concrete (le reti ferrovia-
rie, stradali, la rete delle poste e delle telecomunicazioni che presentano la
particolarit di essere delimitabili; anche un termine tecnico utilizzato in
matematica, in cristallograa, nel campo dellottica e dellelettricit),
dallaltra il suo utilizzo, per estensione, indica in ambito sociale degli insiemi
di relazioni tra persone che non si incontrano obbligatoriamente nello stesso
momento e nello stesso luogo. Per denizione la rete di relazioni non la si in-
contra se non attraverso contatti diretti tra alcuni degli individui che la com-
pongono, dunque in maniera sempre frammentata38.
Nel campo delle professioni di aiuto il concetto di rete, in prima battuta,
si declina come rete sociale e richiama limmagine di un tessuto di legami e
relazioni (con altri) in cui lindividuo strategicamente inserito e imbriglia-
to39. Si usa cos il termine rete per indicare un insieme di legami, dove preva-
le lorizzontalit e la partecipazione rispetto ad una rigida gerarchia di rap-
porti, dove prevale una comunicazione pi agile e informale rispetto ad un
37
Ad esempio per intervento di rete si intende nella letteratura specializzata la posi-
zione elaborata dal gruppo canadese guidato da C. Brodeur. In questa nostra riessione
sar utilizzata lespressione lavoro di rete in quanto pi fedele alla logica oggi emergente
nel sociale.
38
J. Huguet, Rete di relazione e realizzazione dellidentit individuale, in Quaderni di
Animazione e Formazione, Lintervento di rete. Concetti e linee di azione, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 1995, pp. 17-18.
39
P. De Nicola, Luomo non unisola. Le reti sociali primarie nella vita quotidiana,
FrancoAngeli, Milano 1986, p. 29.
70
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
40
F. Folgheraiter, Lavoro di rete e valorizzazione delle risorse sociali, in Quaderni di A-
nimazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p. 26.
41
Ibi, p. 32.
42
La rete sociale stata usata sovente come strumento metodologico della ricerca so-
ciale per individuare le reti reali e informali delle persone o delle organizzazioni
nellambiente sociale, J. Novak, La pratica delle reti sociali in Germania, in L. Sanicola (a
cura di), op. cit., p. 335.
71
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
43
F. Folgheraiter, Il servizio sociale di comunit in unottica di rete, in L. Sanicola (a cura
di), op. cit., 281.
44
In merito al tema delle reti (pi precisamente delle reti primarie) Donati precisa che:
non si tratta di un tema nuovo, ma di lunga durata, che rimonta alle origini stesse della
sociologia, ad autori come F. Le Play, C.H. Cooley, G. Simmel, F. Toennies e altri via via a
noi pi vicini, P. Donati, Prefazione. La riscoperta delle reti primarie: istanza pratiche,
ambiguit ed esigenze di una nuova riessione teorica, in P. Di Nicola, op. cit., p.7.
45
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit.; P. Di Nicola,
op. cit.; L. Sanicola (a cura di), op. cit.; Quaderni di Animazione e Formazione,
Lintervento di rete, op. cit.; R. Serra, Logiche di rete. Dalla teoria allintervento sociale,
FrancoAngeli, Milano 2001.
46
R. Serra, op. cit. p. 11.
72
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
per poi tracciare soltanto una mappatura, obbligatoriamente parziale, dei di-
versi modelli e delle diverse operazioni.
A. Il nucleo portante
Parlando della rete L. Sanicola riconosce che nelle diverse elaborazioni
si utilizza il termine rete facendo riferimento a paradigmi distinti, concer-
nenti concettualizzazioni della realt talvolta molto distanti tra loro47.
Lautrice individua le seguenti concettualizzazioni della rete:
Rete come realt puntiforme;
Reti sociali intese come realt sociale che si congura in una relazione di
circolarit tra reti primarie (naturali) e reti secondarie (articiali);
Reti sociali intese come sottosistemi del sistema sociale;
Reti sociali intese come legami signcativi di ego intra ed extra familiari
che svolgono una funzione di supporto per il soggetto;
Reti sociali intese come terzo settore48.
Nonostante questa pluralit, ritiene che la rete sociale abbia alcune carat-
teristiche, comuni alle diverse posizioni.
La prima caratteristica data dal suo congurarsi in una realt costituita
da legami strutturalmente rilevabili; la seconda consiste nel suo funziona-
mento che si determina in forza di scambi di natura diversa, fondati sul dirit-
to o sul mercato, ma anche scambi di natura simbolica, che comportano tran-
sazioni tra i singoli membri di una rete e tra reti di natura diversa; la terza
data dalla propriet della rete di produrre sostegno nei confronti dei singoli
membri che ne fanno parte, con eetti diversi sul piano materiale, informati-
vo ed aettivo; la quarta data dal carattere di reciprocit degli scambi e
quindi del sostegno da essi prodotti49.
La posizione qui esplicitata dalla Sanicola ci sostiene nel tentativo di enu-
cleare un insieme di signicati, che al di l delle diverse posizioni teoriche,
concorrono a costituire la losoa comune50 dellapproccio di rete; loso-
a che in termini pi o meno consapevoli, viene richiamata da coloro che uti-
lizzano rete come parola essenziale.
47
L. Sanicola, Orientamenti al lavoro di rete approcci teorici e metodologici, in Quaderni
di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p. 39.
48
Cfr. Ibi, p. 39-40.
49
Ibi, p. 41.
50
Cfr. M. Croce, Il lavoro di rete tra tecnica e partecipazione, in Quaderni di Anima-
zione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p. 3.
73
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
51
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 427.
52
R. Serra, op. cit. p. 77. La Sanicola elenca i seguenti tipi di rete: Reti primarie: si ca-
ratterizzano per scambi improntati alla reciprocit () dando forma al mondo aettivo e
simbolico dei singoli e dei collettivi. Ne costituiscono un esempio la rete famigliare e la
rete amicale. Reti secondarie informali: sono quelle che si costituiscono a partire dalle reti
primarie, in presenza di un bisogno condiviso, in relazione al quale esse organizzano un
aiuto o un servizio. Ne un esempio un gruppo di auto-aiuto non formalizzato. Reti se-
condarie formali: si caratterizzano per gli scambi fondati sul diritto (..) Esse erogano pre-
stazioni o servizi Reti di terzo settore: sono quelle che si costituiscono come organizza-
zioni di servizi non-prot, utilizzando come medium non solo il diritto ma anche la
solidariet Reti di mercato: sono quelle che coinvolgono le azione, le imprese, le attivit di
libera professione, ecc. In esse il medium il denaro e il protto. Reti miste sono quelle
reti che utilizzano un mix di mezzi di scambio, come ad esempio le cliniche private che,
pur agendo nella sfera di prestazioni di diritto erogano le proprie prestazioni sulla base di
un corrispettivo in denaro. (cfr. L. Sanicola, Lesplorazione delle reti primarie, in L. Sani-
cola (a cura di), op. cit., pp. 126-127).
74
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
53
Cfr. J. Huguet, op. cit., p. 18.
54
La rete naturale una forza in movimento. Quando qualcuno la vuole aiutare, sa-
rebbe bene lo facesse avendo suciente cognizione di che cosa fa. una forza si detto,
potente perch diusa, sparpagliata in tante volont distinte e libere. F. Folgheraiter, Teo-
ria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 439-440.
55
Cfr. Ibi, p. 257.
56
C. Besson, Il lavoro di rete. Strategie di azione, in Quaderni di Animazione e Forma-
zione, Lintervento di rete, op. cit., p. 81.
57
F. Folgheraiter, Il servizio sociale di comunit in unottica di rete, in L. Sanicola (a cu-
ra di), op. cit., p. 282.
75
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
58
Intervento di rete quindi, non come ricerca o somma di varie persone, come in al-
cuni casi peraltro pu essere utile, ma soprattutto come ricerca ed apertura di percorsi. M.
Croce, Il lavoro di rete tra tecnica e partecipazione, in Quaderni di Animazione e Forma-
zione, Lintervento di rete, op. cit., p. 7.
59
Cfr. ibi, p. 8.
60
F. Oliva, M. Croce, R. Merlo, Appunti di metodo per un intervento di rete con approc-
cio egocentrato, in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., p.
70.
61
Ibi, p. 71. Il modello egocentrato, a sua volta, pu essere distinto in due tipi: tipo te-
rapeutico e tipo psico-sociale. Cfr. ibi, pp. 71-78.
76
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
nel nodo del potere, dellappartenenza, della partecipazione dal basso, empo-
werment62.
Modello organizzativo
Croce, in realt, non utilizza questa espressione, ma parla semplicemente
di rete secondaria: i servizi e lorganizzazione, per indicare il centro di que-
sto modello. Esso raccoglie gli interventi che utilizzano il termine rete socia-
le riferendosi al coordinamento tra gli operatori, oppure al collegamento tra
gruppi e istituzioni o ad una strategia che favorisca le connessioni e
lorganizzazione tra risorse formali ed informali63.
62
M. Croce, op. cit., pp. 8-9. (Il corsivo nelloriginale).
63
Ibi, p. 9.
64
Cfr. L. Sanicola, Orientamenti al lavoro di rete. Approcci teorici e metodologici, in
Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete, op. cit., pp. 37-52. Lautrice
opera una comparazione tra i quattro indirizzi in base al quadro teorico, la dinamica
dellazione, le strategie e il ruolo delloperatore.
65
L. Sanicola, Lintervento di rete. Una innovazione nel lavoro sociale, in L. Sanicola (a
cura di), op. cit. p. 106.
66
L. Sanicola, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete,
op. cit., p. 46.
67
L.. Sanicola, Lintervento di rete. Una innovazione nel lavoro sociale, in L. Sanicola (a
cura di), op. cit. p. 106.
77
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
68
Cfr. L. Sanicola, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di
rete, op. cit., p. 46.
69
Ibi, p. 47.
70
Cfr. ibi, p. 43.
71
Lo stesso Brodeur scrive: La nostra pratica di rete tende a sviluppare alla base del si-
stema sociale, delle micro-societ naturali, che a partire dal piano della cultura, possano
ordinare allapparato economico i prodotti di cui hanno bisogno per il dischiudersi di una
vita conforme ai desideri pi profondi delluomo. C. Brodeur, Il lavoro di rete alla ricerca
della sua teoria di politica sociale, in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di
rete, op. cit., p. 16.
72
L. Sanicola, op. cit., in Quaderni di Animazione e Formazione, Lintervento di rete,
op. cit., pp. 47-48.
78
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
C. Le principali operazioni
Alla pluralit dei modelli (e quindi anche alla pluralit di oggetti) in cui
pu declinarsi lapproccio di rete, corrisponde una diversicazione degli
schemi di azione e degli strumenti utilizzati.
dicile, perci, denire con precisione uno schema generale comune
valido, ad esempio, sia per chi intenzionato a ristrutturare lorganizzazione
di un servizio, sia per chi intenzionato ad arontare direttamente un pro-
blema coinvolgendo la rete primaria.
Esaminando la letteratura specializzata, si pu comunque riconoscere un
nucleo operativo comune, distinguibile in due aree.
In una prima area possono essere raccolti una serie di spunti che concor-
rono a costituire il lato operativo della forma mentis della logica di rete. Ne
emerge una sorta di stile, sintetizzabile nei seguenti passaggi:
Pensare in rete
Si richiede di pensare il proprio campo di azione non semplicemente co-
me un elenco di problemi, ma come una rete sociale che pu essere valorizza-
ta; richiede di interpretare il problema e la sua possibile soluzione non in
termini isolati, ma allargando lo sguardo alle reti di riferimento.
Pensarsi in rete
La logica di rete chiede un mutamento anche alla comprensione che
loperatore ha del proprio ruolo. Loperatore non fuori da una rete sociale;
egli stesso in rete e la sua azione nodo di un tessuto di legami pi ampio.
Interagire in rete
Non si tratta solo di modicare una comprensione, ma di modicare il
proprio modo di lavorare, innalzando la capacit di interagire con gli altri
operatori, di interagire con le gure coinvolte nellintervento, accrescendo la
loro collaborazione e la loro capacit di aiuto.
79
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
73
L. Sanicola, Lesplorazione delle reti primarie, in L. Sanicola (a cura di), op. cit., p.
123.
74
Cfr. P. Zaghi, op. cit. p. 100.
75
L. Sanicola, Lesplorazione delle reti primarie, in L. Sanicola (a cura di), op. cit., p.
137.
76
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 265-339.
77
Ibi, p. 328-329.
80
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
78
R. Serra, op. cit., p. 201.
79
Cfr. L. Sanicola (a cura di), op. cit., pp. 187-274.
80
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 341-501.
81
Cfr. ibi, pp. 500-501.
82
M. Caueletin, Reti personali, percorso di vita e soggettivit. Dallesplorazione delle reti
personali alla conoscenza delle reti, in L. Sanicola (a cura di), op. cit., p. 361.
81
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
formale dei progetti educativi vede il lavoro di rete tra i presupposti culturali,
tra le strategie operative, tra gli obiettivi nali, oppure come elemento tra-
sversale a tutto il progetto.
Una maggiore sensibilit culturale verso una costruzione progettuale ca-
ratterizzata dalla sinergia, dal coordinamento, dalla collaborazione ha trovato
nella logica di rete un proprio punto di forza. Ne un esempio quanto scritto
in merito ad una esperienza di collaborazione tra C.A.G. Scuola e Territorio
nella Provincia di Brescia.
Se pensiamo alla nostra attivit sociale, sia essa svolta nella scuola, nel
C.A.G. e fra le due realt, parlare di cultura di rete diventa qualcosa di pi
dellintegrazione fra i servizi, fra realt istituzionali. La logica di rete rimanda
ad un intreccio tra Aettivit, Cultura, Struttura, che si carica di significato
in quanto rappresenta il risultato di Visioni che interagendo e integrandosi,
producono innovazione sociale. Il lavoro di rete si congura come azione
consapevole diretta a facilitare le sinergie, i sincronismi tra molteplici poli
formali e informali coinvolti concretamente nel progetto; accanto a questo
lavoro di rete prevede anche un lavoro di supporto a reti gi esistenti e
unazione di estensione della rete83.
Gli educatori non solo sono stati sollecitati a ragionare ed ad agire in una
logica di rete ma, con la loro radicata cultura relazionale, hanno contribuito
ad una sua diusione e ad un suo raorzamento.
Molti educatori in questi ultimi dieci anni, hanno partecipato e in alcuni
casi promosso lavori di rete nei diversi ambiti:
lavori di rete per la soluzione dei problemi dei singoli;
sistemi avanzati di network di servizi;
lavori di promozione della comunit84.
Come si pu notare dalle citazioni riportate, il rapporto tra lavoro di rete
e lavoro educativo attualmente considerato molto importante. Per com-
prenderne appieno, per, lattuale caratterizzazione, importante riconosce-
re lesistenza di tre diversi aspetti.
Un primo aspetto nellordine della sensibilit culturale e della consape-
volezza sociale. Il lavoro di rete richiama infatti il lavoro educativo allim-
83
Provincia di Brescia. Assessorato ai Servizi Sociali, CAG Territorio Scuola: quando la
collaborazione diventa possibile (a cura di E. Majer, L. Danieli, gruppo Educatori CAG e
Scuola), Formazione e servizi Quaderno n. 18, Brescia 2001, p. 24.
84
G. Sordelli, op. cit., p. 64.
82
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
85
M. Pollo, La societ complessa. La professione educativa e la dimensione socio-culturale,
in AA.VV., La professione di educatore, op. cit., pp. 83-84.
83
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
tiva: non solo i singoli, ma le reti che sostengono i singoli; non solo i compor-
tamenti, ma le culture di determinati gruppi.
Questo aspetto, per, presenta per leducatore, che opera attualmente, dei
contorni problematici, in quanto la promozione delle risorse di una rete un
ideale che si declina in pratiche tuttaltro che semplici ed omogenee e non
sempre conciliabili con loggetto di lavoro a cui uno stato assegnato. La lo-
gica della strada (ma in molti aspetti anche lanimazione), che tra poco sar
descritta, concorre a sostenere in questa direzione il lavoro educativo, in
quanto essa ha la rete sociale come contesto e come oggetto. Ma la logica del-
la strada non chiarisce del tutto il quadro, in quanto resta aperto il problema
metodologico di che cosa signichi, per educatori che operano sulla gestione
quotidiana di singole situazioni allinterno di singoli servizi, non solo tenere
presente la rete primaria, ma promuoverla. Da questo punto di vista neces-
sario innalzare il livello di analisi attraverso ricerche che raccolgono ci che
realmente fa un educatore quando aronta un problema in una logica di rete.
3.3. Empowerment
Nel numero 1/2002 di Animazione Sociale nella sezione dedicata alla
discussione sul lavoro sociale per ben tre volte, in poche pagine, si parla di
empowerment come logica importante per un intervento pi ecace e pi
signicativo.
Bench oggi sia frequente collegare lutilizzo di questo termine con il
mondo della formazione professionale e delle aziende, nel pi vasto campo
dellazione sociale e politica, agli inizi degli anni 60, che il concetto di em-
powerment ha origine86 ed soprattutto nella psicologia di comunit che il
concetto stato e continua ad essere centrale87.
86
Lapproccio dellempowerment piuttosto giovane ed alla ricerca della propria
specicit, sia teorica, sia metodologica. oggetto di studio e ricerca soprattutto nel nord
America. In quel paese nacque, nellambito della psicologia sociale e di comunit, degli
studi delle minoranze svantaggiate, degli studi sui processi di riabilitazione di portatori di
handicap. In anni recenti stato recepito e sviluppato dal mondo dellimpresa e delle
scienze manageriali, M. Colombo, Empowerment nei servizi residenziali per anziani non
autosucienti, in Animazione Sociale, 5/1995, p. 67.
87
C. Piccardo L. Orso Giacone, Per un approccio di empowerment alle sde della co-
munit, in Animazione Sociale, 10/1995, p. 35.
84
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Nella declinazione sociale del suo uso, empowerment, sia che lo si inten-
da come condizione psicologica di un soggetto, sia come forma di interven-
to88, ha al centro lidea di un raorzamento del sentirsi capaci di agire e un
rafforzamento della reale possibilit di azione di un singolo individuo, di una
organizzazione, di una comunit. Inteso sia come percorso che come risulta-
to89, esso consiste, per riprendere quanto espresso da Rappaport,
nellaccrescere la possibilit dei singoli e dei gruppo di controllare attiva-
mente la propria vita90.
La comprensione per di questo concetto in campo sociale non priva di
ambiguit. ancora una volta opportuno, a questo riguardo, richiamare Fol-
gheraiter, il quale distingue due modi profondamente diversi di intendere
lempowerment allinterno della politica sociale91. Lo si pu intendere come
strategia passiva e quindi come il lasciare il potere di fare agli interessati,
oppure pu essere inteso come strategia relazionale ossia come il reciproco
potenziamento del potere di azione. La prima strategia centrata sullidea del
lasciar fare ha in s il rischio di essere gravemente ineicace nei confronti di
coloro in cui pi alta la carenza di potere di azione92. La seconda strategia,
invece, pone al centro unazione di supporto che non si sostituisca alle perso-
ne, ma attraverso una relazione di aiuto incrementi il senso di poter fare de-
gli interessati93. Nellattuale letteratura del sociale e nel linguaggio degli ope-
88
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 406.
89
Lempowerment una parola processo-prodotto in quanto d nome sia al processo
percorso per raggiungere un certo risultato, sia al risultato stesso caratterizzante lo stato
empowered del soggetto (i corsivi sono nelloriginale), D. Francescato, Empowerment per-
sonale, di gruppo, sociale, in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, Empowerment sociale,
FrancoAngeli, Milano 1996, p. 18. La letteratura dedicata allempowerment presenta al
suo interno la distinzione tra empowering (per intendere le azioni di potenziamento) e
empowered (inteso come lo stato nale del soggetto che ha acquisito potere di agire).
Allinterno della presente riessione si ritenuto opportuno non entrare nel merito di
questa distinzione ed utilizzare empowerment come parola processo-prodotto.
90
D. Francescato, op. cit., in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., p. 17.
91
Cfr. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., pp. 403-418.
92
In prima impressione verrebbe da dire che lasciar fare le persone buttarle a mare
perch imparino a nuotare sia strategia spiccia ad alto rischio, che pu funzionare di tan-
to in tanto. Altrettanto spesso, alle persone buttate in acqua, manca il tempo di apprende-
re qualsiasi cosa, Ibi, pp. 408-409.
93
Ibi 410. Lempowerment attivo un modo che ha lesperto di accostare chi ha un
problema o coloro che gli sono vicini, in virt del quale questi sentono di dovere e potere
85
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
fare qualcosa per aiutarsi pi di quanto potrebbero fare se si trovassero nelle seguenti due
condizioni: a) se fossero lasciati soli, nel qual caso pi probabile che si sentirebbero so-
praatti dalle dicolt e in preda allimpotenza e b) pi di quanto anche potrebbero fare
se fossero aiutati appunto nel modo sbagliato, cio con approcci che li sostituissero nella
soluzione, impedendo loro di agire, ibi, pp. 410-111.
94
C. Piccardo L. Orso Giacone, op. cit., p. 42.
95
F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale, op. cit., p. 405.
96
M.A. Zimmerman, Empowerment e partecipazione della comunit, in Animazione
Sociale, 2/1999, p. 18.
97
Le attivit di empowerment cercano di pervenire allemancipazione di questi sog-
getti, al raggiungimento non solo del controllo sulle loro vite, della loro dignit e del loro
senso di orgoglio, del loro rispetto di s, ma anche della loro capacit di inuenza econo-
mica e politica, sdando in qualche modo le relazioni di potere tipiche della nostra socie-
t, C. Piccardo L. Orso Giacone, op. cit., p. 35.
98
Ibi, p. 37.
86
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
ni assolutamente separati, il lato di colui che sa, dal lato di colui che non sa, il
lato di chi esperto e il lato di chi utente, il lato di chi ha potere e quello di
chi non ne ha. Lempowerment intende potenziare la possibilit di vita e la
capacit di azione dei soggetti, attraverso una strada che integri le conoscen-
ze, le capacit, le energie dei servizi con le risorse dei destinatari.
Ci signica portare avanti una logica di intervento che, mentre non
cieca sulle mancanze, intende operare sulla valorizzazione delle risorse. I va-
lori dellempowerment spingono a promuovere il benessere invece di limitar-
si a prevenire la malattia, a identicare i punti di forza invece che catalogare i
fattori di rischio e a incrementare le opportunit invece di ssarsi sui pro-
blemi99. In questottica si possono comprendere i gruppi di auto-aiuto, che
la logica dellempowerment promuove.
La valorizzazione delle risorse comporta che il soggetto possa riconoscerle
e possa utilizzarle. In questo senso empowerment signica lavorare per incre-
mentare laccesso alle risorse: si riconosce che nella nostra societ ci sono al-
meno quattro tipi di potere: la forza, la legge, il denaro e la conoscenza, che
sono distribuiti in modo ineguale tra gli individui e nei diversi gruppi sociali
ed etnici. Al tempo stesso si postula che la persona che si sente impotente,
spesso non riconosce n utilizza le risorse accessibili sia personali che socia-
li100. Si possono, dunque, distinguere due categorie di risorse: le risorse in-
terne al soggetto e le risorse esterne. Sono esempi della prima categoria: la
motivazione, la capacit di analizzare e risolvere i problemi, la capacit di or-
ganizzare lazione, la conoscenza dei dati; sono esempi della seconda, la quali-
t dei rapporti sociali, la situazione economica, la situazione organizzativa di
una data realt. necessario tenere presenti entrambi i tipi di risorse.
Lesclusiva attenzione, infatti, alle risorse interne rischia di far perdere al con-
cetto di empowerment la sua valenza socio-politica, limitando il concetto di
autonomia che ne consegue alla sola dimensione psicologica.
Non basta accedere alle risorse, occorre avere il potere di trasformarle in
azione. Lempowerment, dunque, ripone al centro lidea di potere come og-
getto di lavoro e come dimensione su cui vigilare. Il potere, che la logica di
empowerment intende raorzare nei soggetti, non da intendersi sempli-
cemente con il possesso di qualcosa (sono potente perch ho denaro, ho
99
M.A. Zimmerman, op. cit., p.11.
100
D. Francescato, op. cit.,, in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., pp. 15-
16.
87
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
101
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 14.
102
Ibi, p.12.
103
Cfr. C. Piccardo L. Orso Giacone, op. cit., 38.
88
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
104
Non sarebbe realistico studiare lempowerment senza considerare anche le die-
renze di poteri, i rapporti con i mediatori fra poteri o alcune caratteristiche delle strutture
di potere, M.A. Zimmerman, op. cit., p.19.
105
F. Folgheraiter, Loperatore sociale del welfare mix, in op. cit., p. 22.
106
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 10.
107
Cfr. M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, Orientamenti operativi per la consulen-
za al self empowerment, in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., pp. 38-52.
89
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
viventi (chi vive male), contro la prigionia dello scacco matto () Per vivere
in modo signicativo occorre avere davanti a s un qualche possibile, ritrova-
re lalba di una nuova vita riprendendo in mano la propria strada e il proprio
destino108.
Lempowerment organizzativo
Con questa espressione si intende in senso generale lazione mirante a
promuovere una innovazione nel modo di operare e di decidere di una qual-
siasi realt organizzata. Usualmente per applicata con un riferimento par-
ticolare alle organizzazioni lavorative. Ad esempio, in una organizzazione si
devono raorzare le competenze dei lavoratori, mutare gli stili di leadership,
riorganizzare i lavoratori in gruppi autonomi (self empowered work team),
mutare i sistemi premianti in modo che valorizzino sia prestazioni individua-
li che di squadra; creare sistemi informativi computerizzati che rendano ac-
cessibile a tutti le informazioni, ridurre gli strati gerarchici, elaborare valori di
base e un senso di mission condivisi109.
In riferimento al campo delle organizzazioni, la Piccardo distingue due
approcci di empowerment: psico-sociologico e socio-organizzativo110.
Il primo ritiene che operare in una logica di empowerment signichi in-
nanzitutto lavorare contemporaneamente sulle dimensioni individuali e or-
ganizzative, anch le persone possano sviluppare contemporaneamente
un sentimento del proprio lavoro e un maggior controllo sulla situazione la-
vorativa111. Il secondo approccio prende in considerazione il funzionamen-
to organizzativo negli aspetti sociali e tecnici, sia a livello micro-
organizzativo, che comprende i sottosistemi (le singole unit di lavoro, i mec-
canismi di integrazione e controllo e in particolare i gruppi di lavoro auto-
nomi) che a livello macro-organizzativo (mission dellazienda, clima, cultura,
sistemi premianti, ecc.)112.
Lempowerment di comunit
Parlando di empowerment di comunit (oppure empowerment di rete o,
in termini pi generici, empowerment sociale) ci si riferisce principalmente
108
C. Piccardo, Empowerment, Cortina, Milano 1995, p. 55.
109
D. Francescato, op. cit. in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., p. 21.
110
Questa distinzione riportata in ibi, p 19.
111
Ibidem.
112
Ibidem.
90
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
allazione collettiva per il miglioramento della qualit della vita nella comu-
nit e alla connessione tra organizzazioni e agenzie della comunit113. Il po-
tenziamento della comunit114 si articola in diverse strade: il lavoro con le reti
primarie, la promozione delle sinergie fra i diversi soggetti della vita sociale, la
cura e lo sviluppo delle strutture, dei mezzi, dellorganizzazione di un deter-
minato territorio. Come ha notato Zimmerman, lempowerment organiz-
zativo e comunitario non si riduce allaggregazione di pi individui a loro
volta empowered, ma include anche lattivazione di alcuni fattori di contesto
che accrescono le opportunit di empowerment individuale115.
C. Le principali operazioni
La declinazione operativa dellempowerment, ha raggiunto, almeno nel
nostro paese, forme di strutturazione molto diversa a seconda dei campi di
intervento. Accanto a proposte di Self-empowerment (soprattutto nel campo
lavorativo) articolate su specici passaggi, si trovano proposte in cui
lempowerment posto sostanzialmente come valore di riferimento.
La logica dellempowerment appare principalmente come un orientamen-
to di fondo, che prende forma concreta nei diversi livelli di intervento, attra-
verso dispositivi e strategie diversicati116. Per questo, non facile individua-
re con precisione un insieme di operazioni che concorrano a costituire una
sorta di struttura di base comune ad ogni lavoro che voglia denirsi di em-
powerment.
Si pu registrare, invece, innanzitutto la presenza di alcune indicazioni o-
rientative generali, che si ritiene importante siano tenute presenti nel lavorare
secondo una logica di empowerment. Si possono considerare tali le quattro
113
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 17.
114
Per i nostri scopi deniremo la comunit in senso generale in modo tale da com-
prendere in questo concetto ogni luogo o ambito nei confronti dei quali gli individui ab-
biano un senso di identit e di appartenenza, un sistema comune di simboli (per esempio
linguaggi, rituali, cerimonie), valori e norme comuni, reciproca inuenza, bisogni simili e il
comune impegno di soddisfarli e inne legami emotivi condivisi, M.A. Zimmerman, op.
cit., p. 16.
115
Ibi, p. 17 (Il corsivo nelloriginale).
116
Cfr. D. Francescato, op. cit., in C. Arcidiacono B. Gelli A. Putton, op. cit., p.
20. Lautrice parla di strategie di intervento di Psicologia di comunit per favorire
lempowerment personale, di gruppo e sociale.
91
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
Figura 3, tratta da M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, Orientamenti operativi per la consulenza al self empo-
werment, in C. Arcidiacono, B. Gelli, A. Putton, Empowerment sociale, op. cit., p. 42.
92
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
117
E.R. Martini, Ricerca partecipata e sviluppo di comunit, in C. Arcidiacono B. Gel-
li,. A. Putton, op. cit., 209.
118
M.A. Zimmerman, op. cit., p. 11.
119
M. Bruscaglioni, M. Capizzi, S. Gheno, op. cit., in C. Arcidiacono B. Gelli A.
Putton, op. cit., p. 39.
120
M. Colombo, op. cit., p. 64.
93
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
re il lato umano, per dare dimensione concreta a tutti i progetti che pun-
tano al rilancio della qualit totale121.
Per quanto riguarda, per, lapplicazione operativa e la concretizzazione in
speciche forme di azione di questa logica nellambito della professione educa-
tiva, lattuale letteratura si presenta ancora piuttosto rada.
Il richiamo allempowerment assume generalmente il ruolo di orienta-
mento generale per il progetto e di senso globale dellintervento. La spie-
gazione di questo fenomeno pu essere individuata in almeno due ragioni.
La prima consiste nel fatto che il lavoro educativo generalmente pensato,
da coloro che cercano di attuarlo, come lavoro di promozione e potenziamen-
to. Da questo punto di vista, la parola empowerment, in qualche modo, per-
cepita come un raorzativo del senso generale dellazione educativa ed, in eet-
ti, i signicati portanti della logica in questione presentano una forte assonanza
con diversi temi centrali nella pedagogia contemporanea (lattivismo, la moti-
vazione, le competenze). Per questo sembra quasi che la declinazione specifi-
ca dellempowerment da parte delleducatore appaia non necessaria, in quanto
ogni azione educativa che voglia essere realmente tale in fondo una azione
mirata al rendere i destinatari pi autonomi, pi responsabili, pi forti.
La seconda ragione consiste nel fatto che il lavoro quotidiano delledu-
catore ha molto spesso a che fare con situazioni fortemente segnate dalla
debolezza di soggetti depowered. In rapporto a questo contesto come se
si generasse una sorta di resistenza culturale nellutilizzare la parola empo-
werment in quanto essa appare troppo intensa rispetto agli obiettivi che si
ritengono realmente raggiungibili.
Chiaramente queste ragioni sono qui solo accennate e richiederebbero
unanalisi pi dettagliata. Al di l, per, di una modellistica operativa anco-
ra poco denita, resta evidente che la logica dellempowerment si presenta,
sempre di pi, come una sollecitazione importante per il lavoro educativo,
per muoversi nella direzione di una maggiore attenzione alle risorse e alla
forze dei soggetti in educazione.
121
P. Brustia N. De Piccoli, Percorsi identitari ed empowerment sociale, in Anima-
zione sociale, 10/1996, p. 64.
94
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
4.4. Strada122
La strada, il viaggio, lavventura non sono temi nuovi per i giovani, per chi
lo stato, e per chi continua ad esserlo () Ci che appare nuovo ed assolu-
tamente interessante almeno per quanto riguarda il crescente interesse
che tale fenomeno sta assumendo nel nostro paese invece pensare la
strada come luogo di intervento sociale con le dimensioni, la diusione,
linteresse, la ricchezza di esperienze e le aspettative che tale pratica sembra
assumere123.
122
Anche sulla strada come luogo e forma di educazione e, soprattutto, sul lavoro di
strada esiste ormai una letteratura abbastanza ampia, in cui sono arontate questioni an-
che molto speciche, come la valutazione del lavoro e la dimensione organizzativa. Per un
primo approfondimento si rimanda a: Quaderni di Animazione e Formazione, Il lavoro di
strada, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Quaderni del Centro nazionale di docu-
mentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, Dossier Monograco: In strada con
bambini e ragazzi, Pianeta Infanzia Questioni e Documenti N. 12, Istituto degli Innocen-
ti, Firenze, 1999; L. Regoliosi, La strada come luogo educativo. Orientamenti pedagogici sul
lavoro di strada, Unicopli, Milano 2000.
Nel contesto del presente lavoro si intende mettere in luce solo i caratteri generali: per
dare una prima idea in merito alla nozione di strada e al lavoro di strada come logica di a-
zione.
123
M. Croce, La strade nel mito e il mito della strada, in Quaderni del Centro naziona-
le di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, Dossier Monograco: In stra-
da con bambini e ragazzi, op. cit., p. 62 e p. 64.
124
L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit., p. 41.
125
Per una prima sguardo storico sul lavoro di strada oltre ai volumi gi richiamati si
veda anche F. Santamaria, Il lavoro di strada, in Animazione Sociale, 6-7/1998, pp. 33-
44.
95
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
126
L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit., pp. 45-46.
127
Cfr. la sezione Documenti in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed
analisi per linfanzia e ladolescenza, op. cit.
128
R. Maurizio, Introduzione, in Quaderni di Animazione e Formazione, Il lavoro di
strada, op. cit., p. 10.
129
Carta di Bologna degli operatori delle Unit di strada, in Quaderni del Centro na-
zionale di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 313.
96
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
130
A questo proposito sarebbe opportuno riprendere in considerazione il fenomeno
che R. Massa ha chiamato pedagogizzazione forsennata di ogni forma di cultura, in R.
Massa, Sugli usi della fenomenologia nella pedagogizzazione attuale delle forme di cultura,
in Encyclopaideia, Luglio-Dicembre 1997, pp. 9-30.
97
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
131
L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit. p. 11.
132
E.R. Martini, Fare ricerca sociale in strada, in Quaderni del Centro nazionale di do-
cumentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 50.
133
Cfr. L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit. p. 14.
134
D. Squassabia, Lavoro di strada, FrancoAngeli, Milano 2001, p. 19.
98
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
135
F. Santamaria, Per una qualicazione educativa del lavoro di strada, in Animazione
Sociale, 6-7/1998, p. 58.
136
La soglia, infatti, non tanto un fatto materiale, ma ancor prima e ancor di pi
un fatto simbolico e relazionale. Simbolico perch le distanze vivono nelle nostre teste a
partire dai modi con cui ci rappresentiamo la realt; relazionale perch i gesti e gli atteg-
giamenti, la sensibilit con cui ci incontriamo, possono favorire lincontro o lo possono
bloccare, M. Campedelli. Educativa di strada e riduzione del danno, in Quaderni di Ani-
mazione e Formazione, Il lavoro di strada, op. cit., p. 63.
137
F. Santamaria, Per una qualicazione educativa del lavoro di strada, op. cit., p. 67.
99
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
138
Cfr. M. Bonessio, Lavorare ai conni, in Animazione Sociale, 8-9/1997, p. 76.
139
Cfr. G. Scaratti, Il lavoro di strada tra psyche e techne. Considerazioni metodologiche e
strumentali, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per linfanzia
e ladolescenza, op. cit., p. 115.
100
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
B. I diversi modelli
Come ci ricorda Santamaria: Seppure non si sia ancora approdati a una
modellizzazione condivisa, disponiamo di una serie di tipologizzazioni si-
gnicative per un primo bilancio delle esperienze di lavoro di strada. Si
tratta di modelli di lettura che incrociano condizioni di agio (benessere) e
di disagio o devianza, nonch processi educativi e preventivi, sui quali le o-
pinioni scientiche non sempre convergono, ma che rappresentano lo
sfondo teorico e concettuale cui le tipologie sono strettamente correlate140.
Senza nessuna pretesa di coprire lattuale panorama, suciente alla
scopo (introduttivo) del nostro lavoro richiamare tre posizioni che concor-
rono a delineare un quadro sucientemente esaustivo della prassi in corso.
La prima quella di R. Maurizio, che ha elaborato una classicazione
individuando quattro diverse centrature141.
Interventi centrati sulla prevenzione
Questi interventi, diusi nelle esperienze italiane, si caratterizzano per
una particolare attenzione agli adolescenti e ai gruppi naturali (alle bande
e alle compagnie) e alle tematiche della comunicazione, dellanimazione del
tempo libero nel caso della prevenzione del disagio ed una maggiore atten-
zione ai singoli adolescenti che, per varie ragioni, vengono identicati come
soggetti particolarmente esposti al rischio di intraprendere una carriera di
emarginazione e/o deviante142.
Interventi centrati sulla devianza e sullemarginazione
In questo caso lattenzione focalizzata sui soggetti che vivono ai mar-
gini della societ: senza ssa dimora, tossicodipendenti, giovani che si pro-
stituiscono o che infrangono la legge143. Si interviene per ridurre soeren-
za e rischi e, quando possibile, per mettere in moto processi di recupero.
140
F. Santamaria, Il lavoro di strada, op. cit., p. 38.
141
Cfr. R. Maurizio, Il lavoro di strada in Italia: rassegna di eventi e temi, in Quaderni
del Centro nazionale di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, op. cit.,
pp. 13-15.
142
Ibi, p. 14.
143
Ibidem.
101
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
144
Ibidem.
145
Ibidem.
146
Cfr. M. Croce, Tra la via emilia e il Sert, in Animazione Sociale, 8-9/1997, p. 22.
147
Ibidem.
148
Cfr. Ibidem.
102
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
Filone educativo
Croce con questo lone si riferisce agli interventi focalizzati sullarea del
disagio e della devianza minorile.
Tale approccio, che si muove anchesso sulla base di una critica dei tra-
dizionali interventi nei confronti della devianza e del disagio minorile, si
dierenzia dal primo [lone ecologico] per una precisa denizione (o ac-
cettazione) di chi il destinatario dellintervento e dal secondo [lone
pragmatico] per il riuto di modelli riduttivi che non pongono lobiettivo
principale di favorire anche il cambiamento di situazioni suscettibili di evo-
luzione149.
103
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
152
Ibi, p. 62.
153
Cfr. ibi, p. 63.
154
Ibi, p. 64.
155
Ibi, p. 65.
104
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
C. Le principali operazioni
Anche il lavoro di strada, sebbene si articoli al suo interno in diverse ti-
pologie, andato, in questi anni caratterizzandosi, attraverso
lindividuazione di una serie di passaggi operativi che costituiscono quasi
una struttura base dellintervento. Gi nel 1994, nella Carta di Certaldo
possiamo leggere: i progetti di lavoro di strada nascono per conseguire fi-
nalit dierenti, sia rispetto al target a cui sono rivolti che rispetto
allobiettivo che si preggono. () Pur tenendo presenti queste dierenze
stato messo in evidenza che esistono delle modalit comuni
nellimpostazione e nello sviluppo di questi progetti156.
Facendo tesoro delle diverse Carte e delle ricerche di diversi autori,
limpostazione del lavoro di strada pu essere declinata in una serie di pas-
saggi.
Mappatura e ricognizione
Il lavoro di strada, innanzitutto, richiede una conoscenza dellambiente
considerato nei vari livelli: economico, sociale, urbanistico, ecc. tramite at-
tivit di ricerca intervento, osservazione partecipante, raccolta di biograe
di vita157. Si tratta perci di realizzare una mappatura del territorio (defi-
nendo il prolo territoriale, demograco, economico, istituzionale, dei ser-
vizi158), dei gruppi delle relazioni.
Alla mappatura si accompagna un lavoro di osservazione-ricognizione
sul campo, allo scopo di denire meglio il target dellintervento, la sua
cultura e le sue abitudini. Si tratta di una osservazione sul campo; per que-
sto, gi da questa fase, leducatore entra in relazione con il territorio e cerca
di acquisire condenza con esso.
Contatto e approccio con i destinatari
Il lavoro di strada richiede, successivamente, un contatto con i destina-
tari al ne di creare le condizioni per linserimento e laccettazione da par-
156
Carta di Certaldo, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi
per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 294.
157
Carta di Candia, in ibi, p. 302.
158
Cfr. S. Bertolino, G. Gocci, F. Ranieri, Strada facendo, FrancoAngeli, Milano 2000,
p. 42.
105
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
te dei singoli e dei gruppi con cui si deciso di lavorare159. Come ricorda la
Carta di Certaldo: le modalit di contatto e di presentazione possono av-
venire in base a precise richieste degli utenti, oppure per iniziativa degli o-
peratori con comunicazioni dirette o mediate da iniziative di animazione.
() Risulta immediata limportanza di esplicare e chiarire il proprio ruolo,
denendo ci che si e ci che non si , con la propria presenza, lesserci,
ma anche grazie al proprio fare160.
La modalit dellapproccio deve essere dunque orientata, come sottoli-
neano gli operatori stessi, a creare una relazione signicativa e un clima di
ducia per potere arrivare ad un progetto comune.
Strutturazione stabile
Il passaggio successivo quello della proposta che pu concretizzarsi at-
traverso diversi tipi di progetti. Gli autori del volume Strada Facendo elen-
cano i seguenti microprogetti:
per gli aspetti del tempo libero: aumentare la capacit organizzativa, di-
versicare le attivit da fare;
per lautopercezione di s: fermare lautoidenticazione come persone
devianti, arrestare lisolamento del target, aumentare la capacit di ma-
turare scelte;
per i rapporti di rete: aumentare le relazioni del target con lesterno, cre-
are identit, accettare e valutare le dierenze;
per i rapporti con le istituzioni: aumentare i rapporti con i servizi;
per il rapporto con leventuale uso di sostanze: favorire un atteggiamen-
to critico sulla droga-spaccio, modicare latteggiamento nei confronti
del denaro, aumentare la conoscenza e quindi la consapevolezza sulle so-
stanze161.
Distacco
Unultima fase quella del distacco. Si tratta, da parte delloperatore, di
concludere uno specico intervento o, comunque, di muoverlo verso nuovi
obiettivi, cercando di evitare che si crei una eccessiva identicazione tra una
determinata realt e un determinato gruppo di operatori.
159
Carta di Candia, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi
per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 302.
160
Carta di Certaldo, in ibi., pp. 294-295
161
S. Bertolino, G. Gocci, F. Ranieri, op. cit., pp. 49-50.
106
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
162
Carta di Candia, in Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi
per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 302.
163
Cfr. L. Regoliosi, La strada come luogo educativo, op. cit., pp. 84-85.
107
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
4.5. Animazione
Analogamente alle altre parole prese no ad ora in esame, anche il ter-
mine animazione non si sottrae ad un gioco di interpretazioni molto varie-
gato. Occorre perci fare subito una prima precisazione: il termine anima-
zione sar qui assunto avendo come contesto di riferimento il lavoro sociale
e principalmente quello italiano.
Anche nella cultura italiana del sociale, per, la parola animazione si
presenta con un doppio volto, in quanto pu contemporaneamente indica-
re nella mente degli operatori, degli amministratori, degli studiosi, qualcosa
di molto debole e qualcosa di molto forte.
Nella sua accezione debole, lanimazione circoscritta alle attivit con-
nesse al semplice divertimento e considerata, rispetto allintervento socio-
assistenziale o socio-educativo nel suo insieme, meno decisiva, meno nobile,
meno impegnativa.
Nella sua accezione forte, invece, intesa come unazione sociale di
promozione umana e di coscientizzazione personale e comunitaria165. In-
tesa in questo modo, lanimazione si trova in stretto contatto con la nozio-
164
R. Maurizio, Il lavoro di strada in Italia: rassegna di eventi e temi, in Quaderni del
Centro nazionale di documentazione ed analisi per linfanzia e ladolescenza, op. cit., p. 21.
165
G.A. Ellena, Voce Animazione, in J.M. Prellezo, C. Nanni, G. Malizia (a cura di),
Dizionario di Scienze delleducazione, Elle Di Ci L.A.S. S.E.I., Torino 1997, p. 62.
108
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
166
Per un approfondimento cfr. Quaderni di Animazione e Formazione, Lanimazione
socioculturale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 2001; L. Cadei, Radici pedagogiche
dellanimazione educativa, I.S.U. Universit Cattolica, Milano 2001; M. Pollo, Animazio-
ne culturale, L.A.S., Roma 2002.
167
Cfr. P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Animazione e
Formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 173.
168
M. Pollo, La storia dellanimazione, in Verso un documento di base dellanimazione,
in Animazione Sociale, 5/1998, p. 33. (Il corsivo nelloriginale).
109
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
169
M. Pollo, Animazione culturale, op. cit. p. 61.
170
L. Cadei, Prospettive di animazione in un orizzonte educativo, in Quaderni di Ani-
mazione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 59.
171
Cfr. P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Animazione e
formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., pp. 171-185.
172
L. Cadei, Radici pedagogiche dellanimazione educativa, op. cit., p.162.
110
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
173
Ibi, p. 25.
174
G. Contessa, Lanimazione, CittStudiEdizioni, Milano 1996, p. 59.
175
F. Floris, Il processo di apprendimento esperienziale, in Quaderni di Animazione e
Formazione, Lanimazione con gruppi di adolescenti, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995,
p. 45.
176
C. Laneve, Lanimatore, in C. Scurati (a cura di), Volti delleducazione, op. cit., pp.
107-108.
111
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
177
F. Floris, Quando si pu parlare di animazione?, in Quaderni di Animazione e for-
mazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 148.
178
C. Laneve, op. cit., p. 107.
179
M. Pollo, La mappa dei concetti dellanimazione, in Verso un documento di base
dellanimazione, in Animazione Sociale, 5/1998, pp. 48-49.
180
Per un approfondimento sul ruolo educativo del gruppo nella prospettiva
dellanimazione cfr. M. Pollo, Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, Elle Di Ci,
Leumann 1990.
112
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
una storia, lo sostiene nel suo cammino identitario, e, inne, gli ore un
principio di senso181.
Lanimazione, ponendo al centro la capacit di partecipazione, intende
non solo far partecipare i soggetti, ma, in termini ancora pi forti, rendere i
soggetti partecipi di un progetto condiviso, attraverso lesercizio del dialogo.
Vi una espressione molto signicativa di Freire a tal proposito. Egli, par-
lando, del dialogo scrive poich un incontro di uomini che danno un
nome al mondo, non deve essere elargizione degli uni agli altri. un atto di
creazione182.
Inne lanimazione si presenta con i tratti della divergenza e della provo-
cazione. Essa, infatti, ha come suo carattere peculiare quello di presentarsi
come azione che mira a suscitare nuove energie, nuove interpretazioni, che
sollecita ad assumere nuovi linguaggi, che spinge ad accostarsi alla realt at-
traverso forme pi attive e creative e spesso inusuali per i soggetti coinvolti.
in rapporto alla forza di provocazione e di rendere diverso, provo-
cante, stimolante, lapproccio alla realt che va compresa la curvatura di
divertimento che la pratica animativa generalmente assume e la connessa
valorizzazione del gioco. Parlare di divertimento non signica semplicemen-
te distrarre, far riposare la mente, ma piuttosto divertere laccostamento
che il soggetto ha ad una realt, per accendere in lui interesse e curiosit,
per provocare nuove comprensioni e nuove azioni183. Appare chiaro allora
perch lanimazione dia tanta importanza alle forme ludiche, in quanto il
gioco permette al soggetto di entrare nella realt da un altro lato, di ap-
prodare ad una dimensione che non toglie dalla vita, ma permette di acco-
starla con linguaggi, schemi, dinamiche diverse. M. Pollo, a tal proposito,
dopo avere riconosciuto al gioco le qualit particolari di graticazione e di
gratuit, ne ricorda quattro funzioni fondamentali:
lampliamento delle possibilit;
181
M. Pollo, Il percorso ovvero il metodo dellanimazione, in Verso un documento di base
dellanimazione, in Animazione Sociale, 5/1998, p. 55.
182
Citato in P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Animazione e
Formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 180.
183
Osserva Cadei (parlando della proposta di Contessa): letimologia di divertente
la medesima di divergente. Divertere signica voltare langolo e il divertimento adulto si
lega, perci, ad una qualche diversit. Lesperienza proposta deve aprire alla novit e indi-
care qualcosa di non conosciuto. L. Cadei, Radici pedagogiche dellanimazione educativa,
op. cit., p. 31.
113
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
184
Cfr. M. Pollo. Il gioco come luogo di animazione, in Quaderni di Animazione e for-
mazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 163; pp. 166-167.
185
G. Carpi, Giocaperch Giocaquando, Elle Di Ci, Leumann, Torino 1996, pp. 30-31.
114
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
186
F. Floris, Dove va lanimazione socioculturale?, in Quaderni di Animazione e forma-
zione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 8.
187
Ibidem.
188
Ibidem.
189
Ibi, p. 9.
190
Ibi, p. 9.
115
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
191
M. Pollo. La storia dellanimazione, op. cit., p. 29.
192
Ibi, p. 30.
193
Ibidem.
194
Ibidem.
116
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
195
Ibi, p. 31.
196
Ibidem. Evidentemente la critica di Pollo allanimazione turistica chiede si essere
collocata (e eventualmente contro criticata) nel quadro della teoria dellanimazione
dellautore in questione.
117
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
197
Cfr. M. Pollo, Animazione Culturale, op. cit., pp. 249-387.
198
Cfr. P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Animazione e
formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., pp. 180-184. Questo saggio con lo stesso
titolo stato precedentemente pubblicato su Animazione Sociale 2/2001, pp. 70-81.
118
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
199
Cfr. M. Pollo, La funzione dellanimatore, in Verso un documento base sullanima-
zione, in Animazione Sociale, Maggio 1998, p. 65 e p. 68.
200
Anche nel pi volte citato Verso un documento di base dellanimazione si parla di
trama esistenziale. Cfr. ibi, p. 55.
119
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
201
F. Floris, Quale animazione con adolescenti e giovani?, in Animazione Sociale 3/
1996, p. 95.
120
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
c) Il movimento verso di s
Il metodo dellanimazione si realizza in modo peculiare nella misura in
cui lanimatore, mentre realizza le azioni sullesterno, mette in atto anche
delle operazioni che hanno come oggetto il proprio comportamento. Vi
dunque un movimento verso s, strettamente connesso al movimento verso
lesterno. Esso appare come decisivo nellanimazione educativa.
Nel processo animativo, la vitalizzazione e la sensibilizzazione rimandano
allimportanza che lanimatore stesso attivi la sua sensibilit, tenga continua-
mente accesse le proprie antenne. Possiamo chiamare questa operazione: esse-
re attento o porsi in attenzione. Il processo cresce se loperatore dellanimazione,
mentre cerca di creare un contesto vitale, mette in atto una continua attenzio-
ne a ci sta accadendo, a ci che egli percepisce, prova, comprende. Questo gli
permette di adattare la sua azione, ma anche di prendere pienamente parte a
ci che si sta svolgendo.
La provocazione comporta nellanimatore loperazione del lasciarsi pro-
vocare egli stesso da ci che intende proporre e da ci che emerge. Il lato at-
tivo di questa operazione landare in profondit e guardare la realt con
occhi creativi202, ossia interrogare ed elaborare radicalmente ci che prende
vita dal processo e ci egli che vuole porre allattenzione degli altri. Per po-
ter muovere la supercie e spingere oltre, altrove, dentro, lanimazione
chiede alloperatore di essere uomo di profondit e di creativit.
Il promuovere la parola e il rendere partecipi si coniugano dal lato
dellanimatore in tre operazioni: il dare un nome, il mettersi in gioco, il la-
sciare spazio.
Mentre cerca di promuovere le persone nel cammino di signicare, os-
sia di esprimere ed elaborare ci che si vive, si desidera, si incontra, si com-
prende, si costruisce, lanimatore stesso sollecitato a vivere la fatica e la
bellezza dellesprimersi e di dare un nome. Mentre cerca di attuare una re-
ale partecipazione dialogante, lanimatore stesso sollecitato (pur nella di-
versit) a non essere solo il regista, ma a prendere parte (il che non vuol dire
necessariamente mettere mano) a ci che si sta realizzando. In questo met-
tersi in gioco, per, solo il lasciare spazio allaltro, ai suoi tempi, ai suoi
202
Questultimo punto dedicato alla creativit non era presente nel saggio a cui si sta
facendo riferimento.
121
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
segni, ai suoi silenzi che salvaguarda dal rischio del protagonismo e della
manipolazione.
La descrizione del movimento verso s conclude la presentazione della
struttura del metodo schematizzata nella gura 4.
Figura 4: Tratta (con una leggera modica) da P. Triani, Ipotesi sul metodo dellanimazione, in Quaderni di Anima-
zione e formazione, Lanimazione socioculturale, op. cit., p. 184
122
Capitolo terzo - Le logiche di azione emergenti
123
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
Figura 5
124
Capitolo quarto
I CONTESTI EDUCATIVI*
125
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
126
Capitolo quarto - I contesti educativi
3
J.P. Rosenczveig, Que nous enjoint la loi?, in AA.VV., Maltraitance: mantien du
lien?, ditions Fleurus, Paris 1995, pp. 18 ss. Lautore distingue tra maternit biologica e
gestatrice per la possibilit attuale di portare a termine una gravidanza al posto di unaltra
madre; la liazione sociale o giuridica pu non corrispondere a quella biologica, come nel
caso delladozione; inne, la liazione aettiva pu rimanere anche nel caso che soprav-
vengano altre liazioni.
4
Sul mito familiare si veda F. Emiliani, P. Bastianoni, Una normale solitudine. Per-
corsi teorici e strumenti operativi della comunit per minori, La Nuova Italia Scientica,
Roma 1993, pp. 33-34.
127
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
con gli strumenti concessi dalla legge per operare adamenti, adozioni o
inserimento in comunit.
In questo senso si pu dire che leducatore nelle strutture di accoglienza
si trova tra due mondi in trasformazione: da una parte la famiglia, soggetta
a profondi mutamenti negli ultimi anni, dallaltro lo Stato, altres in cam-
biamento per quanto riguarda latteggiamento nei confronti del nucleo fa-
miliare. Il problema daltra parte non solo giuridico, ma specicatamente
pedagogico.
I motivi a favore del mantenimento ad ogni costo del legame familiare
possono essere sintetizzati nel tentativo di salvare i genitori disturbati o fra-
gili attraverso il bambino-terapeuta. Il glio stesso sarebbe cio la principa-
le, se non lunica speranza di modicare i comportamenti patologici dei ge-
nitori. Un altro motivo che viene addotto fa riferimento al fatto che la
peggiore famiglia sia comunque pi valida del migliore adamento
allesterno. Secondo alcuni una riconciliazione immaginaria con i propri
genitori una condizione indispensabile per lo sviluppo, ed facilitata dal
mantenimento del legame. A sostegno di tale posizione vi ancora
losservazione che ogni disfunzione a carico della famiglia, ed occorre
quindi curarla anzich occuparsi solo del bambino5.
In realt tali aermazioni devono essere messe alla prova della realt nel
caso di gravi trascuratezze o violenze. Non va nemmeno taciuto il rischio
che la permanenza in una famiglia diseducativa ed abusante sia semplice-
mente la conseguenza di una indierenza o mancanza di intervento da par-
te dei servizi o delle autorit giudiziarie preposti oppure di una ideologica
presa di posizione a favore della famiglia di sangue.
La priorit va data alla protezione del bambino, anche a costo di una se-
parazione; curare la famiglia naturalmente auspicabile, ma non pu essere
la condizione da adempiere per poter allontanare il bambino. La Conven-
zione Internazionale sui diritti dellinfanzia del 1989 postula come primo
diritto di avere i genitori, crescere nellambiente familiare in un clima di
felicit, amore e comprensione. Lart. 7 stabilisce che il bambino ha, nel-
la misura del possibile, il diritto di conoscere i suoi genitori ed essere alleva-
to da loro. Inne in base allart. 9 gli Stati-parte vegliano perch il bam-
bino non sia separato dai genitori contro la loro volont, eccetto nel caso in
5
S. Tomkiewicz, Le maintien du lien: pourquoi?, in Maltraitance: maintien du lien?,
p. 114.
128
Capitolo quarto - I contesti educativi
6
La Convenzione Onu sui diritti dellinfanzia e la sua attuazione sono in A.C. Moro,
Il bambino un cittadino, Mursia, Milano 1991.
129
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
7
O. Liverta Sempio, Il lavoro delleducatore nei sistemi di relazione, in M. Groppo
(a cura di), Professione educatore, p. 149.
130
Capitolo quarto - I contesti educativi
131
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
10
Riferimenti alla resilience si trovano in F. Emiliani, P. Bastianoni, Una normale soli-
tudine, p. 19; si veda anche F. Emiliani, Processi di crescita tra protezione e rischio, in P.
Di Blasio (a cura di), Contesti relazionali e processi di sviluppo, Raaello Cortina, Milano
1995; E.J. Anthony, Risk, vulnerability and resilience: an overview, in B. Cohler (a cura
di), e Invulnerable Child, Cambridge University Press, Cambridge 1989.
11
F. Emiliani, P. Bastianoni, Una normale solitudine, p. 174
12
Ivi, pp. 175 ss.
132
Capitolo quarto - I contesti educativi
della crescita. Tra i due elementi contrapposti della tecnica e della carisma-
ticit esiste la lettura e la comprensione paziente e collettiva dei problemi e
la creazione di relazioni aettive ogni volta rimesse in questione dalla vita
quotidiana. In realt, come avviene in famiglia, anche nelle comunit il rap-
porto diretto e responsabile adulto/bambino viene spesso eluso o reso
insignicante. Osserva Emiliani che, anche dove esista un progetto educati-
vo derivato da teorie dello sviluppo e delleducazione, raramente si riscon-
tra una centralit della relazione degli adulti con i minori, mentre il pro-
blema principale delle comunit consiste nel loro essere fondate sul
sistema di relazioni tra adulti e bambini, che deve essere progettato n
dallinizio come un sistema stabile, in un processo in cui sia possibile rico-
noscere il nesso di causalit fra le azioni e levoluzione dei minori ospiti13.
necessario sviluppare nelle comunit, anzich unenfasi sul progetto,
una forte coesione tra gli operatori riguardo ai modelli culturali, ai valori,
alle concezioni di famiglia e di infanzia e ai relativi strumenti educativi che
si intendono utilizzare. Si tratta di una sorta di carta fondamentale che
deve tener conto di alcuni punti chiave: lassunzione della storia del minore
in tutti i suoi aspetti; la gestione dei rapporti con la famiglia e con lesterno,
in considerazione dei vincoli imposti alle scelte educative; lorganizzazione
degli aspetti della vita quotidiana; gli obiettivi per il futuro.
A partire da tale progetto inteso in senso di carta fondamentale si svi-
lupperanno le tappe signicative della crescita dei minori in obiettivi chiari
e concreti, tenendo presente che i singoli progetti individuali sono sottopo-
sti a incertezza e trasformazioni in base ai tempi, alle circostanze e agli ele-
menti del contesto.
13
Regione Toscana-Giunta Regionale, Coordinamento Nazionale Comunit Per Mi-
nori, Educare in comunit. Progetto educativo e qualit dellintervento, Atti del Convegno
di Firenze 30-31 marzo 1992, Quaderni Educare in Comunit 3, Edizioni Regione To-
scana, Firenze 1993; sulle storie dei bambini e ragazzi ospiti cfr. Regione Toscana-Giunta
Regionale, Coordinamento Nazionale Comunit Per Minori, Vuoi sapere cosa penso io del-
la comunit per minori? 56 ragazzi e ragazze si raccontano, Quaderni Educare in Comunit
4, Edizioni Regione Toscana, Firenze 1994.
133
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
14
D.P.R. n. 448 del 22/9/1988, Approvazione delle disposizioni sul processo penale a ca-
rico di imputati minorenni.
15
Un commento dal punto di vista pedagogico al Processo Penale Minorile in L. Mi-
lani, Devianza minorile. Interazione tra giustizia e problematiche educative, Vita e Pensiero,
Milano 1995.
Sullo sviluppo degli interventi istituzionali nei confronti della devianza minorile, cfr.
A. Borsani, Istituzioni e devianza minorile. Sanzione e diritto/dovere alleducazione, Franco
Angeli, Milano 1997.
134
Capitolo quarto - I contesti educativi
16
M. Leblanc, Une approche criminologique. Vers un modle direntiel
dintervention et de prise en charge, in R.E. Tremblay, A.M. Favard, R. Jost (a cura di), Le
traitement des adolescents dlinquants. Perspectives et prospectives internationales, ditions
Fleurus, Paris 1985, p. 164.
135
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
17
Le disposizioni sulle comunit sono contenute nellart. 10 del D. Lgs. n. 272 del
28/7/89, Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D. P. R. 22/9/88, n.448,
recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni.
18
Su questa contraddizione si veda il commento in L. Milani, Devianza minorile, p.
283 e p. 367.
19
M. Lion, M.T. Spagnoletti, Collocamento in comunit: problemi in ordine alla appli-
cazione della misura cautelare, in Esperienze di giustizia minorile, 1-2, 1995, p. 135.
136
Capitolo quarto - I contesti educativi
20
C. De Angelis, Le comunit penali: teorizzazioni, aspettative e realt, in Esperienze
di giustizia minorile, 1-2, 1995, pp. 140-141.
21
Cfr. F. Le Poultier, Recherches valuatives en travail social, p. 117.
137
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
22
F. Cardona, Crescere, educare, curare, contenere: strutture residenziali per adole-
scenti con gravi dicolt in Inghilterra, in C. Kaneklin, A. Orsenigo, Il lavoro di comuni-
t, p. 127.
23
S. Casciotti, F. Curti Gialdino, V. De Orsi et Alii, Comunit educative per minori:
indagine conoscitiva, in Esperienze di giustizia minorile 1-2, 1995, pp. 13-131.
24
Ivi, pp. 38-39.
25
Ivi, p. 41.
138
Capitolo quarto - I contesti educativi
menti delle attivit, del lavoro, dello studio, ponendo in secondo piano
lattenzione specica al mondo interno delle persone26.
La visione densa che si vuole adottare nel presente lavoro, per garanti-
re una comprensione dei fenomeni, suggerisce di prendere maggiormente
in considerazione la variet di elementi che caratterizzano queste realt col-
lettive: ispirazione culturale, gura degli educatori, approccio psicopeda-
gogico, uso delle regole, rapporti con lesterno, etc. La sionomia delle co-
munit data dal diverso intrecciarsi degli elementi, con prevalenza ora
della tendenza al rapporto individuale, ora al lavoro, ora al rispetto
dellordine interno.
Dallanalisi di alcuni tipi di strutture residenziali per adolescenti emer-
gono tre tendenze che non costituiscono modelli, ma coloriture del lavo-
ro educativo. La prima mette laccento sulla comunicazione educativa, sulla
parola di cui i ragazzi si riappropriano attraverso il rapporto con gli educa-
tori. Si tratta di una visione consapevole delle implicazioni sociali e cultura-
li che conducono alla devianza, attenta alle dierenze e ai percorsi di vita.
Leducatore prima di tutto un adulto testimone di un altro modo di vive-
re e di unattenzione nei confronti dei ragazzi. Le regole si situano, prima
ancora che nellordine della casa, nel limite posto dal rapporto educativo
personalizzato.
Una seconda accezione vede la comunit come luogo di rappresentazio-
ne di tutte le dinamiche psicologiche delle persone, una famiglia simboli-
ca dove occorre aiutare gli adolescenti ad arontare i fantasmi della loro
storia di relazione. La struttura molto libera e essibile, le regole si costi-
tuiscono in base alle situazioni, gli educatori sono compagni di strada, ma
anche tecnici, che lavorano sui vissuti e sui comportamenti simbolici ana-
lizzandoli di volta in volta.
Nella terza tendenza si trova un tipo di comunit che spinge gli adole-
scenti allinterpretazione del signicato della loro vita dando particolare at-
tenzione al contesto. il contesto di comunit, diverso da quello di prove-
nienza, che mette gli adolescenti in grado di riscoprire il senso esistenziale
del gusto di vivere, nel rispetto di s e dei limiti posti dalle istituzioni socia-
li. Non si guariscono i sintomi, ma si conduce allautonomia attraverso la
creazione di legami. La profondit e la costanza di questi legami con gli e-
26
Ivi, pp. 112-113.
139
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
27
M. Leblanc, Une approche criminologique, in R.E. Tremblay, A.M. Favard, R. Jost
(a cura di), Le traitement des adolescents dlinquants, pp. 172 ss.
140
Capitolo quarto - I contesti educativi
sona che dovrebbero essere presenti in ogni famiglia. In questo senso, parti-
colare attenzione deve essere attribuita al momento alla fase dellaccoglienza
e allammissione che spesso, data la rapidit, non permette una progetta-
zione ecace. Nella fase iniziale di accoglienza occorre tener conto di alcu-
ni elementi per elaborare il progetto: la storia individuale, la situazione al
momento dellentrata, le reazioni alla vita della comunit, le richieste ed i
bisogni impliciti.
La selezione dei ragazzi deve garantire una individualizzazione e una
programmazione che tenga conto dei cambiamenti che ogni ingresso com-
porta. I minorenni che giungono in comunit a causa di una sanzione ma-
nifestano spesso atteggiamenti di chiusura e ribellione e si pone in primo
piano la necessit di conquistare la loro ducia, iniziando da una comuni-
cazione chiara dei tempi e delle ragioni della loro permanenza. Altrettanto
complessi sono i bisogni dei minorenni giunti per cause imputabili alla fa-
miglia: si hanno cos spesso atteggiamenti di indierenza, rassegnazione,
apatia o richieste di attenzione formulate in modo implicito.
La permanenza dei ragazzi richiede un progetto essibile e dierenziato:
nelle comunit, infatti, convivono ragazzi con situazioni diverse. Le misure
cautelari sono previste per breve tempo e non devono essere dilatate in
quanto come ha scritto A.C. Moro la loro nalit resta quella di evitare
fughe o altri reati28.
Per consentire un vero e proprio progetto educativo in molti casi si rea-
lizza un incontro tra il collocamento in comunit in base allart. 22 e la
possibilit di trasformare questo articolo in altri tipi di misure (messa alla
prova, ricorso a provvedimenti civili) per progettare lintervento su tempi
medio-lunghi. Altre situazioni riguardano, appunto, ragazzi cui stata con-
cessa la sospensione del processo e per cui occorre fare una seria e concreta
programmazione a medio termine; vi sono poi ragazzi in dicolt, senza
procedimenti a carico, che devono essere allontanati dalla propria famiglia
di origine con possibilit di decadenza totale o parziale o sospensione della
potest genitoriale; inne minori che necessitano di sostegno per un perio-
do di tempo limitato.
28
A.C. Moro, Il bambino un cittadino, p. 271. Sugli aspetti del progetto nella comu-
nit per adolescenti con problemi penali, cfr. F. Rizzo, Ragazzi in prova. La relazione edu-
cativa tra regola e incoraggiamento, Unicopli, Milano 1997.
141
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
29
P. Morozzo Della Rocca, Minori e minoranze: una debolezza moltiplicata, in P.
Cendon (a cura di), I bambini e i loro diritti, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 333-348.
30
G. Scardaccione, M.T. Spagnoletti, Tipologia della devianza minorile e risposte giudi-
ziarie, in Esperienze di giustizia minorile, n. 3-4, 1994, p. 95. Sui problemi di devianza
di minori stranieri e nomadi, cfr. il numero monograco de Il bambino incompiuto, n.
3-4, 1996; S. Segre, Immigrazione extracomunitaria e delinquenza giovanile: unanalisi so-
ciologica, in Studi Emigrazione, 111, 1993, pp. 384-415, con unampia bibliograa.
31
A. Lo Conte, G. Marotta, Il minore nomade: vittima o autore di reato?, in Espe-
rienze di giustizia minorile, n. 3-4, 1994, p. 59.
142
Capitolo quarto - I contesti educativi
32
C. Kaneklin, A. Orsenigo, Il lavoro di comunit, p. 62.
33
Ivi, p. 151.
34
G. De Leo, Il collocamento in comunit degli adolescenti nel processo penale minorile.
Come capire ed utilizzare gli insuccessi e le disfunzioni, in Esperienze di giustizia minori-
le, 1-2, 1995, p. 161.
143
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
35
Ivi, p. 162.
36
M. Lion, M.T. Spagnoletti, Collocamento in comunit, p. 137.
37
C. De Michelis, Lesperienza di Casal del Marmo, in Esperienze di giustizia mi-
norile, 1-2, 1995, p. 155.
144
Capitolo quarto - I contesti educativi
38
P. Bertolini, L. Caronia, Ragazzi dicili.
39
G. De Leo, Linterazione deviante. Per un orientamento psico-sociologico al
problema norma-devianza e criminalit, Giur, Milano 1981, pp. 19-20.
145
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
40
Ibidem.
41
Ivi, p. 8; sul tema della responsabilit cfr. anche G. Ponti (a cura di), Giovani, respon-
sabilit e giustizia, Giur, Milano 1985; G. Vico, Educazione e devianza, La Scuola, Bre-
scia 1988.
42
G. De Leo, Linterazione deviante, p. 19.
43
G. De Leo, Psicologia della responsabilit, Laterza, Bari 1996, p. 56.
44
Ivi, p. 100.
45
F.W. Foerster, Colpa ed espiazione. Alcune fondamentali questioni psicologiche e peda-
gogiche sul problema della delinquenza e della cura della giovent, Sten, Torino 1912, p. 33.
146
Capitolo quarto - I contesti educativi
46
A.C. Moro, Il bambino un cittadino, p. 264.
47
Su questa problematica si veda anche M. Vaillant, Adolescence, violences et justi-
ce, in C. Rey (a cura di), Les adolescents face la violence, Syros, Paris 1997, pp. 112-123.
48
L. Milani, Devianza minorile, p. 304.
147
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
49
M. Lion, M.T. Spagnoletti, Collocamento in comunit, p. 138; A. Faramo, I giovani
nel circuito penale minorile in comunit: una riessione del Centro per la Giustizia Minorile
di Roma, in Esperienze di giustizia minorile, 1-2, 1995, p. 146.
50
G. De Leo, Il collocamento in comunit degli adolescenti nel processo penale minorile,
p. 162.
51
A. Faramo, I giovani nel circuito penale minorile in comunit, p. 145.
148
Capitolo quarto - I contesti educativi
Tutte le energie comunitarie devono essere spese per il recupero dei ragazzi
e per la prevenzione, vincendo la sda della collaborazione tra i servizi, la
scuola, la famiglia, le associazioni52.
Un altro aspetto del compito di promozione della responsabilit riguar-
da la conciliazione e riparazione. Nel sistema giuridico anglosassone esisto-
no forme di probation (sottoporre limputato ad una serie di prescrizioni) e
di mediation (mancato promuovimento dellazione penale e ricerca di un
accordo tra imputato e parte lesa nel corso di unudienza informale). In Ita-
lia la forma pi completa in questo senso espressa proprio dallart. 28 del
DPR 448 di cui si nora parlato, che prevede che il giudice pu imparti-
re prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la
conciliazione del minorenne con la persona oesa dal reato.
Secondo Bouchard, la riparazione delle conseguenze siche e morali
del reato attraverso lopera, le parole, i gesti del colpevole appare oggi la vera
frontiera su cui rifondare la giustizia penale, non solo minorile. Questa
tendenza mira a ridare importanza alla vittima verso la quale in particola-
re la giustizia minorile sente di avere un debito senza per questo tornare
ad una volont punitiva verso i minori53. Secondo alcuni, il modello ripara-
tivo costituisce levoluzione pi recente del diritto minorile, dopo quello
retributivo e riabilitativo54. Infatti, la giustizia giusta quella che riesce a
dierenziarsi il pi possibile dalla violenza che deve impedire, evitando di
riprodurre il circolo vizioso della vendetta55. La conciliazione e la riparazio-
ne interpretano questo nuovo orizzonte del diritto, rappresentando mo-
delli relazionali ed umani socialmente pi costruttivi rispetto alluso della
forza, dellodio e della vendetta56.
52
A.C. Moro, Il bambino un cittadino, p. 273.
53
M. Bouchard, Dove va la delinquenza dei giovani, dove va la giustizia minorile?, in
Minori giustizia, 4, 1994, pp. 10-18.
54
Sullevoluzione della giustizia verso forme di riparazione e mediazione si veda U.
Gatti, M.I. Marugo, La vittima e la giustizia riparativa, in G. Pomi (a cura di) Tutela del-
la vittima e mediazione penale, Giur, Milano 1995, p. 93; G. De Leo, Psicologia della re-
sponsabilit, p. 133.
55
Sul tema del diritto contro la vendetta, si veda E. Resta, La certezza e la speranza.
Saggio su diritto e violenza, Laterza, Bari 1992.
56
U. Gatti, M.I. Marugo, La vittima e la giustizia riparativa, in G.Ponti (a cura di),
Tutela della vittima e mediazione penale, p. 109.
149
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
57
M. Bouchard, Dove va la delinquenza dei giovani, p. 17
58
G. De Leo, G. Scardaccione, Esperienze di riconciliazione vittima autore del reato e
ipotesi di applicabilit nel processo penale minorile, in G. Ponti (cura di), Tutela della
vittima e mediazione penale, pp. 151-152.
59
Ivi, p. 108.
150
Capitolo quarto - I contesti educativi
60
L. Cancrini, Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani,
La Nuova Italia Scientica, Roma 1982, p. 163 ss. Sono numerose le ricerche sulle comu-
nit terapeutiche in Italia. Tra queste, si veda D. Costantini, S. Mazzoni, Le comunit per
tossicodipendenti, La Nuova Italia Scientica, Roma 1984; G. Bellieni, G. Gambiaso, Co-
munit per tossicomani. Esperienze italiane e straniere, Franco Angeli, Milano 1985. Cfr.
anche il numero monograco dedicato alle comunit del Bollettino per le farmacodi-
pendenze e lalcoolismo, 1-2-3, gennaio-giugno 1988; Labos-Ministero dellInterno. Di-
rezione Generale dei Servizi civili, Strategie operative nei servizi per le tossicodipendenze,
Edizioni Ter, Roma 1993.
151
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
61
I Pinzani, Ventanni di comunit terapeutiche, in Animazione Sociale, 3, 1996,
pp.17-24.
152
Capitolo quarto - I contesti educativi
62
M. Ravenna, Le comunit per tossicodipendenti, in A. Palmonari (a cura di), Co-
munit di convivenza e crescita della persona, p. 118.
63
Sulla storia delle comunit cfr. L. Cancrini, Quei temerari sulle macchine volanti.
153
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
64
Ivi, pp. 171-172.
65
M. Ravenna, Le comunit per tossicodipendenti, in A. Palmonari (a cura di), Co-
munit di convivenza e crescita della persona, p. 130.
154
Capitolo quarto - I contesti educativi
66
M. Cagossi, Comunit terapeutiche e non, Borla, Roma 1988, pp. 210-211.
67
Labos-Ministero DellInterno, Direzione Generale Dei Servizi Civili, Le comunit
per tossicodipendenti. Storia, modelli, stress lavorativo, Edizioni T. E. R., Roma 1994, pp.
98-108.
68
Ivi, p. 101.
155
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
69
C. Kaneklin, C. DAmbrosio, F. Olivetti, A. Orsenigo, Tipologie delle comunit tera-
peutiche per tossicodipendenti, Atti del I Congresso, Sottoprogetto CNR Tossicodipendenze,
Firenze 1985.
70
Labos-Ministero DellInterno, Le comunit per tossicodipendenti, pp. 18-20.
156
Capitolo quarto - I contesti educativi
In ogni caso il lavoro della comunit stato denito una sorta di tera-
pia del mondo in quanto si applica alle modalit complesse di entrare in
relazione, ai processi per attribuire un senso, allesercizio delle forme pi
adeguate in rapporto a controllate esperienze vitali71. In questo senso, per
rispondere alla domanda iniziale, si pu aermare che le comunit si occu-
pano del rapporto della persona con se stessa e con il mondo circostante:
hanno, dunque, un compito globalmente educativo. Lintervento educativo
non una parte del loro lavoro, n caratterizza alcune comunit al contra-
rio di altre, ma costituisce lelemento centrale, anche se implicito, di tutte le
realt che si occupano di tossicodipendenti. Nella misura in cui la droga
non un nemico astratto da combattere o una malattia da guarire, ma la
risposta deviata ad un complessivo malessere che investe la capacit di dare
senso alla vita, la funzione educativa resta centrale pur se non riconosciu-
ta anche nelle realt pi strettamente orientate verso la psicoterapia.
La capacit di una comunit di essere educativa e di rispondere ai biso-
gni delle persone senza manipolazioni indebite risiede infatti, a nostro pa-
rere, nellequilibrio tra lo spazio lasciato allesperienza di vita quotidiana
nella comunit e quello dedicato alla rielaborazione di tale esperienza. I due
aspetti devono rientrare in una circolarit di comprensione e di interpreta-
zione. La riessione, gli incontri di gruppo, i colloqui di psicoterapia devo-
no mirare alla rielaborazione dellesperienza quotidiana, della storia della
persona, dei suoi comportamenti, senza costituire un mondo a parte. Vi-
ceversa, una comunit immersa nellesperienza, incapace di riessivit, ri-
schia di lasciare irrisolti i nodi educativi. Il diverso equilibrio e mixage tra
diversi elementi (lavoro, attivit, incontri, psicoterapia) d luogo a diverse
formule; tuttavia il processo di comprensione della vita delle persone e
della loro storia, di interpretazione della vita quotidiana e di progettazione
del futuro che deve restare al centro.
La comunit come contesto educativo si caratterizza per alcuni elementi
fondamentali, tra cui la presenza di adulti capaci di sostenere e aiutare una
profonda trasformazione sul piano umano, che comporta una revisione del-
le proprie modalit di vita, abitudini, scelte. Ne consegue che la formazione
degli educatori, pi che la struttura organizzativa, rappresenta di fatto il
problema centrale di queste realt collettive. Tra le funzioni propriamente
71
M. Cagossi, Comunit terapeutiche e non, p. 215.
157
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
72
Ivi, pp. 200-201.
73
G. Scaratti, Spunti per la denizione dello specico educativo delleducatore pro-
fessionale nei servizi per la tossicodipendenza, in M.A. Groppo, G. Scaratti, M. Tomisich
(a cura di), Leducatore professionale nei servizi per la tossicodipendenza, Franco Angeli, Mi-
lano 1993, p. 135.
74
R. Carli, Le comunit residenziali come strutture simboliche, in C. Kaneklin, A.
Orsenigo, Il lavoro di comunit, p. 76.
158
Capitolo quarto - I contesti educativi
75
M. Groppo, La coscienza del limite come fondamento per la costruzione del s, M.
Groppo, G. Scaratti, M. Tomisich (a cura di), Leducatore professionale nei servizi per la
tossicodipendenza, p. 54.
159
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
bilit dei detentori di droghe per uso personale76. In molti casi il trattamen-
to in comunit viene scelto per evitare le sanzioni previste. In questo caso
cura e controllo sociale vengono a coincidere, con tutta lambiguit che ne
consegue. Spetta agli educatori muoversi tra lintervento della comunit in
quanto esecutrice di sanzioni e la sollecitazione verso la libert della perso-
na77.
Negli studi sullargomento viene costantemente sottolineato che la co-
munit un contesto ttizio, un luogo di prova. In eetti, queste microso-
ciet autosucienti dove si dorme, si mangia, si lavora, si parla, si trascorre
insomma un periodo della propria vita, sembrano isole al riparo dai pro-
blemi del mondo reale. Alcune caratteristiche le rendono di fatto diverse:
lisolamento dalla strada, dallesterno; la protezione economica, che per-
mette di sopravvivere anche se non si lavora; la solidariet e la condivisione,
cos diverse dal contesto esterno che il tossicodipendente ha conosciuto,
mondo di violenza o di legami funzionali solo alla ricerca della droga. An-
cora, sono diversi dal mondo circostante i ritmi di vita disciplinati e collet-
tivi, le norme uguali per tutti, le separazioni dei sessi, le limitazioni alle usci-
te ed ai contatti con lesterno.
Tutto concorre a pensare che sia un ambiente articiale in cui si svilup-
pano esperienze positive, generalmente diverse da quelle sperimentate
nellambiente familiare e sociale di origine. In questo senso le comunit
non hanno un metodo ma sono esse stesse un metodo nella misura in cui la
vita comune, con le sue caratteristiche terapeutiche, agisce in senso educati-
vo su persone dalla vita disgregata.
Pi propriamente, allora, occorre dire che la comunit, pur agendo come
se fosse il mondo o la societ, o la famiglia, e pur senza esserlo, rappresenta
comunque una realt e non una nzione. una struttura intermedia sot-
to ogni punto di vista, ma tale che possiede gli stessi marchi della realt pur
conservando i caratteri del gioco e dellimmaginario78. Esercita una fun-
zione transizionale, ma le esperienze di solidariet, controllo di s, apertura
76
M. Campedelli, Tossicodipendenza: per non essere indierenti davanti ad unallusione,
in Animazione Sociale, 6-7, giugno 1994, p. 21.
77
C.M. Mozzanica, I Servizi per la tossicodipendenza nella nuova normativa:
leducatore professionale nei Sert, in M. Groppo, G. Scaratti, M. Tomosich (a cura di),
Leducatore professionale nei servizi per la tossicodipendenza, pp. 91-113.
78
M. Cagossi, Comunit terapeutiche e non, p. 235.
160
Capitolo quarto - I contesti educativi
agli altri, costruzione di signicati sono vere e non inventate. Certo, per un
tossicodipendente in un ambiente protetto pi facile che allesterno evita-
re lassunzione di sostanze che fanno da stampella alla sua fragilit, inter-
rogarsi su di s con laiuto di altri, lavorare senza frustrazioni. Tuttavia il
signicato positivo che accompagna tali esperienze rimane vero in quanto
dimostra di essere possibile, fruibile anche da chi non laveva mai provato.
Di conseguenza, il contesto della comunit rappresenta una metafora
delleducazione, sospesa tra il gioco e la realt. Sono articiali gli strumenti
adottati, ma reali le esperienze che vi si fanno, tanto da poter essere ripetute
alluscita nel mondo esterno. La solidariet incontrata dentro non irripe-
tibile, in quanto allude a quella che ognuno pu costruire di sua iniziativa o
con laiuto di altri, fuori. Per questo le comunit sono contesti globalmente
educativi, in cui si sperimenta una nuova forma di dipendenza aettiva ne-
cessaria per vivere legami diversi da quello con le droghe. Lesperienza di
fragilit e bisogno di aiuto resta paradigmatica nella vita di una persona che
diviene adulta, mentre proprio la negazione del limite e della dipendenza
a far restare adolescenti. Chi educa sa che una lezione da imparare nella
comunit terapeutica quella che normale e naturale aver bisogno degli
altri. Il successo non unindipendenza staccata e progressivamente isolata
e isolante, ma piuttosto una rete di contatti e di amici a cui contribuire e da
cui essere sostenuti. Il mito dellindipendenza, visto come legittimo obietti-
vo per coloro che lasciano le comunit terapeutiche, deve essere messo in
discussione e visto in prospettiva79. Scrive ancora C. Olievenstein, uno
psichiatra tra i precursori degli interventi sulla tossicodipendenza e fonda-
tore del Centro Marmottan a Parigi: Per noi, si tratta di sostituire in colui
che si droga una marmottandipendenza alla sua tossicodipendenza, di
immergerlo in un rapporto in qualche modo simile a quello del bambino
con la propria madre. Credo che questo stadio fusionale sia tanto pi indi-
spensabile in quanto questi giovani, nel complesso, vivono unadolescenza
prolungata e, molto spesso, sono fermi a un momento molto arcaico del lo-
ro sviluppo aettivo. E dopo aver ribadito che niente possibile senza
una relazione di coppia con il tossicodipendente, aggiunge che man
mano bisogna far attenuare no a scomparire questa dipendenza, creando
79
M. Cagossi, Comunit terapeutiche e non, p. 235.
161
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
80
C. Olievenstein C., Non esistono drogati felici (trad. dal francese), Elle Di Ci, Torino
1987, pp. 190-192.
81
Sullintegrazione tra servizi, cfr. C.M. Mozzanica, R. Granata, C. Castelli, Disagio
giovanile negli itinerari della community care, Franco Angeli, Milano 1997; R.C. Gatti,
Lavorare con i tossicodipendenti. Manuale per gli operatori del servizio pubblico, Franco An-
geli, Milano 1994.
82
M. Clerici, Tossicodipendenza e psicopatologia. Implicazioni diagnostiche e valutazione
degli interventi terapeutici, F. Angeli, Milano 1993, p. 49.
162
Capitolo quarto - I contesti educativi
83
A. Ciocca, Fuori dalla droga. Dati e riessioni sul processo di emancipazione, Teda E-
dizioni, Castrovillari 1993, in particolare p. 14 e p. 30.
84
M. Clerici, Tossicodipendenza e psicopatologia, p. 50.
85
Si fa riferimento ad un lavoro di ricerca sul follow up, cio sulle persone uscite dalla
comunit Exodus di Milano, eettuato nel 1994.
163
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
86
P. Townsend, La dipendenza strutturata degli anziani: creazione della politica so-
ciale nel XX secolo, in D. Giori (a cura di), Vecchiaia e societ, il Mulino, Bologna 1984
pp. 117-141. Per uno sguardo generale sulla condizione anziana, si veda S. De Beauvoir, La
terza et, Einaudi, Torino 1971.
164
Capitolo quarto - I contesti educativi
87
Istat, Anziani in Italia, il Mulino, Bologna 1997.
165
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
certo senso un residuo del passato e raccolgono leredit dei vecchi ospizi
dove venivano internati tutti gli indigenti.
Come noto, a partire dal XVIII secolo si intensicato il processo di
ricovero di poveri, anziani, folli abbandonati. Linternamento costituiva
una misura di assistenza e insieme di ordine pubblico, nella frequente equi-
parazione tra povero e delinquente. Tra gli indigenti la maggior parte era co-
stituita da vecchi, inabili al proprio sostentamento. Solo nei secoli seguenti,
lentamente, si fa strada una dierenziazione dei bisogni specici delle per-
sone e laermazione dei loro diritti. Le case per anziani restano per, in-
sieme agli ospedali psichiatrici destinati a scomparire, le strutture pi simili
alla antica istituzione di ricovero dei poveri.
Come si detto, vi sono varie tipologie di istituti. Vengono denite case
di riposo le strutture destinate ad anziani autosucienti, in mancanza di
forme alternative di assistenza, che forniscono trattamento convittuale,
servizi di carattere assistenziale, prestazioni di tipo sanitario limitate, servizi
di tempo libero88. Come si pu notare, laccento messo sullaspetto assi-
stenziale, mentre il trattamento sanitario non previsto. I servizi del tempo
libero sembrano invece un eufemismo, in quanto alludono a unipotetica
fascia di riposo dopo il lavoro che in realt non c pi. Libera infatti
tutta la vita dellanziano.
Le comunit alloggio sono destinate ad un numero ristretto di ospiti e
sono gestite dagli anziani stessi con il sostegno degli enti locali; le case alber-
go sono appartamenti separati, in genere con servizi in comune, per persone
autosucienti che desiderano vivere in un ambiente protetto.
In realt, come ha messo in evidenza B. Modesti, i due terzi delle strut-
ture per anziani esistenti oggi in Italia accolgono anche o esclusivamente
anziani non autosucienti89. Come chiaro a chi si occupa di terza et, in-
fatti, il conne che separa interventi di tipo assistenziale da quelli sanitari
assai incerto. Risulta quindi pi corretto includere le case di riposo tra i ser-
vizi sociosanitari, sottolineando cos la necessit di non separare la pura as-
sistenza dagli interventi sanitari, comunque imprescindibili. Tale integra-
zione ha inoltre il senso di non spezzare la vita dellanziano, una volta che
non sia pi autosuciente, ma di prevedere la sua accoglienza in strutture
88
Cfr. Il Rapporro Eurispes in B. Modesti, Vivere in casa di riposo. Le residenze degli
anziani. Storia, evoluzione, nuovi orientamenti, Edizioni Lavoro, Roma 1996, p. 63.
89
Ivi, p. 64.
166
Capitolo quarto - I contesti educativi
che rispondano globalmente ai suoi bisogni. Una risposta in tal senso pro-
viene dalle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), nate nel 1988, che do-
vrebbero svolgere una funzione intermedia tra i servizi del territorio e gli
ospedali per malati acuti. Accedono a queste strutture sia anziani che neces-
sitano di un periodo di riabilitazione, sia anziani non autosucienti o in
fase terminale90.
Anche se nel mondo occidentale linvecchiamento sico sempre pi ri-
tardato dal progresso della medicina, la perdita dellautonomia e dellauto-
sufcienza resta un passaggio cruciale della vita di molte persone. Parlare di
anziani signica infatti individuare vari tipi di vecchiaia: una popolazione
anziana ancora valida e in buone condizioni di salute, che dispone di tempo
libero e gioca un ruolo da protagonista nellimmaginario collettivo e nelle
politiche sociali: si tratta dellanziano giovanile, il nonno ancora sportivo,
partecipante ad attivit sociali o alla formazione nelle Universit della terza
et. Daltro canto, si ha la fascia degli anziani ultrasettantenni, ospitati in
casa o nelle strutture residenziali, spesso in precarie condizioni di salute, a
volte parzialmente non autosucienti. Inne, coloro che hanno perso qua-
si totalmente la capacit di autonomia e dipendono interamente dallaiuto
esterno.
Sarebbe per equivoco pensare a gruppi diversi. Si parla invece, gene-
ralmente, della stessa persona, in fasi diverse della sua vita. Per questo non
ha senso la separazione tra tipi di intervento sociale, assistenziale o sanitario
se non per le esigenze organizzative del sistema che eroga i servizi. Anche se
in misura diversa, gli anziani necessitano di tutti questi supporti. Man ma-
no che si invecchia, sar maggiore il bisogno di cure assidue e personali, ma
non diminuir la necessit di assistenza, aiuto, relazioni sociali.
Si pone, a questo proposito, la dierenza tra cure e care, dove care ri-
guarda la dimensione globale del prendersi cura di qualcuno, in senso pi
ampio della semplice cura medica. Comprende infatti non solo la promo-
zione del benessere del corpo, ma anche laiuto a saper convivere con la ma-
lattia o con la progressiva perdita di autosucienza, trovando nuovi equili-
bri. Tutto ci stato signicativamente riassunto nellespressione
collocare le cure dentro la vita91.
90
Ivi, pp. 101 ss.
91
P. Taccani, S. Tramma, A. Barbieri Dotti, Gli anziani nelle strutture residenziali, La
Nuova Italia Scientica, Roma 1997, pp. 44-50.
167
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
92
L. Palombi, M.C. Marazzi, Valutazione multidimensionale nellanziano: la metodo-
logia Oars nel Rome Elderly Study, in Curare gli anziani a casa: prevenzione, terapia, ria-
bilitazione, Atti del Convegno Internazionale ACAP-CEE, Universit Tor Vergata,
CSPSS, Roma ottobre 1988, p. 20.
93
S. Tramma, Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, Guerini e Asso-
ciati, Milano 1989.
94
Ivi, pp. 126 ss; P. Taccani, S. Tramma, A. Barbieri Dotti, Gli anziani nelle strutture
residenziali.
168
Capitolo quarto - I contesti educativi
t negli istituti sia pi alta di quella degli anziani che restano nelle loro case,
e dalla forte incidenza della mortalit nei primi giorni e mesi dellingresso
nelle strutture residenziali95.
Nella maggior parte dei casi, a parte positive eccezioni, lambiente in cui
gli anziani si trovano anonimo e tende alla spersonalizzazione. La progres-
siva perdita di autonomia sica si accompagna allora con una crescente di-
stanza sensoriale dal mondo esterno (vista e udito che calano) e soprattutto
alla diminuzione delle motivazioni per agire, cambiare, interessarsi. Per che
cosa e soprattutto per chi vivere?
Se la salute, come si detto, correlata allinteresse per la vita e agli sti-
moli ricevuti dallesterno, la possibilit per gli anziani di mantenere moti-
vazioni e desideri legata anche allaiuto da parte delle persone accanto a
loro a mantenere o ritrovare un attaccamento alla vita. Limitarsi
allanimazione presuppone lassunto erroneo che gli anziani debbano essere
tenuti allegri nonostante i problemi e le dicolt legati al loro stato di
salute o alla loro solitudine. Pi vicine al prolo educativo sono invece tut-
te quelle funzioni che attivano risorse umane e sociali intorno alla persona:
colloqui, socializzazione, coinvolgimento degli anziani meno autonomi,
collaborazione nellorganizzazione della giornata, contatti con le famiglie.
Lottica non pu essere quella della gestione del tempo in istituto, ma quel-
la della progettualit per la persona: ci signica prendere in considerazio-
ne anche la dimensione esterna (uscite, apertura della casa). Nellottica del
prendersi cura della persona in tutti i suoi bisogni, leducatore non si trova
in posizione subalterna, ma come una risorsa accanto al resto del personale.
Linvecchiamento rappresenta un momento emblematico per una per-
sona: pu essere un naufragio quando prevalgono amarezza, rimpianti e
senso di abbandono. Ma pu anche costituire un approdo di una vita lunga
e ricca. Il lavoro educativo con gli anziani non pu consistere dunque in at-
tivit, per quanto bene organizzate, che sfuggano alle problematiche esi-
stenziali che gli anziani vivono.
In questo senso leducatore aiuta gli anziani a costruire o ricostruire un
progetto per la loro vita. Curare e prendersi cura non vuol dire solo porsi
in una relazione daiuto centrata sui bisogni di tutela e di assistenza, ma an-
che farsi carico dei desideri e delle aspettative e vigilare perch chi pu tor-
95
M. Pagani, P. Baroni, La vita oltre il muro. Storie e problemi di anziani in istituto,
Rosenberg e Sellier, Torino 1992, p. 72.
169
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
nare nel suo habitat naturale sia spinto e sostenuto a farlo96. La casa il
luogo concreto e simbolico degli aetti e dei ricordi. Molti anziani aron-
tano il ricovero pensando di potervi tornare e solo in seguito si rendono
conto dellirreversibilit della loro condizione. Se il lavoro dellassistente
socile deve sostenere, sul piano concreto, la possibilit di un ritorno nel
proprio ambiente, quello delleducatore contribuisce a dare forma ai pro-
getti nella prospettiva esistenziale che la persona sta vivendo97.
La scelta delleducatore va, per quanto possibile, verso i servizi alternati-
vi e lutilizzo di una serie di oerte che il sistema sociosanitario mette a di-
sposizione: assistenza domiciliare, day hospital98. Ma questo non sar possi-
bile senza la volont dellanziano e soprattutto senza suscitare intorno a lui
la collaborazione della famiglia, del vicinato, dei volontari, degli operatori
sociali. La dimensione educativa si colloca nellaiutare gli anziani a risco-
prirsi non pi soli, ma capaci di progetto, ancora con un futuro.
Molti educatori e gli operatori conoscono il percorso spesso lento e
dicile per ricostruire un progetto di vita di una persona anziana e rac-
contano che Lanziano, ogni anziano, un mondo. Ed pi facile trovar-
lo chiuso che aperto alle sollecitazioni esterne, alle domande chiare e diret-
te, alle oerte di aiuto [...]. Dalle storie raccolte emerge un cammnino
lungo, lento, paziente, non alla ricerca della graticazione facile, durato an-
ni, per trovare un varco, per incuneare una chiave, una frase, un gesto99.
Un altro campo importante riguarda la cultura della vecchiaia. Troppo
frequentemente lanziano specie nella quarta et o non autosuciente
viene considerato dalla societ una persona i cui diritti sono pi facilmente
violabili. Ci avviene a causa della dipendenza, sia economica, sia sica e
per la convinzione che essi siano un peso per chi li assiste, per il silenzio con
cui vengono circondati. Una cultura vitalistica e centrata sul benessere ten-
der a nascondere lanziano come immagine del declino e a descriverlo at-
travero tutti i clich pi consueti: sar cos rappresentato privo di memoria,
96
P. Taccani, S. Tramma, A. Barbieri Dotti, Gli anziani nelle strutture residenziali, p.
89.
97
F. DellOrto Garzonio, P. Taccani, Conoscere la vecchiaia, La Nuova Italia Scientifi-
ca, Roma 1990.
98
M. Pagani, P. Baroni, La vita oltre il muro, cap. V.
99
Cooperativa Cultura Popolare, Anziani scomodi. Una proposta per lassistenza do-
miciliare, Giur, Milano 1984, p. 100.
170
Capitolo quarto - I contesti educativi
lontano dalla realt, centrato solo sulla propria salute. Gli anziani stessi as-
sorbono la cultura della salute e della vitalit, vergognandosi in molti casi
della perdita di autonomia, e del bisogno che hanno degli altri. Le ricerche
sulla condizione degli anziani smentiscono le generalizzazioni e gli stereoti-
pi sugli anziani e tendono a considerarla come unet in cui, accanto al re-
stringimento di alcune facolt, convivono interesse, capacit di amore,
memoria vigile, generosit e generativit100.
Dove prevale una cultura ingiusta contro gli anziani possono essere pi
facilmente violati i loro diritti. Gli abusi commessi contro di essi sono fre-
quentemente ascrivibili alle omissioni: mancanza di cure, di attenzione, di
assistenza. Si tratta di quei diritti fondamentali, e in particolare quelli che
riguardano la dignit e la personalit dellindividuo, spesso violati quando si
tratta di anziani e particolarmente di anziani, malati, molto vecchi, non au-
tosucienti101.
Listituzionalizzazione pu preludere a dimenticare lentamente gli an-
ziani. La famiglia si allontana, gli ultimi parenti o amici muoiono. Il vecchio
perde la sua storia, spesso anche il suo nome (quanti degenti vengono
chiamati con un numero?); viene trattato spesso con impazienza, quasi
sempre con paternalismo. La solitudine, la distanza, la mancanza di riguar-
do che lo circonda vengono considerati normali. La difesa dei diritti degli
anziani passa attraverso il rispetto della loro dignit, lascolto dei loro biso-
gni, il riuto di ogni omissione. Essa fa parte dei compiti educativi, in
quanto instaura una nuova cultura della vecchiaia, antagonista a quella del-
la societ, protesa verso falsi simboli di giovinezza.
La vicinanza alla debolezza della vecchiaia, inoltre, evidenzia la recipro-
cit di cui si nutre la relazione educativa. Accompagnare la vecchiaia pu
essere una scuola di vita non solo perch lanziano ricco di esperienza e di
passato, ma perch una persona che tocca il limite della forza e della vitali-
t. Questo limite non solo del malato terminale, della persona con handi-
100
Si veda, a questo proposito, E.H. Erikson, I cicli della vita. Continuit e mutamenti,
Armando Editore, Roma 1993, pp. 59-60.
101
AA.VV., Eutanasia da abbandono. Anziani cronici non autosucienti: nuovi orien-
tamenti culturali e operativi, Rosenberg e Sellier, Torino 1988; Comunit Di S. Egidio (a
cura di), Let pi lunga. Anziani: dallabbandono alla solidariet, Edizioni Paoline, Cini-
sello Balsamo 1991.
171
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
102
C.M. Mozzanica, Educatore professionale e servizi alla persona: modelli epistemici
e modelli operativi, in M. Groppo (a cura di), Professione educatore, p. 120 e p. 124.
103
L. Regoliosi, Lo spessore del quotidiano, in Animazione Sociale, 4, aprile 1996, p.
69.
104
Cfr. F. DellOrto Garzonio, P. Taccani, Conoscere la vecchiaia.
105
E. Kubler-Ross, La morte e il morire (trad. dallinglese), Cittadella, Assisi 1979, p.
286.
172
Capitolo quarto - I contesti educativi
106
Ivi, p. 287.
107
N. Elias, La solitudine del morente (trad. dal tedesco), il Mulino 1985, p. 82.
108
L.N. Tolstoj, La morte di Ivan Ilic (trad. dal russo), Garzanti, Milano 1988, p. 62 e
pp. 76-77.
173
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
Lenigma della vita e della morte si presenta come una domanda sulla
propria esistenza, che non si pu eludere evitandola o credendo di aver
fatto tutto secondo le regole. La menzogna intorno a Ivan Ilic non
consiste soltanto nel nascondergli le sue reali condizioni, ma nel riuto di
comunicare in profondit con chi morente, aiutandolo ad arontare
lenigma della vita.
174
Capitolo quarto - I contesti educativi
109
M. Maesoli, Il tempo delle trib. Il declino dellindividuo (trad. dal francese), Ar-
mando Editore, Roma 1988, pp. 55.
110
M. Maesoli, Rue, esthtique et socialit, in A. Vulbeau E J.Y. Barreyre (a cura
di), La jeunesse et la rue, Descle de Brouwer, Paris, 1994, p. 28.
111
G. Dores, Nuovi riti, nuovi miti, Einaudi, Torino 1977, p. 147.
112
M. Maesoli, Il tempo delle trib, p. 37.
175
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
113
L. Roulleau Berger, Jeunesse, urbanit et accessibilit, in A. Vulbeau e J.Y. Barre-
yre (a cura di), La jeunesse et la rue, p. 40.
114
M. Featherstone, La citt senza luoghi (trad. dallinglese), Costa & Nolan, Genova
1988.
176
Capitolo quarto - I contesti educativi
I muri delle periferie sono invece spesso coperti da scritte cariche di vio-
lenza. La chiusura verso gli altri, nei confronti di chi diverso, sembra de-
limitare lo spazio della propria trib, quella zona di appartenenza e sicurez-
za di cui gli adolescenti hanno bisogno. Si costituisce il conne che separa
dal vicino, dai nomadi, dalle persone di altre regioni, dagli immigrati, dalla
squadra nemica. I gruppi e le bande difendono il territorio ma soprattutto
cercano la loro identit penalizzando altri gruppi, specie pi deboli. Come
ha scritto Lesourd, gli adolescenti prendono il posto di cui hanno bisogno
per costruirsi contro laltro, il pi vicino, quando non possono prenderlo
contro ladulto nella societ: laltro gruppo, laltra citt, laltra razza115.
Fattori individuali (insicurezza, frustrazione) si uniscono a fattori sociali
(crisi economica, disoccupazione) nellelaborazione di pregiudizi e compor-
tamenti razzisti che hanno come capro espiatorio gli ultimi arrivati. Alte-
rit e occupazione dello spazio sono intimamente legati.
I segni ed i simboli utilizzati anche nellabbigliamento non mostrano
soltanto il conformismo dei ragazzi, ma sono utilizzati come maschere:
pi si avanza mascherati e pi si raorza il legame comunitario116. Sono
usati cio per riconoscersi, per individuarsi allinterno dello stesso gruppo
di riferimento e per comunicare anche senza parole. Altre volte i segni sui
muri, cos come tutti i simboli usati dagli adolescenti, hanno perso ogni si-
gnicato. Alcuni simboli archetipici la croce, la svastica, il labirinto, la
spirate non hanno pi il loro valore culturale, il ruolo di strumento che
permette di fare unastrazione. Nelleccedenza di simboli della nostra socie-
t, nellinazione comunicativa, i segni hanno nito per capovolgere il loro
signicato di messaggio e diventano un gioco117.
La dimensione privilegiata degli adolescenti il gruppo ed al gruppo
che si rivolge la proposta delleducativa di strada. Nella storia
delleducazione la dimensione collettiva sempre stata centrale: dalle espe-
rienze delloratorio di don Bosco, ai gruppi di scouts di Baden Powell, dalle
115
S. Lesourd, Agressivit et extrieur, in A. Vulbeau., J.Y. Barreyre (a cura di), La
jeunesse et la rue, p. 138.
116
M. Maesoli, Il tempo delle trib, p. 134.
117
G. Dores, Nuovi riti, nuovi miti, pp. 263-265; si veda anche R. Firth, I simboli e le
mode (trad. dallinglese), Laterza, Bari 1977; M. Canevacci, Ragazzi senza tempo, Costa &
Nolan, Genova 1992.
177
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
118
A partire dal dopoguerra sono numerose le esperienze di gruppi di adolescenti sulla
strada. Si veda F. Deligny, I vagabondi ecaci, Jaca Book, Milano 1977; A.K. Cohen, Ra-
gazzi delinquenti, Feltrinelli Milano 1963.
119
A. Fabbrini, A. Melucci, Let delloro: adolescenza tra sogno ed esperienza, Feltrinel-
li, Milano 1992.
120
Per il concetto di rappresentazione si veda E. Goman, La vita quotidiana come
rappresentazione, Il Mulino, Bologna 1969.
178
Capitolo quarto - I contesti educativi
179
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
124
Si veda S. Freud, Il disagio della civilt e altri saggi, Boringhieri, Torino 1975.
125
R. Farn, La scuola di Irene: Pace e guerra in educazione, La Nuova Italia, Firenze
1989, p. 239.
126
Sul tema della violenza cfr. P. Bovet, Linstinct combatif Delachaux et Niestl, Ne-
chatel-Paris, 1961.
127
N. Elias, La civilt delle buone maniere, Il Mulino, Bologna 1982.
128
M. Leblanc, Une approche criminologique. Vers un modle direntiel
dintervention et de prise en charge, in R.E. Tremblay, A.M. Favard, R. Jost (a cura di), Le
traitement des adolescents dlinquants, p. 170.
180
Capitolo quarto - I contesti educativi
129
D. Le Breton, La passione del rischio (trad. dal francese), Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1995.
130
O. Mongin, La violence des images, ou comment sen dbarrasser?, Ed. du Seuil, Paris
1997, p. 25.
131
Ivi, p. 28.
181
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
132
Ivi, p. 149.
133
B. Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e signicati psicanalitici delle
abe, Feltrinelli, Milano 1977.
134
P. Marsch, E. Rosser, R. Harr, Le regole del disordine, Giur, Milano 1984.
182
Capitolo quarto - I contesti educativi
135
D. Demetrio, Per una pedagogia del lavoro di strada, in Il lavoro di strada. Preven-
zione del disagio, delle dipendenze, dellAids, Quaderni di Animazione e Formazione,
Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995, p. 50.
183
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
136
La ricerca pi completa dal punto di vista pedagogico sul tema del transfert in P.
Roveda, Il transfert nellattivit educativa, Vita e Pensiero, Milano 1979.
137
P. Bertolini, Lesistere pedagogico, p. 231; cfr. anche P. Bertolini, M. Dallari, Pedago-
gia al limite, La Nuova Italia, Firenze 1988.
138
J.P. Chartier, Les adolescents diciles, pp. 165-166.
139
M. Postic, La relazione educativa, pp. 157-168.
140
G. Torre, G.P Prada, La relazione adulto-adolescente deprivato, in Marginalit e so-
ciet 18, 1991, pp. 16-17.
184
Capitolo quarto - I contesti educativi
141
A questo tema dedicato un numero dei Quaderni di animazione e formazione,
Il lavoro di strada.
142
G. De Leo, I contesti simbolici nella sperimentazione territoriale dei giovani a ri-
schio di devianza, in Progetto Formazione Capodarco (a cura di), Loperatore di strada,
La Nuova Italia Scientica, Roma 1995, p. 63.
143
M. Santerini, Ladolescente e i suoi luoghi: modelli educarivi, in AA.VV. Adole-
scenti sulla soglia (a cura della Caritas Ambrosiana), Coop. In Dialogo, Milano 1996, pp.
97-110.
185
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
144
F. Dolto, Adolescenza. Esperienze e proposte per un nuovo dialogo con i giovani tra i
10 e i 16 anni, Mondadori, Milano 1995, p. 24.
145
Ivi, p. 70.
186
Capitolo quarto - I contesti educativi
187
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
146
Si veda D. Gambetta, La maa siciliana. Unindustria della protezione privata, Ei-
naudi, Torino 1992.
147
N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea, Laterza, Bari 1991,
p. 36.
188
Capitolo quarto - I contesti educativi
accordo reciproco nel contratto sociale che alla base della partecipazione
alla cosa pubblica; il passaggio allItalia unitaria stato altres considerato
cruciale148.
Senza poter entrare negli aspetti pi propriamente storici e nella discus-
sione sulle origini delle onorate societ, va per sottolineato che occorre
rendere complementari le spiegazioni inerenti ai processi socioeconomici
allinterno delle zone in cui queste forme di criminalit sono nate, e la di-
mensione pi propriamente culturale. Infatti, come noto, maa e camorra
non nascono come corpi estranei allinterno delle societ di appartenenza,
ma sono strettamente intrecciate con modi di vita, costumi, tradizioni. Esse
restano, tuttavia, organizzazioni criminali che non devono essere viste sol-
tanto dal punto di vista culturale o antropologico149.
Il niente maa del passato ha anche prodotto leccesso opposto:
tutto maa, no a far coincidere la societ siciliana con le cosche e a
suggerire che fosse impossibile un intervento di estirpazione di quello che
alla ne sembrava essere la vera anima di questa regione. Oggi la maa esi-
ste, ma non pi normale: divenuta visibile, se ne conoscono i contorni
attraverso le confessioni dei collaboratori di giustizia, ed soprattutto
fatta da persone. A questo mutamento ha dato il suo apporto anche
leducazione. Oggi per necessario un nuovo progetto che, partendo da
un rinnovato impegno, aronti un duplice nodo: laspetto biograco, ovve-
ro la maa come reclutamento e adesioni, e la questione del metodo mao-
so, basato su clientele e corruzione, che occorre estirpare da tutta la societ.
necessario infatti ricordare che, quando si ricorre sistematicamente
allaermazione dellinteresse particolare contro linteresse comune, tutta la
societ diviene maosa150.
Per esercitare unazione educativa nel contesto sociale letto nella me-
tafora della strada occorre cio pensare a vari livelli di intervento: la pre-
venzione e il trattamento della criminalit vera e propria dei minorenni e
soprattutto unalternativa di tipo culturale alla mentalit di sducia, sopraf-
fazione, potere e violenza che le mae portano con s.
148
S. Lupo, Storia della maa. Dalle origini ai giorni nostri, Donzelli editore, Roma
1996; cfr. anche N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea; D. Gam-
betta, La maa siciliana.
149
N. Tranfaglia, La maa come metodo nellItalia contemporanea, p. 19.
150
Ibidem.
189
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
Dal punto di vista educativo non esiste una societ maosa, ma impor-
tante cogliere gli aspetti storici, antropologici e culturali che sottostanno ed
alimentano questi fenomeni accanto a quelli risultanti dal sistema della de-
vianza. Risulta chiaro che non si pu comprendere la scelta di un giovane
aliato senza guardare al clima psicologico e culturale in cui vissuto, ai
valori trasmessi direttamente e indirettamente, al senso dellonore, della
protezione o della solidariet allinterno della famiglia che gli stato in-
culcato.
Daltra parte, le mae non sono soltanto una mentalit: restano asso-
ciazioni a ni di lucro fondate sulla violenza e su attivit illecite come le-
storsione ed il traco di stupefacenti. Hanno ferree leggi economiche in-
terne (che vietano il furto), sociali e morali (rispetto della famiglia), ma
riutano quelle delle istituzioni statali. Sono caratterizzate quindi
dallanomia, unita ad una violenza primitiva che si esprime in forme arcai-
che e crudeli, ma testimoniano allo stesso tempo un bisogno di ordine e
quindi di Stato151.
La maa stabilisce zone franche dove amministrare la legge ed imporla
ai singoli cittadini; si sostituisce allo Stato nel garantire ordine e gestire la
giustizia. Si potrebbe dire che proprio la gestione dello spazio costituisce
la sua forza. Nellassenza di autorit dello stato, la famiglia chiude una por-
zione di territorio e aerma il suo diritto su di essa. Chi accetta di pagare il
prezzo dovuto a questo anti-Stato sar protetto e non correr pericoli, anzi
goder di diritti e di giustizia, esattamente come in un qualsiasi paese auto-
nomo. In questo le mae anticipano le forme contemporanee di occupa-
zione dello spazio (secessione, o proclamazione di autonomia) non
fondate su identit linguistica o culturale, ma solo sul diritto del pi forte.
Per diverse cause, di tipo storico, o per motivi di protesta, sono simili a quei
movimenti contemporanei che aermano il diritto su uno spazio in base a
criteri del tutto articiali e pretendono di amministrare la loro giustizia su
di esso.
Loccupazione dello spazio costituisce per il suo limite. A parte
lesportazione del modello maoso ad altri paesi, infatti, restano invariabil-
mente legati alla dimensione locale. Davanti ad un mondo che tende alla
151
G. Falcone in collaborazione con M. Padovani, Cose di cosa nostra, Rizzoli, Mila-
no1991, p. 71.
190
Capitolo quarto - I contesti educativi
152
G. Casarrubea, P. Blandano, Leducazione maosa. Strutture sociali e processi di iden-
tit, Sellerio editore, Palermo 1991, p. 51. Sui minori nella criminalit organizzata cfr. M.
Cavallo (a cura di), Le nuove criminalit: ragazzi vittime e protagonisti, Franco Angeli, Mi-
lano 1995.
153
O. Ciampa, Intervento al Convegno dellAssociazione Italiana Giudici per i mi-
norenni, in P. Andria (a cura di), Criminalit minorile: quanta, quale, perch, Unicopli,
Milano 1988; I Merzagora, D. Paolillo, Il coinvolgimento dei minori nella delinquenza
organizzata: un tentativo di indagine quantitativa, in Marginalit e societ 20, 1991,
pp. 30-47.
154
Ivi, pp. 31-32.
191
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
155
Ivi, p. 38.
156
F. Di Maria Et Alii, Il sentire maoso. Percezione e valutazione di eventi criminosi
nella pre-adolescenza, Giur 1989, pp. 17 ss.
192
Capitolo quarto - I contesti educativi
157
G. Casarrubea, P. Blandano, Leducazione maosa. Strutture sociali e processi di iden-
tit.
158
In questo senso si vedano le esperienze di Danilo Dolci in Sicilia. Cfr. D.Dolci, In-
ventare il futuro, Laterza, Bari 1988.
159
Cit. in G. Casarrubea, P. Blandano, Leducazione maosa. Strutture sociali e processi
di identit, p. 21.
160
Ivi, p. 39; sul ruolo della scuola nei confronti dei ragazzi che vivono in contesti dif-
cili, si veda Comunit Di S. Egidio, La scuola rubata, Franco Angeli, Milano 1992.
193
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
161
L. Religiosi, La prevenzione possibile. Modelli, orientamenti, esperienze per loperatore
di territorio sulla prevenzione della devianza giovanile e della tossicodipendenza, Guerini e
Associati, Milano 1992, pp. 229-233.
194
Capitolo quarto - I contesti educativi
162
Caritas Ambrosiana, Riduzione del danno: le comunit sinterrogano, in Il Regno-
Documenti, 21, 1994, pp. 689-694. Sono seguiti altri documenti, tra cui Dalla riduzione
del danno allintervento a bassa soglia (1994) e Cura della vita. Lotta alla droga, prevenzio-
ne e recupero: limpegno delle comunit (1997).
163
M. Campedelli, Riduzione del danno, in Prospettive Sociali e Sanitarie, 5, marzo
1995, p. 2; dello stesso autore cfr. anche Educativa di strada e riduzione del danno in Il
lavoro di strada, pp. 62-66.
164
L. Grosso, Lindividualizzazione degli interventi di riduzione del danno, in Anima-
zione sociale, 2, febbraio 1995, pp. 17 ss.
195
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
165
Ctnerhi (Centre Technique National dtudes et des Recherches sur les Handicaps
et les Inadaptations), Il pubblico del lavoro di strada, in Animazione sociale 2, febbraio
1995, p. 33.
166
Ctnerhi, I nodi da sciogliere per un futuro del lavoro di strada, in Animazione so-
ciale 2, febbraio 1995, p. 51.
196
Capitolo quarto - I contesti educativi
167
R. Rauty, Homeless. Povert e solitudini contemporanee, Costa & Nolan, Genova
1997, p. 29. Sul tema delle persone senza ssa dimora, cfr. P. Guidicini, G. Pieretti (a cura
di), La residualit come valore. Povert urbane e dignit umane, Franco Angeli, Milano
1993. Si vedano anche della Commissione DIndagine Sulla Povert e LEmarginazione i
Rapporti sulla povert in Italia.
197
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
168
Per una storia dei Rom si veda L. Narciso, La maschera e il pregiudizio. Storia degli
zingari, Melusina, Roma 1990; F. De Vaux De Foletier, Mille anni di storia degli zingari,
Jaca Book, Milano 1978; G. Viaggio, Storia degli zingari in Italia, Anicia 1997; M. Karpa-
ti, I gli del vento. Gli zingari, La Scuola, Brescia 1978; M. Olmi, Italiani dimezzati, Edi-
zioni Dehoniane, Napoli 1986.
198
Capitolo quarto - I contesti educativi
169
D. Kenrick, G. Puxon, Il destino degli zingari. La storia sconosciuta di una persecu-
zione dal medioevo a Hitler (trad. dallinglese), Rizzoli, Milano 1975.
199
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
170
D. Kenrick, G. Puxon, Il destino degli zingari.
171
Sulla vita degli zingari oggi si veda G. Battaglia, La pentola di rame. Frammenti di
vita del mondo dei nomadi, Melusina, Roma 1992.
200
Capitolo quarto - I contesti educativi
172
A. Reyniers, Les populations tsiganes et leurs moviments dans les pays dEurope centra-
le et orientale et vers quelque pays de lOCDE, Documento OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico), Paris 1995.
173
Ivi, p. 39
174
Vi sono nora soltanto pochi esempi, ma sono in aumento le amministrazioni co-
munali che impiegano assistenti sociali, educatori o cooperative di servizi per il sostegno ai
nomadi nelle loro zone.
201
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
to, i due aspetti sono profondamente interconnessi tra loro. Ostilit e in-
comprensione verso gli zingari non possono essere considerate come un da-
to naturale e insuperabile, imputabile al riuto da parte nomade di inte-
grarsi. La situazione, come si visto, molto pi complessa.
Se esistono barriere storiche, linguistiche e culturali, va anche detto che
altrettanto vivo il desiderio da parte di molti nomadi, soprattutto delle
giovani generazioni, di uscire dal cerchio della miseria e dellemarginazione.
Numerosi fattori ostacolano questo processo. A livello microsociale, come si
detto, occorre un lavoro approfondito con i bambini e i pi giovani per-
ch si integrino in uno sviluppo sociale e culturale, premessa indispensabile
per linserimento lavorativo e per evitare fenomeni di devianza. I minori
nomadi che compiono reati (nella stragrande maggioranza reati contro il
patrimonio, cio furti, anzich contro la persona, tipo di reato diuso tra i
non zingari) usufruiscono di fatto, come si detto nel capitolo V, di minori
opportunit alternative al carcere rispetto ai loro coetanei. Il processo di
prevenzione e integrazione sociale, indubbiamente, parte dalla scuola.
La lunga strada verso la scolarizzazione dei bambini zingari ha attraver-
sato due fasi. Nella prima, a partire dal 1963, gli alunni nomadi sono entrati
nella scuola in classi sperimentali a loro riservate (le lacio drom); la seconda
ha visto linserimento nelle classi comuni. Resta ancora da realizzare una
terza fase di eettiva uguaglianza di opportunit e di risultati. Infatti, solo
la met dei bambini zingari oggi scolarizzata, nonostante la volont posi-
tiva delle famiglie in questa direzione175.
Ostacolano la frequenza anzitutto la precariet della sosta in mancanza
di campi autorizzati, sanciti dalla legge, ma mai realizzati: le famiglie ven-
gono sgomberate pi volte in un anno, senza preavviso, costringendo i gli
allinterruzione degli studi. Vi inoltre la necessit, da parte dei bambini, di
sostenere la famiglia con il lavoro o con la questua. Inne, si frappongono le
dicolt relative alla scarsa capacit della scuola di adattarsi ai loro bisogni.
Anche la mancanza di educazione prescolastica incide negativamente sulla
scolarizzazione.
La presenza di un bambino zingaro a scuola non costituisce un pro-
blema, ma unoccasione di arricchire ed ampliare le risorse ed oerte di-
dattiche a disposizione degli alunni. A partire dal momento
175
J.P. Ligeois, La scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, Rapporto di sintesi
della Commissione della Comunit Europea, Bruxelles, 1987.
202
Capitolo quarto - I contesti educativi
176
Sugli aspetti interculturali, cfr. C. Clanet, Lintgration pluraliste des cultures mi-
noritaires: lexemple des tsiganes, in J. Retschitzky, M. Bossellagos, P. Dasen (a cura di),
La recherche interculturelle, LHarmattan, Paris 1989.
177
J.P. Ligeois, La scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti, p. 136.
203
M. Santerini, P. Triani - Pedagogia sociale per educatori
di prolassi possono essere condotte dagli educatori, previa una buona co-
noscenza delle situazioni sociali in cui devono essere svolte.
La formazione professionale, inne, pu riguardare gli adolescenti che
abbiano frequentato la scuola e intendano inserirsi a livello lavorativo. I ra-
gazzi nomadi vivono oggi una doppia crisi, legata al passaggio allet adulta
e al confronto con la societ circostante. La televisione e i mezzi di comuni-
cazione hanno ridotto la distanza tra i due mondi, ma non la dicolt a fa-
re parte di quello gag. I consumi unicano il mondo degli adolescenti, sen-
za realizzare una reale integrazione. Gli zingari sono sospesi tra due culture,
non pi monolitiche e strutturate, ma frammentate e intrecciate. In quella
rom vi sono elementi simbolici che costituiscono ancora la loro identit;
ma nella seconda, attraverso la televisione, gli adolescenti ne trovano altret-
tanti in cui riconoscersi. Il passaggio di sponda , no ad ora, traumatico, e
comporta la rinuncia alluna o allaltra cultura. A quando la possibilit, per
un ragazzo zingaro, di vivere e partecipare ad ambedue?
Come facile comprendere, il livello macrosociale si intreccia con gli in-
terventi di sostegno educativo di cui si parlato. La situazione sanitaria dei
rom, ad esempio, non dipende solo dalla conoscenza di adeguate norme di
igiene o di alimentazione. Gli incidenti, le malattie infettive o da rared-
damento, la scarsa alimentazione cause della elevatissima mortalit infan-
tile dipendono da fattori ambientali e quindi ancora una volta da politi-
che sociali e culturali, necessarie per rispettare eettivamente i loro diritti.
Si prola cos la necessit di un educatore esperto nel campo interculturale,
che aronti, a livello di iniziative di educazione degli adulti e permanente,
le tematiche del pregiudizio e della convivenza tra diversi.
Sono nate in questo senso varie iniziative che hanno portato alla crea-
zione del prolo del mediatore culturale. Tale gura, in genere rappresenta-
ta da un membro del gruppo etnico (in questo caso i rom), ha il compito di
avvicinare e mettere in rapporto nomadi e istituzioni, come la scuola, le
strutture sanitarie, istituzionali etc. Anche un educatore non zingaro pu
per svolgere un ruolo di mediazione, lavorando a livello della conoscenza e
delle informazioni, nonch delle immagini e delle rappresentazioni recipro-
che.
204
PEDAGOGIA SOCIALE PER EDUCATORI
MILENA SANTERINI
PIERPAOLO TRIANI
PEDAGOGIA
SOCIALE
PER EDUCATORI
EDUCatt
Ente per il Diritto allo Studio Universitario dellUniversit Cattolica
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215
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