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Il ''non finito'' michelangiolesco

Michelangelo Buonarroti fu uno scultore, pittore ed architetto di origini aretine che nacque nel 1475 e mor nel 1564,
ed influenz con la sua opera l'intero corso del Rinascimento e le epoche successive.
La sua formazione pittorica avvenne nell'ambito del primo '400 quando si trovava intorno all'et di tredici anni,
dunque piuttosto tardivamente rispetto agli usi del tempo. Fu accolto nella bottega dei fratelli Ghirlandaio che gi
godevano di una discreta fama nell'ambiente fiorentino.
L fu notato da Lorenzo il Magnifico in persona che si rese conto delle spiccate potenzialit e del talento del giovane
Buonarroti e lo inser nella scuola di scultura ''giardino di San Marco'', dove avvenne la fase pi importante della sua
formazione. Al lavoro degli allievi soprintendeva il noto scultore Bertoldo di Giovanni, ma i veri maestri nell'ambito si
trovavano nelle stesse statue antiche che i giovani artisti erano tenuti a ricopiare con la tecnica del cavare per
perfezionarsi sempre di pi e per sviluppare al tempo stesso una propria concezione dell'arte.
Proprio perch formatosi da scultore, si soliti affermare che anche nelle pitture Michelangelo scolpisce con il
pennello; inoltre dall'attivit di copista discende la sua concezione della scultura per cui la figura gi contenuta nel
blocco di marmo ed il compito dell'artista consiste semplicemente nel liberarla dal cosiddetto soverchio, il materiale
inutile.
Per tale motivo Michelangelo trascorreva anche mesi nei pressi delle cave di marmo in attesa che fosse cavato il
blocco perfetto, il solo che racchiudeva l'opera in attesa di essere liberata.
Per la stessa ragione lo scultore ci ha trasmesso della sua opera una certa tendenza al ''non finito'' di cui sono state
operate diverse ipotesi:
alcuni hanno pensato che si trattasse dell'ammissione della consapevolezza dei propri limiti, tuttavia ben sappiamo che
Michelangelo riconosce senza remore i suoi indubbi meriti; secondo altri il non finito michelangiolesco richiamerebbe
la bellezza delle statue antiche, spesso mutile; pi probabile appare un'interpretazione in chiave neoplatonica, in
quanto il neoplatonismo trovava grande successo a quei tempi (anche grazie all'operato del circolo neoplatonico voluto
da Lorenzo il Magnifico): secondo l'ottica neoplatonica l'idea della scultura sarebbe gi compresa all'interno del blocco
marmoreo che ne costituisce una sorta di prigione, proprio come il corpo rappresenta la prigione dell'anima nell'uomo.
Emblematici di tale concezione sono i quattro Prigioni, abbozzati e poi rimasti incompiuti, destinati alla tomba di
Giulio II: il marmo viene lavorato dall'artista da una sola parte e si fanno affiorare le figure eliminando il sovrappi. Il
prigione pare tentare con forza di uscire dalla materia inerte che lo imprigiona e lo opprime quasi con un impeto
disperatamente vitale. Il fatto che lo scultore abbia lasciato alcune parti soltanto abbozzate, altre ancora grezze ed altre
invece levigate rende efficacemente l'idea della strenua lotta fra spirito e corpo, fra la superficie perfetta del primo e
la massa amorfa del secondo, il tormento dell'uomo che tenta di liberarsi dalla prigione della propria corporeit. Spetta
all'artista, che si rende quasi simile a Dio, liberare l'anima dall'involucro inerte.
Non risulta possibile, in ogni caso, operare una definizione assoluta del non finito michelangiolesco, poich ogni
situazione va valutata di volta in volta.
Per formulare un altro significativo esempio legittimo citare la Piet Bandini, opera realizzata fra il 1547 ed il 1555;
con tale scultura si perde la definizione rigorosa dei contorni delle figure che aveva caratterizzato le opere scultoree
precedenti, questo non soltanto perch il non finito pu fornire rilievo plastico ai profili, poco pi che abbozzati, ma
anche e soprattutto in quanto riflette il tormentato stato d'animo di Michelangelo, uomo ormai di et avanzata, che
sente avvicinarsi la morte.
Sappiamo che l'artista soffr in quel periodo di crisi depressive che lo portarono a tentare di distruggere la scultura,
peraltro ottenuta in un marmo di qualit piuttosto scarsa.
In quest'opera si palesa la profonda crisi dell'uomo che si rende conto della propria precariet ed inferiorit rispetto a
Dio, la paura e la frustrazione di quel fulcro attorno al quale aveva ruotato l'intero Umanesimo, che si trova di fronte a
ci che non pu prevedere e controllare.
Bisogna, inoltre, tenere presente che ci troviamo negli anni della Controriforma: un Dio che si manifesta attraverso il
volto intransigente della Chiesa dopo il Concilio di Trento certamente difficile da concepire come vicino all'uomo,
che pure nel periodo precedente aveva nutrito una cieca fiducia nelle proprie possibilit. Ora l'essere umano si scopre
tremendamente piccolo al cospetto di Dio e, pur desiderando avvicinarglisi ed esaltarlo anche attraverso l'arte si rende
conto di fallire inesorabilmente il proprio obiettivo: potrebbe anche sembrare un abbassamento se si costringesse
l'infinit di Dio in una forma compiuta e ben definita; l'artista pare quasi temere di raggiungere un'arroganza ed una
presunzione eccessive. Certo che l'uomo, nell'et della Controriforma, avverte con un'intensit maggiore rispetto alle
altre epoche il senso di inadeguatezza ed inferiorit di fronte al divino.
Appare chiaro che la concezione dell'artista quasi pari a Dio non pu pi sussistere in un contesto simile. Da qui
potrebbe scaturire quella frustrazione che sgretolerebbe poco a poco l'orgoglio e la monumentalit dell'artista
Michelangelo, quell'esasperazione contorta che si nota negli affreschi della Sistina; come se un fluido vitale scorresse
dalla volta alla parete dell'altare, deteriorandosi progressivamente, per poi tornare all'artista che ne darebbe sfogo sulla
Piet Bandini.
La distruzione dell' ''uomo perfetto'' che non sa accettare i propri limiti.

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