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traversamenti | 04

collana diretta da Anna Chiriatti

Traversamenti sono incontri di creature, di pensieri, di luoghi, di storie, pas-


sioni, percorsi, progetti, memorie.
Traversamenti sono narrazioni di esperienze, avventure, nostalgie, desideri,
partenze. Ritorni. Di fughe e di sogni a occhi aperti. Sentimenti e incanti di realt.
Sono movimenti obliqui, in bilico sugli argini di cronaca e racconto. Indagano diffe-
renze. Scrutano orizzonti. Scavano le rocce. Scandagliano i fondali.
Traversamenti sono interrogazioni del tempo, sconfinamenti di spazi, oltrepas-
samenti di frontiere. Pietre di fionda che frantumano vetri.
Sono tensioni di futuro.
Traversamenti.
ROSANGELA CHIRICO

PLASTICA
Storia di Donato Chirico
operaio petrolchimico
Edizioni Kurumuny
Sede legale
Via Palermo 13 73021 Calimera (Le)
Sede operativa
Via San Pantaleo 12 73020 Martignano (Le)
Tel e Fax 0832 801528

www.kurumuny.it info@kurumuny.it

ISBN 978-88-98773-18-3

Edizioni Kurumuny 2015


A Dio. Ruach. Il mio Spirito Divino. Al mio
pap Donato. La mia essenza. A mia mamma
Maria. La mia linfa. Ai miei fratelli Giam-
piero e Tommy. La mia terra. Ai miei nipoti
Simone, Alessandro e Rebecca. Il futuro e la
speranza.

La mia voce risuona nel nome dei padri, men-


tre la mia preghiera diviene rabbia ragione-
vole, per tutte le vittime trasversali allinterno
di una criminosa volont capitalista, accartoc-
ciata intorno alla disumanizzazione in un
mondo di plastica, contro ogni creatura.
Indice

9 Prefazione di Mario Desiati


15 Prologo

Parte Prima
19 28 novembre 1996
22 Donato
31 Il ring
41 La fabbrica delle dolcezze
46 La nevicata
53 Fiamme di gomma
57 Frammenti di quotidianit
73 Il tempo in tasca

Parte seconda
81 La prima promessa mantenuta
83 Nel cuore dellecomostro
92 Lesordio petrolchimico
99 La cancerogenesi
104 P17
111 Linferno di plastica
121 Necrologio moplenico Linchiesta
136 Contromano tra le falsit
150 Figli di un dio inferiore
154 La gomma incancellabile
156 Nel bluceleste: laltare di fango
160 Il pane condito con la morte

163 Postfazione di Cecilia Mangini


167 Ringraziamenti
Prefazione
Mario Desiati

Plastica il primo romanzo di Rosangela Chirico, un ro-


manzo civile, non soltanto documentale o testimoniale, caratte-
ristiche evocate quando si usa il termine civile. il romanzo di
una vita, quella del padre, uno dei tanti caduti sul fronte dellevo-
luzione millantata, ma ahim involuzione conclamata, dellIndu-
stria pesante portata in una civilt contadina come quella dellAlto
Salento.
Taranto e Brindisi oggi sono territori che pagheranno per sem-
pre linclusione telecomandata dallalto, di unidea industriale che
non era possibile, quanto meno senza una formazione delle co-
scienze di chi ha diretto questa scelta politica prima che umana.
La Puglia dei petrolchimici e dei siderurgici nelle terre sfregiate,
ma anche e soprattutto nei corpi di chi si ammalato, e nei corpi,
negli occhi, nei cuori di chi ha perso i propri cari. La nostra terza
guerra mondiale, la pi cruenta, perch sul suo altare (in parte un
altare di fango come scrive nel finale la Chirico) hanno versato il
sangue migliaia di padri di famiglia, che sapevano di essere ope-
rai, ma non sapevano di essere in guerra.
Il romanzo cammina sul suolo della rievocazione, a met
strada tra memoir familiare e affresco industriale, si parte dal dato
biografico e familiare dellautrice, figlia di uno degli operai am-
malatisi dentro la grande industria che produceva la plastica che
d il titolo al volume ed una plastica mortale.
Il luogo del delitto il Petrolchimico di Brindisi, che ammala
le genti e ferisce lorizzonte, la natura, lo sguardo e la storia del

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paese. Lautrice ne convinta, racconta i toni del suo cielo, lodore
che si respira a due passi dal mare, i segni che crescono sui corpi
dei suoi abitanti e dei suoi lavoratori. Ma lo fa sempre su una se-
vera linea di demarcazione tra un timbro lirico e uno pi secco,
ridotto allosso della narrazione. Non si abbandona a facili invet-
tive, prosegue con frammenti narrativi, da una parte il ricordo,
dallaltra la nuova vita senza la persona cara, una vita di inchiesta,
ricerca che culmina anche con la denuncia durante una trasmis-
sione televisiva popolare come Il raggio verde di Michele San-
toro.
Nel 1974 a soli trentasei anni il padre di Rosangela, la voce nar-
rante, viene ricoverato e viene riscontrata la diagnosi di epatite
cronica indotta dallavvelenamento per contatto prolungato con i
mutageni presenti nel petrolchimico. Come scrive la Chirico in
uno di questi passaggi altamente evocativi pur rimanenti su una
linea di voluta e didascalica ferocia: Lintossicazione era causata
da Policlorulvinile e da Dicloretano. La situazione clinica di Do-
nato degenera progressivamente. Le scatole delle medicine au-
mentano anchesse progressivamente. Viene sottoposto a ricoveri
sempre pi frequenti e prolungati. Lepatite avanza a passi tene-
brosi, su un arco temporale tracciato per circa un trentennio. Al-
linterno del suo fegato lepatite avanza silenziosa. Evolve.
Cammina e si trasforma. Si fa cirrosi. Il passo aumenta ed evolve.
Si sposta lungo una traiettoria precisa. Marca maggiormente il
percorso. Le impronte diventano indelebili. Diventano cancro
epatico. Poi il passo comincia a farsi stanco. Ma solo appa-
renza. Mancano pochi autunni. Le orme cancerose sconfinano il
limitare della vita. Incidono nella carne lesioni profonde. I trat-
tamenti mirati, le terapie farmacologiche e quelle chemioterapi-
che non generano pi gli effetti tanto sperati. Il cancro alita CVM,
animando lombra della morte.

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Quello che sembra un bollettino destinato a peggiorare, un tra-
gico taccuino di un finale tragicamente annunciato diventa per la
Chirico la spinta per raccontare del proprio padre e farne diventare
un monumento, il cippo su cui costruire una nuova storia. Anni fa
Mark Strand, morto nel 2014, uno dei pi grandi poeti tra fine No-
vecento e inizio Duemila, scrisse un poemetto in prosa chiamato Il
monumento. Scrisse versi e prosette che costruivano ci che era a
met tra il proprio elogio funebre e il testamento, un modo per esor-
cizzare la morte, ma anche tenere sul confine dei propri moti inte-
riori, lidea che la morte propria o degli altri possa servire alla vita.
Donato Chirico anche se non c pi vivo, ed insegna nel ri-
cordo che ne fa Rosangela, insegna un approccio alla vita anche
nei momenti pi dolorosi come ci racconta lautrice: Una sola
volta ho visto il volto di mio padre rigato dalle lacrime. avvenuto
a pochi giorni dalla sua fine. Stava seduto sul margine del letto,
con i piedi appoggiati a terra e i palmi delle mani posati sul bordo.
Lui non se nera accorto che ero l, sul limitare della porta. Lo os-
servavo. A pochi centimetri da me, osservavo di traverso anche i
cumuli di farmaci posati sul com. Era mattino, lui piangeva si-
lenziosamente, io non osavo parlare. Capivo cosa, di incontrolla-
bile, stava succedendo al suo organismo: non era pi capace di
stare in piedi, neppure per il tempo necessario a finire di radersi.
Farsi la barba era una sua buona abitudine, ogni mattino, da sem-
pre, per avviare la giornata con la cura dellaspetto. Un rito con il
quale lui dava inizio al nuovo giorno.
Il nuovo giorno comincia dopo la scomparsa, lautrice trova
nella pittura una strada e dunque una voce, sono i colori della vita.
Colpisce che per lautrice la pittura, e larte in generale rappresen-
tino lesistenza e lessenza. In una conversazione privata la Chirico
mi confid un punto di vista che nella seconda parte del libro
viene fuori.

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Il mio linguaggio primario parola/colore sin da quando ero
piccina. Mio padre ha sempre accettato e difeso questo mio modo
dessere, lui che ha alimentato in me la Libert, lessere liberi,
stando nel mondo umano ma essenzialmente con i sensi inorga-
nici. Amava la natura e capiva quanto il colore riempie la mia
carne. Lui capiva e ascoltava quanto e come il colore pulsa in me
restituendo il suono del cuore mentre traccia solchi sanguigni nar-
rati anche in Plastica. Mario un dato di fatto. Sulla mia carta
didentit nella voce professione appare Artista. Lessere diventata
tale lo devo ad un istinto divino ma anche a mio padre, ed essen-
zialmente a Dio. La mia Arte Dono che Dio ha posto in me.
LArte la mia preghiera quotidiana a Lui, a Ruach, a Dio. Ecco
perch mio padre difendeva e condivideva questo mio linguaggio
originario.

Rosangela ricostruisce un percorso che ingloba due promesse


fondamentali che sono le rotaie su cui si muovono i vagoni del ro-
manzo. La prima quella che fece al padre, laurearsi, e la seconda
che fece soprattutto a se stessa e ai fantasmi della nostra terra che
guardano la natura nella quale si muovono messa sempre in con-
tinuo repentaglio dalluomo. La promessa la verit, perch Do-
nato morto cos, perch quella vita?
Una vita che era esplosa nei giorni finali di vita in Donato, che
aveva chiamato Uagliuncello un gatto che era stato capace di ad-
domesticare un gatto particolarmente selvaggio e indomabile.
Sembrava un cucciolo di pantera, nero nero, gli occhi di un verde
brillantissimo. I vicini dicevano che nessuno era mai riuscito ad
avvicinarlo, poich soffiava e tirava fuori le unghie per graffiare.
Con la sua sovrana pazienza, Donato era riuscito a conquistarlo.
Qualche brutto graffio se lera preso in faccia, ma alla fine erano
diventati inseparabili.

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I graffi sono anche le rughe, in questo aneddoto raccontato a
met libro, c una delle lezioni nascoste in questo testo, s lezioni
nascoste, la vita lascia sul corpo delle tacche, come quando da
bambini ci segnavano laltezza. E queste tacche una dopo laltra
scavano nel corpo, e quando arrivano allanima essa esala.
Rosangela ci ha raccontato la sua storia, questo processo che
parte dal segno di un corpo e arriva allanima.

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Prologo

Soprasotto il cielo di Brindisi, nella mia terra di provin-


cia ho disegnato col mio cuore il tempo umano. Ponendomi
alla rovescia, ho proiettato contro il cielo immagini di
fango e plastica, scarabocchiando i miei ricordi. Alla ro-
vescia ho osservato le nuvole sopra le fabbriche. Nuvole
cariche di pensieri in grembo al vento, prima di sciogliere
le mie amarezze in una pioggia di sole. Alla rovescia ho
scaraventato il silenzio dentro pozzi di gomma, subendone
i colpi di rimbalzo. Pi volte ho afferrato la mia vita, men-
tre vivevo stretta alle veste di Dio, per non essere inghiot-
tita dal petrolio, anchio.

Allinterno di questo racconto SentiMentale, ho tracciato


la storia di chi per amore si avvent alla vita, perdendola
crudelmente. Ho scritto ponendomi contromano, nel verso
contrario alla disumanit industriale. Per schivare gli urti
provocati dal progresso distruttivo, contromano ho sciolto
i nodi della dissacrazione umana, usata contro i padri ope-
rai. Uomini avvelenati dalle industrie petrolchimiche. Uo-
mini zuppi di sudore amaro. Uomini perduti, in cerca dei
loro sogni. Ponendomi in senso contrario, non ho perduto
la mia umanit.

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Parte prima
28 novembre 1996

Era primo mattino. Gioved, 28 novembre 1996, quando


inizi a piovere. Faceva tanto freddo. Eravamo in casa no-
stra. Lo scroscio dacqua aumentava lentamente. Lodore
della pioggia si era fatto pi intenso. Il cielo era diventato
oscuro. Tuonava. Le nostre mani erano unite, luna a quelle
dellaltro, come le ali chiuse di unaquila. Anche le nostre
braccia erano annodate, le une a quelle dellaltro. Eppure
in un attimo, in un breve istante, tutto svan in un soffio.
Tutto svan nel volo.
Ricordo un angolo della casa dove cera una gabbia con
due pappagallini, con cui di solito giocavo. Uno era verde,
laltro azzurro. Cera pure un canarino arancio. Quel
giorno il canarino scapp dalla gabbia, e svolazz via
dalla finestra. Io mi precipitai per riprenderlo, tentai di af-
ferrarlo, e mio padre pure. A me sembr di volargli ap-
presso. Ma purtroppo lo avevamo perso per sempre. Mi
sono consolata con un palloncino buffo, che stava sospeso
sotto il soffitto e che non era riuscito a volare via da l. Era
un palloncino rosso, con le orecchie da coniglio. Pap lo
tir gi afferrandolo per il filo che pendeva, dritto e lungo.
Me lo diede affinch mi rincuorassi. Quel filo e quel pal-
lone, spesso mi scappavano dalle mani. Fortuna che non
poteva volare via, lontano da me, come aveva fatto prima
il mio canarino.

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Era mattino. Quel mattino!
Se solo avessi potuto tirare gi il cielo, quel mattino.
Se solo avessi potuto, s, lo avrei tirato gi.
S, se avessi potuto, avrei tirato mio padre gi dal cielo.
Era mattino, e continu a piovere tanto, quel mattino!

Quel mattino di novembre la mia vita fu travolta da un


evento tragico, da un temporale violento. Diverso da quello
che si abbatteva al di l della finestra. Tra i ricordi altale-
nanti, dal presente al passato e dal passato al presente, nella
mia mente si sono collocate le sequenze di numeri e lettere
75-01-4 C2H3Cl CH2=CH-Cl
che non riuscivo a fermare. Sequenze di caratteri che
erano diventati come schegge impazzite nella mia testa. Nu-
meri e lettere in un linguaggio cifrato che io conoscevo bene.
Non ero impazzita. Quel mattino il dolore aveva accerchiato
la mia anima, mi aveva tramortita, ma non mi faceva deli-
rare. Sapevo che in quel codice era contenuta la chiave di
lettura che mi avrebbe permesso di giungere dentro agli sce-
nari oscuri che dovevo riportare necessariamente alla luce.
Quel codice era sicuramente legato alla morte di mio padre
Donato. In quel mattino i miei ricordi andarono a scovare
immagini di giorni che segnarono il percorso di un racconto
intrecciato, come un gomitolo intorno alla terra. Intorno al
pianeta. In quelle immagini piene di ricordi, ogni mio pen-
siero sembr disfarsi in quei numeri e lettere che si avvol-
sero in un groviglio di parole, di vite, di amori, di dolori, di
gioie, di sentimenti, di lacrime, di grida, di silenzi, di padri,
di madri, di figli e di preghiere: tutti ai piedi delluniverso.

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Desideravo dimenticare mille e mille volte tutto il dolore,
il mio vissuto, il mio passato; ma soprattutto desideravo di-
menticare la straziante morte del mio amato padre-operaio
nella terra dei veleni. Nella terra di Brindisi. La mia terra
dorigine. Non volevo dimenticare la magnificenza vitale che
traspariva dal corpo di mio padre. Dal corpo di lui che aveva
usato il coraggio come emblema, come un blasone di di-
gnit. No, non volevo dimenticare quel corpo in cui il corag-
gio aveva sostituito lazzardo della paura sciolta tra i veleni
di fabbrica. Tra i veleni di una delle tante fabbriche petrol-
chimiche, poste a sud del cuore dItalia.
In quel mattino la pioggia batteva forte ovunque, il cielo
pareva venisse gi sciogliendosi in una cascata furiosa. Ma
quella pioggia non bastava a coprire il mio pianto per i tanti
operai perduti. Per i tanti padri avvelenati. Per le tante vite
stroncate dal proprio lavoro. La storia dei veleni petrolchi-
mici aveva oscurato vita, salute, volont, forza, dignit e
anche il loro nome. Il nome di tanti operai. Il nome di mio
padre Donato.

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Donato

Donato era il terzogenito di tre figli maschi. Nato dal


frutto amorevole di sua madre Rosa. Una donna semplice e
teneramente materna. Suo padre Pietro un uomo distinto,
dallo sguardo vispo e dolce. Donato nacque nel gennaio
1939, in Puglia, a Ceglie Messapica, tra le colline del pro-
montorio italico, in un centro abitato che si pone tra gli an-
fratti di uno scenario rupestre. In questo posto le nuvole
profumano ancora di sole. Il cielo appare solitamente cri-
stallino e si libera nel fitto della macchia mediterranea, tra
le bellezze di una natura intatta, dove ogni colore riluce di
splendore. Il paesaggio si apre nella corsia dei venti. Venti
che si alzano in danze promiscue. Sbuffate di correnti calde,
di libeccio e scirocco, contro le folate fredde di tramontana
e maestrale. In questa terra si alternano i venti calmi e i venti
inquieti che si fanno spazio tra le spighe in fiore, tra i ger-
mogli e gli ortaggi posti sopra e sotto al ventre terroso della
Messapia nellellenica Kaila: lattuale Ceglie Messapica.
Nella terra di Brindisi, negli anni preindustriali, laria era
pulita tra le migliaia di chicchi verdi e bruni delle viti e dei
possenti olivi saraceni. Ceglie Messapica la terra dove re-
gnano gli olivi. un angolo di mondo, dove la famiglia di
Donato possedeva un oliveto e un trullo. Circa cento alberi
di olivi secolari, con chiome gigantesche, erano disseminati
nel loro orto verdeggiante. Un luogo che mio pap conside-

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rava il rifugio per pensare. Sosteneva che dedicarsi alla na-
tura, alla coltivazione del verde aiuta luomo a stare lontano
dallozio e dalla vita cattiva. Lontano dai luoghi del bere e
del gioco dazzardo. Lontano dai bar e dal fumo.
Donato. Pelle scura. Muscolatura agile e tornita. Un
aspetto elegante. In lui esisteva il fascino mediterraneo.
Erano state numerose le donne che si innamorarono di lui,
quando era scapolo. Donato, giovanissimo, desider un la-
voro stabile. Loccupazione giunse come una manna nella
terra del Sud Italia. La fabbrica della Montecatini, a cui
aspiravano tanti uomini, era stato il suo luogo di lavoro: as-
sunto nella filiera di Brindisi, a ventiquattro anni, il 12 gen-
naio dellanno 1963. Un lavoro dalla paga bassa, ma col
mensile assicurato. La paga giungeva il giorno 27 di ogni
mese. Dodicimila lire allinizio degli anni Sessanta. Uno sti-
pendio che fu aumentato a centoventimila lire, alla fine
degli anni Sessanta, dopo il rinnovo del contratto nazionale
nel 1969. Era quello lo stipendio di un operaio medio pe-
trolchimico, quando negli anni del secondo dopoguerra
mondiale, nel Mezzogiorno, la terra di Brindisi da agricola
fu trasformata in industriale.
Loperaio petrolchimico non era il tipo di lavoro che mio
padre avrebbe voluto svolgere; aspirava alla carriera mili-
tare, in aviazione. Come suo fratello Tommaso. Invece lal-
tro suo fratello Giovanni era un carabiniere. Donato voleva
essere un membro dellaeronautica militare anche dopo il
servizio militare. Ma fare rafferma era stato complicato. Al
contrario di quanto lui desiderasse, loperaio stato linca-
rico che lo ha impegnato per il resto della sua vita lavorativa.

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Gli anni del secondo dopoguerra mondiale erano anni
bui. Anni in cui la grande guerra aveva procurato pianto e
povert in Italia, nellintera Europa, in tutto il pianeta.
Nel dopoguerra bisognava accontentarsi, si era fortunati
ad avere un lavoro stabile. Donato con amarezza si accon-
tent, perch voleva sposarsi, creare una famiglia, avere dei
figli. Fu durante una festa di matrimonio a cui erano invitati
tutti e due che conobbe Maria. Una donna bruna, snella,
alta, con gli occhi azzurro chiari. A lui piacque molto, sin
dal primo incontro. Una donna ideale, non artefatta, ben
curata. Capelli con acconciature in voga. Tailleur di assoluto
taglio sartoriale, perfettamente cuciti su misura. Cuciti dalle
abili mani di lei. Donato e Maria si innamorarono senza in-
dugi.
Maria, mia mamma, era uneccellente ricamatrice. Punto
erba, punto pieno, punto croce, punto piatto, punto cate-
nella, punto cordoncino, erano le trame incordonate dalle
sue scorrevoli dita di fata, tra i tessuti naturali. Canapa, co-
tone, lino, jersey. Stoffe pronte ad accogliere, tra ago e filo,
le creazioni perfettamente composte nelle forme e nei colori
pi variegati. Mia mamma era capace di impreziosire ogni
tipo di tessuto: dal pi economico al pi pregiato. Lenzuola,
tovaglie, abiti. Ogni cosa volesse rendere pi notevole e pre-
ziosa. Perfino i corredini e gli abiti, miei e dei miei fratelli,
sono stati tutti creati da lei. Ago, filo, cerchi in legno, tanta
pazienza e precisione si concentravano tra le sue mani e
sotto i suoi occhi attenti.
Allepoca le ricamatrici e le sarte esperte erano molto ri-
cercate. Lei aveva frequentato un laboratorio per lappren-

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dimento artigianale sartoriale, sotto la guida di impeccabili
maestranze che le avevano insegnato a realizzare, oltre agli
abiti, anche i ricami perfettamente creati ad arte. A quei
tempi, larte del ricamo era considerata una disciplina. Ri-
gore, precisione, controllo, equilibrio, fantasia, professio-
nalit: era quanto si sviluppava tra i filati, tra i tagli, tra le
cuciture, fin nelle impunture. Tra quei principi sartoriali, si
svelava un mondo fatto di umori, gioie, spensieratezze, gio-
vinezza, profumi e sapori, di tutte le giornate stagionali
scandite di tutto punto, nei laboratori, tra i viottoli, nel
cuore di Ceglie Messapica. Erano gesti utili, rivolti ad un
unico atto finale: il compimento dellabito commissionato
per avvolgere i corpi e per vestire di eleganza il portamento
di ogni genere di persone. Quel tipo di artigianato per Maria
era stato una forma di intreccio tra la vita quotidiana e lal-
ternarsi dei colori della sua vita, tra gli eventi religiosi e
quelli profani, tra lo scorrere e il radicarsi del tempo quando
la vita possedeva altri sapori, altri valori, altri umori. Epo-
che in cui la pazienza era il moderatore costante del tempo
che scorreva pi lentamente, meno impregnato dalla fretta
del progresso. Meno meccanico, meno tecnologico, meno
dinamico e pi intenso allinterno della preghiera quoti-
diana tra i semplici gesti di una sarta e ricamatrice.

Era il 22 ottobre del 1964, quando mio padre Donato e


mia mamma Maria si sposarono. Avvenne in terre oritane,
in una piccola cappella dedicata a Maria Immacolata, allin-
terno del santuario dei Santi Medici Cosma e Damiano. A
San Cosimo alla Macchia, a Oria. Da giovani sposi hanno

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sostenuto i primi sacrifici economici. Laffitto per la casa, le
tasse, le necessit quotidiane.
A quellepoca, lerogazione idrica e la fogna erano un
lusso che poche famiglie potevano permettersi. La maggior
parte della gente si procurava lacqua attingendola dalle
fontanelle pubbliche. Erano avvantaggiati quelli che abita-
vano nelle immediate vicinanze di una fontana, perch il
tragitto da percorrere con i recipienti pieni sarebbe stato
pi breve. A casa Chirico la fornitura idrica non era pre-
sente, ma per fortuna giunse dopo pochi anni: quando fu
realizzata la rete idraulica in via Nizza, vicinissima a piazza
SantAntonio dove la fontana pubblica generosamente
sgorga ancora in un angolo tutto suo.
Entrambi, con grande impegno, riuscirono a mettere da
parte i loro risparmi, con il sogno di acquistare una casa
grande e confortevole. Desiderio che si attu dopo qualche
anno dal loro matrimonio. Donato desiderava garantire una
vita agiata alla sua Maria, alla quale rest fedele e ricono-
scente, per il resto della sua esistenza. Maria fu per lui una
moglie, ma anche unamica di vita, disponibile ad ascoltarlo
e a sostenerlo in ogni momento. Si amarono intensamente,
stimandosi lun laltra, continuamente. Un rispetto marcato
attraverso la stupenda intesa che avevano rafforzato nel
tempo, nella fiducia, nelle tensioni quotidiane, con la pa-
zienza e nella poesia del loro amore fattosi riflesso sui tre
figli. Giampiero, Rosangela e Tommy.

Donato quando non lavorava in fabbrica amava coltivare


la sua campagna e produrre i frutti per lappagamento che

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la stessa natura gli donava. Si commuoveva come un bimbo
al germogliare delle piante, nellabbondanza che la terra gli
ricambiava coi raccolti buoni in tutte le stagioni.
Produceva lolio biologico per la nostra famiglia. Produ-
ceva lessenza di un succo prezioso. Il balsamo dolce per
lanima e per la salute.

Ngel, lhai mai ascoltata la voce degli olivi?


Tu s, vero pap?
Ngel, la natura musica! Il verde musica! Ti por-
ter in campagna, quando c appena appena un po di
brezza tra i rami, tra le foglie. Ti far ascoltare la voce
degli alberi. Soprattutto quella degli olivi. Per non parlare
dellerba che quando alta ondeggia, con un mare di voci
Pap, cosha di diverso il frusciare delle foglie del-
lolivo dagli altri alberi? Oppure dallerba?
Le foglie di olivo quando sono mosse dal vento emet-
tono suoni pi vibranti. Le altre foglie sono pi fruscianti.
Mentre lerba soffia, pff Sooffiaaa!
E tu quei suoni sei capace di riconoscerli uno per uno?
S, devi venire anche tu in campagna, e stare un po a
divertirti davanti al trullo
No, non ci vengo. Ho paura degli insetti!
Non degli animali che devi avere paura, ma delle
persone cattive.
Ma che ne sai tu, che non ti fa paura niente, n lucer-
tole n serpenti, niente di niente. Se non fosse cos, non ci
andresti neppure tu in campagna! Adesso che mi fai pen-
sare... ti ricordi di quel serpentello?

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Mica lho trovato pi... Le urla che hai lanciato!
Urla? Che spavento, altro che urla! E tu, te le ricordi
quelle api che ti hanno punto dappertutto?
Certo che me le ricordo, avevano fatto il nido nel mu-
retto, vicino al posto dove mettevo la mia attrezzatura di
campagna.
Se penso a quanto aglio abbiamo dovuto strofinarti
sopra a quelle punture. Ti avevano punto perfino in testa,
tra i capelli!

Un pomeriggio pap arriva di corsa a casa, lo sguardo


che gli brilla. Mi prende per la mano e mi trascina via:

Ngel, dai, spicciati che ti devo portare in un posto.


Cos successo? Dove mi porti?
C una cosa che devi vedere assolutamente. Dai, an-
diamo!
Ma cos che vuoi farmi vedere?
Beh, voglio farti una sorpresa

Via di corsa con la sua vecchia Cinquecento, fino al trullo.


Scendiamo e in punta di piedi mi guida fino alla pianta di
carciofi che era nata spontanea vicino alla stradella. Lui si
china e piano piano tira su le foglie:

Pap, ma questi sono cuccioli! Tanti cuccioli di cane!


Ma quanti sono? Tre, quattro, cinque E come li hai tro-
vati?
Stamattina ho visto la cagnetta del vicino che andava

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e tornava da qua, cos lho seguita. Ho scostato le foglie
della pianta e ho scoperto che cera una figliata. Sicura-
mente, la cagnetta li sposter in un altro posto.
Perch in un altro posto?
Trover un nascondiglio pi sicuro. sempre cos.
Pure i gatti fanno in questa maniera.
Come sei felice, pap.
S per questo che sono corso subito a prenderti, vo-
levo che tu li vedessi.
Ma sono tenerissimi! Tremano, hanno gli occhietti an-
cora chiusi! A te stanno tutti quanti in una mano. Io ho
paura di fargli male, sono cos piccoli!

Come un pianta generosa, mio pap Donato era cresciuto


danimo come una chioma dalbero, in misura uguale al di-
ramarsi delle sue radici. Capovolgendo la sua interiorit,
usando il sotto e il sopra, non possedeva discordanze in
virt dellequilibrio profondo che lo dominava. Era come
uno dei suoi olivi rigogliosi. La dolcezza e la forza erano in
assoluto le sue virt primarie. La sua intelligenza era come
la natura, precisa e puntigliosa nel suo giusto fluire. Era ar-
guto, perspicace e molto divertente. Amava le bellezze della
quotidianit in tutte le sfaccettature. Ogni situazione la con-
siderava una sfida. E della vita diceva: Preferisco vivere
un giorno da leone, e mai cento da pecorone. Si invaghiva
del primo sole del mattino, del profumo della rugiada, dei
colori della sua terra. Amava crogiolarsi tra i motori. Ado-
rava i cavalli ferrati. Adorava le sue moto. La Motoguzzi, la
Vespa, il Motom. Al contrario, non impazziva per le auto.

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Nella sua vita, ne aveva cambiate poche. Ne possedeva sem-
pre due. Ma quella che non sostitu mai fu la leggendaria
Fiat Cinquecento. Adorava quella piccola trottola, perch la
riteneva una giusta invenzione per il suo tran tran quoti-
diano.

Ngel, devo dire, meno male che c lei, come un to-


polino sinfila dappertutto. Se non ci fosse la Cinquecento
bisognerebbe inventarla! Oggi con tua madre siamo pas-
sati da un viottolo piccolissimo, io ero preso dalla fretta, e
lei si spaventata. Ho dovuto guidare veloce schivando i
gradini sporgenti delle case del centro storico immagi-
nati la faccia di tua mamma!
Pap! Ma che necessit hai di dannarti sempre a sta
maniera?
Si erano accumulate un po di faccende, e abbiamo
fatto una corsetta, tutto qua. Sono cose che bisogna fare
quando non sono al lavoro in fabbrica E tua mamma che
mi diceva: Prima o poi mi farai venire un colpo Ral-
lenta con questauto!.

Ricordo mio padre sempre affaccendato mentre fischiet-


tava canzoni, allegro. Invece il fischio diventava sonoro,
dolce e prolungato quando se ne serviva per chiamare me o
le persone di famiglia. Io a quel suono rispondevo da lon-
tano:
Arrivo, p Vengo subito da te!

30
Il ring

Al suo ritorno dalla fabbrica, immaginavo pap come


fosse rientrato da una sorta di combattimento. Come fosse
stato dentro a un ring. Allinterno di un quadrato limitato
dalle corde molleggianti. Tre, quattro file, perfettamente si-
stemate luna sopra allaltra. Corde rosse, blu o bianche.
Corde per definire il luogo della lotta. Corde per contenere
un pugilato. Corde per limitare il luogo della memoria.
Troppe volte mi parso di vedere mio padre, come allin-
terno di un match, in cui tanti colpi schivati corrisponde-
vano ad altrettanti pugni ricevuti. Donato era come un buon
pugile, forte e resistente. Si difendeva come un out-fighter,
uno stilista. Mentre io mi accorgevo che la realt era ben
altra, quando sostituivo quello spazio fantasioso racchiuso
da corde elastiche con un altro luogo circoscritto da tubi
bianchi e rigidi. Un luogo dove subire il male. Facendosi col-
pire, e basta. Troppe volte ho veduto un operaio atterrato
da colpi pesanti, colpi bassi, irregolari. Colpi senza regole,
in grado di mandare K.O. Dove larbitro non poteva essere
altro che un capoturno o un caporeparto. Dove alcuni di
loro erano comandanti di gara venduti che non sostenevano
la reale correttezza del combattimento, che decretavano
come vincitore sempre lo stesso, quello che dimostrava pi
forza di sottomissione nel lavoro, pi debolezza nel ricatto
occupazionale e nella malattia. La morte di Donato non

31
stata causata dal destino n dalla carenza di forza nei con-
fronti dei giganti del capitalismo. Ma dai colpi proibiti, av-
velenati. In quel ring immaginario tante volte ho veduto mio
padre come un pugile reso ammutolito. Combattivo, com-
battuto, e muto.
Attualmente ai miei occhi quella fabbrica appare total-
mente trasformata; oramai limmenso petrolchimico di un
tempo, ai suoi esordi appartenuto alla Montecatini, pos-
siede molte zone vacanti di reparti. Gran parte di quella
smisurata fabbrica non esiste pi. Ha ridotto le unit di mi-
sura della sua estensione iniziale di circa ottocento ettari,
quattro volte pi estesa della citt di Brindisi. Quello che
avevo visto da piccola era un colosso industriale. Quello che
esistito ai tempi in cui ci lavorava mio padre non esiste
pi. Molta di quella forza anche. Il pugile aggressivo, il pic-
chiaduro, ha perso peso, ha perso libbre. Persino la chimera
del posto garantito, anche quella non esiste pi.
Quando decisi di proiettarmi a ritroso nel tempo, cer-
cando le ragioni per la perdita di mio padre, lho fatto con
occhi differenti da quelli ingenui di quando ero piccina. Ho
guardato la realt dinnanzi a me, facendomi spazio tra gli
inganni di tanti uomini. Desideravo conoscere la realt ce-
lata nella mia infanzia con i miei occhi da adulta, con la mia
ragionevolezza. Volevo scoprire quel che realmente era ac-
caduto a un operaio immatricolato per il reparto petrolchi-
mico P17. Un padre etichettato per i gironi industriali della
plastica. Operaio Montedison Chirico Donato, numero di ri-
ferimento personale 229856.

32
A distanza di molti mesi dalla scomparsa di mio padre,
ricominciare a dipingere stato il primo flebile segnale del
mio ritorno a desiderare di vivere. Dinnanzi a me il cielo si
riapre: lentamente riapparso il blu, il celeste mi sta di
nuovo accanto. Mia mamma non aveva gettato le compresse
di pap, le aveva conservate in un cestino di vimini. Le ho
trovate, le ho riprese in mano. Lei era rimasta a guardare
cosa stavo combinando: mi seguiva con uno sguardo preoc-
cupato mentre con ago e filo cominciavo a infilare le pastic-
che una dopo laltra, scegliendo quelle colorate in rosa e
bianco, raggruppate a tre a tre in capsule trasparenti. Sono
andata nella sua camera da letto a prendere un crocifisso da
un cofanetto di ceramica. Era vecchio e rotto, una croce pic-
cola di legno con sopra un Ges di metallo argentato. Lho
attaccato alla catenella di compresse: ecco, con le medicine
di mio padre avevo realizzato un rosario. Sono andata ad
appoggiarlo sul suo comodino e ho giurato sul suo nome che
la verit lavrei cercata sgranando il rosario della nostra vita,
finch Dio me lo avesse concesso.

77
Parte seconda
Nel cuore dellecomostro

Dopo la perdita di pap ho voluto scandagliare in pro-


fondit la sua vita lavorativa, perch esistevano circostanze
poco convincenti. Motivi validi di temere che quella fabbrica
nascondesse una verit terribile. Di qualunque cosa si trat-
tasse volevo scoprirla. Mi mancavano riferimenti precisi: ho
cominciato col chiedermi da dove o da cosa dovevo comin-
ciare.
Portare alla luce la storia operaia di mio padre era essen-
ziale: avevo bisogno di comprendere fino in fondo le ragioni
della sua morte. La maniera pi pratica per iniziare era ro-
vistare tra le cartelle cliniche: centinaia di documenti e di
esami clinici, depositari di una verit non scrutata fino in
fondo. Quegli incartamenti erano i custodi di tante realt
nascoste. Di foglio in foglio, ho percorso una lunga storia
clinica. Oltre ventanni di vita.
Per me non era semplice leggere il linguaggio medico: gli
elettrocardiogrammi, le lastre, i referti clinici. Risultava fa-
ticoso indagare anche sugli incartamenti di fabbrica, quelli
che spesso avevo visto tra le mani di mio padre. Incarta-
menti dazienda, il libretto sanitario di lavoro, le cartelle cli-
niche dei suoi ricoveri. Su tanti carteggi appariva la sua
scrittura, appunti che lui aveva tracciato per individuare
meglio le date e i riferimenti diagnostici. Sentivo lodore da-
tato di quei fogli inchiostrati. Osservavo la carta ingiallita.

83
Notavo linchiostro sbiadito dal tempo tra le righe di qual-
che referto. Mi passavano per la mente le immagini di pap,
intento a leggere quelle carte dopo aver inforcato gli occhia-
lini da lettura coi vetri stretti, che appoggiava sulla punta
del naso. Tutto era archiviato in maniera meticolosa. Date,
numeri, nomi. Tutto era posto in sequenza e in ordine di
importanza dargomento clinico.
In fabbrica, Donato aveva subto un avvelenamento che
aveva intaccato soprattutto il fegato. Ogni dettaglio vi ap-
pariva chiaramente, eppure ho sospettato che qualcosa non
stesse cos come appariva certificato. Tra quei referti non
riuscivo a comparare i numeri tra le date e i valori di alcune
analisi che andavo leggendo. Ho intuito che molte cose non
collimavano. Su alcuni circoscritti periodi lavorativi di mio
padre esistevano date e mansioni non conciliabili con la sua
realt lavorativa: elementi utili a ripercorrere i tempi di
massima esposizione tossica in determinati reparti. Avevo
intuito che il P17 il suo reparto di lavoro procurava in-
tossicazioni mortali. Avevo intuito che alcune precauzioni
adoperate dallazienda a tutela della salute di mio padre non
coincidevano con gli stadi avanzati della sua malattia. Non
esisteva possibilit di coesistenza tra gli ambiti lavorativi e
i suoi ricoveri continui. Ho cercato le motivazioni di quelle
incongruenze: ormai tra me e quegli incartamenti si era in-
sinuata una confidenza naturale. I caratteri inchiostrati su
quei fogli parevano pieni di una voce che al momento op-
portuno si levava a togliere ogni mio dubbio. Ero giunta a
conoscere ogni foglio, ogni rigo di quei certificati. In qual-
siasi momento fosse stato necessario ricercare le risposte a

84
tanti dilemmi da risolvere allinterno delle perizie scientifi-
che, sapevo in quale foglio potevo trovare le risposte giuste
da contrapporre allingiusta cattiveria che la scienza petrol-
chimica cercava di cucire su mio padre. Tra quegli incarta-
menti ero diventata capace di afferrare quello in cui mio
padre aveva sempre creduto: se stesso. Lui faceva leva sulla
propria forza interiore per combattere il suo avversario. La
sua forza, la sua resistenza contro le avversit e gli inganni
petrolchimici adesso erano diventate mie.
Ho ritenuto opportuno fare la richiesta del curriculum
lavorativo di Donato Chirico, dallanno della sua assunzione
al petrolchimico fino alla sua morte. Dal 1963 al 1996: un
arco temporale che copre trentatr anni.
Cerco di mettermi in contatto telefonico con la segreteria
della Enichem di Brindisi. Unimpresa molto ardua. com-
plicato mettersi in relazione con gli impiegati del segreta-
riato petrolchimico. Insisto con perseveranza di poter
parlare con qualche incaricato dellazienda. Le telefonate si
moltiplicano. La risposta che gli incartamenti della Mon-
tecatini sono in mano alle altre societ che lavevano prece-
duta. Devo rivolgermi alla sede centrale di Milano perch
gli archivi di Brindisi che risalgono agli anni 1960-1980 non
sono pi in loro possesso.
Ricorro alle raccomandate con ricevuta di ritorno. Alla
fine sono contattata telefonicamente dal personale Edison
di Milano: anche la Montecatini non pi di loro perti-
nenza, devo rivolgermi alla Syndial a San Donato Milanese.
Ci provo telefonicamente e mimbatto nelle solite difficolt:
la catena dei passaggi telefonici da un ufficio allaltro, tra

85
un dipendente e laltro, tra centralini sempre intasati e te-
lefoni spesso fuori posto, decine e decine di minuti ad ascol-
tare snervanti musichette nel succedersi delle attese per non
perdere la priorit acquisita con linterno desiderato.
impossibile parlare con qualcuno. Spedisco per raccoman-
data la mia ennesima richiesta scritta allUfficio Personale
Syndial. Sembra io sia arrivata al referente giusto: dopo
unaltra infilata di telefonate la dottoressa Bertulli, una in-
caricata di Syndial s.p.a., mi assicura che sta provvedendo
al recupero di tutti i dati utili sulla vita lavorativa e profes-
sionale di mio padre.
Trascorre un anno. Non ricevo nessunaltra notizia. Mi
rimetto alla ricerca della dottoressa Bertulli con cui avevo
dialogato telefonicamente. impossibile trovarla. Rinuncio
al curriculum lavorativo di mio padre: ho motivo di credere
che la Syndial non sia pi disposta a ottemperare alla mia
richiesta. Qualcosa di scorretto doveva essere accaduto.
Forse qualcuno, posto molto in alto, ha impedito di prose-
guire la raccolta dati di mio padre. Mi arrangio con quello
che ho: il libretto sanitario di lavoro di pap lo integro con
le informazioni raccolte parlando con gli operai petrolchi-
mici di mia conoscenza. Recupero notizie. Verifico i ruoli e
le mansioni di mio padre allinterno del polo chimico: nu-
merosi sono i ruoli ricoperti, nessuno esclude il pericolo di
intossicazione.
Nellarco temporale che si estende dal 1963 al 1980, mi
rendo conto di aspetti che mi causano sgomento. Intuisco
che il petrolchimico cela dei segreti.
Comincio a informarmi sullattivit iniziale di Donato,

86
da quando nel 1963 era stato addetto ai macchinari di di-
stillazione del 1,2-Dicloroetano nei reparti GH3 e GH4,
gli impianti originari di distillazione di quel gas. Attivi solo
fino ai primi anni Sessanta, e poi espiantati; rimossi total-
mente, perch ritenuti particolarmente pericolosi, obsoleti
e usurati nonostante il loro breve periodo di esistenza. Per
lalto degrado che avevano subto, erano divenuti rischiosi
sia per la salute degli operai che per lambiente. Nei reparti
di lavorazione dei prodotti petrolchimici, esisteva una cer-
tezza: il pericolo imminente della fuoriuscita dei gas dalle
valvole, dalle pompe, dai tubi corrosi e dai rubinetti degli
impianti. Dal 1963 al 1966 mio padre era stato addetto al
controllo di abbattimento dei reparti GH3 e GH4. Il mio in-
teresse tale che voglio capire almeno in parte cosa sia il
Dicloroetano, una sostanza a cui mio padre era stato espo-
sto pericolosamente.
Il 1,2-Dicloroetano (1,2-DCE) una sostanza chimica ar-
tificiale, ottenuta dalla reazione chimica tra il Cloro e lEti-
lene. classificato tra i composti pi tossici della categoria
degli idrocarburi clorurati un cancerogeno. un inqui-
nante per lambiente faunistico, territoriale e acquatico.
Continuo le mie ricerche nei luoghi pi appartati della
mia memoria. Spesso mi trovo in situazioni ingarbugliate,
dove la ricerca di una verit altra rispetto a quella cono-
sciuta mi conduce in luoghi che sembravano inaccessibili.
Luoghi franati e frananti di storie, dove provo la sensazione
dello smottamento della terra sotto i piedi. Di scivolare e di
cadere dentro una valle profonda, in gola alla terra, per rie-
mergere a fatica dalle false verit.

87
Mi sono persa spesso, nella conta dei giorni delle mie ri-
cerche. Pazientemente ho capovolto il tempo, come si fa-
rebbe con una clessidra. Pi volte mi sono ritrovata
allinterno di uno scenario intricato di pericoli, di confu-
sione, di ombre e di spettri. Pieno di giorni assolati e giorni
uggiosi. In quei giorni butto gi lo schema della legittima
ricerca di una giustizia necessaria agli operai intossicati dai
veleni petrolchimici. Esamino i fatti sulla scia di mio padre
Donato. Una via che avrei preferito non percorrere. Un per-
corso dove il dolore se ne sta in agguato, ostacola i miei
passi, occupa le tasche della mia vita.
Nellaccesso allo scenario petrolchimico, sono chiamata
a percorrere una memoria storica. Una memoria che conti-
nua a proiettarsi nel futuro, nel domani di ognuno di noi.
Una memoria tracciata da operai. Tracciata dalle domande
che mi pongo:
Oltre alla plastica, nel petrolchimico che cosa si pro-
dotto?
Gli operai se lo chiedevano quando sputavano veleno,
dopo essere usciti dalle autoclavi o dopo il compito dellin-
sacco. La consapevolezza che nel petrolchimico oltre alla
plastica si producesse qualcosaltro, agli operai giungeva
dopo aver svolto le mansioni che nellimmediato facevano
emettere sangue dal naso e dalla bocca.
Cos che cera di tanto velenoso, l dentro? Pi velenoso
dei ricordi vergati a sangue?
Negli anni, col tempo, ho continuato a ripetermi:
Dov finito quel veleno? Quei vapori? Dove sono finiti i
fanghi di scarto chimico prodotti nel passato?

88
Postfazione
Cecilia Mangini

Per entrare nel vivo del discorso mi avvalgo della metafora di


San Giorgio che con la lancia (larma del cinema) uccide il drago
(il condizionamento esercitato dai poteri forti), liberando cos
la principessa (il pubblico che rappresenta i cittadini) dal drago
dei condizionamenti.
Come un microscopico San Giorgio in 64esimo, in ogni mio
documentario ho cercato con la lancia del cinema di uccidere il
drago-condizionamento dei poteri forti per liberare la principessa
il pubblico e tutto il popolo dei cittadini succubi dei poteri forti.
Nel corso di decenni le mie prerogative sono state molto forti
con i miei collaboratori, al contrario erano quasi inesistenti con
tutte le persone che ho intervistato, diciamo un rapporto a scappa
e fuggi, via via tutte sono apparse e poi scomparse nel tempo
breve del rapporto mio con loro. Tutte meno una.
Leccezione a conferma della regola la devo a Plastica, il libro
che avete tra le mani (che avete avuto tra le mani), per via di unin-
tervista centrata su di lei, Rosangela Chirico, lautrice. Durante
tutti i ciak, Rosangela aveva qualcosa che la proiettava al di l del
tempo che mi stava dedicando, cera qualcosa in pi da prendere
e capitalizzare, e per quanto ogni ripresa richieda uno sforzo che
mi svuota di ogni traccia di energia, questa volta ero inchiodata
al dover comprendere e sapere. Alla telecamera, e anche a me che
stavo dietro lobiettivo, aveva raccontato di suo padre, dellagonia
da carcinoma epatico durata un lunghissimo ventennio, malattia
contratta al petrolchimico di Brindisi, per contatto diretto con le

163
sostanze altamente tossiche della trasformazione del petrolio.
Perch restavo l, perch non me ne andavo dopo i grazie tante, i
sei stata brava, i ti far sapere?
Un lungo passo indietro mi riporta ai miei conti in sospeso con
la Puglia: Brindisi un evento che mi chiama direttamente in causa
per via di un terremoto giudiziario che nel 1996 travolge i vertici
dellEnichem a cui appartiene il pi grande petrolchimico dItalia,
68 sono gli avvisi di garanzia per una sfilza di morti e morituri di
tumore, un capovolgimento che stordisce, lo stabilimento era
stato sbandierato come il primo passo dellindustrializzazione del
Mezzogiorno, finalmente!, un sogno si avverava, era una realt per
il futuro. Nel 1965 quellevento ero corsa ad afferrarlo con due do-
cumentari, Brindisi 65 e Tommaso, testimonianza dei contrasti e
delle tensioni che investivano una classe operaia reclutata tra brac-
cianti e disoccupati. Linchiesta della magistratura dura un decen-
nio intero e si conclude con il non luogo a procedere: Brindisi e i
suoi morti cadono nella terra di nessuno del dimenticatoio che im-
putridisce ogni richiesta di giustizia.
Nel 1982 a Taranto insieme a Lino Del Fra che girava unin-
chiesta per Rai 3 mi sono inabissata in un incontro con gli operai
dellItalsider, gli ex metalbraccianti approdati alla cultura per un
loro impegno cognitivo straordinario e insospettato. Trentanni
dopo, nel 2012 la citt assurge a simbolo del disastro ambientale
quando il procuratore della repubblica Franco Sebastio sequestra
larea a caldo della pi importante acciaieria italiana che nel frat-
tempo stata svenduta a Riva, ha cambiato nome, diventata
lIlva. Riva minimizza, irride lo strepito per due o tre morti di tu-
more ma maramaldeggia invano, grazie a Sebastio il disastro am-
bientale diventa sinonimo di strage.
Il 2012 segna il mio ritorno in co-regia al cinema e alla Puglia
dopo quattro lunghissimi decenni. Per forza e per amore, Brindisi

164
e Taranto occupano la centralit del mio interesse, e giustamente:
petrolchimico e acciaieria continuano a nidificare la morte per
cancro e per asbestosi.
Mi sono chiesta e mi chiedo ancora perch con Rosangela non
ho tagliato corto, arrivederci e grazie tante, s, sei stata brava, ti
far sapere; il fatto che ci parliamo, ci ascoltiamo, lei mi dice di
aver scritto un libro sulla morte di suo padre, di fretta le chiedo
di spedirmelo via mail, velocemente mi risponde s.
Difficile spiegare perch lho letto, presa come sono dal mon-
taggio e dai suoi mille problemi. Pur di arrivare alla parola fine
ho fatto notte fonda. Rosangela non piange, non protesta, non
chiede giustizia solo per la morte di suo padre, lo fa per tutti i
morti da CVM, lagente cancerogeno che si respira, che fa pian-
gere e irrita la pelle; si mobilita per ricostruire con pazienza liter
dellavvelenamento; vola alla trasmissione di Santoro perch lIta-
lia sappia.
La novit pi preziosa del suo libro farci partecipare alla vita
quotidiana di una famiglia operaia, lentusiasmarsi per sua madre
che taglia cuce e veste il marito e i figli, il risparmiare per com-
prarsi casa, il rabbrividire infilando a perdifiato i vicoli strettissimi
di Ceglie con la Cinquecento, il restare affascinati da un operaio
che dedica il suo tempo libero alla cura di olivi millenari.
Tra focacce con i fichi e forni ricavati dentro i trulli, Rosangela
che cresce e diventa grande ci restituisce lestrosit e lesuberanza
dei dialoghi con il suo pap: lei li fa rivivere come un leitmotiv del
suo diventare adulta e come leco dellintensit di una speranza
destinata a essere sommersa dallonda nera del petrolio.
Al giorno doggi, per fare i conti con i perch si devono usare
parole e definizioni rottamate, tolte dalla circolazione per abolire
il concetto a cui si riferivano. Il primo esempio classe operaia.
La classe operaia scomparsa senza un gemito e nessuno ha

165
pianto, eccetto i rarissimi marxisti nostrani che non si erano au-
torottamati.
Il secondo esempio la classe egemone che in silenzio conia i
suoi concetti-guida: la condivisione, necessaria a occultare la fine
della democrazia; la solidariet, un termine imposto a largo raggio
dopo averlo evirato di significanza; per salvaguardare Jobs Act
possibile aspettarsi la galera per chi pronuncer le sette sillabe di
Ar-ti-co-lo-di-ciot-to.
Perci in Italia, paese dove la disoccupazione una piaga e il
lavoro da sempre precario e via via pi precarizzato, il disastro
ambientale avviene sotto il ricatto della chiusura delle fabbriche
e dei licenziamenti collettivi. Dunque sullaltare di un feticcio: il
profitto, da oggetto di studio delleconomia, acquista la dimen-
sione metafisica di traguardo necessario ed esclusivo dei mono-
poli finanziari ed industriali. Per le altre categorie, si contrae il
reddito, il salario e la vita.
Anche a costo delle stragi della classe operaia?
S.

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Ringraziamenti

Ringrazio dal profondo di me stessa Dio Ruach, il mio spi-


rito divino in Arte/Vitae per la Sua amorevolezza e il Suo splen-
dore che hanno illuminato i miei passi nel buio delle mie vicende
umane.
Ringrazio tutti gli operai amici cari di mio padre per il con-
tributo della loro testimonianza necessaria a questo libro. Ometto
i loro nomi, li ringrazier di persona uno per uno.
Ringrazio Felice Casson, pubblico ministero al processo del pe-
trolchimico di Porto Marghera, per averci insegnato che sempre e
in ogni caso la nostra fiducia nella giustizia non deve venir meno.
Ringrazio lavvocato Vincenzo Romano per aver posto un pro-
fondo senso umano nella sua professionalit, coscienza e coerenza
di pensiero allinterno degli avvicendamenti petrolchimici.
Ringrazio il dottor Maurizio Portaluri: per lamicizia insolita?
No. Per la condivisione delloperato quotidiano a difesa di chi non
ha difesa.
Ringrazio gli ambientalisti e gli attivisti di qualunque luogo
della mia nazione e del mondo, per la consapevolezza e il coraggio
con cui si dedicano alla salvaguardia della vita sulla terra. Un pen-
siero particolare va agli amici di Salute Pubblica, di No al carbone
di Brindisi, del Fondo Antidiossina Taranto e di Peacelink. A loro
sono unita nella lotta contro le ingiustizie del potere negativo.
Ringrazio la documentarista Cecilia Mangini, anche se non
vuole i miei ringraziamenti perch, lei dice, lamicizia quando esi-
ste un atto dovuto.
Ringrazio lo scrittore Mario Desiati che con delicatezza ha ac-

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colto il mio invito: le sue parole sono compagne dei miei pensieri
sensibili.
Ringrazio lo storico dellarte e mio consulente artistico Paolo
Marzano per aver compreso che la necessit espressiva della pa-
rola/colore una costante nel mio dinamismo intellettivo.
Ringrazio ogni singolo lettore che ha dedicato il proprio tempo
prezioso alle righe di questo libro. A lui chiedo scusa per avere
abusato di parole come ingiustizia e difesa.
Ringrazio mia madre Maria per il grande amore quotidiano
che mi dona.
Ringrazio i miei fratelli Giampiero e Tommy per la fiducia che
ripongono in me nella difesa della verit su nostro padre.
Ringrazio mio pap Donato, per essere stato sempre la mia
Guida, a lui che devo se non mi piego allingiustizia e alla vio-
lenza dei soprusi.

Ringrazio la casa editrice Kurumuny, Giovanni Chiriatti che


mi ha supportato con la sua saggezza e professionalit e tutti i col-
laboratori per la passione e laccuratezza del lavoro che hanno
svolto.

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