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Weil, Filosofia morale (appunti)

Dalla crisi della certezza alla poetica del senso. Un percorso introduttivo nella filosofia morale
di Eric Weil [Morale formale e morali concrete in Eric Weil]

- Al rapporto tra discorso e azione e alla realizzazione del discorso tramite l'azione Weil ha dedicato
due opere, la Filosofia morale e la Filosofia politica (le altre due parti che, insieme alla Logica
della filosofia, formano il suo sistema filosofico). Da questo semplice rilievo, comprendiamo subito
la centralit del tema e del problema dell'azione nella sua riflessione filosofica. L'uomo di Weil ,
essenzialmente, l'uomo agente, il soggetto della vita activa. Ma l'azione, come dimensione
fondamentale dell'uomo, si snoda lungo due direttrici, che sono relativamente indipendenti e si
richiamano vicendevolmente, proprio in quanto parti di un sistema. Ora, la morale l'azione
ragionevole e universale dell'individuo [] su se stesso, mirante all'accordo ragionevole con se
stesso, mentre la politica riguarda l'azione ragionevole e universale sul genere umano (FP, 14).
- C' dunque una differenza all'interno dell'azione, un modo diverso di articolarsi e svilupparsi della
vita activa, a seconda che si prenda come riferimento l'azione dell'individuo su se stesso (ci che
configura il campo della morale) oppure l'azione, dell'individuo o di un gruppo, indirizzata al
genere umano, all'uomo come totalit, all'umanit (il che ci apre la prospettiva della politica).
Non sfugge la caratterizzazione, assolutamente decisiva, dell'azione (sia essa morale o politica)
in termini di razionalit (o, per usare un termine pi weiliano, ragionevolezza) e universalit.
L'azione, di cui si occupa la filosofia declinandosi come filosofia politica e filosofia morale,
l'azione ragionevole e universale (potremmo dire, l'azione universale in quanto ragionevole, cio
fondata nel logos, nella ragione come linguaggio del senso). Con un neologismo felice, Weil chiama
universabilit quella volont dell'universale che esibisce, in chiave filosofica e storica al tempo
stesso, la natura dell'uomo come essere ragionevole (ancorch finito): dunque questa volont
di universalit, questa universabilit dell'uomo, seppure sempre finito e particolare, che costituisce,
agli occhi del pensiero morale, la natura dell'uomo (PM, p. 41).
- Appare evidente l'appartenenza di Weil all'orizzonte concettuale e categoriale del moderno: la
ragione come fondamento universale dell'agire, per la totalit del genere umano; occorre per
rilevare che l'azione ragionevole non esprime, in Weil, la razionalit strumentale e calcolante,
l'ottica pragmatica e rivolta all'efficacia che caratterizza la moderna scienza-tecnica. Piuttosto,
com' noto, la morale e la politica weiliane si nutrono da un lato dell'esperienza storica fondatrice
di Platone e Aristotele (in particolare del secondo), al cui centro c' la vita buona come felicit
ragionevole dell'uomo; dall'altro, assumono il punto di vista tipicamente moderno
dell'universa(bi)lit come rapporto e tensione tra forma e contenuto (Kant e Hegel, con esiti
diversi), dopo la crisi e il tramonto delle certezze morali delle comunit storiche. Guardando alla
Logica della filosofia come logica del senso (umano), analisi e comprensione delle figure di senso
della vita umana, la morale (come pensiero e come azione, ovvero azione pensata, nel suo
fondamento universale) corrisponde alla categoria della coscienza (categoria kantiana per
eccellenza, sebbene non in modo esclusivo). Comunque sia, secondo Weil la morale e la politica, in
quanto entrano nel discorso filosofico e vi si giustificano nella loro possibilit, devono essere
trattate con le forme e gli strumenti del linguaggio ragionevole (che , sempre, linguaggio del senso
e non dei dati o dei fatti).
- Se la morale azione ... dell'individuo su se stesso, ci non significa che l'individuo umano,
l'io come soggetto concreto, nella misura in cui si considera nella prospettiva della morale, sia
concentrato su di s, rivolto esclusivamente a se stesso, in una sorta di isolamento auto-riflessivo o
di cura di s che lo separa dal mondo e dagli altri. Nulla appare pi lontano dall'etica weiliana di
una soggettivit auto-riferita, ego-centrata, preoccupata di se stessa e della propria perfezione
morale, dimentica del mondo e dei suoi problemi. Il ripiegamento su di s, moralistico o
narcisistico, appartiene non alla fisiologia della morale, ma alla sua patologia, alla deviazione e
deformazione del suo senso originario. La morale , strutturalmente, apertura al senso del mondo: la
cura di s come forma della vita morale dunque un prendersi-cura-di-se-stessi (come esseri
morali) nella relazione costitutiva con gli altri uomini. L'individuo che si vuole morale e che agisce
moralmente l'io che assume il punto di vista dell'universale, parlando (e agendo) per tutti gli
individui, per cos dire in loro nome, o meglio ancora nell'interesse dell'umanit, di cui un
rappresentante proprio in quanto riesce ad elevarsi all'universalit (prescindendo, quindi, dalla sua
posizione particolare, dal suo essere parte). L'altro, gli altri, sono una componente fondamentale
della mia vita morale. Il fatto che, per Weil, l'individuo morale agisca su se stesso (diverso, in ci,
dal politico), vuol dire semplicemente che la morale riguarda il senso delle azioni che io posso o
non posso compiere (e nelle quali nessuno pu sostituirmi), in quanto mi colloco nella prospettiva
dell'universale, rinunciando cos alla mia particolarit, ai miei interessi di parte, in ultima analisi
all'arbitrio e alla violenza. La convinzione di fondo che guida tutto il pensiero morale (e politico) di
Weil che l'individuo, al di fuori della volont dell'universale, violenza, e occorre un'educazione
alla ragione per eliminare, contrastare o contenere la violenza in me. Questa continua, interminabile
auto-educazione della soggettivit in vista dell'universale ovvero della non-violenza altro non che
la morale in azione, l'azione morale dell'uomo che vive nel mondo secondo il senso. L'azione
dell'uomo che vuole agire su di s secondo la ragione-libert insieme azione nel mondo e sul
mondo (FP, p. 31).
- Al centro della riflessione morale di Weil si trova la differenza tra morale formale e morale
concreta. La morale concreta il tessuto unitario delle convinzioni, delle tradizioni dei costumi e
delle istituzioni che strutturano la vita di una determinata comunit, orientando l'azione dei suoi
membri. In questo senso, la morale costituisce la comunit come tale, in quanto fonda il legame
concreto tra gli individui che ne fanno parte, i quali sono individui di una comunit proprio in virt
di una tradizione vivente che li accomuna. Ma non bisogna pensare la morale come se fosse solo
un pensiero, un discorso, separato dalla rete dei rapporti sociali o solo proiettato su di essa; pi
profondamente, la morale (concreta) in-forma (cio struttura dall'interno) questi rapporti e vi si
manifesta in modo ben visibile, al punto che essa non solo costituisce la comunit dei soggetti, il
mondo (del bene e del male) che li accomuna, ma influenza essenzialmente anche la societ,
l'organizzazione del lavoro e della produzione in vista della soddisfazione dei bisogni (ci che
corrisponde, in Weil, alla lotta dell'uomo con la natura, al controllo e al dominio dell'ambiente
esterno). Di fatto, ogni gerarchia di valori produce differenze e stratificazioni sociali, e in questo
senso la morale appartiene al movimento stesso della vita umana associata, la forma di vita di una
comunit storica. Ad esempio, il sistema dei bisogni, per dirla con Hegel, verr organizzato in
maniera molto diversa a seconda che il valore centrale sia il coraggio militare (come nelle societ
aristocratiche, antiche o medievali) oppure l'efficacia nella trasformazione della natura (come nelle
societ moderne).
- Nella filosofia morale di Weil, la morale concreta una nozione che si declina essenzialmente al
plurale: le morali concrete dell'uomo. Ci perch, sul piano del contenuto, non esiste la morale, ma
molteplici e diverse forme di vita morale. un fatto evidente che gli uomini abbiano dato e sempre
diano risposte diverse al problema della morale, alla morale come problema: il giusto e il bene
di una comunit (ci che per essa sacro e irrinunciabile) diverso, spesso radicalmente diverso da
quello che orienta l'agire degli uomini di un'altra comunit, e questo rilievo vero sia in una
prospettiva diacronica (seguendo l'asse del mutamento storico) che sincronica (con l'occhio rivolto
al politeismo morale che contraddistingue una stessa epoca). Naturalmente, se la pluralit delle
morali sembra oggi un dato indiscutibile, almeno per la filosofia e le scienze umane, non sempre
stato cos, e tuttora cos solo per un parte dell'umanit: questa consapevolezza il prodotto di
una storia, un evento (contingente) che ha una lunga nascita e che all'origine della riflessione
sulla morale, della discussione tra le morali concrete. Noi siamo i figli di una storia che storia
perch questi contatti e questi conflitti irrisolti ci sono stati, e per noi si pone la questione del
valore (morale) di una morale, questione inconcepibile per chi vive nella certezza (PM, p. 22).
Quand' che una comunit comincia a riflettere sulla propria morale concreta, situandola per cos
dire al centro dello sguardo? La risposta di Weil in merito ci appare molto netta e molto chiara:
quando la morale della comunit non va (pi) da s, non pi accettata naturalmente e senza
riserve, quando il quadro delle certezze comunitarie mostra alcune crepe, lasciando penetrare al suo
interno dubbi e domande. In altre parole, il movimento della riflessione sulla morale avviato dalla
crisi della certezza. Esistono delle situazioni in cui la morale non diventa un problema n
problematica. Sarebbe un anacronismo parlare di riflessione morale a questo livello: l'incertezza
che produce la riflessione, mentre qui la morale va da s (vai de soi) (PM, p. 22, corsivo nostro).
- Una morale concreta entra in crisi, diventa problematica agli occhi dei suoi sostenitori. Ma
questa crisi della certezza non ha luogo come riflesso di un puro esercizio intellettuale, ma la
conseguenza di una relazione storica con l'altro da s, di un contatto reale e dinamico con un'altra
comunit. La storia piena di questi contatti tra gruppi umani diversi (per identit etnica,
geografica, religiosa, ecc.) le cui forme di vita si fondano su visioni radicalmente diverse di ci che
rende sensato l'agire, di ci che rende (veramente) umano l'uomo. Com' noto, si tratta spesso di
incontri conflittuali, di scontri e di guerre in cui una comunit cerca di assoggettare l'altra o di
distruggerla; ma l'esperienza dell'alterit e della pluralit delle forme di vita pu avvenire ed
avvenuta frequentemente anche attraverso le relazioni economico-commerciali tra i popoli, quando
l'interesse per lo scambio delle merci prevale (almeno provvisoriamente) sulla pura e semplice
volont di dominio o di violenza. Ora, Weil sottolinea come i casi pi significativi per comprendere
l'avvento della riflessione della morale siano, insieme all'ultimo citato, proprio quelli in cui tra una
comunit e l'altra c' un conflitto (o una serie di conflitti) che rimane, al fondo, indeciso, non
risolto in modo chiaro a favore dell'una o dell'altra. questa in-decisione (o irresolutezza) che
favorisce la presa di coscienza della differenza, della diversit e relativit dei costumi e dei valori
morali. Ogni uomo possiede una morale. Questa non gli appare come una morale tra le altre che
forse hanno lo stesso valore. solo tardi, dopo contatti prolungati con altre comunit e con le loro
morali, dopo conflitti irrisolti o sconfitte, che il plurale le morali acquista un senso. All'inizio la
certezza morale: si sa cosa bisogna fare e cosa si deve evitare, ci che desiderabile o non lo , ci
che buono o cattivo. Il conflitto delle morali, la scoperta di contraddizioni all'interno di una
morale (visibili soltanto dopo tali conflitti) conducono alla riflessione sulla morale. Pi esattamente,
la perdita della certezza, o il suo rifiuto, che conduce a questo [] (PM, p. 13).
- Il taglio della filosofia morale di Weil, pur non essendo storicistico, essenzialmente storico,
cos come lo era quello della Logica della filosofia. L'uomo, come essere morale, un essere storico
e l'approdo dell'uomo alla riflessione morale anch'esso un parto della storia. Weil dunque invita a
non sovrapporre il nostro punto di vista evoluto, moderno, sulla struttura originaria della morale
concreta, in ultima istanza a pensare storicamente: Noi siamo i figli di una storia che storia
perch questi contatti e questi conflitti irrisolti ci sono stati, e per noi si pone la questione del
valore (morale) di una morale, questione inconcepibile per chi vive nella certezza (PM, p. 22,
corsivo nostro).
- vero che l'uomo pu vivere nella certezza; ma perch l'uomo ha bisogno della certezza, si
mostra come essere incerto, l'essere incerto, e la sua certezza, per quanto ingenuamente si creda al
sicuro, tale che pu essere sempre perduta: ogni mito parla della fragilit dell'uomo, che designa e
nasconde cos quella dell'uomo (PM, p. 23). La certezza, come categoria del discorso, analizzata
dettagliatamente nella Logica della filosofia.
- L'uomo che vive nella certezza del suo mondo pu avere dei pensieri, ma di fatto non pensa. []
Possiede una morale, e cio, vive secondo certe regole; queste regole esistono, perci non deve n
stabilirle n giustificarle; non ha una teoria morale.
Solo dopo la distruzione di questo mondo [] in cui si accetta tutto perch tutto fornito di senso,
l'individuo comincia a pensare e a riflettere, a meno che non sia privato di ogni possibilit materiale
di pensare a causa di un lavoro che lo istupidisce, di un trattamento disumano, di un'estrema
indigenza ovvero dopo la disamina di questo mondo successiva al contatto con altri mondi ai quali
non si pu negare la qualifica di umani, per il fatto stesso della loro innegabile potenza. Solo allora
l'individuo comprende il mondo, quel mondo in cui vive ora in maniera precaria (o che ha ormai
perduto), come una possibilit tra altre possibilit in teoria innumerevoli e si trova obbligato a
scegliere una via, uno scopo, un senso, un orientamento. Nasce cos la filosofia, una filosofia ancora
inconsapevole nel senso che non comprende, n pu comprendere, la propria natura. Di fatto, per,
l'uomo vi pone i suoi problemi in maniera universale ed esige risposte universali (FP, pp. 23-24).
- Un bene e un male esistono per l'uomo ed egli si lascia guidare da queste nozioni molto tempo
prima che per lui sorga la minima necessit di porsi il problema se quel bene veramente bene e
quel male, veramente male (FP, p. 27).
- La riflessione morale [] presuppone contatti reali tra differenti morali concrete. Cos essa
comincia come riflessione sulle morali, che ha lo scopo di fondare, a partire dalle morali, una
morale (PM, p. 24).
- Il fondamento razionale della morale formale, come universalit, stato formulato, nel modo pi
incisivo, da Kant: stato necessario il travaglio di pi di venti secoli perch questo principio della
morale fosse enunciato nella sua purezza da Kant: l'individuo non pu considerare moralmente
buona un'azione se non procede esclusivamente da una regola universalizzabile, se la massima che
la ispira tale da non generare n contraddizione n assurdit nel caso in cui sia trasformata in
regola valida per tutti gli uomini, in tutte le circostanze in cui la stessa azione possa darsi. La
volont morale, volont razionale, non inclinazione naturale dell'individuo che vuol essere
universale. Essere morale significa determinarsi secondo la sola ragione, significa agire nel rispetto
per la sola legge della ragione (FP, p. 24).
- Il mondo irrompe, per cos dire, nella solitudine del soggetto morale, impedendogli di appagarsi
nell'oblio della realt quotidiana, la realt dell'azione e delle sue conseguenze. [] Ora, questa
azione su di s non pu effettuarsi che nel contesto della sua vita con gli altri: suo dovere primario
rispettare la ragione in ogni essere umano e rispettarla in s rispettandola negli altri (FP, p. 36).
- Nella vita e per la vita, la morale non vuole essere solo elogiata: vuole essere realizzata, vuole
che venga realizzata contro quanti la combattono e rifiutano di riconoscerla (PIM, p. 126).
- La morale cos la via ascendente per l'uomo che vuole elevarsi all'universalit vuole, perch
ha scelto la non-violenza e l'universalit (PM, p. 219). L'individuo si eleva al di sopra di s
aprendosi all'orizzonte dell'universale, negandosi come individuo, oltrepassando la sua
individualit; ma, ad uno sguardo pi attento, il superamento del piano individuale tramite il
movimento di universalizzazione non altro la realizzazione dell'io stesso come vita morale, non-
violenza, senso. Lungo il cammino ascendente della morale l'io, l'individuo vivente, il soggetto
della vita umana, non perde se stesso, non esce realmente da s, ma conquista la dimensione del
senso, la verit di s, il fondamento ragionevole della sua individualit. Essere-individuo nella
ricerca dell'universale e nell'agire dal punto di vista di ogni individuo (ragionevole): questo il
senso concreto dell'individuo in quanto vive moralmente. Cercando la morale, rifiutando come
arbitrari tutti progetti morali che mirano alla riduzione dell'essere morale all'essere naturale, egli
[l'individuo] si gi trasceso e il suo sdoppiamento , di fatto, quello dell'essere che, essendo
individuo, si vuole, in quanto individuo, pi che individuo. [] vuole trovare una risposta che sia
valida per l'individuo, per ogni individuo, e per se stesso nella misura in cui non semplicemente
questo individuo, ma l'individuo, essere umano sempre individualizzato dalla sua situazione
empirica, dal suo carattere, dalla morale in cui stato allevato, dalla comunit alla quale appartiene,
ma universale in e attraverso questa individualizzazione che [] quella di ogni individuo per
quanto sia grande la differenza tra le forme di questa individualizzazione tramite il particolare. La
filosofia morale sar la presa di coscienza dell'atto, gi compiuto, in cui l'individuo si trascende per
comprendersi (PM, p. 34).
- La filosofia morale nasce dalla riflessione sulle morali (PM, p. 30). La sequenza : morale
concreta (mondo della certezza o dell'incertezza nascosta), conflitto tra le morali (concrete),
riflessione sulle morali (presa di coscienza della diversit morale e tentativo di superarla), filosofia
morale (ricerca di una teoria morale, diversa dalla morale della tradizione e in grado di
soddisfare l'esigenza morale in tutti gli uomini, una morale universale). Ci che l'individuo
cerca una morale universalmente valida, cio fondata attraverso il discorso e nel discorso, una
teoria. [] La morale non nascer [veramente] che quando sar stata risolta la questione della
natura della morale (PM, p. 35).
- Tradizionalmente, questa volont di universalit cosciente di s e che si interpreta come la
natura stessa dell'uomo, designata da due termini differenti: ragione e libert. L'uomo, in quanto
mira all'universalit , ragionevole; in quanto capace di universalit, libert: essendo capace di
ragione, ma non essendo ragione, anche capace di optare contro l'universalit e la ragione (PM.
p. 43). Ragione e libert sono i due poli entro i quali si sviluppa il senso della vita e dell'azione
dell'uomo. Tra loro, nella Filosofia morale, si disegna una dialettica, un intreccio molto
complesso e, in alcuni casi, aporetico, come del resto sempre accade, in filosofia, quando il discorso
verte sui grandi generi (per dirlo nel linguaggio di Platone), sulle sorgenti fondamentali del
rapporto dell'uomo con la realt.
- Avendo optato per una vita nel mondo, avendo rifiutato l'accesso immediato a un universale
vuoto (e del vuoto), la sua vita morale vita d'azione, azione su di s, azione sugli altri che sono
come lui, azione finita sul finito (PM, p. 52).
- La vita morale come fondazione della verit dell'esistenza: Ma l'idea dell'universalit e del diritto
dell'uomo entrata nel nostro mondo e il problema morale vi esiste [y existe], esiste per tutti quelli
che, liberamente, vogliono fondare in verit il senso della loro esistenza (PM, p. 157).
- La riflessione morale ha la sua origine nella coscienza della pluralit delle morali; essa nasce
dalla scoperta che la morale che si seguita non va da s (ne va pas sans dire), non naturale, non
evidente (PM, p. 82).
- L'uomo che si vuole morale non ha un dovere fondamentale, e dunque non ha esigenze
irriducibili, se non nei confronti di se stesso e, nelle relazioni con i suoi simili, conosce soltanto
obblighi. Non e non vuole essere un uomo come gli altri, non perch si pone al di sopra degli
altri, ma perch si sa tenuto verso gli altri ad obblighi che non imporr a loro con la stessa severit.
Egli cerca una morale per se stesso, ed solo dopo aver trovato l'accordo con s che porr la
questione dei suoi diritti riguardo agli altri. [] Prima di tutto, e dopotutto, la morale e resta
ricerca della propria felicit (ragionevole e, come tale, morale). Esigenze verso gli altri esistono e
possono essere moralmente legittime; esse non sono n il fondamento, n il problema primo della
morale, derivano dalla morale a titolo di condizioni necessarie della moralizzazione del positivo: io
posso esigere il rispetto della mia dignit di uomo, non perch sono io ad esigerla, ma perch non
posso esigerlo da me senza esigerlo per ogni essere umano, dunque anche per me (PM, pp. 130-
131). D'altra parte, il dovere verso se stessi si manifesta (potremmo dire: fenomenologicamente),
si realizza e quindi diventa concreto esclusivamente nel dovere verso gli altri, come dovere di
giustizia. In verit, l'uomo morale non ha dovere che verso se se stesso; ma questo dovere appare
soltanto sul fondo del dovere verso altri e diventa reale tramite questo riferimento agli altri. []
L'individuo non pu educarsi, non pu moralizzarsi senza disporsi, come si dice comunemente, nel
punto di vista dell'altro: il primo progresso verso l'universalit quello verso il riconoscimento
dell'uguale diritto di ogni desiderio alla soddisfazione (PM, p. 108). E ancora: Il dovere dell'uomo
morale verso se stesso; e poich dovere verso se stesso come essere del discorso ed essere nel
tempo, essere finito che, pensando l'infinito, si vuole infinito senza esserlo, questo dovere non si
determina e quindi non esiste per l'uomo che sotto la forma del dovere verso altri: egli in contatto
con se stesso solo in quanto in contatto morale con altri esseri umani, non potendo sviluppare il
concetto, e persino il sentimento, di un tale dovere che nella misura in cui ha a che fare con altri
(PM, p. 109). Il concetto e il sentimento del dovere, come fondamento della morale, non potrebbero
prendere forma e realt per il soggetto umano se mancasse l'orizzonte della relazione con l'altro
uomo, con altri uomini.
- La morale weiliana del dovere ha un'originaria e ineliminabile curvatura intersoggettiva, che gli
permette di correggere alcuni limiti della fondazione kantiana dell'etica. Di fatto, Kant non si
reso conto che il dovere verso se stessi, fondamento della morale pura come universalit, non
articolabile, comprensibile e realizzabile senza la mediazione del dovere-verso-altri, che in questo
modo assume chiaramente il ruolo di una implicazione necessaria, contenuta nel senso stesso del
dovere-verso-se stessi come forma primaria del dovere. Se, infatti, la mia vita nel mondo , fin dal
principio, un essere-con-gli-altri, e se questa struttura inter-soggettiva della mia esperienza non un
legame meramente fortuito o fattuale, ma l'orizzonte di senso del mio agire, il legame da cui
prende forma per me, esistenzialmente e concettualmente, la polarit fondamentale tra violenza e
ragione, ne deriva che solo compiendo i miei doveri verso gli altri uomini posso realizzare (nel
senso di dargli realt, effettivit, sostanza morale) il dovere verso me stesso. Questa connessione
organica del dovere morale con il piano dell'alterit e della pluralit dei soggetti umani (proprio
all'interno di una concezione che scorge nel s il centro di gravit del dovere), evidenzia una presa
di distanza critica rispetto al Kant pi ego-nomico, nella fenomenologia della razionalit morale.
[...] l'interpretazione insufficiente del concetto di dovere verso se stessi che, dal punto di vista della
morale pura, fonda la totalit dei doveri: Kant, cos come i suoi seguaci, non lo ha rilevato, proprio
perch non ha visto che questo dovere diventa comprensibile, diventa reale e realmente realizzabile,
solo con la mediazione del dovere verso altri il mio dovere verso me stesso, in vista della mia
felicit, di compiere il mio dovere nei confronti di tutti gli uomini: poich a contatto con loro
che la questione del dovere verso me stesso pu porsi per me, in quanto in questo contatto che si
effettua la separazione prima tra l'arbitrario e l'universale. Devo cercare la mia felicit ragionevole,
cercarla come colui che si vuole ragionevole: ora, io posso considerare il compito di rendermi
ragionevole solo perch, sempre e preliminarmente, sono legato agli altri, in conflitto e in
collaborazione con loro, e non scopro ci che mi impedisce di essere ragionevole e felice se non
scoprendo subito in loro e solo successivamente in me ci che violenza e arbitrio (PM, p. 115).
- L'individuo, nella sua concretezza storico-sociale, il soggetto della morale: Ogni individuo
chiamato alla libert, alla ragione, alla morale, ma facendo uso della libert, della ragione, della
morale che sono in lui (FP, pp. 31-32). L'esigenza di un mondo umano non pu sorgere se non da
una coscienza che abbia cominciato col non accettarsi quale si trova nel suo mondo dato (FP, p.
34).
- Ci che inammissibile, moralmente e logicamente, che si consideri come fine conseguito il
fine pensato e ci si dispensi cos dallo sforzo di moralizzazione di s, degli uomini e delle
istituzioni, al solo profitto delle passioni, dellastuzia e della violenza, che si ignori lunico
fondamento possibile di tutto ci che oltrepassa la morale formale e la sua legge, universale nella
sua negativit, che si pretenda di pensare la morale eliminando il suo concetto (PM, p. 68). Il telos
della morale il compito infinito della moralizzazione, dellazione morale su se stessi, sugli altri
uomini e sulle istituzioni. Su questo terreno, non c risultato che possa considerarsi definitivo,
non migliorabile (moralmente), non suscettibile di modifica e di approfondimento.
- La vita dellindividuo morale si orienta secondo la morale esistente della sua comunit, che essa
sottomette, tuttavia, al criterio delluniversalit (PM, p. 71).
- La morale filosofica (la filosofia della morale) esige e permette lo sviluppo di una teoria delle
morali concrete come teoria delle strutture fondamentali di ogni morale concreta. Essa esige e
permette cos una teoria delle categorie morali (PM, p. 77).
- La filosofia della morale costituisce, confondendosi con essa, la morale filosofica come morale
universalmente valida (pura) e, quindi, formale e negativa. La sua unica legge quella del rispetto
della libert responsabile (dell'universalit) in ogni essere umano. Essa garantisce all'essere
ragionevole che segue la legge la possibilit di essere felice nel rispetto giustificato della ragione
in se stesso (PM, p. 55).
- Il discorso mostra cos la doppia mediazione che, dalla perdita della certezza morale, conduce
dapprima alla riflessione morale e, successivamente, all'esigenza di una morale vissuta, di una virt
che sia perfezione dell'uomo tutto intero, soddisfazione dell'essere sensibile nella felicit dell'essere
ragionevole, felicit del secondo nella soddisfazione, giustificata, del primo (PM, p. 162).
- Ci che chiamiamo il cuore, la sensibilit, la poetica costituiscono pi che dei semplici ruoli e
fattori: senza questa sensibilit, non c' vita morale. essa che produce ogni morale concreta
nuova, non pensandola, ma pensando l'antica e scoprendo, creando poeticamente, una forma di vita
altra e superiore, non dimostrando che il suo progetto preferibile per una qualche ragione, ma
proponendo concretamente un'altra vita nella propria esistenza e attraverso di essa [par et dans sa
propre existence], convincendo con la forza dell'esempio [en convaincant par ce qui devient
exemple] (PM, p. 166).
- vero che il riconoscimento di questo obbligo all'inventivit richiede coraggio: pi comodo
attenersi all'affermazione della sola tesi della morale pura, lo anche seguire la tradizione, gli usi, il
costume (PM, p. 168).
- La vita morale ha il suo luogo nei limiti e sotto il controllo della legge morale e nel contesto di
una morale storica; il sentimento in-formato [inform] che inventa questa vita deve passare al
concetto e deve pensarsi, esprimersi in un discorso coerente e universale che mira a una vita, non a
una riflessione, morale. Ma come il sentimento l'inizio del pensiero morale, ne anche la fine e lo
scopo concreto (PM, p. 168).
- La prudenza, dovere che riassume tutti gli altri, rinvia l'uomo che si vuole morale al mondo, a
questo mondo: non si prudenti, cos come non si giusti, nella solitudine assoluta. Nessuna virt,
nemmeno quella del dominio di s o quella del coraggio morale, vi nasceranno, poich il dovere
verso s diventa concreto solo con la mediazione del dovere verso altri e la virt non che
l'attitudine di chi fa il suo dovere (PM, 133). Tra i doveri che sono compresi nel dovere generale
di prudenza, come sue articolazioni specifiche, c' quello che salda l'esigenza di moralizzazione
della vita al tessuto morale di una determinata comunit. Il soggetto che vuole vivere moralmente
deve tener conto della morale storico-concreta della comunit cui appartiene, anche se questa
morale appare inevitabilmente insufficiente secondo il criterio (formale) dell'universalit e nella
prospettiva di un'universalit maggiore. Dovere di prudenza: il fatto che l'uomo morale ha un
interesse nel mondo, poich ha deciso di vivere e di agire nel mondo. Tuttavia, l'essere morale non
potrebbe riconoscere il valore e la validit di un interesse semplicemente dato per la sola ragione
che esso il suo. Per lui, essere morale, il suo interesse dev'essere interesse di ogni uomo in quanto
ragionevole. Ora, un solo interesse corrisponde a questa esigenza, quello della stessa morale pura
alla moralizzazione della morale esistente, all'apparizione di una morale storica superiore:
interesse della morale (pura) che tutti vivano secondo la morale (concreta) migliore possibile
possibile, cio tale che anche quelli che non pongono il problema morale nella sua forma riflessiva,
che, di conseguenza, la massa dell'umanit e, innanzitutto, della comunit riconoscano in ci che
viene loro proposto una forma di vita soddisfacente (PM, p. 133).
- Non morale ci che rende impossibile la vita di tutti e di ciascuno. questo il caso di ogni
moralismo: proprio perch non conosce che la legge morale e non ammette ci che, distinguendo la
vita morale e la riflessione, costituisce la mediazione tra i due, cio l'esistenza di una morale storica
e concreta, il moralismo svaluta l'azione a vantaggio della sola intenzione, che, per di pi, perde ai
suoi occhi ogni valore appena cessa di essere intenzione. L'uomo virtuoso, anzich svalutare questa
morale, la realizza; ma ed questo che il sentimento sa, senza arrivare a pensarlo realizzandola
[], egli la supera ed esprime l'esigenza di una morale pi alta, pi universale (PM, pp. 163-164).
- La prudenza questa saggezza pratica che determina l'esecuzione e conduce al successo delle
iniziative [entreprises] dell'individuo morale. Essa costituisce un dovere (PM, p. 126).
- La prudenza come attitudine morale, come virt, si rivela cos come la volont di essere pronti
per la decisione morale in qualsiasi situazione concreta. Il dovere che essa definisce quello di
conoscersi e di conoscere il mondo: come si che si agisce nel mondo com'. L'incoscienza una
mancanza morale, cos come l'ignoranza, e probabilmente non c' nessuno che non si sia detto: avrei
dovuto conoscermi meglio, avrei dovuto pensare a questo fatto, a questa circostanza, a questo
fattore (PM, p. 127).
- Non si tratta [] di optare per una morale delle conseguenze in opposizione a una morale
dell'ispirazione pura. Si tratta, al contrario, di mostrare che un tale dilemma non esiste per chi vuole
essere morale nel mondo: basta considerare le implicazioni e le esigenze di una morale della
sola purezza per vedere che, di fatto e di diritto, non esiste che un'unica scelta, che gi compiuta,
quella tra una morale dell'azione e una morale del silenzio e del ritiro totale. Ogni morale
dell'azione, cio della comunit, esige sia la purezza (la possibilit dell'universalizzazione) delle
massime che la prudenza dell'azione e della massima. La massima deve essere sia pura che
prudente. La contraddizione della morale kantiana e di ogni morale della purezza proviene
dall'oblio del gatto che la morale pura esige l'esistenza di una morale storica: in questa situazione
morale predente che occorre cercare la moralizzazione e agire in vista di un bene pi grande, in
vista dunque della situazione morale che risulter dalla mia azione (PM, pp. 123-124).

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