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Lo statuto della rappresentazione

Lucia Corrain e Paolo Fabbri

Voulant atteindre et saisir le sens de la peinture,


sans jeter sur elle les filets du langage, mais dans
son mergence originarie, dans une virginale
primitivit davant tout regard, toute pense, tout
langage, cest renoncer voir, cest renoncer au
sens mme, cest tomber dans le malheur de
linsens.
Louis Marin, De lentretien, 1997, p. 78.

0. Scegliere Marin

Viene qui proposta una riedizione riveduta e ampliata della raccolta di saggi di Louis Marin pubblica-
ta per la prima volta in Italia nel 2001: matre penser della cultura francese e americana, teorico e
ricercatore che ha segnato profondamente gli studi sulla rappresentazione visiva, in costante e appas-
sionato contatto con lItalia, Marin indubbiamente una personalit deccezione.1

1 Nato a Grenoble nel 1932, consegue la laurea in filosofia nel 1952; durante gli anni della successiva formazione
a Parigi in contatto Pierre Bourdieu, Michel Deguy, Jacques Derrida: amicizie che segnano la strada verso una
filosofia non ortodossa. La sua carriera universitaria, per, inizia pi tardi, avendo privilegiato dapprima altri
percorsi di scoperta. Durante il suo mandato come consigliere culturale in Turchia dal 1961 al 1964 conosce
Algirdas-Julien Greimas (docente di lingua e grammatica francese allUniversit di Ankara), con il quale inizia
una lunga e stimolante amicizia intellettuale. In un successivo soggiorno a Londra entra in contatto con Anthony
Blunt e con gli storici e teorici dellarte del Warburg Institute, gettando cos il seme di un altro interesse destinato
a diventare asse portante della sua ricerca: quello della storia dellarte. Nel 1967, a Parigi, entra a far parte del
Groupe de recherches smio-linguistiques, fondato e diretto da Greimas, allinterno del quale prendono corpo le
principali ricerche di semiotica strutturale degli anni settanta del Novecento, destinate a dominare nellambito
delle scienze umane di quel periodo. Marin parte attiva di questo gruppo: la linguistica, che approfondisce
proprio grazie a Greimas, costituisce una delle matrici del suo lavoro, fino a diventare, con la linguistica
dellenunciazione, uno dei suoi principali modelli di riferimento. La sua carriera universitaria inizia nel 1969,
quando succede a Roland Barthes allcole Pratique des Hautes tudes di Parigi e dallanno seguente, iniziano i
suoi continui andirivieni tra Parigi e gli Stati Uniti: insegna prima a San Diego, poi a Baltimora e alla Johns Ho-
pkins, a Montreal; sedi accademiche prestigiose dove incontra e costruisce relazioni durature fra laltro con Mi-
chel de Certeau, Jean-Franois Lyotard, Jean Baudrillard, Michel Serres, Jean-Luc Nancy, Michael Fried. Final-
mente, nellanno accademico 1975-1976 viene nominato allcole des Hautes tudes en Sciences Sociales. Nel
tempo rinvigorisce anche il rapporto con lItalia: gi dal 1968 accompagna Greimas a Urbino. In questa citt
universitaria, grazie alliniziativa di Carlo Bo, Giuseppe Paioni e Paolo Fabbri, nasce il Centro Internazionale di
In un arco di tempo pressoch ventennale, dagli anni settanta fino alla fine degli anni ottanta, a chiun-
que partecipasse alla ricerca semiotica italiana capitava frequentemente dascoltare una conferenza o
una lezione universitaria di Louis Marin, allora directeur dtudes allcole des Hautes tudes en
Sciences Sociales. Figura dal fiero naso diritto, il volto circoscritto da una corta barba bianca, coinvol-
geva il pubblico con il timbro affabile della sua voce, con la sua oratoria appassionata, in grado di su-
scitare meraviglia, addirittura stupore davanti a dettagli poco evidenti di un testo o di un dipinto; abi-
lissimo nel rendere ogni minima sfumatura, nel dare la parola alla muta superficie di un dipinto, di un
ciclo daffreschi.2 Senza cadere in errore, potrebbe a ragione essere inserito nella nobile tradizione
francese del XVII secolo: quella che ha creato un genere specifico, difficile e che richiede molteplici
talenti, quale quello della descrizione dei dipinti.3
I suoi studi si distinguono per loriginalit e il rigore dei temi trattati. I contenuti delle sue comunica-
zioni prima e dei suoi scritti poi, sono stati e continuano a esserlo di stimolo per i tanti studiosi di
semiotica delle arti che hanno avuto il piacere di conoscerlo e pongono al centro dei propri interessi la
rappresentazione visiva.
Anche solo scorrendo i titoli dellimponente mole di scritti lasciati da Marin pi di trecento articoli e
una ventina di libri, qui riuniti in una bibliografia aggiornata ,4 ci si rende conto della vastit dei suoi
interessi. Dalle problematiche teoriche come quelle sullenunciazione e sul segno allautobiografia;
dalla regalit e la politica barocca al sublime e alla mistica; dalla pittura classica in particolare
Poussin e Philippe de Champaigne5 a quella contemporanea Klee, Pollock, Stella, Jasper Johns,
Cremonini ; dagli aspetti legati alla attivit culinaria e alla corporalit, fino alle favole di Esopo e Per-
rault, senza trascurare il teatro, il cinema, la fotografia. Il tutto sorretto da una metodologia spesso im-
plicita nel suo saper fare descrittivo, in grado di mettere in relazione, attraverso lindividuazione di
costanti espressive e isomorfismi di contenuto, aspetti molto diversi della semiosfera.6
Data la vastit degli interessi di Marin, per confezionare unantologia dei suoi scritti, molte erano le
alternative e le scelte possibili. Quella qui presentata privilegia il rapporto tra semiotica e filosofia: una
delle sue prime e prioritarie preoccupazioni, rintracciabile, con differente gradualit, in pressoch tutta
la sua produzione. Lo sguardo di Marin, infatti, si caratterizza per la presenza di due fuochi, per una
visione di tipo ellittico. Non nel senso di omissione di qualcosa che il contesto richiederebbe, co-

Semiotica e Linguistica, che durante lestate offre convegni e seminari di importanti studiosi che hanno cos
loccasione di proporre ricerche semiotiche di stringente attualit; Urbino, in quel periodo, diventa un ecceziona-
le luogo di scambio e di amicizia, che registra numerose presenze di Marin. Si pu anche dire che lItalia, come
attestano i numerosi lavori dedicati ad artisti italiani, consolider la sua passione per larte.
2 Nel 1992, in occasione della dipartita di Marin, nellEntretien, uscito su Liber, Jacques Derrida in dialogo con
Pierre Bourdieu, scrive: je nai connu personne dont lintelligence ft delle-mme aussi lumineuse et gnreuse
la fois, immdiatement claire, brillante, gaia, toujours prte communiquer lenthousiasme de la dcouverte et
donner limpression du premier matin : lveil, la vigilance merveille, aussitt donne en partage, ora in
http://www.louismarin.fr/spip.php?article10
3 Il riferimento ai grandi critici del XVII secolo francese, in particolare a Flibien (1619-1695), del quale Entre-
tiens sur les vies et les ouvrages des plus excellents peintres anciens et modernes (Parigi 1666) lopera pi im-
portante e pi nota; e Roger de Piles (1635-1709) Conversations sur la connaissance de la peinture (1677); Abr-
g de la vie des peintres (1699); Ide du peintre parfait (1699).
4 Dal 2009, un gruppo di allievi (Alain Cantillon, Giovanni Careri, Pierre Antoine Fabre, Franoise Marin, Clo
Pace) ha fondato lAssociation Louis Marin, la cui finalit quella di mantenere viva la circolazione e la diffusio-
ne dellopera dello studioso francese e di incoraggiare nuove ricerche a partire dai suoi studi. Il sito
dellAssociazione (http://www.louismarin.fr/), oltre alla bibliografia completa degli scritti di Marin, pubblica una
serie di contributi di difficile reperimento.
5 A questi due artisti Marin ha dedicato due libri usciti postumi, nel 1995, Philippe de Champaigne ou la prsen-
ce cache e Sublime Poussin; ma incentrati sulla pittura sono Dtruire la peinture del 1977 e Opacit de la pein-
ture: essais sur la reprsentation au Quattrocento del 1989, pubblicato in lingua italiana nel 2012.
6 il caso, ad esempio, del volume Utopiques : jeux despace (1973), nel quale, partendo dal rigoroso studio
dellUtopia di Tommaso Moro, Marin estende lanalisi ad altre rappresentazioni dellutopia: da una pianta di
citt del XVII secolo a un frammento di Jorge Luis Borges, dalla citt cosmica di Xnakis fino alla degenerazio-
ne utopica di Disneyland.

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me potrebbe far pensare lellissi. Al contrario, il suo sguardo ellittico perch non mai caratterizzato
da fissit e monocularit; esso sempre il risultato di un continuo e costante accomodamento fra due
fuochi: un rapporto dialogico tra filosofia dellarte e teoria e pratica semiotica. La singolarit di ogni
testo pittorico e le problematiche di senso che ne emergono sono minuziosamente analizzate, ma an-
che inquadrate in unintertestualit pi ampia e sorretta da principi e ragioni pi generali.
Gi da questa raccolta emerge il ritratto di un intellettuale di grande ricchezza di sapere, per il quale la
ricerca diventa una forma di vita. A cui si deve aggiungere loriginalit e leleganza di uno sguardo che
imprime la sua inedita marca nellappropriarsi degli oggetti e dei testi (Qur 1994). Componenti,
queste, che caratterizzano il suo fare, dove il continuo ritorno su temi gi trattati, il riprenderli per am-
pliarli, metterli in tensione e in rima fra loro, introdurli in un diverso e imprevisto contesto problemati-
co, non mai pura ridondanza, ma sempre un modo per approfondire esaustivamente gli oggetti di
analisi. La ripresa reiterata dellAutoritratto del Louvre di Nicholas Poussin per fare un esempio
scopre le potenzialit del testo, a partire dalla componente meta-pittorica della cornice, per passare poi
al ruolo del pittore che dipinge se stesso, alla relazione con altri autoritratti e con lautobiografia, e tan-
to altro ancora. In questo senso va dunque interpretata la scrittura di Marin: lenta, certo, ma in grado
di portare, attraverso sincopi e sospensioni, a unintimit con il suo pensiero e con loggetto teorico in
esame. Una scrittura, in buona sostanza, che ha il potere di catturare e coinvolgere il lettore.

1. Il formante semiotico

Nella ricerca di Marin, filosofia e semiotica procedono in parallelo; ripercorrendo i suoi scritti dagli
Etudes smiologiques del 1971 fino al postumo Smiotique du corps del 2002 si constata che so-
prattutto il paradigma semiotico ad avere un ruolo fondamentale nella formazione e nello svolgimento
del suo pensiero. Anche solo dagli articoli qui riuniti, possibile ricostruire un background teorico
formato dai fondatori della disciplina: Peirce, Hjelmslev, Barthes, Jakobson, Greimas, Benveniste.
In Marin, di pertinenza semiotica lintero dispositivo teorico e la panoplia della strumentazione im-
piegata nelle sue accurate descrizioni discorsive. Sul piano del metodo, ad esempio, emerge lesigenza
di reperire le equivalenze strutturali, come qui testimonia la recensione del libro Arte del descrivere di
Svetlana Alpers (1984), dove, pur nellapprezzamento del lavoro, Marin non trascura di segnalare la
mancanza di una precisa definizione semiotica della coppia descrizione vs narrazione; problema, que-
sto a cui Marin dedica molte delle sue riflessioni.7 E ancora, ricorre ai dispositivi di modalizzazione,
del quadrato semiotico, della narrativit e dellenunciazione con le operazioni di debrayage e embra-
yage; esplora i fenomeni metatestuali e di riflessivit del segno; definisce il ruolo dellicona tra lindice
e il simbolo, dando vita a quella che si pu considerare una semantica non referenziale della rappre-
sentazione visiva.
Per Marin, infatti, la pittura continua a essere rappresentazione, ma acquisisce i poteri di un segno in
quanto comprensiva della propria pragmatica, cio dellimplicazione indessicale delle proprie condi-
zioni di comunicazione. Limmagine dunque anche presentazione e non solo rappresentazione.
significativo che nella parola semantica converga la definizione enunciativa di mile Benveniste e
quella eraclitea di Jean Bollack e Heinz Wisman: Solo la parola semantica fa emergere in quello che
non dice e in ci che non nasconde, in un luogo irriducibile alla doppia negazione, le significazioni
virtuali (1995, p. 15).8
Un altro ambito della produzione di Marin riguarda la semiotica e la storia della filosofia del segno. In
un articolo dellEncyclopedia of Semiotics riprende linsieme delle sue ricerche sulla critica della rap-
presentazione nella Logica di Port Royal, interessandosi al segno linguistico e visivo come il ritratto e
lautoritratto su cui si fonderanno i suoi successivi studi, fino allultimo libro sul grande pittore gian-

7 Largomento ampiamente trattato nel volume Le rcit est un pige (1978). Cfr. a questo proposito anche le
considerazioni di Pezzini 1992.
8 A conferma del continuo ritorno su oggetti e argomenti, valga come esempio il libro postumo dedicato a Phi-
lippe de Champaigne del 1995 che il risultato di una ricerca gi intrapresa in tudes smiologiques nel lontano
1971.

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senista Philippe de Champaigne. Anche lo studio della teoria segnica nei Pensieri di Pascal,9 la
questione del ritratto e la critica della rappresentazione e la retorica, la forza del discorso una co-
stante nellinterazione e traduzione tra i testi visivi e gli scritti della cultura classica francese. Lyotard
(1975) a fissare per primo con acutezza il ruolo sacramentale del segno nella formazione dellattivit
successiva di Marin, definendolo smioticien de gran talent, per il quale le signe est lhostie et
linverse. Unipotesi che ha un valore euristico nello studio dellimmagine e nella descrizione dei suoi
effetti. La simbolica politica della monarchia assoluta in Occidente, ad esempio, avrebbe trasposto il
segno eucaristico nel discorso visivo del potere. Le medaglie regali sarebbero quindi una sorta dostia
blasfema, segni dal significato stornato, destinati a svolgimenti narrativi, storici ed encomiastici
(Ricoeur 2000).

2. Lenunciazione e le sue istanze

Il movimento decisivo che ha fatto di Marin il maggior semiologo dellarte lestrapolazione e la ri-
figurazione del concetto e del meccanismo di enunciazione. A partire dallanalisi di Benveniste (1971a)
sui tempi verbali, e tenendo sempre in debita considerazione le ricerche linguistiche e stilistiche che ne
conseguono,10 Marin non estende al visivo le nozioni proprie della lingua, bens ripensa il paradigma
dellenunciazione nellambito di una semantica della rappresentazione intesa come meccanismo di
senso soggiacente alle differenti realizzazioni espressive. Alla radice del termine /Enunciazione/ c
nun-, un visibile gesto dassenso che si ritrova, ad esempio, in verbi come /an-nuire/.
Marin, dunque, integra la visione semiotica degli anni settanta, troppo legata alla teoria oggettale
dellinformazione, con una componente essenziale come quella delliscrizione della soggettivit e
dellintersoggettivit nel testo stesso della rappresentazione. Inoltre, estende la svolta soggettale di
Benveniste e ne verifica con analisi puntuali (sia negli autoritratti sia nelle autobiografie, in particolare
quella di Stendhal) la pertinenza e la relativa traducibilit in testi appartenenti ad altri sistemi semiotici.
Nella continua e sistematica messa a punto di questi aspetti incontra e sviluppa le ricerche di alcuni
studiosi come Schapiro (1973) e Uspenskij (1973) che hanno visto la relazione tra frontalit e profi-
lo come strategia deittica, presentativa della rappresentazione, aprendo contemporaneamente la ricer-
ca della semiotica a venire.11
La deissi, nel lavoro di Marin, si fa apodeissi. Un esempio comparativo con lattualit degli studi
warburghiani pu mostrare lefficacia euristica del metodo semantico di Marin. Nel noto saggio de-
dicato a Il Dejeuner sur lherbe di Manet sottotitolato la funzione prefigurante delle divinit pa-
gane elementari per levoluzione del sentimento moderno della natura12 Aby Warburg mostra
attraverso lillogica abbondanza della creazione artistica italiana (sic!) , contro ogni pretesa di rottu-
ra modernista, le connessioni formali e sostanziali che si manifestano nellopera del pittore francese
con la tradizione. Warburg apre il suo lavoro affermando che lo stesso Manet [] si era richiamato
allesempio di Giorgione13 per sostenere che la rappresentazione allaperto di uomini vestiti e di donne
ignude non era un motivo rivoluzionario. E aggiunge che lo stesso Manet lo avrebbe impiegato non
tanto per liberarsi dalle catene del virtuosismo accademico [e andare] verso la luce, quanto in quali-

9 Nella complessiva produzione di Marin, i Pensieri di Pascal e la Logique de Port Royal vanno ricordati come
studi che rivestono un ruolo decisivo e che, insieme allopera di Philippe de Champaigne, sono alla base della
sua originale riflessione sulla rappresentazione, nonch sulla teoria del segno nel XVII secolo.
10 Oltre a tutto il lavoro di Greimas, limportante ricerca della Banfield (1982) sul discorso indiretto libero.
11 A questo proposito va ricordato soprattutto limportante studio di Franoise Frontisi-Ducroux (1995) sul pro-
blema delle apostrofi nella produzione vascolare greca, che vede negli studi di Marin un significativo punto di
riferimento.
12 Nel 1929, Warburg detta gli appunti su Manet alla sua collaboratrice Gertrud Bing, basandosi sullarticolo di
Gustav Pauli pubblicato nel 1908: questo, infatti, il primo contributo che inquadra le sopravvivenze antiche
nellarte del pittore francese, che Warburg porta a pieno compimento; cfr. anche Gombrich 1970 e Didi-
Huberman 2002, per citare solo due della miriade di studi italiani e stranieri dedicati allo studioso tedesco.
13 Quando Warburg detta i suoi appunti, il Concerto campestre (1509 circa, Paris, Muse du Louvre) era attri-
buito a Giorgione; ora invece la maggior parte dei critici lo assegna a Tiziano.

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t fidato amministratore delleredit della tradizione (1929, p. 40). Ma la genealogia da cui discende
questa tradizione nota, tanto che gi Warburg indica sia il modello antico sia il mediatore italiano
con una esattezza quale di rado riuscita alla scienza dellarte (ib., p. 41). Il Giudizio di Paride di
Raffaello artista che invece Manet non cita mai deriva da un antico sarcofago che, ancora oggi,
murato nella facciata di Villa Medici a Roma. Lopera di Raffaello, conosciuta solo tramite lincisione
di Marcantonio Raimondi presenta, infatti, una chiara derivazione dal sarcofago in quanto, nellangolo
destro in basso, appaiono sdraiate nude tre semidivinit legate alla terra che, nella loro collocazione
reciproca, rappresentano in silhouette i movimenti dei partecipanti alla colazione sullerba (ib., p. 41).
Marin, con la sua postura sistematica e anacronistica, probabilmente non si sarebbe allineato
allimpostazione evoluzionista di Warburg, per il quale riscontrare in Le Dejeuner sur lherbe il parzia-
le motivo degli antichi sarcofagi romani equivarrebbe alla oggettivit propria ai postulati di un osso
intramascellare. E neppure avrebbe accettato il postulato storicista che solo coloro che condivideva-
no leredit spirituale del passato erano in grado di trovare uno stile carico di nuovi valori espressivi
(ib., p. 45). Da parte sua invece avrebbe pienamente condiviso la radicale mutazione di senso deter-
minata dalla rielaborazione delle antiche forme e [dal] loro trascinante potere di persuasione. Marin
con Warburg prima e con Schapiro poi avrebbe pienamente sottoscritto la trasformazione
dellenunciazione: le figure reinterpretate da Manet guardano verso losservatore: dispongono il loro
sguardo rivolto in fuori verso lo spettatore; non levano gli occhi adoranti al mondo ultraterreno,
bens verso uno spettatore immaginario che va cercato in terra e non in cielo.
Una mutazione gi intrapresa da Raffaello e registrata da Marcantonio Raimondi nella direzione della
bellezza plastica e dellidillio pastorale. Ma nel Djeuner sur lerbe, oltre al personaggio femminile,
anche luomo accanto alla ninfa francese (sic!) guarda con occhi saldamente energici fuori dal qua-
dro (ib., p. 43). Per Marin, pi che una sfumatura iconologica questo spostamento dellistanza e-
nunciante costituisce un principio strutturale: una trasformazione discorsiva rilevante quanto la combi-
nazione dei motivemi, degli elementi lessicalizzabili nella composizione figurativa. Come rivela il
collega di Marin, Hubert Damish, questa invenzione meglio questo debrayage dellenunciazione
risemantizza lintero modello del Giudizio di Paride. Anche senza aderire allidea che lo sguardo in
macchina provochi lassenza del personaggio femminile, nella sequenza narrata, certamente lo spetta-
tore lanello essenziale della catena che collega il sarcofago ellenistico, il Giudizio di Paride inciso da
Raimondi, e il Dejeuner sur lherbe (Damish 1995, p. 74). La restituzione dello sguardo spettatoriale
tuttaltro che indifferente e non impedisce lidentificazione con il personaggio rappresentato. La figura
femminile del Djeuner con lo sguardo fisso su chi guarda come anche lOlympia dipinta da Manet
due anni dopo incarna una bellezza moderna, offerta e disponibile, che solo Warburg e altri dopo di
lui, potevano trovare ninfale.
Il ricorso allesempio warburghiano sottolinea e radica nel passato limportanza delllenunciazione, che
per Marin non mai applicazione apodittica di modelli canonici a un testo qualsiasi, ma dimostrazio-
ne articolata della polisemia dei punti di vista visivi e della polifonia di quelli linguistici. Anche se
spesso la dimostrazione si incentrata sulla rete antropomorfa dei gesti o degli sguardi, in quanto trac-
ciati visibili che reggono lenunciato del quadro, le applicazioni alle figure di cornice risultano altret-
tanto efficaci. Cos come lestensione del punto di vista alla dominante del potere, che permette una
lettura intrigante delle rappresentazioni della regalit seicentesca in Francia.14
Marin, attraverso lo studio e lindividuazione delle complesse strategie di iscrizione della soggettivit e
i sofisticati meccanismi intersoggettivi, non solo d inizio a tutto un nuovo campo di studi, prima pres-
soch inesistente,15 ma mira ancora pi lontano e compie un passo ulteriore. Ripensa il piano filosofi-

14 Problematica che si concretizzata soprattutto nel libro Le portrait du roi (1981a). Marin, infatti, uno dei
primi studiosi a comprendere limportanza e la complessit del ritratto, sia in letteratura attraverso i discorsi di
elogio e lautobiografia sia in pittura, dove la perspicacia e lingegnosit delle sue vedute culminano nel ritratto
del re. In Le portrait du roi, analizza magistralmente come il potere trovi la sua piena legittimit solo nella messa
in scena dei segni simbolici che esso produce e nei quali si incarna come potere teologico-politico.
15 il caso di Stoichita (1998), il quale mette a frutto molte aperture di Marin nel contesto delle teorie che la
pittura sarebbe in grado di esplicitare attraverso i suoi specifici mezzi; cfr. anche Fabbri 1998.

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co che presuppone e sostiene la teoria enunciazionale. Per lui, infatti, tutto il sistema semiotico della
lingua precipita nella semiotica dellenunciazione.
Una teoria, quella dellenunciazione, che percorre come un filo rosso gran parte della sua produzione
e di cui si pu individuare lincipit, per quanto concerne la pittura, in un fondamentale articolo del
1975. In questo caso, lanalisi del cartone di Le Brun raffigurante lincontro tra il re di Francia e quello
di Spagna consente concretamente di mettere a punto il sistema di traduzione da un sistema allaltro,
dimostrando che la pittura pu, con mezzi propri, talvolta anche molto raffinati, esprimere la soggetti-
vit e lintersoggettivit; esattamente come accade nella lingua con il sistema deittico. Marin, sulla scor-
ta di Benveniste, si propone di individuare negli enunciati iconici la fondamentale distinzione fra le
due principali modalit discorsive: storia e discorso.

evidente che esiste sempre un narratore, anche quando la sua enunciazione si segnali come sop-
pressione, cancellazione o dissimulazione delle sue marche nellenunciato. Benveniste spiega che il
piano storico dellenunciazione si delinea come enunciazione nellescludere ogni forma linguisti-
ca autobiografica, io, tu, qui, ora; e, nellambito temporale, il presente, per ricorrere alla
forma della terza persona e ai tre tempi che caratterizzano il passato: laoristo, limperfetto e il
piuccheperfetto. Qual , allora, il piano specifico di enunciazione del quadro narrativo? E qual la
sua istanza? Qual la situazione narrativa in cui latto narrativo ha luogo? Si percepisce qui il ca-
rattere radicale della questione posta dallo spostamento dal modello linguistico allopera pittori-
ca, dal momento che, nel testo scritto, lanalisi ha come oggetto lespressione del tempo nella sua
struttura formale e materiale. Ci sono verbi, pronomi nel linguaggio della pittura? Include marche
temporali? Pu un quadro, nella sua immanenza esprimere il passato? Il problema si complica, i-
noltre, [per il fatto] che non si tratta solo di racconti, bens di racconti storici, che hanno pretesa di
verit, che presentano avvenimenti accaduti veramente nel passato (Marin 1980b, p. 144).

Una delle chiavi di accesso allenunciazione pittorica costituita dai deittici. Ma nel caso di un quadro
di storia, come quello preso in esame dallo studioso francese, essi saranno sottoposti alla cancellazio-
ne, o, pi precisamente, alla denegazione di ogni riferimento relativo alle coordinate della soggetti-
vit, spazialit e temporalit proprie della situazione di enunciazione/ricezione. La messa in discorso e
il modo di narrare in pittura riguardano soprattutto lo spazio e il tempo. E poich la pittura non di-
spone di un supporto isomorfo al tempo raccontato (come invece la scrittura), essa potr far ricorso
alla temporalit solo mediante il dispositivo che le proprio: la spazialit. Attraverso la spazialit,
dunque, possibile rintracciare la grammatica del sistema deittico che, per Marin, viene ad esempio
veicolato dalla prospettiva legittima. Uno strumento tecnico governato da rigorose leggi ottico-
geometriche, con il quale si viene a stabilire una coincidenza fra locchio produttore e lo sguardo
osservatore. Daltra parte, solo a partire da quel preciso punto di vista che lenunciatore pu im-
porre una lettura univoca dellenunciato, anche perch tale punto viene a simulare la sua posizione
nellenunciato stesso, luogo che losservatore obbligato a occupare. Il punto di vista prospettico
lequivalente dellio-qui-ora; ma, nel quadro di storia, tale punto viene denegato, in quanto:

la presenza dellavvenimento nel suo istante di rappresentazione, nel suo enunciato, si impone allo
spettatore nel suo divenire autonomo al posto del processo di produzione rappresentativa: in luo-
go di... o al posto di..., ovvero per spostamento del suo punto di origine. Lenunciazione si og-
gettiva nellenunciato, il processo di produzione della narrazione nel prodotto del racconto: ogget-
tivazione attraverso la quale [...], il racconto diventa storia (Ib., p. 164).

Unoggettivazione che anche la particolare postura dei personaggi del cartone analizzato da Marin
tende a rimarcare. La scena, infatti, sembra narrarsi da sola, anche perch gli attori del racconto, di-
sposti in fregio, sono pressoch tutti in una posizione di profilo che tende a escludere la comunicazio-
ne con il fuori quadro e ad annullare laltra direzionalit, propria della prospettiva: quella convergente
nel punto di vista.
Rispetto a certi sviluppi successivi in cui si mette laccento sulle formazioni discorsive a spese della
base semio-narrativa, occorre distinguere chiaramente tra il punto di vista come configurazione di-
scorsiva e come strumento descrittivo. Il primo caso riguarda il trattamento del sapere acquisizione o

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rinuncia al momento della messa in discorso; il secondo individua, tra le virtualit delle strutture
semiotiche, i diversi dispositivi che vengono a offrirsi. Il dispositivo della struttura attanziale (sogget-
to/antisoggetto, destinante/destinatario, ecc.), ad esempio, permette di proporre percorsi visivi diversi
secondo gli attanti, con le acquisizioni o le perdite di modalit che ne conseguono. Listanza
dellenunciazione, al momento di linearizzare i diversi programmi, trasceglie alcuni elementi della
struttura piuttosto che altri. Selezionare tra le diverse combinazioni permette allora
la discorsivizzazione, a partire da un osservatore specifico e dai suoi processi cognitivi, cui pu seguire
o meno unalternanza dei vari punti di vista. I temi ricorrenti sono particolarmente esposti a questo
genere di variazione discorsiva.
Sempre in fatto di prospettiva, e sempre sulla scorta dellimportante scritto di Marin integrato con il
contributo di Greimas e Courts (1986) Omar Calabrese (1985) va ben oltre la questione se sia cor-
retto o meno applicare le procedure dellenunciazione alla pittura e preferisce porsi la domanda se le
teorie dellenunciazione non siano pertinenti a presunte o reali teorie della pittura in quanto attivit
comunicativa. Questo interrogativo lo porta a concludere che la teoria dellenunciazione non ap-
plicabile alla pittura, ma una vera e propria teoria della pittura; [e] che la prospettiva lineare non
solo un dispositivo tecnico, logico e filosofico, ma una teoria della comunicazione (id., p. 37). in
questa direzione che convergono le ricerche pi interessanti della storia dellarte successiva (Baxandall
2000; Belting 1990).
Se vero che il polo dellattivit linguistica attualizzante lenunciazione un processo proiettivo pre-
sente nellenunciato, il quale si manifesta con la denegazione del punto di vista, questo genera a sua
volta effetti illusori contemporaneamente opposti e sincretici: lillusione referenziale e lillusione enun-
ciazionale. Pi precisamente, conduce alla realizzazione di un discorso oggettivo, stabilendo mecca-
nismi di costruzione del testo apparentemente estranei al soggetto dellenunciazione. Lio produttore,
per, lascia inevitabilmente nel testo marche del suo passaggio, perch non possible che loggettivit
possa manifestarsi se non a partire da un punto di vista: quello prospettico e quello in cui, appunto,
enunciatore e enunciatario vengono a coincidere. La referenza viene cos a essere semplicemente un
simulacro della verit del mondo naturale.
In questo senso, la prospettiva una sorta di atto schizofrenico rispetto al duopolio soggettivi-
t/oggettivit, che fra laltro ha lintrinseca conseguenza, sul piano delloggettivit, di far dimenticare
il supporto materiale del quadro che si trova completamente assorbito nel quadro come piano tra-
sparente.

3. Motivi della raccolta

La raccolta di saggi qui presentata articolata in tre parti. La prima, dal titolo Il gesto teorico, pro-
pone un articolo dedicato alla questione della persona e del tempo nel discorso: un problema teorico
riguardante lenunciazione che, come si visto, costituisce lorizzonte di riferimento di grandissima
parte degli scritti del nostro autore. La seconda, Le forme del visibile, riunisce gli articoli relativi ai
problemi del vedere, soprattutto oltre quanto viene effettivamente rappresentato. La terza sezione, inti-
tolata I limiti della pittura, tratta le problematiche della metapittura, della metarappresentazione, del-
la ricezione e della irrapresentabilit.
Il denso articolo Note critiche sullenunciazione: la questione del presente nel discorso indaga, a parti-
re da Benveniste (1985), la questione dellio e del presente nel discorso, con un lungo excursus su
Aristotele, Platone, SantAgostino, Freud e altri ancora. Il saggio, che a prima vista pu apparire come
una speculazione essenzialmente filosofica, rivela in realt un altro intento: quello di suggerire un ap-
proccio corretto ai testi letterari e visivi. Quellio che nel discorso parlato linserzione del locutore in
un momento sempre nuovo del tempo e in una testura sempre diversa di circostanze; quellora, quel
presente che si definisce fra passato e futuro, come vengono espressi nei testi che, per loro costituzio-
ne, denegano la situazione enunciativa?
Nelle proposte di ricerca del saggio La mappa della citt e il suo ritratto, dopo aver dimostrato che la
pianta la rappresentazione della produzione di un discorso sulla citt, pi precisamente di
unenunciazione a due dimensioni, luna transitiva, in quanto rappresenta qualcosa, laltra riflessiva,

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poich rappresenta presentando qualcosa, Marin si interroga sul modo in cui una mappa si costituisce
enunciando lenunciazione di un discorso sulla citt. La scelta di fondo della mappa riguarda il ricorso
alla descrizione, nella quale il debrayage enunciativo fa vedere loggetto descritto da tutti i punti di
vista, senza avvalersi di uno di essi in particolare, producendo, dunque, uno sguardo sinottico che in-
clude un ordine stabile dei luoghi in una distribuzione di rapporti di coesistenza. Ma la mappa con-
temporaneamente anche una narrazione, dal momento che la reificazione del racconto: la somma
di tutti i percorsi (o itinerari) possibili di un potenziale viaggiatore. Due modalit che nella pianta di
una citt possono interagire grazie alla presenza di connettori del racconto e della descrizione come,
ad esempio, le scritte, i toponimi, le legende, le vedute, le icone , ma anche in base al ricorso a
delegati dellenunciazione concretamente raffigurati, che contemplano la citt dal luogo stesso in cui lo
spettatore la vede: un vero e proprio prodotto del dispositivo enunciativo. In questo modo, la citt
viene ritratta nella mappa secondo modalit veridittive che annullano la presenza di un soggetto pro-
duttore e, al tempo stesso, in ragione delle norme prescrittive e istruttive capaci di veicolare contenuti
relativi al potere, diventa una veduta che non si limita a manifestare la pura e semplice verit.
questo il caso della mappa di Parigi di Gomboust trattata nel saggio La cornice della rappresentazio-
ne e alcune sue figure , in cui le due immagini di bordo con le vedute da Montmartre e della Galle-
ria del Louvre, propongono, a chi ne far uso, un percorso privilegiato: dal nord fino al centro, ovvero
dal nord fino al luogo del re.
I due contributi, rispettivamente dedicati alla recensione del libro di Svetlana Alpers (Elogio
dellapparenza) e a un articolo sul trompe-loeil di Charpentrat, (Rappresentazione e simulacro), sono
inseriti in questa raccolta nonostante appartengano a un genere diverso dal saggio di analisi testuale in
quanto affrontano aspetti della rappresentazione.
Parlando del volume della Alpers, lArte del descrivere, Marin valorizza lopposizione strutturale fra
larte italiana e quella olandese del XVII secolo, dimostrando che proprio attraverso la messa in sistema
oppositivo dei due differenti modi di fare pittura possono essere tracciati nuovi percorsi di analisi per
larte in generale. In particolare, Marin raccoglie linvito suggerito dallarte olandese fondata su una
teoria della visione derivata dalla camera ottica del ritorno alla superficie. Se larte olandese del
secolo doro pu fornire un nuovo modello di lavoro, proprio perch viene contrastivamente acco-
stata a quella italiana, scalfendo cos le principali metodologie critiche che hanno insegnato a guardare
quelle immagini pittoriche nel loro rapporto con la tradizione italiana. cos che si fa strada la caratte-
ristica principale della pittura olandese, non narrativa, non albertiana, non finestra sul mondo, ma su-
perficie che registra e riproduce la superficie del mondo. Una pittura che vede nel dispositivo della
camera oscura la deantropomorfizzazione della visione, ovvero il fatto che la superficie del mondo si
identifica, attraverso limmagine, con la superficie retinica, dove il mondo produce da s la propria
immagine senza bisogno di una cornice. La camera ottica, dunque, condivide con il modo nordico
alcune caratteristiche; nello specifico, il potente effetto di realt basato sulla frammentariet e
sullimmediatezza che sembra far s che la natura possa riprodursi senza lintervento dellessere uma-
no. Marin vede in questo ricorso alla superficie, nellimpiego da parte della pittura nordica di un piano
non albertiano, non narrativo, un modo che potrebbe essere preso in considerazione per qualsiasi
immagine pittorica. Un livello, quello della superficie, evidente ma spesso rimosso, dimenticato, la cui
presa in carico impone alla descrizione un costante affinamento che va ben oltre il paradigma filosofi-
co del convenzionalismo, dove ogni cosa nel suo nome e nella sua figura. Guardare la superficie
con uno sguardo ravvicinato significa anche vedere cose che perdono le parole che le designano e le
definiscono. Come descrivere, nellArte della pittura di Veermer, quel particolare che da lontano ap-
pare come la mano del pittore, ma che da vicino un fascio di pure sfumature di luce senza una pre-
cisa identit?
Scardinando lordine proposto dallantologia, ma rimanendo, come nel precedente contributo,
allinterno della forma recensione, larticolo Rappresentazione e simulacro pone al centro della rifles-
sione la rappresentazione in trompe-lil. Dopo aver passato in rassegna diversi tipi di inganno
dellocchio, Marin si interroga sulle ragioni che fanno di un trompe-l il un trompe-lil. La pura e
semplice mimesi, il riflesso del mondo sulla superficie del quadro, rendere presente uno o pi oggetti
o cose assenti, trovano nella prospettiva la struttura formale della rappresentazione, ma a condizione

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che venga denegato il soggetto teorico che la produce. Il trompe-loeil, al contrario, non viene sentito
come imitazione o riflesso, in quanto non rinvia a nientaltro che a se stesso: annullando la distanza tra
il modello e la sua copia, cio sospendendo la relazione referenziale, esso intrappola locchio in
unapparizione che genera stupore e cancella ogni effetto di contemplazione e di teoria in nome di un
effetto di presenza. Diversamente dalla mimesi, dove lo spazio rappresentato allinterno della cornice
un cubo con una faccia aperta, una finestra dischiusa, e nello stesso tempo, uno specchio che riflette il
mondo, il dettaglio, o lintero quadro in trompe-lil, lequivalente del cubo e della finestra chiusi,
dello specchio oscurato. Uno spazio che espelle da s fino a raggiungere la superficie della tela, gli
oggetti che un soggetto vorrebbe rappresentarvi. Ma il trompe-lil altro ancora, specie nei grandi
affreschi che decorano le superfici dei luoghi regali o religiosi: strumento del potere politico o reli-
gioso. E lo diventa perch il principe o il teologo si installano nel luogo del simulacro, assoggettando
per suo tramite il soggetto della rappresentazione, e il potere che essa gli conferisce e che lo costitui-
sce. Marin individua lesempio emblematico di questo tipo di rappresentazione nella scala degli Am-
basciatori a Versailles dipinta da Le Brun dove, per un solo e fugace istante, in una sorta di alluci-
nazione, losservatore che sale le scale sa di essere visto, osservato, commentato nella sua attivit di
guardante-guardato, permettendo cos il dispiegarsi del potere del sovrano dal quale si sta recando.16
Nel contributo Mimesi e descrizione come gi accennato si affronta il rapporto fra parola e imma-
gine. Il significato di rappresentazione duplice: da un lato, significa sostituire un elemento presente
con uno assente, dove la sostituzione sempre regolata da uneconomia mimetica; dallaltro, significa
esibire, mostrare, presentificare una presenza. Rappresentare, dunque, presentarsi nellatto di rap-
presentare qualcosa, autopresentazione costitutiva di unidentit. E qui, relativamente alla descrizione
di un testo visivo, sorge un problema, perch la relazione parola/immagine per Marin non deve asso-
lutamente essere intesa in maniera semplice, trasparente, nella logica che le parole dicono le cose.
Riferendosi alla Vanit di Philippe de Champaigne, infatti, egli fa notare come il quadro sia la fedele
rappresentazione di tre oggetti, la messa in visione della lista dei nomi che li indicano (tulipano, te-
schio, clessidra). Una nominazione delle cose, per, che trascura un niente dellimmagine: lo sfondo,
ossia lelemento in grado di far emergere proprio quelle tre figure, un niente che una rimanenza,
uneccedenza rispetto al potere di nominazione stesso. Lo sfondo per Marin un marcatore di virtua-
lit, e per renderne conto la descrizione deve spaziare attraverso lintero campo della mimetica pitto-
rica [...] per rinvenirvi le tracce e le gli effetti delle forze che vi operano e di cui essa spesso la poten-
te negazione. Solo cos la descrizione in grado di rendere tutti gli effetti, anche quelli patemici, che
limmagine riversa sul corpo dellosservatore. In questo avvicinarsi a una descrizione sempre pi e-
saustiva, rivestono un ruolo fondamentale gli stessi testi gi scritti, che intrattengono con limmagine
un rapporto di intertestualit. E qui lampiezza delle conoscenze di Marin riserva spesso sorprese signi-
ficative, costruendo relazioni inattese (cfr. Pezzini 1998).
In Figure della ricezione nella rappresentazione pittorica moderna Marin si sofferma sulla pragmatica
del rapporto tra la rappresentazione come segno e chi la riceve, la vede, la interpreta, la legge; sul
modo, cio, in cui un testo visivo iscrive al suo interno la struttura ricettiva dello spettatore. Una prima
figura o come lo stesso Marin la definisce, una configurazione essenziale delle marche e delle mar-
cature della presentazione della rappresentazione pittorica moderna la cornice. Si tratta di un e-
lemento che possiede uno statuto di esistenza indipendente da quanto rappresentato, poich la con-
dizione semiotica di visibilit del quadro, che ne regola la percezione garantendone il passaggio dalla
visione alla contemplazione estetica. Riguardo, invece, al contenuto della pittura, una delle figure della
ricezione il commentatore: ossia la metafigura dellatto di ricezione, dellarticolazione fra la struttu-
ra di contenuto e quella di ricezione. Per spiegarne il ruolo e le funzioni, gi teorizzate da Leon Batti-
sta Alberti, Marin ricorre a due arazzi di Le Brun, considerati paradigmatici per la semiotica della rap-
presentazione pittorica. Il primo arazzo, quello dellIncontro del re di Francia con il re di Spagna ai
Pirenei, pur essendo come si visto pi sopra unevidente denegazione dellatto enunciativo, con-
tiene parallelamente aspetti che guidano verso un corretto atteggiamento dellosservatore. In esso, in-
fatti, raffigurato il commentatore, che incarna il suo ruolo in due diversi personaggi: nella figura

16 Per una casistica del trompe-lil, anche nella contemporaneit, cfr. Calabrese 2011.

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del fratello del re francese, riconoscibile e nominabile, che guarda, senza alcuna passione, lo spettatore
fuori della scena, e in quella di spalle a sinistra, anonima, che addita il centro della narrazione. Due
figure che istituiscono losservatore come tale, informandolo che deve partecipare solo attraverso la
passione delladmiratio, quella dello straordinario e del meraviglioso, ma priva di segni corporei; una
maniera per far vedere e leggere in parallelo un discorso politico e storico mirante a dimostrare la su-
periorit della monarchia francese. Anche nellarazzo raffigurante Lentrata del re a Dunkerque, dove
il re da unaltura comanda alle sue truppe di attaccare la citt, il singolare gioco di sguardi e di posture
dispiega la corretta modalit passionale che deve tenere lo spettatore. Il re, simultaneamente centro
dinamico della storia in movimento e commentatore del proprio racconto, con un gesto deittico in-
dica la citt da attaccare e con lo sguardo osserva fuori dalla scena lo spettatore, esattamente come il
fratello del re, posto allestrema sinistra, il quale reitera il suo sguardo verso il fuori quadro. Sullalbero
in primo piano, ma a destra, un contadino nellatto di togliersi il cappello guarda la scena con
lespressione passionale dellammirazione, che include stima, venerazione, rapimento e stupore.
Il saggio si concentra poi sulla Manna di Poussin: in questo quadro Marin anche sulla scorta della
lettera commento che Poussin invia al suo committente Chantelou individua nel gruppo di sette figu-
re in primo piano una metarappresentazione in grado di consentire una corretta lettura del quadro.
Una sorta di istruzione per il lettore, il quale trova nella prima delle sette figure poste a sinistra il mo-
dello di comportamento da imitare per la corretta ricezione del dipinto: una figura emergente, anche
perch lunica rappresentata in piedi, con il palmo della mano aperto, leggermente sbilanciata indietro
e nellatto di ammirare la meraviglia della carit capovolta (una figlia che nutre la madre), che fun-
ziona come un esplicito invito a guardare con la medesima ammirazione il racconto complessivo, la
messa in scena di quellesempio di carit divina che la caduta della manna.
Nellarticolo Ai margini della pittura: vedere la voce, viene affrontata unaltra tematica ricorrente negli
scritti di Marin: i limiti della rappresentazione. Esistono forme di rappresentazione in cui la sostanza
dellespressione costituisce un limite alla stessa rappresentazione: la pittura, nella dimensione tempora-
le; la parola e la musica, in quella spaziale; ecc. Questo limite, secondo lo studioso, costituirebbe per il
pittore uno stimolo verso nuove sfide tecniche ed estetiche, capaci di portare a risultati inediti, da rag-
giungere attraverso una rinnovata manipolazione del sistema espressivo. In questo contesto si inserisce
anche il problema della voce; pi precisamente, il modo in cui, in una rappresentazione visiva, la voce
pu mostrarsi allo sguardo e pu essere percepita dallocchio. Per far ascoltare questa voce dal silenzio
di un testo visivo, Marin ricorre a un piccolo corpus di opere nelle quali limmagine si accompagna
alla scrittura. Come, ad esempio, nel piccolo dipinto di Paul Klee, Ad marginem, dove semplici con-
sonanti e vocali, combinandosi fra loro allinterno di un presupposto dinamismo, si animano per far
sentire le parole di una lingua che appartiene solo a Klee e che losservatore pu ascoltare per-
correndo con lo sguardo i margini della superficie. Parole compiute nel quadro Et in Arcadia ego di
Poussin, dove invece la voce si fa sentire allascolto dellocchio attraverso il pastore che sta diligen-
temente compitando, con tanto di bocca socchiusa, lettera per lettera, liscrizione sul fronte del sarco-
fago.
Larticolo La cornice della rappresentazione e alcune sue figure ha come presupposto un preciso as-
sunto teorico di Marin. Nonostante la sua preferenza per lespressione visiva del passato, egli spesso ha
tentato di far interagire la pittura moderna con quella contemporanea, ritenendo che i due diversi
momenti storici siano accomunati da analoghe problematiche, anche se risolte in maniera diversa. Al
silenzio della prima corrisponderebbe la voce della seconda, in quanto la pittura moderna avreb-
be nascosto alla coscienza critica i problemi che incontrava e risolveva nella pratica, mentre in molti
casi la pittura contemporanea farebbe emergere come soggetto proprio la sperimentazione e i pro-
blemi teorici. Le due tipologie secondo Marin entrerebbero cos in un rapporto biunivoco stimo-
lante, nel quale la pittura moderna, in unottica storica pi tradizionale, tende a offrire spunti interpre-
tativi a quella contemporanea; ma, a sua volta, anche la pittura contemporanea pu dare origine a pi

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articolate possibilit di comprensione, osservazione e interpretazione di quella moderna, in unottica
pi inedita e decisamente meno accademica.17
Un rapporto, questo, presente nel saggio dedicato alla cornice della rappresentazione, nel quale lo
studio del cadre, allintero di una linea di continuit, indagato a partire da Poussin per arrivare a
Frank Stella e dove lAutoritratto del pittore francese viene messo in relazione con Le guet-apens di
Leonardo Cremonini, vero e proprio commento pittorico e teorico del primo, e con Gran Cairo di
Stella, rappresentazione di una piramide o di un pozzo realizzata con lesclusivo impiego di cornici.
In questo gioco di scambi tra passato e contemporaneit, Marin non dimentica di definire il ruolo
dellinquadratura. In quanto parergon necessario, la cornice rende autonoma lopera, che diventa cos
presenza esclusiva, oggetto di contemplazione, proprio grazie al fatto che la bordura si configura nella
qualit di deittico, di dimostrativo iconico di questo, nonostante il pi delle volte la sua concreta
presenza passi sotto silenzio. In quanto elemento di separazione fra il reale e la finzione rappresentati-
va, la cornice sia tratto enunciativo che metapittorico. uno dei modi attraverso i quali la pittura
pu dire il mondo allo spettatore e parlare di s, esprimersi, appunto, in termini di metapittura.
Il saggio Rotture, interruzioni, sincopi nella rappresentazione pittorica riguarda tutto ci che in pittura
mette in discussione e rompe la trasparenza della superficie dipinta per lasciare spazio allopacit.
Rivisitando, in questottica, alcuni testi gi affrontati in pi serrate analisi, Marin individua diverse for-
me in cui, attraverso sincopi o interruzioni, il supporto pittorico manifesta la sua opacit. Opere che
nella maggior parte dei casi si avvalgono di una rigorosa costruzione prospettica; vale a dire lo stru-
mento tecnico in grado di fare della superficie diafana un luogo virtuale, illusoriamente profondo, uno
spazio assunto come vuoto. Solo cos, attraverso le linee e i colori sar possibile aprirvi quel varco che
sfonda verso linfinito. Dipinti nei quali leffetto di profondit interrotto da un effetto di piano, por-
tando, sebbene in una piccola parte, alla dichiarazione di pittura come superficie, oppure nelle parti di
dipinti in trompe-lil, dove la profondit entra in una sorta di corto circuito con laggetto, chiamando
direttamente in causa lo spazio dellenunciazione. Lo strumento enunciativo permette naturalmente
una caratterizzazione articolata della riflessione riguardante la soggettivit iscritta nel corpo parlante e
segnante, esplorabile attraverso quella retina esterna che sono i testi. Resta per capire il desiderio e
il piacere di spiegare: per Marin necessaria una critica erotica, ma che sappia contemporaneamen-
te mantenersi euristica.
Al termine della presentazione dei contenuti di questo volume, e ancora nellottica del ruolo che la
semiotica ha svolto nella formazione del pensiero di Louis Marin, doveroso constatare come lo stu-
dioso francese, oltre ad aver accolto e fatto fruttare positivamente e con grande originalit molti con-
cetti della semiotica, ne abbia parallelamente escluso altri. La stessa possibilit di un metalinguaggio
viene messa in discussione; e forse proprio per questa ragione Marin non ha raccolto i suggerimenti di
unanalisi semiotica del visivo articolata in termini di livelli: topologici, eidetici e cromatici (Greimas
1984; Corrain 1999). Un tipo di indagine che permette di interrogare il testo nelle sue componenti a-
stratte, nella direzione della ricerca di un senso pi profondo non soltanto limitato alla figurazione an-
tropomorfa linguisticamente nominabile. In un articolo dedicato alla Tempesta di Giorgione, Marin
(1981b) prende chiaramente posizione rispetto alla lettura plastica, senza tuttavia dichiararsi comple-
tamente contrario, sostenendo che questa non riveste grande portata euristica, specie laddove lopera
di pittura nello specifico la tavola di Giorgione presenta attori che guardano. In questo caso, spie-
ga, il problema principale far vedere uno sguardo attraverso una figura riconoscibile e denominabi-
le [...] con testa, occhi, viso. Al contrario, forse proprio una articolata lettura plastica potrebbe essere
di grande aiuto nellinterpretazione di uno dei quadri pi enigmatici della storia dellarte.
Unica eccezione nella sua complessiva produzione scritta la lettura penetrante di Pollock (Marin
1982a), nella quale forse proprio per il soggetto del quadro, pi che per adesione a un paradigma
teorico, stato obbligatoriamente costretto a tenere in debita considerazione il piano plastico della
pittura.

17 Riguardo a questo aspetto, gli studi di teoria dellarte e dellimmagine pi recenti parlano di anacronismo in-
dividuando le relazioni che attraversano la cultura visiva in un rapporto di passato e presente, cfr., Damisch 1995
e con bibliografia precedente Didi-Hubermann 2000.

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In conclusione

Fino a qui si parlato di filosofia e semiotica, di Louis Marin come storico della filosofia, del linguag-
gio e dei segni. Ma in quale corrente filosofica si pu iscrivere Marin? Forse allermeneutica? quel
che sottintende Paul Ricoeur, il quale in un dibattito con Algirdas-Julien Greimas dedicato a semiotica
ed ermeneutica parla di lui come di una personalit legata alle due discipline (Marsciani 2000). in
questa direzione che portano le prove di Marin? Se cos fosse, il suo fare conoscitivo non si identifi-
cherebbe di certo con la subtilitas applicandi richiesta da Gadamer. La debole qualit dellanalisi er-
meneutica delle immagini messa a punto da Gadamer (1986) non deve averlo tentato, soprattutto per-
ch non di applicazione che si tratta. Se c postura ermeneutica questa sembra pi vicina a Ricoeur,
per il quale lanalisi semiotica usa il proprio linguaggio per spiegare meglio e, dunque, per meglio
comprendere ci che gi pre-compreso. Ma nel saper fare di Marin, nella fecondit del suo approc-
cio, c qualcosa di pi. Oltre a disimplicare da testi non linguistici le enunciazioni e le proposizioni
teoriche e filosofiche che lo articolano, Marin pu fare lo stesso con i testi propriamente filosofici.
Dagli studi di Marin emerge anche un chiaro invito rivolto alla semiotica del visivo. Invito al quale
dovrebbe attentamente guardare tutta quella parte della disciplina che rivendica la necessit di indivi-
duare lo specifico di questo dominio, accusando in particolare la semiotica strutturalista generativa di
aver costruito un modello per lanalisi dei testi visivi che ha come riferimento esclusivo la lingua e di
essersi limitata allindividuazione delle equivalenze di funzionamento tra i due sistemi. Ebbene, questa
semiotica pu constatare come nelle analisi testuali di Marin emerga con grande forza la necessit di
individuare lo specifico del visivo, rimanendo allinterno dello stesso visivo, senza ricorrere ad altri
sistemi di spiegazione. Di ci testimonianza il volume Des pouvoirs de limage (1993), redatto poco
prima della morte, nel quale Marin afferma che il senso dellimmagine deve essere necessariamente
colto a partire dai testi, nellindividuazione dei suoi effetti che devono essere letti nei segnali del loro
esercizio sui corpi dei guardanti, interpretandoli nei testi in cui questi segnali sono scritti, nei discorsi
che li registrano, li raccontano, li trasmettono e li amplificano fino a captare qualche cosa della forza
che li ha prodotti (ib., p. 15). Il che, ovviamente, non significa affatto trasposizione dal verbale al visi-
vo, bens rivendicazione a tutto campo della specificit del visivo nellarticolazione dei significanti.
Pur tuttavia, nonostante la fecondit dellapproccio e la seduzione della sua personalit, non facile
riflettersi nello specchio che Marin ci porge. E non solo per la profondit dei suoi interessi semiotici,
linguistici, storici e filosofici, per la capacit di comprendere in tutti i sensi Poussin e Pollock, Ca-
ravaggio e Klee, Le Brun e Cristho, Philippe de Champaigne e Stella. Lo specchio di Marin, infatti,
non il luogo del riflesso di una personalit o di un metodo; piuttosto la frontiera verso un mondo
altro, impre-veduto. Un mondo da scoprire con lui, che ci segue come guida.
Ma a pi di ventanni dalla scomparsa, il lavoro di Louis Marin ha visto unadeguata ricezione? Foca-
lizzando lo sguardo allambito italiano la risposta non pu che limitarsi a registrare due occorrenze: nel
2009, lintroduzione che apre la sua raccolta di saggi dal titolo Des pouvoirs de limage viene pubblica-
ta in un reader dedicato alle Teorie dellimmagine,18 e solamente nel 2012 tradotto il volume Opaci-
t della pittura. Per contro, le pi contemporanee ricerche sullimmagine, precisamente il filone di ri-
cerca che, pur nelle sue articolate diversit, va sotto il nome di svolta iconica, presenta forme salienti
di risonanza con il portato teorico dello studioso francese.
Nellultimo decennio del secolo scorso, uno studioso tedesco, Gottfried Boehm, e uno americano, Wil-
liam J. Thomas Mitchell, sincronicamente approdano a risultati analoghi: in una contemporaneit do-
minata dallegemonia delle immagini, pongono al centro dellattenzione lautonomia semantica e il
valore euristico delle stesse immagini.19 In particolare per Boehm, a partire da una ideale tabula rasa

18 Curata da Andrea Pinotti e Andrea Somaini e pubblicata per le edizioni Cortina.


19 Il 1994 lanno in cui Boehm pubblica larticolo Il ritorno delle immagini, in cui parla di una ikonische
Wendung e Mitchell il libro Picture Theory, dove un capitolo intitolato Pictorial Turn. I due contributi costi-
tuiscono latto fondativo dellIcon Turn, della svolta iconica, che nel tempo ha visto una progressiva estensione

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di tutti i paradigmi interpretativi precedenti (iconologico, semiotico, ecc.), lobiettivo di fondo della
svolta iconica quello di individuare un sapere adeguato alla potenza delliconico, cio alla deco-
difica delle immagini, le quali possiedono una logica propria, una logica che pertiene a esse soltanto,
intendendo con ci una coerente produzione di senso attraverso mezzi propriamente figurativi (bilde-
rischen), [] non predicativa [che] non si realizza nel linguaggio, ma nella percezione (Boehm 2004,
p. 105). Gi da questo breve stralcio, si avverte il riverbero di una delle preoccupazioni teoriche di
Marin: quella di individuare i meccanismi di funzionamento del visivo anche a partire dal visivo stes-
so.20 Inoltre, sempre per Boehm limmagine va vista nella sua configurazione e composizione interna;
la sua lettura e interpretazione non deve essere affidata in alcun modo alla dimensione dellextra-
figurativo. evidente il riferimento a quellarte dellosservazione che la fenomenologia: il potere
delle immagini significa: il fait voir, apre gli occhi, fa segno (ib., p. 110). Tuttavia per questo ricercato-
re: il logos non domina pi la potenza dellimmagine, ma ammette la propria dipendenza (ib., pag.
117). Unasserzione da cui sicuramente Marin avrebbe preso le distanze: per lui, infatti, la critica del
linguaggio non si fonda sulla supremazia ontologica dellimmagine, perch tutta la sua ricerca orien-
tata verso la caratterizzazione minuziosa dei diversi modi di transduzione del logos e dellimmagine;
ascoltatore/lettore della parola e osservatore dellimmagine sono in un rapporto di presupposizione,
cooperativo e/o conflittuale che implementa le competenze e le azioni reciproche. In unintervista (ib.,
1990, p. 66), sulle relazioni tra storia dellarte e psicanalisi, Marin ad esempio, spiega che non si tratta
di applicare modelli precostituiti, ma di mostrare come lopera esibisca riflessivamente e opacamente
nel suo infratesto il lavoro di figurabilit, analogamente al modello del lavoro del sogno: se
loggetto della storia dellarte dovesse essere una teoria dellindividuo estetico, la scienza dellarte []
dovrebbe essere fondata solo sugli indizi, le tracce, i sintomi: questo il dominio della semiologia
dellarte. E aggiunge che distingue il discorso della critica darte discorso diretto, dellimmediato,
della reazione e dellumore dal discorso della storia dellarte, semiotico perch interroga lopera
produttrice di sensazioni e di affetti, lopera come macchina produttrice di affetti. Non si tratta di scar-
tare i problemi della psicologia, che solo uno dei grandi compiti della storia dellarte, o della scienza
dellarte, la quale deve essere molto pi vasta di qualunque teoria della ricezione, della committenza o
della psicologia.
Ancora nellambito del visivo, Marin non avrebbe condiviso il postulato post-iconologico secondo cui
solo limmagine, a differenza del linguaggio puramente predicativo e logicamente binario, sarebbe
molteplice, ambigua, sensibile e polisemica. Per lo studioso francese anche la lingua, nei suoi diversi
livelli di organizzazione lessicale, grammaticale, retorica, discorsiva pu esserlo e ci sono immagini
come i diagrammi che non sono n polisemici n ambigui. Daltra parte, la raffinata teoria se-
mantica dellenunciazione di Marin, che come si visto trova in Benveniste lincipit tesa a regi-
strare liscrizione delle molteplici istanze personali e impersonali, soggettive e intersoggettive proprie
del testo iconico, va ben oltre la teoria della deissi di Boehm (1995, pp. 208-209) e, in particolare, oltre
il principio piuttosto naturalistico che la genesi del senso sta nel far rivivere nelloggetto creato latto
stesso che in esso si fonda (2004, pag. 120).
Laltro studioso allorigine della svolta iconica, Mitchell, apre un suo contributo del 2008 registrando
una situazione radicalmente mutata da quellaurorale inizio degli anni novanta, in cui nozioni come
cultura visuale e nuova storia dellarte erano a mala pena sussurrate. Per Mitchell: la nuova storia
dellarte (che ad ogni modo si ispira alla semiotica) non pi una novit, dal momento che lo studio
interdisciplinare dei media verbali e visuali diventato una caratteristica centrale degli studi umanisti-
ci (2007, p. 5). Ma proprio per il ruolo che Mitchell riconosce alla semiotica21 e alla teoria dei sim-
boli di Nelson Goodman22 utile mettere in relazione e in tensione la sua nozione di metapicture
con quella molto pi articolata della riflessivit cos come stata formulata da Marin. Per Mitchell (ib.,

ad altri ambiti di ricerca (sociologico, antropologico, storico, estetico, ecc.) fino a quellestesa area denominata
Visual Studies, allinterno della quale pi in generale viene indagata la dimensione visiva della cultura.
20 Per dirla con un altro studioso, Lotman, il testo la fonte pi rilevante per comprendere il suo contesto.
21 Nei testi di Mitchell, i riferimenti alla semiotica sono presenti in pi occasioni; nella raccolta in italiano curata
da Michele Cometa, ad esempio, non mancano citazioni di Saussure.
22 Cfr. Fabbri, 2010.

13
p. 12) le metapicture si presentano ogniqualvolta unimmagine appare allinterno di unaltra. Anche
senza approfondire la gerarchia di livelli di senso che implica per la semiotica il suffisso meta-, bene
ripercorrere qui il lavoro che Marin dedica allAutoritratto di Poussin: il gioco di quadri rovesciati alle
spalle dellautoritratto del pittore e il dipinto, sulla sinistra, in cui si vede una figura di donna tagliata a
braccia protese, lo porta non solo a una interpretazione in termini di teoria e pratica della pittura, ma
anche alla creazione di omologie strutturali con opere di arte contemporanea.23 Sul piano teorico e
metodologico come lesempio dellAutoritratto di Poussin dimostra la semiotica con la riflessivit
ha messo a punto non solo uno strumento descrittivo, ma anche di spiegazione: il quadro diventa un
oggetto teoricamente riflessivo e si integra comparativamente ad altri testi visivi, e non.24 Se per Mi-
tchell (2009) il problema che le immagini non solo significano nel senso limitato della rappresen-
tazione ma vogliono, bisognerebbe ricordare che per Marin, e per la semiotica, il dispositivo ico-
nico prevede attori enunciazionali che interpellano e modificano la competenza dellosservatore: lo
portano a conoscere e desiderare, forse, persino a piangere.25
Anche con queste brevi considerazioni, facile constatare che le relazioni tra lIcon Turn e gli studi di
Marin non sono di poco conto; anzi talvolta sono addirittura tangibili.26 Ed , in ogni caso, curioso che
questi studiosi (forse nellipotetico tentativo di partire ex novo nella formulazione della Bildwissen-
schaft), mettano a punto nozioni gi ampiamente definite, addirittura interdefinite dalla semiotica. E
soprattutto che nella ripresa degli studi sullimmagine, condotti a vario titolo come ikonische Wende,
Pictorial Turn, Visual Culture Studies, iconologia critica, ecc., gli studi di Marin non abbiano un ruolo,
quando invece dovrebbero essere considerati un importante precedente teorico. Dopo lIconic Turn,
la semiotica di Marin?

pubblicato in rete l11 ottobre 2013

23 Mitchell (2007, p. 12) articola in concetto di metapicture implicando anche la riflessivit di diversi media: la pittu-
ra che annida la scultura, il cinema, la pittura, ecc. Per quando riguarda invece la configurazione del quadro nel
quadro oltre a Marin, si veda anche Arasse 1993 e Stoichita 1993; due studiosi che rientrano pienamente nel per-
corso di Marin: entrambi sono stati in contatto con lui, entrambi hanno portato avanti studi che sono in dialogo con
i suoi. Gli autori della svolta iconica, per, non ricordano nemmeno questi due studiosi, mentre ricorre frequente-
mente il lavoro di Georges Didi-Huberman, che di Marin pu essere considerato allievo.
24 Basta qui pensare, ad esempio, ai rapporti fra impressionismo pittorico, musicale e letterario.
25 Il rifeimento a un volume di James Elkins altro autore americano da annoverare nella svolta iconica
dallemblematico titolo
26 Per una pi articolata indagine sui rapporti tra semiotica strutturale e Icon Turn, cfr. Mengoni 2012.

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