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Lordine dei paradossi

Foucault, Borges, Magritte

Nel dicembre 1970 il Collge de France assegn a Michel Foucault una cattedra intitolata
Storia dei sistemi di pensiero. Foucault dedic il suo primo ciclo di lezioni a quella che egli stesso
defin una morfologia della volont di sapere1 o, in altre parole, un viaggio genealogico dietro le
quinte della storia della conoscenza occidentale. Il metodo di ricerca foucaultiano - notoriamente
imparentato allopera di Nietzsche - di tipo genealogico (o archeologico) e, come tale, resta
sempre incredulo dinanzi alla concatenazione lineare di fatti, profili umani e accadimenti. Il punto
di partenza dellindagine foucaultiana non coincide con la nozione metastorica di cominciamento;
le sue analisi, al contrario, attraversano tutta la storia del pensiero occidentale, libere da quelle
urgenze logiche proprie degli storicisti di mestiere. Il gioco messo in campo da Foucault non
consiste nellintenzione provocatoria di guardare sotto la gonnella della verit; ci che anima la sua
ricerca piuttosto la possibilit di capire se la volont di verit non sia altrettanto profondamente
storica quanto tutti gli altri sistemi di esclusione; se non sia altrettanto arbitraria nella sua radice2.
Il contenuto della presente relazione, muovendo dalle medesime perplessit foucaultiane, intende
osservare pi da vicino il fondamento da cui scaturito il concetto filosofico di verit. Per dirla con
le parole di Foucault, questa trattazione consiste in una sorta di genealogia del postulato metafisico.
Nei pressi di una verit trascendentale, se si opportunamente pungolati da un prurito cinico-
sofistico, viene sempre da domandarsi perch. E allora, replicando lantica questione sofistica, ci
chiediamo a voce alta: Perch resta oscuro lantefatto che ha aperto la strada alla metafisica
occidentale? Perch Aristotele ha deciso che noi tutti siamo mossi dal desiderio di conoscere?
Come pu, il desiderio, rigenerare il suo impulso erotico se gi possiede in s loggetto da
conoscere? E, soprattutto, a che serve conoscere? In virt di tali quesiti abbiamo ripercorso alcune
trasformazioni storiche, alcuni mutamenti che hanno portato alla formazione di un sistema - prima
metafisico e poi giuridico-religioso - capace, ancora oggi, di destare vivo interesse.
Di seguito, rileggendo alcune delle lezioni di Foucault sulla volont di sapere, condurremo
un discorso a pi voci intorno alla costituzione dei sistemi di verit. Cominceremo il nostro
percorso approfondendo, insieme a Foucault, le prime righe della Metafisica aristotelica, allinterno
delle quali si condensano i motivi focali e i presupposti gnoseologici di buona parte della filosofia
occidentale. A partire da Aristotele, infatti, il discorso filosofico fissa e reitera la sua forma entro i
confini dellimmutabile, dellintellegibile e dellordinario. Il logos aristotelico, ricusando le
intemperie dellassurdo e le discontinuit del pensiero, proferisce sotto forma di monologo le
proprie coordinate ontologiche: la sostanza il luogo da cui proviene, linduzione logica il
metodo che predilige e il principio di non contraddizione il precettore cui soggiace.
La legge del Medesimo e il luogo originario della sostanza schiudono per, nellascesa ordinata al
metafisico, un varco incustodito verso laldiqu che essi stessi respingono. Come scrive Foucault in
Le parole e le cose: Il discontinuo si affaccia indubbiamente su unerosione dellesterno, su quello
spazio che , per il pensiero, dallaltro lato, ma in cui tuttavia esso non ha cessato di pensare fin
dallorigine3. Il passaggio allarcheologia delle scienze umane - a cui dedicher la seconda parte
del discorso - rappresenta linterlocutore polemico con il quale lascer dialogare il soggetto

1
FOUCAULT M., Lezioni sulla volont di sapere, Feltrinelli, Milano 2015, p. 13.
2
Ivi., p.14
3
FOUCAULT M., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 2015, p. 65.
autoidentico di Aristotele. Perci da un lato sieder il regime di verit metafisico-aristotelico e
dallaltro, irrequieta, frantumata e discontinua, la prospettiva archeologica, sempre contaminata e
interregionale4, proposta da Foucault.
Il discorso di verit esercita sempre un ruolo esclusivo: nellaffermare ci che vero
necessariamente gi compresa la negazione di ci che falso. La volont di sapere la volont di
fissare prima il vero e il falso in un sistema e, poi, di fare in modo che restino ben separati.
Aristotele nel dare inizio alla Metafisica, declama, in un colpo solo, il manifesto programmatico e il
postulato che verr assunto, da quel momento in poi, dalla filosofia classica. Aristotele scrive:
Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. Segno ne lamore per le sensazioni: infatti essi
amano le sensazioni per se stesse, anche indipendentemente dalla loro utilit, e, pi di tutte, amano
la sensazione della vista. Aristotele ci informa, cos, dellesistenza di un certo desiderio,
universalmente valido, che scaturisce e trova appagamento nel sapere. Tale desiderio dato per
natura e ci lo si pu dimostrare mediante un certo tipo di ragionamento, poco dissimile da un
mezzo retorico, altrimenti conosciuto come entimema. Si pu parlare di entimema quando un caso
particolare viene sussunto sotto un principio generale ancora ipotetico o nel caso in cui un
ragionamento sia portato avanti non per cause, ma per esempi particolari5 . Come si pu notare, nel
prologo del testo di Aristotele ha sede il presupposto metafisico del suo sistema, il quale verte
sullenunciazione di ci che afferma, sulla sua condizione di possibilit, sulla sua
autogiustificazione. Alle spalle di tale enunciazione, con tutte le pretese universalistiche che si porta
dietro, si cela una grossa tautologia. Aristotele nellaffermare, con tono convincente e vagamente
declamatorio, che tutti gli uomini sono animati per natura dal desiderio di conoscenza, ha
fissato, da quel momento in avanti: il perimetro della verit filosofica, lorigine del discorso
filosofico e il telos cui dovr tendere il filosofo.
Continuando nella lettura del testo aristotelico, si entra - apparentemente - nel vivo della questione
metafisica, ovverossia nel desiderio. bene osservare, per, la particolare definizione di desiderio e
di piacere cui fa riferimento Aristotele. Egli - sebbene permanga sempre nel campo delle sensazioni
- non associa mai il piacere di conoscere allutilitarismo tipico delledon; il piacere cui allude
definito, in questo caso, come agpesis. Questo particolare modo di esperire il piacere , per
definizione, svincolato dallutilit. In forza dellagpesis si onora qualcosa o qualcuno, si dimostra
affetto a chi lo merita e, in altre parole, si designa la soddisfazione dellordine6. In un ciclo di
lezioni successive a quelle trattate finora - Del governo dei viventi del 1980 - Foucault riproporr,
nei termini di regimi di verit, la questione dellagpesis o, quanto meno, la reazione che questo
particolare desiderio pone in essere. Quando si sta di fronte al vero, allevidentemente vero - dir
Foucault - ci sinchina. Minchino al vero perch vero, la verit non deve ricorrere ad alcun tipo di
regime se non a quello intrinseco al vero stesso. Per, Foucault ci ricorda anche che: Non vero
che la verit ci costringe soltanto con il vero e che Sotto tutti i ragionamenti [] perfino sotto il
fatto di riconoscere qualcosa come unevidenza, [] bisogna sempre supporre una particolare
affermazione che non esattamente dellordine del vero e del falso, ma che piuttosto una sorta
dimpegno, di professione7. Il postulato, perci, sempre anteriore e immune rispetto al vaglio
della causalit; precedendolo lo sottomette a s nella configurazione del sistema di verit e di
falsit. Il postulato riempie quel vuoto legislativo che, una volta occupato, si traduce nella colonna

4
Si rimanda alla nota 10.
5
FOUCAULT M., Lezioni sulla volont di sapere, p. 19.
6
Ivi, p. 20
7
FOUCAULT M., Del governo dei viventi, Feltrinelli, Milano, 2014, p. 103.
portante del pensiero metafisico: il cosiddetto principio di non contraddizione. Il postulato, dunque,
una premessa illogica e arbitraria; lunica eccezione logica che il pensatore metafisico si
conceda, in luogo di una promessa consolatoria da mantenere. In cosa consiste tale consolazione?
Di quale protezione stata incaricata? La promessa di cui si fa carico il sistema metafisico il
mantenimento dellordine, la riproduzione costante di una diga teorica che non faccia straripare
lassurdo entro i confini postulati da una certa volont di sapere. Per non contraddire, per,
necessario che la legge del Medesimo escluda. Perch tutti gli uomini possano esperire quel
desiderio filosofico che li attanaglia allunisono - restando fedeli alla prospettiva aristotelica - c
bisogno che il caos venga ordinato, che lesuberanza del disordine venga esclusa e che, luomo
disinteressato ad una certa volont di sapere, sia interdetto. In Aristotele sapere e desiderio si
tengono stretti in un rapporto di connaturalit. Il filosofo converte il desiderio, mediante un
processo dinteriorizzazione, in desiderio di sapere tanto da rendere il soggetto desiderante tuttuno
con il soggetto conoscente. Il desiderio di conoscenza obnubila il desiderio, attua unelisione del
corpo e, per mezzo di tale esclusione, tiene la conoscenza al riparo dallesteriorit e dalla violenza
del desiderio8 .
Ma facciamo ancora qualche passo avanti nel testo aristotelico. Lo Stagirita specifica il tipo
di entimema che lha condotto alla prima affermazione. Aristotele scrive della vista che, tra tutti gli
organi di senso, prediletto dagli uomini in virt della sua capacit di ordinare il caos delle
percezioni e di produrre un piacere disinteressato. La vista, infatti, a differenza degli altri organi di
senso, come ad esempio ludito, non risulta caotica e disordinata; al contrario, vedere aiuta a
discernere, a separare con pi rigore e certezza il vero dal falso. La vista, pertanto, lo strumento
pi utile per dare forma alla verit che, come si gi detto, non da intendere altrimenti che come
un sistema di vero e di falso. Tale concezione della vista riporta alla mente linterpretazione
tassonomica delle sensazioni, messa in opera da Aristotele. Anche nel campo degli organi di senso,
la classificazione aristotelica muove da una premessa di valore, da un presupposto qualitativo in
base al quale si garantisce la complementarit tra il vedere e il conoscere. Tale binomio,
chiaramente, scaturisce da una certa configurazione del sapere, da una certa volont di conoscere
che , al contempo, fondata sulla necessit di disconoscere il suo contrario. Laspetto interessante di
tale disconoscimento sensoriale sta nellimpossibilit effettiva di escludere le sensazioni disturbanti.
De facto, quella messa in campo da Aristotele non una menomazione fisica del soggetto senziente,
quanto piuttosto una mortificazione reiterata della cosa sentita. , in altre parole, leffetto di una
volont ascetica che simpegna, di volta in volta, a invalidare lazione degli istinti proibiti e dei
sentimenti vietati. Per inferenza logica, non dovrebbe risultare troppo infondato, a proposito dei
sistemi di verit, un legame sinonimico del vero con il visibile e del falso con linvisibile. E,
azzardando un ulteriore salto semantico, il visibile indicher lintellegibile e il falso si far, di
riflesso, contenitore impossibile dellassurdo, dellimpensabile, delleteroclito9.
A proposito della questione della vista e dellassurdo, sarebbe interessante leggere insieme
due riferimenti preziosi e, per cos dire, collaterali che Foucault dedica rispettivamente a Borges e a
Magritte. Sono gli anni della stesura di Le parole e le cose (1966), allorquando Foucault si
avventura nella produzione di quelloggetto composito ed eterogeneo che, tuttavia, definisce
episteme. Scrivo tuttavia, per la grossa forzatura in cui si ricade quando si tenta di definire,
concettualizzare, ordinare con evidenza lopera foucaultiana. Lossimoro sempre in agguato


8 FOUCAULT M., Lezioni sulla volont di sapere, p. 29.
9
ID., Le parole e le cose, p. 7.
quando si tratta di Foucault, specie nei passaggi allusivi allatopica spazialit della sua episteme.
Ma, allorch il linguaggio trattatistico e la parola ordinata si riducano ad afasici narratori di una
realt troppo complessa, non v da temere. Foucault, infaticabile naufrago dellinterdisciplinariet,
ci invita a interpellare, senza remore, larte e la letteratura, la dissacrazione e il paradosso. Come ha
scritto Georges Canguilhem: Per intravedere lepisteme stato necessario uscire da una scienza e
dalla storia di una scienza, stato necessario sfidare la specializzazione degli specialisti e tentare di
diventare uno specialista non della generalit ma dellinterregionalit10. Interregionale , difatti, il
modus attraverso il quale serpeggiano, qua e l, le ricerche foucaultiane; ora interessate alla pittura,
ora alla geologia, ora alla letteratura, ora alla verit. Le continue contaminazioni, la predilezione
dellarcheologo per i testi originali, la problematicit ininterrottamente schiusa dalle questioni
sollevate da Foucault, ci domandano: da un lato, lo sforzo di unapertura e, dallaltro,
unesposizione psicofisica e personalissima al pericolo della mescolanza. Cos Foucault scrive:
Questo libro [Le parole e le cose] nasce da un testo di Borges: dal riso che la sua lettura provoca,
scombussolando tutte le familiarit del pensiero [] facendo vacillare e rendendo a lungo inquieta
la nostra pratica millenaria del Medesimo e dellaltro11.
Nel breve articolo di Borges compare, in elenco, una tassonomia zoologica appartenente ad
unenciclopedia cinese che sintitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli12. Spiccano, tra gli
altri: gli animali appartenenti allimperatore, quelli addomesticati, i cani di libert, le sirene, gli
innumerevoli e - ancora - quelli disegnati con un pennello finissimo di cammello, gli et caetera e
quelli che da lontano sembrano mosche. Una classificazione simile fa immediatamente ridere; s
bizzarra, illogica e paradossale ma, nonostante le sue stramberie, se ne sta tranquilla in un elenco
ordinato per lettere progressive (a, b, c, d). La descrizione fantasiosa degli animali elencati non
sta nella favolosit cui rimandano; la vera anomalia non consiste tanto nell'incapacit di disegnare
su un foglio bianco le sirene o gli animali appartenenti allimperatore, quanto piuttosto
nellimpossibilit di una loro giustapposizione. Foucault scrive: Ci che impossibile non la
vicinanza delle cose, ma il sito medesimo in cui potrebbero convivere13. Chiaramente, le assurdit
emerse dal testo di Borges, fanno breccia diretta nel cuore del mio discorso: limposizione arbitraria
del postulato e la natura affatto utopica della metafisica. La necessit di fissare un presupposto
nasce, in realt, da unignoranza sostanziale che da intendersi in questo caso quale mancanza.
Borges, in termini schiettamente cosmologici, scrive: Non c classificazione delluniverso che
non sia arbitraria e congetturale. La ragione molto semplice: non sappiamo che cosa
luniverso 14 . La tassonomia paradossale di Borges, nella semplice ripresa dellenumerazione
alfabetica, imbarazza e perturba tutte le familiarit del nostro pensiero, svelandone i limiti e le
ostinazioni. Il testo di Borges, per, non si limita a mostrare laltra estremit del congruo e
dellarmonia; al contrario, lascia emergere il disordine che fa scintillare i frammenti di un gran
numero di ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, delleteroclito15.
Altrettanto eterotopo e sconfessato il varco schiuso dallopera di Magritte, Questo non
una pipa, cui Foucault dedica lomonimo pamphlet. Lopera di Magritte, a prima vista, somiglia a
una pagina presa da un manuale di botanica16 in cui limmagine serve ad illustrare ci che la

10
CANGUILHEM G., nel saggio Morte dell'uomo o estinzione del cogito? (Da Le parole e le cose, p. 428)
11 FOUCAULT M., Le parole e le cose, p. 6.
12 BORGES L., Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 2002, p. 104.
13
FOUCAULT M., Le parole e le cose, p. 6.
14
BORGES L., Altre inquisizioni, p. 105.
15
FOUCAULT M., Le parole e le cose, p. 6.
16
ID., Questo non una pipa, SE, Milano 1988, p. 16.
didascalia descrive; o, ancora, riporta alla mente un calligramma scomposto: costruito
segretamente da Magritte, poi disfatto con cura17. La stranezza pi immediata non sta, come si
pensa, nella contraddizione tra la proposizione e limmagine; tecnicamente - ci fa notare Foucault -
soltanto un enunciato potrebbe contraddire un altro enunciato. Lelemento sorprendente che si cela
dietro lopera del surrealista consiste, piuttosto, in una denuncia del pensiero abitudinario, in una
beffa del linguaggio logico. Siamo cos abituati a considerare larte nella sua funzione pi classica
da pensare, ostinatamente, che dipingere significhi affermare. Siamo cos profondamente invischiati
nelle dinamiche identitarie, da non poter fare a meno di condurre la verosimiglianza della pipa
disegnata allaffermazione sottostante. Quella frase devessere una didascalia cos come, secondo la
logica tradizionale, A necessariamente uguale ad A. Il calligramma [...] una tautologia18 cos
com tautologico sussumere tutto il reale sotto il principio di non contraddizione. Sia il
calligramma che lidentit tendono verso uno scopo comune: lintellegibilit del senso, luniformit
del significato. Per giungere a tale omogeneit semantica ricorrono a due strumenti simili: da un
lato, il calligramma ripete le stesse cose due volte - ora nei caratteri tipografici ora sotto forma di
disegno; dallaltro, il meccanismo identitario assimila due elementi differenti, rendendoli portatori
di un senso unico, solo in virt della loro verosimiglianza.
Magritte, riprendendo il gioco del calligramma, raddoppia il paradosso: si prende la briga di
nominare ci che, evidentemente, non ha bisogno di spiegazioni soltanto per negare, in ultimo, ogni
evidenza possibile. Se per, il calligramma risolve la sua ambiguit con una semplice esclusione -
cio, non dicendo e non rappresentando mai nello stesso momento la stessa cosa - nella Pipa di
Magritte piuttosto che escludere, si raddoppiano le posizioni. La forma dellimmagine attraverso la
sua semplicit lascia dire ironicamente al testo ci che desidera; il testo - disegnato, tra laltro, con
gli stessi tratti dellimmagine soprastante - rivendica la propria autonomia da ci che nomina19.
Le possibili connessioni tra il disegno e lenunciato introducono in una spirale di significati
possibili e, allo stesso tempo, vanificano sardonicamente la ricerca di un significato unico. In effetti,
la critica sottilissima contenuta nellopera di Magritte, rivolta allassociazione forzata tra il
designare e il disegnare, tra il nominare e lillustrare; lartista belga ci pone dinanzi agli effetti
paradossali dellostinazione, tutta occidentale, di identificare a tutti i costi. Cos, scrive Foucault:
Magritte ha riaperto la trappola che il calligramma aveva chiuso, ha restaurato lo spazio bianco
che divideva limmagine dalla sua didascalia, ha riaperto quellinterstizio per riconsegnarcelo sotto
forma di vuoto. Cosa c tra le parole e le cose? E ancora, estendendo la questione del surrealista
alla logica tradizionale: se il disegno della Pipa (A) non il segno tipografico della pipa (B), cosa si
annida tra A e B? Ci risponde Foucault: Nella striscetta sottile, incolore e neutra che separa il testo
e la figura, bisogna vedere un vuoto, una regione incerta; [...] unassenza di spazio, una
cancellazione del luogo comune tra i segni della scrittura e le linee dellimmagine. [...] Quella pipa
dombra definitivamente scomparsa. Una scomparsa che, [...] il testo constata con divertimento:
questo non una pipa20. Il tipo di riso cui conduce lopera di Magritte, alla stregua di quello
suscitato da Borges, procura un certo malessere. Non si ride del sistema metafisico e della
tautologia per beffeggiarli, ma per rilevare i paradossi culturali, le trappole logiche in cui il soggetto
metafisico tiene imprigionato da tempo immemore se stesso.


17
Questo non una pipa, p. 17.
18
Ivi, p. 27.
19
Ivi, p. 33.
20
Ivi, p 40.
Bibliografia

JORGE LUIS BORGES, Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 2002.


MICHEL FOUCAULT, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 2015.
ID., Questo non una pipa, SE, Milano 1988.
ID., Lezioni sulla volont di sapere, Feltrinelli, Milano 2015.
ID., Del governo dei viventi, Feltrinelli, Milano 2014.

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