Ottone Sponza - Carlo D’ Agostino
. MISTER BRIDGE
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= Magg. Pilota Med. d'Oro al V.M. MASSIMILIANO ERASI
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G. Di Matco Edi
Gabriele Di Marco Editore s.n.c.MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE
Motivazione:
"“Abile pilota, valoroso combattente, esemplare comandante, dava continue fu-
‘minose prove delle pi clevate vied militar esponendosi sempre oltre il dovere
nelle pit audaci e rischiose azioni di siluramento, Dopo l'armistizio si vorava
tuto alla rinasita dell’ Arma cui era tenacemente avvinto da solida fedelta e da
illimitata passione. In una importante azione di bombardamento su di una mu-
nita base cost era germanica, persisteva come sempre nella guida della sua for-
‘mazione, fea le fitte maglie dell reazione avversariaviolenta e precisa. Colpito
in pieno, preripicava in fiamme con il proprio equipaggio, dinanzi alle prore
dei gregari,infrangendosi conto il sacto suolo conteso delia Pata
Gielo dell’ Aaviatico 18-11-1944 - 212-1945|
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Comandante dei *‘Waimoe’
GGueca di liberaione 143-1945
Prefazione
Nei momenti di sosta nel mio quotidiano lavoro, se mi soffermo
a passare in rivista i ricordi del passato, con insistente ricorrenza mi
balza davamti agli occhi la figura del Maggiore pilota Massimiliano
ERASI, uno dei pitt puri, dei pid nobili, dei pit coraggiosi combat-
tenti della seconda guerra mondiale,
Il libro della Storia d’Italia ha pagine stupende di gloria e di sa-
crificio dei militari italiani. Fra coloro che con le loro gesta ardimen-
tose consacrarono alla storia il validissimo contributo alla afferma-
zione dei valori morali e spirituali nel campo dell’ Aviazione, trova la
sua collocazione il Magg. Erasi, medaglia d’oro al Valor Militare, de-
ceduto in una azione di bombardamento il 21 febbraio 1945.
Bene ha fatto l'amico Sponza a tratteggiare nel suo libro la figu-
ra di Erasi, inquadrandola soprattutto nell attivita che egli svolse nel-
la specialita aerosiluranti, sorta durante la seconda guerra mondiale.
Nelle vicende della specialita, fin dagli inizi egli si rivel® un insupera-
bile protagonista per coraggio ed abilité, esponendosi oltre il dovere
nelle piit audaci ¢ rischiose azioni di aerosiluramento.
‘Memorabili sono rimaste due sue azioni effettuate dall’ottobre al
dicembre 1940, in un periodo in cui la Regia Aeronautica stava anco-
ra sperimentando le tattiche d’impiego dell’aerosituramento da cui
sarebbero cerivate le direttive ai Reparti. Attuando modalita da ma-
nuale, frutto della sua viva intelligenza nel valutare le situazioni e del-
la sua partizolare tenacia, il 14 ottobre 1940 danneggiava gravemente
un incrocia:ore inglese nel Mediterraneo orientale, e cinquanta giorni
dopo, un secondo nella baia di Suda dell’Isola di Creta.
Le sue eroiche spericolate azioni fecero giustamente di lui un mi-
to, riconosciuto da tutti coloro che ne apprezzavano Ie alte doti di
aviatore combattente
Ebbi le fortuna di avere alle dipendenze il Magg. Erasi al 1° Nu-
cleo Addestramento Acrosiluranti che avevo creato sull’aeroporto di
Gorizia e ne potei compiutamente valutare la capacita di validissimo
collaboratore anche nelle tante sperimentazioni diurne e notturne fat-
te insieme sui velivoli nelle tattiche d’impiego.
Nella rarticolare attivita di istruttore riscosse 'ammirazione e la
gratitudine degli allievi per le sue doti di animatore, per la non comu-
ne capacita professionale e per il prestigio che gli derivava dalle vitto-
riose azioni compiute.
‘Tornato successivamente in linea al Comando del 41° Gruppo
Acrosiluranti continud Ia sua intensa attivita fino all’armistizio. Do-
po I’8 settembre 1943 porto in salvo il Gruppo in Sardegna; assunto
poi il Comando del nuovo 132° Gruppo formatosi con i piloti che
ayevano po-uto portarsi al sud e con i velivoli bombardieti amerieani
“Baltimore”, svolse intensa attivita contro i tedeschi nei Balcani,dando sempre prove di coraggio e di spirito di sacrificio.
11 21 febbraio 1945 alla guida del suo Reparto durante un bom-
bardamento a bassa quota su basi nemiche nei pressi di Pola veniva
abbattuto dalla contraerea tedesca. Per tanto infausto destino, quan-
do siera ormai all’epilogo della guerra, il Magg. Erasi concludeva co-
si la sua eroica esistenza tutta dedicata alla vocazione del volo facen-
do rifulgere le sue eccelse doti in tante imprese che diedero rinnovato
lustro all’ Arma del cielo.
I dipendenti, i colleghi, i superiori mantengono tuttora viva nel
‘cuore la memoria delle sue gesta. Sono certo che questo libro ravvi-
vandone il ricordo contribuira a trasmettere idealmente la fiaccola del
suo valore nelle salde mani degli aviatori di oggi, che illuminati dal
fulgore di tanti magnanimi esempi saranno sempre pronti all’occor-
renza, ad imitarne le gesta nel nome della Patria immortale.
Gen. Carlo UNIA
CAPITOLO PRIMO
L’abbattimento
Nella maitina inoltrata del 21 febbraio 1945, sul Canale d’Ar-
sa‘? ¢ nel cielo di Albona, una formazione di Martin “Baltimore”
sta puntando uno degli obiettivi pid vitali per industria germanica:
bacino carbonifero dell’Arsa d’Istria.
Si cratta di una missione di bombardamento che il Comando Al-
leato della **Balkan Air Force’” ha assegnato, per precisione di tiro,
all’Aeronautica italiana cobelligerante che comunque ha mantenuto
Ja sua denominazine di ‘Regia Aeronautica” ed ha assunto come in-
segna di riconoscimento la leggendaria “‘coccarda tricolore”’, gia por-
tata sugli aerei della 1* Guerra Mondiale
E il gruppo di “Mister Bridge”’ con i suoi temerari 12 “‘Baltimo-
re”"@); il 132° Gruppo B.T. (Bombardamento Terrestre), forte della
256% e della 281* Squadriglia.
Il compito assegnato al capoformazione é quello di colpire i de-
positi ele banchine di carico del carbone, nonché le attrezzature delle
miniere d’Arsa, dalle quali la Germania ricava il combustibile per ali-
mentare la sua fabbrica bellica, senza perd colpire - nei limiti del pos-
sibile - la popolazione civile che é italiana.
Sono ormai diversi mesi che il 132° gruppo B.T. formante assie-
me al 28° Gruppo B.T. (con la 19° e 260" Squadriglia) lo “Stormo
Baltimore” italiano, bombarda punti nevralgici della ‘*Webr-
macht”, con particolare accanimento verso ponti, nodi ferro
serie, posti di controllo e di blocco della penisola sud-balcanica, per
tagliare i rifornimenti ed i collegamenti, colpendo anche concentra-
menti di truppe e mezzi corazzati, in appoggio alle bande partigiane
di Tito.
In genere la reazione nemica & ridotta all’intervento di qualche
sporadica pattuglia di caccia - nelle zone piu strategiche - ed alla onni-
presente “Flak” germanica, pitt 0 meno in forze, costituente quel
complesso di batterie contraeree semoventi, che dall'inizio del conflit-
to hanno formato il supporto pid valido e temibile dell” Arma tedesca.
Le banchine ed i moli di attracco del porto carbonifero dell’ Arsa
crano gia stati meta di una precedente azione di bombardamento -
giorno prima - da parte del 132° Gruppo, ma solo quattro “‘Baltimo-
re”, al comando del Cap. Giulio Cesare Graziani, avevano raggiunto
Vobiettivo per accusate noie ai motori in volo - pitt 0 meno giustifica-
te - degli altri equipaggi.Scarso ¢ deludente, quindi, il risultato, ma si era constatato che
la reazione contraerea era stata quasi nulla per mancanza della
“Flak” e che la temuta caccia non era intervenuta.
Si era pensato, allora, che per maggiore precisione di tiro era
possibile attaccare da una quota pitt bassa dei 3000 metri, dove ora
volavano i *“Baltimore” di Massimiliano Erasi
Perd, proprio quel primo bombardamento della zona - chiara-
mente individuato - aveva consigliato il Comando tedesco della piaz-
zaforte di Pola di proteggere ¢ potenziare la zona quindi ora due
batterie da ‘*88"” del 281° Gruppo Pesante della “Flak’” erano state
sistemate in localita ““Medolino””.
La formazione dei 12 ‘“Baltimore” al comando del Maggiore pi-
Jota Massimiliano Erasi, Comandante del 132° Gruppo B.T...¢ in vo-
lo sull obiettivo e segue a quota pit bassa (circa 1500 metri) un Grup-
po “Bomber” Sudafricano, che impiega bimotori “Morauder’” ¢ che
si trova sui 3000 metri di quota convenuta.
Da terra si scatena violentissima una reazione contraerea che co-
stringe il Comandante Erasi ad una forte cabrata per guadagnare quo-
ta, ma la vicinanza dell’obiettivo lo costringe — per il puntamento —
ad entrare in una bufera di esplosioni che martellano con centinaia di
schegge i velivoli, mentre anche i proiettili squarciano gli aerei, semi-
nando morte allinterno.
Polvere ed acre odore di cordite attanagliano la gola degli equi-
paggi e bruciano gli occhi, che lacrimano nella contratta volonta di
colpire — immobili per quota e direzione — il bersaglio.
Sganciano tutti ad imitazione del Capoformazione ma, improwvisa-
mente — attoniti — lo vedono impuntarsi in cielo, colpito in pieno da
una cannonata tra la cabina ed il motore sinistro e — in fiamme — sali-
reancora come torcia ardente ¢ poi . . . , in un sussulto, come ultimo
respiro, picchiare follemente in una cometa di fumo e fiamme sul suo-
Jo dell'Istria :
Un figlio integerrimo della popolazione “redenta’” si ¢ immolato
per la sua Patria: Italia. Con Lui si sacrifica, in morte gloriosa, l'in-
tero equipaggio costituito: dal Sottotenente Stelio Di Stefano, naviga-
tore e puntatore; dal Sergente Maggiore Felice Siamanini, marconi-
sta; e dal Sergente Costantino De Rossi, armiere. :
Alrientro dall’azione risulteranno gravemente colpiti altri sei ve-
livoli della formazione “Baltimore” che stentatamente, quasi zoppi-
cando, riusciranno a rientrare alla Base di Campomarino, alle foci del
fiume Biferno nel mare Adriatico, in provincia di Campobasso.
Trova cosi invitta morte uno dei pit valorosi dei Reparti
di Bombardamento e Acrosiluramento: il Maggiore Pilota Massimi-
liano Erasi, al quale viene conferita “‘alla Memoria” la Medaglia
@’Oro al Valor Militare, massima ricompensa in guerra al combatten-
te italiano, con una motivazione che tra Ialtro afferma: “dopo l’Ar-
mistizio dell’8 settembre 1943 si votava tutto alla rinascita dell’ Arma
cui era tenacemente avvinto da solida fedelta ¢ da illimitata pas-
sione”.
Medaglia d’Oro che coronava le tre Medaglie d’Argento ed una
di Bronzo al Valor Militare e Promozioni per Merito di Guerra (in ve-
rita forse poche peril suo glorioso passato di combattente), che Mas-
imiliano Erasi aveva conseguito gia nella Guerra di Spagna e nel cor-
so della 2* Guerra Mondiale quale appartenente come subalterno pri-
‘ma e poi da Comandante di Squadriglie e Gruppi di Bombardamento
€ Aerosiluramento.
Ora i suoi resti e quelli del suo equipaggio giacciono forse sepolti
“Innominati’” nella terra del Cimitero di Albona, nello scomparto
dedicato ai “palin za slobodu’” (caduti per la Ibert), dove sono rac-
colte tutte le salme di combattenti ignoti, non individuabili, di coloro
che caddero con fede per la liberta e la democrazia®,
Particolare luce assume questa azione bellica del Comandante
“Max’” (cosi era chiamato dagli amici Massimiliano Erasi) se si esa-
minano brevemente i precedenti di questo pilota nato nel retroterra
di queste zone di confine, nel paesino di Bagni di Lusnizza®), sulla
statale tra Pontebba e Tarvisio.
Era stato stipulato un tacito accordo tra il Comando Alleato ¢
la nuova “Regia Aeronautica”? che mai bombardier’ italiani sarebbe-
ro stati impiegati per compiere azioni belliche sul terrritorio naziona-
le, senza chiedere ed ottenere preventiva accettazione di volontariato,
€ tale accordo venne sempre rispettato dalla ‘Balkan Air Force".
Ritenendo necessario indebolire ancor di pitt Pindustria bellica
tedesca nella estrazione della materia prima, il carbone, senza perd
arrecare alcun danno alla popolazione del luogo, il Comando del
254° Wing (unita aerea britannica), prima di impiegare i bombardieri
coi propri equipaggi, aveva chiesto allo Stormo Baltimore italiano, ed
in particolare al Comandante Erasi, di centrare quegli obiettivi.
La precisione di tiro del Comandante Erasi e del suo 132° Grup-
po nel colpire nodi ferroviari, obiettivi di superficie ridotta e soprat-
tutto pont, era ormai nota ed acquisita, tanto che qualche tempo pri-
ma proprioil Comandante del 254° Wing, dopo che il Gruppo di Era-
si era riuscito - al primo sgancio - a demolire un ponte di importanza
vitale e quindi ben difeso dalla contraerea e che invece i suoi bombar-
dieri, dopo ripetuti attacchi, non erano riusciti nemmeno a scalfire,
al “break” finale lo aveva salutato con voce ammirata: “‘oh, mister
Bridge!” ¢ tale soprannome, che voleva significare il “‘signore del
ponte”, gli rimase come giusto riconoscimento ed ornamento per la
precisione nel colpire i bersagli.
Inoltre, la conformazione collinosa-montagnosa attorno all’obiet-
tivo, con pzesotti ¢ case sparse a mare, in pianura e sui dorsi che rac-
chiudono il canale d”Arsa, rendeva difficile centrare solo le banchine10
ed i moli dei porti che si trovavano al centro ¢ sul fondo del lungo
e tortuoso canale; solo un’alta precisione di tiro avrebbe potuto salva-
re da molti danni gli abitanti della zona.
‘Non vi é dubbio che la massima precisione di tiro in caduta si ot-
tiene portandosi sul bersaglio a quota di sgancio minima, per quanto
permetta il tipo di bombe impiegate, e che la rosa delle esplosioni nel-
bombardamento simultaneo in formazione il pitt stretta possibile si
concentra cosi su limitata superficie con massimo risultato, ma vi &
anche matematica certezza che a bassa quota la contraerea é micidiale
ed in particolar modo contro un gruppo di aerei che volano ala contro
ala, come i “Baltimore” di Erasi.
Ecco perché il 132° Gruppo il 20 febbraio — assente il Coman-
dante Erasi perché impegnato altrove — con equipaggi quasi coartati
per tema di colpire abitazioni italiane ebbe solo quattro velivoli sul-
Pobiettivo . . . e quindi non consegui risultati degni di particolare ri-
lievo.
Solo il giorno seguente — il 21 febbraio — dopo uno stringato
discorso da parte del Comandante Erasi rientrato al comando, sul do-
vere del soldato e la promessa che li avrebbe portati a colpire solo ber-
sagli militari, il 132° Gruppo “Baltimore” si port completo dei suoi
dodici aerei all’attacco da 1500 metri di quota, ben conscio che, cosi
facendo, avrebbe avuto la certezza di colpire solo bersagli militari ¢
non civili; duro fu lo scotto e si immold . . .
Centrd Pobiettivo, dimostrando a tutti i combattenti quale era lo
spirito di olocausto del Pilota italiano ¢ dei “Baltimore” di “Mister
Bridge”, pronti a sacrificarsi sull’altare della Patria: la nostra ITALIA!
NOTE AL CAPITOLO PRIMO
1) Canale d’Arsa — similead un fordo nordico, tortuoso, ungo 15 cilometie largo in media
1 km, incasato ale spande roscose alte ebrulle,praticable anehe da navi di grande tonneliag-
ao, penetra a suseent nll penisoa ed lo sboeto naturale dl bacno earborico del Istria
Ii canale termina con i batsifond di Val Peoco: un canal arifiialerstretussimo attraversa
la suddeta valle in dreione nord emett in somnicazione i Canal d"Arsa poplamente det
1 con it ago Valle Carpano nel cuore del bacino carbonifero.
Sulla sponda orientale de ultimo tattodel Canale d’ Ars si rovano il porticiolo di Traghetio
{Ars (circa 300 abitant) ed il centro principale del Canale di Vakivagna dove sono sitet
4 impianti maggioe peri carico automa
‘K nordest della Val Beocio, quasi al pedi del crnale dela sponda orientale, a 320 met sul
‘mare, si rova Albong con isuoi 11600 abitan, importante peri suoigiacimenti di bauxite,
mana e carbon fore.
2) Marin “Baltimore” M. 187, ultimo velivolo da bombardamento in dotazion al’ Aero
nautica Miltare talana,assegnatoc dagi Aleati nel novembre del 1944: bombardiere leegero
‘di costrurione USA (la desinazione USAF lo indica quale A. 30) ma impiegato dalla RAF ine
ilse; bimotore, monoderiva, ad ala basa, costruzione metallica; quattro uomiai d'equipagsio;
‘motor adil ezionani lice trpale metalic, con una velcit masima di 485 km/h ea
tonomia di 1500 km; capita dicrico 1,000 kg: armato con mitragatric. Apertura alae m
1,59" anghezsa m,14,80 peso totale kg 10883,
53) ILGen. D.A., Tullio De Prato di Dignano d'stia (erra dei “umber” fei pacsani -
com chiamatidalVimperatore Ausra nl vedere constatarne la gagliarda prestanza)pochi
‘mesi prima della sua prematura mort, aveva accompagnato la N.D. Valentin, Vedova di Era:
si, al Cimitero i Altona dove trate Parroco ed anzini pacsan locale rusia re
ture Parione di bombardamento del 21 febbrao 1935 ¢ ad avere conferma ce Forse fe
innominati" I sepolti- anche se non rsuavano nel Registro delle inumarion- verano anche
i componenti dell equipaggio Eras
| rest delequinaggio di un aeceo americano, abbattuto ella stessa zona pio meno nell tes
$0 petiodo,erao sta invece immediatamenierecuperal al termine dl conf dal Aetonsu
ica deal Sati Unit
eapo- partisiano locale si meravigiava, inolte, del tard intervento del Gea. De Prato, pro-
metiendo di esere disponibile per qualsias! noranza o ricerca si voleste fate
111° Cap. Pil, Otlone Sponza de Rovign, presente alla mesa cerimonia dela preghlra e poss
diana eroce fats con rami dalla e lvoe ck due lumini votivi acces sulla prende last
‘i marmo del'Atare, compose nel dolore sulla presunta tombe delequipaggio Erasi, questa
‘ode: "Ho rubato /al Cimitero di Albona / un pugio di terra / per PAlare della Patria, //
alla Tua tombs / dalle Tombe del Tuo equipagsio / nel campo dei Cad per la Libert = pall
tna za slobodu// Amaro olocausto Pesser stati abbattu!/ esepolti su italic terra / che la
""Libert” or fa /a nol sania... //"Una eroce / allo ¢ dive / con de mini acest
7 sono stat il sostro dolorosa ricardo.”
1 professor Bepl Nider, a seguito dll publicazione del 1° captolo di “Mister Bridge” sul
‘mensile def AVazionelialiana “AERONAUTICA”, quale testimone in loco dell'abbatimento
{per sussegueniierche, dubita di questa sepoltrae suppone che i resi potrebbero essere an
‘he sta trasurat in Kalla — a Barl-~ rat vents cadaver resituid da Tito. Ino, dal sto
aeconto,dallo schizo planimetrico dalla quasintgrta dele strutture del “Baltimore” st
to del fume Arsa,possamo suppore che Frasi bench, senza alcun dubbio gravemente fer
(6, in un titanico sforzo sia iuscito a compere un sorprendenteattrragso di fortuna, sna
farell.. «0, data la direttrice di volo ele poche desine di met di distanza dalle banchine
Gi carico del carbone, abbiatenato, in un supremo olgcausto, di colpee ancora!
4) Bagn di Lusnizaa pacsoto termale i circa 200 abitanti, a crea $ km dal capoluogo co-
smunale di Malborghetto, Provincia di Udine.ADRIATICO-COSTA ORIENTALE
QUARNARO
Scala di 1:80.00
CAPITOLO SECONDO
Testimonianze da terra sull’abbattimento.
“L’Arena di Pola”
L’esimio letterato e poeta professor Giuseppe Nider, ““Bepi”” per
gli amici, nativo di Rovigno d’Istria ed ora profugo a Roma, narrd
in cinque pentate, sul settimanale “*L’ Arena di Pola” in esilio a Gori-
zia, la sua testimonianza oculare sull’abbattimento del velivolo ¢ la
sua pietosa partecipazione assieme ad alcuni paesani che, con rischio
personale, provvidero al recupero delle salme dell’equipaggio Erasi
ed alla loro cristiana sepoltura nel lontano febbraio-marzo 1945.
II signor Sergio Cionci, sempre su “L’ Arena di Pola” del 13 feb-
braio 1982, precisd successivamente all’amico Bepi Nider quale fu
Pattivita bellica dello ‘Stormo Baltimore” e quali le batterie, da chi
addestrate ¢ quali le reti di avvistamento, strumenti di rilevamento e
punterie che contribuirono a colpire ben duramente tutto il 132°
Gruppo “Baltimore’’, abbattendo in fiamme il Capoformazione.
Racconta Bepi Nider, in forma un po’ romanzata, ma precisa an-
che nei minimi particolari
“La giornata si annunciava splendida in quel 21 febbraio 1945.
Abitavo nell’edificio scolastico di Arsia. La casa non faceva parte del
complesso di Arsia: era al di la della strada maestra, quasi incastrata
tra due colline rocciose e cespugliose, formanti un canalone che si
perdeva, stretto e scosceso, verso il villaggio di San Bortolo. Poco pri-
ma delle 13, dunque, di quel tale giorno arrivai a casa per mangiare
con buon appetito cid che avrebbe passato il convento. Stavamo per
metterci a tavola quando P’urlo lacerante delle sirene d’allarme ci fece
correre tutti alle finestre: suoceri, una mia futura cognatina, mia mo-
alie ¢ il mio bambino di quattro anni, che allontanai immediamente.
“Ma no i podaria vignir de note”, brontolava mio suocero. Erano i
soliti, con il oro cerchio tricolore e la loro lentezza. La contraerea era
gid in azione, Un fuoco d’inferno ! E noi a seguire con il cuore in gola
Ie acrobatiche evoluzioni degli aerei che parevano dei poveri ucce
terrorizzati, incapaci di-uscire dal cerchio di fuoco di cacciatori im-
pazziti. Vecemmo un apparecchio allontanarsi verso il Quarnaro |
sciandosi dietro una scia di fumo e poi ancora un altro ed un altro
ancora . . . improvisamente una fiammata sul muso del grande uc~
cello pitt basso. Vidi volare nell’aria dei pezzi di qualcosa, non gran-
di. Sentii mia cognata mormorare “anca lori ga una mama’. La
‘guardai: si faceva la croce. Gli altri intorno a me erano pallidissimi4
€ dovevo esserlo anch’io. L’aereo non piombé dal cielo come un fal-
co. Ebbi la sensazione che la, tra quelle lingue di fuoco, qualcuno ten-
tasse disperatamente di controllarlo, di tenerlo dritto. Piegd sull’ala
sinistra poi sbandd a destra e scomparve dietro il dosso della collina.
Attesi, non percepii né schianti né scoppi. Il perché l’avrei saputo pit
tardi. Mentre la contraerea continuava a sparare rabbiosamente, uscii
di corsa da casa; attraversai la via maestra; presi per la piazza; entrai
nel municipio per uscirne dalla parte posteriore e piombai nella far-
macia del dott. Francesco Pilla, triestino, 'uomo pit astuto che abbia
conosciuto in vita mia. Basso, grasso, pappagorgia flaccida; pochi ca-
pelli candidi intorno al cranio; occhi sporgenti, abituati a scrutare a
Tungo il volto delle persone senza manifestare alcun sentimento; boc-
ca completamente sdentata salvo che per due canini, eippi della ri
membranza, tra i quali, a volte lento a volte a velocita incredibile, a
seconda dell’ umore dell’'uomo, si spostava un bocchino da pochi sol-
di, di quelli di sughero, nel quale era eternamente infilata una mezza
sigaretta. Era sulla settantina e forse pit. Trattava con estrema natu-
ralezza sette lingue tra cui il croato, il tedesco, il turco. Nemico giura-
to di ogni forma di dittatura, “‘sognava”’ la liberta ed aiutava con
ogni mezzo tutti coloro che “‘credeva”” combattessero per questo so-
gno. Quante congiure in quel retrobottega e quante chiacchiere
quante speranze! II Pilla, se ben ricordo, era giunto ad Arsia nell’ot-
tobre del ’43 per sostituire nella conduzione della farmacia il titolare
dott. Vasari che, profondamente scosso per gli orrori accaduti in
Istria dall’otto settembre in poi, era partito per Trieste.
I farmacista Pilla, con diabolica abilita aveva saputo in breve la-
vorarsi le autorita civili e militari di Arsia, primo fra tutti il salisbur-
ghese dr. Roland Buchs, commissario per le miniere, seguito dall’ing.
Santo - Passo della Todt (il nome non tragga in inganno: tedesco fino
al midollo per lingua e per metodo), tanto che, a fine agosto del "44,
era stato nominato Biirgermeister, sindaco ! Se i tedeschi avessero
scoperto quello che combinava alle loro spalle, e servendosi abilmente
di loro, lo avrebbero fatto a pezzi sulla publica piazza. Piombai,
dungue, in farmacia. Il bocehino di Pilla volava tra i canini con velo-
cit mai vista, mentre dalla bocca insalivata si sgranava un irrepetibile
rosario di parolacce in tutte le lingue dell’universo, alternate da com-
ment .
— Salve, Francesco.
— Ah, salve si ! Ma come se manda quei poveri ragazi a morir
in quele cariole . . .
— A mi ti me dighi?
—.. . . perché quei no xe reoplani, xe le cariole dei nostri scova-
Zini ! Reoplani de scarto e piloti italiani de lusso ! Ti capissi?
Francesco, ti eredi che.
— Cossa devo creder in sto momento? No so gnente, come ti. No
Jo go gnanca visto cascar! |
— Mi si, purtropo, e per questo son corso subito qua. Ti credi
cche se podarad gaver presto qualche notizia de quel.
— Da Zuccon? Quel xe un ragazo svelto e spero proprio. . . Pe-
19, se acroplano xe anda in fumo. . . ben, vedaremo. Adesso ande-
mo a magnar un bocon che xe quasi le tre. Cariole! E sti cruchi co
la contraerea, che ghe vegnissi un colpo. . . Passa de qua stasera.
Un po” prima delle 19, accompagnato da moglie e bambino, arri
vo in farmacia. Non c’era che lui intento a polverizzare in un mort
i marmo delle pasticche di sulfamidici per ricavarne, con ’aggiunta
di vasellina, unguento. Bisognava arrangiarsi ¢ Pilla sapeva farlo.
— Alora, Francesco?
— Qualeossa xe. Signora, lei la resti de qua con Raimondo che
noi andemo de la. Se vien qualchedun.
— La stia tranquillo.
Le cose erano andate cosi: l’aereo con la carlinga in fiamme era
caduto sulla sponda destra del fume. Fusoliera ed ali sollevate ma
non molto, muso nell’acqua e le fiamme si erano spente. Poco prima
dell"impatto, un componente dell’equipaggio si era lanciato nel vuoto
sperando di cadere nel fiume. Purtroppo il poveretto era piombato
sulla sponda sinistra ad un metro da quell’acqua che, forse, 'avrebbe
salvato. I tedeschi erano immediatamente accorsi e, mentre una squa-
dra si era diretta verso apparecchio estraendone due corpi caboniz-
zati e recaperando del materiale, tra cui il carburante rimasto nel ser-
batoio, zlcuni si erano portati presso il cadavere dello sfortunato
aviatore, Pavevano perquisito, gli avevano tolto documenti, piastri-
no, giubbotto € scarpe ¢ lo avevano seppellito sul posto, come ali al
tri, Il nostro informatore era riuscito a leggere alcuni appunti tracciati
dal morto su un notes. Ricordava un nome: Paladino o Paladini Gio-
vanni; ed un indirizzo: via del Babbuino 24, Roma; su un’altra pagi-
na, una breve nota: domani vado in licenza . . . Era tutto,
— Cos’ te par, Bepi?
—Mah . . . de concreto gavemo: un nome ¢ un indirizzo seritti
non su lz copertina, ma su la pagina de un notes. Questo vol dir che
el nome no xe de quel povero diavolo che se ga buta dal’aparechio,
ma de qualche amico, de qualche parente, de qualche colega; in pit
savemo che a bordo i iera in tre.
— Za; ma no dimentichemose de I'aeroplan, brusi solo davan-
ti... poderghe dar un’ociada dentro . . . forse i gnochi ga dimen-
tica qualoossa e po” el morto, quel che i ga spoia, se se podessi veder-
gh el viso, osservarlo ben .
— Ma, Francesco, ti sa cossa che ti disi? .
— So quel che digo e me rendo anche conto de le dificolta, ma
quei xe italiani come noi e . . . Bepi, no basta darghe un’ociada a
quel: bisogna dissoterar tuti tre, meterli in cassa e sepelirli come cri-
stiani. Ti capissi?
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Pilla mi fissava con quei suoi occhi tondi nei quali non leggevo
se non Vattesa d’una risposta. Per un momento pensai ad un povero
rospo, che non fa male a nessuno, ma che suscita repulsione, ribrez-
zo, che la gente scansa, quando non lo tormenta o non uccide. Pove-
ro Francesco! Se avesse immaginato quello che pensavo mi avrebbe
searaventato addosso il mortaio che aveva ripreso in mano e il pestel-
lo, in movimento a maciullare pasticche di sulfamidici. Il pestello era
la guerra e le pasticche milioni milioni milioni di uomini maciullati nel
crogiolo della follia. Chi pensava alla loro sepoltura, al loro ricono-
scimento? I pid, eroi senza piastrino, eroi senza medaglia, come dice-
va una vecchia canzone dedicata al Milite Ignoto, Certo, quei tre po-
verini la, vicino al fiume che, gonfiandosi un po’ . . .
— Ti me capissi, alora?
— Si, Francesco. Se i tedeschi da el permesso la roba non presen-
ta nessuna dificolta.
— E se no i lo da, li cavaremo de sconto!
— Dracordo.
— Alora, mentre mi come Biirgermeister vado a sintir che aria
che tira, ti provedi al resto.
— Mi provederd al resto con V’idea che i gnochi il permesso no
ine lo dia
Ci rimuginai durante la notte ¢ decisi di parlarne a Danieli. Lo
trovai, la mattina, nel magazzino del municipio. Senza fronzoli gli
raccontai ogni cosa come se parlassi con mio padre. Mi guardava dal
basso in alto sbattendo continuamente le palpebre.
— Occorrono subito tre bare ¢ tre croci, su una delle quali deve
essere in qualche modo inciso il nome di “Paladino Giovanni” in ma-
niera che, un domani, si possa sapere che la c’e quel poveretto che
é lanciato dall’aereo; qualche badile . . . il tutto da tener pronto in
magazzino in attesa di vedere come si metteranno le cose con i tede-
schi. . . Ah, un carro. Al momento opportuno cercheremo di farlo
arrivare fin dove comincia il boschetto; Ii ci sono canne alte e cespu-
gi...
— Ho eapito.
— Crede di poter prowvedere alle tante cose che le sto chiedendo?
pud fare.
— Bene. Per qualsiasi cosa lei sa dove trovarmi. Ora andiamo da
Paolo a farci un bicchierino, Sotto il banco qualcosa di buono per gli
amici lo trova sempre.
Ci sto.
Pilla era intrattabile e spesso introvabile. Non di rado nella far-
, lasciata aperta, la gente lo aspettava pazientemente. Forse sa-
eva e capiva. Il vecchio leone non riusciva a spuntarla, ma non mol-
lava. A fare le spese dei suoi sfoghi, delle sue recriminavioni era io
che, prima di ritirarmi a casa entro le 20, passavo da lui per le ultime
novita. Mi ero dato da fare per pescare altre notizic sull’aereo abbat-
tuto ed ero venuto a sapere d’una donna, che da mesi si aggirava per
Je campagne con la mente smarrita in cerca di un figlio che non avreb-
be trovato mai pil, la quale aveva assistito alla tragedia; aveva visto
Vaviatore lanciarsi nel vuoto ed era corsa la, dov’era caduto, € non
potendo prestargli alcun aiuto, gli aveva coperto il volto con un faz-
zoletto.
I giomi correvano. Danieli ed Antonini avevano preparato tutto
Le bare erano lucide ¢ lucide le croci. Una portava una targa d’ottone
con un nome “Paladino Giovanni’”. Tutto si trovava gia nel magazzi-
no municipale. Parlando con Danieli gli dissi che sarebbe stato bene
vere con noi un altro uomo. Ci pensd su e mi fece il nome del sordo-
muto Vattovaz. Lo conoscevo ¢ fui d’accordo.
‘Attesa snervante. “Pilla, novita?” — “‘Niente!”” Quanti pensieri
per la testa! Finalmente, il 2 marzo, Pilla mi mando a chiamare a
mezza mattina.
— Ghe la gavemo fata!
— Ti ghe la ga fata,
— No, ghe la gavemo fata 0. . . quasi
— *Quasi’” perché?
— El capitano Kraus me ga dito testualmente: “Noi non voglia-
‘mo sapere niente e niente deve sapere la popolazione, perché non vo-
, lagrime o altro, in caso contrario noi lo sapremo
— “Noi non vogtiamo sapere niente”, ti sa cossa che vol dir?
— Se so! Che xe stade costruide le bare la gente lo sa de sicuro;
ma quel che nissun sa e no savara xe “el quando””. Certo, se mentre
ve missiaré intorno al reoplan dovessi vignir da Pola qualche colona
de gnochi ¢ i ve vedessi . . . quei no pensa miga due volte.
— E quei de la contraerea dove ti li meti’
— Ghe go fato sta domanda a Kraus. El ga sta un momento a
pensar e po’, guardandome de sbiego, el me ga dito che gnanche la
contraerea no volara saver gnente.
— A sto punto, visto che nissun vol saver gnente, sa cossa te di-
g0? Bisogna ciapar el toro per i corni e ala svelta: andaremo doman
dopopranzo. Xe za passadi 10 giorni e no se pol spetar de pi. La ro-
‘ba, come che ti sa, la xe pronta e no xe che de portarla al boschetto,
col scuro, naturalmente. Per le fosse . . .
— Penso mi. A che ora ti credi che podara esser de ritorno?
— Visto quel che te ga dito Kraus, dovaremo tornar co le ombre
de la sera, se Dio ne iuta.
— A proposito de Dio, bisogna parlar col prete. Pensighe ti.
— E perché no ti ghe pensi ti?
— Beh . . . tisa, no? Ti, la domenica, ti va a messae mi... in-
soma, te prego de pensarghe18
Cercai Danieli ¢ lo trovai al bar di Paolo, nell’albergo impiegati.
Viandava con una certa frequenza, come del resto vi andavamo tutti,
perché misteriosamente (ma non tanto) il bar era discretamente forni-
to: bibite confezionate con non so quali bustine colorate; vermut che
la gente diceva scherzosamente ricavato da carrube; grappa e liquori
fatti con la stessa; miscele incredibili che sostituivano il caffé; vino di
‘Sansego allungato con acqua di mare, salatino ed amarognolo, fatto
per stomachi di ferro. Ad un mio cenno il Danieli usci. Lo informai
ogni cosa e gli detti le ultime istruzioni. Fu lui a suggerirmi di porta-
re qualche maschera antigas.
— Mi raccomando, Danieli, non una parola; nessuno deve sa-
pere.
— Tomba.
— Lo dica anche agli altri.
— Tombe.
La porta della chiesa era aperta. Faceva freddo. Non c’era nessu-
no. Un momento di raccoglimento. Un paso. Alzai gli occhi: il par-
roco. Mi guardd ed io gli feci cenno di fermarsi. Mi avvicinai. Tra me
€ quell’ottimo sacerdote non correva buon sangue per certa faccenda
personale . . . “‘errare humanum est” e anche i sacerdoti sono uomi-
ni. Ricordo che incominciai a parlare cosi: “Reverendo, in sto mo-
mento qua dentro, in sta casa de tuti, semo solo in tre: lei, mi e Cristo
che ne guarda ¢ ne senti. Questo vol dir che tuto devi restar tra
noi . . .”" Parlammo per un quarto d’ora o poco pitt, in piedi, sotto-
voce. Ad un certo momento il parroco mosse alcuni passi a testa chi-
na, pensoso. Io rimasi immobile, in attesa. Tornd da me:
— Va ben. Cossa devo far?
— Domani, al’imbrunir, vignara a ciorlo qualchedun. La se te-
gni pronto. Niente nonsolo. No passaré fra le case ma, a passo calmo
come per far na caminada, vignaré zo per la provinciale. Gnente al-
tro.
Non ci stringemmo la mano ed ora mi dispiace. Le cose che ci
sono accadute assumono, col passar degli anni, altre dimensioni ¢ i
“*perché” si chiariscono e scopri in un certo atto la buona fede. Passai
una notte agitata. La mattina presto, una bellissima mattina fredda
ed assolata, andai da Pilla. Mi dette una bottiglia di cognac di sua
fabbricazione, ovatta, garza, dell’alcool denaturato e del lisoformio
che misi in una borsa con tre maschere antigas. Alle 15, mi incontravo
con Danielie gli altri. Le bare, coperte da un telone, erano gia sul car-
ro, un carro grande con le ruote gommate, tirato da un mulo.
Disposi che il carro ci precedesse fermandosi oltre una curva do-
ve noi l'avremmo raggiunto alla spicciolata.
Tutto andd per il meglio. Saltammo sul carro e dopo qualche chi-
lometro raggiungemmo il fiume. C’era un cartello vicina al ponte di
legno che dai primi d’ottobre 1943 aveva sostituito quello in muratura
fatto saltare dai minatori per ostacolare una colonna corazzata tede-
sea proveriente da Pola, un cartello con la scritta: “Achtung Bandi-
ten’, Non un cane per la strada: paura degli uni e degli altri. Vi tran-
Wa con una certa regolarita 'automezzo blindato della milizia re-
pubblicana che trasportava, da e per Pola, posta, pacchi, stipendi,
ri singoli viaggiatori. Ogni tanto un attacco di partigiani; qualche
clista del contado che in una tasca aveva la “‘propusnica” e nell’altra
il “Passierschein”; di tanto in tanto colonne di tedeschi; autocarri ca-
richi di sacchi di farina con bandierine bianche sul cofano e bandieri-
ne bianche sventolavano anche sulla scura machina del meraviglioso
vescovo di Parenzo ¢ Pola, mons. Raffaele Radossi
Da quel punto l’aereo lo si vedeva benissimo. Lo rageiungemmo
camminando sull’argine mentre il carro procedeva per il prato. Il sole
stava sopra Castelnuovo e Carnizza. Tra non molto avrebbe scavalca-
to la collira ¢ saremmo stati all’ombra, Due tumuli bassi. Dovevano
averli sepolti sotto poca terra. Danieli, toccandosi pitt volte il naso
con l’indice, me li accennd. Non vi avevo fatto caso. Sentore di mor-
te, Girammo attorno all’aereo osservandolo con attenzione. Sembra-
va fosse scivolato dall’argine, dove pogeiavano i timoni. Le ali tocca-
vano quasi la sponda del fiume. La parte anteriore, mucchio di ferra-
glia annerita, era immersa nel fango ¢ nell’acqua. E di nuovo pensai
che il pilota doveva aver tentato, avvolto di fiamme e fumo, un dispe-
rato atterraggio di fortuna nel vasto pianoro a sinistra 0 a destra del
fiume. Chi sara stato? Chi erano quei poveretti? Quali saranno stati
i loro pensieri? Nel velivolo non c’era pit. niente. Robaccia. Staccai
un pezzo ¢’alluminio per ricordo. Non arrivd mai in Italia, C’era un
grande silenzio attorno a noi, appena rotto dai lontani meceanici ru-
mori del porto di caricamento. Il carrettiere, di cui non ricordo né
sionomia né nome, ci volgeva le spalle e guardava la strada che scen-
deva a ripide spirali dalla collina. Sembrava uno spaventapasseri. Sul-
la sponda sinistra, ad una quindicina di metri da noi, il terzo tumulo.
— Che si fa? — mi chiese Antonini
— La vede quella barca?
— Chi Pha portata?
— Non si preoccupi. Carichiamo una delle casse; traghettiamo
il fiume; disseppelliamo quel poverino; torniamo qua e provvediamo
a questi due.
— E perché — intervenne Danieli — non pensiamo prima a que-
sti, li mettiamo sul carro, lo mandiamo avanti che riattraversi il ponte
ci raggiunga . . .
— Danieli, anzitutto non possiamo perdere tempo con inutili gi-
ti, perché questo carro che va di qua e di la. . . Lei, prima, mi ha
fatto cenro allodore ... Questi qui sappiamo come sono stati
estratti e ci dobbiamo aspettare una visione . . . lei mi capisce. Quello
di 1A non sara come questi e ci servira per...20
— . . . per abituarci, ho capito; perd un po’ tutti n
di morti ne abbiamo visti e in miniera e in guerra e impiccati e infoi-
ati, non siamo alle prime armi
— Andiamo, andiamo Danieli.
La corrente era appena percettibile, anche se I’acqua era molta.
1 fiume ormai stava per andarsi a confondere con il mare non lonta-
no. Tirammo la barca in secco di quel tanto che bastava. Presi dalla
borsa la bottiglia di cognac, bevemmo un sorso € si comincid con pru-
denza, con delicatezza. Nessun odore. La stagione invernale ¢ la terra
fredda. Eccolo. Un fazzoletto sul volto con macchie scure di sangue
rappreso; mani incrociate, mani giovani, su una camicia di flanella
azzurrina dal colletto aperto. Pantaloni di panno. Non me la sentii di
strappargli il fazzoletto dal viso. Era rigido. Non aveva scarpe € le
calze che indossava erano di lana grezza, a punti bianchi e neri, calze
fatte a mano perché i piedi stessero caldi. Calze fatte da chi? Da una
vecchia nonna, che sferruzzando recitava il rosario per il nipote in
guerra? Dalla madre che, nel momento in cui il suo ragazzo piombava
a terra, sara impallidita per un’improwvisa fitta al cuore? Succede,
succede, ma noi siamo troppo piccole cose per capire . . . Svelti, ra-
gazzi, svelti . .. Antonini e Danieli avvitavano il coperchio mentre
Vattovaz ed io raccoglievamo gli attrezzi. Quando caricammo la cas-
sae spingemmo la barca in acqua, maned poco che finissimo tutti nel
fiume, Raggiungemmo l’aereo e il feretro fu subito sistemato sul car-
ro. Un altro sorso di cognac ¢ le maschere ai miei compagni. Mi pre-
parai un pezzo di ovatta avvolto in garza che inumidii di lisoformio.
E sicomincid dal tumuto pit distante dall’aereo. Rimossa poca terra,
apparve qualcosa di rosso che il Vattovaz sollevd delicatamente con
la punta della vanga, allungandola verso di me: una pantofolina da
donna, da camera, con un “‘pompon””, una nappa di seta. Ci guar-
dammo stupiti ed increduli. Altra poca terra: una gamba destra, tron-
cata a mezza coscia. Si era salvata dall’incendio. L’osservai attenta-
mente: piede piccolo, caviglia sottile, ben tornita e non lombra di pe-
luria. Possibile che a bordo ci sia stata una donna? E poi. . . non
una, ma due povere creature assieme ! F allora gli aviatori erano
quattro e non tre, come ci aveva riferito il nostro informatore. E in-
sieme le deponemmo nella cassa. Disseppellimmo ultimo ¢ vuotam-
mo la bottiglia. Ma quella pantofola? Quella gamba? Mistero
— “Lo giorno se n’andava e l’aere bruno / toglieva gli animai
‘che sono in terra / da le fatiche loro. . . ”” — e noi raggitmgemmo
il limite del boschetto. Nessun incontro per strada. Nessuna luce né
vicina né lontana: oscuramento. I carro non poteva inoltrarsi. Le ba-
re furono portate a braccia presso le fosse fatte preparare da Pilla che
ci aspettava con due operai. C’era il parroco con mio suocero e mia
moglie. [a sera stava cedendo il passo alla notte. Tutto velocemente
¢ in silenzio, “Requiem aeternam dona eis, Domine . . . ”. Il sacer-
dote ¢ gli uorini si allontanarono alla spicciolata. Pilla, che abitava
al di la della via maestra, un po’ fuori paese, si accompagno per un
breve tratto con me ¢ i miei. Al momento di salutarci mi disse:
— Prontime due relazioni, pitt presto che ti pol. Una la meterd
fra i ati del Comun ¢ una la fard rivar in Italia,
— Domani matina. Francesco, ti sa cossa che xe ogi?
— No, cosa?
— El quinto aniversario del mio matrimonio. Me sono sposa el
3 marzo del "40.
— No ti podevi festegiarlo meo. Auguri.
Scrive Sergio Cionci: “Nel tardo mattino del 21 febbraio 1945,
in condizioni metearologiche ideali, il 132° Gruppo decollava dall"ae-
roporto di Biferno, nei pressi di Termoli, diretto verso la costa orien-
tale istriana. Una quarantina di minuti dopo, a poco meno di 100 chi
Jometri da Capo Promontore, la rete di rilevamento aereo tedesca in-
dividuava, pet mezzo della ““Funkmess”” (stazione radar) di Medol
no, dotata di radiolocalizzatori “Freya” per ’avvistamento a lungo
raggio, la formazione in awvicinamento, diretta verso nord. Secondo
la strutturazione ¢ le procedure stabilite dalla Hauptblickrichtung (ca-
tena di avvistamento), i dati del rilevamento venivano tempestiva-
mente trasmessi a “Brunelle”, nome convenzionale del Flu. Ko., 05-
sia del Comando Aereo di Awistamento a Bolzano, dove esisteva un
quadro aggiomato, momento per momento, della situazione dello
spazio aereo italiano, ricavato dagli avvistamenti ottici e dalle segna-
lazioni delle stazioni radar periferiche, il quale diramava gli ordini di
servizio operativi per lo svolgimento delle azioni di fuoco a tutte le
postazioni antiaeree dislocate sulla penisola istriana, sulle isole del
Carnaro e a Fiume. Frattanto i Baltimore, da soli, in quanto era nor-
ma d’inviare i bombardieri medi senza scorta, anche perché dal set-
tembre 1944 la Luftwaffe era praticamente scomparsa dal teatro ope-
rativo italiano e le missioni d’interdizione aerea ricadevano esclusiva-
mente sulle modestissime, ma decise pattuglie dell’ Aeronautica Na-
zionale Repubblicana, erano giunti all’altezza dell Istria.
‘Seguendo una rota equidistante tra la costa orientale ¢ isola
Cherso, dopo aver sorvolato a circa 3000 metri di quota lo scoglio
della Galiola, per evitare il tiro delle armi leggere delle postazioni di
Porto Cuie ¢ di Monte Madonna, viravano sulla sinistra, verso Punta
Nera, diretti sull’obiettivo, costituito, ancora una volta, dal bacino
carbonifero dell’Arsa e, in particolare, dal molo utilizzato per il cari-
co del materiale. Mentre con i portelloni ventrali gia aperti per lo
sgancio, si awvicinavano al bersaglio, i cannoni da 88 mm della “Flak”,
ai quali erano asserviti gli apparati “Wurzburg” per la direzione del
tiro contraeres, aprivano sulla direttrice di attacco, un preciso, mici
diale fuoco di sbarramento, La violenta ed efficace reazione tedesca,
21dovuta all’anticipata conoscenza della rotta e della quota e quindi al-
Passoluta mancanza di qualsiasi sopresa tattica, da parte degli incur-
sori, era anche determinata dall’alto grado di preparazione tecnica
del personale preposto alla difesa, addestrato presso la Flakartillerie-
schule di Berlino- Heiligensee o la Flaklehrschule di Bassano del
Grappa e presso la scuola di specializzazione per Funkmess Wurzburg,
di Grado. Nel giro di pochi istanti, mentre le prime bombe venivano
sganciate contro Pobiettivo, il gruppo dei Baltimore veniva investito
dagli scoppi di numerose granate. Quattro velivoli, colpiti gravemen-
te, sistaccavano, uno dopo Paltro, dalla formazione e, riguadagnato
il mare aperto, riprendevano la via del ritorno, dopo essersi liberati
dalle bombe a qualche decina di chilometri da Porto Bado. I rimanen-
ti aerei, molti dei quali colpiti leggermente, prasegnivano Pazione
guidati dal capo formazione finché anche questi, colpito in pieno,
precipitava in fiamme. Era Papparecchio del maggiore pilota Mass
miiliano Erasi, friulano, comandante del 132° Gruppo, lo stesso uffi
ciale che, prima dell’8 settembre, alla testa del 41° Gruppo Acrosilu-
ranti, aveva affondato incrociatore pesante inglese “Liverpool”.
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CAPITOLO TERZO
La famiglia Errath
Massimiliano, ‘Max’? per i coetanei, gli amici e pure fra i Suoi
cari, primogenito di una agiata famiglia di origine austriaca, eli Er-
rath (cognome che italianizzera poi in Erasi), nacque il 12 luglio 1908,
a Bagni d: Lusnizza, nella Valcanale, a 5 km. da Malborghetto, capo-
Iuogo comunale, in provincia di Udine, sulla statale Pontebba-
Tarvisio.
Bagni di Lusnizza era allora un piccolo paese turistico-termale
per le sue acque solforose che contava circa 150/300 abitanti, ricco
di alberghi e pensioni termali disseminati in un piccolo pianoro bo-
scoso, tagliato dal fiume Fella; a 632 m. sul livello del mare, tra i
monti Scinauz (1999 m.), Schenone (1950 m.) ed i due Pizzi delle Alpi
Carniche; ora é a pochi chilometri, in linea d’aria, dai confini del-
Gli Errath erano proprietari dell’ Albergo “‘Cavallino”, uno
piit capienti det paese e costitui mn i quattro figli (tre maschi
una femmina), uno dei ceppi far numerosi ¢ vecchi della
valle.
Dato che il paese a quel tempo era sotto il dominio dell’impero
austro- ungarico e la lingua ufficiale era Paustriaco, anche nella fami-
glia Errath si parlava tedesco; ma, sia per la professione alberghiera
che per i contatti con i paesani di parte italiana, gli Errath avevano
molta faniliarita con la lingua italiana.
Nel 1914 scoppia la “Grande Guerra’’, che costringe molti at
tanti della zona, divenuta terra di nessuno, ad abbandonare i paesi
della valle: cosi anche gli Errath divengono profughi e si spostano in
Austria, Dopo quattro lunghi anni, la sconfitta ¢ lo smembramento
del vasto impero austro- ungarico - I'Italia vittoriosa pud liberare le
terre irredente di Trento, Trieste, I'Istria e la Dalmazia, portando i
suoi confini sui crinali naturali delle Alpi Carniche - fanno rientrare
ali Brrath al paese natio dove riprendono serenamente attivita alber-
shiera,
Max logicamente continua gli studi nelle scuole tedesche conse-
guendo a Klagenfurt il diploma di scuola media superiore quale perito
industriale: per® i contatti giornalieri con gli ospiti dell’albergo pate
no e le amicizie contratte gia nella prima infanzia coi ragazzi di origi-
ne italiana, Io reudouy sicury padrone anche della uustra lingua,
preziosita nella sua parlata dalla rotolante ‘“erre” tedesca. Le valli ¢
2324
le montagne che lo videro crescere ¢ che egli ammira gia nella adole-
scenza, lo spingono naturalmente ad elevarsi in quel cielo racchiuso
da alte cime, per godere ed immergersi in spazi pitt aperti e sconfinati,
come le aquile, delle quali segue con ammirazione il maestoso volo.
‘Appena pud, Massimiliano sale sulle vette pitt alte, avido di spa-
zio e di infinito, e scia d’inverno sulle loro pendici, inebriandosi di ve-
locita e di audacia.
Legge ed ascolta avido le imprese aviatorie che stanno sviluppan-
dosi in tutto il mondo: sono gli anni dei grandi raid: Arturo Ferrarin
raggiunge Tokio con un vecchio SVA residuato di guerra, nel 1925
(Massimiliano Erasi compie diciassette anni) Francesco De Pinedo, a
bordo del Siai S.16 “‘Gennariello”, vola per marie continenti per un
totale di quasi $5.000 chilometri, si sorvola il Polo Nord, prima con
un Fokker € poi col dirigibile “Norge”; lo “Spirit of St Louis” di
Charles Lindbergh compie il primo volo senza scalo fra New York €
Parigi.
Sono anche gli anni dei primati: l'americano Schroder supera per
Ja prima volta la quota di 10.000 metri, il suo connazionale Brown su-
pera per primo la velocita di 400 km/h su aereo Curtiss. Mario De
Bernardi, su idrocorsa Macchi M.39, costruito e progettato in Italia,
il 28 marzo 1928 conquista all’Italia il primato mondiale di velocita
per idrovolanti, sfrecciando a 415,618 km/h.
Da vero montanaro, Max era'si robusto ma la sua costituzione
Jongilinea gli conferiva una innata eleganza; di spalle larghe e possen-
te torace, con viso roseo, aperto, pili che quadrato rotondo, dai linea-
menti fini e gentili in una chioma castano-bionda ondulata, dagli oc
chi blu acciaio, penetranti in un radioso sorriso che lo rendeva simpa-
tico a tutti.
‘Quel suo sorriso fanciullesco lo rendeva ben pid giovane dell’eta
anagrafica pero nel conoscerlo e nel parlare con lui, si sentiva che era
ben pitt maturo di quanto non sembrasse.
l suo amico di giochi infantili e di studi, Pattuale Sindaco del
paese Antonio Ehrlich, ne parla con struggente affetto e nel 1959 vol-
Ie ricordarlo ai suoi compaesani, intitolando la nuova Scuola Elemen-
tare di Bagni di Lusnizza al ‘Maggiore Pilota Massimiliano Erasi"”:
presenti alla cerimonia l'allora Sindaco Augusto Florit, il cap. Caro-
siello in rappresentanza del Comandante dell’aeroporto di Campo-
formido, la vedova di Erasi signora Valentina ed altre Autorita civili
militari, Nella stessa giornata, 24 maggio, venne inaugurata a Mal-
borghetto una Scuola Materna, sempre intitolata all’Eroe, alla pre-
senza delle stesse autorita ed invitati.
Baga’ di Lusniza, I albergo “CAVALLINO
Pomaggio al ive Era p
fag’ ai Lanna, fa cuola aetna into al Eroe Eras Bago i Lust
nella iterione dlls cuols mater=
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CAPITOLO QUARTO
Si vola!
‘Ma non domo né soddisfatto, Max vuol salire ancora pit su, nel
cielo, ed a diciannove anni — appena pud — si arruola volontario
nella Regia Aeronautica quale Allievo Sergente Pilota, e non al Corso
Allievi Lfficiali, perché Aeronautica non gli riconosce ancora il Di-
ploma di studio conseguito in Austria: 8il 31 gennaio 1928 ed il relati-
vo Bando di Concorso é il n. 380 del 21.10.1927.
La sua costituzione fisica di montanaro gli fa superare brillante-
mente le prove psicofisiologiche: é sano € forte come le aquile delle
sue montagne.
Dopo un breve periodo di tre mesi presso il Centro di recluta-
mento della 3* Zona Aerea Territoriale, dove apprende l’uso delle ar-
mic la disciplina di soldato, viene trasferito al Campo Scuola ” Avia-
zione di Portorose, gestito dalla S.1.S.A. (Societa Italiana Servizi Ac-
rei), con istruttori piloti civili. La parte militare viene curata dal Co-
mandante Cap. pil. Epifanio Del Ponte, ¢ dall’aiutante maggiore, Te-
nente Rovi
In quella ridente cittA della costa istriana, Erasi incontra la im-
mensita del mare, perché la Scuola é riservata al pilotaggio degli idro-
volanti: Portorose, racchiusa da colline ad anfiteatro ricche di olivi,
frutteti e cipressi che sembrano tuffarsi nell’azzurro trasparente del
mare del Vallone di Pirano, & una incantevole stazione climatico-
balneare, che deve il suo nome alla rigogliosa fioritura delle rose nei
suoi giardini.
incontrano in una quarantina di allievi nella palazzina della
Scuola, provenienti un po” da tutte le parti d’Italia, divisi in camerate
di 10 allievi su brandine; Massimiliano Erasi lega subito con Fritz (Fe-
derico Angerer), bolzanino, ma non trascura “'Simon” (Walter Simo-
nelli), di un corso pit! anziano che riabbraccera con gioia a Taranto,
dividendo con tui la cameretta della palazzina Sottufficiali dell’idro-
scalo “Luigi Bologna” sul Mar Piccolo.
15 marzo 1928 Max effettua il primo volo su Cant 7 con Pistrut-
tore Uberti che, si dice, verra poi allontanato dalla Scuola perché ma-
nesco e facile al bere.
II 1° settembre, dopo 12 ore e 41 minuti di doppio comando, (in
verita poche su idrovolante) Max “‘decolla” finalmente: solo nell’im-
mieuso cielo come aquila regina delle sue montagne.
E continua a volare ¢ studiare nella normale routine del servizio28
militare, che lo irrobustisce nel dovere ¢ nella disciplina, mentre la
““cittadella””, con la sua popolazione di pescatori ¢ di belle “mule”
(ragazze) istriane e triestine, in quella rigogliosa natura, gli ingentili-
sce ancor pit 'animo, ammorbidendo il suo rude, teutonico, caratte-
re di montanaro. Sente ed ama I'Italia che lo fa profondamente suo
figlio.
Dopo aver effettuato 50 ore di volo di 1° brevetto e 30 ore di 2°
brevetto, superando con vera perizia le tante prove di quota, acroba-
Zia e navigazione sui vari tipi di idrovolante, gli giunge infine la nomi-
na a “pilota militare d’idrovolante”’ col grado di Sergente Pilota: la
ottiene dopo il trasferimento alla Scuola di Osservazione Aerea pres-
so l’idroscalo di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, a nord ovest
Roma.
Qui si addestra alla navigazione, con Osservatori della Marina,
prima di essere destinato ad una Squadriglia operante.
Ai primi del giugno 1929, Erasi viene destinato presso il Coman-
do Aeronautica Tonio e Basso Adriatico, alla 142" Squadriglia Idro-
volanti di base a Taranto, dove — lo attesta il Mar.llo pilota Orlando
Pecorale suo Istruttore — caso pitt unico che raro — il 7 giugno de-
colla su S.59 dopo un solo doppio comando !
Ricordando il suo forte € bonario carattere, Simonelli, con il
quale in quei tempi divideva la cameretta all’ aeroporto ed assieme go-
devano delle libere uscite a Taranto, narra come in occasione di una
futile ma onorata bega tra sottufficiali, Max si fosse dato da fare co-
me un padre verso il suo “Simon” con consigli di tecnica sul pugilato,
dicendogli inoltre di darle sode, altrimenti, se le avesse prese, 10
avrebbe “legnato”” anche lui il giorno dopo. Ed a “‘incontro” avve-
nuto, dopo aver confrontato le facce piene di echimosi dei due con-
tendenti, lo avesse abbracciato dicendogli: “bravo Simon, gliele hai
proprio date”. Ma, aggiunge Simonelli, ciononostante Erasi aveva
un’indole accomodante e generosa e non ebbe mai occasione di veder-
lo azzuffarsi.
Passano cosi quattro anni e mezzo, con Erasi sempre in forza al:
la 142" Squadriglia, sotto il comando del cap.pil. Nerio Brunetti e
successivamente del cap.pil. Donatello Gabrielli in lunghi voli
sull’S.59 bis, compiendo ricognizioni di altura®), rilievi aerofoto-
grammetrici ¢ planimetrici: questi voli gli fanno accumulare ore ed
ore di esperienza, rendendolo esperto navigatore sull’infinito mare,
con qualsiasi tempo.
Dal mare impara a leggere, dalla forma e dall’andamento del-
onda, Vintensita ¢ la direzione del vento, inserendo nella bussola i
giusti gradi di deriva; traccia sulle carte nautiche la giusta rotta ¢ la
compensa oltre che dalla deriva, della declinazione in sito e della de-
viazione bussola residua (dlell’acrev)®. Auumara € decolla con som-
ma perizia anche a pieno carico, con mare “‘a specchio”, su onda li-
€ lunga o con mare mosso e spumeggiante, riscuotendo ammira-
zione sincera da parte dei vecchi piloti di Squadriglia, dando sicurezza
agli Osservatori della Marina ed ottenendo ampia fiducia dai Coman-
danti.
In breve tempo diviene padrone sia del mezzo aereo che del ma-
re, instancabile chiede di partecipare a tutte le esercitazioni, quelle pit
monotone e quelle pit rischiose, affrontandole sempre con il suo cor-
diale e bonario sorriso.
La sua compagnia in volo ed a terra é ricercata, e diventa confi-
dente un po” dittutti, anche degli avieri che sentono gid in lui il futuro
Comandente, perché sa farsi rispettare, amare ed obbedire.
‘Nel mondo aeronautico intanto si susseguono le grandi imprese
aviatorie ed i primati si conseguono in tutte le Nazioni.
Dal 3 al 5 luglio 1928 Aldo Ferrarin e Carlo del Prete conquista-
no il primato di distanza in volo, senza scalo da Roma a Tourous in
Brasile; Stainfort in Inghilterra supera con Pidro Supermarine S-6 B
(00 km/h il 13 settembre 1931, mentre nel gennaio dello stesso anno
dieci idrovolanti bimotori Savoia Marchetti S.55 avevano attraversa-
to l’Atlartico da Boloma a Natal, ed erano al comando del Ministro
dell’ Aeronautica Italo Balbo i 24 idrovolanti dello stesso tipo, che nel
luglio 1933 ripeterono Vimpresa, con la doppia transvolata dell’A-
tlantico settentrionale.
NOTE CAPITOLO QUARTO
1) 8.59 5s —Idrovolantebiposto realizzato dalla Savoia Marchet nel 1925, biplano con
scafo centrale, dotato di motore Lorraine Dietrich da 400 HP con elca propulsiva ed armato
on una o due mitraglatriai in toreta prodera. Apertura alarem. 15,80 ~lunghezza m, 10,36
Telocth vassina km/h 190 ~ tangenca tm. 450.
2) Ricognisione di atura — Voli di lunga durataedistanza in mare aperto, lontan dalle
cost alla ieca, sul sottstante mare, di formazioai naval econvogl, elit, naufragh, mine
‘Yaganti, sbarament i mine e sommergbil in immmersione a quote non inferior ai 15/20 metn
‘Sotto i vello de! mare, e quest ula solo con superficie del mare non troppo inrespata dal
‘vento o comangue moss. Ricognizionie icerche che possono fare a quote non superior sh
{600/1.300 mt,
3} Daloehe la navisazione era “simata”* a mezzo di busola magnetic (he indie il nord
magnetic exon quello seoeralico) «che le cart nautiche di "Meteatore”indicano ll ord ge0-
{rafico she viene rappresentato in panta con meridian parallel ra loro, nelle icognzion alt=
‘ere che taciavano sul mare una serie di rot a zig-zag, senalcuntierimento visivo fisso
Seon Porizvonte, quando ton era nascosta da nebbia o piovaschi, oceorreva saper ben carte
flare: conoscere la desingione dll zona sorvolata (ase nord-sud magnetico della Terra ruo
{con una crt inlinazione sull' ase Stella Polae-Croce del Sud), sommare algebricamente
1a deviazone magneticaresidua della bussoladell'acrco(icavata dai “iro bussola”) even
‘ale deriva vento) nel gradi geograiei di rota geouratiea della carta... econfidare nella
‘allezea dei calcol, spectalmente se i volo era al limite della aurononi
‘Partroppo, proprio a causa di caleolierlevament non precis, sono perl degli equipagst
sian voi sulmare che in quel sul desert africano che t ben pelo del mare col suo aceecante
baglire ela dificolt di stimare il vento anche riorrendo aluso di *fumate™ Qancio di razi
di Sepnalazene con paracadut)
20Massimiliano Eras Gallipoli (Lecce) in acasone delle manovte-aronarali del 25-29 marzo 1950,
tke qual pacino la 2" Sq. Ido a 8391 be, avente sede Taranto: da sini, mar lo pl Pe
ian. tor Sone, th ag. Aleman, pop pen
Svoa Marches S.55 €(erasporto ciile)destinat alla esportasione ia URSS (fo. SIAN)
CAPITOLO QUINTO
Erasi ufficiale
Intanto, la Regia Aeronautica indice — nel 1933 — un concorso
per il pasvaggio dalla posizione di Sottufficiale a quella di Ufficiale
pilota ed istituisce 1’8° Corso di Integrazione per Sottufficiali Piloti
Massimiliano Erasi, spinto dal suo desiderio di proseguire nella
carriera militare e consigliato dai Superiori che Jo ritengono pit che
degno del passaggio a Ufficiale per le doti di volo e la signorile educa-
zione, unita ad un indiscusso senso di responsabilita, si presenta il 15
ottobre 1933 alla Regia Accademia Aeronautica di Caserta dopo aver
superato brillantemente gli esami di ammissione ¢ prima che il Mit
stero della Aeronautica abbia riconosciuto il suo titolo di studio in
lingua tecesca, equivalente ad un diploma analogo della Scuola Me-
dia Superiore italiana.
In tale occasione Erasi, che fino a quel momento aveva mantenu-
to il suo cognome originario di Errath, con decreto prefettizio della
Pretura di Udine modifica appunto in Erasi il cognome paterno, se-
guendo una certa regola di “‘italianizzazione” voluta dal Governo
dell’epoca.
Dall’Accademia Massimiliano Erasi uscira il 5 luglio 1935 con il
grado di Sottotenente pilota dopo aver dimostrato, nei due anni di
corso, alta capacita e competenza, oltre che nel volo, anche nelle no-
zioni scientifiche e militar
Con facili’ e disinvoltura ottiene il passaggio su diversi mono-
motori terrestri, da caccia e da ricognizione, decollando ed atterrando
su aeroporti, strisce di terreno e campi di fortuna.
Nellottobre dello stesso anno, dopo una breve licenza trascorsa
in famiglia, si presenta alla I* Squadriglia Sperimentale di Bombarda-
mento Marittimo all’Idroscalo di Livorno.
Intanto Italia conquista I’ Africa Orientale — siamo ormai nel
1936 — ed il laborioso e prolifico popolo italiano conquista quel fa-
moso “posto al sole”” che dovrebbe essere una soluzione per il sovraf-
follamenio ed il desiderio di lavoro, in particolare delle popolazioni
meridionali..
115 maggio il maresciallo Badoglio entra in Addis Abeba ed il 9,
Mussolin: proclama la costituzione dell’Impero di Etiopia con Impe-
ratore Vittorio Emanuele III, Re d'Italia: si dice che sia la vittoria del-
Ia “tecnica” sulle inermi papolavioni etiopiche, e pud darsi che ci sia
anche del vero (aviazioneha indubbiamente la sua importanza in
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questi avvenimenti), ma non dimentichiano che — come al solito —
gli italiani portano strade, scuole, infrastrutture civilie rispetto in una
terra non certamente evoluta, che forse ha pitt da guadagnare dalla
“‘conquista” italiana che dalla schiaviti dei ‘‘ras””. La tecnica aero-
nautica si sta sempre pitt evolvendo in questo stesso periodo: il 23 ot-
tobre 1934 Francesco Agello ha superato la ‘‘soglia”” dei 700 km/h
volando a bordo del Macchi Castoldi MC 72 alla media di 709,209
km/h sul lago di Garda; con alterne fortune si cerca il primato mon-