+ OBBLIGO COOPERAZIONE
INQUINAMENTO TRANSFRONTALIERO
Esiste una regola di diritto internazionale che impone un divieto di inquinamento transfrontaliero:
nessuno Stato ha diritto di usare il proprio territorio o permetterne l'uso in modo da causare danno al
territorio di un altro Stato. Il divieto trova la sua prima applicazione nella sentenza resa l'11/3/41 da
un Tribunale Arbitrale; è ribadito sia nel Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma (1972),
sia nel Principio 2 della Dichiarazione di Rio de Janeiro (1992). Il Principio 21 stabilisce che gli
Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse conformemente alle proprie politiche
ambientali e la responsabilità di assicurare che le attività svolte non causino danni all'ambiente di
altri Stati. (dichiarazione di Rio principio quasi identico). Dall'esistenza di tale divieto deriva:
a) dovere della due diligence, dovere di ogni Stato di adottare tutte le misure opportune per
eliminare o attenuare i rischi di danni transfrontalieri al fine di accertare la legittima utilizzazione
del territorio.
b) obbligo di prevenzione, va ad aggiungersi a quello di riparazione e consiste nell'adozione di
tutte le misure preventive necessarie ad impedire che la realizzazione di date attività rechi
pregiudizi transfrontalieri. È adempiuto con un comportamento improntato sulla due diligence e la
prova dell'adozione di criteri di diligenza elimina ogni responsabilità dello Stato.
c) principio di precauzione, stabilisce l’obbligo di agire preventivamente al fine di evitare il
prodursi di un danno, anche a prescindere dalla certezza scientifica che possa giustificare una data
azione e la cui acquisizione potrebbe risultare tardiva – Principio 15 Dichiarazione di Rio. Il
documento di Rio afferma, inoltre, che le misure per prevenire il degrado devono avere un costo
inferiore a quello che si sarebbe sostenuto se il danno si fosse realmente prodotto.
d) principio “chi inquina paga”, Principio 16 Dichiarazione di Rio, non solo richiede che l'autore
di un danno all'ambiente sia considerato responsabile e tenuto a risarcire i danneggiati, ma,
soprattutto, impone agli Stati di non legiferare in modo da garantire che l'autore del danno non sia
tenuto al risarcimento.
PROTOCOLLO DI KYOTO
Il Protocollo di Kyoto (1997) ha l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas inquinanti attraverso una
serie di impegni da attuarsi tra il 2008 e il 2012. Avendo gli Stati responsabilità diverse rispetto
all'emissione di gas, sono state individuate tre categorie di Paesi:
Paesi in via di sviluppo: solo obblighi di cooperazione e di scambi di informazioni;
Paesi in transizione verso un'economia di mercato: obblighi ridotti in tema di emissione di gas;
Paesi economicamente avanzati: la percentuale di riduzione è fissata al 5%. È tuttavia previsto un
regime differenziato, per es. l'U.E. deve ridurre le emissioni dell'8%, mentre alcuni Paesi hanno
diritto ad aumentarle.
L'Italia ha dato esecuzione al Protocollo con la L. n.120/2002. L’entrata in vigore del Protocollo è
fissata al 90° giorno successivo al verificarsi di due condizioni:
1) ratifica di almeno 55 Parti;
2) inclusione nelle Parti di cui sopra di Parti incluse nell'Allegato I le cui emissioni totali di
biossido di carbonio rappresentano almeno il 55% delle emissioni totali al 1990.
Con la ratifica della Russia (30/9/2004) tale condizione si è verificata e il Protocollo è divenuto
operativo il 16/2/2005. L'obiettivo per l'Europa è ridurre le emissioni di anidride carbonica
dell'8,2% e per l'Italia del 6,5% rispetto al 1990. Molte sono state le contestazioni del Governo
italiano. In quest’ottica il disinquinamento diventerà un beneficio economico e l’inquinamento un
costo, a fronte delle sanzioni decise da un apposito Comitato. Con la direttiva 2003/87/CE la
Commissione europea istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas al fine di
promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza
economica. Tale direttiva è stata attuata in Italia con le disposizioni urgenti del D.L. n.273/2004,
convertito in L. n.316/2004. In base ad essa gli impianti che emettono gas ad effetto serra in elevata
quantità devono essere, da gennaio 2005, in possesso di una autorizzazione e non possono rilasciare
inquinanti oltre una certa soglia. Dall’1/1/2005 al 31/12/2007 le quote di emissione del primo
periodo sono assegnate gratuitamente e solo successivamente saranno vendute.
PROGRAMMI AZIONE
Per tracciare una strategia comunitaria d'intervento vennero approvati 6 programmi, ognuno la
continuazione del precedente.
I Programma (1973-1977):
La Comunità si assume il compito di guidare i Paesi verso una politica ambientale uniforme. Si
vuole evitare che le differenze legislative degli Stati pongano limiti al Mercato Unico. Ogni
intervento nazionale, pur conservando l’equilibrio biologico, deve essere compatibile con lo
sviluppo economico e sociale.
II Programma (1977-1981):
Si indirizza verso una politica di prevenzione (controllo prodotti chimici, elaborazione dispositivi
sicurezza produzioni pericolose) e incentivazione a cooperare con gli Stati terzi. Rafforza l’impegno
per la protezione verso il contenimento acustico e atmosferico e per la considerazione dei problemi
ecologici come interdipendenti dell'economia mondiale.
III Programma (1981-1985):
Disciplina la politica ambientale in rapporto ad economia, occupazione, innovazione tecnologica,
informazione ai cittadini e, soprattutto, collaborazione con i Paesi terzi. Più fermamente si pone il
principio di cooperazione.
IV Programma (1987-1992):
Gli Stati membri sono sollecitati ad operare una ricognizione ambientale del territorio per studiare
soluzioni adeguate ai diversi degradi. Queste le azioni previste:
- riduzione alla fonte degli inquinanti;
- migliorare la gestione delle risorse;
- potenziare la collaborazione internazionale;
- sviluppare strumenti adeguati ad una maggiore tutela (es. VIA).
V Programma (1993-2000):
Getta le basi per una politica comune ed estende l'obiettivo di prevenzione. Non si mira più solo a
punire, ma si tenta di responsabilizzare sui problemi ambientali, prevedendo anche azioni premianti.
Introduce il principio di corresponsabilità e contiene quello di proporzionalità: limita le libertà
comunitarie di commercio e circolazione merci. Limitazioni compensate dal principio di
sostituibilità. Prevede misure di sostegno economico-finanziario, di mercato e supporto.
VI Programma (2001-2010):
Insiste sulla corretta e uniforme applicazione della normativa comunitaria ed incarica la
Commissione di denunciare gli inadempienti. Ha per obiettivo la questione ecologica dei modelli di
produzione e consumo; vuole integrare gli aspetti ambientali con le politiche su trasporti, energia,
agricoltura nonché sulla pianificazione territoriale e sugli interventi locali per incentivare lo
sviluppo sostenibile.
Nel 1954, con la Convenzione dell’Aja, vengono sanciti, altresì, i seguenti obblighi di protezione
dei beni culturali in caso di conflitto armato, a carico dei paesi firmatari:
a) astenersi da ogni attacco e da ogni danneggiamento dei beni culturali protetti o dall'utilizzarli per
degli scopi che potrebbero esporli ad attacchi nemici;
b) prevenire ogni atto di furto, vandalismo e distruzione;
c) proibire ogni misura di rappresaglia o di requisizione di beni culturali;
d) proibire, nei territori occupati, l'esportazione dei beni culturali e porre in essere ogni utile azione
ritenuta necessaria per salvaguardarli e conservarli;
e) rispettare in ogni occasione il personale responsabile della protezione dei beni culturali.
La tutela che viene riconosciuta ai beni culturali in caso di conflitto armato può essere:
(*) semplice cioè riferita a tutti i beni culturali, riconosciuti dallo Stato ove i beni si trovano, che
risultano quindi protetti in forma semplice da attacchi;
(*)speciale che non è concessa dallo Stato, ma dagli Stati, ed è limitata ad un piccolo numero di
monumenti di straordinaria importanza inseriti nel “Registro dei beni culturali posti sotto protezione
speciale”. Questi vanno contrassegnati con un distintivo azzurro e bianco ripetuto tre volte, che
tutela, non solo il bene, ma anche il personale addetto alla sua sorveglianza.
Ovviamente, sempre ed in ogni caso, queste tutele decadono se il bene culturale è utilizzato per
scopi militari o se nelle sue immediate vicinanze ci siano obiettivi militari.