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DIRITTO CONSUETUDINARIO: INQUINAMENTO TRANSFRONTALIERO

+ OBBLIGO COOPERAZIONE

INQUINAMENTO TRANSFRONTALIERO

Esiste una regola di diritto internazionale che impone un divieto di inquinamento transfrontaliero:
nessuno Stato ha diritto di usare il proprio territorio o permetterne l'uso in modo da causare danno al
territorio di un altro Stato. Il divieto trova la sua prima applicazione nella sentenza resa l'11/3/41 da
un Tribunale Arbitrale; è ribadito sia nel Principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma (1972),
sia nel Principio 2 della Dichiarazione di Rio de Janeiro (1992). Il Principio 21 stabilisce che gli
Stati hanno il diritto sovrano di sfruttare le proprie risorse conformemente alle proprie politiche
ambientali e la responsabilità di assicurare che le attività svolte non causino danni all'ambiente di
altri Stati. (dichiarazione di Rio principio quasi identico). Dall'esistenza di tale divieto deriva:
a) dovere della due diligence, dovere di ogni Stato di adottare tutte le misure opportune per
eliminare o attenuare i rischi di danni transfrontalieri al fine di accertare la legittima utilizzazione
del territorio.
b) obbligo di prevenzione, va ad aggiungersi a quello di riparazione e consiste nell'adozione di
tutte le misure preventive necessarie ad impedire che la realizzazione di date attività rechi
pregiudizi transfrontalieri. È adempiuto con un comportamento improntato sulla due diligence e la
prova dell'adozione di criteri di diligenza elimina ogni responsabilità dello Stato.
c) principio di precauzione, stabilisce l’obbligo di agire preventivamente al fine di evitare il
prodursi di un danno, anche a prescindere dalla certezza scientifica che possa giustificare una data
azione e la cui acquisizione potrebbe risultare tardiva – Principio 15 Dichiarazione di Rio. Il
documento di Rio afferma, inoltre, che le misure per prevenire il degrado devono avere un costo
inferiore a quello che si sarebbe sostenuto se il danno si fosse realmente prodotto.
d) principio “chi inquina paga”, Principio 16 Dichiarazione di Rio, non solo richiede che l'autore
di un danno all'ambiente sia considerato responsabile e tenuto a risarcire i danneggiati, ma,
soprattutto, impone agli Stati di non legiferare in modo da garantire che l'autore del danno non sia
tenuto al risarcimento.

OBBLIGO COOPERAZIONE TRA STATI


L’obbligo di cooperazione, codificato dalla Conferenza di Rio, prevede che gli Stati cooperino per:
- proteggere e ristabilire l'integrità dell'ecosistema (Principio 7);
- lo sviluppo di regole di diritto internazionale circa responsabilità e risarcimento danni
(Principio 13);
- nel diritto internazionale nel campo dello sviluppo sostenibile (Principio 27).
Da corollario l’obbligo di:
- informare tempestivamente sulla volontà di intraprendere attività suscettibili di arrecare danni;
- avviare (in caso di opposizione ad un progetto) le consultazioni per un componimento pacifico;
- notifica urgente delle catastrofi naturali.

DIRITTO CONVENZIONALE, CONFERENZA STOCCOLMA E SUCCESSIVE


Nella prima metà del XX secolo la regolamentazione ambientale si rifaceva a norme di diritto
internazionale aventi natura consuetudinaria che postulavano il divieto di inquinamento
transfrontaliero, l'obbligo di ridurre i rischi di incidenti e di prevenire i danni. Negli ultimi decenni
sia per l'intensificarsi dell’inquinamento sia per il verificarsi di gravi incidenti (petroliera Torrey
Canyon, 1967) si accelerò l’evoluzione del diritto ambientale da consuetudinario a convenzionale.
Questa nuova fase si inaugurò con la Conferenza di Stoccolma (1972) conclusasi con l'adozione di
un Documento di principi che ribadì:
- la necessità di prevenire le principali cause di inquinamento e i maggiori rischi ecologici;
- la libertà di sfruttare le risorse naturali conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e in modo
da garantire soddisfacenti condizioni di vita;
- una politica di cooperazione che coinvolgesse tutti gli Stati in virtù di un principio di
eguaglianza.
Venne istituito l'UNEP con funzioni di studio, programmazione, razionalizzazione e assistenza
tecnica agli Stati. Il Programma, avente anche il compito di adottare atti non vincolanti da
sottoporre agli Stati, diede l'avvio a negoziati che si conclusero con:
- Convenzione di Ginevra (1979) sull'inquinamento dovuto alle piogge acide;
- Convenzione di Montego Bay (1982) sul diritto del mare (concilia sfruttamento risorse naturali
con preservazione ambiente marino);
- Convenzione di Vienna (1985) sugli effetti nocivi dell'assottigliamento della fascia di ozono;
- Convenzione di Vienna (1986) sull'energia nucleare;
- Convenzione di New York (1992) sull’inquinamento che altera clima ed ecosistemi;
- Convenzione sul diritto all'utilizzazione dei corsi d'acqua internazionali (1997)

La Conferenza di Rio (non è una domanda)


La Conferenza di Rio (1992) rivalutò i principi espressi a Stoccolma e considerò lo sviluppo
sostenibile come essenziale nel nuovo approccio ambientale sempre meno settoriale. Vennero
redatti tre documenti:
- Dichiarazione di Rio sull'ambiente e sullo sviluppo;
- Agenda XXI;
- Dichiarazione di principi per la conservazione e lo sviluppo sostenibile delle foreste.
La Dichiarazione sull'ambiente e sullo sviluppo sancisce anzitutto il diritto di ogni generazione a
collocarsi come soggetto centrale intorno al quale organizzare lo sviluppo sostenibile e ad avere
una vita sana e in armonia con la natura.
Riguardo al tema della responsabilità si afferma che i costi dell'inquinamento devono essere
sostenuti dall'agente inquinante e si sottolinea che, in caso di rischio di danno grave, l'assenza di
certezza scientifica non è un pretesto per rinviare l'adozione di misure preventive. Altro principio è
quello della collaborazione scientifica volta a suggerire soluzioni innovative di contenimento
dell'inquinamento. Si pongono nuove necessità, effettuare la V.I.A. e sensibilizzare gli Stati a
diffondere immediatamente la notizia di catastrofi.
L'Agenda XXI è un vasto programma di lavoro proposto alla Comunità internazionale per il futuro
decennio teso a trovare un equilibrio tra bisogni di carattere economico e sociale, disponibilità delle
risorse e rispetto degli ecosistemi.
Inoltre, agì nella convinzione che l’economia dovesse essere subordinata all’ecologia.
La Dichiarazione sulla gestione, conservazione e sviluppo sostenibile delle foreste per contenere gli
squilibri climatici derivanti da una incontrollata deforestazione.

PROTOCOLLO DI KYOTO
Il Protocollo di Kyoto (1997) ha l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas inquinanti attraverso una
serie di impegni da attuarsi tra il 2008 e il 2012. Avendo gli Stati responsabilità diverse rispetto
all'emissione di gas, sono state individuate tre categorie di Paesi:
Paesi in via di sviluppo: solo obblighi di cooperazione e di scambi di informazioni;
Paesi in transizione verso un'economia di mercato: obblighi ridotti in tema di emissione di gas;
Paesi economicamente avanzati: la percentuale di riduzione è fissata al 5%. È tuttavia previsto un
regime differenziato, per es. l'U.E. deve ridurre le emissioni dell'8%, mentre alcuni Paesi hanno
diritto ad aumentarle.
L'Italia ha dato esecuzione al Protocollo con la L. n.120/2002. L’entrata in vigore del Protocollo è
fissata al 90° giorno successivo al verificarsi di due condizioni:
1) ratifica di almeno 55 Parti;
2) inclusione nelle Parti di cui sopra di Parti incluse nell'Allegato I le cui emissioni totali di
biossido di carbonio rappresentano almeno il 55% delle emissioni totali al 1990.
Con la ratifica della Russia (30/9/2004) tale condizione si è verificata e il Protocollo è divenuto
operativo il 16/2/2005. L'obiettivo per l'Europa è ridurre le emissioni di anidride carbonica
dell'8,2% e per l'Italia del 6,5% rispetto al 1990. Molte sono state le contestazioni del Governo
italiano. In quest’ottica il disinquinamento diventerà un beneficio economico e l’inquinamento un
costo, a fronte delle sanzioni decise da un apposito Comitato. Con la direttiva 2003/87/CE la
Commissione europea istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas al fine di
promuovere la riduzione di dette emissioni secondo criteri di efficacia dei costi ed efficienza
economica. Tale direttiva è stata attuata in Italia con le disposizioni urgenti del D.L. n.273/2004,
convertito in L. n.316/2004. In base ad essa gli impianti che emettono gas ad effetto serra in elevata
quantità devono essere, da gennaio 2005, in possesso di una autorizzazione e non possono rilasciare
inquinanti oltre una certa soglia. Dall’1/1/2005 al 31/12/2007 le quote di emissione del primo
periodo sono assegnate gratuitamente e solo successivamente saranno vendute.

L’AMBIENTE NEI TRATTATI ISTITUTIVI U.E. E I PRINCIPI DELLA POLITICA


AMBIENTALE COMUNITARIA

AMBIENTE TRATTATI ISTITUTIVI U.E.


Nei Trattati istitutivi delle tre Comunità europee non esistevano riferimenti ad una politica
ambientale comunitaria. Solo con la Conferenza di Stoccolma (1972) si concretizzò questo
indirizzo, ribadito poi nella Conferenza di Parigi dello stesso anno quando gli Stati furono invitati
ad elaborare un programma d’azione.
Nel trattato istitutivo esisteva una base giuridica per l’adozione degli atti comunitari ma questa era
molto fragile.
Con la prima riforma globale dei trattati istitutivi (1987, Atto Unico Europeo) fu inserito un titolo
destinato alla tutela ambientale che per la prima volta definiva obiettivi, principi e strumenti
comunitari.
Per effetto del Trattato di Amsterdam tutte le politiche devono tener conto della salvaguardia
dell'ambiente soprattutto nella prospettiva dello sviluppo sostenibile (art. 6).
Il Trattato di Nizza (2003) prevede un'elencazione più dettagliata dei settori su cui incidono le
misure del Consiglio e con la Dichiarazione n. 9 stabilisce che le Alte Parti Contraenti faranno sì
che l'U.E. svolga un ruolo motore nella protezione dell'ambiente nell'Unione e nel mondo.
Gli scopi cui mirano le azioni della Comunità sono definiti dall’art. 174 TCE.

PRINCIPI POLITICA AMBIENTALE COMUNITARIA


I criteri cui si ispira l'azione comunitaria, enunciati nell'art. 174 TCE 2° Paragrafo, sono:
A) principio di prevenzione. Ha finalità di evitare i danni ambientali pertanto richiede il controllo
dei progetti mediante una VIA. Con la direttiva comunitaria n. 337/85 e ss.mm. si chiede agli
Stati membri l'adozione della procedura di VIA nelle legislazioni interne per garantire
un'omogenea sostenibilità dello sviluppo. Il dettagliato elenco dei settori interessati alla VIA
indica sia i progetti per i quali la valutazione è obbligatoria sia quelli per cui è discrezionale. La
preventiva valutazione è condicio sine qua non;
B) principio “chi inquina paga”. Fondato sull’imputazione di responsabilità per danni causati.
L'addebito dei costi a chi causa l'inquinamento incita a ridurlo e a ricercare prodotti e tecnologie
meno inquinanti. Il costo viene quindi “internalizzato”. Finalità ultima è quella di ridurre
l'imposizione fiscale per l'ambiente sui cittadini e garantire la concorrenza tassando in eguale
misura identiche produzioni inquinanti. Sono strumenti di attuazione:
- rispetto di standard di inquinamento e di livelli di massima accettabilità delle emissioni
inquinanti;
- strumenti economico finanziari. Tasse per l'utilizzo delle risorse ambientali nei processi
produttivi e sussidi per incentivare l'adozione di tecnologie antinquinanti;
C) principio precauzionale, affermato dal 15° principio della Dichiarazione di Rio che impone
inoltre l’adozione di misure preventive prima che inizi un processo di degrado. È fortemente
correlato al principio “chi inquina paga”;
D) principio di correzione: lo Stato che causa danno deve provvedere a correggere alla fonte
la lesione;
E) principio dell'integrazione (Trattato di Amsterdam), considerato prioritario e indefettibile.
Affianca alle politiche economiche e settoriali della Comunità la tutela dell'ambiente.
Legittimato anche dalla Carta dei diritti fondamentali U.E. approvata al Consiglio europeo di
Nizza nel 2000.
PROGRAMMI D’AZIONE AMBIENTALE E AGENZIA EUROPEA PER L’AMBIENTE

PROGRAMMI AZIONE
Per tracciare una strategia comunitaria d'intervento vennero approvati 6 programmi, ognuno la
continuazione del precedente.
I Programma (1973-1977):
La Comunità si assume il compito di guidare i Paesi verso una politica ambientale uniforme. Si
vuole evitare che le differenze legislative degli Stati pongano limiti al Mercato Unico. Ogni
intervento nazionale, pur conservando l’equilibrio biologico, deve essere compatibile con lo
sviluppo economico e sociale.
II Programma (1977-1981):
Si indirizza verso una politica di prevenzione (controllo prodotti chimici, elaborazione dispositivi
sicurezza produzioni pericolose) e incentivazione a cooperare con gli Stati terzi. Rafforza l’impegno
per la protezione verso il contenimento acustico e atmosferico e per la considerazione dei problemi
ecologici come interdipendenti dell'economia mondiale.
III Programma (1981-1985):
Disciplina la politica ambientale in rapporto ad economia, occupazione, innovazione tecnologica,
informazione ai cittadini e, soprattutto, collaborazione con i Paesi terzi. Più fermamente si pone il
principio di cooperazione.
IV Programma (1987-1992):
Gli Stati membri sono sollecitati ad operare una ricognizione ambientale del territorio per studiare
soluzioni adeguate ai diversi degradi. Queste le azioni previste:
- riduzione alla fonte degli inquinanti;
- migliorare la gestione delle risorse;
- potenziare la collaborazione internazionale;
- sviluppare strumenti adeguati ad una maggiore tutela (es. VIA).
V Programma (1993-2000):
Getta le basi per una politica comune ed estende l'obiettivo di prevenzione. Non si mira più solo a
punire, ma si tenta di responsabilizzare sui problemi ambientali, prevedendo anche azioni premianti.
Introduce il principio di corresponsabilità e contiene quello di proporzionalità: limita le libertà
comunitarie di commercio e circolazione merci. Limitazioni compensate dal principio di
sostituibilità. Prevede misure di sostegno economico-finanziario, di mercato e supporto.
VI Programma (2001-2010):
Insiste sulla corretta e uniforme applicazione della normativa comunitaria ed incarica la
Commissione di denunciare gli inadempienti. Ha per obiettivo la questione ecologica dei modelli di
produzione e consumo; vuole integrare gli aspetti ambientali con le politiche su trasporti, energia,
agricoltura nonché sulla pianificazione territoriale e sugli interventi locali per incentivare lo
sviluppo sostenibile.

AGENZIA EUROPEA AMBIENTE


Per coordinare l'attività delle istituzioni comunitarie è stata creata, a fine anni ‘80, l'Agenzia
europea per l'ambiente, divenuta operativa solo dal ‘94 con sede a Copenaghen. Ha istituito e
coordina una rete europea di informazione e osservazione (EIONET) per raccogliere dati,
identificare problematiche ambientali rilevanti e fornire informazioni aggiornate sullo stato
dell'ambiente nei paesi aderenti al fine di farle pervenire ai responsabili decisionali e al pubblico.
Oggi conta 31 Stati membri.

PRINCIPALI AMBITI INTERVENTO POLITICA AMBIENTALE U.E.


I principali ambiti d'intervento sono:
- Inquinamento delle acque
La direttiva 76/464/CEE è una disciplina quadro per eliminare l'inquinamento delle acque (es.
mercurio) e ridurre le sostanze meno pericolose. Numerose altre direttive fissano i livelli di qualità
delle acque (es. potabili). La direttiva 2000/60/CE impone la tutela della qualità ambientale e
l'utilizzo razionale delle risorse naturali. L’azione comunitaria deve essere differenziata in base alle
diverse condizioni ambientali e di sviluppo socioeconomico. È indispensabile la collaborazione sia
a livello locale che tra Comunità e Stati.
- Inquinamento atmosferico
Numerose sono state le direttive per salvaguardare la qualità dell'aria ma tutte inadeguate. I settori
produttivi sono stati sollecitati con ritardo alla riconversione industriale mentre la riduzione dello
strato di ozono ha indotto a limitare l’uso di cfc (totalmente eliminati dall’1/1/95) e di allogeni. È
stata limitata la concentrazione di piombo nelle benzine e dal ‘92 i costruttori di automobili sono
stati obbligati a dotare le stesse di catalizzatori e controllare il trasporto di inquinanti (programma
EMEP – ‘79). Con la direttiva 2002/3/CE, sulla determinazione dei parametri di ozono nell'aria, è
stato inaugurato un piano europeo di azione.
- Inquinamento da rumore
La Comunità ha adottato direttive per armonizzare i metodi di valutazione e il livello massimo di
rumorosità consentito. La direttiva 49/02 detta misure determinative e gestionali.
- Smaltimento e il trattamento dei rifiuti
Direttiva quadro è la n. 442/75 integrata dalla n. 319/78 sui rifiuti tossici e pericolosi (poi abrogata)
e da altre direttive che stabiliscono misure specifiche per olii residui, rifiuti delle lavorazioni
industriali di biossido di titanio, rifiuti di pcb e pct.
- Protezione della fauna e della flora
La direttiva n. 409/79 definisce salvaguardia e protezione di uccelli selvatici. La direttiva n. 609/86
disciplina la protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali o scientifici in particolare se in
via di estinzione. Altre due direttive vietano l'uso di prodotti provenienti da balene e cuccioli di foca
per fini commerciali.
- Valutazione di impatto ambientale
Con direttiva CEE 85/337 è stato previsto che i principali interventi di sviluppo concernenti
agricoltura, industria o infrastrutture debbano essere soggetti ad una VIA prima di realizzare il
progetto.

AMBIENTE E DETTATO COSTITUZIONALE


Prima della riforma recata dalla L. Cost. n.3/2001, dalla normativa costituzionale si ricavava solo un
principio di salvaguardia indiretta e parziale dell’ambiente attraverso un'interpretazione degli artt. 2,
9 e 32.
L'art. 2 afferma il principio personalista: al vertice dei valori dell'ordinamento si ha la persona
umana nella sua dimensione individuale e sociale.
Dall'art. 32 la giurisprudenza ricava un diritto alla salubrità dell'ambiente inteso come preservazio-
ne delle condizioni indispensabili o propizie alla salute dell'uomo.
L' art. 9 sancisce, tra l’altro, la tutela del paesaggio interpretabile in una accezione avente
significato di ambiente.
Gli art. 41 e 44 cost., relativi alla proprietà privata, prevedono correttivi per una gestione
equilibrata delle limitate risorse naturali.
Con la L. Cost. n. 3/2001 la materia ambientale diventa oggetto di specifica disciplina, se ne
definisce l'assetto organizzativo ed ordinamentale.
L’art. 117 Cost. attribuisce la tutela di ambiente, ecosistema e beni culturali alla legislazione
esclusiva dello Stato e riserva alla legislazione delle Regioni la tutela della salute, governo del
territorio, protezione civile, produzione trasporto e distribuzione dell'energia, valorizzazione dei
beni culturali ed ambientali.
La tutela di ambiente ed ecosistema sottende il principio di sussidiarietà (podestà decisionale
all’ente più prossimo ai governati).
Questa tutela va esercitata nel rispetto della Costituzione, dei limiti dettati dal diritto internazionale
(art.10 Cost.), da accordi di reciproca limitazione della sovranità (art.11 Cost.), dall’ordinamento
comunitario e dai trattati internazionali.
Le Regioni possono:
- partecipare alla formazione di atti normativi comunitari (per non annichilire le prerogative
autonomistiche);
- attuare gli accordi internazionali e dell’U.E.;
- concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni , nel rispetto delle Leggi dello
Stato (per attestare la podestà regionale estera).
La Legge n.11/2005 chiarisce che Stato, Regioni e Province autonome possono dare immediata
esecuzione alle direttive comunitarie nelle materie di propria competenza legislativa.

CONCETTO DI AMBIENTE DEFINIZIONE GIURIDICA E NOZIONE SCIENTIFICA


Con il sostantivo “ambiente” si indicano fenomeni eterogenei, naturali o frutto dell’azione
umana, di trasformazione del territorio.
La nozione di ambiente ha una duplice natura concettuale: polivalente ed unitaria.
Secondo la prima elaborazione si configura ricco di significati e la sua tutela si riconduce alla
necessità di preservare le bellezze paesaggistiche in un'ottica culturale; difendere la qualità della
vita (lotta all'inquinamento); governare il territorio conformemente alle esigenze ecologiche.
L'elemento fondante del concetto unitario di ambiente è “la qualità della vita” che, connessa alla
salvaguardia dell’ambiente, considerato come territorio, habitat, paesaggio, fa corrispondere la
tutela della salute umana alla tutela dell'ambiente.
Relativamente al concetto giuridico di ambiente la Corte costituzionale ha sancito il rango
costituzionale primario della tutela dell'ambiente, comprendendo, nel concetto, tutte le risorse
naturali e culturali.
Questa tutela deve garantire conservazione, razionale gestione e miglioramento delle condizioni
naturali, preservazione dei patrimoni genetici terrestri o marini, di tutte le specie animali o vege-
tali e della persona umana.
Una definizione univoca dell’ambiente viene anche dal mondo scientifico che con il termine
«ambiente» individua l'insieme dei fattori :
1) biotici: organismi viventi (virus, piante, animali, batteri), diversi dall'uomo ma con cui
egli interagisce, tra i quali si instaura una competizione intraspecifica ed interspecifica.
2) abiotici: il mezzo fisico in cui gli i fattori biotici vivono (aria, acqua, suolo).
Il diritto dell'ambiente trae dalla nozione scientifica aspetti giuridicamente rilevanti, prendendo in
considerazione soprattutto i fattori abiotici che, fornendo sostentamento all’uomo, sono risorse
naturali da salvaguardare.
Lo sfruttamento di queste risorse ha subito un incremento esponenziale oltrepassando la capacità
rigenerativa del pianeta e compromettendo la dotazione mondiale di fonti non rinnovabili.
Necessari, quindi, la costruzione di un diritto dell'ambiente e l'approntamento di strategie
mondiali.

DIRITTO ALL’AMBIENTE E SVILUPPO SOSTENIBILE (se è richiesto solo in Italia


togliere la parte in rosso)
Il diritto all'ambiente è il diritto fondamentale dell'uomo alla preservazione delle condizioni per la
sua sopravvivenza. L’ambiente è inteso come bene immateriale unitario (bene giuridico
riconosciuto da norme costituzionali e competenza della P.A.).
Lo sviluppo sostenibile è l'insieme delle relazioni tra le attività umane nella loro dinamica e la
biosfera con le sue dinamiche. Queste relazioni devono permettere alla vita umana di continuare
apportando variazioni tali da non distruggere il contesto biofisico.
La definizione di sviluppo sostenibile è correlata a due concetti:
1. carring capacity: la capacità portante della Terra è caratterizzata da ritmi naturali e limiti tali da
definire concluso il sistema in cui viviamo;
2. programmazione sostenibile: proiezione dello sviluppo economico, tecnologico e sociale
compatibile con la successione ecologica.
Un valido sviluppo sostenibile va circoscritto alla carring capacity e deve rispettare il principio
del rendimento sostenibile e quello degli interventi compensativi.
Per il c.d. rapporto Brundtland (1989), lo sviluppo sostenibile è quel principio che soddisfa i
bisogni della generazione presente senza compromettere quelle future.
Gli elementi fondamentali dello sviluppo sostenibile sono:
• principio dell'uso equo delle risorse naturali ;
• principio di equità intergenerazionale;
• principio di equità intragenerazionale;
• concetto di integrazioni tra le politiche dello sviluppo e quelle della tutela ambientale.
Il Vertice di Johannesburg (2002) definisce un piano d'azione per salvaguardare l'ambiente,
dimezzare la povertà, fornire acqua potabile ai Paesi sottosviluppati, aumentare le energie
rinnovabili e avviare gli aiuti finanziari alle nazioni in via di sviluppo.
Il Trattato di Amsterdam (1997) integra tutela ambientale e sviluppo sostenibile in tutte le politi-
che comunitarie.
Nel 1998 le misure per lo sviluppo sostenibile vengono inserite nel pacchetto deliberativo del
CIPE al fine di ridurre i gas serra, razionalizzare il settore trasporti e rendere più efficiente l'uso
dell'energia.
In attuazione dell'Agenda XXI di Rio, l'ENEA predispone il nuovo PNSS (1999) che investe i
settori: agricoltura sostenibile, energia s., industria s., trasporti s., turismo s..
A questi 5 rapporti l’ENEA affianca nel PNSS 12 relazioni su temi prioritari e nel 2000 sviluppa
una nuova versione del Piano denominato Agenda XXI Italia, documento di intenti con obiettivi
programmatici nei settori ambientale, sociale ed economico.
L’Agenda locale permette, invece, all’autorità locale di intervenire direttamente nella gestione
dei risvolti ecologici territoriali.
In attuazione del programma “Agenzia XXI Italia” il CIPE nel 2002 approva il documento
“Strategia d’azione ambientale per lo sviluppo sostenibile in Italia 2002-2010”.

RIPARTO COMPETENZE FRA STATO E REGIONI


La L. delega n. 308/2004 individua gli ambiti nei quali la potestà regolamentare è delegata alle
Regioni (ai sensi dell’art. 117 Cost.) e condiziona la delega alla conformità alle normative
comunitarie e alle competenze statali.
L’art.117 Cost. lett. s) prevede che spetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato la tutela di
ambiente, ecosistema e beni culturali; spetta a Stato e Regioni la legislazione concorrente su:
- valorizzazione dei beni culturali e ambientali;
- governo del territorio;
- grandi reti di trasporto e navigazione;
- trasporto e distribuzione dell'energia.
Le Regioni hanno dunque potere di legiferare pur competendo allo Stato la sola determinazione dei
principi fondamentali.
Si potrebbero perciò creare interferenze tra le competenze di Stato e Regioni.
Con l’art.117 si subordina la potestà legislativa di Stato e Regioni al rispetto dei vincoli
dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali.
Il Testo Unico sull’ambiente, recependo numerose normative europee e comunitarie, rende il
problema più complesso dei conflitti di competenza tra leggi statali e regionali.
La L. Cost. 3/2001, nel riformulare l’art. 117, afferma che allo Stato è riservata la potestà esclusiva
sulla tutela di ambiente, ecosistema e beni culturali e alle Regioni la legislazione concorrente sulla
valorizzazione dei beni ambientali e del governo del territorio.
La L. 61/1994, istitutiva dell'ANPA, prevede che le Regioni siano tenute ad istituire le ARPA. Le
stesse Regioni ne definiscono le linee guida e si occupano della loro articolazione territoriale
stabilendo le modalità di consulenza e supporto a Province e Comuni e di integrazione e
coordinamento con il sistema sanitario locale.
La L. 349/1986 (istitutiva Ministero Ambiente) riconosce tutela giuridica agli interessi
superindividuali (c.d. diffusi) appartenenti ad una collettività ed insuscettibili di appropriazione
singola. L’art. 18 ammette autonoma legittimazione delle associazioni in possesso dei requisiti di
cui all’art. 13. Il D.L.vo 152/2006 salva dall’abrogazione solo “il potere delle associazioni di
intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa
per l’annullamento di atti illegittimi”.

VALUTAZIONE IMPATTO AMBIENTALE


La VIA designa un procedimento incidentale ed aperto alla partecipazione del pubblico che, a
seguito di istruttoria tecnico-scientifica e interdisciplinare, sfocia in un giudizio preventivo di
compatibilità ambientale di un progetto (pubblico o privato), giudizio che può prevedere
prescrizioni correttive. L’«impatto ambientale» è l'insieme degli effetti di rilevanza che un
intervento provoca sui fattori ambientali.
La direttiva 85/337/CE concedeva tre anni all’UE per attuare la disciplina di VIA ma sino ad oggi
in Italia non si è giunti al recepimento definitivo.
Il D.L.vo 152/2006 (art. 48) risistema organicamente la procedura di VIA e da attuazione alla
VAS (direttiva 2001/42/CE) e all’AIA (D.L.vo 159/2005).
La competenza sulla VIA spetta al Ministro dell'ambiente e al Ministro per i beni e le attività
culturali nel caso di progetti sottoposti ad autorizzazione statale, interregionale e internazionale;
negli altri casi spetta all'autorità individuata da Regione o Provincia.
La VIA si articola nelle fasi:
• introduttiva: il committente inoltra domanda all'autorità competente. Una copia va trasmessa
anche a Regioni, Province e Comuni interessati chiamati ad esprimersi in 60 gg. Decorso il
termine, l'autorità competente procederà sulla compatibilità ambientale;
• studio di impatto ambientale: predisposto dal committente (contiene descrizione di: progetto,
misure per evitare effetti negativi, principali alternative prese in esame…) con allegata sintesi
non tecnica;
• pubblicità: le amministrazioni indicano gli uffici presso i quali sono reperibili dal pubblico i
documenti inerenti il procedimento. Il committente deposita il progetto e provvede
all’annuncio mezzo stampa.
• partecipazione al procedimento: gli interessati possono presentare all'autorità competente
proprie osservazioni entro 45 gg dalla pubblicazione.
• istruttoria tecnica: accerta la completezza della documentazione e effettua tutte le verifiche.
• giudizio di compatibilità: conclude la procedura (entro 90 gg pubblicazione).
Per infrastrutture e insediamenti produttivi la VIA è disciplinata dal D.L.vo 190/2002 e s.m.i.

AMBIENTE E PAESAGGIO. IL DIRITTO AMBIENTALE.


Il D.L.vo n. 490/1999, sintesi di Leggi dedicate alla tutela dei beni culturali e dei beni ambientali,
era intitolato "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali".
Il D.L.vo n. 42/2004, orientato ad armonizzare le predette normative con le successive, era intitolato
"Codice dei beni culturali e del paesaggio".
Il termine "ambientale" era stato sostituito dal termine "paesaggio"; si rischiava di incappare in
conflitti di competenza tra Stato e Regioni. Inoltre la denominazione del Testo Unico non
funzionava: la tutela paesaggistica è attribuita al Ministero per i beni e le attività culturali, la tutela
ambientale al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio.
Alla tutela ambientale è stato dunque riservato un proprio ambito normativo in cui il bene–ambiente
viene considerato un insieme più ampio del bene–paesaggio (porzione del patrimonio culturale,
ricomprende in sé gli elementi tipici delle località) e assume un’accezione salutistica (si lega al
diritto alla salute).
La L. n. 308/2004 (Codice dell’ambiente) delega al Governo riordino, coordinamento e integrazione
della legislazione ambientale, in attuazione di essa viene emanato il c.d. Testo Unico dell’ambiente
(D.L.vo n. 152/2006).

AMBIENTE, BENI CULTURALI E PAESAGGIO NELLA LEGISLAZIONE VIGENTE


Lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e
artistico sono tutelati dall’art. 9 della Costituzione. Nel 1966 la Commissione Franceschini, istituita
con la L.310/64, pubblicò i risultati di una indagine, durata due anni, che metteva in luce la
drammaticità della situazione del patrimonio culturale e ambientale italiano. Veniva anche delineato
un progetto di riforma che divideva questa materia in 5 categorie. Purtroppo tutto ciò non diede i
risultati sperati. La legislazione degli anni seguenti è stata scarsa e per lo più derivante dal
recepimento di disposizioni comunitarie o di trattati internazionali. In mezzo a questa proliferazione
normativa il Legislatore ha deciso di adottare la forma del Testo Unico per disciplinare la tutela dei
beni culturali ed ambientali (D. Lgs.490/99 in vigore fino al 30/4/2004). Tale provvedimento
rappresenta una semplificazione normativa rispetto alla precedente disciplina.
STRUTTURA DEL CODICE DEI BENI CULTURALI E DEL PAESAGGIO OK
Con il D.Lgs. 42/2004 vengono accorpate e armonizzate tutte le norme in vigore fino a tale
momento, in merito alla tutela dei beni culturali e paesaggistici. E’ composto da 5 parti:
(1) Disposizioni generali e principi
(2) Beni culturali
(3) Beni paesaggistici
(4) sanzioni
(5) Disposizioni transitorie e finali.
Il tutto è integrato dall’allegato “A” formato da un elenco di categorie di beni ed i valori applicabili
a tali categorie. All’interno del patrimonio culturale italiano si possono ascrivere due categorie di
beni:
(1) beni culturali in senso stretto coincidenti con le cose mobili e immobili d’interesse
storico,artistico e archeologico
(2) paesaggi italiani costituiti dagli immobili e dalle aree di notevole interesse pubblico con cospicui
caratteri di bellezza.
CONCETTO DI BENE CULTURALE E BENE PAESAGGISTICO
Per BENE CULTURALE si intende un bene mobile o immobile che abbia interesse storico,
artistico, monumentale, archeologico, archivistico o librario (vedasi D.L. 112 del 1998),
Partendo da questa definizione si capisce che la tutela di questi beni è spinta. non soltanto da motivi
estetici, ma soprattutto storici, evidenziando così l’importanza che l’opera o il bene ha avuto per la
storia e per il progresso umano. Sono considerati beni culturali:
- le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie
- gli archivi e i singoli documenti
- le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico o archeologico.
Per BENE PAESAGGISTICO, secondo il Codice dei Beni Culturali e del paesaggio, si intende
una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dagli interventi antropici o
dalle reciproche relazioni. A norma del Codice sono beni paesaggistici:
- le cose immobili che hanno notevoli caratteri di bellezza naturale;
- le ville, giardini e parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza
- le bellezze naturali considerate come quadri e così pure i punti di vista o di belvedere
- le riserve naturali statali o regionali e i vulcani.

LA PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IN CASO DI CONFLITTI ARMATI (pag. 201)


Fermo restando il concetto fondamentale che i danni arrecati ai beni culturali, a qualsiasi popolo
essi appartengano, costituiscono danno al patrimonio culturale dell'umanità intera, poiché ogni
popolo contribuisce alla cultura mondiale, è emersa, già da tempo l’esigenza primaria di assicurare
la tutela della conservazione dei beni culturali, nei casi di conflitti armati. La maggior parte dei beni
oggetto di tutela è costituita da chiese, castelli, roccaforti, templi, ecc. di notevole valore storico e
artistico e risultano, ovviamente, protetti anche i luoghi di conservazione di tali beni (musei ecc.).
Già tra il 1922 e il 1923 furono stabilite, a livello internazionale, due principali regole, valide a
patto che gli Stati belligeranti si astengano dall'usare i beni culturali per scopi militari, accettando
un regime speciale di controllo.
La prima stabilisce che:
a) nei bombardamenti aerei devono essere adottate tutte le misure necessarie per risparmiare, per
quanto possibile, gli edifici consacrati ai culti, alle arti, alle scienze ed alla beneficenza, i
monumenti storici, gli ospedali e i luoghi di raccolta di feriti e malati;
b) tali edifici debbono essere indicati da segni visibili dagli aeromobili, e che l'uso illecito di tali
segni costituisce atto di perfidia;
c) il segno distintivo dei monumenti in questione deve essere un pannello rettangolare diviso
diagonalmente in due triangoli, nero il superiore, bianco l'inferiore;
d) per assicurare la protezione di notte, i segni devono essere resi visibili anche in tali condizioni
mediante misure idonee.
La seconda, più specifica per i monumenti di grande valore storico:
1) facoltà di stabilire zone di protezione attorno ai monumenti in questione;
2) i monumenti così trattati saranno notificati agli altri Stati;
3) l'area di protezione non deve superare i 500 m a partire dalla periferia;
4) segni ben visibili dagli aeromobili sia di giorno che di notte;
5) i segni per indicare i monumenti devono essere quelli stabiliti e notificati agli altri Stati;
6) l'uso illecito dei segni in questione costituisce atto di perfidia;
7) lo Stato che accetta le norme di questo articolo deve astenersi dall'usare i monumenti storici e le
aree circostanti per scopi militari o a profitto;
8) una apposita commissione di sorveglianza si assicurerà che nessuna violazione alle presenti
norme sia commessa circa l'uso di monumenti e di aree.

Nel 1954, con la Convenzione dell’Aja, vengono sanciti, altresì, i seguenti obblighi di protezione
dei beni culturali in caso di conflitto armato, a carico dei paesi firmatari:
a) astenersi da ogni attacco e da ogni danneggiamento dei beni culturali protetti o dall'utilizzarli per
degli scopi che potrebbero esporli ad attacchi nemici;
b) prevenire ogni atto di furto, vandalismo e distruzione;
c) proibire ogni misura di rappresaglia o di requisizione di beni culturali;
d) proibire, nei territori occupati, l'esportazione dei beni culturali e porre in essere ogni utile azione
ritenuta necessaria per salvaguardarli e conservarli;
e) rispettare in ogni occasione il personale responsabile della protezione dei beni culturali.

La tutela che viene riconosciuta ai beni culturali in caso di conflitto armato può essere:
(*) semplice cioè riferita a tutti i beni culturali, riconosciuti dallo Stato ove i beni si trovano, che
risultano quindi protetti in forma semplice da attacchi;
(*)speciale che non è concessa dallo Stato, ma dagli Stati, ed è limitata ad un piccolo numero di
monumenti di straordinaria importanza inseriti nel “Registro dei beni culturali posti sotto protezione
speciale”. Questi vanno contrassegnati con un distintivo azzurro e bianco ripetuto tre volte, che
tutela, non solo il bene, ma anche il personale addetto alla sua sorveglianza.
Ovviamente, sempre ed in ogni caso, queste tutele decadono se il bene culturale è utilizzato per
scopi militari o se nelle sue immediate vicinanze ci siano obiettivi militari.

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