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Donne che danzano e uomini che lottano

don Marco Pedron


Assunzione della Beata Vergine Maria (Messa del Giorno) (15 agosto 2010)
Lc 1,39-56

Oggi la chiesa celebra la festa dell'Assunzione di Maria in cielo: celebriamo Maria, una di noi, gi
arrivata in anima e corpo alla meta dove tutti noi un giorno arriveremo. Anche Ges, vero uomo,
asceso al cielo, ma in quanto figlio di Dio potremmo sentirlo diverso da noi. Maria no, Maria
come me e come te. Allora questa festa una grande speranza, una grande forza per la nostra
vita: non c' da aver paura, non c' da temere, perch andiamo verso la luce, verso qualcosa di
buono; non c' da aver paura perch ci che ci aspetta qualcosa che ci realizzer, che soddisfer
tutte le nostre nostalgie e i nostri desideri profondi; non c' da aver paura perch le Grandi Mani
di Dio ci stanno aspettando e, qualunque sia la nostra vita e il nostro percorso, stanno per
abbracciarci e per far festa: eravamo cos tanto attesi, cos tanto aspettati (15, 11-32)!
Il vangelo ci presenta l'incontro di due donne. Entrambe sono uscite dalle loro posizioni per
andare verso qualcosa che non sanno, che ancora oscuro, buio, ma che chiede di nascere. Maria
si messa in viaggio (1,39); Elisabetta era sterile e avanti negli anni (1,7). Entrambe hanno un
mistero, un figlio, un progetto da partorire; c' qualcosa di informe in loro che chiede spazio,
chiede di prendere forma nelle loro vite. I loro nomi sono il segno della loro vita: Elisabetta "Dio
sazia" e Maria "acque feconde, gravide di vita" sono non solo i loro nomi ma anche il loro
destino, la loro vocazione. Ma anche Adamo, simbolo di tutti gli uomini, ha inscritto nel suo
nome il suo compito di generare: perch Adamo (a-d-m) la porta (d) della madre (a-m).
Il compito di ogni uomo allora essere madre, cio dare alla luce ci che ha dentro, dare forma a
ci che informe, far nascere, partorire il mistero che contiene in s. La chiamata per tutti noi
quella di generare la nostra anima, di far nascere il Dio che ci abita, che chiede spazio in noi, che
chiede di vivere nella nostra vita.
Non so cosa mi abita, non so dove mi porter; come non conosco il volto di mio figlio, come lo
ricevo come un dono che accoglier incondizionatamente, al di l di come sar, cos sono chiamato a
prendermi cura del "figlio", del mistero che vuole nascere in me. Sar padre e madre non tanto se
avr figli naturali ma se sapr generare il mistero di Dio che chiede di nascere in me. Sar padre e
madre se sar servo rispetto a questa gravidanza, se la rispetter, se non vorr deciderla io, se non mi
attaccher alle mie idee sulla mia vita, ma la accoglier per come lei si presenter. La strage degli
innocenti non tanto un fatto storico, ma ci che accade ogni qualvolta il nostro mondo interiore
non viene dato alla luce, ogni qualvolta si rifiuta la nascita a ci che deve nascere, si rifiuta la vita a
ci che deve vivere. Quando l'uomo non genera il Figlio dell'Uomo (il Dio, il progetto inscritto in
s) allora si compie questa strage; ogni qualvolta l'uomo si dimentica dell'anima, ogni qualvolta
l'uomo vive disinteressandosi di ci che ha dentro, ogni qualvolta l'uomo vive presumendo dal Dio
che ha in s compie delle terribili tragedie. I nostri figli naturali muoiono lungo le strade per
corse folli, nelle discoteche tra stordimento e droghe, nelle case tra depressioni e senso di vuoto
perch noi genitori di ruolo, ma incapaci di generare, non siamo stati in grado di generare il
nostro mondo interiore, perch noi li abbiamo privati delle radici, perch noi abbiamo tagliato
loro le gambe alienandoli dalla loro anima e dal loro profondo. E l'esterno soltanto

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l'oggettivazione dell'interno.
Io ho un segreto, un "figlio" che vuole nascere. Io ho qualcosa da dire, da far nascere, da mettere
al mondo; io non sono qui per sbaglio: lo sar stato, magari, per i miei genitori, lo sar per la societ,
ma non lo sono per Dio. Tutta la mia vita ruota attorno a questa fede: crederci o non crederci.
Tutta la mia felicit star nella scelta tra dar luce o tenere nel buio tutto questo. A volte il tempo di
gestazione di nove mesi, a volte di quarant'anni; a volte il parto semplice e naturale, a volte il
parto lungo, doloroso: un travaglio. Ma c' qualcosa in me che viene da pi lontano di me, che
mio ma che non mio, che mi abita ma che non possiedo. C' un "figlio" che vuole nascere!
Maria ed Elisabetta si benedicono, cantano, danzano, sono piene di vita perch comprendono che
attraverso di loro si sta compiendo qualcosa che le supera, qualcosa di pi grande. Il mistero sta
prendendo corpo, sangue, forma in loro. Loro si sono fidate, gliel'hanno permesso, e adesso ci che
era nascosto, oscuro prende volto e nome.
Poi Maria canta il Magnificat. Certamente Maria non ha mai detto, n scritto il Magnificat, che
un testo, un inno liturgico della prima comunit cristiana, ma esprime un lato importante di Maria.
Maria non solo l'umile donna, la serva fedele al Signore, tutta obbediente e passiva a Dio. Il
Magnificat un inno di lotta contro l'oppressione e per la giustizia. Quando leggo questo canto
sento un'onda d'urto verso tutte le falsit e le ipocrisie, sento l'indignazione per quei rapporti di
potere e di oppressione che vedo attorno, sento il desiderio di battermi contro le strutture
d'ingiustizia. Maria qui pi vicina a Giovanna d'Arco che all'umile serva sempre in remissivo
ascolto.
La mia fede non solo cantare le lodi nella liturgia della chiesa, la mia fede deve scendere nelle
piazze, deve protestare contro il sistema economico iniquo che riduce l'occidentale ad un robot e
l'africano alla fame; deve dire "no" e scioperare e trovare strumenti di protesta non violenti contro
lo sfruttamento telefonico (gli sms costano 1 centesimo, mentre noi li paghiamo 15 centesimi),
deve trovare forme di aggregazione e di unit come la banca etica o il mercato equo-solidale o altro.
Maria mi spinge a lottare, a schierarmi contro l'ingiustizia, non prendendo mentalmente
posizione, ma scendendo gi nelle strade, intervenendo di prima persona e spendendo la mia vita
per ci che dico di credere. Un uomo che non lotta per le proprie idee o non vale l'uomo o non
valgono le idee.
Per me uomo maschio, poi, un pugno secco allo stomaco: "Ma che uomo sei? Ma guardati: per
cosa lotti? Puoi chiamarla lotta avere un corpo muscoloso, scolpito, un auto sfolgorante,
un'immagine da esibire? Ti distendi davanti la tv, una slot machine, un computer e poltroni per
ore; non sai mettere la tua maschilit in gioco per qualcosa di sociale e ti definisci uomo? Dov'
finito il tuo lato maschile, selvaggio, l'eroe che c' in te, il William Wallace, il Gandhi, il Ges,
l'uomo che si batte per ci che crede, l'uomo che disposto a pagare sulla sua pelle e di persona,
che si espone, che rischia, che non si piega per interesse o vantaggi? Dov' la tua energia?".
Il Magnificat fa irrompere la voglia di mordere la vita, di provare a fare qualcosa, di plasmare
almeno un po' questo mondo, di agire, di trasformare la mia fede in prassi. Sacrificium viene da
"sacrum facere": la disponibilit al sacrificio, la capacit di donare e di offrire qualcosa che sia
sacro. Il Magnificat contatta la mia identit profonda di uomo-maschio che non vive n per il
denaro n per il potere n per il sesso n per il successo, ma per la verit, per la voce di Dio, per
incanalare l'energia maschile in maniera appassionante, combattiva e per qualcosa che sia al di
sopra degli interessi personali o di parte.
Il brano del vangelo contrassegnato da una gioia irrefrenabile: le donne si salutano, (40), il
saluto smuove il sentimento e riempie di vita (41); Elisabetta urla (42-45), Maria canta (46-55). A

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ben pensarci queste due donne non hanno proprio niente di cui rallegrarsi, gioire (o comunque noi
vivremmo cos quella situazione!): Zaccaria stato punito ed muto e sua moglie Elisabetta,
anziana, incinta; Maria incinta senza conoscere uomo e deve affrontare il giudizio della gente,
il pericolo della morte per lapidazione, l'onta di essere incinta prima del matrimonio, le perplessit
di Giuseppe e deve fidarsi, basandosi sulle parole di un angelo, che quel figlio che aspetta il
Figlio di Dio. Non c' proprio niente per cui stare allegri, non c' proprio nulla da cantare, da
danzare?
Ma queste sono donne la cui caratteristica la totale assenza del drammatico. Maria non
drammatizza, non si dispera (pur essendocene motivo), non si angoscia e cos annulla il dramma
della situazione (che drammatica lo !).
Quante volte nella nostra vita il drammatico abita i nostri giorni: allora sembra la fine, sembra la
cosa peggiore del mondo, sembra la cosa pi grave che ci possa essere e la disgrazia pi grande
che ci possa capitare. Tua figlia rimasta incinta ma non ancora sposata: dramma. Il tuo vicino
di casa ha sparlato di te in paese: dramma. Tuo figlio stato bocciato a scuola: dramma. Un
amico prete si sposato: dramma. Un piccolo battibecco in ufficio, uno che ti ha fatto uno sgarbo,
uno che ti " passato davanti": dramma. Mi viene cambiata la mansione al lavoro, arriva un
nuovo collega, cambio di parrocchia: dramma. Succede un inconveniente con l'auto, si brucia
qualcosa finch cucinavo: dramma.
Alcune persone vivono la vita in maniera drammatica, angosciate, disperate, un po' perch lo
vogliono loro. Ogni situazione viene amplificata, ingigantita; un problemuccio diventa la fine del
mondo, una difficolt diventa l'irreparabile, l'irrisolvibile. Tutto problema, tutto angoscia,
tutto grave.
Un giorno mia madre ebbe un attacco isterico perch presi un brutto voto a scuola (cosa che
succedeva raramente): "Gravissimo!", mi disse. Ma che gravissimo, vediamo di non ingigantire la
realt. E ci stette male per molti giorni. Quante volte si sente dire in giro: "Non potevi farmi una
cosa peggiore; questa cosa imperdonabile; tragico ci che hai fatto". Di fronte alla vita c'
un'esasperazione delle situazioni, siamo drastici, siamo eccessivi. Cos ogni giornata sembra lo
sbarco di Normandia, un pericolo, un'ansia terribile, un'impresa titanica. Vivendo cos anche un
dosso sembra l'Everest: ma che vita ? Ma perch dover distruggersi sempre dalla fatica?
"Non temere, perch io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai
attraversare le acque, sar con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al
fuoco, non ti scotterai; la fiamma non ti potr bruciare; poich io sono il Signore tuo Dio, il tuo
Salvatore... Tu sei prezioso ai miei occhi, perch sei degno di stima e io ti amo" (Is 43,1-4).
Maria ed Elisabetta sono donne totalmente donate al Signore della Vita, perch hanno saputo
vedere ogni istante non con i loro occhi ma con gli occhi di Dio. In contesti e avvenimenti cos
duri e ostici non sono rimaste nella periferia dei fatti, nel bordo, guardando solo ci che si vedeva
con il primo sguardo, la prima impressione, scorgendone solo l'orrore, la difficolt o la durezza.
Con-fidavano in Dio e si sono abbandonate a Lui e quando tutto sembrava negativo hanno
continuato a confidare e a fidarsi. E quando tutto sembrava irreversibile hanno continuato a
lasciar fare a Lui che da lass vede molto meglio di noi. E non si sono date troppo pena, non
hanno drammatizzato le situazioni: magari non capivano (2,19) ma sapevano che Lui sapeva tutto
e questo bastava loro per non angosciarsi.
Donne che si sono fidate, donne che si sono sentite amate, donne che hanno detto: "Avvenga di
noi quello che tu vuoi, ci sei Tu, non c' d'aver paura" (1,38), donne, insomma, che hanno con-
fidato in Dio e non in se stesse o nell'apparenza. E non drammatizzando neppure situazioni

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realmente complesse, difficili e articolate, hanno vissuto la danza della vita, hanno potuto cantare
di gioia, hanno potuto essere piene di felicit.
La gioia della vita nasce da questo sentirsi condotti da Dio, da qualcosa di pi profondo. Maria
dev'essere stata una donna piena di difficolt (il fatto stesso di avere come figlio uno come Ges
dev'essere stato un bel problema per lei!) ma pu gioire perch pu prendere le distanze dalle cose,
pu lasciare che i problemi stiano l, pu dimenticarsi per un po' di tutto ci che la tormenta e gioire di
ci che accade. Gioire, celebrare una festa, lasciarsi andare alla felicit, vuol dire potersi distaccare e
non ruotare sempre attorno a me stesso, ai problemi e alle difficolt, e poter vedere tutto da un
punto di vista diverso. Quando torno a casa dal lavoro devo staccarmi da tutte le beghe vissute
prima, altrimenti ruoto sempre attorno a me, non c' spazio per altro. Quando qualcosa non va
devo staccarmi dal pensiero fisso su come finir, su che soluzione avr, su cosa io posso fare, sulla
paura che mi incute: devo lasciarla l, la prender a suo tempo. Se Maria non si fosse staccata da
tutte le sue difficolt non avrebbe potuto che essere una donna angosciata, isterica o depressa come
molte del nostro tempo. E invece sapeva prendere le distanze dai problemi; e invece sapeva fidarsi
di ci che non capiva; e invece sapeva guardarsi da altri punti di vista e per questo cantava e
danzava.
Sappiamo tutti che nella vita c' dolore. Ognuno di noi lo ha provato per la perdita di qualcuno
che ama, per la perdita delle proprie capacit a causa di un incidente o una malattia, per la
delusione delle proprie speranze. Ma come il giorno non esiste senza la notte, n la vita senza la
morte, la gioia non pu esistere senza il dolore. Nella vita c' sofferenza cos come piacere, ma
possiamo accettare la sofferenza finch non ci siamo intrappolati dentro. Possiamo accettare la
perdita se sappiamo di non essere condannati a soffrire per sempre. Possiamo accettare la notte
perch sappiamo che il giorno spunter e possiamo accettare il dolore quando sappiamo che torner
la gioia. Ma la gioia pu sprigionarsi solo quando il nostro spirito libero. Troppe persone sono
state spezzate; troppe persone sono cos incatenate nei loro pensieri drammatici e persecutori per
cui non c' e non ci sar spazio per la gioia. Troppe persone sono incapaci di fidarsi non solo di
Dio, ma perfino di chi li ama, dei propri sentimenti o della vita che hanno dentro. Molte persone
non si sarebbero mai sognate in situazioni simili ad agire come hanno fatto Maria o Elisabetta:
"Non opportuno; non sono mica pazzo; non conveniente; ma che modi sono questi!".
Ma la gioia il potersi abbandonare al flusso dei sentimenti, allo stupore che si vive; gioia
poter piangere di felicit quando qualcosa ci tocca il cuore, quando qualcuno ci fa sentire che ci
ama davvero, quando ci sentiamo avvolti dalla bellezza della natura, dalla possanza delle
montagne o dalla trasparenza del mare; gioia potersi commuovere come un fiume in piena
quando tuo figlio compie i primi passi, quando sai di essere incinta, quando chi ami riesce,
quando tu riesci. Gioia benedire, vedere le cose tutte da un'altra prospettiva, quella di Dio,
sentire il mondo amico, sentire gli animali nostri fratelli in questo creato e le piante nostre sorelle
di questa natura; benedire la Vita per la mia vita, ringraziarla per tutto ci che successo,
cantare la grandezza della mia vita, essere felici di quello che si e che stato. Gioia cantare
insieme, cantare di sera, di notte o attorno ad un fuoco. Gioia immensa abbracciarsi e
guardarsi con cos tanta intensit negli occhi che le anime si riconoscono. Gioia urlare la forza e
la bellezza dell'essere vivi, urlare il proprio nome nel silenzio della montagna, sentirsi pieni
di immenso e lasciarlo andare con tutta la forza che ha. Gioia la danza di sentirsi parte di questo
unico grande movimento che si chiama vita; gioia saper scorgere e farsi toccare e farsi
coinvolgere dalla danza della pioggia o del vento. Gioia lasciarsi portare.
Per molte persone tutto questo sentimentale, tutto questo disdicevole. In realt sono incapaci di

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lasciare che i sentimenti, che la vita fluisca in s come l'acqua di un fiume, che passa sempre ma
che non si ferma mai. Sono troppo rigide e temono tutti questi sentimenti, temono la forza della
vita: saranno condannate, si condanneranno a non sperimentare la gioia e l'estasi della vita. Per
sperimentare gioia bisogna fidarsi, bisogna permettere che ci che vive in noi ci porti, ci conduca:
io devo solo lasciare che il sentimento mi porti. Ma per molte persone abbandonarsi terrificante.
In ebraico la parola per esprimere gioia gool; e gool indica il movimento circolare sotto
l'influenza di una violenta emozione: la danza, l'essere presi da ci che si vive e lasciarsi
portare.
Tagore dice: "Non la costrizione il richiamo finale per l'uomo, ma la gioia, e la gioia
dovunque. E' nell'erba che ricopre la terra, nell'azzurra serenit del cielo, nell'instancabile
esuberanza della primavera, nella silenziosa astinenza dell'inverno, nella carne vivente che anima
la nostra struttura corporea, nel perfetto equilibrio della figura umana, nobile ed eretta, nel vivere,
nell'esercizio di tutti i nostri poteri. Solo colui che sa che il mondo una creazione della gioia ha
raggiunto la verit finale".
Allora, come queste donne, io vorrei - ci posso provare - danzare la vita, abbandonarmi a Dio,
fidarmi, lasciarmi trasportare, un po' come le foglie si abbandonano al vento e nel loro essere
condotte compiono la loro danza. Chi vive cos canta, danza, urla di gioia, benedice, assunto al
cielo della felicit gi in questa terra.

Pensiero della Settimana


Si trasforma solo ci che si accetta.

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