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Che cosa è educare? Pagg.

33-34 in Emozioni e linguaggio in educazione e politica di Maturana e Davila,


Elèuthera, 2006.

L'educare è quel processo nel quale il bambino o l'adulto convive con l'altro e nel convivere con l'altro si
trasforma spontaneamente, in modo che la sua maniera di vivere si fa progressivamente più congruente
con quella dell'altro nello spazio di convivenza. L'educare, pertanto, è un processo continuo e reciproco
attinente al convivere, una trasformazione strutturale contingente a una storia in cui le persone imparano a
vivere in una maniera che si configura secondo la convivenza propria alla comunità cui appartengono.
L'educazione come «sistema educativo» configura un mondo e gli educandi sanciscono, nel loro vivere, il
mondo che hanno vissuto nella loro educazione. Gli educatori, a loro volta, sanciscono il mondo che hanno
vissuto nell'essere educati educando.

L'educazione è un processo continuo che dura tutta la vita e che fa della comunità in cui si vive un mondo
spontaneamente conservatore per quanto riguarda l'educare. Certo, questo non significa che il mondo
dell'educare non cambi, ma che l'educazione, come sistema di formazione del bambino e dell'adulto,
produce effetti di lunga durata che non si cambiano facilmente. Vi sono due epoche o periodi cruciali nella
storia di ogni persona che hanno conseguenze fondamentali per il tipo di comunità che comportano nel
loro vivere, e sono l'infanzia e la giovinezza. Nell'infanzia, il bambino vive il mondo nel quale si fonda la sua
possibilità di trasformarsi in un essere capace di accettare e rispettare l'altro, partendo dall'accettazione e
dal rispetto per se stesso. Nella giovinezza, si dimostra la validità di questo mondo di convivenza che
accetta e rispetta l'altro a partire dall'accettazione e dal rispetto per se stessi, con l'inizio di una vita adulta
sociale e individualmente responsabile.

Come viviamo, educheremo, e conserveremo nel vivere il mondo che viviamo come educandi. Ed
educheremo gli altri con il nostro vivere insieme a loro il mondo che viviamo nel convivere.

Ma che mondo vogliamo?

Io voglio un mondo nel quale i miei figli crescano come persone che si accettano e si rispettano, accettando
e rispettando gli altri in uno spazio di convivenza nel quale gli altri li accettano e li rispettano, perché
accettano e rispettano se stessi. In uno spazio di convivenza di questo tipo, la negazione dell'altro sarà
sempre un errore individuabile che si può e si vuole correggere. Come arrivarci? E facile: vivendo questo
spazio di convivenza.

Viviamo il nostro educare in modo che il bambino impari ad accettarsi e a rispettare se stesso, essendo
accettato e rispettato per quello che è, perché così imparerà ad accettare e rispettare gli altri. Per fare ciò,
dobbiamo riconoscere che non siamo in nessuno modo trascendenti, ma diveniamo, in un essere continuo,
mutevole o stabile, ma non assolutamente o necessariamente per sempre. Ogni sistema è conservatore in
ciò che lo costituisce o si disintegra. Se diciamo che un bambino è in un certo modo, buono, cattivo,
intelligente o stupido, stabiliamo la nostra relazione con questo bambino in base a ciò che diciamo. E il
bambino, a meno che non si accetti e si rispetti, non avrà vie d'uscita e cadrà nella trappola della non
accettazione e del non rispetto di se stesso, perché potrà essere solamente qualcosa che dipende da ciò
che deriva dall'essere un bambino buono o cattivo, intelligente o stupido, nella sua relazione con noi. E se il
bambino non riesce ad accettarsi e a rispettarsi, non può accettare e rispettare l'altro. Temerà, invidierà o
disprezzerà l'altro, ma non lo accetterà né rispetterà; e senza accettazione e rispetto per l'altro come altro
legittimo nella convivenza, non c'è fenomeno sociale.
Che cosa è educare? Pagg. 38-39 in Emozioni e linguaggio in educazione e politica di Maturana e Davila,
Elèuthera, 2006.

Quanto ho sostenuto è valido anche per l'educazione dell'adolescente. L'adolescente moderno impara
valori, virtù, che deve rispettare, ma vive in un mondo adulto che li nega. Si predica l'amore, ma nessuno sa
in che cosa consista, perché non si individuano le azioni che lo costituiscono e lo si guarda come
espressione di un sentire. Si insegna a perseguire la giustizia, ma noi adulti viviamo nell'inganno. La tragedia
degli adolescenti è che cominciano a vivere un mondo che nega i valori che sono stati insegnati loro.
L'amore non è un sentimento, è un ambito di azioni nelle quali l'altro è costituito come altro legittimo nella
convivenza. La giustizia non è un valore trascendente o un sentimento di legittimità, è un ambito di azioni
nel quale non si usa la menzogna per giustificare le proprie azioni o quelle dell'altro.

Se l'educazione si fonda sulla competizione, sulla giustificazione ingannevole di vantaggi e privilegi, su una
nozione di progresso che allontana i giovani dalla conoscenza del mondo, limitando il loro sguardo
responsabile sulla comunità di cui fanno parte, l'educazione serve a poco o niente. Se l'educazione ci invita
all'appropriazione, allo sfruttamento del mondo naturale, e non alla armoniosa convivenza con questo,
l'educazione serve a poco o niente.

Infine, la responsabilità si produce quando ci facciamo carico del fatto di volere o meno le conseguenze
delle nostre azioni; parimenti, la libertà si produce quando ci facciamo carico del fatto di volere o meno le
conseguenze delle nostre azioni. Vale a dire che responsabilità e libertà intervengono nella riflessione che
espone il nostro fare nell'ambito delle emozioni al nostro volerle o non volerle, in un processo nel quale
non possiamo se non renderci conto che il mondo in cui viviamo dipende dai nostri desideri. Se
l'educazione non spinge i giovani verso la responsabilità e la libertà di essere co-creatori del mondo in cui
vivono, limitando la riflessione, l'educazione serve a poco o niente.

A che scopo educare, dunque?

A volte parliamo come se non ci fosse alternativa al mondo di lotta e competizione che ci circonda, come se
dovessimo preparare i nostri figli e i giovani a questa realtà. Un simile atteggiamento si basa su un errore e
produce illusioni.

Non è l'aggressività l'emozione fondamentale che definisce gli esseri umani, ma l'amore, la coesistenza
nell'accettazione dell'altro come altro legittimo nella convivenza. Non è la lotta il modo fondamentale di
relazione umana, ma la collaborazione. Parliamo di competizione e lotta, creando una vita intrisa di
competizione e lotta, non solo tra noi, ma anche con l'ambiente naturale. Per questo si sente dire che noi
esseri umani dobbiamo lottare e vincere le forze della natura per sopravvivere; come se questa fosse stata
e fosse la forma naturale del vivere. Non è così! La storia dell'umanità segnata dalla guerra, dalla
dominazione che sottomette e dall'appropriazione che esclude e nega l'altro, ha origine con il patriarcato.
In Europa, che è la nostra fonte culturale, prima del patriarcato si viveva in armonia con la natura, nel
piacere della conformità con il mondo naturale, nello stupore della sua bellezza, e non in lotta con la
natura.

A che scopo educare? Per recuperare questa fondamentale armonia che non distrugge, che non sfrutta, che
non abusa, che non pretende di dominare il mondo naturale, ma che vuole conoscerlo nell'accettazione e
nel rispetto, affinché il benessere umano si produca nel benessere della natura nella quale si vive. Per
questo dobbiamo imparare a guardare e ascoltare senza timore di lasciar essere l'altro, in armonia, senza
assoggettamento.

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