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I punti di contatto
Pure, sono grandi e importanti le differenze fra queste discipline, che, se non ci
fossero, non comprenderei la necessità o l’opportunità di usare nomi differenti.
Differenze di punti di partenza, differenze fra ciò che si guarda e, soprattutto, fra ciò
cui si tende, in relazione al proprio approccio scientifico.
Il coaching è un affiancamento alla persona durante varie tappe della sua vita.
Traendo il suo significato proprio dallo specifico termine che lo contraddistingue,
(penso soprattutto alla bella sintesi che ne ha fatto Massimo Reggiani su FOR)
l’intervento di coaching è sostanzialmente a richiesta, a spot, un punto di riferimento
su cui la persona può far conto per superare dubbi, incertezze, difficoltà, con il
sostegno di un professionista che “ci conosce”.
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La terapia
Ogni terapia, peraltro, prende le mosse e motiva il suo intervento sulla base di una
diagnostica, di una verifica, cioè, quale ne siano gli aspetti, di una qualche patologia,
di un danno, una disfunzione, una rottura, una problematica che impedisce alla
persona una normale esistenza. Alcune terapie presuppongono che la consapevolezza,
il prendere coscienza, sia basilare per poter guarire, altre si rivolgono con maggior
interesse a come si può stare meglio, prescindendo da una lettura causale del
malessere esistente, altre impostano degli interventi che non richiedono la
partecipazione e il coinvolgimento profondo della persona. Non casualmente la
persona trattata viene comunemente identificata come “paziente”, con esplicito e
voluto richiamo all’attività sanitaria, clinica. Che, appunto, va alla ricerca del danno,
coglie il sintomo, fa una diagnosi e una prognosi secondo un inquadramento preciso e
verificabile, lo cura impostando un percorso verso la guarigione.
Il coaching
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del più giovane, (più precisamente il mentore in questo caso), oppure come tutor
capace di impostare e seguire un percorso di apprendimento e di crescita. Addirittura
spesso si fa riferimento al coaching intendendo rifarsi genericamente a ogni criterio ed
esercizio di formazione. In sostanza, nel coaching ci si affianca alla persona
condividendo una buona conoscenza della sua personalità e del suo stile e analizzando
assieme le necessità e le occasioni offerte dal contesto, prima di tutto lavorativo ma
anche personale o personal professionale.
Il counseling
Il counselor non si occupa di conoscere e riconoscere le forme del malessere né, tanto
meno, della patologia. Non fa diagnosi e non se ne cura, non perché non abbiano
senso o non risultino utili o vere: più semplicemente, per un intervento di counseling
non sono rilevanti. Il counseling non è una forma blanda di terapia che può essere
utilizzata solo nei cosiddetti “casi lievi”: per queste situazioni, sono già presenti e ben
lucidate nel panorama scientifico, molte terapie e molti succedanei della terapia. Il
counseling può essere usato con qualunque persona che si trovi in un dilemma
esistenziale e che cerchi un appoggio per uscirne verso un futuro più appagante. Il
dilemma non richiede necessariamente uno stato di malessere: ci si può interrogare
se e come sistemare i genitori anziani, se mandare un figlio in Australia per l’Erasmus,
se accendere un mutuo per avviare un’impresa, se cambiare lavoro, se vale la pena di
restare in quel matrimonio, se e come gestire una chemioterapia, come fronteggiare
la menopausa o la caduta del desiderio … Tutte questioni, tutti interrogativi che
indubbiamente possono arrecare una quantità di dolore, di sofferenza ma il dolore, la
sofferenza non comportano un disturbo da curare, non è per nulla scontato che
richiedano un inquadramento diagnostico, che debbano essere riguardati e letti,
interpretati attraverso categorie in qualsiasi forma comunque riferite alla patologia. La
fatica, la sofferenza, l’incertezza, il dolore, sono esperienze vive e quotidiane,
patrimonio indispensabile di ciascuno di noi. Caratterizzano e scolpiscono la nostra
esistenza, son ciò che ci modella per come siamo. Il counselor mette a disposizione la
sua competenza, la sua energia, il rigore del suo metodo, ciò che sa fare senza per
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questo dover ipotizzare una debolezza, una fragilità. Per costruire un pensiero che
cerchi la forza, che intercetti l’energia per dare vigore a un’esistenza, non è necessaria
una debolezza di partenza, una qualche minorità, l’asimmetria della relazione non
significa affatto che l’altro sia in posizione down rispetto al counselor. Anzi, non può
darsi intervento di counseling che non faccia leva, che non susciti, che non vada a
stanare le energie: trascurate forse ma preesistenti certamente.
Ma per un corretto intervento, per sfuggire alla scivolosa attrazione della terapia se
pur segreta, se pur lieve, se pur in condizioni di non gravità, occorre che il counselor
abbia un pensiero e un progetto ambientati saldamente nel mondo del benessere,
dell’appagamento, della pienezza dell’esistenza. È questa la novità straordinaria del
counseling, è per questo che è una professione moderna e del tutto nuova rispetto alla
cultura del ’900. Nel secolo scorso, con il grandissimo genio di Freud e poi, a cascata,
con le conseguenti ricerche e le scoperte scientifiche, ci si è avventurati con coraggio
e senza sciocchi pregiudizi nell’universo del malessere. Lo si è conosciuto, assaporato,
volta volta cercando il riscontro, l’intervento salvifico, l’uscita dal disagio intriso di
patologia. Il counseling del 2000 discende dall’esperienza di questa profonda
avventura per inerpicarsi nel terreno collinare del benessere, della pienezza. In questo
senso, distaccandosi nettamente dal pensiero della terapia, ne completa l’indagine e il
lavoro avventurandosi a esplorare il mondo del benessere. Che non è il
capovolgimento del malessere. La felicità non è l’assenza di disturbo, si può non
essere infelici e non per questo essere felici. E viceversa. La lunga discesa negli abissi
del disagio ci richiede, oggi, di completare con la stessa urgenza, la stessa serietà, lo
stesso rigore, un’esplorazione nel mondo dell’appagamento. Dove non possiamo
aggirarci con scioltezza fino a che non ne possediamo le coordinate, con che passo
avanzare, come e dove mettere il piede, soprattutto: verso dove?
Nel mondo degli abissi ci si rivolge alla luce per emergere dalle acque, ma una volta
emersi, verso dove, come muoversi? Dove trovare i propri segnali per aggirarsi
all’asciutto? E poiché non si può agire se non ne abbiamo il pensiero, il counseling si
propone, appunto, come intervento moderno, di un mondo evoluto, per conoscere,
immaginare, pensare un benessere, sentire in bocca il sapore della pienezza, allargare
il respiro per un’estensione commovente dei polmoni.
Incontrandosi sul bordo delle acque, il counseling rende omaggio alla ricerca
terapeutica proseguendone l’azione di reintegro della persona nella sua più piena
umanità, avventurandosi con lei a cogliere e impadronirsi di un futuro alto, di un
mondo con il sole, le nuvole e le montagne. Un intervento tonico che fa del dilemma
un’occasione di vita, che lascia rapidamente la mano dell’altro affinché sia e i sappia
del tutto libero, rinunciando perfino a conoscerlo, ad avere riscontri, a saperne gli esiti
pur che sia nuovamente, (forse per la prima volta?), protagonista alto e autorevole
della propria esistenza.