Fisica Generale I
Mario Vadacchino
19 maggio 2014
Indice
i
INDICE ii
7 Termodinamica 75
7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
7.2 I sistemi termodinamici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
7.3 Il gas perfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
7.3.1 La legge di Boyle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
7.3.2 Le leggi di Gay-Lussac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
7.3.3 La teoria cinetica di un gas perfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
7.4 Il lavoro di un sistema termodinamico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
7.5 Il primo principio della termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
7.5.1 Lenergia interna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
7.5.2 Gli esperimenti di Joule . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84
7.5.3 Il calore specifico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
7.5.4 Il calore specifico di un gas . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
7.5.5 La relazione di Mayer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88
7.5.6 La trasmissione del calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
7.6 Il secondo principio della termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90
7.6.1 La macchina termica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
7.6.2 La macchina frigorifera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92
7.6.3 Alcuni trasformazioni termodinamiche cicliche . . . . . . . . . . . . . 93
INDICE iii
7.6.4 Lentropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
7.6.5 Lentropia di alcuni sistemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100
A I vettori 102
A.1 Lalgebra dei vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
Capitolo 1
1
CAPITOLO 1. SIGNIFICATO DELLA FISICA 2
Lunghezza
Dallottobre del 1983 il campione di metro `e la lunghezza d percorsa dalla luce nellintervallo
1
di tempo lungo (299.792.458) s. Assumendo esatto per definizione il valore della velocit` a
della luce di 299.792.458 ms1 si ha infatti d = 1 m. Si utilizza questa definizione perch`e il
tempo `e la grandezza che si riesce a misurare meglio e perch`e la velocit`
a della luce `e, secondo
la relativit`a, una costante universale.
Massa
Il campione di massa `e la massa di un cilindro di lega di platino ed iridio conservato al
Bureau International des Poids et Mesures di Parigi. Attualmente questo campione non
rispetta pi`
u i criteri di costanza nel tempo richiesti, perch`e accumula sulla sua superficie
circa 1 g allanno di contaminanti. Sono quindi incorso ricerche per la sua sostituzione.
Tempo
Il campione di tempo `e dato da un intervallo di tempo lungo 9.192.631.770 volte il periodo di
oscillazione della radiazione elettromagnetica emessa dallatomo di Cesio nella transizione
iperfine dello stato fondamentale; ha unaccuratezza di 1013 s, che equivale ad una
incertezza di 1 s in 350.000 anni.
Per quanto riguarda il tempo `e necessario definire anche una scala dei tempi che
permetta di determinare il quando di un evento: serve a questo scopo il Coordinated
Universal Time (UTC), che deve adeguarsi alla misura del tempo quale ricavabile dalla
rotazione della Terra. Questa misura del tempo ha unimportanza pratica enorme, basti
pensare che sulla sua precisione sono basati i sistemi GPS. Poich`e il periodo di rotazione
della Terra non `e costante lUTC deve ogni tanto essere corretto.
A = aA (1.1)
1 Molte utili informazioni su tutte le problematiche relative alla misura delle grandezze fisiche si possono
trovate nel sito del Bureau International des Poids et Mesures di Parigi che ` e lente intenazionale delegato
a rendere operativo il SI: www.bipm.org/
CAPITOLO 1. SIGNIFICATO DELLA FISICA 3
A1 + A2 = a1 A + a2 A = (a1 + a2 ) A (1.2)
e:
A B = abAB (1.3)
Ma altre operazioni, pur possibili in algebra, non hanno senso in fisica, come
A+B (1.4)
Non `e quindi possibile sommare od eguagliare grandezze diverse, mentre `e possibile molti-
plicarle.
1.2 La coerenza
Limpossibilit`a di una operazione come quella mostrata nella 1.4 `e una conseguenza della
legge di coerenza cui debbono obbedire tutte le relazioni tra grandezze fisiche. Si pos-
sono sommare o sottrarre solo grandezze che hanno la stessa dimensione e possono essere
eguagliate solo grandezze equidimensionali. Quindi nelle leggi fisiche, che sono relazioni del
tipo
A = BCD... (1.5)
`e necessario che i due termini delleguaglianza abbiano la stessa dimensione. Il controllo
della correttezza dimensionale delle equazioni della fisica si chiama analisi dimensionale;
essa `e molto utile per verificare lesattezza di una formula.
Lanalisi dimensionale permette inoltre di acquisire informazioni preliminari sulla for-
ma di dipendenza di una grandezza fisica di un sistema dalle altre grandezze.
Consideriamo un sistema che studieremo in seguito: il pendolo semplice, cio`e una
massa m appesa ad un filo di lunghezza h e cerchiamo di individuare come deve dipendere il
periodo di oscillazione del pendolo T , che ha le dimensioni di un tempo, dalle altre grandezze
che presumibilmente influenzano il comportamento di questo sistema, che sono la massa m,
la sua lunghezza h, laccelerazione di gravit`a g e langolo di oscillazione rispetto alla verticale
. In generale si potr`a scrivere
T = Cm h g (1.6)
dove C `e una costante adimensionata. Se scriviamo la 1.6 in termini delle dimensioni si
ottiene
l
t = C m l 2 = l+ m t2 (1.7)
t
dove si `e utilizzato il fatto che, come vedremo in seguito, laccelerazione ha le dimensioni
di una lunghezza divisa per un tempo al quadrato e che langolo non ha dimensioni. Si ha
quindi che deve essere
+ =0 (1.8)
=0 (1.9)
2 = 1 (1.10)
CAPITOLO 1. SIGNIFICATO DELLA FISICA 4
da cui si ricava
1
= (1.11)
2
=0 (1.12)
1
= (1.13)
2
In conclusione si che ha il periodo del pendolo ha la forma
s
l
T =C f () (1.14)
g
+ =0 (1.17)
=0 (1.18)
2 = 1 (1.19)
da cui si ricava
1
= (1.20)
2
=0 (1.21)
1
= (1.22)
2
Il tempo di caduta avr`
a quindi landamento dato dalla
s
h
t=C (1.23)
g
che come verificheremo in seguito `e proprio quella corretto.
Si definisce scarto della misura ai lespressione di = ai a . Si capisce che quando gli scarti
di sono piccoli, la misura `e migliore, cio`e il valore medio `e prossimo a quello vero; quando
gli scarti sono grandi il valore medio pu`o essere pi`u lontano da quello vero. La somma degli
scarti pu`o quindi essere utilizzata per valutare quanto il valore medio `e prossimo a quello
vero; ma siccome `e
XN
di = 0
i=1
si utilizza lespressione v
u
u1 X N
a = t (di )2 (1.25)
N i=1
A = (a a )A. (1.27)
Lincertezza nella conoscenza del valore di A `e inevitabile; la teoria della misura permette di
a che il valore vero di A sia compreso nei limiti dati dalla 1.27.
calcolare quale `e la probabilit`
In molti casi, ma qui non possiamo dimostrarlo, questa probabilit` a vale 0, 68; se questa
probabilit`
a non pare sufficiente allora potremo dire che il risultato della misura `e
A = (a 2a )A. (1.28)
lincertezza `e aumentata ma avremo che la probabilit` a che il vero valore sia compreso nei
limiti della 1.28 `e aumentata e vale 0, 954.
Vediamo ora in modo pratico e molto semplificato quale `e lutilizzo dellincertezza.
Supponiamo che una teoria abbia previsto che una certa lunghezza deve valere 1 m e che le
misure effettuate per verificare la teoria abbiano dato come risultato 0, 9 m; senza conoscere
lincertezza non possiamo dire nulla. Se infatti la deviazione standard fosse 0, 05 m avremo
che il valore vero della grandezza `e compreso tra 0, 85 m e 0, 95 m con una probabilit` a 0, 68
e quindi con la stessa probabilit` a la teoria `e errata.
Nella vita di tutti i giorni si sentono i risultati di misure economiche come il tasso di
inflazione, senza che sia indicato lincertezza della misura. Se non `e nota lincertezza non si
pu` o trarre alcuna conclusiona da queste misure.
La quasar pi`
u lontana: 2 1026 m
Lunghezza donda della luce nel visibile: 107 m
Tempi
Et`
a delluniverso: 5 1017 s
Vita media della particella pi`
u instabile conosciuta: 1023 s
CAPITOLO 1. SIGNIFICATO DELLA FISICA 7
Masse
Elefante: 5 103 kg
Elettrone: 9 1031 kg
Capitolo 2
La fisica classica pu`o essere divisa in tre grandi capitoli: la meccanica, la termodinamica
e lelettromagnetismo. La pi` u antica `e la meccanica: i primi uomini che progettarono un
ricovero applicarono, senza saperlo, la scienza delle costruzioni che `e basata sulla statica e
coloro che regolarono le acque dei fiumi nel Medio Oriente applicarono le leggi della dinamica
dei fluidi. La termodinamica si sviluppa, come branca della fisica, alla fine del settecento
sulla base dei risultati acquisiti nello sviluppo delle macchine a vapore. Lelettromagnetismo
si sviluppa alla met`a dellottocento.
La meccanica `e quella parte della fisica che studia il comportamento dei corpi materiali
sottoposti a forze. Essa pu` o essere divisa in tre capitoli: la statica analizza le condizioni
di equilibrio di un corpo sottoposto a forze, la cinematica studia le modalit` a con le quali i
corpi si muovono, modalit` a che si chiamano leggi del moto, la dinamica studia la relazione
che esiste tra le forze applicate ad un corpo e le sue leggi del moto.
Quando le dimensioni del corpo sono piccole rispetto alle altre dimensioni del problema
avremo la meccanica del punto materiale o della particella; negli altri casi parleremo della
meccanica del corpo. Se la distanza tra le particelle varia nel tempo parleremo di sistemi di
particelle. Parleremo invece di corpi rigidi, quando la distanza tra due particelle qualsiasi
del corpo resta costante.
Quando le dimensioni del corpo sono molto piccole rispetto a quelle degli strumenti di
misura, la meccanica classica che qui studieremo non da pi` u risultati validi: si deve utilizzare
la meccanica quantistica. La meccanica che noi studieremo `e quella non-relativistica, cio`e
quella che interessa i corpi che si muovono a velocit` a molto inferiori a quella della luce, cio`e
con velocit`a v 3 108 ms1 . Una delle conseguenze pi` u rilevanti di questa assunzione `e
che il tempo t `e per noi un tempo assoluto, scorre cio`e indipendentemente dal sistema di
riferimento.
Nella meccanica classica sono stati per la prima volta acquisiti alcuni risultati che
hanno in seguito trovato applicazioni in tutta la fisica, come il teorema di conservazione
dellenergia e quello della conservazione della quantit` a di moto.
8
Capitolo 3
3.1 Statica
Se ad un punto sono applicate N forze Fi 1 il punto `e in equilibrio quando le forze applicate
obbediscono alla relazione
XN
Fi = R = 0 (3.1)
i=1
La forza `e una grandezza vettoriale; le sue dimensioni sono kgms2 ; a questa grandezza
`e stato attibuito il nome Newton2 , con simbolo N e R si chiama risultante delle forze
applicate. La forza pu`o essere misurata direttamente con un dinamometro, strumento nel
quale si misura la deformazione prodotta in un corpo elastico dalla forza3
3.2 Cinematica
3.2.1 Descrizione del moto
La posizione di un punto P `e definita, in un sistema di riferimento cartesiano avente origine
nel punto O, dal vettore r come si vede dalla figura 3.1. Possiamo pensare che questo sistema
sia solidale alle pareti del nostro laboratorio, cio`e alla terra: un sistema di riferimento come
questo si chiama inerziale ed ha un ruolo fondamentale nella dinamica. Se il punto `e in
movimento si avr` a r = r(t). In termini di componenti si ha
r(t) = x(t) i + y(t) j + z(t)k (3.2)
la 3.2 si chiama legge del moto o legge oraria; {i, j, z} sono i versori degli assi coordinati.
Eliminando t dal sistema
x = x(t)
y = y(t) (3.3)
z = z(t)
1 In questo testo i vettori saranno scritti in carattere grassetto. Le operazioni sui vettori sono brevemente
descritte nellAppendice A. Lutilizzo dei vettori permetter` a di scrivere relazioni indipendenti dal sistema di
riferimento.
2 Isacco Newton; Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25.12.1642 - Londra, 20.3.1727.
3 Studieremo in seguito le caratteristiche del comportamento elastico dei corpi.
9
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 10
P
r
k z
i y
j
x
y
x
si ottiene unespressione del tipo T (x, y, z) = 0, che `e la traiettoria del punto nello spa-
zio {i, j, z}. Pur essendo la traiettoria unica, lespressione della T dipende dal sistema di
riferimento.
Le varie modalit`a di moto possono essere caratterizzate sia tenendo conto delle carat-
teristiche geometriche della traiettoria, che delle modalit` a di variazione della posizione del
punto rispetto al tempo.
O x(t)
0 t0 t
Le modalit` a temporali del moto possono essere caratterizzate utilizzando due gran-
dezze fisiche: la velocit`
a e laccelerazione. La velocit`
a istantanea del punto `e definita
dalla
d x(t)
v(t) = (3.4)
dt
Le dimensioni della velocit`a sono ms1 . Nella Fig. 3.3 in cui `e rappresentata la posizione del
punto in funzione del tempo, la velocit` a allistante t = t0 `e la tangente alla curva x = x(t)
nel punto t = t0 . Laccelerazione istantanea `e definita dalla
dv(t) d2 x(t)
a(t) = = = (3.5)
dt dt2
Le dimensioni dellaccelerazione ms2 ; la velocit` a e laccelerazione sono le stesse in tutti i
sistemi di riferimento che sono fermi luno rispetto allaltro.
Pu`o essere utile definire, nellintervallo di tempo che va da t1 a t2 , anche una velocit`a
media ed una accelerazione media date dalle
x(t2 ) x(t1 )
vm = (3.6)
t2 t1
e
v(t2 ) v(t1 )
am = (3.7)
t2 t1
La velocit`a e laccelerazione possono essere positive e negative: un punto con velocit`
a positiva
si sta muovendo nel verso positivo dellasse x ed uno con velocit` a negativa nel verso negativo.
Un punto con accelerazione positiva sta accelerando, cio`e la sua velocit` a sta aumentando,
uno con accelerazione negativa sta rallentando.
Integrando la 3.4 si pu` o ricavare la legge del moto
Z t
x(t) = x(t0 ) + v(t)d t (3.8)
t0
Si ha, se t = t0 `e listante iniziale, che x(t0 ) = x0 che `e definita come posizione iniziale.
Se si misurano i tempi a partire dallistante t = t0 si potr` a porre t0 = 0. Allora la 3.8 diviene
Z t
x(t) = x0 + v(t)d t (3.9)
0
Integrando la 3.5 ed assumendo sempre che listante iniziale sia t0 = 0 si ricava che
Z t
v(t) = v0 + a(t)d t (3.10)
0
dove v0 = v(0) `e la velocit` a iniziale. Come si vede dalla 3.8 e dalla 3.10 tutte le caratte-
ristiche della legge del moto sono note quando si conoscono a(t) e le condizioni inziali x0 e
v0 .
Un moto nel quale si abbia a = a(t) si chiama moto vario ed `e il caso pi` u generale
possibile di moto rettilineo.
Il moto uniforme
Un caso importante `e quello del moto uniforme, nel quale `e a(t) = 0; si ha quindi che
v(t) = v(0) = v0 = cost. In tal caso dalla 3.8 si ricava:
Z t
x(t) = x0 + v0 dt = x0 + v0 t (3.11)
0
Anche la velocit` a e laccelerazione sono per il moto armonico funzioni periodiche con periodo
T . `e una caratteristica del sistema e si chiama frequenza propria del sistema.
Le costanti A e dipendono dalle condizioni iniziali, cio`e dai valori assunti da x(t)
e v(t) allistante iniziale. Si ha infatti
x0 = A sin (3.21)
v0 = A cos (3.22)
da cui si ricava
x0
tan = (3.23)
v
r0
v02
A = x20 + (3.24)
2
La modalit`a di variazione temporale espressa dalla 3.15 `e molto importante; esistono infat-
ti in natura, anche fuori dalla meccanica, molte altre grandezze fisiche che hanno questo
andamento temporale.
Il moto smorzato
Unaltra modalit`
a di moto importante `e quella del moto smorzato, nel quale laccelerazione
dipende dalla velocit`
a con la legge
a = v (3.25)
dove `e una costante. Integrando la 3.25 si ottiene
v(t) = v0 et (3.26)
v0
x(t) = x0 + (1 et ) (3.27)
dove la 3.27 `e ottenuta integrando la 3.26.
Queste due equazioni definiscono la legge del moto smorzato; per t si ha che
v0
v(t) 0 e x(t) x0 + .
d r(t)
v(t) = (3.28)
dt
d v(t) d2 r(t)
a(t) = = (3.29)
dt d t2
Le componenti dei vettori v(t) e a(t) sono espresse dalle relazioni
d x(t) d y(t)
v(t) = i+ j = vx (t) i + vy (t) j (3.30)
dt dt
d2 x(t) d2 y(t)
a(t) = i+ j = ax (t) i + ay (t) j (3.31)
dt dt
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 14
La traiettoria del punto sar`a rappresentata nel piano x, y da una relazione del tipo y = f (x).
La legge del moto pu` o quindi essere scritta, integrando la 3.28
Z t
r(t) = r0 + v(t) dt (3.32)
0
Se si sposta lorigine degli assi nel punto definito dal vettore r0 e quindi si pu` o porre r0 = 0
si ha che la legge del moto `e r(t) = v0 t. Il vettore v0 t `e parallelo a r(t): per un moto
uniforme in due dimensioni la traiettoria `e rettilinea e quindi il moto avviene lungo unasse.
Consideriamo il caso a(t) 6= 0. In generale a(t) non sar`a parallelo a v(t): il moto sar`a
vario e la traiettoria non `e in generale pi`
u rettilinea ed `e ottenibile integrando le 3.32 e 3.33.
Consideriamo il caso a(t) = a0 , cio`e che a(t) sia costante. Un primo caso `e quello nel
quale v0 sia parallelo a a0 : dalla 3.33 si ricava
Z t
v(t) = v0 + a(t) dt = v0 + a0 t (3.35)
0
v0
a0
O i
P2 s = s(t)
P1
ds
uN
uT duT
d d
s=0 uT + duT
r(t)
r(t + dt)
Si ha quindi che
dr ds
v(t) = = uT = vT (t)uT (3.41)
dt dt
dove vT (t) si chiama velocit`a tangenziale.
Nei termini della coordinata intrinseca s(t) laccelerazione `e data dalla
d2 s
d v(t) d ds d s d uT
a(t) = = uT = 2 uT + (3.42)
dt dt dt dt dt dt
Il vettore rotazione
Definiamo un vettore rotazione d che permette di dare definizioni sintetiche della cinema-
tica del punto.
La rotazione `e in effetti una grandezza vettoriale: la rotazione infinitesima d pu` o
essere definita con il vettore d, parallelo allasse di rotazione e quindi perpendicolare al
piano di rotazione, il cui verso `e quello nel quale avanza un cavatappi rotante nel verso della
rotazione ed il cui valore assoluto `e d ; variando il verso di rotazione il vettore cambia verso
come illustrato nella figura 3.6.
d
d
= (3.45)
dt
ha la stessa direzione di d. Il vettore accelerazione `e definito dalla
d d2
= = 2 (3.46)
dt dt
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 17
d
dr
d P
r + dr R
La 3.49 pu`
o essere espressa in modo pi`
u compatto da quella che talvolta `e chiamata
relazione di Poisson
dA(t)
= A(t) (3.50)
dt
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 18
dr
Si ha quindi applicando la relazione di Poisson 3.50, che la velocit`
a v = di un
dt
a angolare = ||k vale
punto avente coordinata r che ruota con velocit`
dr
v= = r (3.51)
dt
r
v
r
I campi di variabilit`
a delle coordinate sono i seguenti 0 r < , 0 e 0 2;
Il moto circolare
Un importante moto nel piano `e quello circolare, che `e quello la cui traiettoria `e una
circonferenza. Si vede immediatamente che in questo sistema di riferimento il moto circolare
uniforme ha le seguenti equazioni:
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 19
P
r
r(t) = ro
(t) = o (3.54)
(t) = (t)
Non `e riduttivo porre r(t) = ro = R e (t) = o = . La posizione del punto sulla circon-
2
ferenza `e individuata dalla coordinata angolare (t) o, utilizzando le coordinate intrinseche,
da s(t), misurata lungo la circonferenza. Le due coordinate sono legate dalla relazione
s(t) = R (t) dove R `e il raggio della circonferenza, come si vede nella figura 3.11. In ter-
R
(t)
s(t)
(t) = 0 + 0 t (3.60)
1
(t) = 0 + 0 t + 0 t2 (3.61)
2
Unaltro sistema di riferimento `e quello cilindrico: le coordinate del punto P sono
quelle indicate nella figura 3.12. Si pu`
o passare dalle coordinate cartesiane a quelle cilindriche
con le equazioni:
x = cos
y = sin (3.62)
z=h
La prima legge di Newton dice che in un sistema inerziale un corpo non sottoposto a
forze permane nello stato di quiete o di moto rettilineo uniforme nel quale si trova. Questo
`e il cosiddetto principio di inerzia.
La legge fondamentale della dinamica si applica ad una particella di massa m, che si
muove con la velocita v, cui `e applicata una forza F. La massa ha dimensione kilogrammo
con simbolo kg. Si dice che tale particella possiede una quantit`a di moto che indicheremo
con p, definita dalla p = mv; la quantit` a di moto ha dimensioni kg m s1 . La formula
fondamentale della dinamica, che definisce la relazione tra la forza applicata e la legge del
moto, `e data dalla seconda legge di Newton, una delle pi`u famose leggi di tutta la fisica, che
dice come in un sistema inerziale sia
dp(t)
F(t) = (3.64)
dt
Se si sviluppa la 3.64 si ottiene
dp dm dv
F= = v+m (3.65)
dt dt dt
Nel caso la massa si conservi, come succede per le particelle, la 3.65 diviene
dv d2 r
F=m = m 2 = ma (3.66)
dt dt
La massa risulta essere, dalla 3.66, la costante di proporzionalit`a tra la forza applicata e
laccelerazione. La massa si misura confrontando la forza che lattrazione di gravit`a esercita
sulla massa da misurare con quella che esercita su di una massa assunta come campione
come vedremo nel paragrafo 3.4.1.
La 3.65 `e pi`
u generale della 3.66 perch`e, come detto, tiene conto della possibilit`a che
la massa sia variabile; si utilizza per studiare la dinamica dei missili nei quali la spinta `e
prodotta da una variazione della massa.
Conosciuta quindi la forza F applicata alla massa m, dalla 3.66 si ricava a(t); la 3.66
`e una equazione differenziale del secondo ordine in r(t): la sua integrazione fornisce la legge
del moto r = r(t); le due costanti che appaiono in questa integrazione sono determinate
dalle condizioni iniziali; cio`e dai valori assunti da r e v allistante iniziale, cio`e quello nel
quale si inizia a fare la misura: r(0) = ro e v(0) = vo .
Se F = F(t) `e anche a = a(t): il moto `e vario. Se `e F = 0 si ha anche a(t) = 0: il
moto `e un moto uniforme. Se invece `e F = F0 allora `e a = a0 ed il moto `e uniformemente
accelerato.
Se una forza F `e applicata al punto P , la quantit` a M = r F si chiama momento
della forza rispetto al polo O, dove r `e il vettore da O a P ; M varia al variare del polo.
La quantit` a L = r mv si chiama momento della quantit` a di moto o momento
angolare. Se si considera un sistema con massa costante si ricava
dL dr dv
= mv + r m =rF=M (3.67)
dt dt dt
La 3.67 si chiama teorema del momento angolare.
Se `e F = 0 la 3.64 impone a = 0: in assenza di forze applicate un corpo in quiete
(v = 0) resta in quiete o, se in moto rettilineo uniforme (v = v0 ), resta in moto rettilineo
uniforme.
Lintegrazione della 3.64 si chiama teorema dellimpulso e si scrive
Z t
p (t) p (t0 ) = F(t)d t (3.68)
t0
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 22
FBA = FAB
B
FAB
dove lintegrale si chiama impulso della forza F. Questa formula si usa particolarmente
nei problemi di urto.
Si indica sovente come terza legge di Newton il principio di azione e reazione che
dice che se il punto A di un corpo applica al punto B di un altro corpo la forza FAB , allora
il punto B applica al punto A la forza FBA = FAB . Come esempio si consideri la ruota
A, che rotola senza strisciare sul piano B; essa applica al piano la forza FAB ; il piano B
applica, a sua volta, alla ruota la forza FBA = FAB come illustrato in figura 3.13.
Il sistema inerziale
Non esiste alcuna ragione per credere che le leggi della meccanica siano indipendenti dal
sistema di riferimento: abbiamo gi`a notato, ad esempio, che lespressione analitica della
traiettoria di una particella dipende dal sistema di riferimento. In particolare la 3.66 non `e
sperimentalmente verificata in qualsiasi sistema di riferimento. I sistemi di riferimento nei
quali vale si chiamano inerziali; un sistema solidale con la Terra pu` o essere considerato con
buona approssimazione un sistema inerziale: la Terra, che `e il laboratorio nel quale facciamo
gli esperimenti, `e in moto: ruota su stessa intorno ad un asse e percorre unorbita circolare
intorno al sole.
Ci si deve quindi chiedere quali leggi fisiche troverebbero due ricercatori che facessero
esperimenti di meccanica in due laboratori diversi: consideriamo i due sistemi di riferimento
mostrati nella figura 3.14; possiamo considerare il sistema O come fisso rispetto alla Terra
ed il sistema O6 in moto traslatorio con velocit` a vO (t)e rotatorio con velocit`a di rotazione
. La coordinata del punto P data da r nel sistema di riferimento con origine in O diventa
r nel sistema di riferimento con origine in O ; le due coordinate sono legate dallequazione
o O
O
i i
Supponiamo ora che i due sistemi siano uno in moto traslatorio rispetto allaltro
a vO (t); un moto traslatorio `e quello nel quale gli assi cartesiani si muovo-
con velocit`
no parallelamente a se stessi ed `e quindi = 0. Si ha allora, ricordando la 3.32, che
Z t
o(t) = oo + vO (t) dt dove oo = o(0) e vO (t) `e la velocita di O rispetto a O; la 3.69
0
diventa Z t
r(t) = r (t) + oo + vO (t) dt (3.75)
0
da cui si ricava
dr(t) dr (t) do
v (t) = = + = v (t) + vO (t) (3.76)
dt dt dt
e analogamente per le accelerazioni si avr`
a
x = x + vt
y = y
(3.79)
z = z
t = t
note come trasformazione di Galileo. Si deve ricordare che esse valgono, come detto per
v c,: in tal caso il tempo `e assoluto. Per v c valgono le trasformazioni di Lorentz
che sono
x + vt
x= r
v2
1
c2
y = y
z = z (3.80)
v
t + 2 x
t = r c
v2
1 2
c
Allinizio del 900 si scopr` che la velocit`
a delle onde elettromagnetiche non obbedisce alle
trasformazione di Galileo: essa `e la stessa in tutti i sistemi di riferimento; ed Einstein
mostr`o tutte le consequenze di questo risultato creando la meccanica relativistica che vale
per velocit`a prossime a quella della luce. In questa meccanica valgono le trasformazione di
Lorentz.
Se aO = 0 si ricava immediatamente che vale ancora la 3.66. Esistono quindi infiniti
sistemi di riferimento, in moto traslatorio uniforme uno rispetto allaltro, nei quali vale la
legge di Newton e che possono quindi essere considerati inerziali: in altre parole non esiste
un sistema assoluto nel quale scrivere le leggi della meccanica.
Nel caso sia aO 6= 0 non vale pi`u la 3.66, ma si deve scrivere
F = ma = m (a + aO ) (3.81)
o equivalentemente
F maO = ma (3.82)
Losservatore nel sistema di riferimento O rivela dalla misura di a che alla massa m `e appli-
cata, oltre alla forza F, una forza maO che non appare dovuta a nessun sistema esterno,
ma `e dovuta solo al fatto che il sistema di riferimento in cui si trova non `e inerziale. Per
questo motivo queste forze, che sono forze reali, sono sovente chiamate fittizie o apparenti.
Consideriamo un osservatore che misuri laccelerazione prodotta su di una massa m
da una forza F applicata alla massa stessa; il laboratorio sul quale questo osservatore fa le
sue misure `e un vagone ferroviario. Quando il vagone `e fermo losservatore pu` o verificare
che vale la 3.66. Supponiamo ora che il vagone inizi a muoversi di moto rettilineo con
accelerazione aO : il sistema di riferimento non `e pi` u inerziale e losservatore non misurer`a
il valore dellaccelerazione dato dalla 3.66, ma quella data dalla 3.82; tutto avviene come se
alla massa m fosse applicata, oltre alla forza F, una forza maO che, data la sua origine,
si chiama forza dinerzia.
Le due equazioni 3.76 e 3.77 valgono solo se il sistema O si muove rispetto al sistema O
di moto traslatorio; se il moto, oltre che traslatorio, `e anche rotatorio, queste due espressioni
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 25
vanno modificate. Supponiamo che il sistema O sia soggetto anche ad un moto rotatorio
a angolare ; nel sistema O la coordinata r (t) `e data dalla 3.71 e quindi
costante con velocit`
dr dx dy dz di dj dk
= i + j + k + x + y + z (3.83)
dt dt dt dt dt dt dt
I primi tre termini della 3.83 rappresentano v velocit` a nel sistema O . Tenendo conto della
di
3.50 si ha che = i e cos` via e quindi la 3.83 diviene
dt
dr
= v + r (3.84)
dt
dr
So osservi che `e v 6= ; in effetti v non tiene conto della rotazione. La 3.76 diviene quindi
dt
dr dr
v= = + vO = v + r + vO (3.85)
dt dt
Con una tecnica analoga si pu`
o calcolare anche quanto vale laccelerazione a. Si ha
infatti
dv dv d ( r ) dvO
a= = + + (3.86)
dt dt dt dt
Tenendo conto che `e
dv
= a + v (3.87)
dt
dvO
= aO (3.88)
dt
d ( r )
= (v + r ) (3.89)
dt
si ha in conclusione che
a = a + aO + ( r ) + 2 ( v ) (3.90)
dove a `e laccelerazione misurata nel sistema O, a `e laccelerazione misurata nel sistema O
e aO `e laccelerazione del sistema O rispetto ad O ; ( r ) `e laccelerazione centripeta
e 2 ( v ) `e laccelerazione di Coriolis7.
Nel caso della Terra possiamo assumere aO = 0; si ha quindi che ad una massa m che
si muove sulla superficie della Terra con velocit`a v `e applicata una forza dinerzia data dalla
m ( r )2m ( v ). Si ricordi che nel caso della Terra `e || = 0, 73104 s1 valore
che produce, tenuto conto del raggio della Terra, che vale RT = 6, 4 106 m, unaccelerazione
centripeta di 4, 41 103 ms2 , valore piccolo anche se non trascurabile, che ci permette di
dire che un sistema solidale alla Terra `e un sistema approssimativamente inerziale.
La forza di Coriolis `e una forza che dipende dalla velocit`a, ma non `e dissipativa.
a lui si deve, oltre che la scoperta di questa accelerazione, anche la prima definizione corretta dellenergia
cinetica.
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 26
In questo corso ci interesseremo sole delle prime due che sono dette interazioni coulombiane.
Si tratta di interazioni centrali che hanno quindi una simmetria sferica e che dipendono
dalla distanza come r2
La gravitazione universale
Si considerino due particelle A e B, aventi masse rispettivamente mA e mB , poste alla
distanza definita dal vettore rAB che assumiamo diretto da A verso B, rappresentate nella
Fig. 3.15; alla particella B `e applicata da parte della particella A una forza FBA data dalla
cosiddetta legge della gravitazione universale
rAB
FBA = GmA mB (3.91)
|rAB |3
G `e una costante universale che vale 6, 67259 1011 kg 1 m3 s2 . Poich`e la massa `e una
grandezza sempre positiva si tratta di una forza sempre attrattiva. Si tratta di una for-
za estremamente debole: due masse unitarie poste alla distanza unitaria si attirano con
una forza di 6, 67259 1011 N . Data il valore molto piccolo di G la prima dimostrazione
sperimentale di questa legge `e stata data dalle leggi di Keplero.
B
rAB
A
Per il principio di azione e reazione la massa mB applica a sua volta alla massa mA
la forza FAB = FBA .
Non esiste alcuna ragione di principio perch`e la massa che appare nella 3.66, detta
massa inerziale, sia la stessa che appare nella 3.91, detta massa gravitazionale: le due
leggi fanno infatti riferimento a fenomeni completamente diversi. In realt` a vale quello che
si chiama principio debole di equivalenza, che dice che le due masse coincidono a meno
di una costante. Si pu` o scrivere che la massa inerziale mi e la massa gravitazionale mg sono
legate dalla relazione mi = kmg . Allinizio del novecento E otvos misur`o che k = 1 109 e
12
in epoca moderna Dicke trov`o 1 10 .
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 27
Il campo gravitazionale
Il fatto che la particella B della Fig. 3.15, posta in un certo punto, sia sottoposta alla forza
FBA = FAB , forza dovuta alla particella A, fa pensare che lo stato fisico nel punto quale si
trova B sia stato alterato dalla presenza di A; si dice che la particella A ha creato nello spazio
circostante un campo di forza gravitazionale8 f che ha le dimensioni di N kg 1 = m s2 .
Il valore del campo gravitazionale fBA prodotto dalla massa mA `e definito utilizzando
la 3.91 dalla
FBA rAB
= fBA = GmA (3.92)
mB |rAB |3
r
O
In modo pi` u generale possiamo dire, facendo riferimento alla figura 3.16, che una
particella A posta nellorigine O, di massa m, crea nel punto P , individuato dal vettore r,
il campo f dato dalla
r
f(r) = Gm 3 (3.93)
|r|
f `e un vettore che ha direzione passante per la massa, verso diretto verso la massa ed il
suo valore assoluto varia con la distanza secondo la legge |r|2 . Un campo con queste
caratteristiche si chiama campo centrale.
Una massa M posta in un punto nel quale `e presente il campo gravitazionale f `e
sottoposto quindi alla forza F = M f.
In tutto lo spazio che circonda un massa esiste un campo gravitazionale diverso da zero
definito dalla funzione f = f(r); se sono presenti N masse mi poste nel punto di coordinata
ri allora nel punto P (r) il campo gravitazionale `e dato dalla
N N
X X (r ri )
f(r) = fi (r ri ) = G mi (3.94)
i=1 i=1
|(r ri )|3
Linterazione elettrostatica
Si considerino due cariche qA e qB poste alla distanza definita dal vettore rAB , come mostrato
in figura 3.17: alla carica qB `e applicata da parte della carica qA la forza FBA data dalla
legge di Coulomb9
1 rAB
FBA = qA qB (3.95)
4o |rAB |3
dove o `e la costante dielettrica del vuoto che vale 8, 854 1012 C 2 kg 1 m3 s2 . Le
cariche si misurano in Coulomb con simbolo C.
8 La teoria della relativi`
a generale descrive questo fatto come una modifica della geometria
spazio-temporale prodotto dalla massa A in tutto lo spazio circostante.
9 Charles-Augustin de Coulomb; Angouleme, 14.6.1735 - Parigi, 23.8.1806
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 28
qB
rAB
qA
Le cariche in natura sono di due tipi differenti che si indicano convenzionalmente come
positive e negative; i protoni sono positivi e gli elettroni sono negativi. Si ricava quindi dalla
3.95 che la forza tra due cariche pu` o essere attrattiva o repulsiva. La forza elettrostatica con
la quale si respingono due cariche unitarie poste a distanza unitaria `e dellordine di grandezza
di 9 109 N : si tratta di una forza enorme se confrontata con quella gravitazionale.
Il campo elettrico
Analogamente a quanto fatto nel caso del campo gravitazionale, anche nel caso della forza
di natura elettrica descritta dalla 3.95 `e possibile definire il campo elettrico nel punto r ,
prodotto dalla carica q, posta nel punto di coordinata r, con lespressione
1 r r
E(r ) = q (3.96)
4o |r r |3
N
Il campo elettrico ha la dimensione di .
C
Il teorema di Gauss
Le espressioni del campo gravitazionale dato dalla 3.93 e di quello elettrico dato dalla
3.96 sono caratteristiche di un campo centrale o coulombiano e possono essere espresse
sinteticamente dalla
r
h=k 3 (3.97)
|r|
q
dove per il campo gravitazionale `e k = Gm e per il campo elettrico `e k = ; i campi
4o
centrali godono di una importante propriet` a nota come teorema di Gauss10 .
Calcoliamo il flusso del vettore h attraverso una superficie chiusa S, come indicato in
figura 3.18. Si ha
dS
Z Z Z Z
r
h = h dS = k 3 dS = k 2
cos = k d (3.98)
S S |r| S r 4
dove d `e langolo solido sotto il quale si vede lelemento di superficie dS dalla massa m o
dalla carica q. In conclusione quindi si ha
h = k4 (3.99)
Il flusso uscente da una superficie chiusa che contiene al suo interno la massa m o la carica
q `e dato dalla 3.99; non dipende dalla posizione della massa al suo interno e diventa nulla
se la massa o la carica sono esterne alla superficie chiusa.
10 Johan Carl Friedrich Gauss; Braunschweig, 30.4.1777 - G
ottingen, 23.2.1855
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 29
m
dS
h
r
Z
f(r) = G dm 3 (3.100)
V |r |
P
dm r
Si noti come nella figura 3.19 la massa non possa essere considerata puntiforme perch`e
si ha che d
= |r|, dove d `e una dimensione della massa; quando `e d |r| si pu` o assumere
la massa puntiforme ed allora il campo dipenda dalla distanza con legge |r|2 .
Nel caso che la massa abbia una certa simmetria `e possibile, utilizzando il teorema di
Gauss, calcolare il campo; nel caso di una sfera di raggio R e massa M si deve ipotizzare che
il campo abbia una simmetria radiale. Calcolando il flusso uscente da una superficie chiusa
di raggio r > R concentrica con la massa si ha
Z
h = h dS = 4r2 f (r) (3.101)
S
e quindi dalla 3.99 si ottiene
M
f (r) = G (3.102)
r2
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 30
Il campo gravitazionale di una sfera `e lo stesso che si avrebbe se tutta la massa fosse
concentrata nel centro della sfera.
Per calcolare il campo allinterno del corpo, cio`e per r < R si deve tenere conto che la
r3
massa m allinterno della sfera `e adesso data dalla M 3 e quindi si ottiene
R
M
f (r) = G 3 r (3.103)
R
d2 x
kx = m (3.105)
dt2
dove con x si indica lo spostamento dalla posizione di equilibrio. Si tratta di una equazione
differenziale del secondo ordine, omogenea, a coefficienti costanti che ha soluzione del tipo
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 31
x = exp (ibt), dove b `e una costante e i = 1, soluzione che sostituita nella 3.105 da quella
che si chiama equazione caratteristica
mb2 x = kx (3.106)
Si ricava quindi r
k
b1,2 = = o (3.107)
m
0 `e una caratteristica costruttiva del sistema e si chiama frequenza propria. La soluzione
`e una combinazione lineare di due soluzioni particolari ed `e data dalla
dr d d
v= = l cos j + l sin k (3.111)
dt dt dt
e quindi laccelerazione
d2 d2
dv d d
= l sin + l cos 2 j + l cos + l sin 2 k (3.112)
dt dt dt dt dt
dL d2
= ml2 2 i = l mg sin i (3.113)
dt dt
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 32
O
j
r
vT
m
s
mgk
e quindi
d2 g
+ sin = 0 (3.114)
dt2 l
Lequazione 3.114 non `e lineare e per essere integrata deve essere linearizzata, cosa
possibile se si utilizza lapprossimazione delle piccole oscillazioni, se si pone cio`e sin
= .
Si ha in tal caso
d2
+ 2 = 0 (3.115)
dt2
r
g
Nella 3.115 si `e posto = . La 3.115 `e lequazione delloscillatore armonico (si veda la
l
3.105) che ha soluzione
(t) = 0 sin(t + ) (3.116)
0 , ampiezza e , fase iniziale, dipendono dalle condizioni iniziali.
ma2 + a + k = 0 (3.118)
Si tratta di una forza sinusoidale di ampiezza Foe e frequenza e . Questo modello fisico si
chiama oscillatore armonico forzato e la sua equazione `e
dx d2 x
Fe kx =m 2 (3.126)
dt dt
La soluzione di questa equazione, che non `e pi`
u omogenea, `e data dalla somma della soluzione
della omogenea associata, data dalla 3.124, e di una soluzione particolare. La 3.124 per`o,
rappresenta un termine che, passato un transitorio, tende a zero e quindi conviene prendere
in considerazione la soluzione particolare che potremo scrivere
che pu`
o essere scritta come
affinch`e questa identit` a sia rispettata bisogna che i coefficienti dei termini dipendenti da
cos e t e sin e t siano identicamente nulli. Se si pone
A = Xoe k m e2
(3.130)
B = Xoe e (3.131)
si deve avere
0.05
0.04
0.03
0.02
0.01
10 20 30 40
`e misurato da un registratore; si vuole che il misuratore sia sensibile solo alla pressione quasi
statica. Si deve allora imporre Xoe = Foe /k. Questa condizione pu` o essere ottenuta se si
impone 0 e ; e ci` o si ottiene imponendo che k m. Si deve avere quindi una molla
molto rigida ed una massa piccola.
Opposta `e la condizione da imporre allapparato di figura 3.24 che rappresenta lo
schema di un sismografo: si vogliono misurare in questo caso gli spostamenti del terreno.
Vogliamo in altre parole che la massa sia ferma, sia cio`e Xoe 0, quando il terreno e quindi
la struttura cui `e appesa la massa si muove a causa, ad esempio, di un terremoto. Si ottiene
un funzionamento di questo tipo se si impone 0 e : deve essere quindi k m; che vuole
dire una molla molto poco rigida ed una massa molto grande.
detto, di risolvere il problema fondamentale della meccanica: quello di trovare, data la forza
applicata ad una particella, la sua legge del moto. Esistono per`o delle leggi di conserva-
zione che rappresentano in effetti gi`a una integrazione della 3.64 e quindi permettono una
pi`
u facile soluzione del problema.
dove `e FT = |F| cos . Si dice che W `e il lavoro fatto dalla forza F nello spostamento da A
a B; il lavoro ha le dimensioni kg m2 s2 , ed a questa grandezza `e stato attibuito il nome di
Joule con simbolo J.
ds
P
A
r
F(r) B
O
i
Dalla formula 3.140 si ricava che il lavoro per andare da A a B non dipende dalla traiettoria,
ma solo dalla posizione di A e di B. Se quindi A B, cio`e se la traiettoria `e chiusa, il lavoro
`e nullo; le forze che hanno questa caratteristica si chiamano conservative ed il nome `e
attribuibile anche ai relativi campi.
Dalla 3.140 si ricava che se rB > rA `e W < 0, mentre se rB < rA allora `e W > 0;
questo dipende dal fatto che la forza gravitazionale `e sempre attrattiva.
Le caratteristiche del campo gravitazionale possono essere descritte anche utilizzando
il concetto di potenziale gravitazionale U (r) nel punto r definito dalla
1
U (r) = Gm (3.141)
r
e ma U (r) si chiama lenergia potenziale posseduta dalla massa ma quando `e collocata nel
punto distante r dalla massa m. Si ricava immediatamente che
dU
|f(r)| = (3.142)
dr
zB B
o
j
dove Ep = mgz si chiama energia potenziale nel punto alla quota z; gz `e il potenziale
nel campo della forza peso alla quota z. Il lavoro fatto da una forza conservativa nello
spostamento di una massa tra due punti `e uguale alla differenza di energia potenziale tra i
due punti.
Dalla 3.143 si ricava che il lavoro della forza peso dipende solo dalla differenza di quota
tra il punto di partenza e quello di arrivo.
Si ricava quindi dalla figura 3.28 che
Z C Z C
F ds = F ds (3.144)
A B
e quindi
Z C Z C Z C Z B
F ds F ds = F ds + F ds = 0 (3.145)
A B A C
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 39
AB
Il lavoro fatto dalla forza peso per una traiettoria chiusa `e nullo: il campo gravitazio-
nale `e infatti un esempio di campo conservativo.
da cui
Ek,B + Ep,B = Ek,A + Ep,A (3.147)
La 3.147 `e una formulazione del teorema della conservazione dellenergia meccanica
che dice come, per le forze conservative, sia
Ek + Ep = costante (3.148)
dove Wc `e il lavoro delle forze conservative e Wnc di quelle non conservative. Se il percorso
`e un percorso chiuso, cio`e tale che A B, allora `e sempre Wc = 0, ma Wnc 6= 0. Si ha
in questo caso che il lavoro delle forze non conservative eguaglia la variazione dellenergia
meccanica.
La forza elastica `e una forza conservativa ed il suo lavoro per una deformazione x `e
dato dalla Z B Z x
1
W = F ds = kxdx = kx2 (3.150)
A 0 2
che pu`o essere assunta negativa. Nella 3.150 k `e la costante di elasticit`
a del corpo deformato.
Il lavoro fatto dalla forza elastica si trova nel corpo sotto forma di energia elastica.
k k0 k
m m
x1 x2
Scriviamo le equazioni del moto per le due masse indicando con x1 e x2 lo spostamento
dalla posizione di equilibrio delle due masse.
d2 x1
m = kx1 + k0 (x2 x1 ) (3.153)
dt2
d2 x2
m 2 = kx2 + k0 (x1 x2 ) (3.154)
dt
Le due equazioni 3.153 e 3.154 sono accopiate. Possono essere disaccopiate se si fanno le
sostituzioni
x1 x2 = p (3.155)
x1 + x2 = q (3.156)
Si noti che p rappresenta la distanza tra le due masse e q `e il doppio della distanza del punto
medio tra le due masse dallorigine delle coordinate. Nelle nuove variabili le 3.153 e 3.154
divengono
d2 p
m = Kp (3.157)
dt2
d2 q
m 2 = kq (3.158)
dt
dove `e K = k+2k0 . Le 3.157 e 3.158 sono equazioni armoniche disaccopiate e le loro soluzioni
sono date dalla 3.109; esse rappresentano due modi propri del sistema; un generico moto
CAPITOLO 3. MECCANICA DEL PUNTO 41
-2
-4
e si pu`
o dimostrare che `e costante. Nella 3.163 si ha
1 1
Ei = mv 2 + (k + k0 )x2i (3.164)
2 i 2
E12 = k0 x1 x2 (3.165)
Lenergia passa continuamente dalla massa 1 alla massa 2 e E12 `e il valore dellenergia
scambiata.
Capitolo 4
Meccanica di un sistema di
particelle
Si consideri un sistema formato da N particelle come rappresentato nella figura 4.1; sup-
ponendo di utilizzare un sistema di riferimento inerziale, per esempio cartesiano con versori
{i, j, k}, possiamo supporre che per ogni particella si conosca la sua posizione ri = ri (t), la
N
X
sua massa mi , e la forza a lei applicata Fi (t); la massa totale del sistema sar`a M = mi .
i=1
Applicando alla particella i-esima la legge di Newton si ha `e
d2 ri
Fi = mi ai = mi (4.1)
dt2
dove in generale dovremmo supporre che Fi = Fi ({rj } , {ml } ; t).
` quindi possibile conoscere, per ciascuna particella, la sua accelerazione ai , la sua
E
velocit`
a vi , la sua quantit`
a di moto pi , il suo momento angolare Li = ri pi ed anche le
energie cinetiche Ek,i e potenziale Ep,i .
z i
k
1 2
3
ri 4
N y
O j
i
x
42
CAPITOLO 4. MECCANICA DI UN SISTEMA DI PARTICELLE 43
Infatti per il principio di azione e reazione le forze interne si annullano a due a due.
Anche per un sistema di particelle si possono definire le stesse grandezze definite per
una singola particella; si pu`o quindi definire una quantit` a di moto totale con la grandezza
N
X N
X
P= pi = mi v i (4.4)
i=1 i=1
z i
k
1 2
G 3
ri 4
rG N y
O j
i
x
Molte propriet`
a del sistema di particelle possono essere evidenziate se si fa riferimento
CAPITOLO 4. MECCANICA DI UN SISTEMA DI PARTICELLE 44
La posizione del centro di massa in generale, come sinteticamente indicato nella figura 4.2,
non coincide con quella di nessuna delle particelle del sistema.
La velocit`
a con la quale si muove il centro di massa si pu` o calcolare dalla
N
drG 1 X P
vG = = mi v i = (4.8)
dt M i=1 M
da cui
P = M vG (4.9)
La 4.9 mostra come la quantit` a di moto totale del sistema sia la stessa che si avrebbe se
tutta la massa fosse concentra nel centro di massa.
Si ha inoltre
N N
dvG 1 X dvi 1 X
aG = = mi = mi ai (4.10)
dt M i=1 dt M i=1
ma `e
N
X N
X
mi ai = Fi = R(e) (4.11)
i=1 i=1
In conclusione quindi `e
dP
R(e) = M aG = (4.12)
dt
Il centro di massa del sistema di particelle si muove quindi come se tutta la massa fosse
concentrata nel centro di massa stesso e fosse sotto lazione della risultante delle forze esterne.
Se `e R(e) = 0 allora `e anche aG = 0, il centro di massa si muove con moto uniforme;
propriet`a questa che in generale non vale per le singole particelle. Il centro di massa permette
quindi di descrivere la cinematica e la dinamica dellinsieme del sistema di particelle, ma
non delle singole particelle.
Si ha inoltre derivando la 4.5
N N N
dL X X
(i) (e)
X
(e)
= vi mi vi + ri Fi + Fi = ri Fi = M(e) (4.13)
dt i=1 i=1 i=1
dove si `e tenuto conto che le direzione del vettore ri rj e del vettore della forza scambiata
tra la particella i-esima e j-esima sono parallele. Si ha quindi che la variazione nel tempo
del momento angolare totale `e uguale al momento totale M(e) delle forze esterne applicate.
Le equazioni 4.12 e 4.13 si chiamano equazioni cardinali della dinamica dei
sistemi.
O j
i
x
ri = rig + rG (4.14)
dove ri `e la posizione della particella i-esima nel sistema fisso, rig nel sistema del centro di
massa e rG `e la posizione del centro di massa nel sistema fisso. Derivando la 4.14 si ricava
inoltre
vi = vig + vG (4.15)
dove vi `e la velocit`
a del punto i-esimo nel sistema fisso, vig nel sistema centro di massa e
vG la velocit`a del centro di massa nel sistema fisso; la 4.15 `e in accordo con la 3.76.
Calcoliamo ora quanto vale quanto vale la quantit` a di moto Pg nel sistema del centro
di massa; si ha tenendo conto della 4.8
N
X N
X N
X N
X
Pg = mi vig = mi v i mi v G = mi vi vG M = 0 (4.16)
i=1 i=1 i=1 i=1
4.2.1 I teoremi di K
onig
Il momento angolare
Due teoremi di K onig1 permettono di definire la relazioni tra i valori di alcune grandezze
nel sistema di riferimento ed in quello del centro di massa. Si ha, applicando le relazioni
4.14, 4.15, 4.16 e la 4.7
N
X N
X
L= r i mi v i = (rig + rG ) mi (vig + vG ) = Lg + LG (4.17)
i=1 i=1
`e il momento angolare nel sistema del centro di massa. Per il secondo termine si ha
N N
!
X X
rig mi vG = mi rig vG = 0 (4.19)
i=1 i=1
LG `e il momento angolare che si ottiene supponendo che tutta la massa sia concentrata nel
centro di massa.
Lenergia cinetica
Per quanto riguarda lenergia cinetica Ek del sistema si ha
N
1X
Ek = mi vi2 (4.23)
2 i=1
N
1X
= mi (vig + vG )2 (4.24)
2 i=1
N
1X 2 2
= mi (vig + vG + 2vig vG ) (4.25)
2 i=1
= Ek,g + Ek,G (4.26)
dove, anche in questo caso, si `e tenuta presente la 4.16. Ek,g `e lenergia cinetica nel sistema
del centro di massa e Ek,G `e lenergia cinetica calcolata supponendo che tutta la massa
del sistema sia posta nel centro di massa; si noti che, mentre Ek,G dipende dal sistema di
riferimento fisso, Ek,g `e indipendente da tale sistema.
dovranno essere definite 6N condizioni iniziali, cio`e {r1 , r2 ..., ri , ..., rN ; v1 , v2 , ..., vi , ..., vN }
` questo un classico problema della fisica matematica che si chiama problema degli N
E
corpi
4.3.1 Il caso N = 2
Nella figura 4.4 sono rapresentate, in un sistema che supporemo essere inerziale, le due masse
m1 e m2 , che interagiscono tra loro; le equazioni di Newton per le due masse sono
2
m1 d r1 = F1 (r1 , r2 )
dt 2
2 (4.31)
m2 d r 2
= F (r , r )
2 1 2
dt2
Se si sottraggono le due equazioni a membro a membro e si tieno conto che, per la 3
legge di Newton, si ha F1 = F2 = F le 4.31 divengono
d2 r
= F(r) (4.32)
dt2
m1 m2
dove `e r = r1 r2 e = `e la cosiddetta massa ridotta.
m1 + m2
k
(i)
m1 F1
(i)
F2
m2
r1
r2 j
r1 = rG + r1g (4.34)
r2 = rG + r2g (4.35)
CAPITOLO 4. MECCANICA DI UN SISTEMA DI PARTICELLE 48
Le leggi di Keplero
Johannes Keplero2 , analizzando i dati delle osservazioni astronomiche del suo maestro Tycho
Brahe3 , formul`o tre leggi fenomenologiche che condensavano alcune regolarit` a osservata nel
moto dei pianeti del sistema solare; le tre leggi di Keplero, che rappresentano la prima
dimostrazione sperimentale della legge della gravitazione universale, sono
1. I pianeti descrivono intorno al sole orbite piane ellittiche ed il sole `e in uno dei fuochi,
2. Il moto dei pianeti avviene con velocit`
a areolare costante,
3. Il rapporto tra il quadrato del periodo di rotazione intorno al sole T ed il cubo del
T2
semiasse maggiore dellorbita a, cio`e 3 , `e costante per tutti i pianeti.
a
Le tre leggi di Keplero sono in effetti una conseguenza della 4.37 applicata al caso che i due
corpi siano uno il Sole e laltro un pianeta e che la F sia la legge di attrazione gravitazionale,
che pu`o essere scritta come
d2 r r
Mp 2 = Mp M G 3 (4.38)
dt |r|
dove Mp `e la massa di un pianeta, M quella del Sole e G la costante di gravitazione
Mp
universale. Si ha che M 2 1030 kg: il rapporto varia da 9, 5 104 per Saturno,
M
che `e il pianeta con la massa maggiore a 0, 16 106 per Mercurio che ha la minima massa
del sistema solare; nel caso della Terra questo rapporto vale 3 106 ; si pu`
o quindi assumere
che la massa ridotta sia in questo caso Mp e che il centro di massa sia nel Sole.
Consideriamo la dinamica intorno al Sole della Terra, la cui traiettoria `e schemati-
camente illustrata nella Figura 4.5; si pu`o supporre che siano trascurabili, rispetto a quel-
la del Sole, le forze gravitazionali dovute agli altri pianeti; esse producono solo piccole
perturbazione alle orbite.
Poich`e M(e) = r F = 0 si ha dalla seconda equazione cardinale che L `e una costante
ed `e perpendicolare a r v, quindi lorbita giace tutta in un piano; il fatto poi che lorbita
sia unellisse si troverebbe risolvendo la 4.38; questa `e la prima legge di Keplero. In ogni
caso il rapporto tra i due semiassi `e molto prossimo ad 1: ha il minimo valore di 0, 968 per
Plutone, il massimo di 0, 99998 per Venere e vale 0, 99986 per la Terra; per la Terra quindi
si pu`o supporre che lorbita sia praticamente circolare.
2 Johannes Kepler; Weil der Stadt, 27.12.1571- Ratisbona, 15.11.1630.
3 Thychi Brahe; Knutstorp Castle, 14.12.1546 - Praga, 24.10.1601.
CAPITOLO 4. MECCANICA DI UN SISTEMA DI PARTICELLE 49
v
T
S F
r
Nella Figura 4.5 si `e indicata tratteggiata larea dA spazzata dal raggio R dellorbita
della Terra durante lintervallo di tempo dt nel quale la Terra percorre lo spazio ds = v dt;
1
si ha quindi dA = R v dt e quindi, tenendo conto che L = RMT v si ricava che la velocit` a
2
areolare vale
dA 1 L
= (4.39)
dt 2 MT
che quindi risulta costante e questa `e la seconda legge di Keplero.
Nel caso della Terra la velocit`a lungo lorbita solare `e praticamente costante; nel caso
delle comete, che hanno una traiettoria intorno al sole molto ellittica4 , la costanza della
velocit` a areale comporta che la velocit` a della cometa sia molto maggiore nel perielio che `e
il punto pi` u vicino al Sole, rispetto a quella nellafelio, che `e il punto pi`
u lontano.
Ipotizzando quindi che la Terra percorra intorno al Sole unorbita circolare di raggio
R si trova, uguagliando il valore della forza centrifuga MT 2 R allattrazione di gravit`a che
1 T2 4 2 s2
vale GMT M 2 , che 3 = 3 1019 3 . Per i pianeti del sistema solare questo
R R GM m
s2
rapporto, sovente detto costante di Keplero, ha il valore minimo di 2, 95 1019 3 per
m
2
s
Plutone, quello massimo di 2, 99 1019 3 per Venere, Saturno e Nettuno; per la Terra vale
m
2
19 s
2, 96 10 .
m3
4.3.2 Il caso N = 3
Il cosiddetto problema a tre corpi `e uno dei pi` u famosi problemi della fisica matematica;
sono state trovate alcune soluzioni per condizioni iniziali particolari che presentato traiettorie
ellittiche stabili, ma in generale la soluzione non `e periodica e presenta un esempio di sistema
caotico.
La stessa analisi pu` o essere fatta anche nel caso di un sistema di particelle; il lavoro
Wj fatto sulla particella j-esima sar`a dato dalla
Z Bj Z Bj h i
(i) (e)
Wj = Fj dsj = Fj + Fj dsj (4.40)
Aj Aj
(i)
dove si `e distinto il contributo dovuto alle forze interne Fj al sistema da quello dovuto alle
(e)
forze esterne Fj . La 3.138 potr`
a essere applicata alla particella j-esima `e dar`
a Wj = Ek,j .
Sommando su tutte le particelle del sistema si avr`a
N
X
W = Wj = W (i) + W (e) = Ek (4.41)
j=1
dove si `e indicato con W (i) il lavoro fatto dalle forze interne e con W (e) quello fatto da quelle
esterna; si ha cio`e
N Z Bj
(i)
X
W (i) = Fj dsj (4.42)
j=1 Aj
N Z Bj
(e)
X
W (e) = Fj dsj (4.43)
j=1 Aj
Supponiamo inizialmente che R(e) = 0; si noti che W (i) e W (e) sono diversi da zero no-
nostante la somma delle forze interne sia nulla e R(e) = 0; questo perch`e nellintegrale gli
spostamenti sono diversi per ogni particella. Secondo la 4.12 il centro di massa si muove in
questo caso di moto uniforme, cio`e vG = cost. Il teorema di Konig per lenergia cinetica
4.26 dice che, in tal caso, il lavoro fatto dalle forze esterne al sistema pu`
o modificare solo il
termine Ek,g , che pu`o essere detta energia cinetica interna ed `e indipendente dal sistema
di riferimento fisso, e quindi nella 4.41 si potr`a porre Ek = Ek,g .
Consideriamo ora le forze interne conservative: esse daranno origine ad unenergia
(i)
interna potenziale Ep espressa dalla relazione
N
X
Ep(i) = Ep;i,j = Ep;1,2 + Ep;1,3 + + Ep;2,3 + + (4.44)
i,j
i6=j
1
dove la somma ha N (N 1) termini. In generale sar`a Ep;i,j = Ep;i,j (rij ) dove rij = |ri rj |;
2
lenergia potenziale dipende dalle distanze tra le particelle e quindi non dipende dal sistema
di riferimento fisso.
Il lavoro delle forze interne conservative produce una variazione dellenergia potenziale
(i)
data dalla W (i) = Ep ; e quindi dalla 4.41 si ricava che
4.4.1 Lurto
Un tipo particolare di interazione tra due particelle `e rappresentato dallurto che si verifica
quando in uno stesso istante le due particelle hanno la stessa coordinata. Le forze che
intervengono durante il breve intervallo di tempo in cui `e presente questo tipo di interazione
sono sovente molto pi` u elevate di quelle cui sono sottoposte in generale le particelle prima
e dopo lurto; si pu` o quindi assumere che durante la fase dellurto il sistema delle due
particelle sia un sistema isolato. Landamento della forza rispetto al tempo durante lurto `e
difficilmente conoscibile; quello che si pu` o conoscere `e limpulso dato dalla 3.68.
Consideremo il caso dellurto di due particelle; si pu` o ovviamente assumere che le
particelle si muovano lungo lasse x. Il problema da risolvere `e il seguente: date le masse m1
e m2 delle particelle che urtano e le loro velocit`a iniziali, rispettivamente v1i e v2i , trovare le
velocit`a dopo lurto v1f e v2f . Siccome il sistema `e isolato possiamo assumere che R(e) = 0
dP
e quindi = 0, cio`e la quantit` a di moto si conserva; daltro canto, se le forze che si
dt
scambiano le particelle, sono conservative potremo assumere anche che lenergia interna del
sistema si conserva. Poich`e lenergia potenziale pu` o essere considerata trascurabile quella
che si conserva `e lenergia cinetica.
Nel caso di forze conservative si hanno quindi le seguenti condizioni, che definiscono il
cosiddetto urto elastico
1 m v2 + 1 m v2 = 1 m v2 + 1 m v2
1 1i 2 2i 1 1f 2 2f
2 2 2 2 (4.46)
m v + m v =m v +m v
1 1i 2 2i 1 1f 2 2f
dove K `e lenergia dissipata nellurto; in tal caso si trovano soluzioni solo se si riesce a
determinare, per esempio sperimentalmente, il termine K.
Nel caso di urto completamente anelastico le due particelle dopo lurto si muovono
con la stessa velocit`
a; si ha quindi vf = v1f = v2f . Non vale pi`
u la conservazione dellenergia
ma solo quella della conservazione della quantit` a di moto. Si ha quindi
1
vf = (m1 v1i + m2 v2i ) (4.49)
m1 + m2
Capitolo 5
P
rg jg
r G
O rG
j
ig
i
La meccanica del corpo pu` o essere sviluppata se si riesce a definire in modo univoco
la posizione del corpo nello spazio; nella Figura 5.1 la posizione del corpo `e rappresentato
in un sistema di riferimento fisso {i, j, k} che supporremo inerziale. Si consideri un punto
1 Esistono strutture solide non rigorosamente cristalline e sono i solidi amorfi ed anche i cosiddetti quasi-
52
CAPITOLO 5. MECCANICA DEL CORPO RIGIDO 53
qualsiasi2 del
corpo G; in questo punto porremo lorigine lorigine di un secondo sistema di
riferimento ig , jg , kg solidale al corpo.
La posizione di G `e definita dalle tre componenti di rG ; siccome il corpo pu` o ruotare
intorno a G la posizione del corpo non `e, a questo punto, ancora definita. Consideriamo
un punto P , appartenente al corpo, la cui posizione rispetto al sistema fisso `e data da r e
rispetto al sistema connesso al corpo da rg , che trattandosi di un corpo rigido `e una costante.
Come illustrato nella Figura 5.2: la posizione di P rispetto a G `e definita dai due angoli
e ; una volta fissati questi due punti il corpo pu` o ancora ruotare intorno allasse GP ; `e
quindi ancora necessario fissare questo angolo.
kg
P
|rg |
G jg
ig
In totale quindi la posizione del corpo `e definita da 6 numeri: una scelta, ma non
lunica, potrebbe essere quella di scegliere le tre coordinate xG , yG e zG ed i tre coseni
direttori = cos(i, ig ), = cos(j, jg ) e (t) = cos(k, kg ). Si avr`
a in generale che
xG = xG (t) (5.1)
yG = yG (t) (5.2)
zG = zG (t) (5.3)
= (t) (5.4)
= (t) (5.5)
= (t) (5.6)
Si ottiene lo stesso risultato con un altro ragionamento. Abbiamo detto che un corpo
rigido pu`o essere considerato come un sistema di N punti, ciascuno avente coordinata ri dove
per`o vale la condizione |ri rj | = cij , essendo cij costante per i, j N . Questo vincolo fa s`
che, per definire la posizione di un corpo nello spazio non sia necessaria dare 3N coordinate,
ma semplicemente quelle di 3 punti del corpo, che vuole dire 9 coordinate; poich`e per`o la
distanza tra questi 3 punti `e costante esistono ulteriori 3 condizioni e quindi, in totale, la
posizione di un corpo nello spazio `e determinata da 6 numeri.
b r
M = M1 + M2 = (r1 r2 ) F (5.7)
b1 O b2 2
r2
r1
b
1
F1
5.2.4 Lelasticit`
a del corpo rigido
Laffermazione che in corpo rigido la distanza tra due punti qualsiasi del corpo resta costante
`e unapprossimazione della realt` a: ogni corpo solido, sottoposto ad una forza, si deforma,
ma tende a conservare la forma che possiede ed `e quindi in grado di opporsi ad ogni tentativo
di modificarla con una forza che, come abbiamo gi`a visto, si chiama elastica. Questa forza,
dovuta essenzialmente allinterazione elettromagnetica, `e, entro certi limiti, proporzionale
alla deformazione subita dal corpo.
Da questo punto di vista lutilizzo della statica da parte dellingegnere `e diverso da
quello del fisico. La condizione di equilibrio espressa dalle 5.8 e 5.9 non tiene conto del punto
di applicazione delle forze; `e cio`e possibile spostare il punto di applicazione delle forze lungo
la retta della direzione dei vettori senza che le condizioni di equilibrio si modifichino; questa
propriet`a `e talvolta chiamata teorema di trasmissibilit` a delle forze.
Si consideri la sbarra di figura 5.5: dal punto di vista della statica le due disposizioni
di forze sono equivalenti ed il corpo `e in equilibrio.
F F
F F
AC |FB |
= (5.10)
CB |FA |
SB
B
C
A
R FB
SA
FA
Il punto C, che `e chiamato centro delle forze parallele, `e il punto nel quale si deve
applicare una forza R affinch`e il corpo sia in equilibrio. La forza R, per come `e stata
calcolata, obbedisce ovviamente alla condizione 5.8; verifichiamo allora se `e verificata anche
la 5.9. Lequazione 5.9, assumendo come polo il punto A ed applicando la R in C da
immediatamente la condizione |R|AC + |FB | AC + CB = AC|FA | + CB|FB | = 0 che
`e appunto la 5.10.
Il concetto di centro delle forze parallele pu` o essere esteso ad un numero qualsiasi di
forze. Si consideri la Fig. 5.7; si pu`
o definire la distanza xG con la relazione
PN
|Fi |xi
xG = Pi=1
N
(5.11)
i=1 |Fi |
` immediato mostrare che una forza PN Fi applicata nel punto G definito dalla 5.11 `e
E i=1
in grado di equilibrare tutte le forze applicate al corpo
Supponiamo che le forze presenti nella 5.11 siano dovute a forze di gravit`a, che sia
PN
mi xi
cio`e Fi = mi g; si ha che xG = Pi=1 N
. Questa coordinata individua il baricentro del
i=1 mi
corpo, che coincide con il centro di massa definito dalla 4.7 quando laccelerazione di gravit`a
`e la stessa per tutti i punti del corpo, condizione che `e praticamenre sempre soddisfatta.
Se passiamo dal caso di un sistema di masse finite e discrete a quello di un solido,
cio`e sostituiamo alla massa mi la massa dmi , alla somma lintegrale e passiamo al caso
tridimensionale avremo R
r dm
rG = R (5.12)
dm
CAPITOLO 5. MECCANICA DEL CORPO RIGIDO 57
xN
xG
xi
x2
O x1
G
F1
Fi
F2
FN
dm
Se si definisce la sua densit`
a con la = dove m `e la massa e V il volume si ha
dV
R R
rdm rdV
rG = R = (5.13)
dm M
essendo M la massa totale del corpo; nel caso il corpo sia omogeneo, cio`e la sua densit`
a sia
costante in tutto il volume del corpo, si avr`
a
R
rdV
rG = (5.14)
V
La posizione del baricentro, per un corpo omogeneo, dipende quindi solo dalla forma geo-
metrica.
A
C
O i
P seguono la stessa traiettoria circolare. Nel caso della rotazione invece c`e sempre un punto
del corpo che resta fermo.
P
ig
P
rg
r
G
rG
O i
vP = vG + rg = vG + ro + b (5.17)
ig
P r
o
O
rg b
r
G
rG
O i
v
P
R
r
R dm
rg
r
RG
G
rG
Si ha infatti
dm
dI = (|||r| sin ) (|||r| sin ) = dmR2 (5.24)
2
tenendo conto che si ha r = rG + rg la 5.23 diviene
dm
dI = ( rG + rg ) ( rG + rg ) =
2 (5.25)
dm
= 2 [( rG ) ( rG ) + 2 ( rG ) ( rg ) + ( rg ) ( rg )]
R Il momento dinerzia totale I si ottiene integrando su tutto il corpo, calcolando cio`e
I = dI. Il primo integrale della 5.25 diviene, tenendo conto della 5.23
dm
Z
( rG ) ( rG ) = IG = M RG 2
(5.26)
2
dove IG `e il momento dinerzia del corpo rispetto allasse k assumendo che tutta la massa
M sia posta in G.
Il secondo integrale vale
2
Z
( rG ) rg dm =0 (5.27)
2
dove si `e tenuto conto che
R R
r dm ( rG + rg ) dm
rG = R = R (5.28)
dm dm
R
e quindi che rg dm = 0
Il terzo integrale, sempre tenendo conto della 5.23, da
dm
Z
( rg ) ( rg ) = Ig (5.29)
2
dove Ig `e il momento dinerzia del corpo rispetto ad un asse parallelo a k e passante per G.
In conclusione `e
I = IG + Ig (5.30)
CAPITOLO 5. MECCANICA DEL CORPO RIGIDO 62
v 2 = vG
2
+ 2vG ( rg ) + ( rg ) ( rg ) (5.32)
k
dm
R
rg
r
G
rG
j
i O
Si ha quindi
1
Z
Ek = v 2 dm =
2
1 2
Z Z
= vG dm + vG ( rg ) dm+ (5.33)
2
1
Z
+ ( rg ) ( rg ) dm
2
1 2
Il primo termine della 5.33 `e M vG che `e lenergia che si avrebbe se tutta la massa fosse
2
collocata nel baricentro ed `e il contributo allenergia cinetica della traslazione. Il secondo
termine `e nullo per la 5.28 ed il terzo vale
1 1
Z
||2 |rg |2 sin2 dm = I 2 (5.34)
2 2
che `e il contributo allenergia cinetica dovuto alla rotazione. In conclusione lenergia cinetica
di un corpo `e data dalla
1 2 1
Ek = M vG + I 2 (5.35)
2 2
di cui abbiamo parlato fino ad ora sono liberi di muoversi nello spazio: il loro moto non `e
vincolato. Ma quando poggiamo un corpo su di un piano al corpo sono applicate due forze:
una `e la forza peso e laltra `e la forza che il piano applica al corpo: questultima, che `e
uguale ed opposta alla forza peso appartiene all categoria delle forze vincolari
COEFFICIENTI DI ATTRITO
s d
Acciaio su acciaio 0,74 0,57
Alluminio su acciaio 0,61 0,47
Rame su acciaio 0,53 0,36
Gomma su cemento 1,0 0,8
Legno su legno 0,25-0,5 0,2
Vetro su vetro 0,94 0,4
Legno grasso su neve bagnata 0,14 0,1
Legno grasso su neve secca - 0,04
Metallo su metallo (lubrificato) 0,15 0,06
Ghiaccio su ghiaccio 0,1 0,03
Teflon su teflon 0,04 0,04
Articolazioni umane 0,01 0,003
Quando le superfici di due corpi, spinte una contro laltra con la forza N , vengono a
contatto, nasce una forza Ft , tangente alle superfici, che si oppone al loro movimento relativo:
questa forza si chiama dattrito. Essa `e data dalla relazione Ft = N . Il coefficiente
detto coefficente dattrito dipende dalla natura delle superfici, dal loro stato e dal fatto che
le superfici siano in movimento luna rispetto allaltra oppure no: si ha quindi un coefficente
dattrito dinamico d ed uno statico s ; `e in generale s > d . Se applichiamo ad un corpo
di massa m che poggia sopra un piano una forza F parallela al piano si ha spostamento solo
se F s N = s mg = Ft ; quando il moto `e iniziato lequazione di Newton diviene quindi
F d N = ma.
Nella tabella 5.1 sono indicati alcuni valori dei coefficienti dattrito; si tratta di valori
approssimati, dipendenti molto dalle condizioni delle superfici, in prima approssimazione
indipendenti dalla velocit` a relativa delle due superfici, ma che crescono anche in modo
sensibile allaumento della temperatura.
Il lavoro fatto dalla forza dattrito, che non `e una forza conservativa, per uno sposta-
mento dal punto A al punto B in un percorso lungo s `e dato dalla:
Z B
W = F ds = d N s (5.36)
A
si tratta di un lavoro negativo, perch`e diminuisce lenergia cinetica della particella.
B vb
M
R F
B
r
~j
P
~i
C
Lo studio della dinamica del corpo richiede che si individuino le forze e le coppie
applicate al corpo, esse sono quelle indicate nella figura 5.16. Al cilindro `e applicata la forza
esterna F = f i e la forza peso P = mg j; supporremo che la coppia esterna sia M = 0. La
reazione del piano `e data dalla R = fa i + N j = fa i + mg j. Le equazioni di Newton per
la traslazione sono
f fa = mab (5.38)
N mg = 0 (5.39)
ab
dove ab `e laccelerazione del baricentro. Per la rotazione si ha: M = rfa = I = I dove
r
`e laccelerazione angolare. Si ricava quindi
f
fa = (5.40)
mr2
1+
I
CAPITOLO 5. MECCANICA DEL CORPO RIGIDO 65
Si tenga conto che la forza di modulo fa `e dovuta allattrito tra corpo e piano; questa
forza vale, quando si ha rotolamento s N = s mg. Non si ha strisciamento se fa s N ;
quindi, tenendo conto della 5.40, si pu`
o dire che non si ha strisciamento se
mr2
fa s mg 1 + . (5.41)
I
Nel caso che sia applicata al corpo solo una coppia di momento M e sia F = 0 le equazioni
di Newton divengono
fa = mab (5.42)
N mg = 0 (5.43)
ab
e quella per le rotazioni M + rfa = I = I . In questo caso la condizione per la quale
r
I
non si ha strisciamento diviene: M s mg r + .
mr
Capitolo 6
Sotto la denominazione di fluidi sono comprese, in estrema sintesi, le sostanze che assumo-
no la forma del recipiente che le contiene. I fluidi che possono essere caratterizzati come
incomprimibili sono i liquidi e mentre quelli comprimibili sono i gas: in questo paragrafo
tratteremo i liquidi.
Nei liquidi la distanza tra gli atomi `e costante, `e quindi rij = |ri rj | = cost, ma la
posizione degli atomi non `e quella di un reticolo cristallino: nei liquidi quindi le propriet` a
fisiche non dipendono dalla direzione: si dice che i liquidi sono isotropi1 . La deformabilit` a
dei liquidi perfetti, che sono quelli di cui qui ci interessiamo, dipende dal fatto che in questi
liquidi sono nulle le forze tangenziali o di taglio; quindi ad una superfici in seno ad un liquido
sono applicate solo forze normali. Lassenza di forze tangenziali per i fluidi perfetti dipende
dal fatto che per questi fluidi supporremo nulla la loro viscosit` a.
66
CAPITOLO 6. MECCANICA DEI FLUIDI 67
F
n
lespressione
1 |F||n| cos
p= Fn= (6.3)
S S
si tratta di una grandezza scalare.
Nei liquidi perfetti le forze allinterno del liquido, a causa dellassenza di forze tangen-
ziali, sono sempre normali ad una qualsiasi superficie e quindi la pressione in un punto r
sar`a definita dalla
dF
p= (6.4)
dS
questa pressione `e la stessa per qualsiasi direzione della superficie dS
Lunit`a di misura della pressione `e il Pascal con simbolo P a: le sue dimensioni sono
kgm1 s2 . Si tratta di una grandezza molto piccola e quindi `e ammesso luso del bar
definito dalla relazione 1 bar = 105 P a. La pressione media misurata a livello del mare si
chiama atmosfera vale circa 1, 01 bar = 1, 01 105 P a e non `e permessa nel SI.
Le forze che controllano le condizioni di equilibrio allinterno di un liquido possono
essere divise in forze di volume e forze di superficie. Questa distinzione pu` o essere chiarificata
se si considera di individuare, entro il liquido di densit` a , un cilindro ideale alto h, avente
basi di superfici S ed ipotizzando che questo cilindro sia in equilibrio, come indicato nella Fig
6.2. Le forze di superficie sono quelle che il resto del liquido applica al nostro cilindro: sono
forze normali alla superficie, applicate alle due basi ed alla superficie laterale. Le forze di
volume sono quelle applicate al liquido contenuto nel cilindro, sono dovute allattrazione di
gravit`a e sono verticali e dirette dallalto verso il basso. La condizione di equilibrio richiede
che la risultante di queste forze sia nulla.
Le forze applicate alla superficie laterale hanno risultante nulla e bisogna quindi im-
porre la condizione di nullit`a alle forze con direzione verticale Alla superficie superiore del
cilindro, che ipotizziamo trovarsi alla profondit`a z rispetto alla superficie libera del liquido `e
applicata la forza F1 = p(z)S, diretta verso il basso, alla superficie inferiore del cilindro si ha
la forza F2 = p(z + h)S, diretta verso lalto ed al liquido contenuto nel cilindro `e applicata
la forza peso data dalla F3 = Shg diretta verso il basso, dove g `e laccelerazione di gravit`a.
La condizione di equilibrio da
Se si considera il caso che z = 0, che cio`e la superficie del nostro cilindro coincida con la
superficie libera del liquido si potr`
a scrivere che
p(h) = po + hg (6.7)
dove po `e la pressione atmosferica che si trova sopra la superficie libera del liquido. Un
aumento p della pressione sulla superficie libera del liquido si trasmette quindi in tutto il
fluido; questo si chiama sovente principio di Pascal3 .
Unimportante propriet` a si ricava dalla legge di Stevino e riguarda lequilibrio dei corpi
immersi in un liquido. Si consideri il corpo cilindrico, alto h, con base avente superficie S,
con densit`a c immerso in un liquido di densit` a mostrato in figura 6.3. Calcoliamo la
risultante delle forze esterne verticali applicate al corpo. Sulla faccia superiore `e applicata
la forza p(z)S = po S + zgS diretta verso il basso. Sulla faccia inferiore si ha la forza
p(z +h)S = po S +(z +h)gS diretta verso lalto; come sopra po `e la pressione sulla superficie
libera del liquido. La risultante delle forze che il liquido applica al corpo vale quindi
Dalla 6.8 si ricava che un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso
a nota come principio di Archimede4 .
lalto uguale al peso del fluido spostato, propriet`
2 Simon Stevin, noto anche come Simone di Bruges o italianizzato Simone Stevino (Bruges, 1548 - LAia,
1620), `
e stato un ingegnere, fisico e matematico fiammingo.
3 Blaise Pascal. Clermont-Ferrand 19.6.1623 - Parigi, 9.8.1662.
4 Archimede. Siracusa, 287 prima di Cristo - 212 prima di Cristo.
CAPITOLO 6. MECCANICA DEI FLUIDI 69
Al corpo `e applicata anche la forza di gravit`a dallalto verso il basso che vale c hSg. Quindi
la risultante R delle forze applicate al corpo vale
R = (c )hSg (6.9)
Poich`e abbiamo assunto come positiva la direzione dallalto verso il basso da questa relazione
si ricava che se c > `e R > 0, diretta verso il basso, cio`e il corpo affonda; se invece c <
allora R < 0 ed il corpo risale in superficie. Si ricava quindi che un corpo immerso in un
liquido sta fermo nel liquido solo se c = .
B
A
S2
S1
z1 S1
S1
F1
Alla superficie S1 `e applicata dalla pressione p1 presente alla quota z1 , la forza p1 S1 , forza
diretta nel verso dello spostamento della massa dm; analogamente alla superficie S2 `e appli-
cata dalla pressione p2 presente alla quota z2 la forza p2 S2 , forza diretta in verso contrario
allo spostamento di dm. Il lavoro fatto da questa forza vale quindi p1 S1 dl1 p2 S2 dl2 . Poich`e
si ha dm = S1 dl1 = S2 dl2 il lavoro Wp fatto da questa forza risulta essere
dm
dWp = (p1 p2 ) (6.11)
Il lavoro totale vale quindi
1
dW = dWg + dWp = dm g(z1 z2 ) + (p1 p2 ) (6.12)
Per il teorema dellenergia cinetica questo lavoro risulta uguale alla variazione dellenergia
1
cinetica, che vale dm(v22 v12 ). Si ricava quindi che in tutto il condotto `e
2
p v2
z+ + = cost (6.13)
g 2g
S2
S1
h1 h2
dei due rami sono applicate due forze, rispettivamente F1 e F2 ; se i livelli del fluido sono
rispettivamente h1 e h2 , in condizione di equilibrio, applicando la 6.7 si ha
F1 F2
+ h1 g = + h2 g (6.14)
S1 S2
S1
Nel caso che h1 h2 si ha che F1 = F2 . Se `e S1 > S2 allora si ha F1 > F2 ; questo `e un
S2
moltiplicatore di forza, da cui il suo nome.
p0 h
p1 = p0 + gh1 (6.17)
p2 = p0 + gh2 (6.18)
6 Evangelista Torricelli. Faenza, 15.10.1608 - Firenze, 25.10.1647.
7 Giovanni Battista Venturi. Bibbiano, 15.3.1746 - Reggio Emilia, 24.4.1822.
CAPITOLO 6. MECCANICA DEI FLUIDI 73
h1
h2
S2
S1
dove h1 e h2 sono le altezze del fluido nei tubicini sopra le due sezioni e p0 la pressione
atmosferica.
Si ricava quindi che s
2g(h2 h1 )S12
v2 = (6.19)
S22 S12
misurando quindi h2 h1 si calcola v2 e quindi la portata.
F = vn (6.20)
dove `e indipendente dalla velocit`a e dipende dalle caratteristiche del fluido e dalla forma
del corpo. Lesponente n vale 1 per piccole velocit` a e vale 2 per velocit`a grandi; dove per
velocit`
a piccole si intendono quelle che inducono nel fluido attarversato dal mezzo un moto
laminare; sono invece grandi quelle velocit` a che producono nel mezzo un moto turbolento,
che rivela la sua presenza con vortici nella scia. Si pu`
o prevedere linstaurarsi di un regime
di moto turbolento sulla base del valore assunto da una costante numerica, detto numero di
Reynolds8 definito dalla:
Lv
Re = (6.21)
dove e sono rispettivamente la densit` a e la viscosit`
a del fluido, L una dimensione ca-
ratteristica del corpo e v la sua velocit`
a. Quando Re 2000 il moto del fluido `e laminare,
quando Re 4000 il moto `e turbolento: si noti come nellaria, essendo molto piccolo, il
moto `e in generale sempre turbolento e quindi la forza applicata al mezzo in movimento vale
F = v2 .
Lequazione di Newton, nel caso n = 1 si scrive:
d2 x dx
= (6.22)
dt2 m dt
Questa equazione `e dello stesso tipo gi`a descritto dalla 3.25; valgono quindi le soluzioni l`a
trovate.
Nel caso n = 2 si ha che lequazione di Newton diventa:
8 Osborne Reynolds. Belfast, 23.8.1842 - Watchet, 21.2.1912.
CAPITOLO 6. MECCANICA DEI FLUIDI 74
2
d2 x
dx
=m (6.23)
dt dt2
si pu`
o quindi scrivere che
dv
= v2 (6.24)
dt m
che integrata da
mv0
v= (6.25)
v0 t + m
dove v0 `e la velocit`
a allistante iniziale. La 6.25 ulteriormente integrata da
m
x = x0 + ln v0 t + 1 (6.26)
m
Per quanto riguarda una forza viscosa del tipo F = v, che non `e conservativa, si deve
ricordare che
dv
F =m = mv (6.27)
dt
e quindi, tenendo conto della 2.25, si ricava
Z x Z t Z t
1
v 2 dt = mvo2 e2t dt = mvo2 e2t 1
W = m vdx = m (6.28)
0 0 0 2
dopo un certo intervallo di tempo che dipende da tutta lenergia cinetica `e stata dissipata.
Capitolo 7
Termodinamica
7.1 Introduzione
Per studiare il comportamento fisico di sistemi caratterizzati da un insieme enorme di parti-
celle, che chiameremo sistemi termodinamici, `e necessario introdurre due nuove grandezze
fisiche: il calore e la temperatura.
Il calore rappresenta una particolare tipologia di energia in grado di essere trasferito
da un sistema ad un altro; in meccanica si `e gia introdotto il lavoro, che pu` o anchesso
essere considerato come una tipologia di energia in grado di trasferire energia meccanica
tra sistemi fisici (punto, sistema di particelle e corpo). Lenergia dei sistemi di particelle
in meccanica pu` o assumere due forme: quella cinetica e quella potenziale ed il contenuto
energetico di un sistema fisico pu` o essere modificato scambiando lavoro con un altro sistema
fisico; poich`e lenergia potenziale `e trascurabile rispetto a quella cinetica essa sar`a trascurata.
Analogamente si pu` o supporre che un sistema termodinamico abbia un contenuto energetico
dato dalla sua energia interna definita dalla 4.45 e che questa energia possa essere modificata
scambiando calore e lavoro con un altro sistema termodinamico. La temperatura `e una
misura di questa energia interna.
75
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 76
definito quando siano note la sua posizione e la sua quantit` a di moto; per un sistema di N
particelle lo stato sar`a definito quando saranno note posizione e quantit` a di moto di ciascuna
particella. Nel caso di un sistema termodinamico lo stato del sistema si pu` o considerare
definito quando sono noti i valori assunti da alcune grandezze fisiche, dette variabili di
stato, che possono essere, nel caso della termodinamica, la temperatura, la pressione, il
numero di particelle, il volume, etc. Le variabili di stato possono essere estensive od
intensive: nel primo caso esse dipendono dalle dimensioni del sistema, come il volume o il
numero di particelle, nel secondo esse non dipendono dalle dimensioni del sistema, come la
temperatura o la pressione.
Per poter caratterizzare lo stato del sistema utilizzando le variabili di stato bisogna
che il sistema sia in uno stato di equilibrio, definito come quello stato nel quale i valori
assunti dalle variabili sono gli stessi in tutti i punti del sistema.
Esistono delle funzioni delle variabili di stato che si chiamano equazioni di stato e che
dipendono solo dallo stato del sistema e non dalle trasformazioni che il sistema ha effettuato
per raggiungere quello stato. In condizioni di equilibrio i valori che possono assumere le
variabili di stato obbediscono alle equazioni di stato.
Nel caso di un gas perfetto le variabili di stato sono la pressione P , il volume V , la
temperatura T ed il numero di particelle N ; queste quattro variabili obbediscono ad una
equazione di stato del tipo f (P, V, T, N ) = 0. Si noti quindi che fissate tre di esse la quarta
`e determinata.
Merita specificare meglio il significato fisico della temperatura che si misura in kelvin1 .
K ed `e una delle sette unit` a fondamentali del Sistema Internazionale (SI). Abbiamo visto
come lenergia cinetica della i-esima particella appartenente ad un sistema di N particelle
1
valga Ek,i = mi vi2 . Si deve tenere conto che per la velocit` a si ha vi = vi (t); questo perch`e
2
ogni particella pu` o urtare altre particelle e quindi modificare la sua velocit` a e quella della
particella urtata; supporremo sempre che questi urti siano elastici.
La temperatura di un sistema `e proporzionale allenergia cinetica media ed `e data
dalla
i=N
1X
mi vi2
2 i=1
T =k = k < Ek > (7.1)
N
dove k `e una costante Nel caso che le particelle del sistema siano tutte identiche, cio`e mi = m
1
avremo che < Ek >= m < v 2 >. Unanalisi pi` u estesa, che qui non possiamo sviluppare,
2
3
dimostra che < Ek >= kB T dove kB = 1, 38 1023 JK 1 `e la costante di Boltzman2 e
2
T la temperatura misurata in kelvin. da queste equazioni si comprende come debba esserci
una temperatura, lo zero assoluto: a questa temperatura tutte le particelle sono ferme.
Supporremo nel seguito di avere risolto il problema delle modalit` a di misura della tem-
peratura, che si fa con il termometro. La misura della temperatura si pu` o fare utilizzando
la propriet`a che alcune caratteristiche fisiche variano con la temperatura; molte sostanza si
dilatano quando vengono scaldate, in altre cambiano le propriet` a elettriche. Anche le unit` a
di misura sono legate alle propriet` a fisiche di certe sostanze: il grado centigrado si ottiene
dividendo per 100 la differenza di temperatura tra un acqua che contiene ghiaccio e acqua
che sta bollendo. Questo perch`e la temperatura di una sostanza che sta effettuando una
transizione di fase: solidoliquido oppure liquidogas `e costante.
Le variabili di stato possono variare nel tempo: si possono cio`e avere quelle che si
chiamano trasformazioni termodinamiche. Nella figura Fig. 7.1 `e rappresentata, in un
diagramma di stato, una trasformazione tra lo stato A e lo stato B. Nel diagramma sono
1 William Thomson, Primo barone di Kelvin; Belfast, 26.6.1824 - Lags, 17.12.1907.
2 Ludwig Eduard Boltzmann; Vienna, 20.2.1844 - Duino, 5.11.1906.
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 77
P
PA A
PB B V
VA VB
riportati sugli assi la pressione P ed il volume V . Tale piano {P,V} che si chiama sovente
piano di Clapeyron3 .
Se si vuole che tutti i punti della traiettoria dallo stato A allo stato B della Fig. 7.1
rappresentino stati del sistema si deve effettuare la trasformazione con una certa cautela:
tutti gli stati rappresentati nel diagramma devono essere stati di equilibrio: la pressione
e la temperatura che attribuiamo al sistema devono essere le stesse per tutto il sistema.
Ci`o non si ha in generale durante le trasformazioni: supponiamo, ad esempio, che la
trasformazione mostrata nella Fig. 7.1 avvenga variando il volume: appena la variazione
`e avvenuta le particelle non saranno equamente distribuite nel nuovo volume disponibile e
quindi la pressione non sar`a la stessa in tutti i punti del sistema. Se la trasformazione avviene
invece molto lentamente si pu` o supporre che, passato un breve periodo di rilassamento, la
pressione sia la stessa in tutto il volume.
Una trasformazione che sia una sequenza di stati di equilibrio si dice reversibile; una
trasformazione nella quale non `e verificata questa condizione si dice irreversibile.
Una trasformazione nella quale lo stato iniziale coincida con quello finale si dice ciclica
ed `e rappresentata nella Fig. 7.2
AB
3 Beno
t
Paul Emile Clapeyron; Parigi, 26.2.1799 - Parigi, 28.1.1864.
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 78
To
P = Po (1 + t) (7.2)
Vo
Mo
PA
VB = VA (7.4)
PB
Effettuiamo quindi una trasformazione isobara dalla stato B allo stato C; trasformazione
nella quale si ha PB = PC ; per la seconda legge di Gay-Lussac (7.3) si ha che VB = Vo TB =
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 80
B C
PB = PC
PA A
VB VC V
VA
tenendo conto delle distanze reciproche, lunica interazione sia quella che si ha al momento
dellurto elastico contro una parete del contenitore. Lenergia totale contenuta in questo
sistema `e quindi solo quella cinetica.
Quando la particella i-esima urta la parete perpendicolare allasse la sua velocit` a divie-
ne dopo lurto v = vx,i i + vy,i j + v,iz k; la particella ha perso la quantit`a di moto 2m vx,i ;
poich`e lurto `e elastico, questa quantit`a di moto `e quella acquisita dalla parete. Dopo il tem-
2L
po = la particella urta nuovamente la parete; quindi nellintervallo di tempo t2 t1
vx,i
la particella urta la parete k volte dove `e
t2 t1 vx,i
k= = (t2 t1 ) (7.10)
2L
Applicando il teorema dellimpulso dato dalla 3.68 si ricava
t2 2
vx,i mvx,i
Z
fp dt = k 2m vx,i = (t2 t1 ) 2mvx,i = (t2 t1 ) (7.11)
t1 2L L
Dato lenorme numero di urti si pu` o supporre che Fp sia costante nellintervallo di integra-
Z t2
zione e quindi che Fp dt = Fp (t2 t1 ). Si ricava quindi che
t1
1X 2
Fp = mvx,i (7.13)
L
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 82
P S
dx
Calcoliamo il lavoro effettuato dal sistema per una trasformazione dallo stato A allo
stato B, mostrata nel diagramma della Fig. 7.9; il lavoro per questa trasformazione `e dato
dalla Z VB
WAB = P dV (7.17)
VA
Il lavoro sar`a positivo se VB > VA . Dal significato geometrico dellintegrale si ricava
dalla Fig. 7.9 che il lavoro fatto `e dato dallarea della superficie sottostante alla curva che
descrive la transizione e dipende quindi dalla trasformazione.
Nel caso di una transizione ciclica come quella mostrata nella Fig. 7.10 il lavoro `e
rappresentato dalla superficie racchiusa dalla curva della trasformazione; il lavoro `e positivo
se la curva `e percorsa in senso orario ed `e negativo se invece il verso di rotazione `e antiorario.
Il lavoro fatto da un gas perfetto che passa dallo stato A allo stato B con una tra-
sformazione isoterma `e subito calcolato se si tiene conto dellequazione di stato 7.8; si
ha Z VB Z VB
dV VB PA
WAB = P dV = nRT = nRT ln = nRT ln (7.18)
VA VA V VA PB
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 83
P
PB B
A
PA
VA VB
VA V
Si noti come il lavoro fatto durante una trasformazione dipenda dalla trasformazione.
UB UA = W (e) = W (7.19)
dove W (e) , lavoro fatto dal sistema sullesterno `e assunto convenzionalmente come positivo,
mentre W , lavoro fatto sul sistema `e assunto come negativo.
Per un gas perfetto, tenendo conto che lenergia interna dipende solo dalla temperatura
la 7.19 diventa
U (TB ) U (TA ) = W (7.20)
Da questa relazione si ricava che la trasformazione termodinamica dallo stato A allo stato
B dipende solo dagli stati A e B e sarebbe quindi indipendente dalle modalit` a con le quali
si fa lavoro sul sistema; alcuni esperimenti fatti da Joule hanno per`o mostrato che questa
assunzione `e falsa.
Con una opportuna modifica dellapparato di Fig. 7.11, modifica che rendeva possibile
fornire al sistema soltanto calore, Joule verific`
o che la stessa trasformazione poteva essere
ottenuta fornendo al sistema una opportuna quantit` a di calore Q; si poteva quindi anche
scrivere
U (TB ) U (TA ) = Q (7.22)
Nella 7.22 si assume convenzionalmente che il calore fornito al sistema dallesterno `e positivo
e quindi il calore fornito dal sistema allesterno `e negativo. Se definiamo U (TB ) U (TA ) =
U avremo che in generale
U + W = Q (7.23)
Se consideriamo trasferimento di calore e di energia infinitesimi la 7.23 pu`
o essere scritta
dU + W = Q (7.24)
Lenergia interna
La conferma sperimentale del fatto che lenergia interna U dipende solo dalla temperatura,
come si ricava dalla teoria cinetica dei gas, `e molto delicata ed `e stata effettuata per la prima
volta da Joule con lapparato descritto nella Figura 7.12. Il contenitore con le pareti rigide e
isolanti `e diviso in due camere dal rubinetto R; nella camera di sinistra `e contenuto del gas
mentre quella di destra `e vuota; il termometro T permette di misurare la temperatura del gas.
Quando si apre il rubinetto R si ha unespansione libera del gas che diffonde ed occupa lintero
volume a disposizione. Questa trasformazione `e irreversibile e, data la natura delle pareti del
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 86
seguito hanno mostrato che la temperatura del sistema diminuisce dopo la trasformazione
ed `e costante solo per gas molto rarefatti.
nel caso invece che il calore venga fornito al sistema durante una trasformazione isocora si
definisce calore specifico molare a volume costante lespressione
Q
cV = (7.28)
nT V =cost
Poich`e in una trasformazione isocora il lavoro fatto dal sistema `e nullo ci si deve attendere
in questo caso che, a parit`
a di calore fornito, laumento di temperatura sia superiore a quello
chi si ha per una trasformazione isobara e quindi confrontando la 7.27 con la 7.28 si ricava
che deve essere cP > cV
La 7.25 pu`
o essere scritta in forma differenziale
1 Q
c= (7.29)
n dT
Avremo quindi per una trasformazione isocora
1 Q
cV = (7.30)
n dT V =cost
Abbiamo gi` a visto che `e possibile esprimere landamento delle variabili di stato per le varie
trasformazioni termodinamiche utilizzando lequazione di stato dei gas perfetti 7.8. Espri-
miamo quindi landamento delle variabili di stato per una trasformazione adiabatica, cio`e
per una trasformazione che avviene senza scambio di calore per la quale si ha quindi Q = 0.
Dal primo principio della termodinamica si ricava dU + W = dU + P dV = 0. Tenendo
conto della 7.32 si ha quindi
ncV dT + P dV = 0 (7.33)
dividendo entrambi i membri per ncV T ed utilizzando lequazione dei gas perfetti la 7.33
diviene
dT R dV
= (7.34)
T cV V
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 88
TB VB R
dT TB R dV VA
Z Z
cV
= ln = = ln (7.35)
TA T TA cV VA V VB
Si ricava quindi che per una trasformazione adiabatica di un gas perfetto `e
R
c
T V V = cost (7.36)
e
P V = cost (7.37)
cP
Si `e introdotto il rapporto tra calori specifici definito dalla = , rapporto talvolta
cV
chiamato esponente adiabatico.
Il valore dellesponente adiabatico dipende dalla natura del gas: per un gas monoa-
tomico, come sono i gas rari, vale 1, 67, per i gas biatomici, come lazoto o lossigeno, vale
invece 1, 4
La conduzione
T2 k T1
Nella figura 7.13 sono mostrati due corpi che hanno diverse temperature T1 e T2 > T1 e
sono in contatto termico per mezzo di un cilindro lungo L ed avente sezione S. In condizioni
stazionarie, con T1 e T2 costanti nel tempo e supponendo che non si abbia dispersione di
calore dalle superfici del cilindro si trova sperimentalmente che vale la relazione
T2 T1
Q = kS t (7.44)
L
dove Q `e la quantit` a di calore che passa dal corpo a temperatura T2 a temperatura T1
nellintervallo di tempo t. Le caratteristiche del materiale del cilindro rispetto alla tra-
smissione del calore sono determinate da k che si chiama conducibilt` a termica e si misura
W W W
in . La conducibilt`
a termica dei materiali varia da 417 per largento a 0, 024
mK mK mK
per laria secca. Nei metalli k molto maggiore di quanto non sia negli isolanti: esiste in
effetti un collegamento tra la trasmissione del calore e quella dellelettricit`
a.
La convezione
Nella trasmissione di calore per conduzione non si ha trasporto di materia; nella trasmissione
per convezione il trasporto di calore avviene attraverso il trasporto di materia. Lesempio
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 90
Lirraggiamento
Ogni corpo che non sia alla temperatura dello zero assoluto emette energia sotto forma di
onde elettromagnetiche. Lenergia emessa da un corpo alla temperatura T per unit` a di
a di superficie emettente `e data dalla legge di Stefan9
tempo e unit`
= eT 4 (7.45)
J
dove `e la costante di Stefan e vale 5, 67 108 2 4 ; ed e `e lemissivit`a che vale 1 per
m sK
un corpo nero ed `e minore di 1 per tutti gli altri colori.
Questa modalit` a di trasmissione del calore non necessit`a una massa intermedia, ma
avviene anche attraverso il vuoto: `e il meccanismo con il quale il Sole riscalda la Terra.
A 1 2
1 2
B
Nella figura 7.14 il sistema `e formato da due parti 1 e 2 che non possono scambiare
calore con lesterno; nello stato A del sistema la parte 1 ha temperatura T1 e la parte 2 ha
temperatura T2 essendo T1 > T2 . Si pongono ora le due parti a contatto termico; si permette
cio`e alle due parti di scambiare calore attraverso una parete comune; il sistema effettua allora
una trasformazione spontanea ad un nuovo stato B nel quale le due parti hanno la stessa
9 Joseph Stefan; Klagenfurt, 24.3.1835 - Vienna, 7.1.1893.
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 91
1 R 2
Anche in questo caso la trasformazione spontanea dallo stato B allo stato A non `e mai
stata osservata, per quanto essa sia permessa dal primo principio della termodinamica.
Limpossibilit`a di questi processi `e quanto viene affermato dal secondo principio della
termodinamica, che ha due formulazioni. La prima formulazione `e lenunciato di Kelvin
che afferma come non sia possibile realizzare una trasformazione termodinamica il cui solo
risultato sia di assorbire calore da ununica sorgente e trasformarlo tutto in lavoro. La
seconda `e lenunciato di Clausius10 che afferma come non sia possibile realizzare una
trasformazione termodinamica il cui solo risultato sia il trasferimento di calore da un sistema
a temperatura TA ad un altro a temperatura TB , essendo TB > TA .
Elemento essenziale in queste due formulazioni `e il termine solo.
T1
Q1
MT W
Q2
T2
|Q2 |
=1 (7.46)
Q1
Poich`e per il secondo principio della termodinamica nellenunciato di Kelvin si ha sempre
Q2 6= 0, `e sempre < 1. Questa affermazione esclude a possibilit`a che esistano macchine in
grado di fare il moto perpetuo.
T1
Q1
MF W
Q2
T2
macchina frigorifera assorbe la quantit`a calore Q2 dalla sorgente alla temperatura T2 , riceve
il lavoro W e cede la quantit`a di calore Q1 alla sorgente alla temperatura T1 > T2 . Questo
`e lo schema di funzionamento dei frigorifere e delle pompe di calore
Il ciclo di Carnot
Il ciclo di Carnot12 , rappresentato sinteticamente nella Figura 7.18, `e composta da due
trasformazioni isoterme e due adiabatiche. Tra A e B si unespansione isoterma alla tempe-
ratura T1 cui segue unespansione adiabatica tra B e C, quindi una compressione isoterma
alla temperatura T2 da C a D e quindi una compressione adiabatica da D a A.
Il lavoro compiuto durante lespansione da A a B vale, secondo la 7.18, WAB =
VB
nRT1 ln . Essendo la trasformazione una isoterma `e UAB = 0 e quindi WAB = QAB ;
VA
poich`e VB > VA si ha WAB > 0 e quindi anche QAB > 0. Il sistema fa lavoro ed assorbe
calore.
Durante lespansione adiabatica da B a C `e QBC = 0 ma, secondo la 7.32, UBC =
ncv (T2 T1 ); essendo T2 < T1 si ha UBC < 0: il sistema si raffredda. Essendo WBC =
UBC si che WBC > 0 il sistema fa lavoro.
VD
La compressione isoterma da C a D comporta UCD = 0, WCD = nRT2 ln .
VC
Essendo VD < VC `e anche WCD < 0 e quindi QCD < 0. Il sistema assorbe lavoro e cede
calore alla sorgente fredda.
Il ciclo si chiude con la compressione adiabatica da D a A; si ha QDA = 0, UDA =
ncv (T1 T2 ) e WDA = UDA . La variazione di energia interna `e positiva; il sistema
assorbe lavoro e si riscalda da T2 a T1 .
P
B
T1
D T2
C
V
Il sistema assorbe dalla sorgente calda la quantit`a di calore QAB e cede alla sorgente
fredda la quantit`
a QCD ; il lavoro fatto dal sistema `e W = QAB + QCD ; il rendimento del
12 Nicolas L
eonard Sadi Carnot; Parigi, 1.6.1796 - Parigi, 24.8.1832.
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 94
Il ciclo di Otto
Il ciclo di Otto13 `e quello che sta alla base dei motori a scoppio a quattro tempi ed `e mostrato
nella Figura 7.19; in questo caso il sistema non `e un gas perfetto, ma una miscela di aria
e benzina; la teoria che sviluppiamo qui non `e quindi esatta. Il sistema `e contenuto in un
cilindro il cui volume dipende dalla posizione di un pistone. Il sistema non `e chiuso e pu` o
scambiare massa con lesterno attraverso due valvole
13 Nikolaus August Otto; Holzhausen an Haide, 10.6.1832 - Colonia 26.1.1891.
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 95
D
O
C
V
VD VC
Il rendimento di questo ciclo dipende quindi dal sistema, a differenza di quello che succede
per il ciclo di Carnot. Deve essere r 10 e tenendo conto di una situazione realistica si ha
che = 0, 6.
La definizione di temperatura data precedentemante `e legata alle propriet` a fisiche
di alcune sostanze; `e concettualmente importante poter definire la temperatura in modo
indipendente. Aiuta in tal senso la 7.54: il rapporto tra due temperature `e definito come
rapporto tra le quantit`a di calore scambiato da una macchina termica che esegue un ciclo
di Carnot reversibile.
7.6.4 Lentropia
Per poter definire in modo pi` u rogoroso in quale direzione avviene spontaneamente la tra-
sformazione tra due stati A e B `e necessario individuare unopportuna funzione dei due stati
ed il valore che questa assume durante la trasformazione.
Nella discussione sulle macchine termiche avevamo ottenuto la relazione 7.47 da cui si
ottiene
|QCD | |Q2 | T2
= = (7.61)
|QAB | |Q1 | T1
dove abbiamo introdotto due nuovi simboli: Q1 rappresenta il calore assorbito dal siste-
ma dallo sorgente calda a temperatura T1 e Q2 il calore ceduto alla sorgente fredda alla
temperatura T2 . Tenendo conto che Q2 < 0 la 7.61 permette di scrivere
Q1 Q2
+ =0 (7.62)
T1 T2
La 7.62 vale nel caso del ciclo di Carnot che `e composto da trasformazioni reversibili e la
riscriveremo quindi
Q1,r Q2,r
+ =0 (7.63)
T1 T2
Nella situazione reale in effetti non tutto il calore Q1,r fornito dalla sorgente calda viene
acquisito dal sistema: una parte viene disperso e quindi il calore effettivamente assorbito dal
sistema `e Q1,ir essendo Q1,ir < Q1,r . Un analogo ragionamento pu essere fatto per il calore
ceduto alla sorgente fredda: una parte viene disperso e ed unaltra va in attrito. Anche qui
possiamo scrivere Q2,ir < Q2,r . Quindi per le trasformazioni irreversibili, che sono quelle
che avvengono in natura, si ha che
Q1,ir Q2,ir
+ <0 (7.64)
T1 T2
Le 7.63 e 7.64 possono essere scritte sinteticamente
Q1 Q2
+ 0 (7.65)
T1 T2
dove il segno uguale vale solo per le trasformazioni reversibili.
Consideriamo ora una macchina termica che lavora tra 3 sorgenti come quella illustrato
nella Figura 7.20: supponiamo che T1 > T2 > T3 . Il ciclo rappresentato nella Figura 7.21 nel
piano P V ed `e scomposto in due cicli di Carnot, rispettivamente quello ABCGA che lavora
tra le temperature T1 e T2 , e quello GDEF G che lavora tra T2 e T3 . La trasformazione tra A
e B `e unisoterma alla temperatura T1 ed il sistema assorbe la quantit`
a di calore Q1 , durante
lisoterma tra C e D il sistema assorbe il calore Q2 e durante lisoterma alla temperatura
T3 il sistema cede il calore Q3 .
Anche in questo caso si ha
Q1 Q2 Q3
+ + 0 (7.66)
T1 T2 T3
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 97
T1
W
MT T2
T3
G B
D T1
C
T2
F
E V
T3
dove il segno uguale vale se la trasformazione `e reversibile. In generale per N sorgenti vale
la cosiddetta diseguaglianza di Clausius
N
X Qi
0 (7.67)
i=1
Ti
Una qualsiasi trasformazione ciclica pu` o essere scomposta in tanti cicli di Carnot che scam-
biano calore con sorgenti a temperature tra loro poco diverse al limite con differenze infini-
tesimali; la 7.67 pu`
o allora essere scritta
Q
I
0 (7.68)
T
dove il segno uguale vale se la trasformazione `e reversibile. Consideriamo ora la trasforma-
zione ciclica reversibile di Figura 7.22; si ha
B Z A Z B Z B
Q Q Q Q Q
I Z
= + = =0 (7.69)
T A T B T A T A T
Q
I
La 7.69 significa che lintegrale tra gli stati A e B non dipende dalla trasformazione
T
P
A
TA
S(A) S(B) S
Z B Z S(B)
Dalla definizione di entropia si ha che Q = T dS `e il calore ceduto durante
A S(A)
la trasformazione da A a B ed `e rappresentato dallarea sottostante la linea della trasforma-
zione. Anche in questo caso, per una trasformazione ciclica, la superficie compresa nel ciclo
CAPITOLO 7. TERMODINAMICA 100
S = ncV ln T + nR ln V (7.80)
Il valore del calore scambiato durante questa trasformazione, tenuto conto che si ha dU = 0
`e dato dalla 7.18. Per una trasformazione isobara dallo stato A allo stato B si ha Q =
W + dU = P dV + ncV dT e quindi
Q dV dT
dS = = nR + ncV (7.83)
T V T
da cui si ricava
B
VB
Z
S = dS = ncP ln (7.84)
A VA
Appendice A
I vettori
m
a
v
102
APPENDICE A. I VETTORI 103
Prodotto
` possibile effettuare tra i vettori a, b e c e lo scalare s tre tipi differenti di prodotti. Il
E
primo tipo `e definito dalla
a = sb (A.1)
Il vettore a ha modulo s|b|, la stessa direzione di b e verso concorde con b se s > 0 ed
opposto se s < 0.
Il secondo tipo di prodotto `e quello scalare definito dalla
ab =s (A.2)
ab =c (A.4)
Il risultato `e un vettore c che ha direzione perpendicolare al piano definito dai due vettori
a e b, modulo dato dalla |a||b| sin , dove `e langolo tra i due vettori. Il verso di c `e
quello nel quale avanza un cavaturaccioli che ruota nel verso che porta a su b. Il prodotto
vettoriale non `e commutativo: si ha infatti che a b = b a. Se a b = 0, con a 6= 0 e
b 6= 0, allora i vettori a e b sono paralleli.
I prodotti tripli
Dalle definizioni si ricava che non ha senso loperazione a b c, mentre sono possibili le
operazioni abc e abc che si chiamano prodotti misti ed anche loperazione abc.
Per questultima moltiplicazione, detta prodotto triplo, si ha che
Somma e sottrazione
La somma di due vettori `e definita dalla
a+b=d (A.6)
a b = a + (1b) = d (A.7)
a
k az
i y
j
ax
ay
x
Le operazioni sui vettori sopra indicate possono essere espresse in termini delle loro
componenti cartesiane, utilizzando le A.8; per quanto riguarda la somma si ha
a + b = (ax + bx ) i + (ay + by ) j + (az + bz ) k (A.11)
e per quanto riguarda la differenza si ha
a b = (ax bx ) i + (ay by ) j + (az bz ) k (A.12)
analogamente per quanto riguarda i prodotti si ha
sb = sbx i + sby j + sbz k
a b = ax b x + ay b y + az b z (A.13)
a b = (ay bz az by ) i + (az bx ax bz ) j + (ax by ay bx ) k
Il prodotto vettoriale a b pu`
o anche essere espresso con il determinante
i j k
a b = ax ay az (A.14)
bx by bz
APPENDICE A. I VETTORI 105
La derivata di un vettore
Nella meccanica molte grandezze fondamentali sono vettori, in particolare vettori che di-
pendono dal tempo: si possono quindi esprimere nella forma a = a(t); in molte leggi della
Meccanica appaiono derivate di vettori fatte rispetto al tempo.
a(t)
a = a(t + t) a(t)
a(t + t)
Lintegrazione di un vettore
Supponiamo che nel piano della figura A.4 sia definito il campo vettoriale a(x, y) = ax (x, y) i+
ay (x, y) j; si chiama integrale di linea da A a B lespressione
Z B
I= a(x, y) ds (A.19)
A
APPENDICE A. I VETTORI 106
j
ds B
y
a
A
i
x
Per calcolare la A.20 bisogna conoscere lequazione della traiettoria; bisogna cio`e
conoscere le funzioni x = f (y) e y = f (x)