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Penale Sent. Sez. 3 Num.

15729 Anno 2016


Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: DE MASI ORONZO
Data Udienza: 08/03/2016

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

Sui ricorsi proposti da

CRISCI ANTONINO, nato a Isola delle Femmine (PA) il 16/9/1945


LUCIDO MARIA, nata a Siracusa il 24/1/1949
CRISCI FRANCESCO, nato a Palermo il 12/6/1969
MANNINO MARIA CONCETTA, nata a Palermo il 7/3/1967

avverso la sentenza in data 22/10/2015 della Corte di Appello di Palermo;


visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Stefano Tocci, che ha
concluso per l'inammissibilit dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 9/10/2014, affermava la penale responsabilit di


CRISCI ANTONINO, LUCIDO MARIA, CRISCI FRANCESCO e MANNINO MARIA CONCETTA per i
reati di ci agli artt. 44 lett. c), 64, 65, 71, 72, 93, 94, 95 D.P.R. n. 380 del 2001 e 181 D.L.vo
n. 42 del 2004, per aver realizzato, in qualit di proprietari e la LUCIDO anche di committente,
in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, in difformit al progetto presentato a!
Comune di Trappeto, in assenza di un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato, senza
aver effettuato la prescritta denuncia all'ufficio del genio civile ed aver ottenuto le relative

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autorizzazioni, anche sotto il profilo paesaggistico ambientale, un manufatto abusivo
consistente in una recinzione con muri realizzati con conci di cemento pomice, intervallati da
pilastrini in c.a. poggiati su un muro in c.a. e sormontato da un cordolo in cemento, che in
una parte (lato sud) non costituisce solo recinzione ma parte di una struttura precaria,
quest'ultima realizzata in assenza di concessione e/o autorizzazione edilizia, d circa mq. 670,
con un tetto di lamiera gregata, e condannava, ritenuta la continuazione, la LUCIDO alla pena
di mesi 3 e giorni 15 di arresto ed euro 20.000 di ammenda, e gli altri alla pena di mesi 1 e
giorni 20 di arresto ed euro 17.000 di ammenda ciascuno, pena sospesa per tutti gli imputati.
Avverso tale pronuncia gli stessi proponevano appello e la Corte di Appello di Palermo, in
parziale riforma della gravata sentenza, che confermava nel resto, riduceva la pena inflitta alla
LUCIDO a mesi 1 e giorni 20 di arresto ed euro 17.000 di ammenda.
Tutti gli imputati, tramite difensore fiduciario, propongono ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Con un primo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., in relazione agli artt. 10,
29, 31, 44 lett. c), 64, 65, 71, 72, 93 e 95 D.P.R. n. 380 dei 2001, in merito alla declaratoria
di colpevolezza degli imputati, deducono che la Corte territoriale si limitata a richiamare per
relationem le motivazioni svolte dal giudice di primo grado, senza considerare che essendo
contestato agli imputati il reato di cui all'art. 44 lett. c) D.P.R. n. 380 del 2001 le difformit dal
permesso di costruire che rilevano sono quelle significative qualitativamente e
quantitativamente rispetto alle strutture essenziali dell'opera e che nel caso di specie le opere
realizzate, seppur difformi, avevano gi ottenuto l'accertamento di compatibilit paesaggistica
dalle competenti autorit.
Con un secondo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in relazione agli artt,
125, 192, 530 e 546 comma 1, lett. e), c.p.p., deducono che la Corte territoriale ha fondato la
penale responsabilit degli imputati sulla loro qualit di comproprietari dell'immobile
interessato dai lavori abusivamente realizzati senza considerare che la LUCIDO aveva
dichiarato di essere l'unica committente delle opere, e che l'originaria istanza per la
realizzazione del muro di recinzione e per ottenere la compatibilit paesaggistica nonch !a
sanatoria urbanistica sono state sottoscritte soltanto dalla medesima.

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Con un terzo motivo, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) ed e), c.p.p., in relazione agli
artt. 62 bis, 133 c.p. e 546 comma 1, let. e), c.p.p., deducono che la Corte territoriale ha
negato le attenuanti generiche senza una adeguata motivazione e senza tenere in debita
considerazione la circostanza che la LUCIDO e la MANNINO son incensurate e che i fatti in
contestazione non sono gravi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi vanno dichiarati inammissibili.

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La sentenza della Corte territoriale, la cui motivazione, trattandosi di doppia conforme, si fonde
con quella di primo grado, formando un tutt'uno motivazionale con essa, avendo le due
decisioni utilizzato, quantomeno con riferimento alla declaratoria di penale responsabilit degli
imputati, criteri omogenei e seguito un apparato logico argomentativo uniforme (Sez. 1, n.
8868 del 26/6/200, Rv. 216906, Sez. 4, n. 38824 del 17/9/2008), ha provveduto ad analizzare
con il dovuto rigore critico gli elementi probatori raccolti.
Appare, quindi, evidente che, seppure nel loro articolato sviluppo, le doglianze difensive
ripercorrono, in assenza di apprezzabili elementi di novit, le censure gi espresse nei motivi di
appello, senza nemmeno tener conto delle puntuali argomentazioni espresse dalla Corte
territoriale, mancando dunque qualsiasi argomentata critica difensiva alle conclusioni cui
pervenuta la Corte di Appello di Palermo, ed apparendo, sotto tale aspetto, le censure anche
affette da genericit.
I primi due motivi di doglianza, scrutinabili congiuntamente, sono comunque manifestamente
infondati atteso che la motivazione della sentenza di appello per relationem a quella di primo
grado deve essere ritenuta pienamente ammissibile proprio perch le censure meritali non
contenevano elementi ed argomenti sostanzialmente diversi da quelli gi esaminati e disattesi.
La Corte territoriale ha sottolineato, all'esito di un apprezzamento di fatto sull'importanza delle
opere, in quanto tale non censurabile in questa sede, che la totale difformit delle stesse
rispetto al progetto presentato al Comune di Trappeto discende non tanto dalla divergenza in
altezza del muro di recinzione, che pure significativa, quanto piuttosto dall'ampia struttura
metallica, dotata di tettoia, ed ancorata ad esso, realizzata in difetto di qualsivoglia
provvedimento concessorio o autorizzatorio, manufatto che peraltro difetta del requisito della
precariet che - com' pacifico - va individuato in relazione alla oggettiva ed intrinseca
destinazione dell'opera, essendo necessario che essa soddisfi esigenze temporanee, e non
esclusivamente in relazione alle caratteristiche dei materiali utilizzati per la realizzazione (ex
multis, Sez. 3, n. 22054 del 25/2/2009, Sez. 3, n. 996 del 26/11/2014 , Sez. 3, n. 24898 del
4/4/2003, Rv. 225380).
Quanto al profilo concernente l'affermazione di responsabilit degli imputati, questa Corte ha
gi affermato che l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto
responsabile dell'abuso edilizio pu essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria
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della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla
presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilit giuridica e di fatto
del suolo, dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o
affinit tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo "in loco" e dallo svolgimento di
attivit di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez.3, n.
52040 del 11/11/2014, Rv. 261522).
Ed allora, se vero che la LUCIDO, conduttrice del fondo, ha dichiarato di essere l'unica
committente delle opere in questione, altrettanto vero che la prova della colpevolezza degli
altri tre imputati non riposa soltanto sulla loro qualit di comproprietari, avendo la Corte

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territoriale precisato che l'accertamento di compatibilit paesaggistica e l'istanza per ottenere
la concessione in sanatoria sono stati sottoscritti da CRISCI ANTONINO e CRISCI FRANCESCO
e che, come si ricava dalla denuncia di inizio lavori presentata all'Ufficio del Genio Civile di
Palermo, il progettista e direttore dei lavori venne originariamente indicato in CRISCI
FRANCESCO, a dimostrazione del fatto che tutti erano direttamente interessati all'esecuzione
delle opere, compresa MANNINO MARIA CONCETTA, coniuge di CRISCI FRANCESCO e titolare
di interessi comuni con quelli del marito, rispetto ad una edificazione su terreno di comune
propriet che assumeva rilevanza evidentemente familiare.
La sentenza impugnata dunque esente dai vizi denunciati in quanto dotata di una
motivazione compiuta e logica, del tutto conforme ai principi giuridici e giurisprudenziali in
precedenza enunciati.
Manifestamente infondato anche il terzo motivo di doglianza, avendo la Corte territoriale
sufficientemente giustificato il diniego delle attenuati generiche rilevando l' assenza di
"elementi favorevoli agli imputati ... non potendo ritenersi sufficiente, in forza del novellato art.
62 bis c.p., il mero stato di incensuratezza di LUCIDO MARIA e MANNINO MARIA CONCETTA e
nel contempo evidenziando che la pena base stata determinata "in misura di poco superiore
rispetto al minimo edittale, con un aumento minimo per effetto della disciplina della
continuazione", e che quindi il trattamento sanzionatorio applicato "non pu subire ulteriori
riduzioni"
Nella specie, l'obbligo di motivazione oggetto di doglianza da ritenersi assolto mediante il
richiamo, in positivo, agli elementi di cui all'art. 133 c.p. ritenuti significativi, che com' noto
sono indicati dalla pacifica giurisprudenza di questa Corte come parametri cui il giudice deve
attenersi nel concedere o negare le circostanze attenuati di cui all'art. 62 bis c.p., e, in
negativo, alla mancanza di elementi ulteriori per mitigare la pena, elementi che neppure la
difesa dei ricorrenti ha saputo indicare, cos palesando la sostanziale genericit della censura.
Ai sensi dell'art. 616 c. p. p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso,
l'imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del
procedimento, nonch - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilit (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000) - al pagamento a favore della Cassa

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delle ammende della somma di mille euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e


della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Cos deciso in Roma, l' 8 marzo 2016.

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