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UNIVERSITA DEGLI STUDI DI PERUGIA

Dipartimento di Medicina

Corso di laurea in Infermieristica-sede Foligno

TESI DI LAUREA

NURSING E RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE

CARDIOPATICO: IL RUOLO PSICO-RELAZIONALE

DELLINFERMIERE ALLA LUCE DELLA RELAZIONE

MENTE-CORPO

LAUREANDO RELATORE

DESIREE ANDREOLI PATRIZIA MORETTI

Anno accademico 2015-2016


INDICE

INTRODUZIONE......................................................................................... 1

PARTE 1: LA PSICOSOMATICA ............................................................... 5

Capitolo 1: Definizione del termine psicosomatica ............................................................. 5

Capitolo 2: Storia della relazione mente-corpo ................................................................... 8

PARTE 2: I FONDAMENTI SCIENTIFICI DELLA RELAZIONE MENTE-

CORPO: LA PNEI..................................................................................... 20

Capitolo 1: Psiconeuroendocrinoimmunologia della psiche (PNEI) ................................. 20

Capitolo 2: Le emozioni come collegamento psiche-soma............................................... 25

2.1 Definizione e classificazione psicologica delle emozioni ........................................ 25

2.2 Teorie fisiologiche delle emozioni ........................................................................... 27

2.3 Basi neurologiche delle emozioni ........................................................................... 31

Capitolo 3: Comunicazione PNEI...................................................................................... 39

3.1 Dal sistema nervoso allimmunit ........................................................................... 39

3.2 Dagli ormoni allimmunit ........................................................................................ 40

3.3 Dagli ormoni al cervello........................................................................................... 44

3.4 Dallimmunit al sistema nervoso ........................................................................... 46

3.5 Salute come equilibrio dei sistemi corporei............................................................. 48

PARTE 3: PSICOCARDIOLOGIA: I FATTORI PSICOLOGICI DI

RISCHIO DELLA MALATTIA CARDIACA ............................................... 50

Capitolo 1: Psicofisiologia della malattia cardiaca ............................................................ 50


Capitolo 2: I fattori psicologici di rischio della malattia cardiaca ....................................... 55

2.1 Lischemia miocardica da stress mentale ............................................................... 55

2.2 Cardiopatia coronarica e depressione .................................................................... 59

2.3 Ansia e malattia cardiaca ........................................................................................ 64

2.4 Personalit e malattia cardiaca ............................................................................... 69

PARTE 4: IL POTERE DEI FATTORI PSICO-EMOTIVI NELLA

RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE CARDIOPATICO E LA PRESA IN

CARICO PSICOSOMATICA DA PARTE DELLINFERMIERE ............. 80

Capitolo 1: La riabilitazione cardiovascolare..................................................................... 80

Capitolo 2: Linfermiere nel PRI: la presa in carico psicosomatica dellassistito ............ 87

2.1 Laccertamento mirato psico-emotivo del paziente cardiopatico ............................ 91

2.2 La formulazione delle diagnosi infermieristiche .................................................... 115

2.3 La pianificazione dei risultati ................................................................................. 121

2.4 La pianificazione e gestione degli interventi ......................................................... 123

2.4.1 La relazione daiuto ........................................................................................ 123

2.4.2 La riduzione dellansia.................................................................................... 144

2.4.3 La gestione dellumore nel cardiopatico depresso......................................... 145

2.4.4 Il recupero della speranza nel cardiopatico con pattern di tipo D .................. 146

2.4.5 Il miglioramento del coping nel cardiopatico con pattern di tipo A e/o stress 147

2.4.6 Il rilassamento muscolare progressivo per il miglioramento delladattamento

emotivo del cardiopatico ......................................................................................... 148

2.4.7 Il potere delle emozioni positive nello stress menagement ........................... 150

2.5 La valutazione dei risultati infermieristici............................................................... 160

CONCLUSIONE ..................................................................................... 162

BIBLIOGRAFIA ...................................................................................... 164


INTRODUZIONE

Se cerchiamo di isolare un fatto singolo,

ci accorgiamo che di solito agganciato

a tutte le altre cose delluniverso

(J Miur,1995)

Perch questo uomo? Perch questa malattia? Perch in questo

momento?

La risposta non scritta in un referto laboratoristico, n in uno

strumentale. Nessun protocollo ospedaliero probabilmente ci indicher

come arrivare alla soluzione. Non siamo certamente obbligati a dare una

risposta a queste domande. Ma nel momento in cui scegliamo di non

interessarci al terreno fertile su cui una malattia affonda le radici,

intendendo con terreno fertile soprattutto le variabili psico-emotive che si

legano a genesi e decorso di malattia, stiamo anche scegliendo di non

prenderci realmente cura della persona nella sua globalit. Se a un

arbusto malato ci limitiamo a togliere le foglie non sane senza curare

contemporaneamente la pianta dal profondo, dalle radici e dalla terra nella

quale queste affondano, non possiamo pensare di avere come risultato

una pianta vigorosa.

1
Le malattie cardiocircolatorie sono a oggi la piaga del secolo,

rappresentando in Occidente ancora la prima causa di morte. I fattori di

rischio classici predicono solo il 50% dei nuovi casi di malattia e questo ci

deve condurre a ricercare altre variabili di rischio. Interrogarsi e indagare

sul come variabili psico-emotive disfunzionali possano diventare un fattore

di rischio tanto per la genesi, quanto per il decorso della malattia, significa

poter sviluppare percorsi dassistenza innovativi, come risposta al bisogno

psico-emotivo del malato.

Agire secondo questa prospettiva significa prendersi cura dellassistito

avendo in mente i principi della psicosomatica e sapendoli applicare alle

malattie cardiocircolatorie.

Questo progetto di tesi nasce a Settembre del 2015 durante il tirocinio pi

formativo per ci che, a oggi come futura infermiera, sono. Lopportunit di

venire a contatto con pazienti affetti da pi patologie, ma che

frequentemente tendevano a ripresentarsi mi ha permesso di costatare

come pazienti con uno stesso disturbo presentassero delle analogie nella

sfera psico-emotiva. Da queste osservazioni nato il proposito di indagare

i possibili legami tra psiche e malattia cardiovascolare; e infine individuare

il ruolo psico-relazionale dellinfermiere allinterno del percorso di

riabilitazione cardiovascolare.

Coerentemente con tale obiettivo, la prima delle quattro parti della tesi

dedicata alla Psicosomatica. Il legame tra processo emotivo e patologia

somatica rappresenta, infatti, lassunto iniziale da cui si sviluppa lintera

2
trattazione. In particolare lobiettivo di questa prima parte ripercorrere,

mediante un excursus storico, levoluzione teorica che il rapporto tra

psichico e somatico ha compiuto.

La seconda parte, I fondamenti scientifici della relazione mente-corpo, si

propone di dimostrare come il salto dallo psichico al somatico non sia pi

un salto mortale. Per farlo si parte dallo studio della neurobiologia delle

emozioni, per poi indagare come il livello psichico influenza e sia

influenzato da tutti i sistemi di regolazione corporea mediante le vie del

sistema dello stress e del SNC e SNP.

Studiate le interrelazioni tra processo emotivo e interfaccia corporeo, la

terza parte mira ad analizzare come le conoscenze psico-neuro-

endocrino-immunologiche apprese possano essere applicate alla

specificit della malattia cardiocircolatoria. Nello specifico viene studiata la

relazione tra la genesi della malattia cardiaca e alcuni fattori psicologici di

rischio come lo stress, la depressione, lansia e specifici profili di

personalit.

Nella quarta e ultima parte della tesi, le variabili psico-emotive di rischio

fanno il loro ingresso nel contesto di cura, legandosi con il decorso di

malattia e con lesito del percorso riabilitativo. Appurato il ruolo dei fattori

psichici anche nella fase di guarigione, importante che il PRI costituisca

una risposta al malfunzionamento della persona in toto. A tale proposito

sarebbe pi corretto parlare di riabilitazione del paziente cardiopatico

piuttosto che di riabilitazione cardiologica.

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Nonostante la psiche abbia una forte influenza nella patogenesi del

disturbo cardiaco e la condizione di malattia comporti a sua volta forti

ricadute sulla sfera emotiva, raramente i pazienti ricoverati nei reparti

cardiologici mostrano una richiesta di aiuto psicologico. Di conseguenza

linfermiere, in virt della vicinanza e della fiducia che riesce a stabilire con

il paziente, grazie alla continuit assistenziale della quale il perno, il

professionista maggiormente scelto dal paziente per condividere il proprio

vissuto di malattia. In questottica, linfermiere, investito dal paziente

stesso della propria presa in carico psico-affettiva, colui che per primo

dovrebbe comprendere come un problema clinico origini, non in un

organo, ma in un essere umano. E forte di questa consapevolezza,

mediante le diverse tappe del processo assistenziale infermieristico,

individuare i bisogni psico-relazionali del paziente e darvi una risposta. A

tale proposito, il secondo capitolo della quarta parte della trattazione vuole

essere un tentativo originale di applicazione del processo di nursing alla

presa in carico psicosomatica del cardiopatico, all interno del percorso di

riabilitazione cardiovascolare.

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PARTE 1. LA PSICOSOMATICA

Capitolo 1. DEFINIZIONE DEL TERMINE PSICOSOMATICA

La psicosomatica uno dei campi di applicazione della psicologia clinica,

questultima intesa come un settore della psicologia i cui obiettivi sono la

spiegazione, la comprensione, linterpretazione e la riorganizzazione dei

processi mentali disfunzionali o patologici, individuali o interpersonali,

unitamente ai loro correlati comportamentali e psicobiologici (Collegio dei

professori e ricercatori di Psicologia Clinica delle Universit italiane, 2003).

Il vocabolo psicosomatica, viene coniato nel 1818 da Heinroth, il quale

arriv a pensare che lanima fosse in grado di condizionare il corpo e i

suoi equilibri. Di conseguenza le psicopatologie si configuravano essere la

manifestazione di un conflitto latente di natura spirituale. Il medico tedesco

si adoper affinch fosse valorizzato un nuovo approccio, non solo

organicistico, nella pratica medica.

Il termine stato poi ripresentato in modo pi accurato nel 1824 da

Friedrich Gross, il quale sosteneva che le malattie non erano altro che

lespressione corporea di emozioni negative e passioni.

Lidea di Gross stata in seguito ampliata da Maudsley il quale sosteneva

che se lemozione non scaricata allesterno con lattivit fisica o con

unidonea azione mentale, agir sugli organi interni alterandone le

funzioni (Mausdley, 1876).

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Da queste prime definizioni della psicosomatica, si pu delineare la

malattia psicosomatica come un insieme complesso di patologie situate

tra lo psichico e il corporeo, con una sintomatologia organica di cui si pu

percepire lorigine psicologica. Alla base di questo disturbo c il processo

di somatizzazione inteso come il meccanismo trasformativo che da

determinati contenuti psichici, realizza un cambiamento a livello somatico

mediante il coinvolgimento di diversi sistemi corporei (nervoso,

immunitario, endocrino).

La medicina psicosomatica pu essere quindi considerata come la

medicina stessa poich prende in considerazione lessere umano come

insieme indissolubile di psiche e soma.

Lorientamento scientifico attuale non riconosce la sussistenza di una

divisione tra medicine psicosomatiche e non psicosomatiche poich

ogni disturbo pu essere potenzialmente psicosomatico, ovvero pu

risentire pi o meno intensamente dei fattori emozionali. Tuttavia perch

una malattia possa essere definita psicosomatica il nesso tra il processo

emotivo e la patologia somatica deve essere dimostrabile.

Nella pratica clinica, piuttosto che domandarsi se una malattia sia

psicosomatica o meno, importante valutare se e in quale entit i fattori

emozionali influenzano la genesi, il decorso (che pu essere precipitato o

rallentato) e la terapia di unaffezione. Ecco allora che il giusto approccio

clinico-assistenziale quello che tiene in considerazione non solo la

Disease (la patologia scientificamente intesa) ma anche e soprattutto l

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Illness ovvero il vissuto di malattia, in cui si intrecciano la storia

personale, lo stato danimo o la presenza di situazioni che possono aver

modificato lequilibrio fisiologico; poich come affermava Pasteur in una

celebre frase le germe n rien, c le terrain qui est tout (il microbo non

nulla, il terreno di coltura che tutto).

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Capitolo 2. STORIA DELLA RELAZIONE MENTE CORPO

Lunit mente-corpo ha sempre caratterizzato limpostazione delle

medicine orientali e della stessa medicina occidentale fino al 1600, epoca

in cui si impose il dualismo cartesiano. In questo senso aveva ragione

English (1952) quando definiva il termine psicosomatica come una parola

relativamente nuova per designare un rudimento della pratica clinica

antico come la medicina stessa.

Gi Platone riconosceva la necessit di un metodo psicosomatico, quando

nel Carmide scriveva: Non bisogna cercare d guarire gli occhi senza la

testa n la testa senza il corpo, allo stesso modo il corpo senza l'anima,

ma questa sarebbe anche la causa del fatto che molte malattie sfuggono

ai medici greci, perch trascurano il tutto, di cui bisognerebbe aver cura; e

se il tutto non sta bene, impossibile che la parte stia bene () infatti

dall'anima muove ogni cosa, sia i beni sia i mali, al corpo e

all'uomo intero, e da qui fluiscono come dalla testa agli occhi:

bisogna dunque curare l'anima in primo luogo e in massimo grado,

se vuoi che anche le condizioni della testa e del resto del corpo siano

buone.

Lunit psicobiologica del paziente sostenuta anche da Ippocrate nel 6

secolo a.C. quando in Sugli umori afferma che le emozioni possono

alterare gli equilibri fisiologici del corpo e indurre patologie poich gli

organi ubbidiscono ai sentimenti, e ancora nei Pronostici una buona

disposizione spirituale garantisce la bont della prognosi. Mentre nel

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Trattato sulle Epidemie sostiene che se lanima si abbraccia alla malattia,

essa consuma il corpo. Si pu quindi affermare che la dottrina

ippocratica, con il suo approccio olistico cui si aggiunge lidea della

corrispondenza tra costituzione umorale, personalit e malattia, percorra

gli assunti fondamentali della psicosomatica. Secondo il padre della

medicina luomo costituito da quattro fluidi principali, da lui chiamati

umori: il sangue, la bile gialla, la bile nera e il flemma. La salute si realizza

in quelle situazioni di equilibrio degli umori; al contrario, la malattia deriva

dalla rottura di questo equilibrio. Il prevalere nel singolo individuo di uno

dei quattro umori da luogo al suo temperamento. Dalla prevalenza del

sangue origina il carattere sanguigno o collerico; la preponderanza della

bile gialla alla personalit biliosa, la preminenza della bile nera conduce al

temperamento malinconico, la prevalenza della flemma (fluido che

originava dal cervello) si associa infine alla personalit flemmatica. Dato

questo stretto legame tra personalit e fisicit, Ippocrate associa certi tratti

del temperamento a relativi gruppi di malattie. La correlazione tra malattia

e profilo emotivo posta in evidenza anche da Galeno nel 2 secolo d.C.,

il quale rileva una maggiore incidenza di tumori in donne affette da

malanconia rispetto a quelle sanguigne. Da questosservazione, Galeno fa

nascere la sua Teoria della specificit secondo la quale temperamenti

specifici sono correlati a specifiche predisposizioni per certe malattie.

Nel 17 secolo d.C. Cartesio, con la teoria della contrapposizione tra

anima e corpo, rompe la tradizionale visione delluomo come unit

psicobiologica. Il filosofo, pur teorizzando una profonda diversit tra la

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mente Res cogitans e il corpo Res extensa, disapprova la concezione

Platonica del corpo come luogo che ospita lanima. Ren Descartes

(Cartesio) riconosce infatti un profondo legame tra mente e corpo che

emerge in alcuni suoi celebri passi delle Meditazioni metafisiche: La

natura mi insegna () che io non sono solamente alloggiato nel mio

corpo, come un pilota nel suo battello, ma che gli sono strettissimamente

congiunto, e talmente confuso e mescolato da comporre come un sol

tutto, e ancora: poich, se ci non fosse, quando il mio corpo ferito,

non sentirei dolore, io che sono soltanto una cosa pensante, ma percepirei

questa ferita per mezzo del solo intelletto, come un pilota percepisce con

la vista se qualcosa si rompe nel suo vascello. Insistendo sulla reciproca

influenza di mente e corpo, soprattutto nel suo ultimo lavoro Le passioni

dellanima, Cartesio permise il contatto tra due mondi fino allora disgiunti:

quello fisico-inorganico e quello vivente-organico; nello scritto emerge,

infatti, lintenzione di un primo tentativo di studio scientifico del corpo, delle

sue relazioni con il cervello e del ruolo delle emozioni.

Del ruolo delle emozioni e quindi della relazione mente-corpo sinteresser

anche Charles Darwin che in Lespressione delle emozioni nelluomo e

negli animali afferma che la mente un autorevole strumento della

fisiologia del corpo. In particolare sostiene che le forti emozioni

influenzano le secrezioni di organi e che larrossimento del volto causato

da unalterazione della scarica nervosa e della circolazione locale

determinata da unattenzione, concentrata su quella regione, che

effettivamente apporta delle modifiche biologiche. Inoltre il biologista, nel

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capitolo sulla paura, fornisce la prima descrizione accurata degli effetti

dello stress sullorganismo: la superficie cutanea pi fredda, i peli si

rizzano, e fremono i muscoli superficiali. Si turba la circolazione, e la

respirazione precipita; le glandole salivari agiscono imperfettamente, la

bocca sinaridisce. Questi, secondo linterpretazione del pensiero

Darwiniano condotta da Bottaccioli (2005), sono tutti fenomeni che

possiamo tranquillamente ricondurre allalterazione o allinterruzione di

energia nervosa dal sistema cerebro-spinale alle varie parti del corpo,

come conseguenza del fatto che la mente stata colpita tanto

profondamente (dalla paura) .

Il problema psicosomatico anche il nucleo originario da cui si

sviluppato il modello psicoanalitico (Canali, 2003). In particolare Freud,

affrontando il problema della sintomatologia organica dellisteria, distingue

nel sintomo un aspetto psicologico (che considera suo campo di studio) e

uno organico (che non pu affrontare). Il tema della natura psicologica

della sintomatologia isterica era gi stato affrontato dal medico francese

Charcot, il quale dimostrava di essere in grado di rimuovere con lipnosi la

paralisi, le contrazioni e lanestesia tipici del disturbo isterico. Da queste

evidenze Charcot ipotizza che la paralisi sia il prodotto di unidea, poich

unidea opposta sufficiente per farla sparire. Da una riflessione su tali

fenomeni Freud (1894) elabora il concetto di conversione. Il disturbo di

conversione, caratteristico dei pazienti isterici, pu essere inteso come

unalterazione o perdita di una funzione, che pur suggerendo un disturbo

fisico, invece lespressione di un conflitto o di un bisogno psicologico.

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Quando un contenuto di natura psichica inammissibile alla morale (lIO

Freudiano), questo rimosso dalla coscienza mediante la repressione e

trasformato in un disturbo senso-motorio che manifesta a livello somatico il

contenuto inaccettabile, risolvendo cos almeno in parte loriginario

conflitto psicologico. Il disturbo psicosomatico dunque lesito organico di

questo conflitto tra pulsione e repressione. Nel fenomeno della

conversione stava il problema del salto dallo psichico al somatico

(Canali, 2003) che tuttavia Freud non riusc mai a spiegare.

Lapproccio psicoanalitico fu poi accolto anche dallo psichiatra e filosofo

tedesco Georg Groddeck (1866-1934). Il passo avanti compiuto da

Groddeck, convinto sostenitore della potenza dellinconscio sul soma,

quello di riconoscere che ogni processo patologico, e non solo listeria,

pu essere inteso come un processo difensivo in cui il malato si rifugia. In

particolare lEs, termine da lui coniato, visto come il motore

dellespressione fisiopatologica dei disturbi.

Negli anni il movimento psicoanalitico sub un progressivo inaridimento

poich lidea stessa del disturbo psicosomatico come simbolo di un

conflitto psichico, poneva una serie di problemi difficilmente spiegabili.

Come si realizza il salto tra lo psichico e il somatico? Che cosa determina

lorgano che sar colpito dal disturbo psicosomatico? (Canali, 2003)

Quanto queste domande fossero problematiche fu compreso da Helen

Flanders Dunbar e Franz Gabriel Alexander, il cui passo in avanti, per lo

sviluppo della psicosomatica, fu superare lidea che il disturbo

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psicosomatico potesse avere una funzione simbolica. Dunbar e Alexander

scavalcarono inoltre il maggior limite della teoria psicoanalitica, ovvero il

credere di poter spiegare, con la teoria della nevrosi, alcune malattie

fisiche passando indifferentemente dal fisiologico allo psicologico e

viceversa. Entrambi i teorici sostenevano che la malattia psicosomatica

derivasse da uniperattivazione cronica del sistema neurovegetativo (orto-

o parasimpatico secondo le conoscenze dellepoca) causata da emozioni

inadeguatamente espresse o inappropriate alla situazione.

Se il nostro temperamento o la realt che ci circonda non ci permettono di

eliminare la causa della reazione emotiva, allora lattivazione fisiologica

connessa a tale reazione mantenuta, non si scarica e di conseguenza

cronicizza causando alterazioni organiche. E da questa visione della

psicosomatica che inizia a farsi avanti lidea, denominata poi Dottrina

della specificit di una corrispondenza tra reazioni emotive e sintomi

psicosomatici. Reazioni emotive diverse condurrebbero quindi ad

alterazioni patologiche diverse. Questa causalit fattore psichico-malattia,

messa in luce della psicosomatica, riprendeva lo schema causale germe-

malattia proprio della medicina scientifica. Lobiettivo era infatti quello di

applicare il modello biomedico in voga nel periodo al campo delle teorie

psicoanalitiche, al fine di fornire delle spiegazioni razionali allevidente

relazione mente-corpo. Tuttavia questo approccio port ad uneccessiva

semplificazione del processo psicosomatico, la cui interpretazione si and

a ridurre ad unarida monocasualit. Tutto questo era in contrasto con i

principi ispiratori del modello psicosomatico, da sempre centrato sulla

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dimensione multifattoriale dei disturbi, sulla visione olistica dellindividuo, e

sul ruolo della persona nellevoluzione dello stato di malattia. La dottrina

della specificit assume tuttavia una connotazione differente nei due padri

della psicosomatica.

Per la Dunbar (1947) la specificit del nesso causale si realizza tra

malattia e profili di personalit: Specificit personologica. La teorica

sosteneva, infatti, la presenza di un clich caratteriale per ogni malattia

psicosomatica, con un chiaro riferimento alla dottrina ippocratica dei

quattro umori. La psicomatosi si configurerebbe quindi come una

predisposizione che ha la possibilit di trasformarsi in malattia. La Dunbar

dimostr il suo pensiero empiricamente con numerosi test da cui ne trasse

una serie di profili caratteriologici ritenuti costanti in soggetti affetti da una

stessa patologia.

Tuttavia la sua teoria fu contestata sia dagli esponenti della psicoanalisi

sia dai sostenitori dellapproccio psicofisiologico. I primi accusavano la

Dunbar di un approccio eccessivamente semplicistico, che tralasciava

lanalisi dellinconscio, dal quale, secondo il movimento freudiano, hanno

origine le azioni umane. I secondi invece criticavano la teorica per non

aver analizzato dal punto di vista fisiopatologico il salto tra la personalit e

la comparsa-mantenimento della malattia psicosomatica. Nonostante le

cospicue critiche, le idee della Dunbar ebbero una grande diffusione e

permisero notevoli passi aventi per la teoria psicosomatica.

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Tra i critici della teoria della Dunbar pu essere citato anche lo stesso

Alexander (1891-1964) che considerava la specificit personologica

totalmente vaga. Una corrispondenza tangibile era invece presente per il

teorico tra emozioni e funzioni vegetative. Cannon and Hess avevano

infatti dimostrato sperimentalmente la presenza di due classi di emozioni,

connesse a due tipi di attivit vegetativa: lattivazione del sistema nervoso

simpatico in condizioni di emergenza con la preparazione alla lotta e alla

fuga e lattivazione del parasimpatico in condizioni di piacere ed

accondiscendenza. (Canali, 2003) La malattia psicosomatica o nevrosi

vegetativa sarebbe la risultante della cronicizzazione di una di queste due

classi emotive a causa di un conflitto psichico che impedisce di scaricare

le emozioni. Andando pi nello specifico i disturbi connessi con le

emozioni legate a lotta-fuga sarebbero il risultato di inibizioni o di

repressioni di impulsi ostili e di autoaffermazione. Liperattivazione del

simpatico legata allinibizione della lotta-fuga si ripercuote poi su un

organo con una fragilit costituzionale o acquisita. Seguendo questo

approccio, lipertensione essenziale connessa ad un aumento pressorio

legato ad un cattivo rapporto con la propria aggressivit; infatti rifacendosi

agli studi di Selye sulla sindrome dadattamento, Alexander (1951)

sostiene che liperteso si trova costantemente in una situazione di

preparazione fisica allazione aggressiva senza per riuscire a scaricare

tale carica adrenergica accumulata. Liperteso va quindi visto come un

soggetto che reprime molto, e questo il suo tratto nevrotico, ma anche

come una persona che ha una forte spinta energetica, che forse

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eccessiva rispetto alla sua capacit di mettersi in gioco. Da questo

disequilibrio nasce laumento della pressione. Il blocco dellaggressivit,

connessa allautoaffermazione, causerebbe, infatti, una stimolazione

cronica del sistema simpatico, mantenendo il sistema arterioso

costantemente in tensione.

Dallaltra parte le patologie connesse alliperattivazione del parasimpatico

sarebbero legate al recesso dallazione, alla mancanza della volont di

adattamento. Tra queste patologie troviamo lulcera, lasma e

laffaticamento cronico. Secondo Alexander (1951) infatti, un soggetto

insicuro, passivo in grado di sviluppare delle risposte viscerali assurde,

come lipersecrezione gastrica, proprie di situazioni di sicurezza, finendo

per incorrere nel tempo in unulcera. In acuto i sintomi lamentati dal

paziente e riconducibili a una nevrosi neurovegetativa possono non

essere documentabili con gli esami di routine, ma turbe funzionali di lunga

durata possono causare alterazioni organiche anatomicamente

dimostrabili, ed qui che possiamo parlare di malattia psicosomatica. Un

esempio ravvisabile nelliperattivit cardiaca che nel tempo pu condurre

a unipertrofia del muscolo.

Tuttavia perch la malattia si manifesti necessaria per Alexander una

vulnerabilit dorgano e una situazione esterna scatenante; per potersi

sviluppare la malattia deve aver trovato un terreno fertile in cui affondare

le proprie radici (Dahlke, 1990). Rispetto alla Dunbar il teorico compie

dunque un passo in avanti, abbracciando una concezione multifattoriale

della malattia psicosomatica, che rende il suo pensiero estremamente

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attuale e applicabile alla realt delle malattie cardiovascolari. Tuttavia

questa sua concezione lo pone in contrasto con lidea dominante della

specificit dei conflitti per i disturbi psicosomatici. In questo senso il

pensiero di Alexander finisce per essere in disaccordo con lidentit della

medicina psicosomatica, questultima fondata sullidea dellesistenza di

disturbi prodotti da cause psicologiche.

Contemporaneo alla Dunbar e ad Alexander, Harold Wolff tent di inserire

il concetto di specificit in un pensiero nuovo rispetto alla tradizione,

rifiutando fin dal principio lidea di una casualit lineare emozioni-malattie.

Secondo la teoria della specificit della risposta elaborata dallo

psichiatra americano (1950), le malattie psicosomatiche sono leffetto di un

fallito adattamento a eventi stressanti o fattori patogeni. Ogni individuo

presenta una specifica ed ereditariamente determinata risposta allo stress,

che pu essere pi o meno funzionale alle differenti situazioni.

Unaltra teoria della specificit della risposta teorizzata anche da Lacey,

Bateman e Van Lehn i quali notano che di fronte ad uno stesso stimolo

stressogeno, pazienti diversi possono manifestare quadri diversi di

attivazione fisiologica e perci potenzialmente sviluppare a lungo termine

patologie differenti.

Ulteriore modello etiopatogenetico della medicina psicosomatica il

Giving-up given-up complex elaborato nel 1967 da Schmale e Engel. Il

modello descrive la condizione della persona che in seguito ad un grave

evento stressante (una grave perdita ad esempio), si sente incapace di

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ogni controllo su di s o sullambiente, sperimentando una condizione in

cui oscilla tra la disperazione credendo che tutto sia ormai inutile

(hopelessness) e il sentimento di abbandono. Questo Giving-up given up

complex pu condurre a tre possibili esiti. Nella prima possibilit si

realizza un cambiamento nella persona o nellambiente che consentono

allindividuo di superare levento stressogeno e riappropriarsi del suo

equilibrio. Nel secondo e nel terzo caso lo stimolo esterno conduce a

modificazioni fisiopatologiche e il soggetto sviluppa una patologia

psichiatrica o somatica. Questo modello teorico rilevante per

comprendere come un grave evento stressante (come un lutto) costituisca

un fattore di rischio per la salute della persona, poich alterandone

lequilibrio psichico, ne esalta la vulnerabilit ad ammalarsi.

Una visione nuova della psicosomatica viene data nel 1972 da Levi che

con il suo Modello psicosociale ampia la prospettiva dei disturbi

psicosomatici, legandoli non pi solo alle emozioni ma anche alla realt

psicosociale in cui il paziente si trova. Levi afferma che gli stimoli

psicosociali incidono sul complesso psicobiologico dellindividuo e di

conseguenza possono causare dei precursori di malattia che nel tempo

portano alla malattia somatica. Ci che permette il passaggio dallo

stimolo ambientale allalterazione fisiopatologica sono le alterazioni a

carico di organi e funzioni indotte dallo stress. I fattori sociali vanno a

essere cos importanti che secondo lo stesso Kleinman, la malattia

psicosomatica dovrebbe chiamarsi sociosomatica. Questa considerazione

apre le porte alla branca delle managers disease (malattie professionali)

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legate alle alterazioni cardiocircolatorie, metaboliche ed endocrine lavoro-

relate.

Un tentativo di sintesi tra i vari modelli fornito da Pancheri nel 1980. Con

il suo Modello psicosomatico il celebre psichiatra sostiene che ogni

stimolo, sia esso sociale e/o individuale induce delle modificazioni

psicologiche e biologiche che hanno esito in una patologia mentale o

somatica. La transizione dallo stimolo alla patologia si realizza passando

per cinque fasi: 1) imprinting nella memoria emozionale a livello limbico-

ipotalamico, 2) strutturazione di una personale risposta somatica o

comportamentale allo stress, 3) riattivazione emozionale in presenza di

nuovi stimoli, 4) precursori di malattia (disfunzione), 5) malattia

psicosomatica. Limportanza di questo modello sta nella sua completezza

poich riesce a coprire i vari livelli di analisi della psicosomatosi (livello

psicosociale, psicologico, biologico, clinico), mostrando di conseguenza

una possibilit di intervento in varie fasi delliter di malattia, dalla

prevenzione alla terapia.

19
PARTE 2. I FONDAMENTI SCIENTIFICI DELLA

RELAZIONE MENTECORPO: LA PNEI

La spiegazione del fenomeno psicosomatico tuttora cos complessa da

aver portato alla nascita tra il 1970 e il 1980 di una nuova branca della

scienza medica definita psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI). Con

questacronimo si intende una disciplina che integra le competenze della

psicologia medica, della medicina psicosomatica, della

neurofisiopatologia, dellendocrinologia e dellimmunologia, dimostrando

che, come sottolinea Francesco Bottaccioli (2005), il salto dallo psichico

al somatico non pi un salto mortale.

Capitolo 1. PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA

DELLA PSICHE

Lapproccio PNEI nello studio della psiche consente di rintracciare e

sviluppare le solide radici biologiche della psiche e di dimostrare

oggettivamente le relazioni con il livello organico. Questo rappresenta una

novit se si pensa alla psicologia di Watson che rifiutava espressamente

lindagine della coscienza, identificando il cervello come una scatola

nera. Lo psicologo comportamentista sostiene, infatti, che quello che

accade nella nostra mente non si pu sapere e non ci interessa; tutto

quello che sappiamo che a uno stimolo corrisponde un comportamento,

ed su questo che la psicologia deve concentrarsi, non sulla scatola nera

(Watson, 1980).

20
Il punto di partenza per lanalisi psico-neuro-endocrino-immunologica della

psiche lassunto che lattivit della mente emerga dal cervello,

poggiando su fondamenti neuronali. Questa relazione tra cervello e mente

classicamente di difficile accettazione a causa dellassunto che unentit

immateriale (la psiche) non possa provenire da un substrato materiale (il

soma). Secondo il filone filosofico che da Aristotele arriver poi fino a

Cartesio la causa di un fenomeno deve contenere almeno tanta realt

quanta ce n nel suo effetto, in altre parole lesito deve possedere

almeno qualche caratteristica della causa da cui ha tratto origine. Lo

stesso Cartesio riconoscer poi i limiti di questa teoria quando nella quarta

meditazione andr affermando: come possibile che Dio, un essere

perfetto, abbia potuto generare un essere imperfetto? Tuttavia il padre del

dualismo mente-corpo non approfondisce la tematica, uscendo dal sipario

con un: i fini di Dio non sono conoscibili. La ricerca scientifica ha invece

dimostrato negli ultimi anni che trasformazioni proprie di un livello (come

quello psichico ad esempio) possono causare effetti anche in livelli

differenti da quelli in cui sono emerse. Si tratta del principio della

complessit, del quale Varela e Bateson forniscono chiavi interpretative

piuttosto convincenti.

Francesco Varela (1946-2001) nella sua ultima intervista allEnciclopedia

multimediale delle scienze filosofiche affronta questo principio della

complessit applicandolo alla coscienza. Il famoso neurobiologo critica il

riduzionismo di coloro che pretendono di mettersi alla ricerca della

coscienza a partire da un tratto di circuito cerebrale. A tale proposito

21
Varela (2001) esprime limpossibilit di un approccio riduzionista,

sostenendo che la coscienza non appartiene a un gruppo di neuroni, ma

a un organismo, a un essere umano, a unazione che si sta vivendo. In

particolare i fenomeni della coscienza possono esistere soltanto nella

relazione tra il soggetto e (a) la vita organismica, (b) il mondo e (c) i propri

congeneri. In questottica, il cervello svolge un ruolo centrale perch ci

che rende possibili queste relazioni, di conseguenza il cervello il livello

da cui la coscienza emerge. Tuttavia le caratteristiche di questo nuovo

livello (la coscienza), non sono riducibili, n comprese nel livello da cui

emerge; pur essendo in grado di retroagire sulle condizioni che ne hanno

permessa lemergenza. Infatti, Varela sottolinea come non solo il cervello

provoca linsorgere di stati mentali, ma lo stato mentale deve anche

essere in grado di modificare la condizione del cervello (Varela, 2001).

Siamo davanti quindi non solo a una casualit dal basso verso lalto, dal

cervello alla coscienza, ma anche dallalto verso il basso: dalla coscienza

al cervello.

Mentre Varela sembra sovrapporre il concetto di coscienza con quello di

mente, per Bateson la coscienza viene intesa come una parte della

mente. La mente, per lo studioso inglese, va intesa come unentit

sistemica che governa linsieme delle funzioni dellorganismo e che

trascende lIo connettendolo al mondo. La natura della mente sta, infatti,

non nellIo ma nella relazione tra il livello mentale e quello biologico; ed

da questa relazione che origina per Bateson (1976) la trama di premesse

epistemologiche ed ontologiche che costituiscono lessere umano.

22
Appurata la complessit della mente, i meccanismi con cui dalle reti

neuronali emerge lattivit psichica trovano unefficace spiegazione nella

teoria di Gerald Edelman. Per lelaborazione del suo pensiero Edelman

parte dalla dottrina di James (il quale sostiene che la coscienza, che

emerge da un sistema complesso, serve al suo governo) per poi ribaltarla

completamente. La coscienza , per il premio Nobel della medicina nel

1972, un processo che emerge dallinterazione del cervello, del corpo e

dellambiente. Non esiste quindi un luogo cerebrale della coscienza poich

questa il processo dintegrazione di aree diverse. Come si realizza per

lintegrazione tra aree diverse? Qui Edelman (2000) critica apertamente

lidea cognitivista dellanalogia tra i neuroni e i componenti del computer.

Secondo il neuroscienziato la comunicazione cerebrale e quindi la

coscienza governata dalle emozioni; in seguito ad un forte stato

emozionale si registra infatti lattivazione dei neuroni del tronco encefalico

e di conseguenza il rilascio di neurotrasmettitori che influenzano lattivit

neuronale, facendo cio variare la forza delle sinapsi dei circuiti

neuronali, producendo risposte adattative. Inoltre Edelman spiega pi in

dettaglio il collegamento tra le aree cerebrali attraverso in concetto delle

connessioni rientranti secondo il quale i collegamenti tra le aree cerebrali

sono bidirezionali. Il luogo in cui si registra una vastissima rete di

connessioni rientranti il sistema talamocorticale da cui emerge la

coscienza di un fenomeno.

Tornando alla nostra trattazione, occorre sottolineare che il livello psichico

in grado di influenzare non solo il livello nervoso, ma anche gli altri

23
sistemi di regolazione. Le vie con cui questo avviene sono comprese nel

sistema dello stress, con le sue correlazioni neuroendocrine, nervose e

immunitarie e nel SNC e SNP. Dallaltra parte il livello psichico

profondamente influenzato non solo dal SNC, ma anche dagli altri livelli,

che reagiscono a stimoli ambientali e a comportamenti individuali.

24
Capitolo 2. LE EMOZIONI COME COLLEGAMENTO PSICHE-

SOMA

2.1 Definizione e classificazione psicologica delle emozioni

Che il nostro vissuto sintrecci continuamente con stati emozionali non c

dubbio, ma la richiesta della precisa definizione di emozione pu

suscitare qualche incertezza. Unemozione pu essere definita come una

reazione affettiva intensa, piacevole o spiacevole, accompagnata da

reazioni fisiche e psichiche (pallore, rossore, cambiamenti di espressione,

accentuata gestualit ecc.) (Garzanti, 2015). Di fatto lemozione

costituisce ci che segue lo stimolo scatenante e precede lattuazione del

comportamento rispondente. Il collegamento tra lemozione e lazione

gi manifesto nelletimo del termine, la parola, infatti, deriva dal latino ex

che significa uscire e motio che significa muoversi (Di Sauro et al., 2008).

Le emozioni si classificano in primarie e secondarie; dove le emozioni

primarie sono quelle fondamentali non scomponibili in altre emozione,

mentre quelle secondarie sono date dalla combinazione di pi stati

emozionali.

Secondo Paul Ekman, esperto di ricerca sulle emozioni, possono essere

definite primarie quelle emozioni che sono comuni a tutti e che si

manifestano con delle espressioni tipiche dellintera umanit (Ekman et

all., 1972).

25
Per Robert Plutchick invece le emozioni primarie coincidono con quelle

primitive che hanno lo scopo di stimolare dei comportamenti finalizzati alla

sopravvivenza. Le emozioni primarie nello specifico sono otto, suddivisibili

in quattro coppie:1) gioia e tristezza, 2) consenso e disgusto, 3) rabbia e

paura, 4) aspettativa e sorpresa. Plutchick costruisce anche una ruota

delle emozioni che mette in risalto gli opposti e lintensit decrescente

delle emozioni. Le emozioni secondarie derivano dal mescolamento delle

primarie e prendono il nome di diadi. Le diadi primarie sono il risultato

del mescolamento di emozioni adiacenti nella ruota, le diadi secondarie

derivano da una miscela di due emozioni separate da una terza e le diadi

terziarie originano dallunione di due emozioni separate da altre due.

I livelli di risposta tramite cui si manifesta unemozione sono tre:

- Stato di attivazione cognitiva (sistema psicologico): costituito dai

resoconti verbali dellesperienza.

-Stato di attivazione fisiologica: rappresentato dalle modificazioni fisiche

conseguenti allo stato emozionale.

- Stato di attivazione comportamentale: dato dalle manifestazioni motorie

dellemozione.

26
2.2 Teorie fisiologiche delle emozioni

La relazione tra emozioni e corpo, e in particolare il ruolo delle emozioni

come strategia di collegamento bidirezionale tra psiche e soma stata

proposta tanto dalla teoria di Darwin, quanto da quelle di James-Lange,

Damasio, Le Doux e Cannon- Bard.

William James con i suoi Principles of Psychology (Principi di psicologia)

fu, infatti, un importante studioso della relazione tra le emozioni radicate

nel corpo e la coscienza, e il primo a definire le emozioni in termini

operativi. Per lelaborazione della sua celebre Teoria periferica delle

emozioni o Teoria del feedback, James si ispira ad uno scritto di Darwin,

in cui lo scienziato afferma che una persona non pu dirsi arrabbiata fino a

quando non si accorge della sua arrabbiatura, e cio delle modificazioni

fisiche (tachicardia, calore in viso eccetera) indotte dal suo stato danimo.

Lesperienza emotiva, dunque, non altro che la percezione delle reazioni

viscerali neurovegetative conseguenti a un evento emotigeno. Noi non

tremiamo perch abbiamo paura, ma abbiamo paura perch tremiamo.

Celebri a tale proposito alcune parole nelle quali James (1988) sostiene:

Mi difficile immaginare quale genere di emozioni rimarrebbero se non

avvertissimo n laccelerazione del battito cardiaco, n il respiro poco

profondo, n le labbra tremanti n le gambe fiacche, n la pelle doca n il

subbuglio viscerale ..io dico che le emozioni dissociate da tutte le

sensazioni corporee sono per noi incomprensibili. Quello che si realizza

nell'esperienza emozionale quindi un complesso processo psichico, il cui

destino finale il ritorno alla mente (Teoria del feedback); la mente infatti

27
la fonte dellimput emotivo al corpo che avr come bersaglio finale la

mente stessa, che percepir l'emozione conseguente all'output corporeo.

Senza gli stati corporei che seguono la percezione sottolinea James,

questultima sarebbe puramente cognitiva nella forma e nella portata,

pallida, incolore, priva di calore emotivo (James, 1999); nonostante per lo

studioso americano unemozione totalmente disincarnata non esiste. La

funzione dellemozione non soltanto quella di sollecitare il corpo, ma

anche quella di sollecitare lattivit cognitiva; lemozione , infatti, ci che

trasforma un oggetto semplicemente percepito in un oggetto

emotivamente sentito.

La profonda analogia del modello di James con quello di Lange ha portato

ad ununificazione formale dei due, di conseguenza riferendosi alla teoria

periferica delle emozioni, si soliti parlare della Teoria di James-Lange.

Antonio Damasio interpreta la teoria di James-Lange come il superamento

dellerrore di Cartesio proponendo una concezione unitaria

dell'organismo dove si osservano la mentalizzazioe del corpo e la

somatizzazione della mente. Riguardo alle emozioni, Damasio riprende

lidea di Darwin e James sul passaggio bidirezionale mente-corpo e le

definisce come punto di convergenza tra mente e corpo poich si tratta di

processi mentali che hanno come teatro il corpo. Pi nello specifico le

emozioni sono delle risposte neurochimiche automatiche, differenti dagli

impulsi, che modificando lo stato del corpo e del cervello, regolano i

processi vitali. Le emozioni sono quindi, per il neurobiologo, degli

importanti strumenti di valutazione e percezione degli stimoli interni ed

28
esterni; e si differenziano dai sentimenti che sono invece la registrazione

mentale delle emozioni che, richiede la presenza simultanea di altre

funzioni come la memoria. Ma come si formano le emozioni? Il professore

di neurologia delluniversit di Jowa descrive una fase di scatenamento

dellemozione, che dalla corteccia sensoriale e associativa passa

allamigdala (centri induttori) per poi dirigersi verso i centri effettori:

lipotalamo che il principale centro attivatore, il proencefalo basale che

libera dopamina e il tronco dellencefalo che attiva i sistemi di

neurotrasmissione. Da questo quadro emerge quanto Damasio creda

nella natura somatica dellattivit cerebrale e nel legame mente-corpo. Il

ruolo della mente in particolare quello di andare a realizzare lattivit

regolatoria del cervello sul corpo.

Mentre Damasio sispira alla teoria di James-Lange, il duo Cannon-Bard

sostiene l'infondatezza della teoria periferica delle emozioni, e lo giustifica

attraverso tre assunti:

Anche se la comunicazione tra i visceri e il SNC viene interrotta, il

comportamento emotivo non subisce alterazioni, infatti anche i pazienti

con lesioni del midollo provano emozioni.

I visceri sono strutture scarsamente innervate e le loro modificazioni

hanno latenze troppo lunghe per poter causare le risposte rapide richieste

da un'emozione.

Alcune modificazioni viscerali si ripetono per pi stati emozionali.

29
Cannon e Bard, in contrapposizione alla teoria del feedback, sostengono

la teoria centrale delle emozioni secondo la quale i centri di attivazione,

regolazione e controllo dei processi emotivi non si trovano in sedi

periferiche come i visceri, ma sono localizzate centralmente, nella regione

talamica. Ma come si realizza il processo emozionale? Un evento esterno

agisce da stimolo per i recettori della corteccia, la quale a sua volta va a

stimolare il talamo che agisce nell'area corrispondente a un'emozione. Di

conseguenza proviamo unemozione, senza necessariamente esprimerla

fisicamente, quando i segnali relativi alle afferenze sensoriali ricevute dalla

corteccia raggiungono il talamo.

Un altro sostenitore del legame mente-emozioni-corpo Joseph Le Doux

(2003), il quale sostiene che sia la mente che il corpo sono sotto il

controllo dellemozione grazie ai collegamenti che lamigdala ha con il

corpo, tramite il circuito dello stress e il neurovegetativo, e con il cervello,

tramite i collegamenti con le cortecce e con lippocampo. Inoltre il

neuroscienziato sottolinea come la mente possa produrre effetti biologici

sul cervello affermando nel S sinaptico (2003) che Se un pensiero un

pattern di attivit neurali in una rete, non solo esso pi determinare

lattivazione di unaltra rete, ma pu anche determinarne il cambiamento,

la plasticit.

30
2.3 Basi neurologiche delle emozioni

Appurato quindi che gli stati emozionali, grazie alle modificazioni neuronali

che determinano, garantiscono un modo di collegamento bidirezionale

mente-corpo, come si realizza una risposta emozionale, e quali sono le

strutture neuroanatomiche implicate?

La ricerca neurologica rende evidente gi alla fine dellottocento

limportanza delle strutture sottocorticali nella valutazione di un evento

emotivo e di quelle corticali nel controllare ed elaborare le risposte

emotive. A tale proposito nel 1878 Broca parla del Grand lobe limbique in

riferimento ad un anello di corteccia (limus: orlo) posto intorno al corpo

calloso e differente dalla neo-corteccia sovrastante. Oggi si usa pi

comunemente il termine sistema limbico che comprende numerose altre

componenti.

Il sistema limbico unarea cerebrale preposta allelaborazione delle

emozioni e delle manifestazioni emotive che a esse si accompagnano. Dal

punto di vista neuroanatomico si compone di strutture corticali e non. Le

componenti corticali sono: aree della corteccia prefrontale e orbito-frontale

del lobo frontale, aree del lobo temporale, parietale, occipitale, giro

cingolato, giro paraippocampale e ippocampo. Le componenti non corticali

sono: il telencefalo con il corpo amigdaloideo, la regione settale e la

porzione ventrale dei nuclei basali; il prosencefalo basale; il diencefalo e il

tronco dell'encefalo con alcuni nuclei del talamo, l'ipotalamo e alcune parti

del mesencefalo e del bulbo.

31
Tra le strutture limbiche, il centro emozionale per eccellenza costituito

dal corpo amigdaloideo, unarea cerebrale profonda collocata

medialmente al lobo temporale. Questa piccola massa di materia grigia

scoperta negli anni venti del diciannovesimo secolo, si compone di 13

nuclei suddivisibili in tre aree tra loro interconnesse: basolaterale, corticale

e centromediale.

Larea basolaterale ricevendo imput sensoriali e proiettandosi alle cortecce

prefrontali e allippocampo ha un ruolo importante per la formazione della

memoria emotiva.

Larea corticale dato il suo intimo collegamento con la corteccia olfattiva

responsabile del significato emotivo attribuito agli odori.

Larea centromediale, costituita dai nuclei profondi, rappresenta un trait

dunion tra il circuito talamo-ipotalamo, dal quale riceve afferenze, e il

sistema neurovegetativo al quale invia imput; grazie a questarea

lamigdala scarica le emozioni a livello corporeo (Bottaccioli, 2005).

Nel 1937 James Papez partendo dai presupposti di Cannon e di Broca

sostiene che i centri in cui si realizza lelaborazione e il controllo di

unemozione si trovano in unarea composta da ipotalamo, talamo

anteriore, giro del cingolo e ippocampo, che il neuroanatomista chiama

Circuito di Papez.

Secondo la teoria del neurologo statunitense lipotalamo la sede da cui

parte limput emozionale, che poi si andr a scaricare sul corpo; mentre la

corteggia larea dove le emozioni sono percepite (cingolo) e interpretate

32
(neocorteccia). Nonostante il modello di Papez sia stato poi negli anni

ampliato e corretto, esso ha avuto il merito di individuare la via percorsa

dalle emozioni nel cervello e nel corpo in generale. Lavvento della

risonanza magnetica nucleare, permettendo lo studio del cervello nei

processi emozionali, ha infatti confermato il ruolo centrale del sistema

limbico (ipotalamo, ippocampo, amigdala) e delle aree corticali (giro del

cingolo, cortecce sensoriali e associative) nel circuito emozionale.

Cercando di semplificare il complesso circuito emotivo potremmo dire che

ogni stimolo costituisce un imput sensoriale che captato da specifici

recettori e trasmesso al talamo, in cui si ha una prima elaborazione

sensoriale dei segnali in entrata. Il talamo invia poi tali imput sia

direttamente allamigdala sia allipotalamo che li trasmette alla corteccia,

nella quale lo stimolo emotivo dopo essere stato percepito ed elaborato,

inviato allamigdala. Lamigdala riceve quindi sia informazioni emotive

povere dalla rapida via talamica che informazioni dettagliate, ma pi

tardive, dalla via corticale. A seguito degli imput ricevuti dal complesso

basolaterale, la regione afferente dellamigdala, le informazioni sono

proiettate al nucleo centrale che la principale zona efferente. Il nucleo

centrale invia a sua volta imput allipotalamo e al tronco dellencefalo che

regolano la risposta del sistema nervoso autonomo e di quello endocrino

agli stimoli emozionali.

Rispetto a quanto teorizzato da Papez, gli studi di Helen Barbas sulle

scimmie Rhesus (2003) hanno dimostrato lesistenza non di un unico

circuito emozionale, ma di un circuito costituito da pi vie parallele sia in

33
entrata che in uscita. Tali vie, in parallelo, connettono le cortecce

prefrontali allamigdala e allippocampo e da qui, attraverso il

neurovegetativo, agli organi interni. Pi nello specifico, grazie allutilizzo di

traccianti, stata dimostrata lesistenza di una via breve e di una veloce.

La via rapida, che va dalle cortecce sensoriali allamigdala, consente

unattivazione emozionale automatica e inconscia; mentre la via lenta, che

coinvolge le cortecce orbitofrontali e mediali, il giro del cingolo e

lipotalamo, passando o no per lamigdala, garantisce unelaborazione pi

complessa e cosciente. Le due vie possono essere sincrone o pu

verificarsi che la via rapida prenda il comando trascinando tutto il corpo in

una risposta automatica.

Individuate le vie percorse dalle emozioni, resta da chiedersi se emozioni

differenti e addirittura opposte percorrano o no lo stesso circuito. Uno

studio tedesco realizzato nel 2005, e pubblicato in seguito su Neuroimage,

mostra che tanto nella gioia che nella tristezza, le aree attivate sono

sempre le stesse: ippocampo, amigdala, cortecce prefrontali e temporali,

cingolo anteriore. Quella che varia lintensit, maggiore o minore, di

attivazione delle componenti del network a seconda del sentimento

provato. In caso di tristezza risulterebbe maggiormente attivata larea

ventrolaterale, mentre in caso di gioia si registra una maggiore intensit

nella porzione dorsolaterale. Quindi gioie e dolori, nella loro intima

correlazione, dimostrano di non essere altro che varianti di uno stesso

circuito (Habel et al., 2005). Vale la pena spendere qualche parola a

34
proposito della neurobiologia dall esperienza piacevole per eccellenza:

lorgasmo, e delleccitazione che lo precede.

In seguito a stimolazioni di natura tattile, visiva o immaginativa, si ha

unintensa attivazione del sistema neurovegetativo. In particolare la

prevalenza del parasimpatico porta ai processi che conducono allerezione

nelluomo; e alla produzione di fluido vaginale ed espansione del canale

vaginale nella donna. Con la successiva penetrazione, leccitazione sale

stimolando lattivazione del simpatico; limput giunge a questo punto a tre

fondamentali aree cerebrali: linsula, lipotalamo e lippocampo. Linsula

un importante centro di decodificazione cosciente dei segnali di piacere,

infatti dimostrata una contemporaneit tra leccitazione e la sua

attivazione. Linsula, insieme con altre aree somatosensitive e

allippocampo, invia imput allipotalamo, il quale rinforza la scarica del

simpatico sui genitali causando la ritmica contrazione di numerose

strutture e quindi lorgasmo. Lippocampo invece la struttura che fissa i

ricordi dellesperienza sessuale, dimostrando di essere ampiamente

influenzata dai circuiti emozionali (Bottaccioli, 2005).

Che cosa accada nel nostro cervello nel corso di un orgasmo stato

studiato in una ricerca condotta su un gruppo di giovani coppie volontarie

e pubblicata su Journal of Neuroscience. Nello studio (Holstege et al.,

2003) il comportamento cerebrale nel culmine del piacere sessuale stato

analizzato mediante la PET, che ha mostrato come nelluomo a essere

attivate siano soprattutto due aree: la porzione ventrale del tegmento del

mesencefalo e il cervelletto. Il tegmento del mesencefalo una struttura

35
collocata nel tronco dellencefalo, nel quale sono collocati gruppi di

neuroni che inviano assoni allencefalo liberando dopamina. Questo

circuito, che prende il nome di Circuito del piacere, viene attivato anche

dallassunzione di droghe e connette numerose aree cerebrali. Coinvolge,

infatti, il sistema limbico, da sempre il cuore emotivo del cervello;

lamigdala e lippocampo che registrano la memoria dellemozione; e

linsula, dove il piacere percepito in modo cosciente. Nella donna, a

differenza delluomo, nella fase di eccitazione attivata anche lamigdala,

mentre sembra che non ci siano differenze nella neurobiologia

dellorgasmo.

Una profonda attivazione dellamigdala si riscontra anche in altre forti

emozioni: la paura e lansia a essa collegata. Questa attivazione pu

avvenire sia in forma conscia, che in forma inconscia. Quando un segnale

di paura raggiunge lamigdala, va ad attivarne la porzione laterale e in

seguito il nucleo centrale; questultimo responsabile dellattivazione di tre

aree della risposta di stress: la sostanza grigia centrale che produce una

reazione chiamata dai neurobiologi freezing; lipotalamo laterale che

attivando il sistema simpatico determina un rialzo pressorio e lipotalamo

paraventricolare che attiva gli assi neuroendocrini, tra cui quello surrenale,

con la liberazione di ormoni.

Lamigdala nel suo funzionamento sottoposta al controllo delle aree

corticali prefrontali e del giro del cingolo. Questultima struttura, attivata in

caso di sforzo cognitivo o di emozioni intense come la rabbia e la

tristezza, larea della corteccia che riceve il massimo di proiezione

36
dopaminergica. Da qui partono poi proiezioni allipotalamo laterale e ai

centri di comando del simpatico localizzati nel tronco. Evidenze hanno

inoltre dimostrato che la solida connessione bidirezionale con lamigdala,

rende il giro del cingolo una struttura essenziale per la maturazione

dellautocontrollo e per la buona o cattiva gestione delle emozioni e delle

loro conseguenze sul corpo. Una dimostrazione di ci ravvisabile nei

soggetti affetti da alessitimia, nei quali i difetti di connessione tra

lamigdala e la corteccia tramite il giro del cingolo causano importanti

problemi emozionali.

Lalessitimia un disturbo che consiste nellincapacit di riconoscere le

emozioni provate; nonostante quindi siano presenti i segni fisici delle

emozioni (battito cardiaco accelerato, sudorazione aumentata), i soggetti

affetti non sono in grado di associarli a stati mentali precisi. Questa

dissociazione mente-corpo la prova del ruolo dei segnali corporei nella

formazione delle emozioni (Bottaccioli, 2005).

Tornando alla paura, nel 2002, Mohammed R. Milad e Gregory J. Quirk

hanno pubblicato su Nature un interessante lavoro centrato sulla memoria

della paura. Per il loro studio i due fisiologi delluniversit di Ponce (Porto

Rico) si sono ispirati al paradigma del riflesso condizionato di Pavlov. Nei

suoi celebri esperimenti sui cani, il premio Nobel per la Medicina nel 1904

osserv come applicando uno stimolo condizionato (il suono di un

campanello) a uno stimolo non condizionato (la somministrazione di

carne), dopo poche sedute di condizionamento era possibile vedere i cani

salivare al suono del campanello. Tuttavia leffetto svaniva dopo un certo

37
tempo; ci era dovuto secondo Pavlov non tanto alla cancellazione del

ricordo, ma alla formazione di una nuova memoria. A distanza di quasi un

secolo Milad e Quirk (2002) hanno dimostrato che effettivamente nel

processo di estinzione del ricordo della paura si ha la creazione di una

nuova memoria, la quale il frutto della formazione di un nuovo circuito

che connette lamigdala alle cortecce prefrontali. Tale circuito, che nasce

dal complesso basolaterale, deposita nelle cortecce prefrontali la memoria

dellestinzione. Dalle cortecce parte poi una seconda via diretta al nucleo

centrale dellamigdala e deputata al blocco della sua ipereccitazione. Tutto

questo dimostra che una forte paura difficilmente cancellabile; ovvero

pu riattivarsi quando si ripresentano degli stimoli analoghi a quelli che

lhanno creata. Tuttavia possiamo imparare a gestirla al meglio fornendo al

nostro cervello una nuova mappa di risposta, differente ad esempio da

quella della rabbia. Evidenze dimostrano, infatti, che la rabbia sia

strettamente connessa alla paura e che ne rappresenti una conseguenza

finalizzata alla difesa. Come nella paura, anche nella rabbia si nota

lattivazione dellamigdala, accompagnata per dal coinvolgimento di

unarea profonda che prende il nome di sostanza periacqueduttale. In

questa zona cerebrale troviamo mappe che rappresentano il corpo e in

particolare gli imput dolorosi provenienti dalle differenti aree somatiche;

questo ci permette di comprendere come la rabbia sia legata alla

percezione di un pericolo che minaccia lintero organismo (Bottaccioli,

2005).

38
Capitolo 3: LA COMUNICAZIONE PNEI

Analizzato il collegamento psiche-cervello, necessario ora ai fini della

nostra trattazione indagare come gli altri sistemi, fulcro della PNEI,

comunicano tra di loro.

3.1 Dal sistema nervoso allimmunit

Nonostante oggi la connessione tra sistema nervoso e immunit sia data

per assodato, quando nel 1970 i coniugi Felten iniziarono i loro studi,

questa pista di collegamento cervello-immunit sembrava ancora un

concetto utopico. Perci nel momento in cui David Felten e sua moglie

Suzanne dimostrarono lesistenza di connessioni materiali tra le fibre

nervose e i linfociti, non fu semplice far accettare alla comunit scientifica

questa nuova scoperta. La ricerca dei due neuroanatomici, fu

successivamente portata avanti dalla ricercatrice Karen Bulloch della

Stony Brook University di New York, grazie alla quale alla fine del 1970 fu

chiaro il collegamento tra sistema immunitario e il cervello tramite le fibre

del sistema nervoso vegetativo. In particolare le fibre nervose di tipo

adrenergico e peptidergico fuoriescono dal midollo spinale e attraverso il

sistema nervoso simpatico vanno a innervare organi linfoidi quali il timo, la

milza, i linfonodi e il tessuto linfoide dellintestino. Allinterno degli organi

linfoidi le fibre nervose del simpatico e parasimpatico creano con i linfociti

delle sinapsi chiamate giunzioni neuroimmunitarie. Nei primi anni del

ventunesimo secolo si inoltre scoperto che la connessione con il sistema

immunitario non interessa soltanto il sistema autonomo, bens tutta la rete

39
nervosa periferica. Le fibre nervose sensoriali, che circondano quasi la

totalit dei tessuti, stabiliscono una forte connessione con le cellule

immunitarie mediante il rilascio di neuropeptidi e neurotrasmettitori.

Questo fenomeno che si realizza proprio dove si sviluppa la risposta

immunitaria e infiammatoria, mette in luce il ruolo svolto dal sistema

nervoso periferico nella determinazione dellentit della risposta

infiammatoria; e fa inoltre cadere lassunto secondo il quale lattivazione

della risposta immunitaria sia subordinata al solo riconoscimento

dellantigene. I passi avanti compiuti dalla ricerca hanno infatti dimostrato

che i linfociti possono essere attivati indipendentemente da un loro

riconoscimento dellantigene e che tra gli attivatori ci sono proprio

neurotrasmettitori (dopamina e noradrenalina) e neuropeptidi (sostanza P,

Somatostatina ecc.). Pi nello specifico i neuropeptidi possono essere

divisi in due gruppi: quelli che posseggono unazione infiammatoria come

la sostanza P e quelli che invece agiscono in senso antiinfiammatorio

come la somatostatina. Questultima sembrerebbe avere una funzione

antinfiammatoria intestinale poich contrasta la liberazione delle citochine

infiammatorie (Bottaccioli, 2005).

3.2 Dagli ormoni allimmunit

Il dialogo tra il sistema endocrino e quello immunitario si realizza mediante

dei circuiti ormonali chiamati assi neuroendocrini tramite i quali il cervello

influenza linsieme delle attivit corporee. Il fulcro di questi circuiti e punto

di snodo per la regolazione dellorganismo costituito dallasse dello

stress; questo costituito da due sistemi: lasse ipotalamo-ipofisi-surrene

40
e il circuito nervoso locus coeruleus-simpatico-midollare del surrene.

Lasse ipotalamo-ipofisi-surrene o braccio chimico si avvia con il rilascio a

livello dei nuclei paraventricolari ipotalamici del CRH (ormone che libera la

corticotropina) e dellAVP (arginina-vasopressina) che insieme stimolano il

rilascio a livello ipofisario dellACTH. Lormone adrenocorticotropo tramite

il flusso ematico raggiunge la corteccia delle surrenali scatenando la

produzione di cortisolo. Il circuito locus coeruleus-simpatico-midollare del

surrene invece il braccio nervoso del sistema dello stress. Tale circuito

vede i nuclei ipotalamici parvocellulari in uno stretto collegamento

bidirezionale con il locus coeruleus. Questultimo unarea collocata nella

parte iniziale del midollo spinale e costituita da nuclei producenti

noradrenalina, la quale ha effetti sia sullipotalamo che sulla corteccia

cerebrale. Il locus coeruleus invia alla midollare del surrene degli imput

tramite il sistema simpatico, stimolandola a secernere catecolamine

(adrenalina, noradrenalina, dopamina). Inoltre la midollare in grado di

rilasciare neurotrasmettitori, grazie alla presenza di speciali cellule di

origine embriologica nervosa: le cellule cromaffini. Il braccio chimico e il

braccio nervoso del sistema dello stress risultano uniti dalla reciproca

stimolazione che il CRH ipotalamico e la noradrenalina del locus

coeruleus hanno tra di loro. Riguardo alla regolazione del sistema dello

stress, questa avviene sia attraverso un meccanismo di feedback che

mediante lazione di sostanze induttrici-inibitrici del sistema. In particolare

lasse ipotalamo-ipofisi-surrene si autoregola con un meccanismo di

feedback negativo, ovvero il rilascio del cortisolo viene modulato in base ai

41
suoi livelli ematici rilevati da ipotalamo e ipofisi tramite i recettori per i

mineralcorticoidi e per i glucocorticoidi. Il sistema dello stress inoltre

stimolato da serotonina e acetilcolina e inibito da endorfine e GABA (acido

gamma amino butirrico). La copiosa regolazione dellasse dello stress,

soprattutto da sistemi neurotrasmettitoriali, giustificata dallinfluenza che

tale circuito ha nella regolazione corporea e pi nello specifico nei

confronti del meccanismo immunitario e infiammatorio.

La relazione stress-immunit inizi a essere studiata nei primi anni

settanta del 1900, quando numerosi studi misero in luce lazione

immunosoppressiva del cortisolo, ma soltanto a concentrazioni elevate e

non fisiologiche. Somministrando basse dosi di cortisone, che potrebbero

coincidere con uno stress acuto, si assiste, infatti, a unazione stimolante

dellattivit immunitaria con unincrementata produzione di anticorpi e la

proliferazione dei linfociti T. Tutto ci risponde al ruolo della reazione di

stress come risposta biologica fondamentale che mette lorganismo in

condizioni di reagire al meglio nei confronti di un evento stressante. Se

per il corpo sperimenta una situazione di stress cronico, si realizza

uniperproduzione di cortisolo e catecolamine (prodotti dellasse dello

stress) con conseguente soppressione della risposta immunitaria di tipo

Th1, che quella che ci protegge dai virus e dalla trasformazione maligna

delle cellule, e dislocazione del sistema su una posizione Th2. I prodotti

dello stress ottengono questo effetto alterando il profilo delle citochine

infiammatorie; in particolare il cortisolo sopprime lIL-12 e favorisce IL-4 e

IL-10.

42
La produzione delle citochine in conseguenza della reazione di stress

dimostra come linfiammazione sia parte integrante della reazione di

stress; a sostegno di ci va ricordato che quando lo squilibrio di cortisolo

colloca lassetto immunitario su un profilo Th2, si tratta comunque di una

modalit infiammatoria, seppur inefficace verso virus e tumori. I

meccanismi che portano alla produzione delle citochine

conseguentemente a una reazione di stress sono molteplici, ad esempio

lIL-6 rilasciata dallendotelio e dal grasso sottocutaneo e viscerale a

seguito dellattivazione del simpatico e della produzione di cortisolo con

conseguente costrizione dei vasi e mobilizzazione dei depositi di grasso.

Lo stress in grado di influenzare indirettamente limmunit agendo sulla

produzione degli ormoni sessuali; un eccesso di CHR (ormone che rilascia

la corticotropina e prodotto dai tessuti infiammati) porta infatti allinibizione

della sintesi del Gn-RH (ormone che rilascia le gonadotropine) con

conseguente inibizione della sintesi di estrogeni e androgeni. Ricerche

recenti hanno dimostrato che il DHEA, precursore di tali ormoni steroidei,

viene sintetizzato non solo a livello gonadico e nel surrene, ma anche a

livello cerebrale. Lormone, che sembrerebbe influenzare

significativamente limmunit, gioca un ruolo importante anche a livello

cognitivo-emotivo. Queste originali e neoscoperte funzioni del DHEA sono

determinate dal fatto che lormone contrastando leccitabilit nervosa

causata dal glutammato, controregola un eventuale eccesso di cortisolo.

In questo modo i circuiti Th sono riequilibrati in senso Th1 e lippocampo

viene protetto dalla tossicit di una sovrabbondanza di cortisolo con effetti

43
diretti sullumore e sulla sfera cognitiva. A livello cerebrale il

deidroepiandrosterone svolge infatti unazione ansiolitica e antidepressiva,

oltre a potenziare la performance cognitiva (memoria).

Altro ormone, il cui rilascio viene influenzato dallo stress la prolattina, la

cui azione sullimmunit varia a seconda della concentrazione. In

condizioni fisiologiche lormone, rilasciato non solo nel corso di gravidanza

e allattamento, ma anche nel coito e negli stress emotivi, promuove

lattivazione dei Natural Killer e stimola una risposta infiammatoria Th1. Ad

alte concentrazioni tuttavia la PRL blocca la produzione dei Natural Killer,

pur non riuscendo a bloccare lazione dei linfociti T.

3.3 Dagli ormoni al cervello

Gli ormoni, e in particolare quelli dello stress, svolgono un ruolo

importante sul cervello. Uniperattivazione cronica dellasse dello stress,

determinando uneccessiva produzione di cortisolo, connessa infatti a

depressione, anoressia nervosa, disturbo di panico, disturbo ossessivo-

compulsivo e sindrome ansiogena. Al contrario, una scarsa attivit

dellasse dello stress riconducibile al disturbo affettivo stagionale. La

centralit dellasse dello stress nella regolazione corporea dimostrata

dalle numerose correlazioni che tale circuito ha con gli altri assi

neuroendocrini e in particolare con lasse della crescita, con quello

sessuale-riproduttivo e con quello tiroideo.

Relativamente allasse della crescita, lincremento del cortisolo

riconducibile ad uno stress di breve durata determina la stimolazione della

44
produzione dellormone della crescita GH. Tuttavia se lo stress di protrae,

lipersecrezione cronica di CRH causa un blocco nella produzione di GH e

laumento della somatostatina (ormone ipotalamico che co-regola

laccrescimento con il Gh, ma con unazione inibente). Inoltre il cortisolo

contrasta lazione del GH e dei suoi metaboliti sui tessuti bersaglio. La

correlazione tra stress cronico e arresto della crescita inoltre dimostrato

dalla presenza di fenomeni di ritardo-arresto della crescita fino al nanismo

psicosociale in bambini abbandonati o costretti a sperimentare gravi e

protratte situazioni di stress.

Le situazioni di stress, oltre che sulla crescita possono influire sulla

sessualit. A tale proposito noto da tempo come eventi emozionali

potenti possano alterare o sopprimere il ciclo mestruale, infatti CRH e

cortisolo sono in grado tanto di inibire la sintesi di Gn-RH, quanto di

influenzare negativamente la sintesi ipofisaria di FSH e LH.

Inoltre situazioni stressanti stimolano la secrezione di CRH e quindi di

somatostatina, inibendo la produzione del TSH (ormone tireo-stimolante).

Ad interferire negativamente sullasse tiroideo si aggiunge anche

inadeguata sintesi di T3 (ormone tiroideo attivo) causata dal blocco

cortisolo dipendente della trasformazione del T4 in T3.

45
3.4 Dallimmunit al sistema nervoso

La connessione tra immunit e sistema nervoso venne provata per la

prima volta nel 1975, quando con Hugo O. Besedovsky si dimostr che le

cellule immunitarie rilasciavano citochine infiammatorie in grado di

raggiungere tutti i reparti cerebrali e in particolare le aree ipotalamiche e

ippocampali. In particolare si visto che IL-1, IL-6 e TNF-alfa sono in

grado di indurre modificazioni biologiche a carico tanto degli assi

neuroendocrini, quanto dei principali sistemi di neurotrasmissione

cerebrale. Per esempio lIl-1 sembra essere un attivatore dellasse dello

stress, di quello della crescita e della prolattina, mentre inibisce quello

tiroideo e gonadico; aumenta inoltre il metabolismo di noradrenalina,

dopamina e serotonina. Ma quali sono le vie che permettono alle citochine

di arrivare allinterno del cervello? Le vie seguite sono due: una umorale e

una nervosa. La via nervosa, che sfrutta prevalentemente il sistema del

nervo vago importante per la segnalazione citochinica che parte

dallapparato gastrointestinale, e in particolare dal fegato e giunge al

cervello. Il nervo vago, convogliato il messaggio in sede centrale, torna poi

come vago efferente alla fonte, dimostrando un importante ruolo

antiinfiammatorio. La via umorale invece quella che sfruttando la via

ematica convoglia le citochine a livello della barriera ematoencefalica,

questa tuttavia se non infiammata risulta impenetrabile. Di conseguenza il

nostro corpo ha messo a disposizione tre strategie per arginare la

barriera:

46
-Lingresso attraverso delle aree cerebrali come gli organi

circumventricolari e lipofisi nei quali la barriera scarsa o assente.

-Linduzione della produzione di mediatori infiammatori.

-Linduzione di un aumento della sintesi di citochine infiammatorie come Il-

1, Il-6, TNF-alfa a livello cerebrale grazie allinvio di segnali citochinici di

tipo infiammatorio dallesterno.

Le conseguenze di ci, pur dipendendo dallintensit e persistenza della

segnalazione infiammatoria, sono descritte da George P.Chrousos nella

Sickness syndrome traducibile come malessere. Si tratta di un insieme

di alterazioni neurologiche centrali, neurovegetative e umorali. In

particolare si osserva unalterazione umorale in senso depressivo, indotta

proprio dalle citochine infiammatorie. Questa correlazione citochine-

depressione stata ampiamente studiata, fino a sottolineare il ruolo

dellIL-1 e lIL-6 nella genesi del disturbo.

47
3.5 La salute come equilibrio dei sistemi corporei

Lanalisi dei collegamenti tra i sistemi di regolazione fisiologica mette in

evidenza come il nostro corpo non sia altro che una rete di sistemi

integrati tra loro, alla continua ricerca di un equilibrio. In questottica la

salute non altro che il ripristino dellequilibrio e la malattia, come

sostiene Ippocrate, discrasia, cattivo equilibrio. Da ci non pu non

emergere il concetto di multifattorialit della malattia; il fattore di malattia,

ad esempio di carattere emozionale, necessario ma spesso non

sufficiente allo sviluppo di una alterazione. Ci che separa, infatti,

laggressione esterna dallo sviluppo della patologia la nostra abilit di

risposta, lambiente interno e la sua capacit di non farsi eccessivamente

squilibrare. Quello che garantisce la stabilit dellambiente interno sono

per Cannon i meccanismi omeostatici intesi come la gamma delle

modificazioni fisiologiche che si attivano come risposta a unaggressione,

ma che poi tendono a tornare alle iniziali condizioni di equilibrio. Infatti

Cannon (1963) sostiene che Lomeostasi non implica immobilit,

stagnazione. Piuttosto sta a significare una condizione che pu variare,

ma che relativamente costante.

In evoluzione rispetto al pensiero di James e Cannon si pone invece Hans

Seyle (1978) il quale evidenzia come lo sviluppo della malattia in seguito a

stressor esterni dipenda dal buono o cattivo adattamento messo in atto dal

nostro corpo. Ladattamento, per Seyle, governato dal circuito dello

stress, la cui attivazione conduce alla liberazione di fattori proinfiammatori

e antiinfiammatori, dal cui equilibrio dipende ladattamento. Una cattiva

48
gestione dello stress, che dipende dallindividualit delle risposte, pu

infatti condurre ad un maladattamento, caratterizzato da un accumulo di

prodotti secondari alle attivit biologiche, che conduce ad una situazione

detta allostasi. Il termine allostasi coniato negli anni novanta da Bruce

McEwen indica in sopraggiungere di una condizione nuova rispetto a

quella di partenza conseguentemente alladattamento e si contrappone

dunque al concetto di omeostasi. Non detto quindi che ladattamento

porti al ripristino delle condizioni di partenza, esso pu, infatti, modificare

in modo significativo le strutture biologiche e sfociare in malattia. Nel

processo, lindividualit svolge un ruolo chiave nel determinare gli esiti

delladattamento. Ma a cosa legata lindividualit del profilo biologico?

Studi condotti negli anni novanta, hanno dimostrato che la presenza di

uno sbilanciamento in senso Th1 o in senso Th2 determina una maggiore

protezione verso alcune malattie e una predisposizione verso altre. In

particolare lo sbilanciamento in senso Th1, legato a una carenza di

cortisolo, risulterebbe protettivo nei confronti dei virus, ma predisponente

verso le malattie autoimmuni. Questa diversit biologica un fenomeno

molto complesso che deriva sia dalla variabilit genetica della popolazione

che dalla programmazione fisiologica precoce dellindividuo. Gli eventi

che si realizzano nellutero hanno, infatti, un ruolo chiave nel modellare i

sistemi di regolazione fisiologica, e in particolare quello dello stress,

lasciando segni che permarranno per tutta la vita.

49
PARTE 3. PSICOCARDIOLOGIA: I FATTORI

PSICOLOGICI DI RISCHIO DELLA MALATTIA

CARDIACA

Capitolo 1. PSICOFISIOLOGIA DELLE MALATTIE

CARDIOVASCOLARI

Le malattie cardiovascolari, pur mostrando un leggero miglioramento negli

ultimi anni, rappresentano ancora la principale causa di morte in

Occidente. In particolare in Italia, nel 2012, le malattie ischemiche del

cuore, con 75.096 casi, sono risultate al primo posto tra le cause di morte,

seguite al terzo posto dalle altre malattie cardiache con 48.384 casi (Istat,

2012).

Dal momento che i fattori di rischio classici predicono non pi del 50% dei

nuovi casi di malattia, i ricercatori sono stati spinti a indagare elementi di

rischio anche altrove e infine a ipotizzare un legame tra i fattori psicologici,

sociali ed emotivi e la patologia cardiaca. Del resto gi nel 1628, William

Harvey evidenziava come un turbamento mentale che provochi un

piacere o induca uno stato affettivo doloroso influisca sullattivit del cuore.

Lo stesso Alexander applicava la teoria psicosomatica alle malattie

cardiache quando sosteneva che unalta pressione sanguigna di origine

sconosciuta era predominante tra coloro che erano orientati al

raggiungimento di un elevato status sociale e che tendevano allinibizione

difensiva degli aspetti emotivi e cognitivi della rabbia. Il riconoscimento di

50
questo legame tra cuore e mente sta aprendo le porte a un nuovo

approccio circa la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione del

paziente cardiopatico; approccio in cui finalmente si torna a guardare

prima la persona e poi la malattia o quantomeno si considera la malattia in

senso olistico. Il legame tra mente e cuore stato dimostrato da numerosi

studi, i quali evidenziano la presenza dinterazioni bidirezionali tra SNC e

apparato cardiovascolare; tali interazioni sono ben visibili in seguito ad

uno stress mentale o a disordini della sfera psicologica. In particolare, il

salto dal disagio psichico alla conseguente alterazione dei parametri

cardio-vascolari reso possibile dallattivazione emozione-mediata del

simpatico. Laumento della scarica nervosa simpatica determina, infatti, un

rialzo della frequenza cardiaca, della domanda di ossigeno e della

pressione arteriosa, dimostrando a tale proposito la natura neurogena

dellipertensione. Secondo gli studi condotti, la regolazione della pressione

arteriosa il frutto del confronto tra il peptide natriuretico atriale che ha il

compito di abbassare la pressione e il sistema renina-angiotensina-

aldosterone, che riveste invece il compito opposto. Studi recenti, esposti

nella pubblicazione Inflammation, Immunity, and Hypertension (Harrison et

al., 2010), sostengono che i linfociti T hanno un ruolo chiave nello sviluppo

dellipertensione mediata dalla angiotensina due. Secondo questo nuovo

paradigma stimoli come langiotensina o il sodio indurrebbero un modesto

rialzo della pressione. Questo iniziale moderato rialzo, spesso definito

come preipertensione porterebbe a una risposta infiammatoria

probabilmente causata dal rilascio di neoantigeni (proteine endogene

51
modificate da ossidazione, frammentazione ecc) che attivano le cellule T.

Le cellule T effettrici raggiungono poi i vasi e i reni, nei quali causano le

alterazioni responsabili dellipertensione severa. Lazione ipertensiva del

sistema renina-angiotensina-aldosterone inoltre completata dalla sua

azione sul sistema nervoso autonomo, con conseguente aumento da

parte di questo del rilascio di adrenalina e noradrenalina le quali

aumentano la forza contrattile cardiaca. LANP invece un fattore prodotto

e rilasciato dai cardiociti nel momento in cui si realizza, con laumento

della volemia, uno stiramento degli stessi. Esso inoltre stimolato dai

glucocorticoidi, che in situazioni di stress, raggiungono con le

catecolamine, elevate concentrazioni. La teoria che sostiene il contributo

dello stress nella patogenesi dellipertensione prende il nome di ipotesi

adrenalinica; secondo questa, in situazioni stressanti si verifica un

aumento dei livelli circolanti di catecolamina, di conseguenza anche la

quantit di adrenalina rilasciata dalle terminazioni simpatiche aumenta.

Ladrenalina rilasciata attiva i recettori beta-adrenergici presinaptici

localizzati sulle terminazioni simpatiche, che facilitando lulteriore rilascio

di noradrenalina, contribuiscono alle variazioni emodinamiche. Per il

passaggio dagli aumenti acuti di pressione (stress dipendente)

allelevazione stabile della pressione stessa stata chiamata in causa una

combinazione tra disfunzione endoteliale e rimodellamento vascolare.

Laumento delle resistenze vascolari nellipertensione sarebbe quindi la

conseguenza da un lato della variazione delle sostanze vasoattive e

dallaltro della modificazione dellarchitettura vascolare. Tali variazioni

52
potrebbero essere la causa del passaggio dalla fase ad alta gettata

allipertensione arteriosa stabile, caratterizzata da aumentate resistenze

vascolari totali. Oltre a influire sulla P.A., stress e disturbi psicologici

agiscono anche sul ritmo cardiaco, causando un innalzamento della

frequenza cardiaca e un abbassamento della sua variabilit. La VFC

(variabilit della frequenza cardiaca), riflette una ridotta stimolazione

parasimpatica e/o unaumentata stimolazione simpatica; inoltre stata

riconosciuta come misura di controllo autonomico, dotata di potere

prognostico nellambito del rischio di aritmie e infarto del miocardio. Bassi

valori di VFC sono stati inoltre osservati in caso di ansia, ostilit e

depressione; la variabilit della frequenza cardiaca , infatti, inferiore nei

coronaropatici depressi rispetto ai coronaropatici non depressi. Questi

dati, nel complesso, confermano ancora una volta, il ruolo del sistema

nervoso autonomo, nel mediare la relazione tra stress e malattia

cardiovascolare. Ma la stimolazione del sistema nervoso simpatico ad

opera dello stress responsabile non solo delle variazioni della P.A. e

della F.C, ma anche di effetti aggiuntivi. Questi comprendono linduzione di

aritmie, laumentata attivit pro-coagulante, lemoconcentrazione e la

disfunzione endoteliale. Le aritmie risultano potenzialmente letali per chi

soffre di cardiopatia ischemica poich aumentano linstabilit elettrica

miocardica e abbassano la soglia per la fibrillazione. Di conseguenza

possibile affermare che lo stress abbia un potenziale aritmogeno in

coronaropatici suscettibili, nei quali pu causare aritmie maligne.

Laumentata attivit pro-coagulante, lemoconcentrazione e la disfunzione

53
endoteliale hanno invece un ruolo nelliniziare e accelerare i processi

aterosclerotici. E stato tuttavia dimostrato che stress e disturbi psicologici

agiscono sul SNC non solo tramite lattivazione del simpatico, ma anche

attraverso lattivazione dellasse ipotalamo-ipofisi.

54
Capitolo 2. I FATTORI PSICOLOGICI DI RISCHIO DELLA

MALATTIA CARDIACA

2.1 Lischemia miocardica da stress mentale

Lischemia miocardica , tra le patologie cardiovascolari, quella pi

tipicamente psicosomatica. Si tratta infatti di una malattia multifattoriale

che oltre ad avere fattori di rischio accertati come: et crescente, sesso

maschile, predisposizione genetica, ipertensione arteriosa, diabete e

dislipidemia sembrerebbe avere tra le sue cause anche fattori psicosociali

tra cui stile di vita, stress mentale, depressione ed ansia.

Relativamente allo stress, questo pu essere definito come uno stato di

disequilibrio conseguente ad una reale o percepita disparit tra le richieste

dellambiente circostante e la personale capacit di sostenere tali

richieste. Nella sua accezione negativa lo stress prende il nome di

distress in riferimento a quella condizione in cui il permanere della

situazione stressante determina la sopraffazione delle capacit di

adattamento della persona. Gli anglosassoni si riferiscono a questa

particolare condizione con lespressione inability to cope ovvero

incapacit a farcela, descrivendo a pieno la sensazione del paziente, che

si sente bloccato in una situazione dalla quale non riesce a uscire

(Molinari et al. 2006).

In base alla durata, lo stress pu essere (A) acuto se consiste in un

episodio singolo dalla durata limitata e (B) cronico se lo stimolo tende a

ripetersi o di lunga durata. Lo stress cronico detto intermittente se si

55
presenta a intervalli regolari e cronico propriamente detto se costituito

da situazioni di lunga durata che diventano stressanti dal momento in cui

rappresentano un ostacolo costante al perseguimento dei propri obiettivi.

Di fronte ad una condizione di stress, la persona risponde con una

sindrome generale di adattamento (GAS) costituita da tre fasi: (1) fase di

allarme, caratterizzata da importanti modificazioni biochimiche, (2) fase di

resistenza in cui si realizza unorganizzazione funzionale in senso

difensivo e (3) fase di esaurimento in cui lincapacit di adattarsi

ulteriormente determina un collasso delle difese.

Lischemia, le radici della cui patogenesi affondano nello stress, prende il

nome di ischemia da stress mentale, in riferimento al verificarsi di

ischemia in episodi mentalmente o emotivamente stressanti. Tutti gli

eventi stressanti sono stati infatti identificati come fattori di rischio

indipendenti per lo sviluppo dellischemia miocardica. A dimostrazione di

ci, nel recente studio INTERHEART, pazienti con infarto del miocardio

riferivano una preponderanza di tutti gli elementi stressanti, considerati

come markers, rispetto ai controlli. I fattori che consentono il passaggio

dallo stress mentale alla cardiopatia ischemica, sono verosimilmente

rappresentati da un aumento dellaggregazione piastrinica e della

coagulazione del sangue e da una diminuzione della fibrinolisi in soggetti

con una preesistente alterazione coronarica. Linfarto del miocardio

infatti un macroevento causato dallocclusione di una coronaria in

conseguenza ad una serie di tappe che portano allo sviluppo della

patologia aterosclerotica. La fase iniziale dello sviluppo della placca

56
rappresentata dalla lesione di Tipo 1 che consiste in una disfunzione

endoteliale in risposta a fattori irritanti (ad es. fumo, ipertensione,

colesterolo LDL, stress emotivo). Ne consegue unaumentata permeabilit

endoteliale che conduce a un accumulo dei lipidi (soprattutto colesterolo

LDL) nella tonaca intima; questo evento iniziale scatena lattivazione dei

macrofagi, a dimostrazione di quanto laterosclerosi non sia altro che una

malattia infiammatoria mediata dal sistema immunitario.

Conseguentemente alla loro attivazione, i macrofagi inglobano i lipidi

trasformandosi in cellule schiumose; inoltre i linfociti T aderiscono prima e

penetrano poi nellendotelio esasperando la risposta infiammatoria. La

natura infiammatoria dellaterosclerosi ancora confermata dal ruolo

chiave svolto da linfociti T e macrofagi, il cui rapporto costituisce il motore

dellinfiammazione cronica. Linsieme di questi eventi iniziali,

accompagnato allaumento dei processi ossidativi nella zona di accumulo

dei lipidi, porta alla formazione delle strie lipidiche. Si tratta di una prima

fase dellaterosclerosi, che pu perdere la sua reversibilit con il

successivo inspessimento della parete vasale indotto dalla migrazione

delle cellule muscolari della media nellintima e nellaumento dellECM. La

successiva angiogenesi e mineralizzazione fanno poi s che la placca sia

rivestita da una capsula fibrosa particolarmente fragile. In seguito alla

rottura della placca, si genera, infatti, un trombo che pu determinare

locclusione del vaso e il conseguente infarto. Anche nel complesso

meccanismo infartuale stata chiamata in causa la relazione tra cuore e

cervello, dimostrata dalla presenza di alti livelli di citochine infiammatorie

57
sia nel cuore che a livello ipotalamico nel momento ischemico. Nello

specifico si visto che la via che connette cuore e cervello costituita da

un percorso bidirezionale che dal cuore, mediante il simpatico cardiano,

raggiunge lipotalamo, che una volta ipereccitato invia un feedback al

cuore percorrendo a ritroso la via simpatica. Si genera come conseguenza

un arco riflesso cuore-cervello che peggiora linfarto miocardico.

Tornando allassociazione tra stress e ischemia cardiaca, negli ultimi anni

sono stati condotti numerosi studi osservazionali sulla MSI con lo scopo di

studiare gli effetti psicosomatici dello stress in pazienti con documentata

arteriopatia coronarica (CAD). Gli studi consistevano nel sottoporre i

soggetti con CAD ad attivit mentali impegnative o a compiti

emotivamente coinvolgenti, mentre erano monitorizzati gli indici

miocardici/cardiovascolari (PA, FC, ECG, perfusione miocardica); in alcuni

studi veniva anche inserita la valutazione dei tratti psicologici. In uno di

questi studi, trenta pazienti con CAD vennero sottoposti a compiti di

aritmetica, considerando come indice di disfunzione del ventricolo sinistro

o di ischemia, una riduzione superiore al 5% della frazione di eiezione. In

15 persone su 30 si osserv un episodio ischemico asintomatico;

sembrerebbe infatti che lischemia da stress mentale si manifesti

prevalentemente in forma silente. Unanalisi del temperamento dei

pazienti coinvolti mostr che quelli interessati dallepisodio ischemico

avevano un carattere pi ostile e rabbioso degli altri. Studi successivi

hanno poi confermato che un profilo psicologico caratterizzato da questi

due elementi sembra essere predominante in soggetti con ischemia. Di

58
conseguenza potremmo dire che i pazienti a rischio di MSI sono individui

incapaci di reazioni positive di fronte ad un evento stressante e che

rispondono invece aggressivamente allo stress emozionale con la rabbia.

Hanno inoltre la tendenza a legittimare la pertinenza di tale atteggiamento

aggressivo nelle interazioni sociali. In conclusione, in condizioni di

laboratorio, provare rabbia pu determinare la vasocostrizione dei

segmenti compromessi delle coronarie dei pazienti cardiopatici.

Unulteriore dimostrazione di ci deriva ancora una volta da esperimenti in

laboratorio, nei quali si anche arrivati a dimostrare una relazione tra

lintensit della rabbia e lincidenza degli episodi ischemici. In presenza di

alti livelli di intensit di rabbia, gli episodi ischemici si ripetevano con una

frequenza doppia rispetto a quando i livelli di rabbia erano bassi. Si

inoltre visto che nel setting di laboratorio, i pazienti pi esposti al rischio di

episodi ischemici nello svolgimento di compiti mentali, erano gli individui

ad alta sensibilit emotiva.

2.2 Cardiopatia coronarica & Depressione

La depressione una sindrome clinica episodica caratterizzata dalla

presenza di almeno cinque, di nove sintomi totali, per un periodo di

almeno due settimane. Tali sintomi comprendono: 1) umore depresso, 2)

diminuzione dellinteresse e del piacere nello svolgimento delle attivit

quotidiane, 3) significativo cambiamento di peso non voluto, 4) disturbi del

sonno, 5) ritardo psicomotorio o agitazione, 6) fatica o perdita delle

energie, 7) sentimenti di inutilit o di colpa eccessivi ed inappropriati, 8)

diminuita capacit di concentrazione, 9) pensieri di morte o di suicidio.

59
Numerose evidenze mostrano la presenza di unassociazione tra

cardiopatia coronarica (coronary heart disease, CDH) e depressione;

sembrerebbe infatti che lumore nero abbia un ruolo causale

nellinsorgenza e nella prognosi della CDH. La depressione da un lato

aumenta infatti il rischio di sviluppo della sindrome coronarica acuta e

dallaltro accresce la probabilit di mortalit/morbilit cardiovascolare in un

paziente con esistente cardiopatia coronarica o in seguito ad un episodio

di sindrome coronarica acuta. A tale proposito, una matanalisi di 11 studi

prospettici ha dimostrato una relazione dose-risposta fra la gravit della

depressione ed il rischio di CDH.

Sebbene lumore negativo possa rappresentare un fenomeno passeggero

per alcuni pazienti in seguito a sindrome coronarica acuta, per altri si tratta

invece di un fenomeno pi persistente; un terzo dei pazienti infatti

manifesta livelli clinicamente significativi di sintomi depressivi nel corso

dellanno successivo allischemia miocardica. A conferma di ci uno

studio condotto da Mayou e colleghi illustra come pazienti che

presentavano dei livelli importanti di ansia e depressione al momento del

ricovero, evidenziavano miglioramenti nel corso dei tre mesi successivi

alla malattia ischemica, ma non un miglioramento continuo nel corso dei

dodici mesi successivi.

Alla base della copresenza del disturbo depressivo e della cardiopatia

coronarica sembrano esserci due meccanismi. Il primo meccanismo

riconducibile alla presenza di processi biologici diretti coinvolti sia nella

depressione che nella CDH; il secondo invece dato dallinfluenza che la

60
depressione pu avere sulla CDH in funzione della sua relazione con altri

fattori di rischio. Tra le caratteristiche comuni riscontrate tanto nella

depressione che nella cardiopatia coronarica troviamo le alterazioni della

funzionalit immunitaria di rilievo nei processi infiammatori. Nello specifico,

nel disturbo depressivo si evidenzia un incremento della citochina pro-

infiammatoria IL-6, la quale insieme allinfiammazione alla base della

patogenesi dellaterosclerosi. Oltre allaumento dellIL-6, tanto nellumore

negativo quanto nella CDH si verifica un innalzamento di altre citochine

infiammatorie come lIL-1 e una crescita dei livelli in fase acuta di proteine

come laptoglobina e lalfa-1-antitripsina. Lincremento dei fattori

infiammatori implicati nella cardiopatia coronarica, come lIL-6

potenzialmente associato anche allaccumulo di tessuto adiposo, il quale

pu essere influenzato dalla depressione. Secondo altri studi invece, la

base del legame tra disturbo depressivo e CDH andrebbe ricercato in una

carenza di Omega-3. Ci sono infatti evidenze che, nella depressione e in

altri disturbi psichiatrici, lequilibrio tra Omega 6 e Omega 3 viene alterato,

con un deficit di questi ultimi. Una buona educazione alimentare potrebbe

di conseguenza dare un contributo rilevante tanto alla depressione quanto

ai disturbi cardiovascolari.

Oltre ai meccanismi immunitari, depressione e CDH sono anche associate

dalliper-attivazione dellasse corticoadrenoipotalamico (HPA) e dal

contemporaneo aumento dei livelli di catecolamine e cortisolo nella

circolazione. Lo stretto legame tra la depressione e lasse dello stress

mette in luce il carattere sistemico della malattia; soggetti depressi hanno

61
infatti unasse dello stress iperattivo, ma soprattutto sregolato. Laumento

del cortisolo contribuisce allo sviluppo della malattia coronarica causando

iperlipidemia, ipertensione e danno endoteliale; mentre lincremento dei

livelli di catecolamine nel sangue influisce sulla progressione della malattia

cardiovascolare, mediante la determinazione di alterazioni della P.A.

Questultima si realizza attraverso lattivazione delle piastrine e il danno

allendotelio della coronaria. I processi corticoadrenoipotalamici non sono

per indipendenti dal legame immunitario. Laumento delle citochine pro-

infiammatorie, in particolare lIL.6, attiva infatti lasse HPA e aumenta la

produzione di cortisolo e catecolamine. La presenza di questo circuito

anche dimostrato dal ruolo del cortisolo come down-regolatore dei

processi infiammatori mediante un meccanismo a feedback. Tale

meccanismo appare tuttavia alterato nel soggetto depresso.

Depressione e CHD sono anche probabilmente collegati da una alterata

regolazione del sistema nervoso autonomo, come suggerito dalla varibilit

dei livelli del battito cardiaco (Heart rate variability, HRV). La diminuzione

dellHRV, che determinata dal generale calo del contributo parasimpatico

al controllo autonomo del battito cardiaco, si associa infatti, tanto alla

depressione quanto ad unaumentata morbilit e mortalit

cardiovascolare. Lassociazione tra umori depressi e ridotta variabilit dei

livelli del battito cardiaco anche suggerita da uno studio che mostra un

calo di HRV in associazione a sentimenti di ansia, disperazione e

nellumore depresso.

62
Il meccanismo causale che sussiste tra depressione e cardiopatia

coronarica anche riconducibile a legami indiretti dovuti ai comportamenti

inerenti alla salute. Nella popolazione femminile ad esempio si sono

osservati maggiori sintomi depressivi nelle fumatrici, seguite dalle ex

fumatrici e dalle non fumatrici. Inoltre tra i giovani dai 15 ai 54 anni,

numerosi studi epidemiologici hanno messo in luce una minore prevalenza

della depressione maggiore in coloro che praticavano una regolare attivit

fisica. Anche una mancata compliance ai consigli clinici pu contribuire al

ruolo della depressione sulla prognosi della cardiopatia coronarica; i

pazienti con CHD meno aderenti ai cambiamenti consigliati nelle abitudini

alimentari e nellesercizio fisico sono infatti quelli che risultano positivi

nella valutazione della depressione.

La valutazione della depressione avviene soprattutto attraverso dei

questionari ti tipo self-report, di cui il pi usato il BDI (Beck depression

inventory) costituito da 21 item raggruppati in base ai sintomi diagnostici

(ad esempio tristezza o pianto). Per ogni item, al paziente viene chiesto di

scegliere una risposta che indica il livello di gravit. Questo appare

direttamente proporzionale allentit del disturbo depressivo.

Coerentemente con quanto detto, la prevenzione e riduzione del rischio di

CDH pu essere intrapresa anche mediante il trattamento della

depressione. Questo deve fondarsi sulla riduzione dello stress e sul

cambiamento dei comportamenti potenzialmente dannosi per la salute;

esistono infatti evidenze che mostrano come unazione in questo senso

conduca a dei risultati promettenti circa la riduzione del rischio

63
cardiovascolare e il miglioramento della qualit della vita del paziente

cardiopatico. Recenti sperimentazioni cliniche hanno studiato il

trattamento dello stress e della depressione in pazienti post-ischemia

miocardica e limpatto che ne risulta sulla morte e sul reinfarto. I risultati

hanno mostrato unaumentata sopravvivenza in coloro per i quali erano

state programmate delle visite infermieristiche a domicilio volte alla

riduzione dello stress; questo dimostra limportanza di offrire ai cardiopatici

unassistenza attenta alla dimensione psicologica. La normalizzazione

dellasse dello stress pu infatti migliorare tanto lumore del paziente

quanto gli outcome in termini di morbilit e mortalit cardiovascolare.

2.3 Ansia e malattia cardiaca

Lansia uno stato emotivo determinato dalla percezione da parte della

persona di una situazione di pericolo ed caratterizzata da specifiche

convinzioni circa lincapacit di predire e controllare determinate

situazioni. Essa insorge dallinterazione delluomo con lambiente e

presenta componenti comportamentali, cognitive e neurobiologiche.

Relativamente alle sue componenti neurobiologiche, va sottolineato che i

circuiti nervosi che sostengono lansia sono tutti quelli implicati

nellattivazione cerebrale: lasse dello stress con il CRH e la noradrenalina

e i circuiti che rilasciano istamina, dopamina e glutammato. Sebbene

quindi il disturbo ansiogeno, al pari di altri disturbi psicogeni, sia connesso

a delle alterazioni della funzionalit cerebrale, la complessit del

fenomeno data dal fatto che dal cervello emerge la vita psichica, che a

sua volta pu modificare la chimica e la fisiologia cerebrale. Inoltre

64
cervello e psiche, come gi sottolineato, mostrano dei potenti collegamenti

bidirezionali con il resto del corpo.

I disturbi dansia sono tra i disturbi psichiatrici maggiormente diffusi, con

unincidenza che supera anche la depressione. Numerosi studi hanno

messo in luce come lansia sia una condizione comune tra i pazienti

cardiopatici, con un tasso di prevalenza del 70-80% tra i soggetti

interessati da un episodio cardiaco acuto e una persistenza in maniera

cronica in circa il 20-25% dei pazienti con CHD. Lelevata incidenza

dellansia, sebbene possa essere una risposta automatica a un evento

cardiaco acuto o alla prospettiva di dover convivere a lungo con la propria

malattia, nel lungo termine o a livelli estremi pu causare importanti

peggioramenti clinici, cos come ostacolare il recupero funzionale. La

copresenza di CHD e ansia rappresenta infatti un ostacolo per la

guarigione fisica dopo un episodio acuto. A tale proposito non

infrequente assistere a casi di disabilit e debilitazione eccessiva rispetto

alle condizioni cliniche in pazienti cardiopatici affetti da uno disturbo

ansiogeno cronico. Questo fenomeno prende il nome di invalidit

cardiaca e costituisce un ostacolo oltre che per la guarigione anche per

ladattamento psicosociale alla CHD, con un prolungamento dei tempi

entro cui il paziente riprende lattivit lavorativa e la minore capacit

dellindividuo di apprendere e mettere in pratica i cambiamenti dello stile di

vita necessari.

Lansia sembrerebbe associata alla cardiopatia coronarica su due livelli:

uno di natura fisiologica e uno comportamentale. Relativamente al primo

65
stato dimostrato che, eventi psicologici di stress, tra cui lansia, inducono

ad uniperattivazione della branca simpatica del sistema nervoso

autonomo, provocando di conseguenza il rilascio di norepinefrina ed

epinefrina. I livelli ematici di questultima importante catecolamina hanno

una correlazione positiva con i cambiamenti della frequenza cardiaca,

della pressione arteriosa e della gittata sistolica, a dimostrare ancora una

volta come il cuore sia il principale e pi importante organo a ricevere

imput dal cervello. Oltre a presentare un incremento della PA, della FC e

della gittata, pazienti con elevati livelli dansia presentano una diminuzione

del tono vagale, a dimostrazione della prevalenza del simpatico sul

parasimpatico. In condizioni fisiologiche, nel momento in cui si verifica

uniperattivazione di una branca del simpatico, i barocettori rilevando i

cambiamenti della pressione e le modificazioni del flusso, inibiscono o

stimolano SNS e SNP. Tuttavia lansia stata associata a una ridotta

sensibilit baroflessiva nei pazienti cardiaci; di conseguenza in cardiopatici

particolarmente ansiosi si realizza una reattivit cardiovascolare (CVR)

eccessiva. Con questa espressione sintende una generalizzata

propensione a rispondere a stimoli comportamentali con reazioni

cardiovascolari di una certa grandezza. Unaumentata CVR, che si

manifesta con alterazioni prolungate della PA, della FC, della gittata e

della resistenza periferica totale, pu contribuire allo sviluppo di disturbi

cardiaci in relazione alla maggiore predisposizione a sviluppare

trombogenesi, aritmogenesi, ischemia miocardica, allaumentata richiesta

di ossigeno da parte del miocardio e alla ridotta funzione ventricolare.

66
Riguardo alla trombogenesi, sembrerebbe che ansia e stress mentale

determinino unaumentata attivazione delle piastrine e un incremento

dellematocrito, causando una ricorrente formazione di trombi che pu

determinare una sofferenza ipossica del miocardio. Questa

particolarmente frequente nel cardiopatico con elevati livelli di stress,

poich con laumento delle catecolamine, sale la richiesta di ossigeno e di

conseguenza si realizza un disequilibrio tra la quantit di ossigeno fornita

dal sistema circolatorio e quella richiesta dal miocardio. Di fronte ad

unaumentata richiesta di ossigeno, lo stress dovrebbe determinare una

vasodilatazione coronarica, tuttavia questo non si verifica in pazienti con

una cardiopatia coronarica, nei quali si realizza invece unimportante

vasocostrizione. Il restringimento arterioso, che si realizza

prevalentemente nei tratti stenotici o irregolari, sembrerebbe secondario

alla disfunzione endoteliale che rende le coronarie pi sensibili agli effetti

costrittori delle catecolamine. Di conseguenza innegabile che lansia e lo

stress mentale siano importanti fattori dinnesco dellischemia miocardica.

Lansia gioca un ruolo importante anche nella fase post-infartuale; alcuni

studi nord-americani hanno evidenziato a tale proposito, che il 10% - 26%

dei pazienti affetti da infarto del miocardio sperimentano livelli di ansia

maggiori rispetto ai pazienti con diagnosi di disturbo psichiatrico.

Condizione ansiosa e stress mentale possono determinare, in pazienti con

infarto miocardico acuto, una ridotta funzione ventricolare. La disfunzione

sistolica determina un aumento della pressione capillarica polmonare,

mentre il mal funzionamento diastolico alla base di un aumento dei livelli

67
della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. Inoltre lansia post-

infartuale rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di

complicanze quali laritmia letale, lischemia permanente e la recidiva

dinfarto. Si tratta quindi di un fattore predittivo dei tempi di sopravvivenza

e della qualit di vita in seguito a infarto miocardico acuto.

Ansia e malattia cardiaca sono collegate non solo da meccanismi

fisiopatologici, ma anche da meccanismi comportamentali. Questi sono

rappresentati da condotte pericolose che influiscono sullincidenza e sulla

progressione della malattia cardiaca. Infatti individui con elevati livelli di

ansia, rispetto a soggetti non ansiosi, possono fumare, dormire male,

seguire una dieta meno salutare, non aderire alla terapia, non praticare

esercizio fisico.

Per completare la nostra trattazione sul tema ansia e malattia cardiaca

importante citare il ruolo del disturbo ansiogeno nello sviluppo

dellipertensione arteriosa. Numerosi studi hanno infatti dimostrato

unassociazione tra episodi cronici di emotivit negativa, in particolare

ansia, rabbia e depressione e il disturbo ipertensivo. I meccanismo

psicologici che influenzano il rischio di ipertensione sono sia

comportamentali che fisiopatologici. Nella prima categoria rientrano: fumo,

obesit e sedentariet che registrano valori pi alti in pazienti con elevati

livelli di stress. Della categoria fisiopatologica fanno parte invece tutti quei

meccanismi normalmente citati come fattori di rischio per lo sviluppo della

malattia cardiovascolare. Questi comprendono: iperattivazione del sistema

68
nervoso simpatico, rimodellamento vascolare, vasocostrizione e

alterazioni nella regolazione neuroendocrina.

Compresa lestrema frequenza dellansia nel cardiopatico e il suo ruolo

nello sviluppo e nella prognosi della malattia cardiovascolare, il

trattamento psicologico del paziente ansioso appare di notevole

importanza per migliorare il processo di guarigione e scongiurare il rischio

di recidiva.

2.4 Personalit e malattia cardiaca

Il ruolo della personalit nellinsorgenza di patologie cardiovascolari come

linfarto e la malattia coronarica oggi riconosciuto sia nellambito medico,

che in quello psicologico. A tale proposito, sono tre i modelli

comportamentali che secondo i ricercatori aumenterebbero il rischio di

incorrere in una malattia cardiaca: il modello comportamentale di tipo A, la

personalit di tipo D e il temperamento ostile/rabbioso.

Di personalit di tipo A, si inizia a parlare per la prima volta nella met

degli anni 50, quando un gruppo di cardiologi americani, tra i quali

spiccano Jenkins, Rosenman e Friedman ipotizzano che tra i fattori di

rischio per la malattia cardiaca ci sia anche una specifica modalit

emotivo-comportamentale di rispondere a determinati stimoli ambientali. Si

trattava, nello specifico, di un atteggiamento caratterizzato da

competitivit, impazienza, aggressivit, senso di urgenza, desiderio di

riconoscimento e ostilit. Se negli anni 50, questo profilo di personalit

poteva sembrare isolato e raro nel mare dei numerosi temperamenti

69
americani, appare pi attuale che mai nellodierna cultura occidentale.

Non a caso, il modello comportamentale di tipo A considerato la

conseguenza di quellambiente sociale e di quella cultura, oggi

ampiamente diffusa, che incita a vivere pi rapidamente ed

aggressivamente. Ne consegue unincessante lotta umana per

raggiungere sempre di pi in sempre minor tempo, anche contro quegli

ostacoli normalmente posti da cose e persone, che lindividuo di tipo A

affronta con estrema rabbia ed ostilit.

Tuttavia, gli sperimentatori illustrano come questo tipo di comportamento

reattivo, emerga soltanto in specifiche situazioni valutate come difficili e

nei confronti delle quali, le persone con un modello comportamentale di

tipo A, si sentono insicure e inadeguate. Alla base dellinsorgenza dei tipici

comportamenti del fenotipo A stanno infatti 2 precisi schemi cognitivi di

autovalutazione: 1) devo provare a me stesso di valere attraverso il

raggiungimento di traguardi importanti e socialmente riconosciuti, 2) credo

che le risorse necessarie per avere successo in mio possesso siano

scarse e insufficienti. Sarebbe quindi la mancanza di fiducia nelle proprie

capacit, in situazioni percepite come importanti o incontrollabili, a far

emergere la personalit di tipo A. In questottica, lo specifico

comportamento di reazione di tipo A, servirebbe ad evitare o a ridurre i

giudizi negativi provenienti tanto dagli altri che da se stessi.

Ma ci che rende questo modello comportamentale degno di essere

trattato, non solo lo stretto legame causale con la malattia cardiaca, ma

anche la modalit automatica e inconsapevole con cui i processi cognitivi

70
che ne sono alla base, si realizzano. Di conseguenza, se posso, pi o

meno facilmente, decidere di smettere di fumare, in quanto azione conscia

e volontaria, molto pi complesso sar accantonare inclinazioni

multifattoriali come laggressivit sociale, la rabbia, lestrema competizione

e ambizione di carriera, la sospettosit e lostilit. Questultima in

particolare, intesa come un insieme di: cinismo, sfiducia, rabbia e

approccio negativo alle relazioni interpersonali, stato dimostrato avere

una forte azione nefasta sullapparato cardio-circolatorio. Da un punto di

vista fisiopatologico, lostilit determina un aumento di FC e PA inducendo

unesagerata reazione a stimoli ambientali stressanti e danno endoteliale.

La compromissione dellendotelio anche il frutto, in persone ostili,

dellaumento dellomocisteina, un amminoacido derivato dalla metionina

avente un ruolo chiave nel processo di aterogenesi.

Affrontando ancora il ruolo del modello comportamentale di tipo A come

fattore di rischio cardiologico, sembra che individui interessati da questo

tipo di personalit, abbiano unincidenza doppia di sviluppare una

cardiopatia ischemica rispetto a soggetti non-A. Processo causale principe

di questa associazione laumentata reattivit cardiaca sotto stress in

tutte le sue varie misure (elevata produzione di catecolamine, elevati livelli

di corticosteroidi, iperattivit simpatica). A dimostrazione di ci, utile

ricordare che la stimolazione del sistema nervoso simpatico provoca un

innalzamento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e del

rilascio di catecolamine; mentre un innalzamento del livello dei

corticosteroidi contribuisce al processo aterosclerotico mediante la

71
stimolazione dellattivit enzimatica di sintesi delle catecolamine e

linibizione degli enzimi preposti alla loro degradazione.

Linnalzamento della reattivit cardiaca anche stimolato dal testosterone,

il quale sembrerebbe avere dei livelli pi alti in soggetti con pattern di tipo

A.

Ma come si arriva a comprendere se un individuo presenta o meno un

modello comportamentale di tipo A? Attualmente esistono due diverse

tecniche: il VCE (esame clinico videoregistrato) e il questionario

autosomministrato. Il VCE costituito da un insieme di domande volte a

indagare la presenza di sintomi, tratti e segni psicomotori relativi alle due

principali componenti del pattern di tipo A: il senso di urgenza del tempo e

lostilit fluttuante. Mediante questo esame, possibile individuare tre

livelli di comportamento di tipo A: molto grave (punteggio da 100 a 400),

grave (punteggio da 100 a 149), da moderato a nullo (punteggio da 0 a

99).

Tabella 1.Esame clinico videoregistrato

Manifestazioni di senso di Manifestazioni di ostilit fluttuante

urgenza di tempo

*sintomi e tratti *sintomi e tratti

-consapevolezza della propria -andare in collera frequente mentre si

fretta guida

72
Manifestazioni di senso di Manifestazioni di ostilit fluttuante

urgenza di tempo

-ammonimento degli altri di -non credere allaltruismo

rallentare
-insonnia causata da rabbia o

-premura nel camminare, nel frustrazione

mangiare e lasciare la tavole


-difficolt cronica nelle relazioni filiali

-intensa avversione per il dover


-tensione o competizione tra coniugi
aspettare in fila
-instabilit facilmente provocata
-puntualit estrema

*segni psicomotori *segni psicomotori

-postura tesa -ostilit facciale

-inspirazione forzata di aria -pigmentazione peri-orbitale

-tensione facciale cronica -ritrazione bilaterale dei muscoli della

bocca (tic)
-eccessivo sudore facciale

-qualit vocale ostile


-elevazione dei sopraccigli (tic)

-ritrazione della palpebra (tic)

Fonte: Molinari et al. Mente e cuore, clinica psicologica della malattia

cardiaca. Milano: Springer-Verlag;2006.

73
La seconda modalit di valutazione data da una serie di questionari

autosomministrati. Tra questi i pi popolari sono il JAS (Jenkins Activity

Survey) che prende in considerazione 3 fattori (velocit e impazienza,

coinvolgimento lavorativo e comportamento fortemente motivato) e la

MTABS (Multidimensional Type A Behavior Scale) che analizza la

presenza di 5 fattori (ostilit, impazienza-irritabilit, forte motivazione al

raggiungimento degli obiettivi, rabia e competitivit).

Nel 1995 si aggiunge al pattern di tipo A, un altro modello di personalit

riconosciuto come ipotetico fattore di rischio per la cardiopatia coronarica;

si tratta della personalit di tipo D, dove D sta per distressed

personality ovvero personalit angosciata. Si tratterebbe di individui

particolarmente propensi a sperimentare emozioni negative ma con la

tendenza ad inibirne lespressione all interno delle relazioni sociali. Quello

a cui si fa riferimento non semplicemente uno stato emotivo transitorio,

ma una tonalit emotiva cronica che pervade in modo stabile, il rapporto

che la persona ha con se stessa e con gli altri. La visione pessimistica

della vita, la facile irritabilit, lansiosit e la mancata esternazione emotiva

guidata dalla paura di essere rifiutati o disapprovati determina nei soggetti

con pattern di tipo D un rischio di morte quattro volte superiore rispetto agli

individui non D. Oltre a determinare in modo diretto una prognosi

cardiologica sfavorevole, la personalit di tipo D agisce anche

indirettamente promuovendo lo sviluppo di fattori psicologici e

comportamentali di rischio cardiaco transitori come: depressione,

esaurimento vitale, rabbia, pessimismo e distacco sociale.

74
Il collegamento tra malattia cardiaca ed emozioni negative duplice

poich interessa tanto lesordio quanto la prognosi della patologia.

Relativamente alla patogenesi della malattia cardiaca, entra in gioco

ancora una volta il sistema immunitario, emersa infatti unimportante

associazione tra personalit di tipo D e un maggior livello della citochina

proinfiammatoria TNF-alfa. Per quanto riguarda invece la prognosi di

malattia, oramai dimostrato come laffettivit negativa possa interferire

negativamente sulla capacit di fronteggiare in modo positivo la malattia

fisica. Il risultato che la combinazione delle emozioni negative e del

modo di fronteggiarle risulta essere un importante determinante per la

salute cardiaca. Lo strumento impiegato per la misurazione della

personalit di tipo D il DS14; questo si costituisce di 14 item e si divide

in due sotto-scale: affettivit negativa (AN) e inibizione sociale (IS). Per

poter parlare di personalit di tipo D necessario un punteggio 10 in

entrambe le scale.

Unaltra componente nociva per la patologia coronarica sembra essere

lostilit. Lo schema cognitivo ostile caratterizzato da una serie di

elaborazioni mentali costituite da sfiducia clinica e sospettosit verso gli

altri, considerati una possibile fonte di attacco e prevaricazione. In

particolare la persona con temperamento ostile teme di essere vittima di

un danneggiamento sul piano sociale. Questa convinzione lo conduce a

sperimentare uno stato mentale di vigilanza nei confronti degli atti altrui e

ad assumere un atteggiamento difensivo nelle relazioni interpersonali. Tale

condotta pu essere considerata un meccanismo di fuga

75
(comportamentale o cognitiva) dai conflitti interpersonali e dalla minaccia

di essere valutati, al fine di garantire la salvaguardia della propria

autostima. Sfiducia e valutazione negativa dellaltro (atteggiamento di

evitazione), si contrappongono nel soggetto ostile ad un bisogno di

approvazione (atteggiamento di avvicinamento). Il desiderio di

accettazione sociale pu essere tanto marcato da indurre uno stato di

malessere fino a sperimentare ansia e depressione. Questo

atteggiamento bipolare dellindividuo, che da un lato desidera

approvazione, ma dallaltro manifesta una sfiducia clinica verso la

possibilit altrui di fornire laccettazione e rassicurazione volute, prende il

nome di conflitto avvicinamento-evitamento. In un contesto di conflitto

sociale, la coattivazione di tendenze di evitamento ed avvicinamento

genera da un lato tentativi di lotta e sforzo e dallaltro perdita di controllo e

suborbinazione. Lotta e sforzo vanno intesi come comportamenti

agonistici volti a respingere con modalit anticipatoria attacchi sul piano

interpersonale; latteggiamento di subordinazione invece finalizzato a

mantenere una condizione di approvazione sociale.

Sembra che nel corso della vita questo conflitto sociale avvicinamento-

evitamento induca uno stato cronico di attivazione fisiologica, direttamente

connesso allo sviluppo della cardiopatia coronarica. Questo reso

possibile dal fatto che ad ogni schema comportamentale corrisponde una

tipica attivazione del sistema nervoso autonomo; levitamento connesso

allattivazione dellasse simpato-adreno-midollare, mentre lavvicinamento

determina linduzione dellasse cortico-adeno-ipofisario.

76
Alterazioni ricorrenti ed eccessive dellasse simpato-adreno-midollare

determinano danno endoteliale e lesioni aterosclerotiche per mezzo di

fattori quali: la liberazione di catecolamine ed alti livelli di reattivit

cardiovascolare. La reattivit cardiovascolare, rappresentata da unalta

frequenza cardiaca a riposo, aumenterebbe il rischio di insorgenza della

malattia cardiovascolare in uomini con un profilo ostile, per lassociazione

esistente tra lalta frequenza cardiaca a riposo e i livelli aterogenici di lipidi

Unalterazione eccessiva e frequente dellasse cortico-adreno-ipofisario

potrebbe invece causare linsorgenza di lesioni aterosclerotiche per mezzo

della capacit del cortisolo di rilasciare acidi grassi liberi ed aumentare la

responsivit del sistema nervoso simpatico. Kop ipotizza infatti che un

temperamento ostile cronico possa innescare reazioni acute (ad esempio

la rabbia) ed episodiche di stress (umore depresso, esaurimento) con

conseguente liberazione di cortisolo. Lattivazione del cortisolo potrebbe:

a) reprimere il funzionamento del sistema immunitario e aumentare la

vulnerabilit alle infezioni, contribuendo cos al danneggiamento delle

arterie, b) favorire leccessivo rilascio di acidi grassi liberi, c) aumentare la

reattivit del sistema nervoso simpatico che se frequente e cronica pu

determinare importanti danni vascolari.

Nel corso della vita, la coattivazione di entrambi i sistemi (di avvicinamento

e di evitamento) e la conseguente stimolazione dellasse cortico-adreno-

ipofisario e simpato-adreno-midollare, se combinata ad una dieta

iperlipidica pu determinare un rialzo delle LDL e favorire linfiammazione

legata alle lesioni aterosclerotiche.

77
E stato evidenziato che la combinazione di ipertensione arteriosa e

aterosclerosi diffusa a livello del SNC pu influire in modo sfavorevole

sulle funzioni cognitive; tra queste la memoria pu essere danneggiata in

modo diretto anche dai glucocorticoidi. Questo risulta importante se

consideriamo che lottimale modulazione delle emozioni e gestione dello

stress strettamente legata con le funzioni cognitive. E possibile, di

conseguenza, che se si verifica una compromissione cognitiva, si abbia un

impoverimento delle strategie di coping a causa di una rallentata

elaborazione delle informazioni e inefficace capacit di riportare alla

memoria esperienze passate. Le inadeguate strategie di coping a loro

volta possono aumentare lostilit difensiva e quindi rafforzare la cascata

di eventi che favoriscono o esarcebano lo sviluppo della cardiopatia

coronarica.

Nonostante le importanti evidenze circa il ruolo dellostilit nello sviluppo

della patologia vascolare e cardiaca, la letteratura in grado di supportare

questa associazione ancora relativamente modesta. Di conseguenza

non si conosce ancora molto riguardo alle possibili variabili moderatrici

(fattori di rischio legati allo stile di vita o al patrimonio genetico); quindi

auspicabile che siano condotti ulteriori studi per indagare in modo pi

completo le influenze somatogeniche, biopsicosociali e psicogeniche.

Il legame tra salute fisica, personalit e fattori emotivi sempre stato

evidente sin dagli arbori della pratica medica; forti di questa conoscenza e

delle evidenze che la sostengono, importante nella cura del corpo, porre

78
la giusta attenzione alla mente e in particolare allatteggiamento della

persona nei confronti di s, della propria malattia e dellambiente esterno.

79
PARTE 4: IL POTERE DEI FATTORI PSICO-EMOTIVI

NELLA RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE

CARDIOPATICO E LA PRESA IN CARICO

PSICOSOMATICA DA PARTE DELLINFERMIERE

Capitolo 1: La riabilitazione cardiovascolare

La Riabilitazione Cardiovascolare (RCV) viene definita come: somma

degli interventi richiesti per garantire le migliori condizioni fisiche,

psicologiche e sociali in modo che i pazienti con cardiopatia cronica o

post-acuta possano conservare o riprendere il proprio ruolo nella societ

(Cirrottola et al. 2003). Gli obiettivi della RCV prevedono la riduzione della

disabilit intesa come perdita delle capacit funzionali, il recupero dello

svolgimento delle attivit di vita quotidiana, il reinserimento sociale

dellindividuo e il mantenimento del massimo livello possibile di benessere

psicofisico della persona (Bettinardi et al.2014). Tali risultati mirano

complessivamente a ridurre il rischio di nuovi eventi cardiovascolari e a

ripristinare una qualit di vita compatibile e ottimale al proprio stato di

salute. Nello specifico la qualit di vita viene intesa dallOMS come la

percezione che gli individui hanno della loro posizione nel contesto della

cultura e del sistema di valori nel quale vivono, e in relazione ai loro

obiettivi, alle loro aspettative, ai loro standard e alle loro preoccupazioni

(The WHOQOL Group, 1994).

80
In ambito sanitario, indipendentemente dal quadro clinico, e quindi dalla

funzionalit oggettiva, ci che importante la percezione che il paziente

ha del proprio benessere. In altre parole limpressione che il paziente ha

dellimpatto della malattia e del trattamento che ne consegue.

La cardiologia riabilitativa si avvale di un team interdisciplinare composto

da cardiologo, infermiere, fisioterapista, dietologo e psicologo che

collaborano in sinergia al fine di elaborare ed attuare il PRI ovvero il

Progetto Riabilitativo Individuale (Bettinardi, 2014).

Il PRI, predisposto allingresso dal cardiologo in collaborazione con

lequipe, rappresenta lo strumento specifico, sintetico e organico, unico

per ciascuna persona, che permette di definire la prognosi, le aspettative,

le priorit del paziente e pervenire alla stesura di un profilo di

funzionamento che identifichi i bisogni del paziente rispetto alle barriere e

ai facilitatori personali e ambientali. Elementi essenziali del PRI sono

linformazione e partecipazione consapevole alle scelte terapeutiche da

parte del paziente che ne al centro, della famiglia e del suo contesto di

vita. Il PRI deve ovviamente tener conto del grado di complessit clinica

dellassistito, della disabilit e della multimorbilit e fragilit del paziente

anziano. La CPR articola il suo percorso attraverso i seguenti interventi:

valutazione del paziente e assistenza volta alla stabilizzazione

clinica

valutazione del rischio cardiovascolare globale residuo

81
definizione della terapia con interventi specifici sulladerenza a

medio e lungo termine

prescrizione dellattivit fisica con counseling specifico

valutazione e counseling nutrizionale

management del peso corporeo, del Body Mass Index (BMI) e

della circonferenza vita

management del profilo lipidico

controllo e management della pressione arteriosa e della

frequenza cardiaca

interventi per la cessazione del fumo

interventi psico-relazionali mirati alla gestione del disagio emotivo e

alla promozione delladerenza a lungo termine agli stili di vita

salutari

supporto per il reinserimento sociale

La valutazione degli oucome riabilitativi avviene mediante lutilizzo

dindicatori biometrici. Tra questi, meritano di essere citati gli indici di

performance cardiaca durante lesercizio fisico MET e RFC; entrambi

considerati oltre che outcome della riabilitazione cardiaca, predittori della

mortalit cardiaca e generale (Molinari et al., 2006).

82
Il MET, indicatore della quantit di ossigeno consumata a riposo, descrive

la capacit funzionale di un individuo e la sua tolleranza allesercizio. Tale

indicatore biometrico viene determinato tramite un test di esercizio

progressivo ed soggetto a miglioramento dopo attivit fisica; questo

stato documentato da un recente studio condotto su 6213 persone che ha

dimostrato che per ogni unit di aumento dei MET nella capacit di

esercizio fisico, vi era un aumento del 12% della possibilit di

sopravvivenza.

LRCF indica invece la diminuzione della FC dal momento di massimo

sforzo al momento successivo al termine dellesercizio. Si tratta anche di

un predittore della mortalit generale poich un ritardo nella diminuzione

della FC dopo il primo minuto di esercizio graduale potrebbe indicare una

diminuita attivit vagale, la quale viene riconosciuta come fattore di rischio

del grado di mortalit. Lesercizio fisico, in un programma di riabilitazione

cardiaca, favorisce la funzione di riattivazione del tono vagale e quindi una

stabilizzazione della RFC su range fisiologici.

Lo studio degli outcome di riabilitazione cardiaca mediante lanalisi

statistica non lineare ha dimostrato lesistenza di aspetti psicologici

connessi al rischio cardiaco per RFC e MET.

Lanalisi statistica non lineare, si basa sullutilizzo di sistemi artificiali

adattativi che permettono, rispetto allanalisi discriminativa di tipo lineare,

di classificare e stimare problemi che coinvolgono un vasto numero di

variabili non omogenee. Ha perci un potere predittivo maggiore rispetto

83
alle analisi statistiche tradizionali circa lo studio dellindividuo e del

binomio salute-malattia. Lindividuo, e quindi la patologia, sono infatti il

frutto di complesse interazioni dinamiche tra il substrato biologico, le

variabili psicologiche e il contesto socio-ambientale. A tale proposito,

ormai generalmente condiviso come i fattori di rischio psicosociali abbiano

un impatto significativo sullincidenza e sul decorso della patologia

cardiaca, di conseguenza si pone lesigenza di affrontare il processo di

riabilitazione cardiaca operando a diversi livelli e prendendo in

considerazione non solo la dimensione medica, ma anche quella mentale,

emotiva ed ambientale.

Relativamente alla dimensione emotiva, tanto il rischio cardiaco per lRFC

quanto quello per il MET si associano ad aspetti psicopatologici.

Relativamente al MET, il profilo psicologico del paziente con una

condizione di rischio cardiaco caratterizzato da: ansia di tratto,

depressione e tratti ossessivo-compulsivi. Si tratta di pazienti con una

personalit ansiosa che tendono a percepire situazioni stressanti come

pericolose e minacciose (ansia di tratto). Questo conduce la persona a

preoccupazioni eccessive, soprattutto in situazioni nuove, forse in

relazione al bisogno di mantenere il controllo su tutto ci che avviene

intorno, cercando cos di placare lansia o il sentimento di impotenza. Si

tratta di un importante fattore di rischio poich la persona sperimenta

continuamente unattivazione fisiologica, che a lungo termine pu causare

danni al sistema cardiocircolatorio. Inoltre la continua tensione emotiva,

pu condurre ad assumere comportamenti a rischio (tabagismo, eccessiva

84
alimentazione, comportamenti compulsivi) volti a cercare di ridurre il carico

di tensione e/o a ripristinare il controllo. Oltre allansia di tratto la persona

sperimenta un abbassamento del tono dellumore fino ad uno stato

depressivo; tale condizione emotiva probabilmente connessa alla

diminuzione delle capacit funzionali, alla paura della morte e alla perdita

di speranza legata alla consapevolezza di convivere con una condizione

patologica legata ad un elevato tasso di mortalit. Secondo C. Welin et al.

(2000) la presenza di depressione, in seguito ad un infarto del miocardio,

in grado di influenzare negativamente la prognosi. Nello specifico

Molinari et al. (2006) sottolineano come il percorso riabilitativo risenta

dellumor nero poich questo tende a indurre comportamenti disfunzionali

(tabagismo, iperalimentazione, abuso di alcol, inattivit fisica) volti a

ridurre, seppur per un tempo limitato, il senso di sconforto dovuto alla

condizione cardiaca. Altro tratto psicopatologico del paziente con una

condizione di rischio cardiaco relativamente al MET il disturbo

ossessivo-compulsivo (DOC). Il DOC caratterizzato da: eccessiva

preoccupazione per lordine, perfezionismo, eccessiva attenzione per le

regole, necessit di avere il controllo sullambiente circostante; spesso a

scapito di flessibilit, apertura a nuove prospettive ed efficienza.

Leccessiva attenzione ai dettagli e le maniacali procedure di controllo, in

cerca di eventuali errori, possono portare lindividuo a perdere di vista il

fine ultimo dellattivit, non riuscendo, di conseguenza, ad ultimarla.

Alcune caratteristiche del disturbo ossessivo-compulsivo, si

85
sovrappongono con le caratteristiche della personalit di tipo A ad

esempio per quanto riguarda ostilit, competitivit e frettolosit.

Anche i pazienti con rischio cardiaco associato allRCF presentano tratti

ossessivo-compulsivi, che si associano ad una marcata paura del rifiuto

sociale (fobia sociale). DOC e fobia sociale possono infatti essere messi in

relazione ipotizzando che i comportamenti compulsivi servano a gestire

lintensa preoccupazione derivante dalla situazione sociale temuta. Per

fobia sociale sintende infatti una paura marcata e persistente riguardante

situazioni sociali o prestazionali che possono generare imbarazzo e timore

si essere esclusi o giudicati ansiosi, deboli o stupidi. Frequentemente nelle

situazioni sociali temute si assiste a sintomi dansia fino a sperimentare

nei casi pi gravi degli attacchi di panico. Il timore di essere giudicati e/o

esclusi pu interferire con la routine quotidiana e la persona a causa dei

limiti autoimposti (che hanno lobiettivo di evitare situazioni ansiogene)

pu presentare un disagio significativo. Levitamento di situazioni sociali

pu influire negativamente sulla condizione cardiaca del paziente, poich

stato dimostrato come il supporto sociale (o la percezione di poterlo

ricevere) abbia un ruolo significativo nel miglioramento della compliance e

del benessere generale e sulla messa in atto del processo di coping.

86
Capitolo 2: Linfermiere nel PRI: la presa in carico

psicosomatica dellassistito

Lo strumento per la realizzazione della riabilitazione cardiologica , come

precedentemente detto, costituito dal PRI, composto da una serie di

interventi multiprofessionali condotti dal team riabilitativo. Allinterno

dellequipe ha un ruolo chiave linfermiere che, in virt della sua vicinanza

al paziente, il professionista che ha la potenzialit di rendere il PRI pi

umano ed olistico.

Perno della continuit assistenziale, linfermiere accompagna lassistito in

tutti i momenti che scandiscono la giornata allinterno della degenza

cardiologica. Il contatto che, come conseguenza, si istaura tra i due

genera una fiducia reciproca e una confidenza tale, da permettere

allinfermiere di scoprire il paziente sotto differenti aspetti, rintracciando gli

indizi del suo mondo interiore, del suo temperamento, della sua sofferenza

e della vera natura della sua disabilit. Quella disabilit a cui il progetto

riabilitativo si rivolge e che coincide con un malfunzionamento della

persona in toto che, seppur scatenato da una menomazione dorgano, in

realt la risultante di un insieme di fattori psicologici, emozionali, sociali ed

ambientali. Linfermiere, consapevole della vera natura della disabilit, in

cui il somatico e lo psichico si mescolano, realizza una presa in carico

psicosomatica del cardiopatico, attuando degli interventi, il cui obiettivo

non strettamente mirato al recupero funzionale cardiaco, in quanto

obiettivo rigorosamente biomedico, ma alla riabilitazione del paziente

87
cardiopatico in toto. Questa coincide con il recupero delle abilit

danneggiate o perdute; attivit e abilit vanno infatti intese come elementi

costitutivi del funzionamento della persona, il quale non pu essere ridotto

al funzionamento dorgano. Tale risultato si plasma perfettamente con la

sua responsabilit deontologica di assistere, curare e prendersi cura della

persona globalmente intesa (art 3. Codice Deontologico.)

Se il recupero funzionale cardiaco, pu essere monitorizzato con indicatori

biomedici (a partire dalla frazione di eiezione ventricolare), la riabilitazione

del paziente globalmente inteso, ha invece come parametri misure

personometriche riferite alla persona unica ed indivisibile. Si tratta di

variabili come dolore, autosufficienza, soddisfazione, depressione e

conoscenza che interagendo con il concetto di disabilit, forniscono una

misura di outcome valida per quantificare il giudizio globale e soggettivo di

miglioramento (Molinari et al. 2006).

Loutcome, ovvero la misura di esito della riabilitazione, coincide con il

risultato complessivo ottenuto sulla persona nel suo complesso, grazie

agli interventi attuati nel contesto del PRI. Loutcome tiene conto

delleffetto dellinterazione persona-ambiente e della percezione del

risultato da parte della persona stessa e a lungo termine pu essere

costituito dalla riduzione del rischio di mortalit o dalla ripresa dellattivit

lavorativa. In questa prospettiva, indici di riabilitazione cardiaca come

laumento della frazione di eiezione ventricolare, andrebbero intesi come

output (risultati di processi intermedi) piuttosto che come outcome. E come

lintero non pu essere dedotto da una sua singola parte, cos loutcome

88
non pu essere tratto linearmente e unicamente da output rappresentati

da misure di funzioni corporee.

Inoltre il rapporto tra recupero dorgano e recupero della persona poco

prevedibile poich esso non rispetta una casualit diretta. Nonostante

tutto ci sembri essere inconfutabile, in cardiologia questo non appare

cos evidente. Se si ottiene un miglioramento cardiaco infatti, non c

motivo per il quale anche nel paziente non si abbia un cambiamento

favorevole, nel senso che egli riuscir necessariamente a svolgere le

attivit che gli erano state precluse. In questottica la cardiologia sarebbe

quindi sempre riabilitativa, ma solo in parte questo risulta vero. Prendiamo

come esempio un paziente reduce da IMA; la frazione di eiezione passa,

con lintervento cardiologico, dal 20 al 50%, questo dovrebbe gi garantire

che il paziente torni a svolgere la maggior parte delle attivit nella misura

o nella modalit normali per un essere umano, ma lincertezza

sulloutcome individuale resta. Ad esempio il paziente potrebbe decidere di

non uscire pi di casa perch si istaurata una grave sindrome

depressiva o perch in pochi mesi aumentato molto di peso. Dunque

loutcome va misurato direttamente e non pu essere dedotto dalla

frazione di eiezione ventricolare (Molinari et al. 2006). In questottica non

si dovrebbe parlare quindi di riabilitazione cardiologica ma di riabilitazione

del paziente cardiopatico. Linfermiere psicosomatico, consapevole di

come la genesi e il decorso della malattia siano fortemente legati alla

storia emozionale della vita della persona, si inserisce nel progetto

riabilitativo con interventi psico-relazionali.

89
Linfermiere, coerentemente con la nuova identit della professione

infermieristica, definita in Italia da provvedimenti legislativi e dal codice

deontologico del 2009, svolge infatti unattivit professionale complessa

che ha una natura relazionale ed educativa, oltre che assistenziale.

Nellambito della riabilitazione cardiologica, gli interventi psico-relazionali

sono aspetti importanti nella gestione del paziente cardiopatico, in quanto

capaci di promuovere la stabilit clinica e di determinare, in termini di

spesa sanitaria, una riduzione dei costi e della frequenza di

reospedalizzazione. Il metodo per lattuazione degli interventi

infermieristici costituito dal processo di nursing (Craven et al. 2013), con

il quale intendiamo lo strumento mediante il quale gli infermieri utilizzano

le proprie conoscenze e competenze con lo scopo di identificare lo stato di

salute delle persone ed aiutarle a soddisfare i propri bisogni. Il processo di

assistenza infermieristica : centrato sulla persona assistita, flessibile, di

natura cognitiva, olistico, ciclico e composto complessivamente da sei fasi:

accertamento, rilevazione dei bisogni ed elaborazione della diagnosi

infermieristica, pianificazione dei risultati, pianificazione degli interventi,

gestione degli interventi e verifica dei risultati.

90
Figura 1. Il processo assistenziale infermieristico

ACCERTAMENTO

FORMULAZIONE DELLA
VERIFICA DEI RISULTATI
DIAGNOSI INFERMIERISTICA

PERSONA CON I
PROPRI BISOGNI
E MODELLI DI
SALUTE

GESTIONE DEGLI PIANIFICAZIONE DEI


INTERVENTI RISULTATI

PIANIFICAZIONE DELGI
INTERVENTI

Fonte: Craven et al. Principi fondamentali dellassistenza infermieristica

2.1 Laccertamento mirato psico-socio-emotivo del paziente

cardiopatico

Laccertamento la fase di raccolta, organizzazione per bisogni,

validazione e registrazione di dati oggettivi e soggettivi rappresentanti la

salute attuale della persona. (Craven et al. 2013)

Durante laccertamento mirato psico-emotivo, linfermiere estima la

situazione dellassistito considerando anche fattori psicologici ed emotivi.

Si tratta di indagare la condizione della persona cercando di rispondere

alle domande: perch questo uomo? Perch questa malattia? Perch

proprio in questo momento? Infatti uno dei momenti in cui andrebbero

91
maggiormente considerati gli aspetti psico-emotivi della persona proprio

quello dellaccertamento poich come sostiene Lown il processo

assistenziale richiede la conoscenza dei dettagli pi personali della vita

emotiva del paziente (Molinari, 2006).

La comprensione dello stato psico-emotivo della persona riveste infatti

una forte importanza ai fini dello sviluppo del processo assistenziale

poich permette la pianificazione di interventi mirati, plasmati sullunicit

psicosomatica di ogni assistito.

La fisica ci insegna che nulla si distrugge. Ogni cosa destinata a

trasformarsi da una forma esteriore ad un'altra (Dahlke, 1990), e in

questo modo uno squilibrio psichico duraturo pu mutare, nel corso della

vita, in unalterazione neurovegetativa e infine determinare una condizione

patologica di non ritorno. Linfluenza del mondo interiore sulla patogenesi

cardiaca riconosciuta da sempre e dimostrata anche da espressioni del

linguaggio comune come: mor con il cuore spezzato e avere un peso al

cuore. Una psiche disturbata pu causare problemi al cuore soprattutto

attraverso lo stress e stati emotivi negativi che portano allo sviluppo di una

tensione negativa che si ripercuote sul cuore. Gli stati emotivi, oltre ad

influenzare la comparsa del disturbo cardiaco, possono inoltre peggiorare

la prognosi ed ostacolare la guarigione. In questottica scoprire quali

variabili psicologiche hanno contribuito a far ammalare il cuore, permette

di impostare una relazione di aiuto che miri a intervenire su tali fattori di

rischio.

92
A tale proposito variabili psico-emotive come stress emozionale,

depressione, ansia, ostilit, personalit di tipo A o D sono tutti fattori che

contribuiscono al peggioramento del decorso clinico e della prognosi dei

pazienti con MCV (GICR, 2003). Queste variabili, oltre ad essere

direttamente implicate nella patogenesi delle malattie cardiovascolari,

mediante complessi meccanismi biologici, possono inoltre incidere

negativamente sulla capacit della persona di affrontare efficacemente la

malattia. Uno stato psico-emotivo disfunzionale pu effettivamente

condizionare latteggiamento del malato nei confronti della patologia e

della sua gestione con significative ripercussioni nei confronti della

patologia e del suo menagement. Latteggiamento dellassistito stato

infatti oramai considerato parte del processo di guarigione/riabilitazione

poich in grado di incidere su variabili come laderenza al trattamento e la

motivazione a cambiare. Il calo motivazionale a sua volta pu condurre a

risultati insoddisfacenti e di conseguenza ad un maggiore abbandono

della terapia riabilitativa (Molinari et al. 2006).

La raccolta dei dati inerenti alle variabili psico-emotive associate alla

malattia cardiaca pu essere attuata durante la fase di accertamento

iniziale, per approfondire questo particolare aspetto, o inseguito alla

rilevazione di un bisogno. Si tratta di un processo continuo che si realizza

durante ogni interazione infermiere-assistito ed mirato a: (1) acquisire un

quadro complessivo dello stato psico-emotivo della persona, (2)

evidenziare le risposte umane al problema di salute, (3) individuare la

93
presenza di risorse psicologiche interne/esterne per la gestione della

malattia (Craven et al. 2013).

Al fine di comprendere lo stato psico-emotivo in cui lassistito si trova,

linfermiere opera una raccolta di dati che possono essere di natura

oggettiva e soggettiva. I dati soggettivi, ottenuti mediante lintervista,

comprendono: manifestazioni riferite dalla persona (sentimenti, emozioni

provate, affermazioni sui propri problemi di salute), valori, sintomi,

sensazioni e percezioni dellassistito. I dati oggettivi comprendono invece

outcome numerici di RCV come MET e RFC, dati di laboratorio,

valutazioni strumentali della pressione arteriosa e della frequenza

cardiaca, scale inerenti a variabili psicologiche associate alle MCV come

ansia e depressione.

Relativamente alle fonti, queste possono essere distinte in primarie e

secondarie. La fonte primaria coincide con lassistito, il quale in grado di

fornire una descrizione del suo problema di salute e degli effetti che

questo ha sullo stile di vita. Le fonti secondarie comprendono invece: (1)

descrizioni dei familiari di come lassistito reagisce alla malattia, delle sue

percezioni circa i cambiamenti di salute e dellabilit di reagire ad agenti

stressanti; (2) informazioni sul paziente acquisite da altri operatori

(psichiatra, cardiologo) o dalla cartella clinica; (3) indici di outcome e dati

di laboratorio; (4) test di screening tra cui lMMSE (Mini mental state

examination), il BDI (Beck depression inventory), lHADS (Hospital anxiety

and depression scale), la Scheda A-D per lo screening dellansia di stato e

della depressione.

94
Metodi per lacceramento psico-emotivo infermieristico del cardiopatico

sono: losservazione e lintervista.

Losservazione va intesa come luso consapevole e intenzionale delle

funzioni sensoriali per raccogliere i dati (oggettivi) della persona assistita.

Nella fase di osservazione, linfermiere focalizza lattenzione sullassistito

al fine di rintracciare le manifestazioni somatiche e comportamentali dei

fattori di rischio psico-emotivi. E importante a tale proposito saper cogliere

anche le differenti manifestazioni della comunicazione non verbale del

paziente. Fa infatti parte delle abilit di ascolto dellinfermiere, il saper

porre attenzione anche al non detto o a quanto espresso mediante il

linguaggio del corpo attraverso la mimica, lo sguardo, i gesti e la postura.

Relativamente al non detto, anche i silenzi rappresentano una forma di

comunicazione, che se correttamente compresa, pu svelare ci che le

parole non dicono. Il silenzio spesso manifestazione della sofferenza del

paziente e pu esprimersi attraverso diverse modalit, tra cui il pianto. Le

lacrime sono un modo di parlare nel silenzio, che pu comunicare ci che

la persona non in grado di dire con le parole. Le lacrime di rivelano ci

che nelluomo tace, sono le parole del silenzio (Jean-Loup-Charvet). In un

contesto di deserto comunicativo, le lacrime sono importanti perch ci

permettono di venire a contatto con lo stato emozionale del paziente e

quindi di poter intervenire instaurando una relazione daiuto. Se le lacrime

sono un modo di dialogare in silenzio, lassenza di lacrime appare, in un

contesto di sofferenza, come il segno pi evidente del dramma

dellimpossibilit di comunicare. In alcuni stati di sofferenza psichica, come

95
la depressione, lassenza del pianto infatti una delle manifestazioni del

silenzio del corpo di cui la persona fa esperienza.

Tabella 2. Dati raccolti dallosservazione del paziente, in riferimento alle

variabili psico-emotive di rischio per MCV.

VARIABILE DATI RACCOLTI

PSICO-

EMOTIVA

STRESS Lassistito:

Perde capelli

Appare irrequieto nel sonno

Non riesce a trovare soluzioni efficaci ai

problemi

DEPRESSIONE Lassistito:

Presenta un umore costantemente basso

Non interagisce con gli altri assistiti

E passivo nel percorso riabilitativo

Piange frequentemente

ANSIA Lassistito:

Appare preoccupato, angosciato, irrequieto

Ha una costante tensione facciale

Mostra uno stato di vigilanza

Presenta un aumento della sudorazione che

si accompagna a palpitazioni e tachipnea

96
VARIABILE DATI RACCOLTI

PSICO-

EMOTIVA

Presenta una diminuita capacit di

ANSIA apprendimento, concentrazione e risoluzione

dei problemi

PERSONALITA Lassistito:

DI TIPO A aggressivo

E impaziente

Ha un atteggiamento ostile nei confronti del

personale sanitario

Presenta una forte reattivit agli stimoli

PERSONALITA Lassistito:

DI TIPO D facilmente irritabile

E ansioso

Tende a non esternare i propri sentimenti

Mostra unaffettivit stabilmente negativa

Oltre allosservazione, altro strumento infermieristico per la raccolta dati

lintervista.

Lintervista un colloquio strutturato e mirato in cui linfermiere interpella il

paziente mediante domande finalizzate al fine di ottenere dati soggettivi.

Dal punto di vista psico-relazionale, si tratta di un momento chiave poich

97
gi in questa fase del processo di nursing, mediante la raccolta di

informazioni di natura affettiva, linfermiere guarda al paziente con un

approccio psicosomatico ed instaura una relazione comunicativa che gi

di per se terapeutica per il paziente.

Lintervista rappresenta spesso il primo contatto tra lassistito e linfermiere

e aiuta il professionista a: (1) chiarire e verificare le percezioni da parte

dellassistito del suo stato di salute; (2) confrontare lo stato di salute psico-

emotiva presente e passato dellassistito, i comportamenti relativi allo stile

di vita e le abilit di coping; (3) identificare le diagnosi infermieristiche reali

e potenziali; (4) sviluppare il piano di assistenza infermieristica; (5) attuare

interventi infermieristici di sostegno alle risposte adattative dellassistito.

Lintervista pu essere divisa in quattro fasi: preparatoria, introduttiva, di

mantenimento e conclusiva.

La fase preparatoria si realizza prima dellincontro con lassistito ed

finalizzata a preparare il primo contatto con il paziente affinch questo

risulti essere pi produttivo possibile. In questa fase linfermiere: ricerca

informazioni sullassistito, rivede la letteratura pertinente agli aspetti

psicosociali e alle considerazioni psicopatologiche, predispone un

ambiente adeguato per lintervista.

La seconda fase, introduttiva o di orientamento, si sviluppa quando

infermiere e paziente si incontrano ed volta a stabilire un rapporto, una

relazione daiuto. In questa fase linfermiere: si presenta, illustra lo scopo

dellintervista, inizia a costruire un rapporto con lassistito essenziale per il

98
successo delle fasi successive, ascolta ed osserva attentamente lassistito

al fine di determinare come la persona vede il suo problema di salute e

quali sono le sue percezioni in proposito (Craven et al. 2013).

Bisogna considerare che i pazienti ricoverati in reparti di riabilitazione

cardiaca, sono pazienti che, pur trovandosi in una condizione di malattia

che comporta numerose ricadute sulla sfera emotiva, raramente

presentano una richiesta di aiuto psicologico. Di conseguenza difficile

che si arrivi a coinvolgere uno specialista di psicologia o psichiatria per la

gestione psico-affettiva di queste persone; di conseguenza emerge

limportanza dellintervento infermieristico in ambito relazionale.

Linfermiere spesso il primo professionista ad entrare, in un contesto

ospedaliero, in contatto con il cardiopatico, e lunico allinterno dellequipe

che assister il paziente in tutte le fasi del processo riabilitativo, avendo la

disciplina infermieristica un carattere continuativo. Ne consegue che, in

virt di questa continuit assistenziale, la vicinanza e la fiducia che

linfermiere riesce a raggiungere con lassistito superiore a quella che gli

altri professionisti possono ottenere. Non dovrebbe quindi stupirci che

linfermiere sia colui con cui il paziente sceglie di condividere il proprio

vissuto di malattia, e la consapevolezza di questo privilegio, del quale il

paziente ci investe, non dovrebbe farci trovare impreparati dal punto di

vista relazionale.

Nellambito dellintervista, un momento fondamentale rappresentato

dallascolto. Lascolto rappresenta il punto di partenza per il supporto

99
psico-relazionale ed educativo del paziente e va inteso come la capacit

dellinfermiere di cogliere ed accogliere ci che di s il paziente esprime.

Ascolto ed interazione, in un primo colloquio di accertamento, dovrebbero

proseguire almeno fin quando non si riesca ad intravedere quellessere

umano che sta dietro alla malattia, di cui linfermiere ha lobbligo

deontologico di prendersi cura. In questottica possiamo ipotizzare che un

ascolto attento sia garanzia di unassistenza psico-affettiva corretta..

La terza fase dellintervista, chiamata di mantenimento, rappresenta il

momento in cui infermiere e assistito lavorano insieme per perseguire uno

scopo. In questa fase linfermiere: incoraggia la persona ad esprimere

sentimenti e problemi ed indirizza lintervista per assicurarsi di ottenere i

dati necessari. Nello specifico, nel momento dellintervista importante

che linfermiere ponga specifici quesiti per la valutazione dei fattori di

rischio psicosociali nella pratica clinica, e che discuta con il paziente

limportanza di tali fattori in relazione alla qualit di vita e allesito

riabilitativo.

Tabella 3. Domande per la valutazione nellintervista dei fattori psico-

emotivi di rischio cardiologico.

AREE QUESITI

Stress Riesce a dormire?

Riesce a concentrarsi?

100
AREE QUESITI

Stress Si sente teso?

Depressione Si sente triste, depresso e senza speranza?

Cosa pensa del programma riabilitativo a cui sta

prendendo parte?

Ansia Si sente spesso nervoso o preoccupato?

Riesce a fermare o controllare lagitazione?

C qualcosa che la spaventa in questo momento?

Si sente in grado di affrontare gli eventi della sua vita?

Ha spesso palpitazioni o un aumento della frequenza

del respiro?

Personalit di Cosa pensa di questa fase della sua malattia?

tipo D
Le capita spesso di provare sentimenti negativi

(tristezza, vuoto, paura, mancanza di speranza)?

Ha qualcuno con cui confidarsi?

Personalit di Si sente spesso impaziente o nervoso?

tipo A
Ha spesso comportamenti aggressivi o ostili?

E spesso in competizione con colleghi-amici?

101
Nella fase conclusiva, infine, linfermiere opera una sintesi dei punti pi

significativi dellintervista e rivede gli obiettivi e le azioni conseguite.

Mediante la raccolta di dati oggettivi e soggettivi, linfermiere valuta quindi

la presenza di fattori psico-emotivi di rischio per il decorso di malattia. Tale

accertamento funzionale alla comprensione del ruolo che tali variabili

hanno nella determinazione delle risposte umane al problema di salute.

Ogni malato, reagisce infatti in modo unico alla sua condizione a seconda

dello stato psico-emotivo in cui si trova e questa reazione non ininfluente

sul decorso della malattia e talvolta anche sulle possibilit di guarigione

(Cannella et al. 1994).

Il modo in cui la patologia e la sofferenza sono gestite, determinato dal

modo di vedere la malattia e dalla definizione data alla relazione con la

malattia. Il paziente pu vedere la malattia: (1) come qualcosa di non

chiaro, (2) come un potere esterno alluomo, (3) come un disturbo

meccanico, (4) come una disfunzione di un circuito regolatore, (5) come

una deviazione della norma della societ e questo pu generare in lui una

profonda angoscia Gli elementi che influenzano individualmente il modo di

percepire ed interpretare levento malattia sono: (1) lo stato psico-emotivo

e il carattere, (2) lambiente di vita, (3) i modelli dominanti presenti nella

cultura di appartenenza, (4) lambiente ospedaliero.

Relativamente a carattere e stato psico-emotivo, questi si manifestano

attraverso le modalit con cui vengono presentati i problemi, i sintomi, i

102
conflitti oppure i disturbi. Tra i tratti caratteriali e psico-emotivi possiamo

includere: la maggiore o minore fiducia nel trattamento, le aspettative

positive o negative verso il futuro, la stabilit emotiva.

Il temperamento ansioso ad esempio pervaso da una stabile

convinzione di impotenza di fronte alla malattia, legata allincapacit di

apprendere nuove informazioni riguardanti i necessari cambiamenti legati

allo stile di vita o allimpossibilit di tradurle in effettivi cambiamenti.

Questo sentirsi disarmati di fronte ad eventi stressanti, porta a percepirli

come pericolosi e minacciosi e si scontra con il bisogno, della persona

ansiosa, di mantenere il controllo su tutto.

La sensazione di impotenza se da un lato paralizza ogni possibilit di

adattamento psicosociale dellassistito, dallaltro rafforza la condizione di

apprensione e preoccupazione tipica di questa variabile psico-emotiva di

rischio.

Un umore depresso determina invece nellassistito una diminuita capacit

di sostenere un modello di risposte positive a una situazione avversa o a

una crisi (Nanda, 2012), ovvero ne compromette la resilienza.

Anche un stato di stress emotivo, influenza latteggiamento del paziente

nei confronti della malattia. Lincapacit di scegliere delle risposte

funzionali agli stimoli infatti trasportato nellevento stressante per

antonomasia, la malattia, con importanti ripercussioni sul decorso clinico.

Lassistito appare infatti incapace di adottare forme di coping che

comportino atteggiamenti adattativi di fronte al trauma malattia.

103
Infine anche un pattern di tipo D o A pu incidere sulla capacit di

affrontare la malattia. La stabile affettivit negativa che caratterizza la

personalit di tipo D, si traduce di fatto in unafflizione cronica che non pu

non pervadere anche il vissuto di malattia, con conseguente

compromissione della resilienza dellassistito. La personalit di tipo A

invece caratterizzata da uneccessiva reattivit emotiva a stimoli intensi,

che si manifesta con ostilit e rabbia; queste forme di affettivit negativa

sono indice di una inabilit della persona di selezionare delle appropriate

risposte agli imput, ovvero unincapacit ad adottare delle forme di coping

funzionali alla situazione.

Nonostante la configurazione psico-emotiva dellassistito influenzi in modo

importante la percezione e la gestione della malattia, questa non lunica

variabile a influire sullatteggiamento del paziente. Conoscere gli altri

fattori in grado di incidere sul modo di affrontare la malattia importante

poich esse possono modulare uno stato psico-emotivo disfunzionale, in

senso positivo o negativo.

Ad esempio percezione e gestione della malattia sono influenzati anche

dal mito relativo alla salute costruito dalla famiglia (Molinari et al. 2006).

Conoscerlo consente di comprendere come la famiglia gestisce la salute e

la malattia al suo interno e quindi valutare se lambiente familiare

costituisce o meno una risorsa esterna per il paziente, poich

latteggiamento della famiglia verso la malattia spesso determinante per

facilitare-ostacolare la guarigione dellassistito. La malattia e la sofferenza

a essa connessa investono infatti non solo il paziente, ma anche il sistema

104
di relazioni familiari che gli appartiene e costituiscono quindi una prova per

la stabilit della famiglia che si trova a dover innescare faticosi processi di

adattamento allevento traumatico. In particolare la famiglia sperimenta

importanti cambiamenti nella coesione (legame e impegno emozionale

reciproco) e nella flessibilit (la qualit del cambiamento nella leadership,

nei ruoli e nelle regole relazionali) al fine di affrontare lo stress generato

dallimpatto della malattia sulla quotidianit. Secondo quanto detto da S.

Bonino e riportato in Linfermiere e il suo paziente (Cannella et al 1994) la

famiglia pu manifestare tre tipi di reazioni in caso di malattia:

(A) Aggressivit e rifiuto, in cui la malattia vista nellottica della

tragedia come un qualcosa di totalmente scisso dalla salute e con un forte

potenziale disgregante e distruttivo per il nucleo familiare. Di conseguenza

la famiglia reagisce attivamente per difendersi dal pericolo e il malato,

accusato e colpevolizzato, viene respinto.

(B) Reazioni aggressive di chiusura, in cui la famiglia si chiude in se

stessa e si coalizza contro il nemico malattia. Il nucleo familiare appare

dallesterno coeso, ma la frequente impenetrabilit rende difficile

instaurare una relazione di aiuto.

(C) Reazione regressiva in cui il malato posto in una condizione di

totale dipendenza, spesso per un senso di colpa che fa si che la famiglia

si senta responsabile di qualsiasi cosa possa accadere al malato. La

situazione di dipendenza fisiologica, spesso conseguente a una

105
temporanea perdita di autonomia del malato rischia di non permettere alla

persona di riacquistare lautonomia.

(D) Reazioni costruttive in cui la famiglia offre il sostegno e la

protezione necessaria per affrontare il disagio della malattia e il percorso

riabilitativo. In questo tipo di reazione allevento morboso pu esserci

unadesione a valori comuni; questa particolarmente importante per la

gestione della malattia in quanto una non corrispondenza tra le credenze

del malato e quelle dei cari pu essere dannosa per la riuscita del

trattamento. Inoltre la condivisione del dolore e della malattia stessa viene

vista come una prova per verificare quanto la famiglia possa essere una

risorsa per la cura.

In sintesi nonostante la famiglia possa reagire con modalit pi o meno

costruttive allevento morboso, il malato nellesperienza di malattia, ha pi

che mai bisogno di un appoggio emotivo esterno poich il carico di asia e

di stress a cui sottoposto fa si che sia difficile in queste situazioni

bastare a se stessi. Ne consegue che la presenza di risorse esterne, in

primis i propri cari, sia determinante per facilitare la guarigione del

paziente.

La terza variabile che pu influenzare le reazioni del paziente alla malattia

linsieme dei modelli dominanti presenti nella cultura di appartenenza. In

una societ orientata allefficienza, il destino del malato molto spesso

lemarginazione e la solitudine.

106
Lultimo elemento che sembra avere un ruolo significativo nellinfluenzare

le reazioni dellindividuo alla malattia il contesto di cura. Le capacit

emotivo-relazionali del personale sono infatti determinanti nel generare nel

malato reazioni pi o meno costruttive.

Oltre alla presenza di risorse esterne, globalmente rappresentate dal

contesto familiare, sociale e di cura, importante valutare la presenza di

risorse interne al paziente. Laccertamento di queste forze interne

fondamentale, poich attraverso la relazione daiuto, linfermiere pu

potenziare tali risorse contribuendo in modo significativo al miglioramento

dellatteggiamento del paziente nei confronti della malattia.

Le risorse interne al paziente sono rappresentate da autoefficacia, coping,

self-care e locus of control. Lautoefficacia la convinzione che ognuno di

noi ha circa la capacit di mettere in pratica un comportamento adatto per

raggiungere i risultati prefissati e il senso di sicurezza che globalmente si

accompagna a questa consapevolezza. Questa dipende da: (1)

esperienze passate, (2) cosa gli altri pensano della mia autoefficacia, (3)

stato danimo e (4) influenza sociale, con la quale si intende la reazione

altrui ai nostri successi ed insuccessi, in grado di influenzare il modo di

affrontare altre esperienze di vita. In circostanze difficili, una forte

convinzione nella propria autoefficacia, stimola la capacit di trovare

soluzioni adattative. Tuttavia tanto la malattia come evento traumatico,

quanto la presenza di uno stato psico-emotivo disfunzionale, possono

portare ad una progressiva perdita dellautoefficacia e ad un crescente

senso di impotenza di fronte alla propria condizione di salute.

107
Il coping invece la capacit di fare unidonea valutazione della situazione

stressante e rispondere a questa mobilitando risposte adeguate. Questa

capacit di farcela (traduzione dellinglese to cope), strettamente

legata al proprio locus of control interno, con il quale intendiamo la fede

nella propria capacit di controllare e dominare gli eventi. Relativamente

allassociazione coping-psicopatologia, stato visto come disturbi

depressivi, di ansia e di personalit siano associati a strategie

disadattative di coping come: evitamento, negazione e sfogo emotivo

piuttosto che a strategie adattative centrate sul problema. Le strategie di

coping infatti, sono usate per regolare emozioni disturbanti e individuare

strategie di gestione dello stress. Le persone che presentano delle

difficolt nella regolazione emotiva tendono ad adottare strategie di coping

disadattative per la riduzione della tensione. Prendendo in considerazione

invece il rapporto tra coping e benessere, numerosi studi hanno

evidenziato come le strategie di coping abbiano un ruolo considerevole

sulla salute psicologica e fisica. Sembrerebbe infatti che il coping giochi un

ruolo importante nel proteggere o esacerbare quelle reazioni fisiologiche

che sono comunemente considerate manifestazione di stress. Ad esempio

se prendiamo in considerazione la relazione: coping-s.immunitario-

sopravvivenza vediamo come strategie legate allaccettazione e ad

uninterpretazione legata al senso di crescita, siano legate ad una migliore

reattivit del sistema immunitario e ad una migliore qualit di vita.

Autoefficacia, coping e locus of control rappresentano gli strumenti interni

che determinano la capacit della persona di prendersi cura di s.

108
Il self care, che indica proprio labilit che le persone hanno di auto-

assistersi, comprende anche la capacit di modulare tutti gli stimoli interni

ed esterni che possono minacciare il proprio benessere. Tra questi stimoli

troviamo la sofferenza, alla quale secondo Cannella (1994) lassistito pu

rispondere in tre modi: (1) evitandola, (2) modificandola e (3)

modulandola. Nellevitazione della sofferenza, il paziente mette in atto un

meccanismo di evacuazione del dolore proiettandolo al di fuori della

propria mente per sostenere lillusione che la sofferenza non sia presente.

Un altro approccio alla sofferenza la sua modificazione tramite

meccanismi di difesa; in questo caso la sofferenza trattata non per

quello che , ma come fosse qualcosa di diverso, mediante lattribuzione

di significati funzionali a proteggere la persona da una necessit di analisi

obiettiva della situazione in cui si trova. Terza modalit di risposta alla

sofferenza la sua modulazione. Tale approccio viene messo in atto da

coloro che affrontano la sofferenza in modo realistico, elaborandola

interiormente senza doverla espellere immediatamente o far finta che non

ci sia.

Le risorse interne allassistito possono subire con la malattia una profonda

modificazione. Come la psiche ha una forte influenza sul cuore, anche la

malattia cardiaca ha infatti importanti ripercussioni sullo spirito; il paziente

giunge davanti a noi non solo con un organo malato, ma anche con

langoscia e con i problemi psicologici e sociali che ne derivano, poich

ogni malattia genera nelluomo un contraccolpo psicologico. La malattia

cardiaca improvvisa mette spesso a rischio lidentit e il senso di

109
continuit dellindividuo, il quale pu sperimentare unalienazione mente-

corpo oltre che una rottura biografica. Tutto ci lo espone alle necessit di

ridefinire se stesso e il proprio tempo presente e futuro. Dato che il malato

vive ed ha relazioni con questi contenuti emotivi connessi alla malattia,

linfermiere dovrebbe interessarsi delle sue dinamiche intime, che possono

orientarlo nella rilevazione dei bisogni. A tale proposito sufficiente

prolungare il nostro dialogo di alcuni minuti per accorgersi che lassistito ci

fornisce messaggi che vanno al di l delle informazioni sul cattivo

funzionamento del corpo.

Tornando alla struttura dellaccertamento, alla raccolta dei dati, segue

lorganizzazione degli stessi sulla base di un modello concettuale al fine di

(1) orientare linfermiere sugli aspetti da osservare, (2) permettere

laggregazione di dati tra loro connessi aiutando linfermiere a trovare punti

di forza (autostima, capacit di coping), problemi e fattori di rischio

(depressione, ansia, stress, fattori di personalit disfunzionali..).

Per lorganizzazione delle variabili psico-emotive associate alla malattia

cardiaca possono essere utilizzati i modelli funzionali della salute di M.

Gordon. La teorica elabora un modello del nursing che presenta un

carattere olistico e che si applica allassistito a prescindere dal contesto

nel quale richiede assistenza, dalla sua et e dal punto di vista in cui si

trova il cammino della sua salute-malattia. Il modello considera tre aree:

persona, famiglia e comunit ed orienta alla raccolta dei dati sui normali

schemi comportamentali che contribuiscono a determinare lo stato di

salute, valutandoli come: funzionali (punti di forza), disfunzionali (problemi

110
di salute reali) o potenzialmente disfunzionali (a rischio). Relativamente

allorganizzazione dei dati inerenti alle variabili psicologiche associate a

malattia cardiaca, i modelli di interesse sono: il modello di percezione e

gestione della salute; il modello di percezione di s e di concetto di s; il

modello di coping e di tolleranza allo stress; il modello di valori e

convinzioni.

Tabella 4. Classificazione dei dati raccolti nellaccertamento secondo i

modelli funzionali della salute di M.Gordon

N MODELLI DESCRIZIONE ESEMPIO DI DATI RACCOLTI

SINTETICA NELLACCERTAMENTO

1 Modello di -Come la persona -Convinzioni in merito alla

percezione percepisce e salute

e gestione gestisce la propria


-Fattori di rischio
della salute salute
comportamentali (fumo, abuso

-I comportamenti di alcol, sedentariet,

della persona nei sovrappeso, abitudini

confronti della salute alimentari scorrette)

-Linfluenza della -Fiducia nel progetto

salute nelle sue riabilitativo

attivit di vita

quotidiana

-Lo stato di salute in

111
N MODELLI DESCRIZIONE ESEMPIO DI DATI RACCOLTI

SINTETICA NELLACCERTAMENTO

rapporto alla

formulazione di

progetti e piani per il

futuro

7 Modello di Latteggiamento e le -Senso di impotenza/

percezione percezioni che la vulnerabilit

di s e di persona ha in
-Fiducia presente o assente
concetto di rapporto:
circa la propria capacit di
s
-A se stessa affrontare le situazioni

-Alle proprie abilit e -Autostima scarsa o buona

capacit
-Personalit di tipo A/D

-Allimmagine
-Depressione, ansia
corporea, lidentit, il

modello emozionale

-Al modello di

postura e linguaggio

112
N MODELLI DESCRIZIONE ESEMPIO DI DATI RACCOLTI

SINTETICA NELLACCERTAMENTO

10 Modello di -La capacit e - Coping efficace o inefficace

coping e labilit di gestione e


-Elevato livello di stress
tolleranza di coping
-Abilit-Inabilit di resistere agli
allo stress (adattamento) alle
eventi stressanti della vita
situazioni di stress

-Presenza di risposte
-Il modo di affrontare
fisiologiche allo stress
le situazioni e la sua

efficacia (tachicardia, tachipnea)

-La capacit -Scarsa o buona autoefficacia

percepita di gestire

le situazioni

-La disponibilit di

risorse e capacit

personali

11 Modello di -I valori e le -Modelli familiari della salute

valori e convinzioni che sono disfunzionali o funzionali

convinzioni importanti per la


-Atteggiamento negativo verso
persona e che la
lassistenza sanitaria
guidano nelle sue
-Non aderenza alle prescrizioni
scelte

113
N MODELLI DESCRIZIONE ESEMPIO DI DATI RACCOLTI

SINTETICA NELLACCERTAMENTO

-La percezione di terapeutiche

conflitti relativi allo

stato di salute e alle

scelte riguardanti la

sua salute

Fonte. Gordon Marjory. Diagnosi infermieristiche-Processo e applicazioni.

Milano: Cea edizioni; 2009.

A partire dallorganizzazione ed interpretazione dei dati raccolti,

linfermiere giunge a riconoscere i bisogni e a comprendere cosa questi

significano per il paziente. La saggezza dellinfermiere sta infatti nel capire

come un problema clinico origini, non in un organo, ma in un essere

umano. Il salto dallinterpretazione dei dati alla rilevazione dei bisogni

avviene mediante lutilizzo del giudizio clinico. Questo infatti definito

come uninterpretazione o una conclusione riguardante i bisogni della

persona, i dubbi, i problemi di salute e/o la decisione di agire (o di non

agire), di utilizzare o modificare approcci standard o di identificarne di

nuovi ritenuti adatti dalla risposta dellassistito (Tanner, 2006).

Nellambito della riabilitazione del paziente cardiopatico, linfermiere

risponde a bisogni non soltanto assistenziali, ma anche di natura psico-

114
relazionale. Utilizzando il Modello delle prestazioni della teorica del

nursing M. Cantarelli, possiamo dire che linfermiere, mediante interventi

psico-relazionali, risponde complessivamente al Bisogno di interazione

nella comunicazione.

2.2. La formulazione della diagnosi infermieristica

Allaccertamento segue la formulazione delle diagnosi infermieristiche.

Queste vanno intese come interpretazioni scientifiche dei dati raccolti,

utilizzate per guidare linfermiere nella pianificazione ed attuazione degli

interventi e nella valutazione dei risultati. La diagnosi infermieristica, oggi

formulata grazie allutilizzo della tassonomia Nanda, definisce la scienza e

la pratica del nursing ed necessaria per esso cos come la diagnosi

medica lo per la pratica della medicina.

Prendendo in considerazione le variabili psico-emotive di rischio per

insorgenza e decorso della malattia cardiaca, e considerando le

ripercussioni che queste possono avere nellatteggiamento del malato nei

confronti di malattia e trattamento, possono essere formulate diagnosi

infermieristiche che pur differenziandosi tra di loro, rientrano tutte nel

dominio 9: Coping/Tolleranza allo stress. Questo dimostra come il

contributo dellemotivit negativa al programma riabilitativo, sia quello di

compromettere la peculiare capacit della persona di affrontare in modo

funzionale levento malattia. La presenza di un coping inefficace, di una

compromissione della resilienza o di un temperamento ansioso che si

115
manifesta con senso di impotenza sono infatti tutti fattori che

contribuiscono a far sentire lindividuo disarmato ed infine ad arrendersi

alla sua condizione. Ne consegue un significativo calo della motivazione al

cambiamento, con evidenti ripercussioni sull esito del PRI.

Relativamente a stress e personalit di tipo A, queste due variabili psico-

emotive di rischio, isolate o associate in una stessa persona, vanno a

caratterizzare un individuo incapace di rispondere in modo adattativo ad

intensi imput esterni ed interni e quindi di fronteggiare in modo efficace la

malattia. La diagnosi infermieristica che pu essere formulata quella di

Coping inefficace (00069) con il quale si intende un incapacit di fare

unidonea valutazione degli agenti stressanti, uninadeguatezza nella

scelta di risposte pratiche e/o unincapacit di utilizzare le risorse

disponibili. (Nanda, 2012) La presenza di un coping inefficace pu essere

in questo caso correlata ad un disturbato modello di allentamento della

tensione, ad uninsufficiente fiducia nella propria capacit di affrontare le

situazioni e ad uninadeguatezza delle risorse disponibili e si manifesta

con ladozione di forme di coping che impediscono comportamenti

adattativi, un inadeguata risoluzione di problemi e una riferita incapacit

ad affrontare le situazioni.(Nanda,2012) Il coping coincide infatti con le

strategie che le persone attuano al fine di gestire eventi traumatici o

situazioni quotidiane stressanti e comprendono sia le decisioni e le azioni

adottate da un individuo di fronte ad un evento stressante, che le emozioni

ad esse connesse.

116
Le strategie di coping emergono in momenti della vita della persona che

mettono a dura prova le sue risorse, se perci vogliamo indagare che

livello di coping una persona possiede, dobbiamo osservarla allinterno di

situazioni di stress come la malattia, al fine di cogliere: (1) come la

persona valuta cognitivamente lesperienza di malattia, (2) eventuali

reazioni di disagio, (3) la tipologia di risorse personali e sociali, (4) gli

sforzi di coping, (5) gli esiti a breve e a lungo termine di tali sforzi. Le

strategie di coping svolgono due funzioni principali: (1) moderare il rischio

di conseguenze dannose potenzialmente derivanti da un evento

stressante (coping focalizzato sul problema) e (2) contenere le reazioni

emozionali negative (coping focalizzato sulle emozioni). Il coping

focalizzato sul problema ha la sua manifestazione nel coping attivo e nella

pianificazione; mentre il coping focalizzato sulle emozioni trova

espressione in quattro fattori: (1) il distanziamento che pu tradursi nel

negare lesistenza di un problema o nel distrarsi, (2) lautocontrollo ovvero

il non lasciarsi trascinare dalle proprie emozioni, (3) lassunzione di

responsabilit che coincide con il ritenersi pi o meno responsabili della

situazione, (4) rivalutazione positiva ovvero riconoscere i cambiamenti che

provengono dalla modificazione di una situazione e vedere la realt da un

punto di vista positivo. Sembrerebbe che, indipendentemente dalle

situazioni, gli individui posseggano delle abituali strategie di coping, legate

a differenti variabili di personalit. In particolare, tra gli aspetti

disposizionali maggiormente studiati ci sono lHardiness e la propensione

allottimismo. Il concetto di Hardiness stato sviluppato da Kobasa (1979)

117
per delineare un insieme di caratteristiche di personalit funzionali a

proteggere la persona dagli effetti nocivi dello stress. Tali aspetti di

personalit sono: (1) controllo, ovvero la convinzione di poter influenzare

gli eventi della propria vita, (2) impegno, con il quale si intende il senso di

risolutezza e il coinvolgimento nelle attivit e nei rapporti con le persone

che fanno parte della propria vita e (3) senso di sfida, vale a dire

laspettativa che nella vita sia normale il cambiamento e che questo

rappresenti unopportunit di crescita. Gli individui che posseggono un

elevato livello di hardiness affrontano la vita con maggiore positivit e con

un maggiore grado di controllo; sembrano inoltre far propria una filosofia di

vita che limita limpatto debilitante di alcuni eventi stressanti, con pi bassi

livelli di stress percepito e minori sintomi di malattia.

La propensione allottimismo stata invece studiata da Scheier e Carver

(1987), i quali hanno evidenziato come le persone ottimiste tendano

maggiormente a considerare i problemi alla loro portata e di conseguenza

a perseverare al fine di raggiungere i propri scopi, anche in situazioni di

difficolt. Gli ottimisti inoltre hanno una maggiore probabilit di impegnarsi

in strategie di coping orientate al problema, al contrario dei pessimisti che

invece tendono a ricorrere a strategie centrate sulle emozioni come la

negazione e il distanziamento. Gli ottimisti mostrano anche un coping

orientato alla ricerca di sostegno sociale, importante variabile associata

alla malattia cardiaca.

Ulteriori aspetti di personalit che possono influenzare lo stile di coping

sono: (A) linstabilit emotiva che si associa ad una tendenza ad attribuire

118
colpe a se stessi o agli altri e al coping focalizzato sulle emozioni, (B)

lestroversione connessa alla ricerca di sostegno sociale, (C) lapertura

che stimola la ricerca di nuove informazioni, prospettive e soluzioni, (D) la

coscienziosit connessa alla perseveranza negli sforzi e alla ricerca di

significato personale.

In questa prospettiva, quindi, alcune caratteristiche stabili di personalit

condizionerebbero ladozione di determinati stili di coping, influenzando

come lindividuo valuta cognitivamente gli eventi.

La presenza di un umore depresso o/e una personalit di tipo D

determinano invece una compromissione della resilienza (00210) ovvero

di quella capacit reattiva delle persone alle avversit (Damore, 2009).

Nello specifico la resilienza un termine che deriva dalla scienza dei

materiali e indica la propriet che alcuni materiali hanno di conservare la

propria struttura o di riacquistare la loro forma originaria dopo essere stati

sottoposti a schiacciamento o deformazione (Todaro, 2013). In psicologia

connota la competenza che le persone hanno di fronteggiare situazioni

traumatiche o stressanti o di riprogettarsi con ottimismo davanti alle

difficolt. Tuttavia si tratta di una funzione psichica che tende a mutare nel

tempo, soprattutto in rapporto al cambiare degli eventi mentali che la

sottendono. La depressione o la costante emotivit negativa che

caratterizza la personalit di tipo D sono in questo caso il movente di

questa diminuita capacit di sostenere un modello di risposte positive a

una situazione avversa o a una crisi che definisce la compromissione

della resilienza, con la quale si intende una diminuita capacit di

119
sostenere un modello di risposte positive a una situazione avversa o a una

crisi. La compromissione della resilienza, correlata quindi al disturbo

psichico depressivo o a fattori di vulnerabilit comprendenti indici che

aumentano gli effetti negativi di una condizione di rischio (personalit di

tipo D), presenta come caratteristiche definenti: depressione, scarsa

autostima, utilizzo di modalit di coping che non producono adattamento e

un rinnovato aumento di un senso di sofferenza. (Nanda, 2012)

Infine un temperamento ansioso pu essere definito con lomonima

diagnosi infermieristica di ansia () con la quale si intende un vago

senso di disagio o di timore accompagnato da risposte autonome; senso

di apprensione causato dalla percezione di un pericolo. Rappresenta un

segnale che avverte dellimminenza di un pericolo e permette alla persona

di adottare misure idonee ad affrontare la minaccia. (Nanda, 2012).

Lansia tipica del paziente cardiopatico, oltre ad avere una base nel

temperamento della persona inoltre correlata a cambiamenti nello stato

di salute, crisi situazionali e stress. Essa si manifesta con diminuita

capacit di apprendimento, diminuita capacit di risoluzione dei problemi,

difficolt di concentrazione, senso di impotenza che aumenta in modo

doloroso, apprensione, paura, irrequietezza.

120
2.3 La pianificazione dei risultati

La pianificazione dei risultati la fase in cui linfermiere: (A) stabilisce le

priorit, ordinando le diagnosi infermieristiche in termini di importanza per

lassistito, (B) identifica i risultati e (C) fissa gli obiettivi. In particolare un

risultato unipotesi su quello che sar lo stato dellassistito dopo

lintervento infermieristico e, come si evince dalla tabella 5, direttamente

correlato al problema infermieristico definito nelle diagnosi.

Tabella 5. Associazione delle variabili psico-emotive di rischio con le

diagnosi NANDA e i risultati NOC

Variabile psico- Dignosi NANDA Risultato NOC atteso

emotiva di rischio

Depressione Resilienza Autocontrollo della

compromessa depressione

Personalit di tipo D Resilienza Speranza

compromessa

Ansia Ansia Autocontrollo dellansia

Stress/ Personalit Coping inefficace Coping

di tipo A

La pianificazione dei risultati secondo la Tassonomia NOC associa a ogni

risultato un insieme di indicatori da utilizzare per determinare le condizioni

dellassistito in rapporto a un risultato.

121
Relativamente alla diagnosi di compromissione della resilienza associata

alla variabile psico-emotiva di depressione, il risultato atteso

lautocontrollo della depressione (1409). In particolare ci si aspetta che in

seguito agli interventi infermieristici, lassistito compia una gamma di

azioni individuali poste in atto per attenuare la malinconia e mantenere

interesse per gli accadimenti della vita

La compromissione della resilienza che si associa alla presenta un pattern

di tipo D, caratterizzato da affettivit negativa ed afflizione cronica, vede

invece la Speranza come risultato atteso (1201). Con questo output

infermieristico intendiamo la presenza di una condizione interiore di

ottimismo, ossia soddisfazione personale e sostegno vitale (NOC). La

diagnosi di ansia, si associa al risultato numero 1402: Autocontrollo

dellansia con il quale si intende la gamma di azioni individuali poste in

atto per eliminare o ridurre i sentimenti di apprensione, tensione e

inquietudine originati da una causa non identificabile.

Infine la presenza di un coping inefficace associato a stress e/o a una

personalit di tipo D hanno come risultato lo stesso Coping (1302) ovvero

tutte quelle azioni dirette a fronteggiare gli eventi stressanti che

sollecitano in maniera rilevante lattivazione delle risorse di un individuo

(NOC).

122
2. 4 La pianificazione e gestione degli interventi infermieristici

2.4.1 La relazione di aiuto

La pianificazione e gestione degli interventi coincidono con le fasi in cui

linfermiere identifica le attivit da compiere per ottenere il risultato

prefissato.

Risultati come lautocontrollo dellansia e della depressione, il coping e la

speranza presuppongono un intervento infermieristico di tipo relazionale

poich hanno alla base il bisogno di interazione nella comunicazione.

Di fronte a tale bisogno, linfermiere risponde mediante lattuazione di una

relazione daiuto che si esplica in una presa in carico psico-emotiva del

paziente. Infatti linfermiere il professionista sanitario che, per la natura

della sua professione, che lo vede 24 ore su 24, 365 giorni allanno a

contatto con il paziente, ha maggiori opportunit di raggiungere una

profonda comprensione del vissuto interiore dellassistito. Di conseguenza

anche loperatore pi adatto ad attuare una relazione daiuto. La

relazione daiuto pu essere definita come un rapporto asimmetrico tra un

soggetto che per maturit, salute, conoscenze e capacit in grado di

offrire e gestire un aiuto e mette questa sua competenza al servizio di un

altro che portatore di bisogni. Laiuto non consiste per in una

prestazione che soddisfa il bisogno al posto del paziente, ma in

unoccasione di emancipazione del bisogno stesso, attraverso una forma

di apprendimento emotivo circa le possibilit di affrontare la sofferenza, in

modo da permettere un cambiamento costruttivo della percezione di s e

123
della realt. Limportanza della relazione daiuto sta nel fatto che questa

pu diventare il fondamento del processo di cura o come afferma Molinari

in Mente e Cuore il primo farmaco dato al paziente (2006). Per questo

importante utilizzarla bene cercando di comprendere le aspettative con le

quali il malato si pone di fronte a noi. Prima di iniziare a interagire tra di

loro infatti sia il paziente che gli infermieri posseggono delle aspettative

reciproche, funzionali a prepararsi ad affrontare le situazioni, che originano

da esperienze, paure e dallinsieme di affetti ed emozioni che animano il

mondo interno di ciascuno. Le aspettative del paziente, che possono

essere definite come i bisogni affettivi nel campo dei rapporti interumani,

includono spesso la necessit di abbandonarsi e di mettersi a nudo.

Necessit che linfermiere deve saper cogliere poich prendersi cura di

qualcuno significa garantire la possibilit di un legame che si faccia carico

dei bisogni dellaltro e che concorra a instaurare quellalleanza terapeutica

di cui il paziente necessita per poter aprire il suo intimo. Se invece il

paziente si trova di fronte a una sanit pi attenta al to cure che al to

care e che non pone attenzione alla qualit delle parole, si richiuder in

se stesso. Questo si verifica anche perch la malattia minando il senso di

se, contribuisce a rendere il paziente pi vulnerabile.

La cornice della relazione di aiuto pu essere riconosciuta nel counseling

infermieristico. Il counseling una modalit di aiuto psicologico, sviluppato

a partire dagli anni trenta da Rollo May e Carl Rogers che consiste in un

intervento volontario e consapevole del personale socio-sanitario nei

processi decisionali del paziente per il raggiungimento di un obiettivo

124
condiviso di miglioramento dello stato di salute. Tale relazione di aiuto si

basa su un approccio non direttivo in cui lesperto della relazione daiuto

ha il compito di far entrare la persona in contatto con le sue stesse risorse,

piuttosto che influenzarlo o consigliarlo sulla decisione da prendere.

Sullo stesso filone di pensiero di Rogers, Altschul (1983) definisce il

counseling come un metodo tramite cui il counselor fornisce aiuto e

consiglio al fine di permettere allassistito di esplorare la situazione che sta

vivendo e i sentimenti associati, senza prendere decisioni al posto del

paziente, cos che attraverso questo processo la persona diventi capace

di scoprire ed utilizzare idonee strategie per fronteggiare il problema.

Parlando di counseling importante fare una distinzione tra counseling

come pratica terapeutica (competenza psicologica) e capacit di

counseling (pertinenza di tutti gli operatori socio-sanitari). Possedere

capacit di counseling significa sviluppare una pratica professionale pi

attenta allascolto, alla relazione e alle esigenze interne dellassistito

secondo un approccio centrato sul paziente (Theory of person-centred

approach). Si tratta di venire in aiuto alla persona che si trova in difficolt

non dicendole cosa fare, ma aiutandola a comprendere la sua situazione

attuale e a gestire i possibili problemi, e le emozioni associate, prendendo

da sola le responsabilit di eventuali scelte. Lo scopo dellintervento

quello di aiutare lassistito a riattivare e riorganizzare le proprie risorse

(cognitive, emotive, strategiche) nellaffrontare il problema che viene

portato allinterno della relazione di aiuto, partendo dal presupposto che in

125
ogni persona ci sono delle potenzialit che gli permettono di sfruttare

laiuto ricevuto e di trasformarlo in una propria risorsa.

Allinterno di una relazione daiuto, linfermiere come counselor deve

possedere importanti abilit che consistono nel:

(1) Mostrare un atteggiamento di interesse e rispetto in quanto allinterno

di una relazione daiuto la persona porta tutti gli aspetti pi intimi, privati e

dolorosi dellesperienza di malattia, mettendosi a nudo e affidando i propri

vissuti interiori al responsabile della relazione di aiuto, che viene quindi

posto in una posizione privilegiata. Di conseguenza linfermiere deve

saper gestire questa responsabilit della quale investito con sensibilit e

delicatezza astenendosi dallassumere un atteggiamento valutativo.

(2) Essere in accordo con lassistito sospendendo il proprio giudizio critico

e morale; il paziente deve infatti essere incontrato dove egli in quel

momento, con la consapevolezza che il suo atteggiamento presente

probabilmente lunico che riesce ad avere in quella circostanza. E perci

inopportuno assumere un atteggiamento pedagogico volto a definire ci

che bene e ci che male.

(3) Comunicare al paziente, attraverso parole e azioni, che egli

apprezzato esattamente per ci che , e che quindi libero di esternare

sentimenti ed esperienze interiori senza rischiare di perdere il rispetto del

counselor.

126
(4) Essere empatici ovvero in grado di comprendere interiormente cosa

lassistito sta sperimentando nellesperienza di malattia e comunicarlo

allassistito manifestando comprensione, interesse e vicinanza.

(5) Fare appello alla propria umanit ovvero utilizzare nella relazione

daiuto oltre ad abilit relazionali anche la propria competenza umana.

Il couseling rappresenta una risposta costante dellinfermiere al

cardiopatico che presenti dei fattori di rischio psico-emotivi e si traduce in

numerose attivit, elencate dalla tassonomia NIC. Il punto di partenza con

cui il counseling ha inizio lo stabilire una relazione terapeutica fondata

sulla fiducia e sul rispetto, che garantisca allassistito un ambiente sicuro

in cui potersi mettere a nudo. Di fronte a questa nudit, compito

dellinfermiere dimostrare calore, empatia ed autenticit al fine di evitare

che lassistito indossi nuovamente gli abiti del distacco. Assicurata fiducia,

empatia, calore e autenticit il cuore del counseling si estrinseca

nellincoraggiare il riconoscimento e lespressione delle emozioni ed

aiutare la persona ad identificare il problema che provoca sofferenza. In

seguito necessario chiedere allassistito di identificare ci che pu/non

pu fare rispetto a quanto sta succedendo ed aiutarlo a identificare e

rinforzare i propri punti di forza per affrontare la malattia. E inoltre

importante incoraggiare, se necessario, lo sviluppo di altre capacit, e

stimolare la sostituzione di abitudini disadattative con abitudini funzionali

al buon esito del programma riabilitativo.

127
Uno dei compiti infermieristici nella sfera degli interventi psico-

comportamentali infatti quello di individuare gli atteggiamenti

disadattativi del paziente e incoraggiare un cambiamento dello stile di vita.

A tale proposito va tenuto conto che tale cambiamento dipende da: (1)

Presenza di conoscenze appropriate sui comportamenti relativi alla salute

e (2) disponibilit al cambiamento. La presenza di stati emotivi negativi

come depressione, ansia, stress o un pattern di personalit disfunzionale

possono compromettere tanto concentrazione e capacit di apprendere

nuove informazioni relative ai comportamenti da mettere in atto, quanto la

disponibilit al cambiamento. Linfermiere, nellambito del couseling, grazie

alle sue conoscenze e competenze, in grado di potenziare sia le

conoscenze del paziente che la sua disponibilit a cambiare.

In particolare linfermiere risponde al bisogno formativo dellassistito

mediante interventi educazionali che si inseriscono allinterno di un

programma di prevenzione, che a sua volta va a collocarsi nella

macroarea della riabilitazione cardiologica. La prevenzione del

cardiopatico coincide con un programma di prevenzione terziaria con la

quale si intende unappropriata gestione di una malattia che si gi

manifestata per prevenire unulteriore perdita funzionale. Nello specifico si

tenta di evitare-rallentare la progressione della malattia verso complicanze

gravi mediante il trattamento dei fattori di rischio. La prevenzione

cardiovascolare infatti, ha risultati consolidati in termini di riduzione della

mortalit-morbilit e miglioramento della qualit di vita del paziente poich

evita o rallenta la progressione della malattia. Tuttavia, perch il percorso

128
riabilitativo sia efficace, questo deve avviarsi nella fase immediatamente

post-acuta della malattia e deve porsi come obiettivo quello di considerare

la prevenzione una pratica clinica quotidiana. Nellambito della

prevenzione, un ruolo di primaria importanza pu essere svolto dagli

infermieri poich assistendo il paziente durante tutta la degenza,

dallingresso alla dimissione, costituiscono un anello fondamentale della

continuit assistenziale. Inoltre i programmi a gestione infermieristica si

sono dimostrati pi efficaci, rispetto a quelli a gestione non infermieristica,

nel: (1) migliorare i fattori di rischio e luso della terapia, (2) ridurre gli

eventi coronarici e favorire la regressione dellaterosclerosi, (3) favorire

una percezione positiva ed ottimistica della propria salute al paziente.

Questo perch gli infermieri sono visti dagli assistiti come fonti attendibili di

informazione ed aiuto, comprendendo il loro ruolo: il coordinamento

dellassistenza e la collaborazione con diversi professionisti sanitari.

Inoltre la loro formazione professionale include una parte dedicata

alleducazione-counselling del paziente e allapprendimento di strategie

comunicative per conseguire modifiche comportamentali; tutti elementi

fondamentali per un efficace programma di prevenzione.

Constatata limportanza dellinfermiere nellambito della prevenzione, va

specificato che il suo intervento educativo consiste nel: (1) spiegare la

malattia e le conseguenze nella vita quotidiana in termini di attivit

possibili, (2) fornire informazioni circa il regime terapeutico soprattutto per

quanto riguarda le prescrizioni inerenti allo stile di vita. E inoltre

importante far acquisire consapevolezza dellimportanza dello stile di vita

129
nella riuscita del programma riabilitativo; la persona pu infatti non essere

in grado da sola di riconoscere quali comportamenti sono funzionali e

quali, invece, non lo sono. Questo perch lo stile di vita si basa

generalmente su modelli di comportamento, che vengono interiorizzati a

partire dellinfanzia e dalladolescenza attraverso linterazione di fattori

genetici ed ambientali, e che sono mantenuti o persino incoraggiati dal

contesto sociale in et adulta.

Le principali aree in cui andrebbe posta attenzione sono: abitudine al

fumo, alimentazione, attivit fisica e peso corporeo.

Relativamente al fumo, la cessazione di tale abitudine rappresenta la

pietra miliare per il miglioramento della salute cardiovascolare. Infatti il

fumo costituisce un potente fattore di rischio indipendente per la malattia

cardiovascolare essendo responsabile del 50% dei decessi dei fumatori, di

cui la met sono di natura cardiovascolare. Il meccanismo con cui il fumo

di tabacco compromette la salute cardiovascolare passa attraverso lo

sviluppo dellaterosclerosi e dei conseguenti fenomeni trombotici. Il fumo

ha infatti ripercussioni: sulla funzione endoteliale, sui processi ossidativi,

sulla funzione piastrinica, su fibrinolisi, infiammazione, alterazione del

metabolismo lipidico e disturbi vasomotori. In particolare le specie reattive

dellossigeno, i radicali liberi, presenti nel fumo aspirato provocano

lossidazione delle LDL plasmatiche, le quali innescano un processo

infiammatorio a livello dellintima delle arterie mediante la stimolazione

delladesione dei monociti alla parete vasale, con conseguente

aggravamento dellaterosclerosi. Smettere di fumare, in seguito ad un

130
accidente cardiovascolare, potenzialmente la pi efficace di tutte le

misure di prevenzione, ma sicuramente una delle pi difficili da attuare.

Questo perch nel tabagismo intervengono numerose componenti

psichiche, che importante in un programma di prevenzione, non

sottovalutare. Iniziare a fumare, almeno allinizio, funzionale a qualcosa

(Bonfanti et al 2003), e in particolare nei ragazzi risponde ad un bisogno di

sicurezza configurandosi come una stampella psicologica ovvero un

modo per sentirsi accettato ed affermare la propria identit. Il fumo si

trasforma poi in un forte strumento di piacere e gratificazione orale, usato

per gestire o connotare situazioni tipiche: scaricare la tensione nervosa,

rilassarsi, concedersi una pausa. Il piacere sicuramente uno degli stimoli

primari per luomo e la gratificazione da nicotina si adatta bene a

strutturare meccanismi di compensazione psicologica. Tuttavia la

gratificazione del fumo pu finire per diventare una scorciatoia per placare

stress, ansia e rispondere ai bisogni pi svariati tra cui la ricerca di un

senso alla propria esistenza, quello stesso senso che nella malattia

vacilla. Ecco allora che il fumo oltre ad essere unabitudine, va inteso

anche come un sintomo, lespressione di un disagio o di un tentativo di

adattamento a situazioni difficili da gestire come conflitti interni o esterni.

Molte ricerche hanno infatti messo in evidenza una forte prevalenza dei

disturbi del tono dellumore e dellansia nei tabagisti. Di conseguenza

quanto pi sono adeguati gli strumenti posseduti dallindividuo per

superare gli ostacoli, tanto minore sar il bisogno di ricorrere a surrogati

come la sigaretta.

131
Secondo le interpretazioni della psicologia dinamica, riportate da Miscia

A. in Tabagismo, psicologia del fumatore, il fumatore sarebbe fisso allo

stadio orale, vale a dire che la relazione tra lindividuo e lambiente,

verrebbe codificata secondo le stesse modalit del neonato che porta tutto

alla bocca come processo per conoscere lambiente e gli oggetti che lo

circondano. Il fumare quindi sia un mezzo attraverso cui superare tutto

ci che nellindividuo provoca tensioni psichiche intollerabili che un modo

di soddisfare la pulsione derivante dal piacere di succhiare, tipico della

fase orale del bambino. Il fumatore rimuove il pensiero delle conseguenze

negative del fumo perch mosso da quello che Freud definisce principio

di piacere, ovvero dal bisogno urgente di soddisfare una pulsione.

Fumatori quindi non si nasce, ma si diventa e il circolo della dipendenza

solo lultimo di una serie di tappe che il fumatore percorre. Certo che

lacquisizione di una dipendenza necessita di un substrato nella struttura

psicologica individuale.

In conclusione la conoscenza degli aspetti psicologici del tabagismo,

rivelando come questo non sia semplicemente una cattiva abitudine,

fornisce gli strumenti per interpretare le difficolt del fumatore che deve

smettere e per pianificare un intervento preventivo che tenga conto della

dimensione psico-sociale di questo fattore di rischio.

Altro elemento fondamentale in un programma di prevenzione

cardiovascolare la modificazione dello stile alimentare. Le abitudini

alimentari infatti influenzano il rischio cardiovascolare, sia incidendo su

alcuni fattori di rischio come la colesterolemia, la pressione arteriosa, il

132
peso corporeo e il diabete, sia attraverso un effetto indipendente di tali

fattori di rischio. Una sana alimentazione, in particolare, prevede: un

apporto di acidi grassi saturi inferiore al 10% dellapporto energetico

totale, mediante la sostituzione con acidi grassi polinsaturi; lassunzione di

meno dell1% degli acidi grassi trans-insaturi; il consumo di meno di 5 gr di

sale al giorno e di almeno 200 gr di frutta/die. E inoltre consigliata

lassunzione di pesce almeno due volte alla settimana, una delle quali

costituita da pesce grasso e la riduzione del consumo di bevande

alcoliche da limitare a due bicchieri/die (20gr/die di alcol) per gli uomini e

un bicchiere (10 gr/die) per le donne. Inoltre lapporto calorico deve essere

limitato alla quantit necessaria per mantenere (o conseguire) un peso

corporeo ideale pari a un IMC < A 25kg/m.

Ad una sana alimentazione importante associare una regolare attivit

fisica. Nei pazienti con MCV nota, un attivit fisica aerobia della durata di

almeno tre mesi determina una riduzione di circa il 30% della mortalit

cardiovascolare totale. Questo perch un esercizio aerobio regolare

aumenta la capacit di utilizzare lossigeno da parte dellorganismo con

conseguente risparmio del consumo miocardico di ossigeno. Lattivit

fisica inoltre: migliora la perfusione miocardica, svolge unazione

antitrombotica, riduce il rischio aritmico per una modulazione dellassetto

autonomico, contribuisce a tenere sotto controllo il peso, aumenta i valori

del colesterolo HDL e diminuisce il rischio di sviluppare un diabete mellito

non insulino-dipendente. A differenza dei soggetti adulti sani, per i quali si

consiglia di praticare 2.5-5 ore di attivit fisica alla settimana, nei pazienti

133
con malattia cardiovascolare i dati disponibili non consentono una

definizione altrettanto precisa della quantit di allenamento aerobio che

opportuno svolgere allinterno della settimana. Pertanto la prescrizione

dellattivit fisica deve essere personalizzata in base al profilo clinico di

ciascun paziente.

Altro elemento fondamentale per una prevenzione cardiovascolare di

qualit il controllo del peso corporeo. Nei soggetti in sovrappeso o obesi

infatti raccomandata una riduzione del peso in quanto associato ad una

minore incidenza di MCV grazie agli effetti favorevoli su pressione

arteriosa e livelli lipidici. Tuttavia il controllo del peso, in pazienti con MCV

nota, incontra il paradosso dellobesit secondo il quale nonostante a

livello di popolazione lobesit si associ ad un aumento della mortalit

correlata a MCV, in pazienti con coronaropatia lobesit esercita un effetto

protettivo contro una prognosi avversa.

Il possesso di conoscenze sulle attivit di base relative alla salute

fondamentale per attuare un cambiamento dello stile di vita, ma questo

per realizzarsi necessita anche della presenza di una disponibilit a

cambiare. Questa dipende da numerosi fattori come: (A) quanto il paziente

si sente pronto a cambiare, (B) quanto il paziente si considera in grado di

realizzare questo cambiamento, (C) quanto forte la spinta al

cambiamento, (D) il grado di fiducia della persona nel fatto che il

cambiamento possa modificare la sua situazione attuale. Tutti questi fattori

possono essere influenzati dalla presenza di uno stato emotivo

disadattativo. A tale proposito, il miglioramento della disponibilit a

134
cambiare deve passare sia da azioni specifiche volte a trattare la variabile

psico-emotiva di rischio, che da un intervento di counseling applicabile a

tutte le condizioni psicologiche ed emozionali potenzialmente dannose per

la MCV.

A tale proposito, allinterno del counseling infermieristico acquista

rilevanza lintervento motivazionale, che ha come primo obiettivo quello di

valutare la disponibilit dellassistito al cambiamento. Linfermiere, perno

della continuit assistenziale, infatti il professionista pi a contatto con il

paziente e per questo pi adatto ad indagare e stimolare la disponibilit al

cambiamento, costruendo cos il coinvolgimento terapeutico necessario a

realizzare un efficace programma riabilitativo. La disponibilit al

cambiamento non va infatti vista come un qualcosa di statico, ma come un

fatto altamente variabile nel tempo ed influenzabile tanto dallo stato psico-

emotivo, quanto dalla relazione terapeutica. Sulla configurazione psico-

emotiva va tenuto presente che la conseguente compromissione dello

slancio vitale pu mettere a rischio lattitudine dellassistito a intraprendere

il percorso di cambiamento.

La disponibilit a cambiare un processo che attraversa pi fasi

sequenziali chiamate stadi del cambiamento. Nel primo stadio, chiamato

per-contemplazione, il paziente descritto come non consapevole o non

preoccupato della propria condizione patologica e soprattutto, non

intenzionato a cambiare. Questo stadio pu durare tutta la vita, ma talvolta

si assiste a un avanzamento verso lo stadio successivo di

contemplazione. In questa fase il paziente assume la consapevolezza

135
della propria condizione e riconosce la necessit di un cambiamento,

tuttavia lapprovazione e il consenso verbale al trattamento non si

accompagnano a una ferma decisione a cambiare. E proprio in questo

stadio che si trova la maggior parte dei pazienti che se da una parte non

negano limportanza di ridurre i fattori di rischio, dallaltra rimandano,

cogliendo ogni pretesto per non cambiare. Progredendo nella ruota del

cambiamento troviamo lo stadio della determinazione dove il paziente

finalmente deciso a cambiare. Va rilevato che, a differenza degli altri stadi

precedenti che sono potenzialmente di lunga durata e di difficile tendenza

evolutiva, la determinazione ha spesso una breve durata. E perci

importante saper riconoscere questo improvviso mutato atteggiamento

dellassistito. A questo stadio segue quello dellazione, caratterizzato

dalla piena aderenza a quanto proposto in cui il paziente si impegna a

tenere uno stile di vita congruo. Questo stadio sembra non durare pi di

sei mesi, per poi passare allo stadio successivo di mantenimento in cui i

cambiamenti diventano uno stile di vita. Da tale stadio si pu per

evolvere verso lultimo stadio del cambiamento: la ricaduta. Questa fase

conclusiva del cerchio riporta il paziente ad uno stadio di pre-

contemplazione, ripartendo da zero.

Oltre alla disponibilit al cambiamento, le altre variabili che spingono una

persona a cambiare sono sostanzialmente due: lautoefficacia e la frattura

interna. Lautoefficacia definita come la fiducia nella propria capacit di

raggiungere un obiettivo definito. E profondamente legata allautostima e

al volersi bene e pu essere inficiato da un tono dellumore depresso

136
poich la depressione paralizza il cambiamento e mina lautostima. La

frattura interiore invece la dolorosa percezione delle contraddizioni

esistenti tra la propria condizione attuale e valori personali e ideali.

Linfermiere si inserisce nella ruota del cambiamento nel momento in cui

instaura una relazione terapeutica nella quale aiuta lassistito a

riconoscere i problemi attuali o potenziali legati alla presenza di un

comportamento disadattativo, potenzia la sua disponibilit al cambiamento

e autoefficacia e lo aiuta a mettere in atto le strategie necessarie per

cambiare. Ci sono cinque principi da tenere per in considerazione se si

vuole orientare un paziente al cambiamento: esprimere empatia, evitare

discussioni, aggirare le resistenze, fare leva sulla frattura interiore e

sostenere lautoefficacia. Il primo principio esprimere empatia consiste

nellaccettare la persona cos com, nello stadio di cambiamento in cui si

trova; il secondo evitare discussioni poich ogni insistenza del

professionista sanitario finisce paradossalmente per rafforzare le difese

irrazionali del paziente. Il terzo, aggirare le resistenze, parte dal

presupposto che contrastare una resistenza frontalmente risulta inefficace

poich tende, al contrario, a rafforzarla; aggirando le resistenze invece, si

tengono basse le difese del paziente e gli si da dunque la possibilit di

evolvere nel processo del cambiamento. Il quarto principio, lavorare sulla

frattura interiore si attua facendo leva sulla pi forte spinta al

cambiamento del paziente ovvero il contrasto emotivo tra come si sta e

come si potrebbe stare. Infine lultimo principio, sostenere lautoefficacia

137
si attua richiamando precedenti successi del paziente al fine di

dimostrargli che anche in questa occasione ce la pu fare.

Altro obiettivo del counselling infermieristico quello di aiutare il paziente

a reperire informazioni sulla malattia e sulla terapia, ad assimilarle e ad

agire conformemente ad esse. Il processo di educazione del paziente alla

terapia deve includere: (1) gli scopi delle terapie intraprese, (2) la durata

prevista delle terapie, (3) i pi frequenti effetti collaterali indotti, (4) le

modalit di assunzione, (5) la pericolosit di variazioni spontanee della

dose. Linfermiere il tassello fondamentale delleducazione terapeutica

poich spesso il primo operatore ad essere consultato dai pazienti sui

farmaci da assumere e sugli eventuali effetti collaterali. Educare il paziente

sulla terapia da assumere fondamentale poich i farmaci per la cura

delle malattie cardiovascolari sono generalmente prescritti per lunghi

periodi e, in alcuni casi, per tutta la vita; di conseguenza la loro efficacia

dipende dal grado di adesione a lungo termine dellassistito. Inoltre nei

pazienti con MCV si rileva ancora una bassa aderenza alla terapia con

conseguente peggioramento degli esiti. Ad esempio ad un mese da un

IMA il 25-30% dei pazienti interrompe lassunzione di almeno uno dei

farmaci prescritti, manifestando nel tempo una progressiva riduzione

delladerenza alla terapia. Le motivazioni alla base della scarsa aderenza

sono state studiate dallOMS e classificate in cinque categorie principali

relative a: sistema sanitario, condizione patologica, paziente, terapia e

fattori socio-economici (Tabella VI).

138
Tabella VI. Motivi di non aderenza alla terapia secondo lOMS

Categoria di non aderenza Esempi

alla terapia

Sistema sanitario Scarsa qualit del rapporto

professionista sanitario-paziente

Scarsa conoscenza della terapia

Scarsa comunicazione

Condizione patologica Concomitanti disturbi mentali (es.

depressione)

Paziente Fattori psicologici/comportamentali

(es. mancanza di motivazione,

scarsa autoefficacia, impulsivit)

Deficit cognitivi

Impedimenti fisici

Terapia Complessit dello schema di

assunzione della terapia

Effetti collaterali

Fattori socio-economici Scarso sostegno sociale

Basso livello di istruzione

139
Dalla tabella si evince la forte importanza che fattori psico-sociali hanno

sulladerenza alla terapia. Uno dei dati pi significativi rappresentato

dalla depressione, sembra infatti che la presenza di uno stato depressivo

raddoppi la possibilit di non aderenza alla terapia, anche dopo

aggiustamento per livello di istruzione e sostegno sociale.

Leducazione del paziente dovrebbe essere considerata, in ambito

infermieristico, un passo fondamentale della presa in carico del paziente,

poich permette di preparare lassistito ad affrontare con una maggiore

consapevolezza e responsabile autonomia la propria malattia. Ci pu

consentire lemancipazione del paziente nella gestione della malattia, oltre

a migliorarne la prognosi e a ridurre la frequenza degli accessi in

ospedale.

Gli interventi educativi a gestione infermieristica, si devono tuttavia

accompagnare ad un altro punto fondamentale del counselling e della

relazione di aiuto in generale, ovvero a tutti quegli interventi volti a

sviluppare nel paziente: autoefficacia, coping, self care e locus of control.

Questi rappresentano infatti delle risorse interne che influenzano il

decorso e la prognosi della malattia.

Si tratta di accompagnare il paziente in un percorso volto ad acquisire

conoscenze e capacit psicologiche che gli permettano di dominare e

riappropriarsi dellambiente che lo circonda, in risposta alla peculiare

regressione psicologica che si verifica nella malattia. Se infatti un corpo

140
sano, la persona in grado di occuparsi di s, ma nel momento in cui la

malattia prende il posto della salute, allora si assiste ad un cambiamento e

luomo sano diventa un paziente, ladulto si trasforma in un bambino.

Lindividuo viene improvvisamente dominato dalla paura, torturato dal

dolore, minacciato dalla morte e allora si realizza una regressione in cui il

paziente passa dallessere padrone del suo corpo a diventarne vittima e

sotto linfluenza della malattia fisica anche la psiche subisce una

trasformazione. Le implicazioni emotive della malattia, non si limitano,

infatti, a condizionare in modo generico lumore del malato, poich i nostri

vissuti di malattia influenzano inevitabilmente le nostre capacit di attivare

energie e risorse interne nella lotta per la guarigione. E ad esempio ormai

accertato che una reazione depressiva e negativa piuttosto che una

positiva e fiduciosa influenzino in modo differente le difese immunitarie,

riducendole o viceversa rafforzandole. Farsi carico della gestione psico-

emotiva del paziente unattivit che non si limita quindi a far star meglio

un malato da un punto di vista emotivo, ma lo pu indirettamente aiutare

nella guarigione.

Tra gli elementi di cui il paziente deve riappropriarsi, troviamo

lautoefficacia. La riacquisizione di un buon livello di self-efficacy uno

degli obiettivi della relazione terapeutica poich credere nella personale

efficacia il fondamento della motivazione ed azione umana. Se infatti le

persone credono di essere in grado con le proprie azioni di raggiungere gli

effetti desiderati, hanno un maggiore incentivo per agire o perseverare al

fine di fronteggiare le difficolt. (Bandura, 2004). Lautoefficacia influenza

141
inoltre anche il modo di vedere ostacoli e difficolt; unalta self-efficacy

permette infatti di percepire gli impedimenti come sormontabili attraverso il

miglioramento delle abilit di self-menagement e la perseveranza. Il punto

di partenza per il recupero dellautoefficacia sta nellindagare da cosa

derivano le convinzioni del paziente in materia di scarsa autoefficacia.

Solitamente queste sono il risultato di precedenti esperienze di gestione

inefficace, ma importante che il paziente apprenda a ricondurre gli

insuccessi ad un impegno insufficiente o a fattori situazionali piuttosto che

alla propria incapacit di raggiungere i risultati prefissati. E anche

importante a tale proposito fare unanalisi dei limiti imposti dalla malattia al

fine di non proiettarsi verso obiettivi difficilmente raggiungibili.

Lautoefficacia inoltre influenzata anche dallopinione che gli altri hanno

circa la nostra autoefficacia. Linfermiere ha allora il compito di andare

incontro alla persona in modo creativo ovvero esplorando ed ipotizzando

le sue potenzialit. Infatti anche se inespressa, lidea che ci facciamo

dellaltro lo influenza, risvegliando in lui potenzialit vitali latenti. Di come

sia possibile che le fantasie che si fanno sugli altri possano influenzarli

senza essere espresse a parole, Jung propone una spiegazione. La

filosofia Junghiana sostiene infatti che quando due persone si incontrano,

la totalit della loro psiche che si incontra: detto e non detto, conscio e

inconscio, tutto influisce sullaltro. Quindi la psiche della persona influenza

laltro con tutti i suoi desideri, fantasie, sentimenti, emozioni. Nella fantasia

semiconscia del sanitario, il paziente visto nella dimensione futura come

guarito o almeno mutato. Se questo non avviene, lassistito non

142
stimolato e sperimenta una situazione simile a quella dellorfano, sul quale

non vengono intessute fantasie positive per il futuro e che di conseguenza

non riesce a svilupparsi completamente per mancanza di stimoli (Cannella

et al., 1994).

Oltre allautoefficacia, importante che lassistito recuperi il proprio locus

of control interno, credere nella propria capacit di controllare-dominare gli

eventi infatti fondamentale per una buona riuscita del programma

riabilitativo. La relazione daiuto deve essere finalizzata, in termini di

recupero del locus of control, a far comprendere al paziente che

possibile ottenere un miglioramento rispetto al proprio stato attuale, ma

che questo dipende prima di tutto da se stesso. Da sempre infatti noto

che il successo della terapia dipende per prima cosa dal paziente; tuttavia

nella malattia la persona tende a cercare un guaritore esterno, non

prendendo in considerazione il proprio guaritore intrapsichico, potente

fattore di guarigione. Il guaritore intrapsichico non altro che il medico che

esiste allinterno del paziente e la sua azione curativa deve andare di pari

passo con quella del medico esterno poich nessuna ferita o malattia pu

essere superata senza lintervento del guaritore interno. Il medico pu

infatti ricucire una ferita, ma per superare la malattia necessaria

unazione congiunta della psiche, del guaritore interno. A tale proposito

invece di affermare che il paziente non vuole guarire, dovremmo

riconoscere come il suo guaritore interno appaia debole. Compito

dellinfermiere allora quello di proporre allassistito unalternativa al suo

stato attuale e aiutarlo a comprendere come egli sia la prima arma per la

143
sua guarigione. E importante pretendere un ruolo attivo dal paziente

poich spesso il malato consuma passivamente la terapia e affida il

proprio corpo per la riparazione come si trattasse di un oggetto; crede di

dover esclusivamente attendere finch loggetto-uomo riparato potr

essere ripreso dallofficina. Il paziente talvolta il primo ad oggettivarsi,

separando il proprio corpo da se; allora importante fargli comprendere

come mente e soma siano reciprocamente intrecciati grazie a

collegamenti bidirezionali e come di conseguenza essi si influenzino a

vicenda, partecipando come unicum al processo di guarigione.

Per raggiungere un soddisfacente self-care interno, oltre allautoefficacia e

al locus of control necessario sviluppare delle buone capacit di coping.

2.4.2 La riduzione dellansia

Oltre al couseling, che pu essere considerato la cornice di ogni relazione

daiuto, linfermiere attua inoltre degli interventi specifici al fine di poter

raggiungere i risultati psico-emotivi prefissati. Ne derivano quindi un

insieme di interventi infermieristici, classificati ed organizzati nella

tassonomia NIC, specifici per le singole variabili psicologiche di rischio.

Relativamente al temperamento ansioso, al fine di ottenere un

autocontrollo dellansia (risultato), linfermiere interviene con attivit di

riduzione dellansia ovvero di riduzione al minimo dellapprensione, della

paura, dei presentimenti o del disagio correlati a una fonte non identificata

di pericolo (Pianificazione del risultato).

144
Le attivit di riduzione dellansia comportano come punto di partenza,

ladozione da parte dellinfermiere di un approccio calmo e rassicurante e

losservazione del paziente al fine di rilevare le manifestazioni, verbali e

non verbali, di ansia. Segue limpegno del professionista nellascoltare con

attenzione ci che il paziente gli comunica, anche al fine di individuare la

possibile fonte ansiogena e cercare di capire se lassistito vive una

situazione di stress. E inoltre importante incoraggiare la persona a trovare

le parole per esprimere le sue sensazioni, percezioni e paure e stargli

vicino al fine di promuovere la sicurezza e ridurre la paura. Infine potrebbe

essere utile insegnare alla persona luso delle tecniche di rilassamento

(Gestione degli interventi).

2.4.3 La gestione dellumore nel cardiopatico depresso

Alla pianificazione del risultato: autocontrollo della depressione,

linfermiere risponde invece con unoperazione di gestione dellumore che

si estrinseca nel garantire la sicurezza, la stabilit, il recupero e il

mantenimento dellumore della persona depressa (Pianificazione

dellintervento). A tale intervento NIC corrispondono diverse attivit, tra cui

quella di partenza potrebbe essere la valutazione dellumore della persona

sia alla presa in carico, sia costantemente durante il trattamento (ad

esempio con una scala da 1 a 10). E inoltre necessario sostenere

lassistito nell identificare i pensieri e le sensazioni dipendenti dal disturbo

dellumore. Comprese le cause e le conseguenze del calo dellumore,

145
linfermiere dovrebbe aiutare il paziente a scaricare le proprie tensioni in

modo appropriato ed assisterlo nellidentificare le risorse disponibili e le

capacit/forze personali per modificare le cause scatenanti il disturbo

dellumore. E inoltre utile insegnare nuove strategie di coping e di

soluzione dei problemi che permettano allassistito di svolgere, con le

giuste risorse, un ruolo attivo nel trattamento e nella riabilitazione

(Gestione degli interventi).

2.4.4 Il recupero della speranza nel cardiopatico con pattern di tipo D

Alla base del recupero della speranza nel paziente con pattern di tipo D

che presenti una compromissione della resilienza, sta invece il compito

infermieristico di infondere speranza ovvero di facilitare lo sviluppo di un

atteggiamento mentale positivo in una determinata situazione

(pianificazione degli interventi). Al fine di recuperare la speranza

linfermiere dovrebbe per prima cosa assistere la persona nellidentificare

le aree di speranza nella vita; a questo intervento segue limpegno ad

ampliare il repertorio di meccanismi di coping di cui dispone lassistito ed

insegnargli a riconoscere la realt mediante lesame della situazione e

lelaborazione di piani di contingenza. E inoltre importante facilitare il

rivivere e lassaporare risultati ed esperienza passati da parte della

persona/dei familiari e sviluppare un piano di assistenza che implichi un

certo grado di conseguimento degli obiettivi.

146
2.4.5 Il miglioramento del coping nel cardiopatico con pattern di tipo

A e/o stress

Relativamente al miglioramento del coping, tale risultato viene raggiunto

mediante attivit infermieristiche volte al miglioramento del coping

(pianificazione dellintervento) dellassistito che sperimenti una condizione

di stress o che presenti un pattern di tipo A. Il miglioramento del coping

consiste nellaiutare la persona ad adattarsi ai fattori percepiti come

stressanti, ai cambiamenti e alle minacce che interferiscono con il

soddisfacimento delle esigenze e con lo svolgimento dei ruoli della vita.

Tale intervento si declina in numerose attivit, nelle quali infermiere

dovrebbe utilizzare un approccio calmo e rassicurante. Per realizzare un

miglioramento del coping necessario cercare di capire la percezione

della persona rispetto alle situazioni di stress ed incoraggiarla

nellespressione verbale di sentimenti, percezioni e paure. Dovrebbe

essere inoltre incoraggiato un atteggiamento di speranza realistica come

modo di affrontare il senso di impotenza, oltre allacquisizione di una

graduale padronanza della situazione. Lassistito dovrebbe inoltre essere

supportato nellidentificare tanto obiettivi a breve e a lungo termine, quanto

le proprie risorse e capacit ed infine aiutato a trovare strategie positive

per affrontare i propri limiti e gestire i necessari cambiamenti di ruolo o di

stile di vita (gestione degli interventi).

In questottica, quello che linfermiere pu fare nella relazione daiuto far

comprendere come il cambiamento, compreso quello dello stato di salute,

sia un fenomeno normale nel corso della vita e rappresenti unimportante

147
opportunit di crescita personale e non un evento incontrollabile, fonte di

stress.

A tale proposito il paziente deve far propria la convinzione di poter

influenzare levento malattia e la gamma di emozioni associate, come tutti

gli altri eventi della propria vita.

2.4.6 Il rilassamento muscolare progressivo per il miglioramento

delladattamento emotivo del cardiopatico

Tanto lo stress quanto un temperamento ansioso, depresso o un pattern di

tipo A o D possono beneficiare allinterno del PRI di interventi terapeutici di

rilassamento. Nel contesto della cardiologia riabilitativa infatti, le tecniche

di rilassamento si sono dimostrate efficaci nella capacit di migliorare

ladattamento emotivo dellassistito, con unimportante riduzione dei livelli

di depressione, ansia, stress, ostilit e stanchezza. Secondo le linee guida

italiane inerenti alla cardiologia riabilitativa, gli obiettivi principali per cui

utilizzare le tecniche di rilassamento sono: (A) la riduzione della tensione

psicofisiologica, (B) la diminuzione dei livelli di ansia, (C) lincremento del

senso di controllo sulla propria attivit psicofisiologica. Gli esercizi di

rilassamento possono infatti contribuire a sviluppare lautoconsapevolezza

delle proprie reazioni psicofisiologiche. Ad esempio, relativamente allo

schema comportamentale di tipo A, gli esercizi di rilassamento possono

migliorare la capacit di tenere sotto controllo leccessiva attivazione

psicofisiologica che tipicamente si associa al TABP (Molinari et al, 2007).

148
Tra le differenti tecniche di rilassamento troviamo il rilassamento

muscolare progressivo che la tassonomia NIC descrive come il facilitare

la contrazione e il rilasciamento dei principali gruppi muscolari, uno dopo

laltro, prestando attenzione alle differenti sensazioni che si provano. Si

tratta di una tecnica, ideata da Jacobson e poi successivamente

modificata negli anni, efficace nella riduzione dellattivazione fisiologica

mediante delle fasi successive di contrazione/rilasciamento muscolare.

Prima di attuare lintervento di rilassamento vero e proprio, linfermiere

dovrebbe creare un ambiente tranquillo e silenzioso, con luci soffuse e

una temperatura confortevole, quando possibile. Garantite queste

condizioni ambientali, il paziente va istruito ad indossare abiti comodi e

fatto sedere su una poltrona. Il rilassamento muscolare progressivo ha poi

inizio con lindicazione alla persona di contrarre per 5-10 secondi ciascuno

degli 8-16 gruppi muscolari principali, prestando attenzione a non

contrarre i muscoli del piede per pi di 5 secondi al fine di evitare crampi.

La persona trattiene la contrazione, percepisce la tensione ed infine

rilassa il muscolo. Nel momento in cui i gruppi muscolari sono tesi,

lassistito deve mantenere rilassato il resto del corpo.

Lassistito va inoltre istruito a concentrarsi sulle sensazioni avvertite a

livello dei muscoli quando questi sono contratti e quando sono invece

rilasciati. Periodicamente linfermiere deve verificare, insieme alla persona,

che il gruppo muscolare sia rilasciato, per poi chiedere di nuovo alla

persona di contrarre il gruppo muscolare se il rilasciamento non viene

avvertito.

149
Il paziente che intraprende il percorso di rilassamento muscolare dovrebbe

inoltre essere istruito nel fare dei respiri profondi e far poi uscire

lentamente il respiro e la tensione. Infine prima di congedare lassistito, si

dovrebbe dare alla persona il tempo per esprimere le proprie emozioni

relativamente allintervento.

2.4.7 Il potere delle emozioni positive nello stress menagement

In ambito riabilitativo un importante contributo, soprattutto relativamente

allo stress-menagement, rappresentato dalle emozioni positive.

Lemozioni sono infatti implicate nellinduzione di importanti cambiamenti

fisiologici coinvolti nella risposta di stress come lattivazione del SNA e

dellasse cortico-adreno-ipotalamico che a loro volta determinano

modificazioni nella funzione dei sistemi e degli organi corporei. Di

conseguenza molti degli effetti dannosi dello stress a livello corporeo

rappresentano le ripercussioni fisiologiche di emozioni negative come ad

esempio: ansia e rabbia. Questo dimostra come le cause dello stress non

sono soltanto esterne, ma anche interne, generate da processi emotivi e

attitudini che si istaurano anche in assenza di stimoli esterni manifesti.

Tuttavia, la maggior parte delle persone manca della consapevolezza di

quanto schemi emotivi interiorizzati come ansia, preoccupazione e

scontentezza dominino la loro condizione, impedendogli di vivere

esperienze emotive positive. Di conseguenza lo stress finisce per

diventare una parte integrante della loro identit e a lungo termine, il

150
perdurare di tali modelli emotivi disfunzionali, pu contribuire alla genesi

della malattia cardiaca, determinare unintensificazione dei sintomi o

ostacolare il recupero delle funzioni compromesse mediante unazione

diretta sul substrato biologico. Relativamente alla fase di ristabilimento,

secondo uno studio condotto da Denollet et all. (1995) la mortalit post-

infartuale profondamente influenzata dalla cronicit del distress

psicologico, risultante dallinibizione dellespressione emozionale. E di

conseguenza riconosciuta la necessit di attuare, in ambito riabilitativo,

interventi efficaci al fine di ridurre lo stress e allo stesso tempo apportare

un miglioramento alla salute emotiva e al recupero fisiologico dei pazienti

cardiopatici. Gli interventi di stress-menagement possono essere di due

tipi: (A) orientati allo stimolo e (B) orientati alla risposta. Gli interventi

orientati allo stimolo, dominio del couselling, sono volti ad aiutare il

paziente ad identificare gli stressor e a riconoscere risposte emotive e

fisiche allo stress, mentre gli interventi mirati alla risposta mirano ad

aiutare la persona a diminuire i livelli generali di attivazione e a mettere in

atto strategie efficaci di coping. Nellambito degli interventi orientati alla

risposta, le emozioni positive sembrano avere un ruolo particolarmente

importante nella rottura del ciclo dello stress.

Il ruolo delle emozioni positive nello stress menagement giustificato dal

fatto che lo stress presenta unevidente origine emotiva, di conseguenza

non dovrebbe sorprenderci che gli interventi per la gestione dello stress

pi usati siano quelli focalizzati sulle emozioni. (Molinari et al., 2006)

151
Sebbene tra emozioni e cognizione siano presenti connessioni neurali

bidirezionali, le connessioni che dai centri delle emozioni trasmettono

informazioni ai centri cognitivi cerebrali sono pi forti e numerose. Questa

asimmetria permette di dedurre come intervenire a livello del sistema

emotivo sia pi efficace per trasformare i pattern emotivi sottostanti a

risposte dannose psicologiche, comportamentali e fisiologiche e rompere

quindi il ciclo dello stress alla sua fonte. Infatti le emozioni positive

influenzano il modo in cui vengono affrontate le sfide in termini di:

aumento della flessibilit cognitiva e innovazione nella soluzione di

problemi, determinando un miglioramento della funzionalit cardiaca e

della longevit. Indice dellassociazione tra funzionamento cardiaco ed

emozioni lHRV (variabilit della F.C.). Si tratta di una misura della

funzione neurocardiaca che a sua volta riflette le interazioni cuore-

cervello. Basandosi sullanalisi dellHRV stata scoperta una

sorprendente associazione tra particolari schemi di ritmo cardiaco e i

differenti stati emotivi. Lo stress emotivo (incluse emozioni come: ansia,

frustrazione e rabbia) si associa infatti a pattern di ritmo cardiaco

incoerenti con una minore sincronizzazione dei rami simpatici e

parasimpatici del SNA. Stati emotivi positivi come lapprezzamento

mostrano invece una maggiore sincronizzazione tra i due rami del SNA.

Tale sincronia si traduce (A) in un aumento della sincronizzazione tra i

ritmi beta e alfa delle onde cerebrali e il ciclo cardiaco; (B) in una coerenza

dellattivit ritmica del cuore che si manifesta come pattern del ritmo

cardiaco di forma sinusoidale con oscillazioni a una frequenza di 0.1 Herz.

152
In termini di funzionamento fisiologico, la modalit di coerenza determina

un incremento dellefficienza energetica di tutto il sistema e la

conservazione dellenergia metabolica. Tali osservazioni contribuiscono a

supportare lipotesi dellesistenza di un legame tra emozioni positive e

aumento dellefficienza fisiologica, il quale potrebbe spiegare le

correlazioni tra emozioni positive e miglioramento della salute. A tale

proposito stato infatti visto che un aumento della coerenza fisiologica si

accompagna ad un miglioramento di misure oggettive legate alla salute

come laumento dellimmunit umorale e del rapporto DHEA/cortisolo.

Inoltre la modalit di coerenza, essendo associata ad un aumento dell

attivit parasimpatica, ha un ruolo importante nella risposta di

rilassamento, pur essendo fisiologicamente distinta dal rilassamento vero

e proprio. Nello specifico il soggetto che fa esperienza di emozioni

positive, sar caratterizzato sia da uno stato di calma ed equilibrio che da

allerta e responsivit con conseguente beneficio nella capacit di

risoluzione del problemi e nel coping.

Per comprendere come le emozioni positive determinano una maggiore

coerenza utile esplorare la teoria delle emozioni di Pribram, secondo la

quale le emozioni originerebbero da una dissonanza, ovvero da un

allontanamento dallo schema di riferimento elaborato dalla persona nel

tempo. Ognuno di noi possiede infatti uno schema abituale maturato

attraverso lesperienza passata e rafforzato da imput (interni ed esterni)

attraverso un sistema di feedback. In particolare ogni imput confrontato

con lo schema abituale e se concorda con esso riconosciuto come

153
familiare e di conseguenza non genera una modifica nellesperienza

emotiva. Tuttavia se lo schema attuale in contrasto con quello di

riferimento, si sviluppa una dissonanza dalla quale prendono origine le

emozioni. A livello fisiologico la dissonanza scatena una serie di reazioni

volte a mantenere un collegamento con lo schema di riferimento,

giustificato dal fatto che la coerenza genera nellindividuo un senso di

sicurezza e di stabilit. Da questo emerge la difficolt di mutare situazioni

di stress cronico; a seguito di ripetute situazioni di stress, gli schemi

psicofisiologici che accompagnano lesperienza di stress sono infatti

riconosciuti come familiari e di conseguenza continuamente rafforzati da

nuovi imput stressogeni. Tuttavia, essendo il personale schema di

riferimento influenzabile dallesterno, se vengono sperimentati in modo

ripetuto schemi nuovi e pi funzionali, questi hanno la potenzialit di

divenire familiari e sostituirsi a quelli precedenti. Questa teoria anche

alla base delle tecniche di rifocalizzazione sulle emozioni positive

elaborate dallistituto di ricerca scientifica HarthMath. Listituto HearthMath

stato fondato nel 1991 da Doc Lew Childe, e per lelaborazione della sua

teoria parte dallidea che le emozioni possono influenzare il ritmo cardiaco;

di conseguenza focalizzandosi su sensazioni positive, possiamo passare

da uno stato di caos cardiaco ad uno di coerenza. Questo possibile

mediante la progressiva sostituzione degli schemi emotivi disfunzionali,

sottostanti allesperienza di stress, con schemi pi salutari che con il

tempo diventeranno progressivamente un modo pi familiare ed

automatico per affrontare le situazioni della vita. Le tecniche HearthMath

154
sono quindi un insieme di tecniche centrate sulle emozioni positive,

concepite per permettere alle persone di intervenire nel momento in cui lo

stress sperimentato, cos da ridurre o prevenire la risposta di stress

psicofisiologico. Il punto di entrata nella rete psicofisiologica sottostante

allesperienza emotiva, che le tecniche Hearth Math utilizzano,

rappresentato dal cuore.

Il cuore infatti possiede un sistema nervoso intrinseco che lo rende un

piccolo cervello; ad ogni battito quindi il cuore non pompa soltanto

sangue in circolo, ma trasmette anche schemi dinamici di informazioni:

neurologiche, ormonali, pressorie ed elettromagnetiche. In particolare

limput cardiaco afferente, oltre ad esercitare effetti omeostatici sui centri

di regolazione cardiovascolare del cervello, influenza anche lattivit dei

centri cerebrali superiori coinvolti nellelaborazione delle informazioni

cognitive ed emotive. Nello specifico gli imput cardiovascolari al cervello

hanno un ruolo nello stabilire lo schema di riferimento abituale; quindi

anche i cambiamenti negli schemi di attivit cardiaca possono influenzare

lesperienza emotiva. Ne consegue che gli interventi in grado di cambiare

in modo intenzionale lo schema dellattivit ritmica cardiaca, al fine di

raggiungere una maggiore coerenza, hanno potenzialmente la capacit di

modificare lo stato emotivo. Oltre alle tecniche HeartMath che propongono

di raggiungere una maggiore coerenza attraverso il potere delle emozioni

positive, lo schema dellattivit ritmica cardiaca pu essere cambiato

anche alterando il ritmo respiratorio mediante respiri profondi e lenti. La

modulazione del ritmo cardiaco attraverso lattivit respiratoria prende il

155
nome di Aritmia respiratoria sinusale; questa appare utile ma rispetto alle

tecniche di rifocalizzazione sulle emozioni positive, presenta effetti meno

duraturi. Indipendentemente dalla tecnica utilizzata laumentata coerenza

psicofisiologica, che si mira a raggiungere, sfocia in un cambiamento dei

segnali cardiaci inviati al cervello. La maggiore organizzazione dello

schema di imput afferente al cuore determina infatti una maggiore

coerenza dello schema ritmico cardiaco, la quale letta dal cervello come

un quadro di sentimenti di sicurezza e benessere. La conseguenza pu

essere linterruzione o la prevenzione della risposta di stress.

Per concludere, aiutare lassistito a focalizzarsi sulle emozioni positive,

pu essere un importante ausilio nei programmi di riabilitazione

cardiologica. Stati emotivi positivi possono infatti determinare: (1) una

riduzione della percezione dello stress, della depressione e degli stati

emotivi negativi; (2) rilevanti modifiche sul versante psicologico come la

riduzione di: rabbia, ostilit e impazienza (caratteristiche legate al

comportamento di tipo A); (3) un miglioramento nella capacit funzionale

cardiaca e (4) un miglioramento nella qualit di vita. Tuttavia lassistito

spesso necessita di essere guidato nel percorso di rifocalizzazione sulle

emozioni positive; la forma mentis positiva o negativa infatti talvolta

difficile da cambiare poich pu dipendere dal temperamento

dellindividuo. Il temperamento, ovvero linsieme di quegli stati danimo che

caratterizzano la vita emotiva, pu tuttavia essere modificato con

lesperienza. In particolare al fine di apportare un cambiamento ad una

configurazione emotiva disfunzionale, linfermiere deve aiutare lassistito a

156
potenziare la propria intelligenza emotiva. Per intelligenza emotiva nello

specifico si intende linsieme di quelle abilit socio-emozionali funzionali a

fronteggiare le difficolt. Queste sono: autoconsapevolezza e controllo di

impulsi ed emozioni.

Lautoconsapevolezza consiste nella personale capacit di riconoscere e

denominare un sentimento nel momento in cui esso si presenta come

conseguenza di quella che John Mayer (1990) definisce una particolare

forma di attenzione verso i propri stati interiori. La capacit di riconoscere

e comprendere il sentimento che ci sta travolgendo, riconoscendo da cosa

origina, la chiave che ci permette di non esserne schiavi; a tale proposito

seguire il consiglio socratico conosci te stesso gi un importante passo

verso il controllo emozionale. Per autoconsapevolezza possiamo anche

intendere la capacit di individuare le proprie forze e le proprie debolezze

e il sapersi vedere in una luce positiva, ma realistica.

Il controllo degli impulsi unabilit che si fonda sulla capacit di condurre

un dialogo interno con se stessi per poter discriminare i sentimenti dalle

azioni; di conseguenza si esplica nellapprendere a migliorare le proprie

decisioni emozionali, in primo luogo frenando limpulso ad agire e poi

(prima di agire) focalizzando le possibili azioni alternative e le relative

conseguenze.

Il controllo emozionale invece la capacit di controllare i sentimenti in

modo che questi siano proporzionali alle circostanze. Questa capacit di

frenare gli eccessi emozionali prende il nome di temperanza ed alla

157
base del benessere psicologico e quindi anche fisico. E importante che

lassistito comprenda che ci che determina il senso di benessere

soprattutto il rapporto tra emozioni positive e negative; queste ultime

vanno controllate al fine di non permettergli di offuscare gli stati danimo

posiitivi. Alla base del controllo emozionale, che consiste prevalentemente

nel controllo della durata dellemozione, c la self efficacy ovvero la

credenza di avere sotto controllo gli eventi della vita e di essere in grado di

affrontare le sfide che si presentano. La self efficacy ha numerosi

collegamenti con lottimismo, il quale risulta implicato nella guarigione; al

contrario il pessimismo fortemente connesso con la malattia. Il fatto che

un temperamento ottimista o pessimista abbia conseguenze sulla salute,

giustificato da numerose spiegazioni. Una teoria sostiene che il

pessimismo conduce alla depressione, la quale a sua volta interferisce

con la resistenza del sistema immunitario. Una seconda spiegazione

che i pessimisti tendono ad avere abitudini meno salutari come alcol, fumo

e assenza di attivit fisica. Dimostrazione di come un temperamento

positivo o negativo possa fare la differenza in termini di guarigione e

riabilitazione dato da uno studio condotto tra 122 uomini reduci da un

attacco cardiaco. Otto anni dopo levento, dei 25 individui valutati come

pi pessimisti, 21 erano morti; mentre dei 25 soggetti con il pi alto grado

di ottimismo, ne erano deceduti soltanto 6. La loro configurazione emotiva

fu predittiva della loro capacit di sopravvivenza pi di altri fattori di rischio

come lestensione della lesione subita dopo il primo infarto, il livello di

colesterolo, il grado di ostruzione delle arterie e la pressione ematica.

158
Dal momento che sempre pi fonti dimostrano la tossicit degli stati

emozionali negativi, aiutare lassistito a gestire al meglio i propri sentimenti

negativi e a focalizzarsi su emozioni positive va considerato come uno

strumento per supportare la guarigione e prevenire un peggioramento

della condizione del paziente. I professionisti sanitari dovrebbero tenere

conto che stati emozionali negativi sono spesso la conseguenza della

forte fragilit emotiva dellassistito, la quale deriva dal fatto che spesso il

nostro benessere mentale si basa sullillusione di essere invulnerabili. La

malattia finisce per distruggere questa illusione, facendoci sentire deboli,

vulnerabili ed impotenti. Questa condizione emotiva del paziente talvolta

incontra professionisti privi di intelligenza emotiva, i quali pur prendendosi

cura delle condizioni fisiche del paziente, ne ignorano lo stato emotivo,

con ripercussioni certe sul versante psicologico del malato. La dimensione

psicologica del paziente andrebbe invece considerata un tassello del

quadro di interesse sanitario. Le abilit interpersonali che a tale proposito

linfermiere deve avere sono: decifrare i segnali sociali ed emozionali

dellassistito, ascoltare, porsi dal punto di vista dellaltro, comprendere

quale comportamento sia accettabile nelle diverse situazioni.

Va tuttavia considerato che nessun intervento singolo, incluso quello che

si focalizza sulle emozioni, pu da solo risolvere un problema complesso e

multifattoriale come quello cardiaco. Le emozioni positive possono infatti

avere un effetto tonificante sulla salute, ma questo non significa che da

sole hanno la capacit di cambiare il decorso della malattia, sostituendosi

159
alla terapia. Quello che per certo che le emozioni positive possono

essere incluse tra le variabili in grado di influenzare il decorso di malattia.

2.5 La valutazione dei risultati infermieristici

La valutazione dei risultati la fase in cui linfermiere esprime un giudizio

sullefficacia dellassistenza infermieristica in relazione al raggiungimento

dei risultati attesi, basandosi sulle risposte comportamentali della persona

assistita (Craven, 2013).

I risultati infermieristici di natura psico-emotiva sono peculiari poich il loro

raggiungimento non sta tanto nella risoluzione del problema, ma

nellacquisizione della capacit di affrontarlo. Lungo il percorso

assistenziale il paziente acquisisce delle competenze psicologiche che lo

rendono forte di fronte alla propria malattia e capace di gestirla in un modo

nuovo e funzionale. In questottica il vero cambiamento quello che dona

alla persona gli strumenti per gestire efficacemente le situazioni

emotivamente impegnative, rendendola in un certo senso libera dallidea

di non farcela.

Nellanalisi delle variabili psico-emotive di rischio per le MCV, la

valutazione dei risultati pu essere condotta prendendo in considerazione

come rilevatori di efficacia, la presenza nel paziente degli specifici

indicatori che descrivono ogni risultato NOC.

160
Relativamente allautocontrollo dellansia, linfermiere pu ad esempio

giudicare lobiettivo raggiunto, nel momento in cui a seguito degli interventi

infermieristici, il paziente pianifica ed usa strategie di coping per situazioni

stressanti, mette in atto tecniche di rilassamento e controlla le

manifestazioni comportamentali dellansia.

Lautocontrollo della depressione, pu essere invece considerato

raggiunto, se a seguito degli interventi, lassistito mostra un miglioramento

dellumore, aderisce al trattamento e sorveglia le manifestazioni

comportamentali associate alla depressione.

Gli indici che mostrano un recupero della speranza sono la presenza di

aspettative future positive, ottimismo, fiducia in s, senso di pace interiore,

senso di autocontrollo, entusiasmo per la vita e pianificazione di obiettivi.

Infine la presenza di un coping efficace presente in un assistito che

mostra efficaci modelli di coping, riferisce una diminuzione dello stress,

modifica lo stile di vita secondo necessit e ricorre a comportamenti che

riducono lo stress.

Gli specifici risultati infermieristici mirano globalmente ad ottenere uno

stato emotivo funzionale, che incida positivamente sulla capacit

personale dellassistito di affrontare la malattia. Il paziente al termine degli

interventi svolti, dovrebbe mostrarsi aderente e motivato a cambiare, e

questo mutato atteggiamento dovrebbe emergere dalla consapevolezza di

come il suo contributo emotivo e comportamentale sia fondamentale per

guarire.

161
CONCLUSIONE

La storia della vita di un uomo strettamente connessa con lo sviluppo

del cuore. Esso infatti, con il suo sistema di vasi sanguigni, uno dei primi

organi a svilupparsi nellembrione e ne mantiene il sangue in movimento

fin dai primi stadi dello sviluppo (Dahlke, 1990). Se quindi esiste un

organo a cui la nostra biografia, intessuta di emozioni e sentimenti, si

connette, questo certamente il cuore.

Questa tesi si proponeva di dimostrare il ruolo delle variabili psico-emotive

nella genesi e nel decorso della malattia cardiocircolatoria; ed infine

analizzare come linfermiere possa portare tale consapevolezza nel

contesto riabilitativo, realizzando una presa in carico psicosomatica

nellassistito.

Al fine di raggiungere tale obiettivo, stato intrapreso un percorso che

partendo dalle basi teoriche della psicosomatica (parte 1) ha attraversato i

fondamenti scientifici della relazione mente-corpo (parte 2), per poi

giungere allapplicazione dellapproccio psicosomatico alla cardiologia e

scoprire cos i fattori di rischio psico-emotivi delle malattie cardio-

circolatorie (parte 3). Il viaggio poi proseguito con lanalisi del ruolo delle

variabili psico-emotive nel percorso riabilitativo, per concludersi infine con

lapplicazione delle conoscenze psicosomatiche indagate al piano

assistenziale infermieristico (parte 4).

Il cammino compiuto oltre a confermare lipotesi dellinfluenza delle

variabili psico-emotive su genesi e decorso di malattia, ha inoltre

162
evidenziato come tra malattia e psiche esista un legame bidirezionale.

Tale scoperta fa si che unassistenza che trascuri i sentimenti del paziente

che sta combattendo contro la malattia, non possa essere considerata

adeguata.

Prestare attenzione alla relazione tra psichico e somatico nella presa in

carico dellassistito, permette di intervenire dove lapproccio biomedico

non riesce ad arrivare; andando, almeno in parte, a colmare quel 50% di

cause di malattia a cui i progressi della medicina non sono ancora riusciti

a dare un nome.

Linfermiere, in virt della forte vicinanza che instaura con il paziente e

della concezione olistica della persona, il professionista pi adatto ad

assumere uno sguardo psicosomatico con il quale esplorare il linguaggio

del cuore.

Solo ascoltando le parole del cuore linfermiere pu cogliere il significato di

quellopera teatrale che il palcoscenico corporeo mette in atto, e fare la

propria comparsa per cambiare il copione.

163
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RINGRAZIAMENTI

Grazie a tutti coloro che in questi anni hanno contribuito a rendermi ci

che ad oggi sono. Desidero innanzitutto ringraziare la mia famiglia per

avermi supportato economicamente e psicologicamente durante questi

anni universitari. E inoltre doveroso ringraziare il Corso di Laurea di

Foligno per avermi insegnato la devozione verso la professione che ho

deciso di intraprendere. Ringrazio i tutor dei reparti che ho frequentato per

i preziosi suggerimenti ricevuti ed anche tutti i pazienti incontrati, per

avermi permesso di migliorarmi, assistendoli. Ringrazio ovviamente il mio

relatore, la Prof. Moretti, per avermi indicato la soluzione ai problemi

incontrati nella progettazione e stesura della mia tesi. Infine ringrazio tutti

coloro che mi sono stati pazientemente vicino in questo periodo intenso e

per nulla facile della mia vita.

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