Esplora E-book
Categorie
Esplora Audiolibri
Categorie
Esplora Riviste
Categorie
Esplora Documenti
Categorie
Sette pezzi per orchestra e di rielaborarli in modo da creare quella Suite che oggi
conosciamo, appunto, con il titolo di The Planets op. 32.
Lapertura della composizione dedicata al pianeta Marte: il grande apparato
strumentale impiegato indirizzato verso lapplicazione della tecnica politonale unita alla
struttura a blocchi tipica de Le Sacre du Printemps. Le asperit del capolavoro
stravinskyano sono per smussate grazie ad una concezione sinfonica tipicamente tardo
romantica.
Mars, the Bringer of War inizia con un ostinato ritmico che la vera struttura portante del
brano: il pizzicato degli archi e il rombo leggero delle percussioni lo scandiscono in uno
straniato pianissimo che d il senso di uno sferragliare lontano di armi o quello di una
sghemba parata di scheletri. Su questa base si staglia una fanfara degli ottoni alternata a
piccoli squarci sonori, lievi deflagrazioni mirabilmente disegnate grazie a contrasti dinamici
da manuale fino ad un crescendo che porta ad unesplosione dellostinato ritmico in
fortissimo ed a piena orchestra contrastante in modo netto con la fissit degli ottoni: uno
dei momenti memorabili dellintera partitura per leffetto di proiezione spazio-temporale che
ne scaturisce, in quanto lascoltatore sembra aver spiccato improvvisamente il volo verso
unaltra dimensione. Ritornano poi, leggermente variati, quei piccoli spunti tematici che
frantumavano il corso della fanfara fino ad un secondo tema, sorta di elaborazione del
tema della fanfara e dellostinato ritmico; lepisodio si conclude con un vero e proprio
crollo (simile a quelli che sincontrano in molte sinfonie mahleriane) per dar vita poi ad
una ripresa del crescendo ascoltato in precedenza ma proposto, questa volta, in tonalit
grevi, scure: il tema si fa avanti strisciando stancamente e acquisendo man mano colori
pi chiari fino alla ripetizione di alcuni elementi del crescendo tra cui, senza modifiche
sostanziali, la sua parte conclusiva che anticipa una nuova, violenta esplosione a piena
orchestra dellostinato ritmico questa volta per senza lelemento di disturbo degli ottoni.
Si conclude cos quella che potremmo definire, in unipotetica forma sonata, lesposizione
dando inizio allo sviluppo degli elementi motivico-tematici ascoltati fino ad ora. Il momento
pi interessante sicuramente quello della ricomparsa del tema degli ottoni che, dopo il
primo crescendo, creava un attrito con lostinato ritmico a piena orchestra: adesso per
(come ribaltamento della seconda esplosione) scompare proprio lorchestra e, dunque,
lostinato ritmico stesso, permanendo quindi solo gli ottoni; viene insomma a mancare
proprio quella che abbiamo definito struttura portante del brano con la delineazione di un
paesaggio spoglio, gelido, immateriale, quasi ligetiano e a cui segue immediatamente un
turbinio fantasmatico di archi e legni (gi accennato pochi attimi prima del crollo). Giunge
infine la coda con nuove esplosioni a piena orchestra che stravolgono completamente la
forma dellostinato ritmico, quasi privato del suo centro di gravit e distrutto dal suo stesso
peso.
In Venus, the Bringer of Peace regna veramente un senso di pace, di serenit dopo i
toni aggressivi dellepisodio marziano (e marziale), ma anche un tono estremamente
arcadico. Il corno, con la risposta dei legni, crea unatmosfera di massima chiarezza,
marmorea, algida, un vero paesaggio fuori del tempo, conducendo il brano verso un tema
cullante di straordinaria dolcezza che si arresta sulla ripetizione accorciata
dellintroduzione. Compare quindi un nuovo tema lirico esposto dai violoncelli (questa volta
ascendente a differenza del carattere discendente del tema cullante) su cui un violino
solista (e successivamente gli archi in tessitura acuta con punteggiature dei legni) innesta
un canto malinconico di grande efficacia emotiva. Segue un secondo tema (quasi un breve
sviluppo del tema precedente) proposto in un dialogo tra gli archi fino alla ripresa variata
con il ritorno del tema cullante (in un impasto timbrico di preziosa ricercatezza) e del
motivo malinconico questa volta assegnato al violoncello. La coda si basa essenzialmente
sul tema cullante che ora assume un tono quasi di marcia con una veste strumentale
dineffabile soavit grazie agli echi del parsifaliano Motivo dei Cavalieri del Graal ed a
unaura impressionistica molto accennata (il Debussy orchestrale e pianistico fa capolino
in parecchi momenti del brano).
Mercury, the Winged Messenger si avvia con luminescenze veramente fatate create
da incisi ascendenti e discendenti che rimbalzano da un gruppo strumentale allaltro con
importanti spunti assegnati ai tocchi cristallini della celesta. Un tema di fanfara cerca di
farsi largo ma senza successo fino ad approdare agli archi ed, infine, alla piena orchestra
che lo enuncia in fortissimo ancora una volta, per, senza troppa enfasi, quasi non
tradendo la natura lieve ed aerea del brano. Dopo la ripetizione, in cui si presentano
significative varianti nelle scelte strumentali, i tintinnanti colpi della celesta corredano la
coda, e gli echi lontani della fanfara, di guizzi saettanti e di grande lievit, degne
evocazioni del messaggero alato.
E un turbinoso motivo degli archi che d vita, invece, al quarto brano, Jupiter, the
Bringer of Jollity (il re dei pianeti collocato esattamente al centro della composizione),
dove campeggia maggiormente una pomposit tipicamente british. I tre temi (di cui il
secondo sembra avere il significato di un tema di transizione) che compaiono nella prima
parte presentano una natura folklorica e campestre dispiegandosi in una grande e gioiosa
giostra allaperto (lontana anni luce, il caso di dirlo, dal mondo triviale, diabolico e
grottesco insieme, del sinfonismo e del liederismo di un altro illustre Gustav, Mahler). La
conclusione di questa sezione preceduta da un interessante intreccio tra lultimo tema
ascoltato e linciso turbinoso ascoltato allinizio. Compare adesso una fanfara che arresta
per un attimo il corso del brano fino alla ricomparsa del primo tema in una versione pi
calma ed innaturale, quasi privo di forza. E il preludio alla seconda parte che divampa con
un tema di straordinaria eloquenza e nobilt, elgariano nel suo aplomb, e noto ai pi (in
particolar modo agli inglesi) per essere impiegato nelle cerimonie solenni (tra le altre il
che si appropria del tema e delle sue piccole varianti, suona come un richiamo lontano
proveniente dallinfinito del cosmo: il suo incedere incantatorio, ipnotico, con leffetto di
poter ammaliare anche un improbabile Ulisse dello spazio. La chiusa ancora pi
incorporea con il coro femminile che riduce il tema a sole due note che riecheggiano nel
vuoto fino ad allontanarsi nel nulla con un fenomenale decrescendo dinamico.
Termina cos il viaggio holstiano tra i pianeti con il grande assente Plutone che, come
noto, sar scoperto soltanto nel 1930. In realt Colin Matthews ha proposto un
completamento della Suite con lintroduzione di Pluto, the Renewer. Tale idea per non
sembra del tutto riuscita considerando la perfezione dellincompiuta versione di Holst in
virt di sottili simmetrie musicali e degli spiccati simbolismi che reggono autonomamente
lintero organismo compositivo senza bisogno di additivi innaturali.