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42 Famasmi me e nere. C2 la luna, e non per caso, signore e signori. La sua luce illumina debolmente anche i vapori fra gli alberi. E sembrano allora tanti fantasmi che adagio vanno lungo i fi- lari, vanno. Contorcendosi un poco. Ma dove? dove?» «Ora basta» gli disse prudentemente Giorgio Battigalli, quel sim- patico buontempone, battendogli una mano sul braccio al- zato. «La poesia é consentita fino alle zero e quaranta, poi interviene il coprifuoco della decenza.» Passd un tassi col Jumino verde di libero, al richiamo si fermo. «Allora buona- notte.» «Buonanotte.» «Si, si, domani ti telefono.» Domani? Al volante, pallida, sedeva Colei che spegne ogni gioia di- sperde le spensierate compagnie. «Corriere d'informazione», 12-13 ottobre 1957 Mondanita Non bella, non giovane, non di sangue nobile, non special- ‘mente ricca né, diciamo la verita, esageratamente cclta, la signora Laura Sforti, detta Lalla, moglie di una modesta in- dustria chimica, sta tuttavia dominando la stagione del bel ‘mondo. Che donna straordinaria. Laltro giorno mi telefona: «Caro, ? lei? Oh non mi dica che domani pomeriggio non libero... Si, verso le sei e mezzo, sette... qualche amico... er un drink... ci sara I'Echaufucault, si Yarchitetto che do- :ni parla al Circolo. Come? non lo conosce? Un uomo de- izioso... una conversazione, una conversazione poi... S'in- inde, dopo la conferenza. No, no, assolutamente. Per la .cchia amica Lalla, fara questo sacrificio, no?... Su su da bravo... Ecco, lo sapevo, lei & un civile... Allora ci conto, ci nntissimo, ah ah... Arrivederci caro. Adieu.» Insomma. Il giorno dopo, con scarso entusiasmo perché Yarchitettura non é proprio il mio debole, ma vado. Lungo Ja strada, perché sono un po’ in anticipo, compro il giornale lella sera e do una scorsa. Come sempre, la notizia interes- ‘sante mi salta allocchio subito. Ottava colonna, nona pagi- ‘na. Un necrologio a pagamento: Dopo lunga malattia sopportata con umana rassegnazione, munita dei conforti religiosi, ¢ volata a Dio Yanima eletta di Maria Laura SroRrt Ne danno costernati l'annuncio il marito, ecc. ecc. 44° Fantasmi Io resto la, inchiodato, mi tremano le mani, Leggo e ri- leggo. Non c’t dubbio, & proprio lei. Eppure. Come & pos- sibile quella “lunga malattia’” se ieri, al telefono Laura era vispa come un grillo? Rileggo per I'ottava volta. Nome, co- gnome, marito, figli, parenti, indirizzo, tutto corrisponde. Ne provo, con la scossa, un grande e sincero dispiacere. Sconvolto, @ la parola. Ma non posso rimanere la impalato vita natural durante per la strada con il giomale in mano. Da qualche parte dovrd pure andare, “Be” mi dico “non mi resta che prendere la palla al balzo: continuer® la strada, andré a fare le condoglianze a suo marito. Sono vestito di scuro, cravatta scura, paltd scuro; non si potrebbe desidera- re di meglio. Pareva che me la sentissi.” Dinanzi alla villa Sforti, e per un buon tratto da una par- te e dalfaltra, stazionano le macchine a decine. Gruppetti di autisti che confabulano. Varco il cancello e attraversando il breve lembo di giardino atteggio il volto alla doverosa compunzione, Povera Lalla. Non faccio in tempo a suonare il campanello che la porta si apre lentamente. Un domestico, il volto immoto e impe- netrabile, mi prende paltd e cappello. «Prego, di qua, signore.» Resto trasecolato perché dal primo salotto giunge uno scoppio di risate. Non risa isteriche, come possono prodursi, in certi casi, per parossismo di dolore. No. Spensierata ilarit& che tosto si rompe e si sminuzza in un vivace cicaleccio, Mi volgo all'impassibile domestico chiedendogli con gli occhi spiegazione di quell'inqualificabile allegria (alla pre- senza della Morte!) quand'ecco la signora Laura Sforti, lei in persona, in carne ed ossa, florida e sorridente, mi viene incontro tendendomi le mani, «Oh caro, caro, come sono contenta di vederla... Ma che cos’ha?... La vedo cosi pallido... Dia retta a una vecchia amica, mi ascolti, lei lavora troppo... Venga con me, le pre- paro, adesso, una piccola mistura... una specialita corrobo- ante, anzichend... vedra che la rimette in sesto...» Mondanita 48 Tl salotto @ gid quasi gremito. Milieu tendenzialmente in- tellettuale e artistico. Bicchieri e piattini che vanno e ven- gono, convenevoli, banalita, sciocchezze. Qualche ragazza ‘che fa tipo. Nel centro, brutto, tetro e smorto come una tal- pa in una gabbia di uccelli cardinali, sta il sommo architet- to: risponde con rari monosillabi nasali all'assedio di do- mande e complimenti, solo di tanto in tanto emette qualche frase sussurrata, che io non afferro, ma che scatena turbini ‘di risa. «Cosa ha detto?» chiedo. Mi risponde uno di quelli che tidevano: «Ha detto che a Parigi, di questa stagione, fa fred- do come qui. Ma come I’ha detto, bisognava sentirlol Con che spirito, con che verve. E inutile, non ci sono che i fran- esi per dire certe cose senza sfiorare la volgarita». Cerco intorno una faccia amica, qualcuno abbastanza in ‘confidenza da potergli chiedere spiegazioni sul misterioso necrologio. Evidentemente si tratta di una impressicnante “omonimia. O di uno scherzo. O di una mia allucinazione. “Comunque, é un argomento delicato, essere il primo a sol- Tevarlo, fra tanto fervore di gaiezza, non mi garba. ‘Ma non vedo con chi poter decentemente conficarmi, N6, intorno, avverto, nel contrappunto delle chiacchiere, al- Jusioni al tragico annunzio. Che la pubblicazione sia sfugei- ta? O nessuno osa parlarne alla presenza della principale ‘interessata? Inquieto, esco dalla stanza, sperando di trovare chi mi ‘possa risolvere l'enigma. f Sul vasto atrio d'ingresso, ottagonale, lungo le cui pareti una scala di quercia sale alle stanze superiori, danno diver- se porte chiuse solo da una tenda. Ad una delle quali io mi alfaccio. Ecco un salotto. Penombra agiata. Sulle poltrone e sui divani in circolo una decina di signore, eta varia dai trenta ai cinquant’anni, Stanno prendendo il t con una quantita incredibile di paste e pasticcini. Sembrano tante mucche ben curate e ben nutrite. La conversazione é sui bambini. 48 Fantasmi «Si, si, a scuola li affaticano troppo.» «Troppi compiti troppi compiti!» «E poi si ammalano,» «Oh, il mio maggio- re ha appena fatto il morbillo.» ell mio, oltre il morbillo, quest’anno ha fatto: rosolia, scarlattina, varicella, orecchio. ni, pertosse e un po’ di febbre melitense; eppure il primo della classe.» «Poverino! I morbillo, ai miei, gliel’ho fatto fare in Svizzera.» «Perché? In Svizzera é di qualita miglio- re?» «Cara te, c’é una igiene, in Svizzera!» Ma questa voce la conosco. Guardo meglio. $i, si, & lei, la signora Lalla Sforti. L’ho lasciata cinque secondi fa con l'ar- chitetto, portava un abito a sacco color fango e adesso & qui, vestita con un classico ‘ailleur da pomeriggio. Strano. Non visto, mi ritraggo e tento alla porta successiva. Un altro salotto, stile impero, con cinque tavolini ciascuno con due coppie intente a giocare al bridge, Ma quella in fondo, con quel vestito rosso sangue, non @ la Sforti? Sicuro. Pro. prio la Laura, sempre lei, che sta facendo il morto e ne ap- profitta per offrire un beveraggio agli ospiti, Anche stavolta mi ritiro. Quasi mi investe - stento a cre- derlo - la signora Lalla, uscita dalla porta successiva. Ele- gantissima, in princesse verde marcio. «Caro amicov e mi prende per un braccio «non viene a dare un saluto agli spo- sini?» «Agli?...» «Ma si, la mia Graziella fra pochi minuti ci lascia... Certo, sono felice, un partito meglio non si poteva desiderare, ma, mi creda, ® una gran malinconia, ancora non riesco ad abituarmi all'idea...» Mi rimorchia in un quarto salotto, zeppo di gente in pie- di, Intrawedo la sposina in bianco, che distribuisce confetti con la assistenza dello sposo. Discorsi d’occasione: ¢E il viaggio di nozze? dove vanno?», «Lei fatichera a crederlo: a Venezia!» «A Venezia? Ma sul serio?» «Che vuole? La stra- vaganza delle nuove generazioni non ha limite. Ai miei tem- pi, la luna di miele si passava nei posti consacrati: che so io, in Biscaglia, alle Filicudi, o con un bel viaggio attraverso la Svezia in autostop!» Porgo anch'io i saluti alla sposina; e stacco. Mi sento fra- stornato. Rinunciando a ulteriori spiegazioni, punto verso Mondanitd 47 “il guardaroba. Macché. Di nuovo la infaticabile Lalla mi ag- " gancia. Stavolta é in golf viola, con gli occhiali. «No, no, ca- “fo, non se ne andra cosi. Stefanoni, Vonorevole, & arrivato "proprio adesso... Venga, venga... Oh, mica una conferenza, ue parole, cosi, fra amici, per fare il punto, sa, dopole ele- zioni, ho pensato che sara interessante. Stefanoni 2 un cosi delizioso causeurl» Non si interrompe un attimo, la proteiforme Lalla, gui- dandomi verso l'ultimo salotto dove, sedute su sedie ¢ pol- troncine in tante file, una ventina di persone attendono. Guardandomi con occhi furbi mi domanda: «Ma lei non -pensa che sia proprio molto cocco?». «Chi?» faccio ‘o spa- ‘yentato. «ll marxismo, no? Le confesso che mi piace da mo- rire, Non so, ma senza un po’ di materialismo dialettico "non sarei pid capace di tirare avanti. Lo trovo cosi sweet!» Per mia fortuna un nuovo arrivato concentra su di sé la sollecitudine della padrona di casa, che mi molla. Eccomi nuovamente nell'atrio, ben deciso, stavolta, a filarmela al- Tinglese. Sento infatti sfiorarmi dalla dolce ala della ‘ollia. Ma, dalla scala, vedo scendere varie persone, anche di mia conoscenza, che sussurrano fra loro, le facce desolate. “Per lo pitt hanno gli occhi rossi. Qualche signora si soffia compostamente il naso. Giunge dall’alto eco d'un sin- ghiozzo. Che mai succede? ; «Lha vista? ha vista?» mi chiede, con luttuosa trepida- ~ zione, una distinta e grassa dama che avrd incontrato centi- naia di volte, ma non ho mai capito bene chi sia. «Lha vi- sta? Sembra un angelo. Che cosa terribile!... Oh venga anche lei a vederla, io la accompagno volentieri. So quanto bene le voleva.» ‘Su anch‘io, dunque, per la scala, preso da un nero so- spetto. Quell’annuncio sul giornale! Poco dopo la vedo. Sembra davvero un angelo. Distesa come una statua sul let- to Luigi XVI, fra siepi di meravigliosi fiori, al discreto tre- molio delle candele. Si direbbe una giovinetta, tanto é bel- la, nella quiete suprema. Le dolci mani insieme stringono e 48 Fantasmi acearezzano un Crocefisso d'avorio del primo Cinquecento. Non riesco a trattenermi. Anch’io. La mano cerca nella ta- sca il fazzoletto. Ridiscendo, incrociando sulla scala il pellegrinaggio dei dolenti in arrivo. Dai sommessi commenti, intorno, si spri- giona, col dolore, un sentimento di quasi invidiosa ammira- zione. «Una madonna, ti dico, uno splendore.» «Povera Lal- la. A dirlo sembra una profanazione, ma anche in fatto di sonno eterno, non c’é nessuno che la batta.» «Eh si, il tra- passo dona tremendamente alle biondo cenere!» Esco, finalmente. Fuori c’é il carro che attende, la folla, una marea di corone, le bandiere degli orfanotrofi. ; Che donna, che donna. Ma come potra trovare il tempo di fare contemporaneamente tante cose? Perfino il tempo di morire. «ll Nuovo Corriere della Sera», 5 luglio 1958 Tl caso Hedda Lennon signora Hedda Lennon, vedova di un imprenditore edile lese trapiantatosi al Cairo, aveva una figlia sposata che iveva in Inghilterra. (Io riferisco qui il compendio della sto- ‘ria perché la ricostruzione cronistica sarebbe troppo lunga e ‘complicata.) Hedda Lennon viveva in una villa alla estrema periferia del Cairo, contornata da un giardino. Un giorno, wwamo nel 1934, ricevette una lettera della figlia, di nome Lois, che doveva farsi ricoverare in clinica in seguito a una ‘emorragia, Due giorni dopo, dal marito della Lois, Harry ‘Thompson, ingegnere di una fabbrica di cavi elettrici, rice- vette un telegramma che annunciava la morte della Lois. Aquell'epoca le linee aeree non erano ancora entrate nel- Tuso. Hedda Lennon parti in piroscafo, raggiunse Marsi- glia, di qui in treno a Cherbourg, quindi a Londra. Restd esterrefatta quando giunse nella casa del genero, a Coven- try. Sua figlia Lois era viva e stava benissimo. Sia la figlia sia il genero ebbero l'impressione che lei, Hedda, fosse diventata matta, Invano la signora ripeteva di avere avuto la lettera ¢ il telegramma; sfortunatamente i due messaggi erano rimasti al Cairo e lei non poteva farli vedere. Breve: dopo neanche un mese, Hedda Lennon, piut- “tosto scombussolata, ritornd al Cairo. Dove immediata- mente cerc® la lettera della figlia e il luttuoso telegramma del genero: ma non riusci a trovarli. 100 Fantasmi «ll cognome?» ripeté. Lungamente meditd: «Lei signore, vuole proprio sapere il mio cognome?», «E dai, gaglioffol» Silenzio. Poi il vecchio compitd. «Du... Du... Duka... Duha...» Rialzava lentamente il volto, la luce lo disegnd nei suoi particolari orrendi, «Duha... Duha... Duham...» Giorgio arretrava, non sorrideva pit. «Duham... Duham... Duham...» Giorgio finalmente cap}. Quel tipo spaventoso! Lui stes- so, fra mezz'ora. In quel preciso momento, Mondadori, Milano 1963 La paura |paura viene, senza bisogno di nulla, in sul far di certe edibili sere, riunendosi dapprima lungo le siepi, nel- allette gia opache, ai piedi dei vecchi muretti diroccati. lietro le chiese solitarie no? in quel praticello ai piedi Wabside dove non passa mai nessuno? Fin dal pomerig- pperd la si sarebbe potuta riconoscere qua ¢ la, che stava, icinandosi: per esempio in quei lunghi richiami che di la fiume due si erano scambiati a grandissima distanza at- xrso la campagna; per esempio sulla frana gialla, in uei piccoli buchi incomprensibili che pregustavano gia ertamente la notte; o nell'improwvisa sensazione che an- questa era una giornata perduta (e forse la stessa vita?). duto nel giardino, egli aveva pure visto un cane fuggire ecipitosamente per i pascoli deserti, lassi in alto: la be- era sola e a un certo punto si era persa nellestrema lon- anza confondendosi nel verde immobile. (Ma nessuno ci fa pensato, perché era una limpida e tepida giornata di , favorevole ai progetti e agli amori, che faceva dimenti- are, Era, ahimé, l'ultimo pomeriggio buono e noi non lo amo.) Ma poi era venuto il grande e giusto silenzio della cam- gna, acquetatisi gli uccelli, le vespe, tutti gli insetti, solo il ¢ lontano restava con la sua voce malinconica, Anche time campane si erano spente, i fiumi delle case tra gli 102 Fantasmi Lapaura 103 alberi si andavano confondendo con Yombra, nel cuore ri- cordi, dolce tristezza, illusioni. Cosi le strade erano rimaste vuote, buio crescente ai quadrivi, umidi vapori uscendo dall'acquitrino lentamente. Si muovono a quest’ora dalla caverna, nel cavo del vallone, i fumosi briganti caldi di vino verso la grande strada coi loro schioppi? Oppure @ loro quell’autocarro che ansima in salita e dilegua lontano? Conviene adesso sprangare le porte ed @ forse un male perché la notte non potra pitt circolare liberamente fuori ¢ dentro Ia casa ma, penetrando dalle fessure, si addensera troppo nelle stanze. Lui perd ha le spalle larghe e la faccia da vecchio soldato, la sera @ ancora spensierata, anche lei a tavola chiacchiera agevolmente. Perd il tempo passa e ci si é fin troppo attardati leggendo ¢ ricamando quando la pendola, fuori nel corridoio, suona. Chi la sentiva quando cera il sole? Ora vibra nel buio con vecchie risonanze di bronzo e i vuoti angoli della casa ri- spondono. Come si sentono anche i passi di lei su per la scala, A meta si ferma. Le era parso. Niente, chissa che co- s‘era. Nella camera da letto la lampada da una luce tran- quill. Sale a dormire anche lui che ha le spalle quadre e di so- pra nell'armadio un moschetto carico modello Mauser. Ep- pure col piede sul primo gradino, si volta. Naturalmente il corridoio & vuoto. Strano pero: si direbbe esso aspetti che lui sia andato a dormire. Aspettano di essere soli i muri, il canterano nell'angolo, l'armadietto dei ferri, perfino le bi- ciclette, Aspetta che non ci sia pitt nessuno pure il grigio pavimento di pietra: per i passi di chi? Troppa gente forse hha passato la vita qui dentro, nati, cresciuti, diventati gran- di, invecchiati e morti, poi altri poi altri, qualche cosa a Jungo andare hanno lasciato, qualche cosa di vago e sottile che nella luce del giorno si perde. 0 & invece il peso eterno di tutti gli altri viventi sulla nostra solitudine, solo che noi non riusciamo a capire e appena usciti dalla stanza ci vol- tiamo indietro di scatto e gli specchi ci rimandano una fac- cia strana? “Icani dei contadini abbaiano molto spesso lamentosa- te e si odono da distanze sterminate; non c’é un mo- ito della notte in cui, tendendo le orecchie, non si senta alche cosa abbaiare. Ma non sono i cani. Il busto del bisnonno diventa a quest’ora eccezionalmen- bianco e due occhiaie profonde si formano, meditabon- de, rammemorando cose che non sappiamo ma ci riguarda- 0. E anche i ritratti ci fissano con allusioni recondite. Ma on sono il busto o i ritratti. «Giovanni» chiede lei con un sussurro «Giovanni, hai entito?» «Che cosa?» , hanno battuto alla porta.» «Ma no, nessuno ha battuto. E il vecchio ferro della ten- ja che dondola quando c'é un po’ di vento e ogni tanto urta la porta.» «Ecco, ecco... un altro colpo.» «Sta’ quieta, Maria. BisognerA farlo togliere, quel ferro, to ormai non serve pid a niente. Chi vuoi che venga a juest’ora e batta alla porta? La gente dorme a quest’ora.» "I topi, verso le undici e mezzo, cominciano a muoversi eli antichi interstizi dei muri. A scatti provocano scrosci ordi nella camera accanto, frusciano con le pance flosce sotto la solenne tenda rossa la quale continuera a nascon- un segreto orrendo fino al canto del gallo. Ecco i topi, si pensa, chi li snidera mai? Tendendo le orecchie, si seguo- no le loro manovre, che rumori strani. Possibile che siano joro? O @ invece un essere umano che apre un cassetto, di , estraendolo a poco a poco? E chi cammina adesso in offitta, Dio mio, di chi sono questi lenti passi che avanza- no verso la porta della scala? Ma non & neanche questo. "Nel soffitto una lieve screpolatura. Deve essere filtrata Tumidita e si @ formata una macchia. Distesi sul letto, la si arda. Ha proprio la forma di una faccia, un vecchio gras- 0 dalle labbra sgangherate. Ma a un certo punto i contorni oscillano; un minimo spostamento (gli occhi si erano leg- germente portati a un altro punto e la macchia credeva di 104 Fantasmi non essere osservata). Appena si torna a fissarla, subito si immobilizza. Pare quella di prima e non é. All'angolo della bocca & nata una increspatura di sogghigno. Forse baste- rebbe chiudere un istante le palpebre perché si muova an- cora. Ma non é neanche questo. «Giovanni» lei balbetta riscuotendosi, «Giovanni, la mamma mi chiama.» «La mamma? Ma non c’é tua mamma.» «Maria Maria” ho sentito benissimo, vuoi che non cono- sca la sua voce?» «Sognavi probabilmente. Tua mamma @ lontana. Cerca di dormire.» «Era qui, era qui, proprio di fianco al letto, mi chiamava. Giovanni, ho paura.» «Era un sogno, niente di male. Dormi adesso ch’e tardi.» «La sua voce, ti dico, ho ancora qui nelle orecchie... Era tutta affannata, come se fosse successo qualcosa.» Il camino della stufa, sul tetto, deve avere la bocca trop- po larga; oppure il cappuccio di zinco non la ripara abba- ‘stanza. Se appena c’é un po’ di vento, aria si ingolfa e mu- gola, proprio un lamento che scende gid per il muro. Ne risuona vagamente la stufa; pare che sospiri. Ma non & nep- pur questo. E perché le poltroncine della bisavola stanno Ia in quella posa? Sembrano eccitate e ansiose. Chi aspettano? Chi verra a sedersi? Perché quando era giorno se ne stavano invece tutte insonnolite? Non hanno neanche paura di tradirsi, Ec- cole: una, due, tre, quattro, perfino la seggiola sconquassata in fondo al corridoio. Spegnere la luce @ pericoloso, Che co- sa faranno, appena buio? Chi avanzera dallangolo? Ma non sono nemmeno le poltroncine. «Cé un cavallo, Giovanni» lei si@ alzata improwvisamen- tea sedere sul letto. «Lo senti, lo senti?» «Creatura, che cos'hai stanotte? Tutto é tranquillo.» «Ma come fai a non sentirlo? Sulla strada... & qui che vie- ne.., Dio come corre.» Giovanni tace, anche lui ora sente. C’ come uno che ga- Iapaura 105 pa galoppa. E sembra che si avvicini e invece 2 sempre in fondo. > / feNion ® un cavallo, Maria, nessuno galoppa a quest’ora. B ‘qua della cisterna che sgocciola e bate su qualche cosa, le volte si dimenticano di chiuderla. ; «.. Proprio le zampe che battono. Non é la cisterna, ti di- 0... Che cosa sara suiccesso per correre cosi disperato?» E di chi sono adesso questi passi in giardino? La ghiaia icchiola sotto ignoti scarponi, poi si ode un rumore biz~ © come un cencio bagnato lasciato cadere su una pie- . 0 d'improwviso gli uccelli si svegliano per oscuri motivi fanno tramestio tra le frasche con qualche pigolio soffo- ito. Oppure c’ il gatto che sguscia di stanza in stanza, cer- do, 0 il flaccido farfallone che frigge contro i vetri con ino sbattimento di carne. O una sottile voce che va ¢ viene potrebbe essere di un tarlo. O il grosso ragno che dopo tre giorni si é messo finalmente in viaggio. O i vestiti dell’attac- apanni cosi assomiglianti a un impiccato. E poi gli infiniti alimenti dei legni, gli echi impalpabili delle cose dette, jomi, litigi, risate, antichi pianti che si credevano sepolti ii anni. E il silenzio che a poco a poco, ascoltando, si forma in un rombo con dentro voci indecifrabili, la- menti, motori, detriti di esistenze e di sogno, carriaggi, mu- ida. : Mis non b neanche questo. E neppure sono i nostri rimor- si, E neppure ¢ Dio. Ecco che cos’: @ la morte che viene, da tempo si é messa in cammino per ciascuno di noi e certe notti, nelle vecchie case deserte, allora la sentiamo venire. i i, con il titolo {I Nuovo Corriere della Sera», 7 novembre 1946, poi, con il a notte, in Paura alla Scala, Mondadori, Milano 1949 164 Fantasmi E passato gia un mese e dell’ i nulla: La moglie dee che lo seritone & wove sone | un'inchiesta giornalistica. Ma da nessun paese la sua pre. | senza & stata segnalata. Un isolamento foriero di capolavo, 11? Iluminari, interpellati, dicono che a quest‘ora il roma! 2o sarebbe dovuto venire a maturazione; se questo non ¢ successo, vuol dire che lopera ¢ andata riassorbendosi, Ne- gli ambienti letterari, comungue, stanno tornando sereni e distensione. Che ne sara? cn Messaggero del sud «Corriere della Sera», 27 novembre 1968 Je case pencolanti, le balconate a traforo marce di polve- ‘li anditi fetid, le pareticalcinate, gli aliti della sozzura ata in ogni interstizio, sola in mezzo a una via io vidi a o Said una figura strana. Ai lati, lungo i piedi delle case, muoveva la gente miserabile del quartiere; e benché a snsarci bene non fosse molta, pareva che la strada ne for- ticolasse, tanto il brulichio era uniforme e continuo. Attra- i veli della polvere e i riverberi abbacinanti del sole, n riuscivo a fermare Vattenzione su alcuna cosa, come .de nei sogni. Ma poi, proprio nel mezzo della via (una ‘qualsiasi identica alle mille altre, che si perdeva a vi- docchio in una prospettiva di baracche fastose e crollan- proprio nel mezzo, immerso completamente nel sole, {un uomo, un arabo forse, vestito di una larga palan- a bianca, in testa una specie di cappuccio ~ 0 cos! mi — ugualmente bianco. Camminava lentamente in mez- alla strada, come dondolando, quasi stesse cercando Icosa, o titubasse, o fosse anche un poco storno, Si anda- ‘llontanando tra le buche polverose sempre con quel suo dorso, senza che nessuno gli badasse e I'nsieme suo, quella strada e in quell’ora, pareva concentrare in sé con aria intensita tutto il mondo che lo contornava. Furono pochi istanti. Solo dopo che ne ebbi tratto via gli ardi mi accorsi che 'uomo, e specialmente il suo passo 166 Fantasmi inconsueto, mi erano di colpo entrati nell’animo senza che sapessi spiegarmene la ragione, «Guarda che buffo quello 1a in fondo!» dissi al compagno, e speravo da lui una parola banale che riportasse tutto alla normalita (perché sentivo essere nata in me certa inquietudine). Cid dicendo diressi ancora gli sguardi in fondo alla strada per osservarlo. «Chi buffo?» fece il mio compagno. Io risposi: «Ma si, quell'uomo che traballa in mezzo alla strada>. Mente dicevo cosi I'uomo disparve. Non so se fosse entra- to in una casa, o in un vicolo, o inghiottito dal brulichio che strisciava lungo le case, o addirittura fosse svanito nel nulla, bruciato dai riverberi meridiani. «Dove? dove?» disse il mio compagno ¢ io risposi: «Era la, ma adesso & scomparso», Poi risalimmo in machina e si and® in giro benché fos- sero appena le due e facesse caldo. Linquietudine non c’era pitt e si rideva facilmente per stupidaggini qualsiasi, fino a che si giunse ai confini del borgo indigeno dove i falansteri polverosi cessavano, cominciava la sabbia ¢ al sole resiste- vano alcune baracche luride, che per pieta speravo fossero disabitate. Invece, guardando meglio, mi accorsi che un filo di fumo, quasi invisibile tra le vampate del sole, saliva su da uno di quei tuguri, alzandosi con fatica al cielo. Uomini dunque vivevano la dentro, pensai con rimorso, mentre ri- muovevo un pezzetto di paglia da una manica del mio vesti- to bianco. Stavo cos} gingillandomi con queste filantropie da turista quando mi mancd il respiro. «Che gente!» stavo dicendo al compagno, «Guarda quel ragazzetto con una terrina in ma- ‘no, per esempio, che cosa spera di...» Non terminai perché gli sguardi, non potendo sostare per la luce su alcuna cosa e vagando irrequieti, si posarono su di un uomo vestito di una palandrana bianca, che se n’andava dondolando al di la dei tuguri, in mezzo alla sabia, verso la sponda di una laguna, «Che ridicolo» dissi ad alta voce per tranquillizzarmi. «2 mezz'ora che giriamo e siamo capitati nello stesso posto di prima! Guarda quel tipo, quello che ti dicevol» Era lui in- fatti, non c’era dubbio, con il suo passo vacillante, come se ‘Messaggero del sud 167 se cercando qualcosa, o titubasse, o fosse anche un storno. E anche adesso voltava le spalle e si andava al- itanando adagio, chiudendo ~ mi pareva ~ una fatalita jiente € ostinata. lui; e l'inquietudine rinacque pitt forte perché sapevo e che quello non era il posto di prima e che Vauto, pur do giri viziosi, si era allontanata di qualche chilome- la qual cosa un uomo a piedi non avrebbe potuto. Ep- Yarabo indecifrabile era 1a, in cammino verso la spon- della laguna, dove non capivo che cosa potesse cercare. ,egli non cercava nulla, lo sapevo perfettamente. Di car- ‘ed ossa o miraggio, egli era comparso per me, mirecolo- jente si era spostato da un capo all'altro della citta indi- per ritrovarmi e fui consapevole (per una voce che mi lava dal fondo) di una oscura complicita che mi legava a l'essere. «Che tipo?» rispose il compagno spensierato. «Quel ra- col piatto, dici?» fila not» feel con ira. «Ma non lo vedi la in fondo? Non che lui, quello Ni che... che. “Era un effetto di luce, forse, un‘illusione banale degli oc- , ma T'uomo si era ancora dissolto nel nulla, sinistro in- inno. In realta le parole mi si ingorgavano in bocca. Io Ibettavo, smarrito, fissando le sabbie vuote. «Tu non stai 1e» mi disse il compagno. «Torniamo al piroscafo.» Allo- ‘cercai di ridere e dissi: «Ma non capisci che scherzevo?», Alla sera partimmo, la nave scese per il canale verso il Rosso, in direzione del Tropico e nella notte lmmagi- dell’arabo mi restava fissa nell'animo, mentre inutiimen- tentavo di pensare alle cose di tutti i giorni. Mi pareva i oscuramente di seguire in un certo modo determina- ni non mie, mi mettevo addirittura in mente che I'somo Porto Said non fosse estraneo alla cosa, quasi che ci fos- stato in lui il desiderio di indicarmi le strade del sud, che suo barcollare, i suoi tentennamenti d’orso fossero inge- ie lusinghe, sul tipo di certi stregoni. ‘Ando la nave e a poco a poco mi convinsi di essere stato | 168 Fantasini in errore: gli arabi si vestono pressapoco tutti uguali, mi ero evidentemente confuso, complice la fantasia sospetto- sa, Tuttavia sentii ritornare vaga eco di disagio il mattino che approdammo a Massaua. Quel giorno me ne andai gi- rando solo, nelle ore pitt calde, e mi fermavo agli incroci per esplorare attorno. Mi sembrava di fare una specie di collaudo, come attraversare un ponticello per vedere se ten- ga. Sarebbe ricomparso I'individuo di Porto Said, uomo 0 fantasma che fosse? Girai per un‘ora e mezza e il sole non mi dava pena (il so- Ie celebre di Massaua) perché la prova sembrava riuscire se- condo le mie speranze. Mi spinsi a piedi attraverso Taulud, mi fermai a perlustrare la diga, vidi arabi, eritrei, sudanesi, volti puri od abbietti, ma lui non vidi. Lietamente mi lasc vo cuocere dal caldo, come liberato da una persecuzione. Poi venne la sera ¢ si riparti per il meridione. I compagni di viaggio erano sbarcati, a nave era quasi vuota, mi sentivo solo ed estraneo, un intruso in un mondo di altri. Gli ormeg- gi erano stati tolti, la nave comincid a scostarsi lentamente dalla banchina deserta, nessuno cera a salutare e d'un tratto mi passd per la mente che in fondo il fantasma di Porto Said in qualche modo si era occupato di me, sia pure per angu- stiarmi, meglio che niente. Si, egli mi aveva fatto paura con le sue sparizioni magiche, nello stesso tempo perd c’era un motivo di orgoglio. Luomo infatti era venuto per me (il mio compagno di passeggiata non lo aveva neppure notato). Considerato a distanza, quell'essere mi risultava adesso co- me una personificazione, racchiudente il segreto stesso del- Africa. Tra me e questa terra c’era dunque, prima che lo so- spettassi, un legame. Era venuto a me un messaggero, dai regni favolosi del sud, a indicarmi la via? La nave era gid a duecento metri dalla banchina ed ecco una piccola figura bianca muoversi sull’estremita del molo, Solissimo sulla striscia grigia di cemento, si allontanava Jentamente ~ mi parve - barcollando come se titubasse 0 andasse cercando qualcosa, 0 fosse anche un poco storno. U cuore mi comincid a battere. Era lui, ne fui sicuro, chissa Messaggero del sud 169 uomo o fantasma, probabilmente (ma non potevo distin- jere a motivo della distanza) mi voltava le spalle, se n’an- wa in direzione del sud, assurdo ambasciatore di un mon- che sarebbe potuto essere anche mio. ; Ed oggi, ad Harar, finalmente ho incontrato di nuovo. sono qui che scrivo, nella casa di un amico piuttosto iso- , il ronzio del Petromax mi ha riempito la testa, i pen- i vanno su e gitt come le onde, forse la stanchezza, forse ia presa in macchina. No, non @ pili paura, come avven- presso la laguna di Porto Said, @ invece come sentirsi de- i, inferiori a cid che ci aspetta. ; Lho rivisto oggi, mentre perlustravo i labirinti della citta ligena. Gia camminavo da mezz’ora per quei budell:, tut- tuguali e diversi, e cera luce bellissima dopo un tempora- Mi divertivo a gettare un’occhiata nei rari pertugi, dove aprono cortiletti da fiaba, chiusi come in minuscoli forti- i tra muri rossi di sassi e di fango. I viottoli erano per lo it deserti, le case (per cosi dire) silenziose, alle volte ve in mente che fosse una citt& morta, sterminata dal’a pe- , che non ci fosse pitt via d'uscita; la notte ci avrebbe ti alla ricerca affannosa della liberazione. Facevo questi pensieri quando lui mi riapparve. Per una mbinazione la stradicciola ripida per dove scendevo non tortuosa come le altre ma abbastanza diritta, cosicché ne poteva scorgere un’ottantina di metri. Lui camminava_ i sassi, barcollando pitt che mai come un orso e volgen- Ia schiena si allontanava, estremamente significativo: yn proprio tragico ¢ nemmeno grottesco, non saprei pro- io come dire. Ma era lui, sempre l'uomo di Porto Said, il saggero di favolosi regni, che non mi potra pit lasciare. Corsi gitt tra i sassi scoscesi, con la maggiore lestezza bile. Questa volta finalmente non mi sarebbe sfuggito, 1e muri rossi e uniformi rinserravano la stradicciolae non erano porte. Corsi fino a che il vicolo faceva un’ansa © mi pettavo, alla svolta, di trovarmi I'suomo a non pitt di tre tri. Invece non cera. Come le altre volte egli era svanito nulla. 170 Fantasmi Lho rivisto pitt tardi, sempre uguale, che si allontanava ancora per uno di quei budelli, non verso il mare ma verso interno. Non gli sono piti corso dietro. Sono rimasto fer- mo a guardarlo, con una vaga tristezza, finché & sparito in un vicolo laterale. Che cosa voleva da me? Dove voleva con- durmi? Non so chi tu sia, se uomo, fantasma, 0 miraggio, ma temo che ti sia sbagliato. Non sono, ho patira, colui che tu cerchi. La faccenda non ¢ molto chiara ma mi pare di avere capito che tu vorresti condurmi pit in la, ogni volta pid in la, sempre piti nel centro, fino alle frontiere del tuo incognito regno. Lo capisco e sarebbe anche bello. Tu sei paziente, tu mi aspetti ai bivi solitari per insegnarmi la strada, tu sei vera- mente discreto, tu fai perfino mostra di fuggirmi, con di- plomazia tutta orientale, e non osi neppure rivelare il tuo volto. Tu vuoi soltanto farmi capire ~ mi sembra ~ che il tuo monarca mi aspetta in mezzo al deserto, nel palazzo bianco meraviglioso, vigilato da leoni, dove cantano fontane in- cantate. Sarebbe bello, lo so, lo vorrei proprio. Ma la mia anima deprecabilmente timida, invano la redarguisco, le sue ali tremano, i suoi dentini diafani battono appena la si conduce verso la soglia delle grandi awenture. Cosi sono fatto, purtroppo, e ho davvero paura che il tuo re sprechi il suo tempo ad aspettarmi nel palazzo bianco in mezzo al de- serto, dove probabilmente sarei felice. No, no, in nome del Cielo. Sia come sia, o messaggero, porta la notizia che io vengo, non occorre neanche che tu ti faccia vedere ancora. Questa sera mi sento veramente bene, sebbene i pensieri ondeggino un poco, e ho preso la decisio- ne di partire (Ma sard poi capace? Non fara storie poi la mia anima al momento buono non si mettera a tremare, non nascondera la testa tra le pavide ali dicendo di non an. dare pitt avanti?). «Corriere della Sera», 2 luglio 1939, poi, con il titolo Ombra del ‘sud, in I sette messaggeri, Mondadori, Milano 1942 Scorta personale jori di porta, poche decine di metri dalla vecchia cinta da- ia, c'é uno che mi aspetta. Lo vidi la prima volta molti anni fa, da ragazzo. Salito divertimento sulle antiche mura della citta dove abita- , vidi un uomo vestito di grigio, fermo in un prato ester- , che mi fissava con interesse. La distanza essendo alme- quattrocento metri, non potevo distinguere se fosse jovane o vecchio, brutto o bello, povero o signore. Con un stoncello in mano, pareva fosse li a passeggiare, e si fosse ato a guardarmi, Per salire in quel punto le mura, biso- ava scalare un ripidissimo bastione, tutto sbrecciato. sai quindi che lo sconosciuto mi guardasse con una cer~ ammirazione. E, lusingato, gli feci cenno con una mano, jutando. Allora lui alz® il bastoncello ¢ lo agitd debol- nnte, quasi a significare una vaga complicita tra no: due: josa impressione. Non lungi, su quei prati del suburbio, leansi carrozzoni di zingari. Tanto che mi venne il dub- jio: ecco uno zingaro che forse ha intenzione di rapirmi. ittavia Tora era cosi dolce e placida, il sole del pomeriggio 3 tepido, anche se scialbo, l'aspetto del'uomo cost inof- mnsivo, che tale paura non poteva sussistere. Ma al banale jore di un rapimento subentrd un pensiero per me nuovo inquietante, che non riuscird mai a spiegare: un po’ come avessi scoperto che, oltre alla famiglia, alla scuole, agli Battaglia notturna alla Biennale di Venezia Stabilitosi per l'eternita nei campi elisi, il vecchio pittore Ardente Prestinari manifesto un giorno agli amici I'inten- ione di scendere sulla Terra per visitare la Biennale di Ve- nezia dove, a due anni dalla morte, gli era stata dedicata tuna sala, : Gli amici tentarono di dissuaderlo: «Lascia perdere, Ar- duccio» (era il vezzeggiativo che aveva sempre portato in Vita). «Tutte le volte che uno di noi scende laggiti, sono amarezze, Non pensarci, rimani qui con noi, i tuoi quadri li cconosci esta’ pur certo avranno scelto i peggio come al soli- to. E poi, se parti, chi fara stasera il quarto allo scopone?» «Vado e tornos ribadi il pittore e si precipitd al piano di sat dove vivono gli uomini vivi e si fanno esposizioni di Arrivare sul posto e scovare fra le centinaia di dedlicaa a lui fe questioned second eel _ Cid che vide lo lascid soddisfatto: la sala era spaziosa ¢ situata lungo il percorso obbligato, su una parete il suo no- me campeggiava con le due date, di nascita e di morte, e i quadri per la verita erano stati scelti con pit discernimento di quanto avesse sperato, Certo, ora che li esaminava con la mentalita di defunto, per cosi dire sub specie aeternitats, gli saltavano agli occhi una quantita di difetti e di errori che da vivo non aveva mai notato. Avrebbe avuto l'impulso di cor- Battaglia notturna alla Biennale di Venetia 199 a prendere i colori e di rimediare sul posto in fretta e |, ma come fare? I suoi arnesi da pittore, ammesso che tessero ancora, chissa dove erano andati a finire. E poi sarebbe successo uno scandalo? Era un giorno feriale, tardo pomeriggio, visitatori pochi. itrd un giovanotto biondo, straniero senza dubbio, pro- ilmente americano. Diede un‘occhiata circolare e con oltraggiosa di qualsiasi insulto, passd “| bifolco!” pensd Prestinari. “Va’ a cavalcare vache nel- tue praterie invece di visitare mostre d’arte!” " Ecco una giovane copia, presumibili sposi in viaggio di zze. Mentre lei si aggira con la caratteristica espressione wna e spenta dei turisti, lui si ferma, interessato, dinanzi a ma piccola opera giovanile del maestro: una viuzza di yntmartre con il fatidico sfondo del Sacré-Coeur. “Dev'essere di modesta levatura, il giovanotto” Prestinari i dice “eppure la sensibilita non gli manca. Anche se di jodeste dimensioni, questo é proprio uno dei pezzi pitt no- i. Si vede che la straordinaria delicatezza dei toni lo ha Ipite Altro che delicatezza di toni. «Vieni qui tesoro» dice il jovane alla sposa. «Guarda un po’... Manco a farlo ap- ta.» «Che cosa?» | «Ma non ti ricordi? Tre giorni fa, a Montmartre. Quel ri- orante dove abbiamo mangiato le lumache. Guardalo qui. rio su quest’angolo» e fa segno al quadro. aE vero, @ vero» esclama lei, rianimata. «Perd ti confesso ame sono rimaste sullo stomaco.» Ridendo stupidamente, se ne vanno. E la volta di due signore cinquantenni accompagnate da ‘un bambino. «Prestinari» dice una leggendo ad alta voce ill nome. «Che sia parente dei Prestinari che abitano sotto di noi?... Sta’ fermo Giandomenico, non toccare con le mani!» Esasperato dalla stanchezza e dalla noia, il bambino infatti 200 Fantasmi sta cercando di staccare con le unghie un groppo di colore che sporge da un Tempo di mietitura. In quel mentre Prestinari ha un tuffo al cuore vedendo entrare I’'avvocato Matteo Dolabella, suo vecchio e caro amico, assiduo frequentatore della trattoria artistica di cui egli era stato uno dei personaggi pit brillanti. Lo accompa- gna un signore sconosciuto. «Oh, Prestinari!» esclama compiaciuto Dolabella. «Gli hanno dedicato una sala, meno male. Povero Arduccio, sa- rebbe felice se potesse essere qui; una intera sala solo per lui, finalmente, lui che da vivo non era mai riuscito ad otte- nerla... E come ci soffriva! Lo conoscevi tu?» «Personalmente no» risponde il signore sconosciuto «de- vo averlo visto una volta... Era un tipo simpatico, vero?» «Simpatico? Pitt che simpatico. Un causeur affascinan- te, una delle persone pitt intelligenti e spiritose che abbia mai conosciute... Le sue frecciate, i suoi paradossi... Delle serate indimenticabili si passavano con lui... Il meglio del suo ingegno si pud dire lo spendesse con gli amici, chiac- chierando... Si, certo, come vedi, anche i suoi quadri han- no del buono, o meglio avevano, un vecchiume ormai questa pittura... Dio mio, quei verdi, quei viola, fanno lega- re i denti, verdi e viola erano la sua mania, non gli pareva. di scaricare maj abbastanza sulla tela, povero Arduccio. coi risultati che tu vedi.» Sospird, scuotendo il capo € cercd nel catalogo. Fattosi da presso, Prestinari allungo 'invisibile collo per vedere cosa c’era scritto. Vide una mezza pagina di presen- tazione firmata Claudio Lonio, altro suo intimo amico. Con altrettante strette al cuore, lesse alcune frasi di sfuggi- rilevata personalita... ardenti anni giovanili della Pa- rigi della tramontante Belle Epoque... che gli valse i pitt aperti riconoscimenti della... non dimenticabile apporto a quel moto di nuove idee e di audaci tentativi chi sto e non degli ultimi nella storia del...”. Ma Dolabella, chiuso il libro, gia si avviava nella sala suc- cessiva. «Che caro uomo!» fu il suo ultimo commento. Battaglia notturna alla Biennale di Venevia 201 Lungamente - i custodi andati, sempre pit buio, tutto deserto e stranamente inutile - Prestinari rest a contem- plare quella sua estrema gloria, dopo la quale mai e poi mai = lo capiva benissimo - ci sarebbe pid stata una sua mostra personale. Fallito! Avevano ragione i suoi amici lassit dei ‘campi elisi: era stato uno sbaglio ritornare. Non si era sen- tito mai tanto infelice. Con che superbia, sicurezza di se ‘stesso, una volta resisteva impavido all'incomprensione del- Ja gente, con che risate rispondeva alle pitt maligne critiche. Ma allora aveva dinanzi a sé un futuro, una indefinita serie di anni disponibili, una prospettiva di capolavori uno pitt bello dell'altro che avrebbero sbalordito il mondo. Mentre -adesso! La storia era finita, né gli sarebbe stato mai conces- so pitt di aggiungere sia pure un solo colpo di pennello, ¢ ogni giudizio sfavorevole gli doleva con l'acerba pena della condanna che non ha rimedio. In tanto sconforto, si riscosse d'impeto il suo tempera- ‘mento battagliero, “I verdi e i viola? E io starei qui a man- giarmi I'animo per le asinerie di Dolabella? Quell’idiota, quel cafone, che di pittura non ha mai capito un’acca? Lo ‘so ben io chi gli ha stravolto il cranio. Gli antifigurativi, gli astrattisti, gli apostoli del verbo nuovo! Anche lui si & acco- dato alla masnada e si lascia menare per il naso.” La collera, che gia da vivo lo prendeva alla vista di certe jtture d/avanguardia, si rinnovd, riempiendogli 'animo di fiele. Per colpa di questi scalzacani - egli era convinto - arte ‘vera, quella ancorata alle gloriose tradizioni, oggi veniva di- ‘sprezzata. La malafede e lo snobismo, come succede spes- ‘$0, avevano vinto la partita, sconfiggendo gli onesti. “Pagliacci, istrioni, venditori di fumo, opportunisti “dentro di sé imprecava. “Qual @ il vostro lurido segreto per darla a bere a tanta gente e ottenere nelle grandi mostre la ‘parte del leone? Garantito che anche quest'anno, quia Ve- ‘nezia, siete riusciti ad avere il meglio e il buono. Voglio ca- vyarmi il gusto di vedere. 202 Fantasmi Cosi brontolando lascid Ja sua sala scivolando verso gli ultimi reparti, Era ormai notte, ma il plenilunio batteva sui vasti lucernari diffondendo una fosforescenza quasi magi- ca. Via via che Prestinari procedeva, nei quadri appesi alle Pareti avveniva un progressivo mutamento: le classiche im- magini ~ i paesaggi, le nature morte, i ritratti, i nudi - sem- pre pitt si deformavano gonfiandosi, allungandosi, torcen- dosi, dimenticando Vantico decoro finché a poco a poco si rompevano perdendo completamente ogni traccia della pri- miera forma. Ecco le ultime generazioni: sulle tele, per lo pid immen- se, non si scorgevano che confusi grovigli di macchie, spruzzi, ghirigori, veli, vortici, bubboni, buchi, parallelo- grammi e ammassi viscerali. Qui trionfavano le scuole nuove, i giovani e rapacissimi pirati della dabbenaggine umana, «Ps, ps, maestro» bisbiglié qualcuno nella arcana pe- nombra, Prestinari si fermd di scatto, come al solito pronto alla discussione o alla battaglia. «Chi c’?, chi c'e?» Al'unisono, da tre quattro parti gli risposero, crepitan- do, triviali versi di dileggio. Seguirono rotte risate e un’eco di fischiolini che si persero in fondo allallineamento delle sale. «Ecco quello che siete» tuond Prestinari, a gambe larghe, gonfiando il petto come per resistere a un assalto «dei tep. pisti da trivio! Impotenti, rifiuti dell’Accademia, imbrattate- le da casa di salute, fatevi avanti se ne avete il fezato.» Ci fu una lieve sghignazzata e, accettando la sfida, gid dalle tele scesero alfollandosi intorno a Prestinari, le pit enigmatiche parvenze: coni, globi, matasse, tubi, vesciche, schegge, cosce, ventri, glutei, dotati di particolare autono- mia, pidocchi e vermi giganteschi. E fluttuavano in danza beffarda sotto il naso del maestro. «Indietro, pallonari, adesso ve le suono io!» Con V'energia strapotente dei vent'anni, chissA come vitrovata, Prestinari si awentd contro la folla, menando botte da orbi. «La, tieni 203 Battaglia notturna alla Biennale di Venezia questa, ¢ questal... Carogna, vescicone, maledetto.» I pugni affondavano nelleterogenea massa e con giubilo il maestro constatd che sgominarla sarebbe stato facile. Le astratte parvenze, sotto i colpi si sbriciolavano o crepavano dissol- vendosi in una specie di pantano. Fu una strage. In mezzo ai detriti, finalmente Prestinari ‘si fermd, ansimando. Un superstite frammento come una clava gli sbatté sul viso. Lo ghermi al volo, con le potenti mani, lo scaraventd in un angolo, ridotto a un cencio inerte. Vittoria! Ma proprio dinanzi a lui quattro informi spettri stavano ancora ritti con una sorta evera dignita. Una debole luce ne emanava e al maestro parve di riconoscervi " qualcosa di caro e familiare, riecheggiante da anni remo- Psrinché comprese. In quei grotteschi sirmulacr, cost dissi- mili da cid ch’egli aveva dipinto nel corso della vita, palpita- va tuttavia il divino sogno d’arte, lo stesso ineffabile mirag- gio ch'egli aveva inseguito con testarda speranza fino _all'ultima sua ora. ; Wi cccdcne qualcosa di comune fra lui © quelle infre- quentabili creature? In mezzo a furbacchioni in malafede esisteva dunque qualche artista onesto € puro? O addirittu- ra non potevano essere costoro i geni, i titani, i beniamini della sorte? E un giorno, per mano loro, cid che oggi non era che follia, si sarebbe trasformato in bellezza universale? Da quel galantuomo ch’era sempre stato, Prestinari li os- servo interdetto con una improwisa commozione. «Ehi, voi» disse in tono paterno «su da bravi, tornate dentro ai quadri, che non vi veda pitt. Avete anche ottime intenzioni, non dico di no, ma siete su una cattiva. strada, figli miei, una pessima strada. Siate umani, cercate éi pren- ‘ibil il ino» urd con, «Impossibile. Ciascuno ha il suo destino» sussu rispetto il pitt grosso dei quattro fantasmi, fatto di una in- tricata filigrana. ; ; p «Ma cosa potete pretendere combinati come sietz oggi? 208 Fantasmi Chi vi pud capire? Belle teorie, fumo, difficili parole, che sbalordiscono gli ingenui, questo si. Ma in quanto ai risul- tati, ammetterete che finora...» «Finora, forse» rispose la filigrana «ma domani...» E c’e- ra in quel “domani” una tale fede, una potenza cosi grande e misteriosa, che rintrond nel cuore del maestro. _«Be’, che Dio vi benedica» mormord, «

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