Sei sulla pagina 1di 7

Sei zero

Agli inizi del secolo scorso Roberto Assagioli ha costruito il sistema di autoformazione,
educazione e psicoterapia noto come psicosintesi, basandolo interamente sul principio che
al centro del nostro essere un punto senza dimensioni, il silenzio della mente. Il nostro
vero S, individuale e universale allo stesso tempo, autocoscienza senza forma e senza
tempo. Il nucleo di noi stessi vuoto. Scava scava, e alla fine scopri che sei zero.
A questo sorprendente risultato non arrivato solo Assagioli, ma anche persone e tradizioni
di tutto rispetto in Oriente come in Occidente hanno seguito un percorso simile. Assagioli ha
riaffermato questo modello e lo ha importato nella psicologia. Il S una realt di cui non
siamo di solito coscienti. La nostra coscienza, lungi dallessere allo stato puro, si perde di
solito in milioni di contenuti. E come il dio greco Proteo, capace di assumere tutte le forme
possibili. Da un momento allaltro la nostra coscienza pu diventare il desiderio di uno
smartphone nuovo modello, un fastidioso dolore alla cervicale, un sentimento di euforia,
lidea del teorema di Weierstrass, la gioia di ascoltare una fantasia di Mozart, o il bisogno
incontenibile di un bombolone alla crema. Il punto centrale da capire che noi non siamo
alcuna di queste o trilioni di altre esperienze, ma siamo chi ha queste esperienze. La
graduale realizzazione di questo fatto fondamentale pu rivoluzionare la nostra vita.
La strada che conduce al S incomincia con una riorganizzazione del nostro punto di vista,
che nella psicosintesi chiamata disidentificazione. Illustriamo questo processo con una
storia orientale. Alcuni ladri si introducono nottetempo in un giardino per poter accedere a
una ricca villa. A un certo punto pare loro che nelloscurit ci sia un uomo. Non lo vedono
bene, perch buio. Uno dei ladri, il pi audace, si avvicina, e si accorge che luomo in
realt uno spaventapasseri, e non c nulla da temere. Allora chiama gli altri, i quali non
sono del tutto convinti, e hanno paura. Poi si rendono conto che erano vittima di una falsa
percezione, e si tranquillizzano anche loro (ci che hanno fatto in seguito non ci interessa).
Secondo la filosofia indiana del Vedanta noi siamo un po come quei ladri: ci lasciamo
spaventare o coinvolgere da entit illusorie. E tutta fatica sprecata. Se le esaminassimo con
pi attenzione non ci lasceremmo abbindolare. Non c proprio da avere paura.
La disidentificazione tutta qui. Consiste nel guardare emozioni, pensieri, sensazioni,
desideri e ruoli con un occhio diverso, pi oggettivo. Consiste nel non lasciarci vivere e agire
da questi elementi, ma creare una distanza, collocandoci in un punto di osservazione pi
tranquillo e obiettivo. Questo punto di osservazione il S. User in tutto questo scritto il
termine S per indicare tanto il S transpersonale quanto il s personale o io. Secondo
Assagioli il S uno solo. In vari momenti della nostra vita siamo capaci di averne una
consapevolezza appena accennata (s personale), e poi via via sempre pi forte e chiara (S
transpersonale).
Il S pura coscienza senza contenuto: quindi al di l della cultura. E ci che noi siamo,
una volta spogliati di qualsiasi attributo o forma. Come dice lo Zen, il nostro volto prima di
nascere. Il superconscio invece pieno di contenuti. Quando noi abbiamo il lampo di
1

unintuizione, quando proviamo la sensazione di essere tuttuno con la natura, lestasi della
musica, la comunione con unaltra persona, la percezione dellamor che move il sole e
laltre stelle, o mille altre esperienze che arricchiscono di gioia e di significato la nostra vita,
e che ci trasportano al di l della nostra sfera individuale, abbiamo unesperienza del
superconscio (nel lessico della psicosintesi).
Il superconscio non il S. Si potrebbe considerare una sua emanazione. Il S vuoto,
silenzio, zero. Il superconscio forma, contenuto, azione. Il superconscio in modo
maggiore o minore influenzato dalla cultura da cui si genera, il S al di fuori della cultura. Il
superconscio una porta che si apre e si chiude, il S il cardine attorno a cui la porta
ruota, sempre immobile.
In questo scritto vorrei esaminare alcuni degli effetti pi comuni che vengono da una pratica
dellesercizio di disidentificazione e autoidentificazione. Gli effetti che qui descriver li ho
osservati in allievi e pazienti che facevano questo esercizio, oltre che in me stesso. Sono
tutti collegati gli uni agli altri, modi diversi di descrivere una stessa situazione. Sono di solito
effetti brevi, realt che si scorgono per un attimo, poi tutto torna come prima. O forse no.
Come in una stanza buia, che si illumina per un attimo, poi torna nelloscurit, nulla pi
come prima: incominciamo a capire dove siamo.
Equanimit. Nella nostra esperienza quotidiana tutti noi fuggiamo il dolore in ogni sua
forma, mentre cerchiamo il piacere di ogni tipo e livello con tutte le nostre forze e con tutti
gli espedienti a nostra disposizione. E naturale e fisiologico che sia cos. Ma il S
equidistante da piacere e dolore. E lelemento di noi stessi che rimane uguale nel trionfo e
nella disfatta, nella miseria e nella ricchezza, nella malattia e nel benessere. E puro essere,
senza preferenze, e per questo libero. La sua prospettiva non edonistica, come quella
della nostra personalit ordinaria, ma equanime, e quindi possiamo dire euristica. Non vede
lesistenza umana come un disordinato affannarsi dietro a questa o quella esperienza, ma
come un campo in cui si dipana la vicenda della nostra vita, un campo in cui siamo chiamati
a confrontarci con difficolt e prove, e da tutto ci imparare. Insomma la scuola della vita. In
questa prospettiva ogni enigma, ogni contrattempo sulla nostra strada non un male, ma
unopportunit che ci forma e ci forgia.
Ridimensionamento. Che si possa assumere una diversa collocazione nellambito della
psiche una delle grandi lezioni psicosintetiche. Con il cambiare del nostro punto di vista, i
vari contenuti psichici non hanno pi quella urgenza e quella credibilit, quellimpellenza
imperiosa che hanno quando siamo identificati con loro. Di solito le emozioni ci vogliono
convincere che le cose stanno proprio cos; i desideri ci vogliono persuadere che se non li
soddisfiamo cade il mondo. Le idee ci fanno credere che le nostre convinzioni sono proprio
vere o che i nostri dubbi e relativismi non hanno alternativa. E un po come se queste entit
si comportassero come dei bulli ci mettono alle strette, ci ricattano, si fanno sempre pi
insistenti, cambiano la nostra percezione del tempo, si parano davanti a noi impedendoci di
guardar oltre: noi siamo il tuo mondo. Una volta disidentificati, li vediamo con pi distacco,
a volte con un senso dellumorismo. Ci che prima ci pareva una situazione drammatica ora
ci appare un po buffa e senza senso: perch prendersela cos, perch affannarsi? La
2

maggiore distanza ci aiuta a svegliarci come da un sogno o da unipnosi.


Oggettivazione. I vari contenuti interiori diventano degli oggetti. Anzich esserne inglobati,
e quindi controllati, li vediamo con distacco, e quindi come se fossero allesterno di noi
stessi. Le idee, le emozioni, i pensieri, i desideri ci appaiono come del materiale dai contorni
ben chiari e concreti. Se prima ci pareva che costituissero il nostro mondo interno, adesso li
percepiamo come fuori di noi, perch nel frattempo siamo andati ancora pi dentro.
Proprio da questo processo deriva laffermazione di Assagioli che tutto ci con cui ci
identifichiamo ci domina, mentre possiamo padroneggiare tutto ci da cui ci siamo
disidentificati.
Flusso. Nel momento in cui distinguiamo il nostro essere dal fluire dei fenomeni psichici, ci
accorgiamo che essi fluiscono da soli. Non siamo noi che li muoviamo, ma hanno una loro
flusso autonomo che noi possiamo indirizzare e controllare: non siamo noi che ci mettiamo
dentro lenergia per farli muovere. Insomma, tutto si muove da s, va avanti da s. Se suono
il pianoforte, per esempio, se guido lautomobile o impasto il pane o faccio ginnastica, tutto
va avanti da solo, nel senso che tutto il mio organismo fa quello che fa, e io sto a guardare.
Ci d una sensazione di grande leggerezza e sollievo. E un mollare la presa, un lasciarsi
andare. Non sono pi io che faccio tutta la fatica, ma il mio corpo, le mie emozioni, tutto il
mio essere psicofisico. Ma io non sono quello, quindi non sono io che faccio il lavoro.
Ripercezione della propria vita. I ricordi di tutto ci che io ho fatto e sentito e pensato
costituiscono la mia storia e la mia identit. Fino a che io mi identifico con quel divenire, lo
sento appunto come la mia vita, come una battaglia cruenta o un romanzo meraviglioso o
una vicenda senza senso di cui io sono stato e sono il protagonista. Se per osservo tutto ci
da una posizione disidentificata, mi accorgo che la mia esistenza non che un arcipelago di
ricordi, un aggregato di materiale mentale: questa tutta unaltra prospettiva. E difficile
descrivere la sensazione che questo ci pu procurare. Si pu dire che non siamo pi
protagonisti, con tutta la pesantezza, limpegno, la seriosit che ci comporta. Non c pi il
signor tal dei tali che siamo noi, ma un processo impersonale un susseguirsi, un
combinarsi e ricombinarsi e di continuo e un trasformarsi di elementi che interagiscono fra
loro.
Morte e povert. Disidentificarci dai contenuti della coscienza e ritrovare il nostro S un
modo di morire: con tutti i vantaggi della morte vera e propria, ma senza i suoi svantaggi.
Senza gli svantaggi perch continuiamo a vivere, e vivere meglio, e non ci sono decessi,
funerali o addii. Ma, staccandoci temporaneamente da tutto ci che ci definisce, ci troviamo
a essere senza forma, senza ruoli o legami: liberamente galleggianti. Si impara larte del
distacco, che comunque alla fine della vita ci potr tornare utile. E che ora ci fa sentire pi
semplici. Di solito siamo come uno che mette su un carretto tutto ci che ha, e ovunque
vada porta con s il carretto, perch in qualche modo gli d conforto e sicurezza. Lesercizio
di disidentificazione ci aiuta a sbarazzarci di quellingombro per lo meno per qualche
istante. E capire che il S povero.
Respiro. Essere di nuovo nel nostro centro, essere il S, dopo esserci disidentificati da tutto
3

ci che prima ci distraeva, ci accalappiava e cercava di tirarci in tutte le direzioni, ci d una


sensazione di spazio libero. E uno spazio interiore, ma c unanalogia con quello fisico. E
come se non fossimo pi stretti e oppressi da mille fattori. Come se ci fosse spazio per
respirare. Non c pi urgenza, non c pi pressione. Non un caso che il respiro
addominale profondo e lento sia sinergico con la disidentificazione e ne sia una buona
preparazione. Si pu dire anzi che il respiro superficiale e affannato la controparte fisica
dellidentificazione con emozioni e sensazioni, mentre quello profondo corrisponde
allidentificazione col S.
Libert. E esperienza comune il sentirsi prigionieri, per esempio, di un sentimento di
depressione o di angoscia, di una malattia, di un obbligo. Tutto questo pu essere sentito
come una prigione in cui siamo racchiusi e da cui non possiamo uscire: una condizione
ineludibile. Ci pare di sentire che non ci sia via duscita. Guide spirituali eccellenti come
Aurobindo o Assagioli hanno scoperto di essere liberi in prigione secondo lespressione
dello stesso Assagioli: cio di poter essere liberi proprio quando sono stati rinchiusi in
carcere. Insomma la libert a nostra disposizione anche nella pi opprimente delle
circostanze se ci ricordiamo di averne la disponibilit.
Autotrascendenza. Nel momento in cui mi identifico con il S non sono pi n uomo n
donna, non appartengo a un partito, non ho et. Sono puro essere. Percepirsi senza et
una sensazione inebriante e rassicurante al tempo stesso; non ci si sente pi legati alla
consapevolezza angosciosa e disastrosa di essere parte di un processo di degenerazione e di
morte. Non si legati al processo di invecchiamento. Non che si diventi onnipotenti o
immortali. I nostri veicoli despressione sono pur sempre destinati come prima agli stessi
processi di cambiamento e di vulnerabilit, ma la nostra identit si chiamata fuori. Quindi
le et della vita perdono limportanza dittatoriale che avevano prima. Lo stesso accade
anche per il genere cui apparteniamo. Capire che prima che uomo o donna siamo
semplicemente essere, scioglie un nodo e allarga la nostra identit, che ci sta troppo stretta
se legata al genere. In quel momento non siamo pi definiti dai vari stereotipi che si
attribuiscono alluno o allaltro genere. E cos per tutti ruoli, le definizioni, le caratteristiche
in cui gli altri ci pongono: le scatole in cui noi stessi da tempo immemorabile abbiamo
imparato a entrare, e quindi a percepire e a definire noi stessi. Lo stesso si pu dire del
legame con qualsiasi istituzione, partito o bandiera, che ci costringa a una visione parziale e
a obblighi di appartenenza.
Presenza. Nel momento in cui attingiamo alla coscienza del S siamo qui e ora, ma non nel
senso in cui di solito si intende questa espressione. Siamo ora nel senso di Eterno Ora.
Non appena ci sentiamo al di fuori dello scorrere del tempo, ci accorgiamo che esso una
costruzione mentale che possiamo in qualche modo trascendere. Nellattimo in cui ci
accade siamo nelleternit.Prima che Abramo fosse, io SONO: a questo si riferisce Cristo.
Siamo anche nellEterno Qui, se cos si pu chiamare. Di solito ci muoviamo, nel senso di
dover andare da qui a l cio da una situazione meno desiderabile a unaltra che
percepiamo come migliore. Ci sforziamo di dover dimostrare qualcosa, di dover essere in
una certa maniera. Invece scopriamo che non si va da nessuna parte. La sensazione di una
4

fondamentale base perenne, lunica base che si pu qualificare come sicura e tranquilla.
Quando i suoi discepoli disperati piangevano perch stava morendo, il saggio indiano
Ramana Maharshi si domand: Ma dove credono che io vada? Si rimane sempre Qui.
Santuario. Un santuario un luogo dove le specie animali possono vivere tranquille e sicure
perch sono protette da interferenze esterne, come cacciatori, inquinamento, tecnologia, e
tutto ci che le possa mettere a rischio. Anche noi abbiamo un santuario, e quel santuario
il S. Lunico luogo dove possiamo stare tranquilli, dove non siamo vulnerabili alle traversie
della vita. Anche nel momento di una grande tragedia (o in quello del pi grande trionfo)
possiamo ritornare in questo santuario, che sempre l pronto ad accoglierci. Dice la
Bhagavad Gita parlando del S: Le armi non fendono il S, il fuoco non lo brucia; n lo
bagnano le acque, n lo dissecca il vento.
Ritorno. Quando siamo assaliti e spezzettati da una miriade di stimoli, di impegni, di
vicende, la nostra sensazione spesso di esserci persi, di aver lasciato che la nostra energia
si disperdesse in mille rivoli, e quindi anche il nostro io sia disintegrato. E come se la vita
perdesse il suo senso, perch andiamo un po da tutte le parti, e alla fin fine ci sembra di
non aver combinato niente. Possiamo denominare questo movimento centrifugo. E
possibile anche un movimento centripeto: un ritorno a se stessi, un ri-membrarsi (opposto
allo smembramento). Pensate alla sensazione che avreste se alla fine della giornata
tornando a casa non trovaste pi la casa. Vi sentireste persi, disorientati. Psicologicamente
siamo nella stessa situazione: passiamo da unesperienza allaltra, e cos ci perdiamo.
Ognuno di noi rischia letteralmente di essere e rimanerefuori di s. E possibile invece
ritrovare noi stessi. Ci d anche una sensazione di unit. I rivoli in cui ci possiamo
disperdere sono infiniti, il S uno. In questa epoca di esagerata estraversione e di
sovrastimolazione senza tregua, bene sapere sempre come tornare al campo base.
Purificazione. A volte, specie alla fine della giornata, ci pare di portare con noi tutte le
esperienze della giornata forse tutte le esperienze della nostra vita. Emozioni, pensieri,
preoccupazioni ci continuano a rifrullare in testa. Durante la notte ci impediscono di
riposare davvero. Disidentificarci ha un effetto paragonabile a spogliarsi dei panni usati,
delle scarpe, dellorologio e degli occhiali, fare una doccia e lavarci i denti, infilarci nel
pigiama e andare a dormire. Andare a dormire senza essersi disidentificati dagli avvenimenti
della giornata come andare a letto senza essersi lavati i denti. In futuro molti penseranno
inorriditi a questa abitudine, come noi ora ci scandalizziamo che secoli fa la gente si lavasse
una volta ogni qualche mese. Siamo di fronte qui a una operazione normale di igiene
psichica. Reputo il D+A la migliore ricetta per linsonnia.
Silenzio. Certe volte quando c un rumore molesto e persistente, e poi quel rumore cessa,
sentiamo un sollievo. Tutti abbiamo bisogno di silenzio, tutti ne riceviamo dosi sempre pi
scarse. Siamo nellEra del Rumore. La mancanza di silenzio, il continuo rumore, pu
snervarci e stancarci, pu portare a ogni sorta di patologia. Il S il tempio del silenzio. E
lessere senza qualifiche. Accolti nel suo ambito possiamo rigenerarci e ritemprarci. Nel
tempio del silenzio troviamo lineffabile. Come diceva Assagioli:Nel silenzio delleterno mi
riposo e mi ritempro. Quale migliore rimedio allo stress? Ancoraggio. A mano a mano che
5

diventiamo coscienti del S c una ridefinizione della nostra identit, un investimento


diverso delle nostre energie, e gli equilibri a cui ci eravamo abituati cambiano in modo
radicale. Questo ci porta a incontrare le esperienze di base della nostra vita in tuttaltro
spirito. Cio senza ansia, senza voler possedere, senza sentirci meglio o peggio degli altri,
senza smanie di qualsiasi tipo. Ma da una posizione pi calma e serena. Cos lamore diventa
pi libero e meno possessivo. La scelta diventa davvero una scelta senza pressioni. La
conoscenza pu imparare a spogliarsi dai pregiudizi e dai pareri affrettati. Tutta la
personalit influenzata dal nostro ritrovare il S, perch ogni elemento del nostro essere
collegato a tutti gli altri.
Vorrei ora fare qualche considerazione su come lesercizio di disidentificazione viene
vissuto. Questo il centro di tutto il sistema psicosintesi, quindi bisogna prestare molta
attenzione a che venga fatto al massimo delle sue potenzialit, altrimenti la nostra sar una
psicosintesi allacqua di rose o una pseudopsicosintesi. Bisogna premettere che, come spero
risulti chiaro dalle mie parole che precedono, ci di cui stiamo parlando un terremoto
psichico: sconvolge ogni immagine o concetto che noi abbiamo di noi stessi. Quindi le
reazioni allesercizio possono essere di violenta ribellione. In particolare le affermazioni Io
non sono il mio corpo o Io non sono le mie emozioni possono evocare reazioni
fortemente contrarie. Per questa ragione molti di noi adottano versioni pi deboli
dellesercizio: Io non sono solo il mio corpo, io non sono solo le mie emozioni, ecc.
Questo pu senza dubbio essere utile, quindi non lo critico. Per dobbiamo capire che sono
due formule diverse. Io non sono raffreddato, per esempio, molto diverso da Io non
sono solo raffreddato. Si pu dunque provare a lasciare che la reazione contraria ci sia, e
poi disidentificarsi da quella reazione: Io non sono la mia reazione contraria. Mi pare che
un modo possibile di trattare questo esercizio di considerarlo una sfida a tutto ci che
diamo per scontato. E venuto il momento di domandarci: e se poi non fosse cos? E se tutti
I nostri postulati non fossero poi cos certi? E cos che si cresce.
Varie persone, quando arrivano alla coscienza del S si identificano con unimmagine, per
esempio il sole. Le immagini simboliche possono senza dubbio essere utili e benefiche, ma
non sono il S, che privo di contenuti. Limportante rendersi conto che il S non un
altra esperienza, per quanto bella, per quanto rafforzante, ma chi ha lesperienza.
Naturalmente possiamo fermarci allesperienza bella, ma solo un miglioramento, non un
vero e proprio salto di qualit. Infine, qualche considerazione sulla posizione del S nel
diagramma dellovoide, il ben noto diagramma che usiamo nella psicosintesi. Mentre
Assagioli poneva il S al culmine dellovoide, in posizione chiaramente superiore al resto
della personalit umana, alcuni suoi allievi propongono di toglierlo dal trono e immaginarlo
come presente in tutto il diagramma. Qui bisogna fare una premessa: la mappa non il
territorio. Ogni rappresentazione grafica della nostra complessit interiore per principio
incompleta e pu anche essere fuorviante.
Tuttavia ci sono buone ragioni per cui giusto che il S venga rappresentato in alto.
Anzitutto perch pi leggero. Nel momento in cui ci liberiamo della zavorra costituita da
tutto ci che crediamo di essere, siamo liberi e leggeri, e saliamo, come Dante, il quale,
6

dopo aver scalato il monte del Purgatorio ed essersi liberato da ricordi e blocchi che lo
appesantivano, si sente pronto a salire alle stelle e si trova immediatamente in Paradiso,
perch quella la vera natura sua e nostra. Inoltre dallalto si ha una prospettiva pi ampia
e serena. Si guarda pi lontano, con maggiore distacco e serenit, quindi con pi saggezza.
Infine lalto il posto del comando. Non tutti gli elementi di una personalit armoniosa
hanno lo stesso potere decisionale. Insomma il S il capo. Il S volont. Non il
dittatore. Non un boss irragionevole. Ma un abile direttore dorchestra con la visione
panoramica del pezzo da eseguire. Per tutte queste ragioni sono pi dellidea di lasciare il S
in cima, ma non escluderei affatto altre figurazioni, le quali ci ricordano ulteriori possibili
prospettive.
Per finire: c una difficolt metodologica in tutto questo: il S, secondo la definizione di
Assagioli, esiste in una realt diversa da quella del fluire della corrente dei fenomeni
psichici e da quella della vita organica. Il S influisce sulla personalit, ma la personalit non
influisce sul S. E come lo schermo in rapporto alle immagini che vi vengono proiettate:
allegre o tristi che siano le immagini, belle o brutte, interessanti o banali, lo schermo rimane
uguale perch ha unaltra natura rispetto alle immagini. Quindi come si pu inserire nella
mappa un elemento che eterogeneo rispetto a tutti gli altri elementi? E come se io facessi
una mappa di Firenze e poi mi domandassi, dove metto la bellezza di Firenze in questa
mappa? In corrispondenza delle colline, per esempio, oppure del Duomo, o degli Uffizi? E
chiaro che la bellezza di un ordine diverso rispetto agli altri elementi topografici.
Questa la ragione per cui alla fine di tutti i nostri discorsi arriviamo a un paradosso. Parole,
diagrammi, schemi di varia natura sono il dito che indica la luna, non la luna. E giusto e utile
parlarne: ma il S per sua natura ineffabile.

Potrebbero piacerti anche