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CAROLA FREDIANI

SALUGGIA

L sotto, lo chiamano i piemontesi della zona. Un avvallamento lungo la Dora Baltea, affluente
del Po. Qui, a trenta metri dal fiume, dietro recinti, filo spinato, terrapieni e muri anti-alluvione, sta
il comprensorio nucleare di Saluggia, piccolo Comune in provincia di Vercelli. Se sullenergia
atomica si incontrano posizioni diverse anche fra gli addetti ai lavori, Saluggia ha il merito di
mettere daccordo tutti.
infatti unanimemente considerato il sito pi inadatto in cui stoccare dei rifiuti radioattivi. Perch i
depositi di scorie, al contrario delle centrali nucleari, devono stare lontani dallacqua. E qui invece
stiamo al centro di un triangolo, tracciato dalla Dora Baltea e due canali. Sotto passano le falde
acquifere che alimentano lacquedotto del Monferrato.
Anni fa abbiamo avuto il primo caso nel Paese di contaminazione di una falda superficiale,
commenta Gian Piero Godio, storico attivista di Legambiente Vercelli, mentre percorriamo il
perimetro del sito. E proprio qui, mentre lItalia si avvita da anni su come, dove e quando fare un
deposito nazionale in cui mettere al sicuro tutti i rifiuti radioattivi, sorge il deposito nazionale de
facto. Qui - con il contributo minoritario di Trino, sempre nel Vercellese - stanno il 73 per cento dei
rifiuti nucleari italiani, se si misura la radioattivit; e il 96 per cento, includendo altri materiali
radioattivi (fonte inventario Ispra 2014). E ancora qui, nellimpianto Eurex, stanno 260 metri cubi
di rifiuti liquidi, ovvero nella loro forma pi pericolosa, che attendono di essere solidificati da molti
anni.
Sul sito in costruzione un complesso, Cemex, che dovr cementarli. Nel giugno 2016 stato
fatto il getto della platea di fondazione, ora in corso la costruzione delle pareti, commenta Marco
Sabatini Scalmati, responsabile relazioni media di Sogin, la societ pubblica incaricata della
disattivazione degli impianti nucleari, che gestisce questo e altri siti. I lavori dovrebbero
concludersi, sulla carta, nel giugno 2019. Nel mentre, l dentro si sta ingrandendo un deposito di
cemento, il D2, e se ne sta costruendo un altro, il D3. Per Sogin consentiranno di stoccare in
maggior sicurezza i rifiuti in vista del loro trasferimento in un deposito nazionale. Per gli
ambientalisti per il timore che servano a rendere definitivo quello che temporaneo. Ha senso
farli se tra pochi anni i rifiuti verranno trasferiti? Oppure il loro destino di essere definitivi?, si
chiede Godio.
Era il 1999 quando per la prima volta in modo ufficiale si inizi a parlare di un deposito nazionale
dove mettere al sicuro le scorie della breve stagione nucleare italiana. Addirittura, una legge del
2003, dopo averlo definito indifferibile e urgente, lo voleva entro soli cinque anni. Pi sagge
stime lo avrebbero collocato nel 2020, salvo poi far slittare progressivamente le date - insieme ai
costi generali dello smantellamento del nucleare - in un tunnel di cui ad oggi non si vede la fine.
Cos, nel 2017, la realizzazione di un deposito unico, di cui si parla da almeno 17 anni, resta poco
pi di un miraggio. E dire che nellestate 2015 si era intravisto il traguardo, quando doveva essere
pubblicata dal governo la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per ospitarlo.
Una lista di localit, redatta in gran segreto, che non mai uscita dal cassetto e la cui pubblicazione
servirebbe a iniziare le complesse trattative per arrivare infine a definire il posto pi adatto. E da l
iniziare a costruire il deposito. La Sogin, i cui vertici sono stata rinnovati lo scorso luglio dopo anni
di travagli interni, ci aveva fatto pure una campagna informativa nel 2015, con 4,1 milioni di euro
spesi in comunicazione.Ma la pubblicazione della fantomatica carta non c stata, cos come non
stato ancora realizzato il Programma nazionale italiano per la gestione dei rifiuti nucleari. Ovvero
un documento, previsto da una direttiva europea, con cui ogni Stato tenuto delineare la propria
strategia al riguardo. Lo scorso febbraio lItalia ha presentato solo un rapporto preliminare.

Guerra di dossier
Il Programma nazionale deve essere sottoposto a una Valutazione Ambientale Strategica, che a sua
volta si fa sulla base di un rapporto ambientale. LItalia ha prodotto un documento preliminare di
questo rapporto ambientale propedeutico, commenta Roberto Mezzanotte, gi direttore del
dipartimento nucleare di Ispra, lIstituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Dunque siamo due passi indietro rispetto allobiettivo, che il Programma nazionale. Per altro
quel rapporto preliminare ha molte lacune. Cos, ad aprile lEuropa ha iniziato una procedura
dinfrazione contro lItalia per la mancata consegna di tale programma. E a settembre il ministro
dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, in unaudizione, ha infine fatto sapere che la Carta
dovrebbe essere pubblicata a fine 2017, legandola a sua volta al Programma nazionale. Per
qualcuno sarebbe gi un successo, a questo punto, se il deposito, prima vagheggiato nel 2020, poi
slittato verso il 2024-25, fosse pronto intorno al 2030. Ma parallelamente a questo tema, si aggiunge
la questione dello smantellamento (decommissioning) degli attuali siti temporanei, che ospitano
rifiuti e altri materiali radioattivi. Smantellamento che non avverr prima del 2035, stando allo
stesso rapporto preliminare del governo. Nel luglio 2016, lavanzamento del decommissioning era
attorno al 25 per cento, commenta Sabatini Scalmati. Nel 2012 era al 12 per cento. Intanto,
lallungamento dei tempi fa aumentare quanto paghiamo, perch ci sono spese fisse indipendenti
dal procedere delle operazioni di decommissioning, spiega Mezzanotte. Mentre tra il 2006 e il
2011 i costi per la messa in sicurezza e lo smantellamento sono aumentati del 42 per cento,
attestandosi su una stima di 6,7 miliardi. Poi ci sarebbe la partita dei rifiuti che devono rientrare
dallestero, termine ultimo il 2025. Se, come ormai probabile, per quella data non ci sar il
deposito, dove andranno?
Se il deposito fosse quasi pronto forse si potrebbe ricontrattare con la Francia. Se invece non lo
fosse, sarebbe uno dei problemi, commenta Lamberto Matteocci, responsabile controllo delle
attivit nucleari dellIspra. Bella domanda, non esiste un piano B, aggiunge Mezzanotte. Ma si
potrebbe ipotizzare che ogni sito sia costretto a riprendere i propri rifiuti, o che venga fatto un
deposito temporaneo solo per quelli. Esattamente quello che temono gli ambientalisti di Saluggia:
non che quei nuovi grandi depositi in cemento, pi che essere solo migliorativi, serviranno anche
a questo? Senza contare che ancora manca unautorit di vigilanza sulla sicurezza. Non abbiamo
un arbitro, un ente indipendente, lamenta Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace.
Doveva essere lIsin, lIspettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, costituito
nel 2014 e non ancora operativo. Il suo ruolo continua ad essere assolto provvisoriamente dallIspra.
Che per negli ultimi anni stata depotenziata. Abbiamo avuto una progressiva riduzione delle
risorse. LIsin prevederebbe circa 60 persone, ora allIspra siamo la met, precisa Matteocci. Nel
mentre, la storia del deposito appare sempre di pi quella di un cerino passato di mano in mano.
Dove perfino i Comuni che ospitano i siti temporanei sembrano aver accettato il dato di fatto. Che si
traduce pur sempre in 15 milioni di euro allanno in compensazioni statali.
Anzi, nel luglio 2016 quei Comuni hanno perfino vinto una causa in primo grado contro il governo.
Laccusa che lo Stato trattenga il 70 per cento dei soldi destinati ai territori sedi di servit
nucleari. Le compensazioni sono diventate ormai delle entrate strutturali dei bilanci di quei
Comuni, se sparissero domani avrebbero dei problemi, commenta Umberto Lorini, direttore della
Gazzetta di Vercelli. Una iniezione di liquidit cui difficile rinunciare in tempi di ristrettezze
anche per gli enti locali.

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