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La democrazia ateniese:

visione e giudizio dei


maggiori storici del
tempo
Gianni Castaldi

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Lassociazione democrazia/Grecia classica sembra essere


diventato, ormai da tempo immemorabile, fatto assodato e
incontestabile.
Il significato etimologico del termine democrazia, potere del
popolo, pu riferirsi sia ad unaspirazione ideale, e quindi ad
un progetto politico da realizzare, sia ad una realt di fatto,
ovvero ad un sistema amministrativo e ad una forma di
governo. Queste due diverse prospettive, che implicano
rispettivamente lessere e il dover essere, lideologia e la
struttura, la dottrina e la pratica della democrazia, hanno
trovato, secondo la versione storica tradizionale, piena
realizzazione nellAtene del V secolo a.C., figlia delle riforme
di Clistene, durante il governo di Pericle. Nel celeberrimo
epitafio di Pericle, pronunciato alla fine del primo anno della
guerra del Peloponneso e forse rielaborato da Tucidide, egli
esalt Atene come luogo ideale per lo sviluppo della libert
individuale, dellarte, della filosofia.
Luciano Canfora, uno dei maggiori studiosi del mondo
classico, analizza e penetra in profondit nellesame della
democrazia di quel tempo, nel suo libro Il mondo di Atene
(2011, Laterza). Un aspetto che salta subito agli occhi dalla
lettura di Canfora la visione contraddittoria della struttura
democratica ateniese che emerge dallanalisi dei testi dei pi
eminenti storici del tempo: Tucidide, Senofonte, Platone e
Isocrate.
Pericle, considerato universalmente lispiratore e lo
sperimentatore dellesperienza pi radicale del potere
popolare, us le varie istituzioni ateniesi come lespressione
pi pura della democrazia diretta, a partire dal sorteggio per le
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magistrature, alla convocazione di assemblee ad alto tasso di


partecipazione, alla funzione sostanziale dei tribunali cittadini
nel controllo della legislazione approvata dallassemblea, alla
retribuzione per le cariche pubbliche e alla definizione di
cittadinanza, per includere anche, con un apparente contrasto
con i precetti morali di quel tipo di governo, la costruzione di
un impero.
Ovviamente le conclusioni alle quali giungono rispettivamente
gli storici sopra citati, sono influenzate dalla prospettiva
politica soggettiva, dal contesto temporale e geografico in cui
redassero le loro opere; cos risulta che un Tucidide,
attivamente impegnato in una politica bipolare, sviscera la sua
critica allesperienza della democrazia radicale ateniese, pur
riconoscendo i meriti di Pericle, mentre un Isocrate o un
Platone si ancorano su posizioni diametralmente opposte tra
loro, il primo a difesa della linea periclea, il secondo, per lo
stretto legame con gli oligarchi ateniesi, muove il suo atto di
accusa contro la trasformazione pi o meno palese della
democrazia in una tirannide individuale. E Senofonte ad
innescare il dibattito sulla politica di Pericle, in quanto lui a
diffondere lopera storica di Tucidide, e, la sua visione filospartana e quindi pro-oligarchica, fornisce un ulteriore punto
di vista dal quale guardare la costruzione e lepilogo del
secolo della democrazia ateniese.
Nonostante queste diverse visuali, essi cercano di porsi
secondo le testuali parole di Canfora nellottica
dellosservatore che d a ciascuno il suo, che sa ripartire torti
e ragioni, ma soprattutto che intende e sa guardare sotto i
fatti.Di questo realismo fa parte lattenzione riservata al
conflitto tra classi sociali come fattore di storia. Una
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caratteristica questa, che gli storici antichi non avevano


motivo di nascondere, non essendovi allepoca il timore di
essere redarguiti per ci.
Perno centrale delle considerazioni di Canfora comunque, da
qualsiasi lato si guardi la questione, lo stretto legame
democrazia imperialismo come base della struttura del
governo ateniese. Legemonia conquistata in seguito alla
vittoria di Salamina contro i Persiani da parte di Atene, la
formazione della lega di Delo e quindi, allatto pratico, della
sudditanza delle citt alleate alla principale con il versamento
di tributi che risulteranno essere la maggiore fonte dentrata
per il mantenimento dellordine democratico (si ricordi che il
cittadino che partecipava alla vita pubblica riceveva un
compenso per questa sua attivit), veniva considerato nella
citt attica come un diritto acquisito e un paradigma per lo
sfruttamento delle classi povere.
Illuminante per questo il passo citato da Canfora della
commedia Le vespe di Aristofane, probabilmente il pi
celebrato tra i comici, il quale, con il tipico sarcasmo
consentito a chi faceva teatro, evidenzia il diverso grado di
vantaggi che i gruppi sociali traevano dallimpero:
Ti vogliono povero, e il perch te lo dico io:perch tu
conosca il padrone, e quando lui fa un fischio e ti aizza contro
un nemico, tu gli salti addosso pi rabbioso. Se invece
volessero il bene del popolo, non ci vorrebbe nulla; ci sono
mille citt che ci pagano il tributo: basterebbe imporre a
ognuna di pensare al sostentamento di venti cittadini; ecco
che i ventimila uomini vivrebbero mantenuti a carne di lepre,
a colostro e caglio, cinti di corone: una vita degna di Atene e
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della vittoria di Maratona, Ora invece sembrate raccoglitori


di olive e andate dietro a chi vi paga il salario.
Quindi la decantata uguaglianza del popolo con gli
aristocratici solo apparente in quanto proprio il ceto dei
signori che usa il sistema democratico ateniese per il
raggiungimento dei propri scopi; la capacit demagogica dei
rappresentanti della classe altolocata viene sfruttata per
persuadere i poveri, per convincerli della loro partecipazione
ai benefici dellimperialismo in cambio di un ruolo
praticamente marginale nella decisionalit politica. Il mito
dellAtene, patria dellattivit politica totale da parte del
demo, ne esce ridimensionata. Dei probabili 350.000 abitanti,
solo 20.000 godevano dei diritti provenienti dalla cittadinanza.
Canfora mette a confronto i diversi punti di vista di storici e
pensatori dellet contemporanea verso la democrazia
ateniese. Alla visione essenzialmente progressista di
Rosenberg, esponente di punta del socialismo di sinistra, il
quale vede nellAtene del V secolo laffermarsi del partito del
proletariato e linstaurazione di uno Stato sociale molto
avanzato, si contrappone lidea di Max Weber di una societ
piramidale al cui vertice vi la sua struttura democratica, ma
le cui fondamenta poggiano sullo sfruttamento delle risorse
spartite democraticamente tra i suoi cittadini, i quali, come
dicevamo, non sono che una minoranza rispetto alleffettiva
popolazione. Di Rosenberg, Canfora cita lo stralcio di un suo
scritto (Democrazia e lotta di classe nellantichit, 1921) da
cui si evince la mitizzazione dellesperienza ateniese come
primordiale rispetto alla lotta di classe di ottocentesca
memoria. Descrivendo leffetto che limmane progetto di
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lavori pubblici promosso da Pericle ebbe sulle classi pi


emarginate dellAttica, Rosenberg scrive:
possiamo figurarci le masse dei braccianti e dei manovali
ateniesi risvegliarsi a poco a poco anche politicamente sotto
la spinta di ci che ferveva intorno a loroLa partecipazione
alle assemblee popolari, in cui con la massima pubblicit
venivano discusse le questioni politiche allordine del giorno,
contribuiva a istruire anche i nullatenentilo sviluppo della
flotta
contribu
considerevolmente
alla
crescita
dellautocoscienza proletariail cuore degli equipaggi era
formato dalle migliaia di cittadini poveri, e in particolare da
quelli che gi in tempo di pace lavoravano sul mareCostoro
potevano ritenersi gli autentici fondatori e sostenitori
dellimpero ateniese, dal momento che erano essi, in pace, a
creare il benessere dei ricchi col lavoro delle proprie braccia,
e, in guerra, a difenderlo. Cos and crescendo, in queste
masse, laspirazione di governare direttamente lo Stato che a
loro doveva la sua esistenza
Diverse sono le conclusioni alle quali giunge Weber. Nella sua
opera pi significativa (Wirtschaft und Gesellschaft, 1922),
egli identifica come protagonista del dominio della citt la
corporazione dei guerrieri, gli opliti, i quali a imitazione del
paradigma assoluto di societ militarizzata, cio Sparta,
crearono allinterno della comunit ateniese una forza
socialmente influente nelle decisioni politiche, che, anche
dopo lavvento dei mercenari, mantenne la sovranit. Secondo
Weber la tanto osannata libert, assicurata nellorazione
funebre del Pericle tucidideo, era solo oratoria demagogica, in
quanto ogni genere di comportamento che mettesse in pericolo
la disciplina e lordine militare e cittadino, come lo sperpero
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del terreno ereditato, ladulterio, la cattiva educazione dei figli


e altro, veniva duramente punito.
Se nella politica interna, il ruolo della componente
militaristica della polis ebbe una parte preponderante, in
politica estera fu proprio la democrazia radicale a sostenere
lespansionismo imperialistico nei tentativi malriusciti di
conquista dellEgitto e della Sicilia, rispettivamente operati da
Pericle e Alcibiade.
Da qui lulteriore analisi di Canfora circa lintroduzione del
termine demokratia non come una partecipazione paritetica
di tutti indistintamente alla vita della citt ma, confermato
dalle parole di Platone e riferito allesperienza della
democrazia radicale introdotta da Pericle, come
laffermazione del ceto povero con un atto di violenza volto
ad escludere parte dellaristocrazia dal governo della citt o
limitare il suo impiego ad un sorteggio che esclude in maniera
automatica e spontanea la frangia perdente. E nel quarto libro
della sua Politica, anche il discepolo pi famoso del fondatore
dellAccademia, poi allontanatosi da certi suoi importanti
precetti filosofici, cio Aristotele, sembra in questo caso
mantenere la stessa linea di pensiero del suo maestro,
sentenziando, secondo la citazione di Canfora, che luso della
parola democrazia tacitamente riferito, non al governo dei
ricchi, nel qual caso essi fossero anche la maggioranza, ma a
quello dei poveri e similmente con oligarchia, ci riferiremo
tassativamente al governo della classe benestante e mai a
quello dei nullatenenti, a prescindere dalle rispettive
consistenze numeriche.

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Quale tipo di ordinamento politico, quindi, vigeva ad Atene?


Quale rapporto connetteva tra loro gli opposti ceti sociali della
citt? Canfora ci aiuta in questa analisi attraverso le
espressioni di due dei personaggi fondamentali della
storiografia greca del periodo: Tucidide e Platone. Per il
primo, sicuramente redattore assai soggettivo delle parole di
Pericle nel celebre epitafio, la demokratia non implica il
predominio dei poveri, ma il ricco e il povero contano allo
stesso modo, per quello che intrinsecamente valgono, non per
quello che socialmente sono; nellanalisi particolareggiata,
Canfora precisa che luso da parte di Pericle del termine
demokratia voleva significare la sua contrapposizione al
governo di pochi, cio loligarchia, senza far prevalere
nessuna parte sociale. Laccento posto dallo statista ellenico
sulle capacit individuali che emergono e che prevalgono
sullappartenenza sociale per quanto riguarda le funzioni
pubbliche nella polis ateniese, avvalorano questa tesi
interpretativa. Pi incisivo e forse meno demagogico sembra
essere Platone che nel suo Menesseno definisce il regime della
sua citt aristocrazia spiegando che alcuni la chiamano
democrazia, altri altrimenti, di fatto un governo dei migliori
con lapprovazione della massa
Dove si annida, dunque, la violenza nel sistema politico
ateniese? Il punto di vista di un altro protagonista della storia
del tempo fornisce ulteriori motivi di riflessione: Senofonte,
nei sui Memorabili riportando un dialogo tra i due principali
personaggi della democrazia del V secolo, Pericle e
Alcibiade, sintetizza il concetto affermando che quando la
massa legifera prevalendo sui ricchi, quella violenza, non
legge.
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La posizione oligarchico-spartana di Senofonte si manifesta in


questo caso in tutta la sua ampiezza. Ovviamente se
consideriamo oggettivamente la violenza perpetrata nel
periodo storico in questione non possiamo evitare di guardare
al prepotente imperialismo ateniese, attuato nella cosiddetta
Pentecontetia, il cinquantennio intercorso tra i due principali
eventi bellici della grecit classica, e manifestatosi in tutta la
sua vera natura in alcuni episodi verificatesi nel periodo
susseguente alla pace di Nicia, e quindi sostanzialmente in
anni di sosta bellica. La questione a cui ci riferiamo quella
relativa allisola di Melo, ampiamente trattata da Canfora da
angolazioni prospettiche diverse, a seconda della visione
storico-politica degli osservatori. Ma prima di addentrarci in
questo percorso, opportuno aprire una parentesi
concentrandoci ancora sul rapporto tra demo e aristocrazia,
scandagliato nei dettagli dallo scrittore. Il concetto di
uguaglianza, tanto caro e strutturalmente legato ai promotori
della democrazia e al suo significato, non era cos ovvio
nellAtene del V secolo.
Si passa con il tempo dalla nozione di diversit attribuibile a
questioni genetiche, alla separazione sociale dovuta a fattori
storici, filosofia promossa in alcuni settori della sofistica,
allattribuzione di leggi naturali esterne alluomo come causa
delle differenti gerarchie sociali (vedi Democrito), alla
riduzione di tutto il demo ad una posizione di schiavit e
quindi di inferiorit secondo la dottrina ultraoligarchica, non
lontana dai precetti platonici esposti di seguito in Repubblica.
Ma il percorso innescato dallattuazione della democrazia e
dai suoi costi che obbliga, col tempo, a prendere in
considerazione un nuovo concetto di uguaglianza sociale.
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Limperialismo dovr sostenere gli oneri della politica


professionale, valorizzando perci il ruolo della flotta navale
indispensabile per le conquiste, con i marinai e tutto
lapparato militare conseguente, imponendo cos la
concessione di una maggiore libert a quelle classi sociali un
tempo ai margini della societ e che adesso svolgono mansioni
insostituibili per la costruzione dellimpero. Con la guerra
cresce la preminenza del ruolo degli schiavi perch sempre
pi necessari per il lavoro in sostituzione di altri impiegati in
azioni belliche (schiavi spesso affittati ad altri signori locali in
cambio di una apophor, un compenso dovuto per luso
della manodopera altrui).
Questa nuova funzione delle classi meno abbienti in settori
cruciali per leconomia e per il potere, obbliga, al fine di
evitare rivolte e sedizioni, alla concessione di una maggiore
libert che, in taluni casi, si concretizza con l'acquisizione
della cittadinanza, accrescendo il peso politico di fasce sociali
un tempo ininfluenti.
Se ne deduce, perci, che le ragioni fondanti di una maggiore
equit sociale non furono dettate da dottrine morali, ma da una
necessit storica, spesso allorigine anche di conflitti e
sommosse interne. Il concetto di necessit, ricorre come
costante ideologica nelle opere di Tucidide.
Veniamo ora a trattare la fatidica questione dellisola di Melo.
Sono Tucidide e Isocrate a mettere a fuoco laccaduto, e
Canfora riesce sapientemente a evidenziare le differenti
interpretazioni della vicenda. Secondo la narrazione tucididea
Atene sembrava non tollerare il fatto che i Melii non
aderissero alla lega delio-attica come le altre isole egee, ragion
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per cui nel 416, durante la cosiddetta pace di Nicia, gli


Ateniesi aggredirono lisola impartendole una lezione
esemplare con luccisione dei maschi e lasservimento delle
donne. Sembra, comunque, che precedentemente nel 426,
avvenimento narrato dallo stesso storico, vi fosse stata
unincursione ateniese sullisola, probabilmente volta ad
ottenere lo stesso risultato, ovvero linclusione forzata nella
lega. In seguito a questo accadimento, comprendente
devastazioni sul territorio, gli isolani passarono alla guerra
aperta contro gli invasori. Pare perci di dedurre da Tucidide
che i Melii non accettarono mai lopzione dellalleanza
militare con Atene e quindi contro Sparta, e che gli
avvenimenti del 416 furono non il frutto di una punizione per
la diserzione, ma un vero atto imperialistico di conquista verso
un altro popolo.
Cosa poteva significare lespressione guerra aperta se non
che i Melii erano passati alla controparte, sostenendo cos la
citt laconica? Oltre allimprobabilit che una piccola isola
aprisse palesemente le ostilit contro la potenza dominante del
momento, vi anche un documento epigrafico a testimonianza
dellappoggio militare ed economico a fianco degli Spartani.
Perch, dunque, Tucidide elude questo particolare importante?
Probabilmente questa esclusione dimostra la faziosit del suo
racconto, il voler accusare gli ateniesi e la loro forma di
democrazia radicale come responsabili indiscussi della fine di
Melo. Includendo nel resoconto storico la defezione di Melo,
avrebbe in qualche modo giustificato lazione punitiva di
Atene. La volont di Tucidide di far apparire quella che
poteva essere considerata una ritorsione alquanto giustificabile
verso dei traditori, trasformandola in un atto di sopraffazione
perpetrato nei confronti di una piccola isola che fieramente
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sosteneva il proprio diritto alla neutralit. Ma a rendere ancor


pi eclatante la forzatura storica il famoso dialogo degli
inviati ateniesi con le autorit isolane volto a umiliare la
coraggiosa resistenza di un piccolo popolo e a sostenere lidea
dellinevitabile fine a causa dellincontestabile superiorit
degli sfidati.
Canfora la definisce una vittoria della propaganda sulla
verit, sostenendo che questo dialogo fu innestato in seguito
alla stesura della vicenda bellica e che in realt fu presentato
come un fatto storico, una sorta di suggello melodrammatico
ben impressionabile nella cultura dellepoca e non solo, con
un palese risvolto politico.
Che il suo attacco sia orientato ad una critica
allestremizzazione della democrazia e al ruolo determinante
delle assemblee popolari come fattore scatenante della
violenza imperiale, lo si evince dalladditare come
responsabile, non colui che verosimilmente fu il promotore di
tale azione, cio Alcibiade, il quale alla vigilia della partenza
per la spedizione in Sicilia aveva necessit di unaffermazione
della superiorit politico-militare di Atene, ma gli Ateniesi,
che secondo le eloquenti parole di Canfora decidono,
agiscono, infieriscono.
Alcibiade, che secondo quanto aggiunge Plutarco ebbe la
massima responsabilit nel massacro dei Melii, aggiunse alle
sue colpe lumiliazione morale e simbolica inflitta ai vinti
avendo voluto avere dei figli da una schiava acquistata a
Melo, provocando cos un odio perenne nella sua progenie
verso la citt conquistatrice e impersonando le caratteristiche
tipiche del tiranno. Questo fatto evidenzia ulteriormente
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lambiguit della democrazia ateniese incline a mettere i suoi


personaggi di spicco in condizione di assumere un potere
personale.
Posizione completamente diversa quella assunta da Isocrate,
il quale scagliandosi contro la visione critica del popolo
ateniese promossa da Tucidide, giustifica lintervento di Atene
contro Melo considerandolo, non unazione di puro
imperialismo e di sopraffazione del pi debole, ma un atto
punitivo per il suo tradimento, in quanto considerava lisola
gi alleata nella lega di Delo e passata meschinamente al
nemico.
Canfora avvalla lidea che gli ultimi anni di guerra descritti
nelle Elleniche, opera attribuita a Senofonte, siano in realt
stati redatti da Tucidide, in quanto sembra emerga nel
racconto una sorta di collegamento fra la sorte toccata agli
ateniesi a Egospotami, epilogo del conflitto peloponnesiaco
assai bruciante per Atene, e il destino inflitto ai Melii proprio
da questultima; una specie di compensazione in nome di un
principio di giustizia superiore, un risarcimento morale a
quanto fatto loro. Una conclusione coerente con la forzatura
faziosa stilata da Tucidide.
La capacit di questultimo di analizzare il percorso politico
dellAtene del suo tempo risiede sicuramente nel fatto che fu
testimone oculare di molti degli avvenimenti da lui narrati. La
sua maniera di indagare si avvale anche di unaltra prospettiva
tipica dello storico ateniese, ovvero lesame della psicologia
di massa, in seguito ad eventi che deviarono, in particolari
frangenti della vita della citt, dalla linea di governo
democratico verso la sua antitesi, loligarchia.
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Canfora riesce egregiamente ad estrapolare dalla narrazione


tucididea, fotografie di unAtene in preda a lotte intestine nel
411, anno del primo colpo di stato oligarchico. La disfatta in
Sicilia aveva fatto emergere tutti i lati deboli della democrazia
che il critico per eccellenza di tale sistema radicale, Tucidide,
descrive con sottile ironia. La democrazia, un regime nel
quale il primo capitato pu prendere la parola e la citt pu
essere portata alla rovina dallavventata decisione di un
giorno- sentenzia Canfora un sistema disperante.
Il popolo pu sempre addossare la responsabilit delle
decisioni a quellunico che ha presentato la proposta o lha
messa ai voti, e gli altri tirarsi indietro dicendo: io non ero
presente. aggiunge Canfora citando testualmente
Senofonte.
In seguito alla sconfitta in Sicilia, la democrazia implode,
collassa su se stessa, permettendo che gli oligarchi prendano il
potere con i suoi stessi strumenti, ossia lAssemblea e il
Consiglio, provocando cos lo svuotamento delle istituzioni;
svuotamento consentito dal silenzio del popolo, fino ad allora
assai loquace nellesprimere le proprie opinioni, ma da allora
terrorizzato e impaurito e nello stesso tempo sfiduciato e
sospettoso per impensabili tradimenti.
Tucidide locchio attento, scrutatore dei comportamenti
umani, focalizzato sugli aspetti psicoantropologici
dellaccaduto, riuscendo a discernere la relativa facilit con
cui i congiurati compiono la difficile impresa di togliere al
popolo di Atene la libert centanni dopo la cacciata dei
tiranni. Percepisce gli umori della gente, il timore, per
esempio, di un imminente sbarco degli Spartani.
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Redige la cronaca giornaliera degli avvenimenti, confermando


cos la sua presenza attiva nel governo cittadino. Secondo
lipotesi di Canfora, Tucidide tra i 400 membri del consiglio
o bul, scelti direttamente tra i promotori della rivoluzione
oligarchica, i quali sostituivano i cosiddetti Cinquecento,
sorteggiati originariamente, secondo le riforme di Clistene, tra
cittadini volontariamente propostosi per lelezione. Lo scopo
della bul era quello di preparare lordine del giorno per le
discussioni pubbliche dellassemblea. Il fatto che lo storico sia
molto preciso e accurato nella descrizione degli avvenimenti e
dimostri di essere a conoscenza delle ambizioni private degli
oligarchi, come Teramene, lascia intendere il suo
coinvolgimento nel golpe. Anzi, Canfora si spinge ancora pi
avanti sospettando che lo stratega innominato da Tucidide che
segu Teramene nel tentativo di liberare Alessicle sequestrato
dalle guardie di confine, fosse Tucidide stesso.
Questo spiegherebbe molto circa le notizie da lui stesso
riportate. E ci aiuta ad evincere ancora qualcosaltro: la
diversit di analisi e di giudizio di alcuni suoi scritti successivi
evidenzia la metamorfosi, o per dirlo con le testuali parole di
Canfora, la presenza della maturazione di un pensiero in
Tucidide che, dopo aver vissuto passionalmente le vicende
della prima oligarchia e la sua fine, dovuta alla rivalit per il
predominio, fa propria lidea monarchica: quella di un
principe integro e non condizionato dal demo, con una forte
carica carismatica finendo, quindi, per esaltare la figura di
Pericle. Di lui aveva detto che era un personaggio potente,
per prestigio e lucida capacit di giudizio, assolutamente
trasparente e incorruttibile che reggeva saldamente il
popolo senza per violare la libert e che non si faceva
guidare da esso pi di quanto non lo guidasse lui, poich non
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cercava di conseguire il potere con mezzi impropri e perci


non era costretto a parlare per compiacere luditorio.
Sintetizzando in breve tutte le contraddizioni della politica
ateniese aggiunse: Di nome a parole era una democrazia, di
fatto il potere del primo cittadino, forse il modello ideale del
Tucidide monarchico.
Posizione questa rifiutata da Platone, che pur condividendo
lanalisi di Tucidide circa il fallimento di democrazia e
oligarchia, considera assai negativamente lesperienza
periclea, finendo per formulare la dottrina dei filosofi
reggitori. Questa idea del Platone politico esposta in
Repubblica, ossia di un governo affidato ad un lite
selezionata attraverso lesperienza filosofica della ricerca del
sommo bene, e resa indipendente dalla produzione di beni di
consumo, in una visione a suo modo comunista delle risorse
cos acquisite, il progetto per sanare il costante conflitto
sociale. Dopo la conclusione della guerra del Peloponneso e la
conseguente fine dellegemonia ateniese, il binomio
democrazia-impero decaduto e quindi lasse storicofilosofico, rappresentato in questo caso da Senofonte e dallo
stesso Platone, si orienta su una costruzione politica che ha
come paradigma di riferimento la citt di Sparta, ma nel caso
di Platone con la filosofia al centro della funzione socioculturale.
Per Senofonte, invece, vi una totale adesione
allordinamento politico e sociale della citt laconica. Non
solo egli promuove nei suoi scritti lidea della superiorit del
modello spartano, ma sceglie di andarci addirittura a vivere.
Come lui Alcibiade, Crizia, e lo stesso Socrate avevano
mostrato aperta ammirazione per quel mondo cos antitetico
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alla democrazia ateniese. Senofonte avanza una proposta


utopistica relativa allordinamento sociale della citt pi o
meno quanto poteva esserlo quella platonica dei re filosofi.
Dato che ormai limpero non esiste pi e che la spinta
propulsiva alla conquista e al dominio esterno era stata data,
secondo lui, dalla povert delle masse, necessario che gli
Ateniesi escogitino il modo di auto mantenersi.
La sua idea riportata da Canfora nella citazione del Poroi (le
Riforme statali), concepito per gli ateniesi: La mia proposta
che la citt, dallesempio dei privati, i quali si sono
assicurati una rendita perenne col possesso degli schiavi,
acquisti anchessa schiavi pubblici fino a raggiungere il
numero di tre per ogni ateniese, e come luogo di
sfruttamento egli individua le miniere del Laurion.
Questa argomentazione senofontea rende chiaro quanto
lAtene successiva alla fine dellimpero si fosse scostata dal
modello democratico ufficiale. Alla base delle scelte
politiche vi era la difficolt a minare legoismo dei ricchi. E
chiaramente indicativo delle difficolt esistenti per ripristinare
le aspettative della democrazia teorica e anche di quanto
lavidit della classe benestante, un tempo complice con il
demo, condizionasse il clima sociale dellepoca. Siamo nel
366 e Isocrate, altro importante intellettuale del tempo, fa dire
al re di Sparta nel suo Archidamo: Temono pi concittadini
che i nemici esterni. In luogo dellantica concordia si giunti
ad un tale livello di reciproca incomprensione che i ricchi
sono pronti piuttosto a buttare nel mare le loro ricchezze che a
metterle a disposizione degli indigenti.

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Questa anche lepoca di Demostene, il quale sebbene venga


da una famiglia di industriali, sceglie la via dellavvocatura e
della logografia. Il suo giudizio verso la democrazia radicale
palese. Deplora le lungaggini burocratiche dovute alla prassi
democratica, condanna leccessiva libert di opinione
concessa a schiavi e a stranieri, chiarisce quale sia la parte
sociale della quale difende gli interessi quando dice: Le
ricchezze bisogna lasciarle ai ricchi; non c posto migliore
per tenerle in serbo per la citt.
Denuncia leccessivo potere dei tribunali popolari, rei di
creare allarmismi circa probabili restaurazioni oligarchiche e
incolpati di alimentare la fuga dei capitali per il rischio di
confische sommarie. Il conflitto sociale interno influisce
anche sullatteggiamento verso la politica estera ateniese, nel
rapporto con la Persia e lemergente potenza macedone.
Il demo, interessato solo al proprio interesse e ai propri
privilegi, accusato da Demostene di provincialismo, in
quanto rifiuta di seguirlo nella sua politica di grande potenza e
nel suo tentativo di avvicinamento alla Persia, secondo lui
propensa ad allearsi come in passato con la parte pi debole,
per contrastare il pericolo proveniente dalla Macedonia.
La mancanza di lungimiranza politica di Demostene circa la
paventata solidit dellimpero persiano, ha provocato giudizi
assai severi nei suoi confronti. Ma resta il fatto che il periodo
doro della democrazia ateniese era da tempo concluso e che i
maggiori critici del suo sistema furono proprio i personaggi
pi in vista di Atene: da Tucidide a Senofonte, da Platone a
Demostene, da Aristofane ai molti letterati e commediografi
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che al tempo del ripristino della democrazia con Alcibiade


passarono in Macedonia alla corte di Archelao.
Cosa ci resta dellAtene del V secolo? Probabilmente il lascito
pi importante quella improbabile convivenza tra ceti
culturalmente diversi ed antitetici, ciascuno, vero, per i
propri fini, ma con la capacit di accordarsi su valori comuni
come luguaglianza quale sinonimo di giustizia, come il
notevole peso dellopinione della maggioranza, anche se solo
relativa alla grande moltitudine dei nullatenenti e pertanto
privi di ogni diritto politico. Notevole stato il contributo
dellaristocrazia ateniese che ha accettato la sfida, sicuramente
anacronistica per il tempo, di governare sotto il giudizio
costante e inflessibile delle masse, usando spesso la
demagogia per domare un popolo altrimenti difficile da
controllare, ma favorendo lo sviluppo di una irripetibile era di
arte, filosofia e scienza.
Le diverse visuali storiche e politiche esaminate da Canfora
sono un ulteriore segno della molteplicit di opinioni
soggettive che in unAtene democratica si potevano avere,
opinioni contrastanti tra loro, talvolta faziose e condizionate
da precisi interessi e valori culturali, ma proprio perch era
possibile esporle, sinonimi di democrazia e preludio e
paradigma delle conquiste sociali e culturali dellera moderna.
Il mito di Atene, dunque, rimane, con le sue contraddizioni,
con i suoi misteri e con le sue ambiguit; lopera degli storici
ci permette di consolidarlo, evidenziandone le molteplici
sfaccettature, di monito per una societ attuale non meno priva
di problematiche sociali, politiche e culturali.
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Bibliografia:
IL MONDO DI ATENE di Luciano Canfora (2011, Laterza)
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