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Articoli scelti
dal 9/07/2009 al 16/03/2010
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INDICE

1. Danimarca: immigrati pagati per lasciare il Paese .......................................................................... 6


2. Cina: riflettori puntati sulle fabbriche dannose, inquinanti, cancerogene ........................................... 8
3. Internet e tecnologie di comunicazione per diffondere al meglio la conoscenza indigena ................... 13
4. Israele-Palestina: strumenti video per aiutare i giovani a comprendere il conflitto............................17
5. Paraguay: popolazione indigena “innaffiata” coi pesticidi .............................................................. 20
6. Nepal: la rivoluzione verde e sostenibile del biogas ...................................................................... 22
7. Marocco: portare allo scoperto la piaga del lavoro minorile ........................................................... 24
8. Al via “Threatened Voices” per tutelare attivismo e libertà di parola online ...................................... 26
9. Cuba: breve arresto (e tante botte) per Yoaní Sanchez e altri blogger a L'Avana..............................28
10. Nepal: affermare la dignità delle donne Dalit ............................................................................. 33
11. Materiali e concorsi video per non dimenticare il Congo .............................................................. 35
12. Unione Europea: netizen russi discutono sul latte distrutto per protesta dagli allevatori belgi...........38
13. Twitter in Iran tra mito e realtà .............................................................................................. 42
14. Messico: Internet come necessità e non come bene di lusso ........................................................ 44
15. Cina: la tragedia dei bambini “lasciati indietro” dai genitori migranti in città .................................47
16. America Centrale: NO alla violenza contro le donne .................................................................... 49
17. Brasile: la sanatoria per gli immigrati illegali suscita speranze e controversie ................................ 52
18. Macedonia: i “Cantori di Skopje” .............................................................................................. 56
19. Colombia: tutelare la cultura afro-colombiana a San Basilio di Palenque ....................................... 58
20. Attivismo e maternità in Asia .................................................................................................. 60
21. Iran: vive online il ricordo dei martiri del “Movimento Verde” ......................................................62
22. Guinea: indignazione e dolore dopo il massacro compiuto dai militari a Conakry ............................63
23. Tunisia: elezioni imparziali e trasparenti !? ................................................................................ 66
24. Italia: l'attivismo online infiamma il “No Berlusconi Day” ............................................................ 68
25. Iraq: da Baghdad a Mosul, tra colpi di mortaio, schede elettorali e tanta speranza ......................... 70
26. Italia: giornata senza immigrati: “I mandarini e le olive non cadono dal cielo” ............................... 73
27. Haiti: mappe online per informare e indirizzare al meglio gli aiuti ................................................. 76
28. Canada: allarmante il tasso di suicidio tra i giovani indigeni ........................................................78
29. India: se ne va Boa Senior, l'ultima a parlare la lingua preistorica Bo ............................................ 81
30. Regno Unito: attivismo contro la permanenza dei bambini nei centri di detenzione ......................... 83
31. Il silenzio parla: testimonianze e narrazioni multimediali nella Repubblica del Congo ...................... 85
32. Cina: parlano le mogli di tre attivisti per i diritti umani condannati a lunghi anni di carcere .............89
33. Voci boliviane: dal carnevale di El Alto al progetto “jaqi aru” .......................................................94
34. Cile: le molte facce del terremoto tramite i filmati online della gente ........................................... 97
35. Congo: elettrodomestici e computer alimentano il conflitto bellico .............................................. 101

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Il mondo ti parla: stai ascoltando?

Global Voices Online è un progetto internazionale


senza fini di lucro centrato sui citizen media, ideato nel
2004 presso il Berkman Center for Internet and
Society della Harward Law School, e dall’autunno
2008 registrato come ente non-profi t indipendente in
Olanda. Oltre ai fondi di alcune fondazioni Usa, il
progetto si affida a contributi individuali,
sponsorizzazioni ad hoc e partnership operative.

Obiettivo centrale è quello di aggregare, far conoscere


e amplificare la conversazione globale che avviene
online - mettendo in evidenza luoghi e persone che
gli altri media spesso ignorano.

Lavoriamo per sviluppare strumenti, istituzioni e relazioni onde consentire a tutte quelle voci di poter essere
ascoltate ovunque. Il nostro team internazionale, composto da circa 200 tra autori, coordinatori regionali e
traduttori volontari, è la guida di cui c’è bisogno per orientarsi nella blogosfera globale. In ogni Paese del
mondo ci sono persone meravigliose che sono anche dei blogger. Li abbiamo invitati a diventare nostri
collaboratori o redattori perché sono in grado di capire il contesto e la rilevanza dell’informazione, delle
opinioni e delle analisi che ogni giorno vengono pubblicate nei loro Paesi e regioni sotto forma di blog,
podcast, foto, siti, videoblog o altri formati utilizzati dai citizen journalist. Le notizie quotidiane di Global
Voices Online vengono tradotte – meglio: localizzate e contestualizzate – in 17 lingue diverse (più altre sei
prossime al lancio) da traduttori volontari, riuniti nel Progetto Lingua – altra colonna portante dell’intero
network-community che include inoltre Advocacy e Threatened Voices , siti-progetti a tutela della libertà di
parola nel mondo, e Rising Voices, iniziativa mirata a dare visibilità a specifi ci gruppi e comunità tramite i
citizen media.

Da notare che, essendo le voci del Nord America e dell’Europa Occidentale già sovra-rappresentate nel
mondo globale dei media, la copertura di queste regioni è volutamente limitata ma in costante crescita. I post
di Global Voices Online (oltre 59.000 al marzo 2010, con quasi 63.000 commenti e innumerevoli brevi)
vengono regolarmente ripresi da Reuters, Cnn, New York Times, e altre testate internazionali dalla Norvegia
all’Argentina all’Arab Press Network, oltre a una varietà di partnership mirate tra cui RuNet Echo, United
Nations Population Fund, Development Research Centre. Tutti i contenuti del network sono rilasciati con
licenza Creative Commons (Attribution 3.0) e possono essere liberamente riutilizzati. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


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In un’epoca in cui i media tradizionali ignorano molte tematiche importanti per un gran numero di cittadini,
Global Voices Online vuole innanzitutto rimediare a questa iniquità d’attenzione dei ‘grandi media’, per
dare invece forza e spazio alla voce di singoli e altre entità espressa tramite l’uso diffuso, non fi ltrato dei
citizen media. Ecco quanto ci proponiamo di fare:

Richiamare l’attenzione sulle conversazioni più interessanti e sulle prospettive che emergono dai
citizen media online, segnalando e rilanciando testi, foto, podcast, video e altre forme di espressione
alla portata dei cittadini di ogni parte del mondo.

Facilitare l’emergere di nuove voci attraverso la formazione, i corsi online e il ricorso a strumenti
gratuiti, aperti e condivisi onde consentire a chiunque di esprimersi, utilizzandoli in maniera effi cace
e consapevole.

Difendere la libertà di espressione nel mondo e tutelare il diritto dei citizen journalist a raccontare
eventi ed esprimere opinioni senza timore di persecuzioni o censure.

La redazione italiana di Global Voices Online

Lanciata in occasione del Summit di Budapest a fine maggio 2008, la redazione italiana si è rapidamente
consolidata, grazie all’interesse di molti collaboratori volontari – con circa 1.200 post e decine di notizie brevi
pubblicati a fine 2009. Una ventina i traduttori, coordinati da Bernardo Parrella, rendono possibile l’uscita di
una media di due/tre articoli al giorno. Ci si può abbonare ai feed, iscrivere alla newsletter settimanale,
seguire tramite Twitter o il gruppo su Facebook. I feed quotidiani di Global Voices in Italiano vengono
ripresi variamente online e sono attivi diversi scambi-link, con Alaska, Yurait Social Blog, Agoravox.it,
Stampa Alternativa Blog, Nazione Indiana, Gli Italiani. Al marzo 2010, oltre 1320 gli articoli pubblicati, con
più di 12.000 visitatori unici totali e una media giornaliera di quasi 700. Il gruppo su Facebook ha superato i
700 iscritti, più altri 250 abbonati alla newsletter settimanale, e oltre un centinaio ci seguono su T witter. Per
sostenere il progetto, si può diventare traduttori volontari, spargere la voce, rilanciare i post sui propri
siti/blog, proporre partnership con altre testate o anche versare un contributo economico. Tutti i dettagli sul
nostro sito: http://it.globalvoicesonline.org . Contatti: <italiano@globalvoicesonline.org >.

Fanno e/o hanno fatto parte del team dei traduttori (sperando di non aver dimenticato nessuno ;-) :

Andrea Schenone, Annalisa Del Greco, Annalisa Pisano, Antonella Adamo, Antonella Grati, Antonella Mistretta, Bah Abdoulaye,
Beatrice Borgato, Beatrice Cerrai, Chiara Foppa Pedretti, Cinzia Barranco, Claudia Della Santa, Claudia Colazzo, Davide Galati, Denis
Rasia, Donatella Gagliano, Elena Carletti, Elena Intra, Eleonora Pantò, Erica De Stales, Filippo Rizzi, Francesco Gagliardi, Gaia Resta,
Giacomo Elio di Bari, Giuseppina Manfredi, Ilenia Girlando, Laura Diel, Luana Rodriquez, Luca Castelletti, Lucia Stellato, Manuela La
Gamma, Mariachiara Scoppa, Mariella Fini, Maria Elena Marino, Mario Squarotti, Maurizio Prisco, Maria Grazia Pozzi, Norma Lelli,
Paolo d’Urbano, Riccardo Senica, Roberta Sichera, Rosalba Ciancia, Rosalba Putrino, Rosario Iacono, Silvia Cristin, Stefano Ignone,
Tamara Nigi, Tindaro Cicero, Valentina Cattane, Vittoria Garofalo, Virginia Barbisan. Coordinatore: Bernardo Parrella.
Per l’elenco aggiornato, con mini-biografi a dei traduttori, si veda: http://it.globalvoicesonline.org/elenco-traduttori

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1. Danimarca: immigrati pagati per lasciare il Paese

19.11.09 - articolo originale di Solana Larsen - tradotto da Laura Diel

La Danimarca offre agli immigrati [in] di Paesi “non occidentali” 100.000 corone danesi (20.000 dollari statunitensi) se
rinunciano volontariamente alla propria residenza legale per fare ritorno a “casa”. Questa è solo una delle originali
iniziative promosse dal Partito Popolare danese anti-immigrazione per dimostrare la scarsa accettazione degli stranieri,
in particolare quelli di religione musulmana, in questa piccola nazione europea con 5,5 milioni di abitanti [it].

Secondo il Partito Popolare, membro della coalizione dei due partiti di destra a capo del governo, ricompensando gli
immigrati per lasciare la Danimarca lo Stato potrà risparmiare sul lungo termine per i servizi sociali ed evitare molti
“problemi” [da]. “Costa parecchio avere degli immigrati mal integrati nella società danese,” ha affermato il portavoce del
partito sui temi finanziari, Kristian Thulesen Dahl. Anche le autorità locali interessate a incoraggiare gli immigrati a
lasciare il Paese hanno creato dei fondi per la campagna. Il governo non ha ancora calcolato quante persone potrebbero
accettare l’offerta. Circa il 10% della popolazione [in] è composta da immigrati o discendenti di immigrati, compresi
quelli provenienti dai Paesi confi nanti e da altre parti del mondo. Negli ultimi anni i maggiori temi nel mondo politico e
sui media sono stati l’“integrazione” dei musulmani e altri immigrati “non-occidentali”, e le tensioni sorte da un
percepito scontro culturale. I politici danesi hanno creato alcune delle leggi immigratorie più restrittive di tutta l’Europa
e continuano per questo a ricevere consensi nei sondaggi.

Quanto per lasciare il Paese?

Per protestare contro la legge, un gruppo pubblico su Facebook


[da] ha organizzato una campagna ironica per raccogliere 100.000
corone e convincere il leader del Partito Popolare danese, Pia
Kjærsgård, a lasciare il Paese. Il gruppo conta oltre 16.000 membri e
il motto recita: “100.000 corone, cari amici, e forse lo farà”.

I creatori del gruppo promettono di offrire una cifra più alta al


Ministro dell’integrazione Birthe Rønn Hornbech, del Partito
Liberale al governo, qualora anche lei fosse disposta a lasciare il
Paese. Il dibattito nel gruppo Facebook si è fatto acceso.

Alcuni fanno commenti spiritosi su chi altro andrebbe cacciato dal


la pagina del gruppo su Facebook Paese o cos’altro gli si dovrebbe fare, mentre altri ribattono che si
tratta di un’offerta generosa del governo e che andrebbe accolta dagli immigrati che non sono felici in Danimarca e
preferirebbero andarsene.

Uno degli intervenuti ha espresso disaccordo per la grande pubblicità fatta e ricorda a tutti come una simile politica sia
in vigore da diversi anni, sebbene la somma di denaro offerta fosse dieci volte inferiore.

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Dan Cornali Jørgensen commenta su Facebook [da]:

Jeg har måske misforstået konceptet? Drejer det sig ikke om et lovforslag som giver ikke-integrerbare udlændige mulighed for at
sige ja-tak, til en check på 100.000 kr. mod tilsagn om frivilligt at rejse hjem til deres oprindelsesland? Umidelbart virker det
storsindet og absolut humanistisk, da vi må formode at 100.000… kr. er en anseelig formue i det pågældende land, og nok til at
starte en anstændig tilværelse i det land som de tilsyneladende har så stærk tilknytning til.

Ho forse inteso male il concetto? Si tratta mica di una legge che darebbe l’opportunità agli stranieri non integrati di
dire “sì, grazie” a un assegno di 100.000 corone per ritornarsene volontariamente a casa nel loro paese di origine?
Iniziativa magnanima e assolutamente umanitaria poiché va considerato che 100.000 corone sono una fortuna in certi
Paesi e una somma sufficiente per rifarsi una vita decente nella nazione alla quale sembrano essere profondamente
legati.

I pensionati devono comunicare viaggi di durata superiore ai 2 mesi

Un’altra iniziativa proposta questo mese dal Partito Popolare danese è una legge che richiede a tutti i pensionati e a
coloro che si sono ritirati prematuramente dal lavoro [da] di informare il proprio Comune quando viaggiano fuori dal
Paese per oltre due mesi di seguito. Presumibilmente l’obiettivo è quello di impedire alla gente, “ad esempio gli
iracheni”, di ricevere la pensione in Danimarca pur avendo contemporaneamente dei salari in un altro Paese. L’esempio
più noto è quello della deputata iracheno-danese, Samia Aziz Mohammad, che si è scoperto ricevere sussidi pensionistici
nonostante il Parlamento iracheno le pagasse un elevato salario. Nel frattempo la deputata ha restituito il denaro al
governo danese [da]. La stampa locale ha poi scoperto come un altro pensionato [da] fosse pagato dal Parlamento curdo.
I membri del Parlamento, sia quelli del Partito Liberale sia del Partito Popolare, hanno sostenuto che le nuove restrizioni
ridurranno inoltre le vacanze di fi nti rifugiati nei Paesi di origine e il rimpatrio di familiari che trascorrono troppo tempo
all’estero. La più importante associazione di pensionati in Danimarca, DaneAge, è andata su tutte le furie [da] perché
così tutti i pensionati danesi verrebbero in pratica sospettati di frode. Molti commenti apparsi sui giornali [da]
sostengono questo tentativo governativo di ridurre le frodi, mentre altri lo paragonano ai divieti di transito imposti in
passato dalla Repubblica Democratica Tedesca. Un blogger danese, Erik Bentzen su Dette og Hint [da] scrive:

Enhver kan sige sig selv, at meldepligten ikke dæmmer op for noget som helst, da den ikke indebærer nogen form for
effektiv kontrol. Det er ren chikane og tom signalpolitik, som øger kommunernes administrative arbejde til ingen verdens
nytte.Reglen er så amøbeintelligent, at den forhåbentlig giver bagslag, næste gang pensionisterne skal til stemmeurnerne.

Chiunque può rendersi conto di come la nuova legge non fermerà alcuna frode, poiché non implica nessun tipo di
controllo concreto. Si tratta semplicemente di un fastidio e di vuota politica simbolica, che aumenta il lavoro
amministrativo dei governi locali senza alcun motivo. Questa legge rivela l’intelligenza di un’ameba e speriamo di
vedere la reazione negativa dei pensionati la prossima volta che voteranno.

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2. Cina: riflettori puntati sulle fabbriche dannose,


inquinanti, cancerogene

07.11.09 - articolo originale di Robert Woo - tradotto da Elena Intra

Il 14 ottobre scorso il fotografo cinese Lu Guang ha vinto il premio annuale W. Eugene Smith Grant [in] di 30.000 dollari
nella categoria Humanistic Photography per le sue foto sulla situazione ambientale in Cina. Il sito della fondazione ha
pubblicato quanto segue per descrivere il progetto di Lu Guang: Lu Guang ha documentato i disastri ecologici avvenuti
in Cina a seguito della rapida crescita economica dal 2005, concentrandosi sull’inquinamento ambientale e sul problema
della schistosomiasi [it] (detta anche bilharziosi). Negli ultimi tre decenni, lo standard di vita è cresciuto costantemente
nel Paese. Al contempo l’inquinamento industriale ha causato serie conseguenze sia per la salute pubblica che per
l’ambiente in generale. Questa è la prima volta che un cinese vince tale premio e, cosa più importante, è una delle prime
volte che la pericolosa situazione ambientale della Cina viene presentata con una tale forza visiva. Quanto appare nelle
sue foto è qualcosa che va al di là di qualsiasi singola questione ambientale, ma coglie la disperazione e l’assenza di
speranza di coloro la cui vita è bloccata in un inferno sulla terra. China Hush [in] pubblica l’intera raccolta con le
didascalie tradotte. Eccone alcuni esempi:

Sono oltre 100 gli impianti chimici nel distretto industriale costiero della provincia di Jiangsu. ( 江 苏滨 海 头 沿海化工
区) Alcuni di questi riversano le acque di scarico nell’oceano; mentre altro liquame altamente contaminato è raccolto in 5
“pozze temporanee per le acque di scarico”. Durante le due alte maree che si verifi cano ogni mese, queste acque vengono
trascinate nell’oceano con le maree. 20 Giugno 2008.

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La fonderia di ferro e acciaio di Shexian Tianjin nella provincia di Hebei ( 河 北 省 涉 县 天 津 钢 铁)厂


è una fabbrica
altamente inquinante. L’azienda va inoltre allargando sempre di più, danneggiando seriamente la vita dei residenti
locali. 18 Marzo 2008

Tra gli abitanti del villaggio Kang nella città di Linfen, provincia di Shanxi ( 山西省 临 汾 市 下 康 村
), 50 persone sono state
colpite da cancro e trombosi cerebrali a causa del consumo a lungo termine dell’acqua inquinata e contaminata dai rifi uti
industriali. Il 64enne Wang Baosheng è malato dal 2003, ha una suppurazione su tutto il corpo, così non può dormire
steso nel letto e ogni giorno dorme tenendo la testa appoggiata sul lato del letto. 20 Luglio 2005.
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Le acque di scarico della fonderia d’acciaio e ferro Henan Anyang ( 河南安 钢铁厂) vengono scaricate nel fiume
Anyang. 25 Marzo 2008

Zona industriale nella provincia di Heilonggui ( 黑 龙 贵 ) in Mongolia, una coppia che lavorava alla fornace di gesso
appena tornata a casa. 22 Marzo 2007.

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Non solo i critici all’estero sono rimasti profondamente impressionati, ma anche i cittadini cinesi sono rimasti sconvolti
da queste immagini. Su uno dei maggiori portali web cinesi, 163.com, oltre tredicimila persone hanno scritto [cin] della
propria frustrazione, della paura e della gratitudine verso il fotografo per aver rivelato questi fatti in maniera così
precisa.

这是 中 国 吗
?国庆阅兵 应该把 这些 图片 展 出 来 。

È questa la Cina? Certe immagini dovrebbero essere mostrate durante la parata militare per
l’anniversario della Repubblica [cin].

山西啊,在山西活了 20 多年,临汾 呆 了 四 年
,然后下定决心,这辈子 再 不 去 临汾 了 。 那 边真 不 是 人 呆 的 。 记得 以 前
爸 爸 说过他 年
轻的 时候 去 临汾 , 都 说 那 里 是 花 果 城 , 街 道 旁 边都 是 果 树 。 现在 我 是 没 看 到 什 么 花 果 树, 在 临汾 的 时
候都不愿意上街,出去一圈,鞋子就是黑的了。 上在屋里睡 觉,早上起来,鼻孔里都是黑乎乎
的, 天洗一次头
发,水象墨汁。在那四年,学会了不穿浅色的衣服,我的衣服都是黑色的。淡色的没法穿,一天洗一次,但是 着

脏啊 , 没 几 天 就 洗 不 干 净了从来没
。 见过月 亮 星 星 。 上 的 时候 感 觉天 空 压 的 很 低 , 都 觉 得 快 喘 不 过气 来 了 。 ,
糟蹋啊

Shanxi! Ho vissuto a Shanxi [it] per 20 anni e poi 4 anni a Linfen [it]. Lì ho promesso a me stesso che non sarei mai
tornato a Linfen! Quel posto è decisamente inadatto agli esseri umani! Ricordo che mio padre una volta mi ha
raccontato del periodo trascorso a Linfen. Diceva che a quel tempo Linfen era la città dei fi ori e dei frutti, dove gli
alberi da frutto venivano piantati ovunque lungo le strade. Da parte mia, non ho mai visto un albero di frutto. In
realtà avevo anche smesso di girare per le strade, perché appena uscivi, le scarpe diventavano subito nere. Ogni
mattina quando mi svegliavo, le narici erano nere; mi lavavo i capelli a giorni alternati e l’acqua usciva come
l’inchiostro. Durante i miei 4 anni trascorsi lì, ho imparato a non indossare mai vestiti di colori chiari. Tutti i miei
vestiti erano di colore nero, semplicemente non si potevano indossare colori chiari perchè anche se li lavavi tutti i
giorni, erano ancora sporchi quando li mettevi ad asciugare! Non ci voleva molto prima che fosse impossibile averli
adeguatamente puliti. Lì non ho mai visto nè la luna nè una stella. Ogni notte sentivo il cielo così basso e così
oppressivo che non riuscivo a respirare. È stato semplicemente terribile!

死了一部分人 穷了 一 部 分 人
然后富了一些人

Lasciamo morire un po’ di gente, lasciamo che altri diventino povere, purché qualcuno diventi ricco [in].

是个有良知的中国摄影 师!

Questo è un fotografo cinese con una coscienza!

我是学环境 工 程 的
,看到这些,心里就不舒服。我们天 天 喊 着 奔 小 康
,奔小康,都不知道人们的 贫富
差 距 越 来 越 大 了 。 那 些 只 为赚钱
不管他人生命的人,不是畜生而是禽
, 兽。 。 。

Mi sto specializzando in ingegneria ambientale. Ogni volta che vedo cose del genere mi sento davvero colpevole.
Ogni giorno urliamo lo slogan sosteniamo Xiaokang, [in] al punto di non accorgerci che lo scisma della nostra società
diventa sempre più ampio. Coloro che si preoccupano solo dei soldi a spese della vita altrui non sono bestie ma
mostri!

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Come previsto, ci sarà sempre qualcuno irritato dal fatto che un fotografo cinese possa ricevere un premio da qualche
straniero per aver disonorato la Cina.

将最丑陋的一面展示给世 界 就 可 以 拿 奖
,这位 摄影 师的 人 品····啊

Ricevere un premio per aver mostrato il nostro lato più brutto a tutto il mondo; la qualità di questo
fotografo è sospetta.

Tuttavia, un tale atteggiamento è velocemente respinto dal buon senso della maggior parte delle altre persone.

老卢,支持你,我们太 需 要 正 视自 己 的 缺 点 了 。 那 些 说三 说四 的 人 , 你 们没 有 生 活 在 那
地 方 , 不 知 道 他 们多 么 希 望 有 人 帮 他 们能 说句 话。

Fratello Lu, ti sostengo. Abbiamo disperatamente bisogno di affrontare seriamente i nostri problemi. Quanti
scrivono commenti sprezzanti non hanno mai dovuto vivere in questo tipo di posti, e non sanno quanto coloro
che ci vivono abbiano un disperato bisogno di qualcuno che parli a loro nome.

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3. Internet e tecnologie di comunicazione per


diffondere al meglio la conoscenza indigena

Questo post fa parte della serie commissionata a GV dall' International Development Research
Centre sul futuro delle tecnologie dell' informazione per lo sviluppo.

08.10.09 - articolo originale di John Liebhardt - tradotto da Tindaro Cicero

A prima vista, il rapporto tra conoscenza indigena e Internet sembra diffi cile. La conoscenza indigena fornisce [in] un
diverso insieme di convinzioni, pratiche e rappresentazioni strettamente legate al luogo; Internet si vanta di poter
abbattere limiti e confini.

Da un lato, le tradizioni racchiuse nella conoscenza indigena sono culturalmente uniche, usando concetti locali per
risolvere problemi locali. Ciò la rende un importante componente nei campi dell’ecologia, dell’educazione,
dell’agricoltura e della salute. D’altro canto, Internet viene lodata per diffondere informazioni che giovano alla gente, ma
è anche un bazar, favorevole per le grandi corporation e le economie di ampia portata: Amazon.com, Google, Microsoft,
PayPal. La conoscenza indigena possiede alcune componenti spirituali e cerimoniali; Internet è ampiamente agnostica, e
trae grandi profitti dalla facile pornografia. Nonostante tutte le possibili differenze, nell’ultimo decennio la sapienza
indigena e i sistemi di conoscenza globale sono diventati assai più vicini tra loro. I professionisti della conoscenza
indigena hanno iniziato a far leva sui diversi media per scambiare idee e pubblicizzare l’apprendimento tradizionale su
vasta scala.

Un ricercatore in Ethiopia sostiene [in] che le Tecnologie d’Informazione e Comunicazione, abbreviati nell’acronimo
inglese ICT, possono essere usate come metodi economici per raccogliere, archiviare e diffondere varie forme di
conoscenza indigena per le generazioni future. Le ICT incrementano inoltre l’accesso al sistema della conoscenza
indigena, speciamente per le scuole, dove questo apprendimento può essere introdotto direttamente nelle aule.

L’integrazione nei sistemi didattici

Come già detto, le ICT forniscono un perfetto esempio per l’integrazione della sapienza indigena nei sistemi educativi
formali ed informali. La tecnologia può facilitare la diffusione di idee sulle culture locali agli studenti e fornire alle scuole
la possibilità di insegnare corsi nella lingua del posto. Prima di considerare esempi specifi ci, seguiamo questo dibattito
tra due blogger sull’importanza di rendere gli studenti consapevoli dell’esistenza di diversi sistemi di conoscenza. Per
dirne una, incrementare l’accesso alla conoscenza tradizionale, la rende più credibile agli occhi degli studenti?

Forse. George Sefa Dei, sul blog del Progetto Freire, sostiene [in] che sui temi dello sviluppo e dell’educazione studenti e
professionisti devono trovare un equilibrio tra tradizione e modernità.

Gli studenti chiedono spesso come e perché certe conoscenze siano più importanti di altri sistemi d’apprendimento.
Esiste la consapevolezza da parte di chi apprende che la conoscenza svolga funzioni diverse a seconda delle storie,
delle condizioni ambientali e dei contesti a livello locale. Sfortunatamente i processi di validazione delle conoscenze
falliscono nel considerare questa molteplicità di saperi capaci di parlare alla diversità di storie di idee ed eventi che

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hanno plasmato e continuano a plasmare la crescita e lo sviluppo dell’umanità. Nel mettere in dubbio la gerarchia
delle conoscenze, gli studenti alludono inoltre alla posizione problematica di una conoscenza neutrale, apolitica. È
importante che nel nostro insegnare sull’Africa evidenziamo e comprendiamo i processi attraverso i quali, per
esempio, la conoscenza della scienza occidentale si posizioni come modalità neutrale, universale e opposta a
modalità non-egemoniche, tentando inoltre di infi ciare e svalutare gli altri modalità di conoscenza.

Ciò va bene in teoria. Ma quanto funziona nella pratica?

Passionate Pedagogue , in un commento [in] al precedente post, mette a nudo un importante ostacolo.

Trascorro ore cercare su Internet i siti di coloro di cui parlo nel mio corso di storia, testi delle persone di cui insegno.
Spesso i siti che trovo sono troppo complicati o impliciti da capire per gli studenti. Altre volte, i siti (legittimamente)
sono così culturalmente specifici che un teenager senza bagaglio culturale riguardo l’area o le persone coinvolte
potrebbe non capirli. Ciò lascia davvero poca informazione “indigena” accessiblie agli studenti.

Sono sicuro che durante la mia carriera come insegnante, qualche importante educatore riuscirà a creare un accesso
alla sapienza indigena centrato sugli studenti. La mia speranza è che l’informazione che brilla per gli inestimabili
contributi degli indigeni non venga relegata ai testi universitari di sociologia o ai testi introduttivi di pedagogia
critica. Mentre è chiaramente meraviglioso che studenti universitari e accademici prendano a cuore le lezioni che i
Nativi del mondo hanno da offrire, hanno da offrire al cuore, forse dovremmo stare attenti a non diventare come
Napoleone noi stessi; pubblicando trattati sulla storia dei Nativi scritta da loro che servono solo ai baroni del mondo
accademico.

Laddove mancano le fonti

Quando diventa troppo diffi cile trovare le fonti originali, alcuni insegnanti hanno deciso di crearle in proprio. Ecco due
esempi di progetti dove la tecnologia può essere una benedizione per gli studenti che apprendono culture diverse. Il
primo [in] viene dall’ Australia, da Scot Aldred, che cura il blog e-learning.

Sono particolarmente interessato allo sviluppo di una pagina Wiki dedicata agli indigeni australiani; la loro diversità
di cultura, storia, lingua e terra. Sebbene siano disponibili delle informazioni pubbliche in testi a stampa, non sono
sostanziali e non descrivono tutte le nazioni indigene australiane e le loro popolazioni. Online la situazione è assai
peggiore, con poche informazioni accurate.

Immaginate se tutti gli studenti australiani avessero l’opportunità di contribuire ad una pagina Wiki pubblica con
informazioni i nativi della propria zona geografi ca. Buona parte della storia indigena dell’Australia è stata
tramandata oralmente attraverso la tradizione orale. Gli anziani, i più vecchi e alcuni storici hanno informazioni che
potrebbero essere condivise con tutti gli Australiani e con il mondo intero.

E perché non avere un Webspace condiviso disponibile a tutte le scuole australiane (pubbliche e private) dove queste
potrebbero proporre un elenco di persone designate a creare contenuti e collaborare? Ulteriori ruoli/autorizzazioni
per i moderatori verrebbero sempre stabiliti dalle scuole.

Un commento [in] di Ginga, originario dell’Alaska (USA):

Le tue idee sul recupero della conoscenza indigena, e sulla condivisione con il mondo in maniera collaborativa

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(pagine wiki e altro), va in parallelo a diversi progetti in corso nel distretto scolastico dello stretto di Bering
nell’Alaska del nord.

Il nostro staff e gli studenti stanno creando dizionari wiki in Inupiaq e Siberian Yupik per documentare le lingue
indigene nella nostra area. Gli studenti inseriscono un fi le audio, un’immagine del luogo, e altre informazioni che
hanno raccolto. Stiamo inoltre provando a sviluppare altri progetti che abbiano formati fl essibile onde consentire la
condivisione e la collaborazione degli studenti tramite il wiki.

La torre di Chinglish?

Almeno un esperto sostiene [in] che con tutte le promesse dlle ICT, molte organizzazioni tradizionali si sentono perse nel
“sovraccarico d’informazione” di Internet. I loro siti fi niscono in fondo ai risultati nei motori di ricerca e (a volte)
mancano di raffinatezza.

Un problema è la lingua. È difficile per un sito scritto, per esempio, in groenlandese (parlato in Groenlandia) o
Cha’palaa, una lingua dell’ Ecuador, o Bisaya, dalle Filippine, competere per numero di visualizzazioni con siti scritti in
Spagnolo, Hindi, Cinese, Giapponese o Arabo. Tradurre pagine web è spesso diffi cile e temporalmente dispendioso.

Comunque, i sistemi basati sulle ICT hanno la potenzialità di espandere la portata del linguaggio. Magari tramite corsi
online o tutorial o piccole applicazioni per telefonia e computer. Ciò è importante soprattutto per l’ambiente a volte
fragile in cui vivono oggi i linguaggi indigeni.

Ecco una buona discussione sui questioni relative a lingue e tecnologia da parte di Heather, che vive negli Stati Uniti e
scrive sul blog flex your info. La blogger sottolinea [in] il fatto che la tecnologia potrebbe fornire ottimi strumenti di
comunicazione ai membri della sua tribù che vivono in aree remote. Comunque, “La tecnologia può essere applicata per
scopi ancora migliori: la rivitalizzazione e la preservazione culturale.” Ciò comporta tuttavia alcuni problemi.

Le lingue indigene sono state a lungo in pericolo di estinzione per la combinazione di urbanizzazione e
modernizzazione, oltre alle precedenti politiche governative di rimozione, riallocazione, e sterminio delle
popolazioni indigene.

La tecnologia odierna consente di poter registrare facilmente le informazioni e mettersi in contatto con gli altri a
lunga distanza, quindi dovrebbe essere facile registrare, preservare, e rendere disponibile le informazioni sui
linguaggi indigeni. Esiste comunque un numero di altri fattori che vanno bilanciati con l’urgenza di preservare il la
lingua tramite le registrazioni, innanzitutto problemi riguardo proprietà ed accessibilità. Il linguaggio è strettamente
legato alla cultura; anche se i membri di una tribù non lo parlano nel quotidiano, probabilmente ne fanno uso nelle
cerimonie. Il linguaggio e le cerimonie sono accessibili solo a certe persone: a volte tutti i membri di una tribù, altre
volte solo pochi eletti. Potrebbe esserci qualcuno a tutela della conoscenza, del linguaggio o altro. È importante
assicurarsi che i programmi creati per registrare e preservare le lingue siano sensibili a questi temi.

Un altro problema da considerare è l’appropriazione indebita o lo sfruttamento di queste informazioni. Non a caso,
alcuni anziani di certe tribù hanno deciso di non condividere la conoscenza con persone appartenenti alla tribù;
registrandola, aumenta l’opportunità per chi non ne fa parte di accedere a tali informazioni. Evitando di registrarle i
membri della tribù mantengono il controllo sulla propria cultura. Un altro modo per conservare tale controllo è
coinvolgere direttamente i membri e gli anziani della tribù nel progetto e nella creazione di programmi di
conservazione. Man mano che un numero sempre maggiore di indigeni viene coinvolto nell’opera di preservazione
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del linguaggio, sono loro a dar forma ai protocolli e agli strumenti impiegati per raccogliere e rendere disponibili le
informazioni. Sia che la tribù decida di registrare e conservare un linguaggio, sia che continui a condividerlo
oralmente soltanto con i membri della tribù, le loro posizioni vanno rispettate.

Apprendere le lingue via telefonia mobile

Tenendo in mente quanto sopra, Heather annuncia una nuova applicazione per un sistema di telefonia mobile che
insegnerà la lingua della tribù Cherokee, originaria della parte sud-est degli Stati Uniti, ma durante gli anni 1830-40
forzatamente spostata dal governo americano in una zona più centrale.

L’applicazione comprende sintesi, registrazioni, e giochi per l’apprendimento della lingua, e c’è anche una versione
per Nintendo DS. L’idea di usare tecnologia diffusa per aiutare a preservare e rivitalizzare i linguaggi è
entusiasmante, perché rende disponibile a tutti i membri della tribù le informazioni sulla lingua, non solo a quelli che
vivono vicino ai territor tribalii, ed in un modo che può essere facilmente integrato nelle loro vite.

L’uso della tecnologia, come l’applicazione della lingua Cherokee per iPhone, può aiutare membri della tribù sparsi
in giro ad imparare la lingua originaria. Il software può essere usato per creare materiale multimediale per le lezioni
scolastiche, mentre la tecnologia di teleconferenza via web può essere impiegata per insegnare e per fare pratica orale
con altri membri. Tuttavia, tali programmi devono essere sensibili ai temi del controllo e dell’accesso, coinvolgendo
direttamente i membri delle tribù e gli anziani, e rispettandone la volontà.

> INDICE

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4. Israele-Palestina: strumenti video per aiutare i


giovani a comprendere il conflitto

11.11.09 - articolo originale di Juliana Rincón Parra - tradotto da Antonella Adamo

Due diverse organizzazioni, una in Israele e l’altra nei territori palestinesi occupati, si servono di video per aiutare sia la
gioventù araba che quella ebrea a capire le ragioni del confl itto e colmare l’incomprensione tra loro, creando spazi per
l’interazione e la comunicazione dove condividere sogni, rifl essioni e preoccupazioni rispetto alla complessa situazione
in cui vivono.

Una delle iniziative è l’associazione Sadaka Reut [in], e questo è quanto si legge nel loro programma [in]:

Con la maggior parte dei giovani palestinesi ed ebrei, separati fi sicamente gli uni dagli altri (in comunità e scuole
diverse), e che ha come risultato paure, razzimo e pregiudizi, cerchiamo di costruire modelli alternativi per
l’interazione tra i due gruppi. Il programma “Costruiamo una cultura di pace” mira a creare uno spazio in cui sia i
giovani palestinesi che ebrei possano sentirsi uguali, rispettati e riconosciuti come individui e per la loro nazionalità.
I partecipanti hanno anche preso parte al progetto “Video da un minuto”, dove imparano a fare attivismo tramite i
video durante il corso di una settimana. Ecco di seguito alcuni risultati, mentre altri video sono disponibili sul
relativo sito [in]:

Arab

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AM/FM:

Few Love Singing:

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Un’altra iniziativa è il progetto “ Windows for Peace” [in], lanciato nel 1991 come tentativo di produrre una rivista
bilingue e biculturale per giovani, e come modo per metterli in contatto e far loro conoscere il confl itto, promuovere la
parità e dare potere ai giovani. Tuttavia non è stato facile, come spiegano sul sito [in]:

Non è semplice per i giovani israeliani e palestinesi superare l’enorme quantità di cattiva informazione e gli stereotipi
che vengono insegnati sugli uni e sugli altri. La limitata possibilità di interazione, conseguenza del vivere quasi sempre
in comunità separate e del violento confl itto politico in atto, non fa altro che perpetuare le antiche paure, il pregiudizio, e
l’odio che divide i due popoli. Windows è quindi dedicato alla promozione di un cambiamento su larga scala del modo in
cui i giovani israeliani e palestinesi vedono sè stessi, “l’altro” e il confl itto. I partecipanti al programma Windows vivono
esperienze che promuovono la trasformazione di come i due popoli vedono il confl itto, verso una realtà pacifica in cui
possano convivere entrambi. Riteniamo che una pace giusta e duratura debba basarsi su valori democratici, sui diritti
umani, la conoscenza reciproca e l’accettazione “dell’altro”.

Il gruppo sta lavorando anche a una nuova iniziativa denominata “ Through the Lens” [in] dove i giovani dai 15 ai 17
anni “formati” dalla rivista, continuano a sviluppare le competenze per creare cortometraggi, bollettini informativi e
altre produzioni video destinate a promuovere “un dialogo produttivo e portatore di pace, oltre ad un’interazione
positiva”. Ecco un video [in] in cui i partecipanti a Windows raccontano l’esperienza nel gruppo e come hanno affrontato
la sfida rappresentata dal fatto di uscire dalla propria zona di benessere per parlare di argomenti diffi cili, come il
conflitto tra Palestina e Israele:

Come precisano i ragazzi nel video con parole proprie: è possibile che sia diffi cile accettare gran parte delle opinioni e
delle percezioni espresse dagli altri bambini, ma avere la possibilità di discutere dei problemi in modo sano e tranquillo,
li aiuta a capire il mondo in cui vivono, permette loro di interagire, imparare, condividere rifl essioni con altri bambini e
ragazzi, e persino cambiare opinione.

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5. Paraguay: popolazione indigena “innaffiata” coi


pesticidi
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16.11.09 - articolo originale di Eduardo Avila - tradotto da Stefano Ignone

Nel Paraguay orientale, 217 appartenenti alla comunità indigena Ava Guaranì hanno manifestato recentemente disturbi
fisici, tra cui nausea e mal di testa; si ritiene che ciò sia dovuto alla deliberata diffusione aerea di pesticidi, dopo essersi
rifiutati di sgomberare le terre dei propri antenati. Alcuni funzionari governativi hanno confermato che alcune zone dei
terreni della popolazione indigena, nel distretto di Itakyry all’interno del Dipartimento dell’Alto Paraná [in], sono state
irrorate, nonostante non venissero coltivati [sp]. Secondo il blog Interparaguay, gli indizi indicherebbero come
responsabili i coltivatori brasiliani di soia, in parte perché i territori della comunità indigena sono assai adatti a tali
coltivazioni e per il contenzioso con gli stessi Ava Guaranì sulla proprietà di circa 3.000 ettari di terreno [sp].

José Ángel López Barrios, del blog Bienvenidos! descrive l’isolata comunità dove è accaduto l’episodio [sp]:

Itakyry es uno de los distritos del Departamento de Alto Paraná, distante a unos 450 kilómetros de Asunción, capital de la
Republica, se llega a el por caminos no pavimentados, su época de esplendor se dio en la época de las explotaciones yerbateras.
Que termino al cabo de 100 años abriendo paso a la explotación de la soja en estos últimos tiempos…

Itakyry è uno dei distretti del Dipartimento di Alto Paraná, dista 450 kilometri dalla capitale, Asunción. Ci si arriva
seguendo sentieri sterrati, e il culimie dello sviluppo si è avuto con la coltivazione dell’ erba mate [it]. Scomparsa
questa da un centinaio d’anni, aprendo la strada alla recente coltivazione della soia.

È la domanda per i fagioli di soia, e l’aumento dei prezzi, a rendere preziosi i terreni adatti alla sua coltivazione. Parte di
queste aree si trovano entro le terre ancestrali di comunità indigene come i Guaraní [it]. Scrivendo su Rescatar , il blogger
Carlos Rodríguez non considera isolato l’incidente dei pesticidi [sp] e lo definisce un “genocidio”:

Hubo un tiempo en que en Paraguay los aborígenes no eran considerados seres humanos. Eran cazados como animales y sus crías
rescatadas como trofeos. (…) Otros fueron apropiándose a bala y sangre de sus tierras y como los indígenas no hacían gestiones
ante las instituciones encargadas de titular las tierras que siempre les pertenecieron, el hombre blanco si lo hizo y se plantea el
contrasentido de que los legítimos dueños de estas tierras, hoy son “los invasores”. Y siguen siendo tratados como animales. Sólo
así se puede entender que los productores de soja les envíen aviones fumigadores para lanzarles venenos encima, tal como lo ha
comprobado el Ministerio de Salud que socorre en estos momentos a los indígenas intoxicados por plaguicidas para soja.

Una volta, in Paraguay, gli aborigeni non erano nemmeno considerati esseri umani: si dava loro la caccia, e i fi gli
venivano “collezionati” come trofei. (…) Parte dei loro terreni sono stati espropriati a suon di sangue e pallottole, e
dal momento che gli aborigeni non si sono mai rivolti a quelle istituzioni incaricate di fornire i certifi cati di proprietà
per terre che appartenevano loro da sempre, ci è andato l’uomo bianco: così, siamo all’assurdo, per cui i legittimi
proprietari sono considerati “intrusi”. Continuiamo a trattarli come bestie. È solo così che si capisce come abbiano
fatto i produttori di soia a mandare gli aerei a innaffi arli di pesticidi, cosa confermata dal Ministero della Salute, che
ora si sta occupando di prestare loro soccorso.

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Anche López Barrios afferma di vergognarsi degli abusi passati commessi in Paraguay ai danni delle comunità indigene
[sp]. In quanto discendente di immigrati, scrive che l’episodio “gli fa venire voglia di tornarsene in Europa… ma a dire il
vero… preferirebbe che fossero i coltivatori ad andarsene”:

Ensañarse con un pueblo indígena que tiene más de 38 siglos de existencia en sus propios y verdaderos territorios, no me parece
apropiado…. Si no respetamos a nuestros mayores nuestros días se acortaran sobre la tierra y si anteponemos la avaricia a
cualquier otra virtud caeremos sin remedio…

Prendersela con un popolo indigeno con oltre 38 secoli di storia per quella che è la loro unica e vera terra non mi
sembra giusto… Se non rispettiamo i nostri antenati, abbiamo i giorni contati su questa terra, e se mettiamo la
cupidigia davanti ad altri valori, non potremo che soccombere senza speranza…

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6. Nepal: la rivoluzione verde e sostenibile del


biogas

18.10.09 - articolo originale di Bhumika Ghimire - tradotto da Tindaro Cicero

Un impianto di biogas. Immagine di Marufish su Flickr. Usata con licenza


Creative Commons

La tecnologia del biogas [it] sta guidando la rivoluzione verde in Nepal.


Secondo il WWF (World Wildlife Fund) [in] la legna da ardere rimane la
principale fonte di energia nel Paese e alimenta quasi l’87% delle abitazioni.
Tuttavia il biogas sta emergendo come concreta alternativa. Un recente
rapporto di AFP (Agence France-Presse) [in] rende noto che il Nepal trae
profitto (quasi 600.000 dollari Usa nel 2007) dallo scambio delle proprie
quote carbonio grazie ai numerosi impianti di biogas sparsi per il Paese. Per
una nazione in lotta per trovare fonti energetiche economiche e sostenibili, il
biogas rappresenta certamente una novità positiva per il Nepal.

Globalwarming Arclein [in], blog che spiega come l’agricoltura possa ridurre le
emissioni di carbonio, afferma che il basso livello tecnologico richiesto dal
biogas lo rende accessibile alla maggioranza dei nepalesi che vivono nei
villaggi:
Un impianto di biogas. Immagine di Marufi sh su Flickr.
Usata con licenza Creative Commons

La produzione energetica mediante biogas non richiede alta tecnologia. Serve una cisterna che si può ricavare con
una pala, magari riparata da fi le di pietra, pratica abituale nel campo delle fosse biologiche moderne. Rivestire la
cisterna ed estrarre il gas ricavato in un contenitore è semplice, e per utilizzare il gas così prodotto serve
un’attrezzatura molto basilare, che può essere facilmente fatta in casa.

Il requisito più importante è semplicemente sapere che può essere realizzato e che funzionerà. Il recupero dei liquami
è poco piacevole, ma non è diverso da altri lavori comuni. Non è un metodo conveniente per produrre il gas
sufficiente a riscaldare un’abitazione, ma è certamente suffi ciente a produrre il calore necessario per cucinare e per
riscaldare l’acqua in modo salutare.

Il successo del Nepal nel biogas potrebbe ispirare anche i Paesi confi nanti. L’India, il più stretto alleato del Nepal punta a
sviluppare fonti alternative di energia per far fronte alla crescente domanda energetica nelle regioni a rapida
industrializzazione. Razib Ahmed sul South Asia Blog [in], dedicato a temi economici e sociali della regione, scrive:

Sono molto interessato al biogas perché credo abbia un immenso potenziale, non solo per il Nepal ma anche per i
Paesi confinanti come India e Bangladesh. Biogas Sector Partnership Nepal (BSP-Nepal) è una organizzazione non
governativa che sta lavorando attivamente per promuovere il biogas nel Paese. Fino al giugno del 2008, sono stati

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realizzati 172.858 impianti di biogas grazie al loro sostegno economico. Ne deriva che ciò copre il fabbisogno
energetico di oltre un milione di persone. Un milione può non sembrare molto, ma bisogna ricordare sono soprattutto
persone povere nelle aree rurali a trarre benefi cio da questa tecnologia. Inoltre, vorrei farvi notare che il Nepal
importa quasi il 100% del suo petrolio. Quindi, ogni impianto di biogas realizzato signifi ca risparmiare un po’ di
preziosa valuta straniera per il Paese.

E l’interesse del Nepal per il biogas non è una moda passeggera. Dopo molti anni di duro lavoro e attenta pianifi cazione,
la questione va attirando grande attenzione. Nel 2005, Mallika Aryal su RenewableEnergyAccess [in] riferiva
dell’obiettivo del Nepal di incrementare la sostenibilità e i ricavati attraverso il ricorso al biogas.

Il Biogas Support Program del Nepal ha aumentato la sua portata da 66 a 75 distretti nazionali, e prevede di installare
200.000 impianti entro il 2009. Un impianto adatto per un’abitazione rurale costa 300 dollari Usa. Gli incentivi
governativi hanno reso gli impianti accessibili. Un privato investe solo 200 dollari e l’investimento è recuperato in tre
anni. Davvero un buon affare!Oggi gli impianti di biogas nepalesi stanno per diventare un “buon affare” anche per
l’ambiente globale. Quando il Protocollo di Kyoto, il trattato sul clima globale, entrerà in vigore in Nepal nel
dicembre 2005, il Paese avrà diritto a scambiare le quote carbonio che non emetterà usando il biogas e guadagnare
fino a 5 milioni di dollari l’anno.

Per saperne di più su come il biogas sta aiutando il Nepal, ecco infi ne un video prodotto dal Nepal Project alla Tokyo City
University, Giappone.

Alla traduzione dell’articolo ha contribuito Stefano Ignone.

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7. Marocco: portare allo scoperto la piaga del


lavoro minorile
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10.09.09 - articolo originale di Jillian C. York - tradotto da Filippo Rizzi

Una giovane ragazza, malmenata e piena di lividi, si trova in ospedale. Mandata a lavorare all’età di 10 anni come
domestica, Zineb Chtit non ha mai conosciuto altre possibilità di vita, sempre al servizio di abbienti padroni che la
picchiavano e le negavano il cibo.

A Moroccan About the World Around Him in un post


recente [in] ne descrive le ferite:

Zainab appariva emaciata. Il corpo, a causa dei


pestaggi, era cosparso di contusioni e sangue. Le
sue labbra sono state marchiate con ferro
incandescente, il torace e le parti intime ustionate
con olio bollente. Analfabeta, non ha mai provato la
gioia di giocare con degli amici. Altri avevano
deciso il suo futuro in sua vece: arrancare intorno al
mulino fino alla morte. Qualche giorno fa, c’è
Zineb Chtit in ospedale
mancato poco che succedesse.

Purtroppo quello di Zineb è tutt’altro che un caso isolato. In Marocco lavorano 177.000 bambini minori di 15 anni, 66.000
dei quali come domestici. E sebbene il Paese aderisca alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia [it], l’età minima
per lavorare è 12 anni [in], con minime restrizioni per l’assunzione. Sono state pubblicate diverse inchieste sui
maltrattamenti subiti dai collaboratori casalinghi, come questa [in] di Anouar Majid, direttore della rivista Tingis.
Tuttavia molte famiglie, alle prese con la povertà, continuano a vendere al miglior offerente le proprie fi glie per lavorare
come domestiche, talvolta senza sosta per l’intera giornata. La blogger Sarah Alaoui ne racconta il dramma [in]:

Queste donne povere e analfabete provengono dai villaggi alla periferia delle città marocchine, e sono obbligate a
mantenere la famiglia e i figli lavorando come domestiche per i ricconi del Paese. Lo stigma della povertà che le
segna dalla nascita è ulteriormente messo in risalto da questo simbolico impiego: le domestiche possono farsi vedere,
ma non sentire. Lavorano dietro le quinte, alla stregua degli elfi della famosa saga di J. K. Rowling.
Molte famiglie in Marocco cercano di dare a queste ragazze una casa, non solo un posto di lavoro. Mia nonna si è
sempre premurata che i figli delle sue domestiche ricevessero un’istruzione assieme ai propri fi gli e nipoti—mentre
sua madre prestava servizio presso mia nonna, Naima ha frequentato la stessa scuola di mio cugino.
Sfortunatamente non si rischia di sbagliare dicendo che per lo più i marocchini non si prendono cura allo stesso
modo delle proprie domestiche.

Stando a un articolo [fr] su Le Vie Éco, la coppia che aveva assunto Zineb verrà accusata a livello penale. Molto altro però
deve cambiare: la blogger Reda Chraibi in un dettagliato post [fr] avanza una proposta affinché le giovani non siano più
costrette a lavorare. Eccone un estratto:

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Accorder des aides sociales aux familles les plus pauvres afi n qu’elles ne soient pas contraintes de faire travailler les enfants au
lieu des le envoyer à l’école. La scolarité pour cette catégorie de la société devrait être totalement gratuite tant pour
l’enseignement que pour l’équipement scolaire. A ce propos, l’opération de distribution de cartables équipés est une bonne
initiative qui devrait être étendue dans tout le Royaume.

Donner à l’Association « Touche pas à mon enfant » (touche pas à mes enfants) ou à une institution publique le droit de recenser
et de contrôler le travail des enfants servantes, le droit d’entrer dans les maisons pour discuter avec elles et vérifi er si elles sont
traitées dignement.

Encourager leur éducation et leur alphabétisation. Ouvrir et faire connaitre un centre d’accueil pour les enfants servantes qui
veulent fuir d’urgence le foyer dans lequel elles travaillent, afi n que plus aucune Zineb Chtet n’èrre dans la rue dans le sang en
demandant l’aide d’inconnus…

Dare sussidi alle famiglie più povere così che possano evitare di mandare i fi gli a lavorare invece che a scuola.
L’istruzione, sia in termini di insegnamento che di materiale scolastico, per costoro dovrebbe essere completamente
gratuita. A tale riguardo la distribuzione di zaini con tutto l’occorrente [fr] è un’ottima iniziativa che andrebbe estesa
a tutto il regno.

Autorizzare un’associazione come “ Touche pas à mon enfant” [fr] (Giù le mani dai miei figli) o un’agenzia pubblica a
individuare e tutelare le minori che lavorano come domestiche, a entrare nelle case per parlare con loro e controllare
che vengano trattate dignitosamente.

Dobbiamo incoraggiarli ad avere un’istruzione. Istituire e pubblicizzare un ricovero per i bambini che fuggono dalle
case in cui lavorano come domestici in condizioni disperate, così da evitare che altre Zineb Chtet fi niscano
sanguinanti per la strada chiedendo aiuto a qualche sconosciuto…

A Moroccan About the World Around Him conclude il post [in] con una citazione:

Mi viene in mente un discorso tenuto da Eliezer “Elie” Wiesel alla Casa Bianca nel 1999: “Il prigioniero politico nella
propria cella, i bambini affamati, i rifugiati senza casa: non reagire di fronte al loro dramma e non alleviarne la
solitudine offrendo loro un barlume di speranza signifi ca esiliarli dalla memoria umana. E negando la loro umanità,
tradiamo la nostra.”

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8. Al via “Threatened Voices” per tutelare


attivismo e libertà di parola online

Mai come oggi così tante persone sono state o vengono minacciate o
incarcerate per ciò che hanno scritto online.

05.11.09 - articolo originale di Sami Ben Gharbia - tradotto da Davide Galati

Insieme all’uso sempre più intenso di Internet da parte di attivisti o di semplici cittadini per esprimere le proprie
opinioni o interagire con gli altri, anche i governi stanno aumentando i livelli della sorveglianza, del fi ltraggio, delle
azioni legali e di disturbo. Molte volte le conseguenze peggiori sono state l’arresto politicamente motivato di blogger e
scrittori online per le proprie attività in rete e/o offline, in alcuni tragici casi arrivando anche alla morte. Giornalisti
online e blogger rappresentano il 45% di tutti gli operatori dei media [in] oggi detenuti nelle carceri del mondo.

Ecco dunque che Global Voices Advocacy [in] lancia un nuovo sito-progetto chiamato Threatened Voices [in] con
l’obiettivo di contribuire a seguire i casi di repressione della libertà d’espressione online. Il sito presenta una mappa
mondiale e uno schema cronologico interattivo che aiutano a visualizzare gli episodi di minacce e arresti di blogger in
tutto il mondo, e rappresenta una piattaforma centralizzata per la raccolta di informazioni diffuse da organizzazioni e
attivisti maggiormente impegnati su questo tema, tra cui Committee to Protect Bloggers, The Arabic Network for
Human Rights Information , Reporters without Borders, Human Rights Watch, CyberLaw Blog, Amnesty International,
Committee to Protect Journalists , Global Voices Advocacy [tutti siti in inglese].

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Quali sono e dove vivono i blogger minacciati e messi a tacere ?

Per diverse ragioni è difficile trovare informazioni accurate su blogger o giornalisti online arrestati, fi ltrati o minacciati.

Primo, la segretezza intorno alla censura e alla repressione su Internet rende particolarmente difficile essere accurati.
Non passa settimana senza resoconti di arresti di sempre nuovi giornalisti o attivisti online in Paesi quali l’Egitto o l’Iran,
ma i dettagli e le motivazioni degli arresti sono spesso avvolti nel mistero.

Secondo, esiste ancora una certa confusione sulla defi nizione di “blogger”. Giornalisti professionisti vanno migrando
sempre più spesso nei media online e sui blog alla ricerca di maggiore libertà, rimescolando i tradizionali ambiti
operativi. E molti cosiddetti cyber-dissidenti in Cina, Tunisia, Vietnam o Iran non hanno dei blog personali. Altre volte, i
blogger vengono arrestati per attività svolte offl ine anziché per quanto hanno pubblicato in rete.

Alcune volte questa confusione ha messo in difficoltà i difensori della libertà d’espressione nel riuscire a defi nire
strategie e alleanze positive per aiutare i blogger e gli attivisti online, ma è sempre più importante continuare a insistere.

L’importanza del lavoro di gruppo

All’interno del progetto Global Voices prosegue l’impegno della comunità di autori, editor e traduttori per tenerci
informati sulle violazioni della libertà d’espressione e dei diritti umani. Con Threatened Voices ci poniamo l’obiettivo di
espandere il processo di raccolta di tali notizie [in], fino a raggiungere anche il singolo individuo che possa disporre
d’informazioni utili.

Facciamo perciò appello a tutti coloro i cui amici, parenti, colleghi o compatrioti siano stati minacciati, di aiutarci a creare
[in] e aggiornare i profili delle persone scomparse, censurate o arrestate, in modo da poter aggiungere ulteriori fonti,
verificarle e integrarle nelle campagne online per la loro liberazione.

Attraverso tutto questo, speriamo di ottenere maggiori informazioni su quando, dove e fi no a che punto i blogger
abbiano subito violazioni dei propri diritti nei diversi Paesi, in modo da poter condividere queste notizie con giornalisti,
ricercatori e attivisti, e lavorare per la creazione di una Rete dove tutti possano esercitare il proprio diritto alla libertà di
parola, e dove i blogger in prigione non vengano dimenticati.

Aiutateci a diffondere il messaggio. Scrivetene su Twitter, sui blog e aggiornate Facebook, diffondendo il lancio del
progetto Threatened Voices!

> INDICE

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9. Cuba: breve arresto (e tante botte) per Yoaní


Sanchez e altri blogger a L'Avana

08.11.09 - articolo originale di Janine Mendes-Franco tradotto da Gaia Resta

Forse era soltanto questione di tempo, ma Yoaní Sánchez [it] - la più nota blogger cubana [sp], che ha ricevuto svariati
premi internazionali [in] per il suo attivismo, incluso il recente Maria Moors Cabot Award dalla Columbia University,
che però non ha potuto ritirare per l’ennesimo divieto [it] a viaggiare fuori da Cuba - è stata brevemente detenuta e
percossa [it] dalle autorità cubane venerdì 6 novembre insieme ad altri amici blogger, tra cui Claudia Cadelo [sp]
(collaboratrice di Global Voices [in]) e Orlando Luís Pardo Lazo [in]. Il gruppo si stava recando a una manifestazione
contro la violenza [in] nella capitale L’Avana.

La blogger spagnola Rosa Jiménez Cano, che lavora al quotidiano madrileno El País, ha riportato di aver ricevuto [sp] il
seguente SMS da Yoaní verso le 2 di notte, orario di Madrid:

Fui detenida junto a Orlando L. Pardo y Claudia Cadelo nos llevaron a la fuerza estilo sisciliano. Golpes. Nos dejaron tirados en
una esquina.

Sono stata arrestata insieme a Orlando L. Pardo e Claudia Cadelo, ci hanno prelevato alla maniera siciliana. Botte. Ci
hanno poi rilasciato in una stradina.

Il mattino successivo all’episodio, Yoaní ha pubblicato [sp] questo resoconto sul proprio blog:

Cerca de la calle 23 y justo en la rotonda de la Avenida de los Presidente, fue que vimos llegar en un auto negro –de fabricación
china– a tres fornidos desconocidos: ‘Yoani, móntate en el auto’ me dijo uno mientras me aguantaba fuertemente por la muñeca.
Los otros dos rodeaban a Claudia Cadelo, Orlando Luís Pardo Lazo y una amiga que nos acompañaba a una marcha contra la
violencia. Ironías de la vida, fue una tarde cargada de golpes, gritos y malas palabras la que debió transcurrir como una jornada
de paz y concordia. Los mismos ‘agresores’ llamaron a una patrulla que se llevó a mis otras dos acompañantes, Orlando y yo
estábamos condenados al auto de matrícula amarilla, al pavoroso terreno de la ilegalidad y la impunidad del Armagedón.

Me negué a subir al brillante Geely y exigimos nos mostraran una identifi cación o una orden judicial para llevarnos. Claro que
no enseñaron ningún papel que probara la legitimidad de nuestro arresto. Los curiosos se agolpaban alrededor y yo gritaba
‘Auxilio, estos hombres nos quieren secuestrar’, pero ellos pararon a los que querían intervenir con un grito que revelaba todo el
trasfondo ideológico de la operación: ‘No se metan, estos son unos contrarrevolucionarios’. Ante nuestra resistencia verbal,
tomaron el teléfono y dijeron a alguien que debió ser su jefe: ‘¿Qué hacemos? No quieren subir al auto’. Imagino que del otro lado
la respuesta fue tajante, porque después vino una andanada de golpes, empujones, me cargaron con la cabeza hacia abajo e
intentaron colarme en el carro. Me aguanté de la puerta… golpes en los nudillos… alcancé a quitarle un papel que uno de ellos
llevaba en el bolsillo y me lo metí en la boca. Otra andanada de golpes para que les devolviera el documento.

Vicino alla Calle 23, proprio all’incrocio con Avenida de los Presidentes, abbiamo visto accostarsi una macchina -di
marca cinese- con tre robusti sconosciuti a bordo. Sono scesi e uno mi ha detto, ‘Yoani, entra in macchina’,
afferrandomi con forza al polso. Gli altri due hanno circondato Claudia Cadelo, Orlando Luis Pardo Lazo, e un’amica

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che stava venendo con noi alla manifestazione contro la violenza. Per l’ironia della vita, è stata una serata piena di
botte, urla e oscenità in quella che avrebbe dovuto essere una giornata di pace e armonia. Gli stessi ‘aggressori’ hanno
chiamato una macchina della polizia che ha caricato le mie due amiche, mentre io e Orlando siamo rimasti alla merce’
della macchina con le targhe gialle, del terribile mondo dei fuorilegge e dell’impunità di Armageddon.

Mi sono rifiutata di salire nella luccicante macchina Geely e abbiamo chiesto loro di mostrarci i tesserini o un
mandato per prelevarci. Ovviamente non ci hanno fatto vedere alcun documento per confermare la legittimità
dell’arresto. Si è radunata una folla di curiosi e io ho urlato ‘Aiuto, questi tipi vogliono sequestrarci’, ma loro hanno
bloccato quelli che stavano per intervenire, urlando in modo da rivelare le basi ideologiche dell’operazione: ‘Non
immischiatevi, questi sono dei contro-rivoluzionari.’ Vista la nostra resistenza verbale, hanno telefonato a qualcuno,
che doveva essere il capo, chiedendo ‘Cosa dobbiamo fare? Non vogliono saperne di salire in macchina.’ Direi che la
risposta dall’altra parte sia sta inequivocabile, perché hanno preso a colpirmi e spintonarmi, spingendomi giù la testa
per infilarmi in macchina. Mi sono afferrata alla portiera… pugni sulle nocche delle dita… Sono riuscita ad afferrare
un documento che uno di loro teneva in tasca e a mettermelo in bocca. Un’altra scarica di cazzotti mi ha costretto a
restituirglielo.

Il post di Yoani continua a descrivere le ulteriori brutalità infl itte a lei e a Orlando, e il loro definitivo rilascio:

Nos dejaron tirados y adoloridos en una calle de la Timba, una mujer se acercó ‘¿Qué les ha pasado?’… ‘Un secuestro’, atiné a
decir. Lloramos abrazados en medio de la acera, pensaba en Teo, por Dios cómo voy a explicarle todos estos morados. Cómo voy a
decirle que vive en un país donde ocurre esto, cómo voy a mirarlo y contarle que a su madre, por escribir un blog y poner sus
opiniones en kilobytes, la han violentado en plena calle. Cómo describirle la cara despótica de quienes nos montaron a la fuerza en
aquel auto, el disfrute que se les notaba al pegarnos, al levantar mi saya y arrastrarme semidesnuda hasta el auto.

Ci hanno lasciati stesi a terra e doloranti in una strada di Timba, una donna si è avvicinata e ha chiesto “Cos’è
successo?…” “Un rapimento”, ho cercato di dire, piangevamo ciascuno nelle braccia dell’altro in mezzo al
marciapiede, pensando a Teo, per amore di Dio come faccio a spiegargli tutti questi lividi. Come farò a spiegargli che
viviamo in un Paese dove può succedere tutto ciò, come farò a guardarlo e a dirgli che sua madre è stata picchiata in
una pubblica strada perché scrive su un blog ed esprime le proprie opinioni in kilobyte. Come descrivere i volti
dispotici di coloro che ci hanno spinto dentro un’automobile, il godimento che potevo vedere in loro mentre ci
picchiavano, mentre mi toglievano la gonna trascinandomi mezza nuda verso la macchina.

Nel momento in cui scriviamo, il post di Yoani ha raccolto 1412 commenti.

Anche Claudia ha rapidamente riportato sul blog la propria versione dell’accaduto.

Ci siamo rifiutati di salire in macchina, loro erano in tre e ci minacciavano:

‘Forza, entrate in macchina.’ ‘Fateci vedere i documenti, o fate venire un poliziotto.’

Orlando avevo il cellulare in mano. ‘Pardo, non registrare’, gli ha detto quello con la maglia arancione, mentre io
tiravo fuori il telefonino. Nessuno mi ha notato e ho madato il primo tweet… In meno di tre minuti è arrivata
un’autopattuglia con due poliziotti—una donna e un uomo—esterrefatti per la scena. Davano gli ordini al
rallentatore, la donna mi ha detto:

‘Meglio se non fai resistenza.’ ‘Non hanno i documenti,’ mi è venuto da dire per farle capire la situazione.

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Yoani si aggrappava a un cespuglio, io mi aggrappavo a lei e la donna mi tirava per una gamba. Orlando era già stato
trascinato via, fuori dal mio campo visivo. Un uomo alla fermata dell’autobus ci guardava terrorizzato, la gente non
diceva una parola. Il poliziotto, molto giovane, mi ha immobilizzato con una mossa. Avrei potuto scalciare un pò ma
ero troppo scioccata nel vedere le gambe di Yoani che spuntavano fuori dal fi nestrino posteriore della macchina della
Sicurezza di Stato.

Il post di Claudia va avanti riportando la successione degli eventi nei minimi dettagli, ma termina su una nota di trionfo:

Poi è arrivata la prima telefonata, con un prefi sso internazionale 00, e ho capito che nulla era accaduto invano, anche
se eravamo stati tutti arrestati e la marcia sospesa. Quando più tardi ho visto il video portatomi da Ciro, ne ho avuto
la certezza: sono spacciati; è iniziato il conto alla rovescia.

Commentando l’episodio, il blogger Uncommon Sense [in], che risiede all’estero, esprime sorpresa perché “quelli di noi
che vivono oltremare pensano che essendo Yoanì, Claudia e gli altri piuttosto noti, la dittatura di Castro non oserà mai
arrestarli.” Ma arrestarli è proprio quanto sembrano aver fatto”. Il blogger prosegue:

Naturalmente non dovremmo sorprenderci di quanto fa il regime quando si tratta di mettere a tacere l’opposizione
nell’isola.
E non dovremmo sottovalutare l’importanza della protezione che forniamo ogni volta che ne leggiamo i blog.
Ovviamente ciò non fornisce loro l’immunità assoluta, ma è chiaro che una persona come Yoani Sanchez sarebbe stata
richiusa nel gulag di Castro già molto tempo fa, se non fosse che è così nota.

Ciò che offriamo loro con ogni click è il supporto morale vitale per continuare a lottare per la libertà.

Il blog Babalu [in], dopo aver pubblicato al volo le ultime notizie, ha continuato ad aggionare il post man mano che
arrivavano maggiori dettagli, inclusa una nota delle 8:15 che prova le violenze fi siche tramite una foto mandata a
Penultimos Dias [sp] da Orlando Luis Pardo. John R. del blog Cuban American Pundits [in] ha saputo della detenzione di
Yoani da Babalu [in] e commenta così:

Si può solo dire che il governo di Cuba ha paura, e che questi eredi del futuro di Cuba sono estremamente coraggiosi.

Il blog ha fatto una ricerca tra i siti delle testate tradizionali per determinare la rilevanza della vicenda, ma è rimasto
deluso perché “l’unica cosa che la CNN [in] riporta su Cuba è che la birra Miller e il gelato Haagen Dazs potranno essere
venduti a Cuba — pur se a costi maggiorati. Mentre dei cittadini cubani vengono sequestrati e picchiati perchè esercitano
la libertà di parola, la Chicago Foods (e altre aziende) trattano la vendita di birra e gelato sull’isola.” ( Successivamente
CNN ha riportato la storia dei blogger sequestrati [in]). Il post prosegue commentando l’embargo economico degli USA
sull’isola:

Quanti affermano l’arrivo di una nuova era a Cuba dovrebbero osservare da vicino l’episodio accaduto a un pacifi co
gruppo di blogger cubani. Non è cambiato nulla. L’oppressione regna ancora nelle città, mentre nelle aree vacanziere
trasudano lusso e libertà.

Non so voi, ma io non mangerò più gelato Hagen Dazs né berrò birra Miller.

Oswaldo Payá del Movimiento Cristiano Liberación ha rilasciato una dichiarazione [sp] in cui esprime solidarietà alla
Sánchez e alle altre vittime della repressione. Anche My big, fat Cuban family [in] è solidale con le sorelle cubane:

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- Posso permettermi il lusso di scrivere su qualunque cosa mi appassioni o mi diverta in qualsiasi momento. E lo
faccio.

Oggi voglio informarvi, nel caso non lo sappiate di già, che un gruppo di blogger dissidenti è attualmente sotto
stretta sorveglianza perchè scrivono dei blog a Cuba.

A differenza di me, loro parlano delle umiliazioni giornaliere di vivere nel gulag di Castro. Voi certamente capite che
in un Paese comunista il dissenso non è solo scoraggiato ma spesso attaccato.

Tuttavia questi coraggiosi blogger persistono… Stanotte Yoani Sanchez e un gruppo di dissidenti sono stati prelevati,
trattenuti e picchiati mentre si preparavano a partecipare, ironia della sorte, a una manifestazione contro la violenza.

La conoscevano, l’hanno chiamata per nome e l’hanno fatta entrare con la forza in una macchina in cui Yoani ha
temuto di essere vittima di un sequestro che sarebbe terminato con la sua esecuzione. Sebbene lei e suoi compagni
dissidenti siano stati duramente picchiati, poi sono stati rilasciati.

La sua sicurezza è qui. Nei blog come il mio.

Along the Malecon [in] inquadra l’episodio nel contesto più generale e ritiene fermamente che “la leggenda di Yoani
Sanchez sia cresciuta venerdì dopo che le autorità cubane l’hanno afferrata per strada, spintonata dentro una macchina e
malmenata prima di rilasciarla”:

Luis Eligio del gruppo di controcultura OMNI-Zona Franca e due rapper avevano organizzato la manifestazione. Il
20 ottobre la Sanchez era stata una degli oltre 10 blogger che avevano partecipato a una ‘protesta virtuale’ usando
Twitter, cellulari, sms, e post per richiedere il rilascio dei prigionieri politici. Tutto ciò aveva creato diffi coltà al
governo socialista. Più forza viene usata dalle autorità, più semplice sarà per gli attivisti dell’opposizione reclutare
nuovi seguaci. Questi episodi contribuiscono inoltre a galvanizzare il sostegno internazionale alla Sanchez e agli altri
blogger. Questo supporto cresce in maniera esponenziale, colonizzando il cyberspazio e rendendo diffi cile l’attività
del governo nel contrastarlo.

In un altro post [in], il blogger evidenzia l’opinione di quanti si mostrano un pò scettici riguardo l’accaduto, come la
giornalista cuban Vladia Rubio Jiménez, che scrive sul proprio blog [sp]:

Francamente, me resulta bien oscuro el asunto. ¿A partir de ahora seremos testigos de “espontáneas” marchas de protesta?
¿Contra qué violencia estaban pronunciándose esos muchachos con sus abstractos carteles? ¿Sería contra la que está ocurriendo
en Afganistán, Honduras, o contra lo acontecido en la más importante base militar norteamericana donde un enloquecido disparó
y dejó muertas a 13 personas y varios heridos?

Francamente, trovo la questione piena di ombre. D’ora in poi saremo testimoni di ‘spontanee’ marcie di protesta?
Contro quale violenza stavano manifestando questi ragazzi con quei cartelli? Contro quanto sta accadendo in
Afghanistan, in Honduras, o contro ciò che è successo nella più grande base militare USA dove un folle ha sparato
uccidendo 13 persone e ferendone molte altre?

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La giornalista prosegue:

Por lo que leo, parece haber sido una manifestación organizada sobre todo a través de algunos blogs, entre ellos Octavo Cerco; y
también me asombra ver las posibilidades tecnológicas de que disponen: teléfonos celulares, rápidas conexiones a Internet que
incluso les permiten subir los videos… En ninguna parte dice con claridad quién convocó esa marcha.

Da quello che leggo, sembra che fosse una manifestazione organizzata principalmente tramite i blog, tra cui Octavo
Cerco, e mi sorprende la tecnologia di cui dispongono: telefoni cellulari, connessioni veloci a Internet che permettono
di caricare i video… Non c’è scritto chiaramente da nessuna parte chi aveva convocato la protesta.

Yohandry’s Weblog [sp] fa eco al suo scetticismo:

Pero bien, Claudia Cadelo dejó este vídeo en su blog. No comprendo cómo pueden subir sus videos a Youtube tan rápido, pero allí
está. Ella misma por Twitter dijo que no había llegado hasta el performance, además de que explicó que estaba detenida.

Cómo pudo hacer Twitter detenida, cómo subió el video desde un carro de la policía? Entra en acción Yoani Sánchez. Ahora bien,
Yoani Sánchez cuenta a las siempre listas agencias y emisoras que tienen la misión de cubrir sus actividades lo ocurrido con ella
y otros bloggers que se encaminaban al performance, quizás con el objetivo de provocar, nadie sabe.

Les dejo la grabación, ¡esos medios tan ágiles al servicio de Yoani! Adelanto que cuenta que ella tiene celular, computadora y
seguirá haciendo Twitter, cosa que no acabo de comprender, cuando ella misma dice que no tiene libertad para trabajar en Cuba.

Y yo esperaré ahora la otra versión de lo ocurrido. Como dice el dicho, siempre hay un ojo que te ve.

Bene, Claudia Cadelo ha caricato questo video sul proprio blog. Non capisco come facciano i suoi video a essere su
YouTube così velocemente, ma è così. Lei stessa ha detto su Twitter che non era riuscita a raggiungere la
manifestazione e che era stata sequestrata.

Come poteva essere su Twitter mentre la catturavano? Come ha fatto a caricare il video dalla macchina della polizia?
Yoani Sánchez entra in azione. Vediamo, Yoani Sánchez racconta alle agenzie e alle emittenti, la cui missione è
riportare ogni cosa le accade, quanto è successo a lei e agli altri blogger che stavano andando alla manifestazione.
Forse con l’intenzione di provocare. Nessuno può saperlo.

Ecco la registrazione. Queste testate sono così solerti nel servire Yoani! Lei ha un telefono cellulare, un computer e
continua a usare Twitter, non capisco come possa dire di non essere libera di lavorare a Cuba.

Sono in attesa della prossima versione dell’accaduto. Come dice il proverbio: c’è sempre un occhio che ti osserva.

Gli utenti dei social network connituano a seguire da vicino gli sviluppi. Anche mentre Claudia inviava dei tweet
sull’accaduto [sp], sembra proprio quando stava succedendo - “ Estoy detenida ” è stato il suo primo tweet delle 14.25 -
chi la seguiva su Twitter le ha dimostrato sostegno: un utente l’ha defi nita “muy valiente” (”molto coraggiosa”).

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10. Nepal: affermare la dignità delle donne Dalit

30.10.09 - articolo originale di Bhumika Ghimire tradotto da Tindaro Cicero

Il sistema di caste in Nepal ha discriminato a lungo una parte della società. Queste persone sono i cosiddetti “intoccabili”
o Paria o Dalit [it], trattati come cittadini di seconda classe dai membri della comunità. La costituzione nepalese
garantisce uguaglianza per i Paria ma nel mondo reale, al di fuori da lunghe e tortuose disposizioni della costituzione e
del gergo giuridico, i Dalit sono ancora trattati apertamente come inferiori rispetto agli altri esseri umani. Accesso
limitato all’educazione, scarse opportunità di impiego e discriminazione radicate nella struttura sociale hanno
duramente ristretto la crescita e lo sviluppo dei Paria in Nepal. Per le donne Dalit la situazione è fi nanche peggiore.
La blogger Kiran su Everest Uncensored [in] discute delle donne Dalit e dei loro problemi:

Quando parliamo delle donna Dalit, esse soffrono il triplo della discriminazione essendo oppresse dalle cosiddette
persone delle caste superiori (che colpisce parimenti sia uomini che donne Dalit), dal sistema patriarcale indù e infi ne
dagli uomini Dalit. Il 90% delle donne Dalit in Nepal vive al di sotto della soglia di povertà e l’ 80% delle donne Dalit
sono analfabete. Queste donne sono anche vulnerabili rispetto a gravi problemi di salute, sfruttamento sessuale,
violenza domestica, e non hanno alcun potere sociale, politico ed economico.

Con l’80% vittime dell’analfabetismo, le donne Paria non potrebbero essere più sfortunate. Esse sono spesso il bersaglio
di aggressioni di natura razziale da parte dei membri delle cosiddette caste “più elevate” della società. Renu Kshetry su
NewsBlaze [in] racconta di una donna Dalit che è stata aggredita in un villaggio vicino alla capitale Kathmandu:

Recentemente B.K., una donna Dalit, è stata vittima di un crimine atroce - è stata torturata, picchiata e costretta a
mangiare escrementi umani. La persona che ha orchestrato quest’azione brutale è stata una donna apparentemente
istruita: Bimala Lama. Preside della locale scuola elementare Gadi Bhanjyang, Lama ha accusato B.K. di praticare la
‘stregoneria’.

L’episodio è avvenuto all’inizio di quest’anno, e


sfortunatamente non si tratta di un caso isolato. Ogni anno le
donne Paria vengono vittimizzate, e solo poche riescono a
ottenere giustizia. Alcune donne Dalit stanno comunque
lavorando per realizzare ciò che prima sembrava impossibile.
Ora un tempio nell’area Baneshwor di Kathmandu ha una
donna Dalit sacerdote [in].

La donna, di 43 anni, è sacerdote al tempio di


Chhakkubakku Bhagwati a Baneshwor, affollata area della
capitale, circondata da negozi e bancarelle. Oltre ad essere
una donna, fa anche parte dei Dalit, comunità al gradino
più basso della rigida scala sociale dell’ancora conservatore
Nepal e tuttora ostracizzata.

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Madre di quattro figli, la donna proviene dal clan Sarki, originariamente dei calzolai costretti in passato a vivere
delle carcasse delle mucche morte, quando il Nepal era un regno indù dove vigeva il divieto di macellare le mucche.

Nelle elezioni dell’assemblea costituente tenutesi il 10 Aprile 2008, sono stati eletti alcuni candidati Dalit - incluse delle
donne - e i leader Paria sperano che l’incremento della partecipazione politica possa aiutare a porre fi ne alla
discriminazione. Ecco di seguito un video in nepalese su NepalNews.com che mostra i leader Dalit spiegare come la nuova
costituzione del Paese andrebbe ridisegnata per porre fi ne per sempre alle discriminazioni.

Maggiori informazioni sui Paria del Nepal si trovano sul sito Nepal Dalit Info [in, ne], che contiene articoli
informativi,approfondimenti e aggiornamenti sul movimento dei Dalit in Nepal sia in inglese che in nepalese.
La legge contro la discriminazione è presente da tempo nelle norme costituzionali del Nepal, ma il sistema delle caste
continua ad ostracizzare tale comunità. È chiaro che fi n quando i Dalit - specialmente le donne - non avranno
l’opportunità di istruirsi, questa pratica continuerà a trovare nuove vittime.

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11. Materiali e concorsi video per non dimenticare


il Congo

14.09.09 - articolo originale di Juliana Rincon Parra - tradotto da Maria Grazia Pozzi

Qual è il legame tra i new media [it] e il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo [it]? Che il
mercato nero dei componenti minerali necessari per far funzionare telefoni cellulari, computer portatili,
lettori mp3 e macchine fotografiche digitali alimenta anche la guerra e finanzia molti gruppi armati [in].
Paradossalmente, queste tecnologie svolgono un ruolo fondamentale nel processo di sensibilizzazione
sul conflitto e mostrano che la RDC non è solo un nome stampato su una carta geografi ca ma una nazione di persone che
vogliono sopravvivere malgrado tutto e che cercano di trarre il massimo dalla situazione attuale.

Prendiamo per esempio questo video sui rapper congolesi [fr] e sui bambini di strada che usano la musica per sfuggire
alla violenza. Il filmato è stato caricato su YouTube da mikayali [in] e inserito nel blog Free Uganda [in]. Giovani rapper
parlano della gente che non ne può più della violenza, degli insegnanti che scioperano perché da anni non vengono
pagati e dei bambini che crescono per strada senza istruzione e senza prospettive di lavoro. Per questo si avvicinano al
rap, è un modo per esprimere la rabbia della loro condizione, per parlare di morte e di fame con un pizzico d’ironia,
dicono, così il messaggio arriva in maniera positiva, senza violenza o brutalità e nella lingua locale, il lingala [it], poiché
molti non parlano né francese né inglese. L’audio del video è in francese con sottotitoli in inglese.

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È questa volontà di sopravvivere, di continuare a vivere e sperare di poter crescere che ispira molti di quanti giungono in
Congo per perorare la causa informando sul confl itto e divulgando il messaggio in modo che il mondo se ne prenda
cura. È quanto ha fatto Emily Troutman [in] realizzando questo video: Why Congo Matters [in] (perchè il Congo è
importante). Scrive:

Dopo un mese trascorso nella Repubblica Democratica del Congo mi sono ritrovata a parlare spesso di numeri: 5,4
milioni di morti, 2.000 stupri ogni mese, 17.000 soldati ONU, una guerra che è iniziata 15 anni fa (o di più?)… E d’un
tratto il conflitto sembra incredibilmente immenso, irrisolvibile, tragico e lontano. È facile dimenticare che numeri e
simboli rappresentano persone che occupano un vero e proprio spazio fi sico, che camminano lungo strade
impolverate al tramonto portando l’acqua dal fi ume, proprio come facevano quando ero tra loro…

Perché un numero abbia significato deve avere un volto e un cuore che batte. Deve raccogliere nomi e aiutarci a ricordare
qualcosa dentro di noi. Un numero dovrebbe spingerci a scoprire cosa c’è dietro, per dargli un odore (i profumi densi del
sottobosco nella giungla), un colore (il nero della terra vulcanica), un sapore (la papaia) e un suono (lo schiocco sonoro
dei fagiolini freschie croccanti).

Perché il Congo è importante [in] di Emily Troutman [in] Vimeo [in].

Cosa farne, quindi, di tutti i nostri gadget e del fatto che fi nanziano la violenza in un Paese già devastato dalla guerra?
Enough Project [in] e YouTube hanno co-organizzato un concorso [in] dove, attraverso i filmati, si può chiedere alle
aziende di fornire verifiche trasparenti sugli approvvigionamenti di minerali assicurandosi che questi non abbiano alcun
aggancio con il conflitto. Come spiegato sul sito:

“Gran parte della violenza nel Congo orientale proviene da gruppi armati che combattono per controllare il
commercio illecito di minerali” dice John Norris, direttore esecutivo di Enough Project. “Sono proprio quei minerali
che vanno a finire nei nostri dispositivi elettronici [in] come telefoni cellulari, computer portatili e macchine
fotografiche digitali. Perciò mi sembra quanto mai appropriato l’uso di uno strumento come YouTube, e l’enorme
creatività dei suoi utenti, per aiutare a porre fi ne alla piaga del conflitto dei minerali”. Enough Project ha invitato le
aziende elettroniche a garantire la provenienza certifi cata “senza guerra” dei loro prodotti e a sottoporre la catena di
approvvigionamento a verifiche trasparenti.

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Il vincitore del concorso Come Clean 4 Congo [in] è stato scelto pochi giorni fa e verrà presentato al Film Festival di
Hollywood a fine ottobre. Si chiama Matthew Smith ed è americano, l’ispirazione gli è venuta anche grazie a un recente
viaggio in quel Paese insieme al suo gruppo dove la realtà del confl itto l’ha spinto a partecipare con Life Should be Free
[in].

Qui si possono vedere [in] anche i video degli altri partecipanti, cliccando su “gallery” .

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12. Unione Europea: netizen russi discutono sul


latte distrutto per protesta dagli allevatori belgi

19.09.09 - articolo originale di Veronica Khokhlova – tradotto da Stefano Ignone

Mercoledì 16 settembre, l’utente di LiveJournal drugoi ha ri-pubblicato due foto della Reuters che mostrano allevatori
belgi che innaffiano di latte fresco i campi [in] per protestare contro i bassi prezzi di mercato, riassumendo così la
situazione [ru]:

[…] gli allevatori belgi, disperati per i bassi prezzi praticati sui loro prodotti, hanno deciso che fosse più conveniente
innaffiare i campi con 3 milioni di litri di latte, piuttosto che venderli senza ricavarne profi tto. Al momento, il prezzo
del latte è fissato all’incirca tra i 18 e i 20 centesimi di euro al litro, mentre il costo di produzione è di 33 centesimi.
Secondo gli allevatori, solo un innalzamento del prezzo al litro fi no a 50 centesimi permetterebbe loro di mantenersi
in attività. Ma, per il momento, questa soglia è solo un sogno. In precedenza, gli allevatori avevano organizzato
blocchi stradali e distribuito il latte gratuitamente. Adesso, la decisione estrema: i campi nei pressi della città belga di
Ciney sono stati fertilizzato con milioni di litri di latte che non serve a nessuno. […]

E di seguito il post scriptum di drugoi allo stesso post:

[…] Avrebbero dovuto interpellare gli utenti di LiveJournal. I nostri esperti hanno sempre la soluzione giusta per
ogni possibile circostanza. Ad esempio, il consiglio degli esperti qui poteva suggerire di donare il latte ai bambini
africani che muoiono di fame. Vediamo chi hai dei commenti, e quali sono le proposte.

L’utente drugoi ha 41.453 lettori solo tra quanti sono registrati su LiveJournal, e, inutile dirlo, sono in molti ad aver
risposto: finora, sono apparsi 774 commenti. Eccone alcuni tradotti qui di seguito:
a_brosimov:

Fossi Dio, li avrei [fulminati].

flymanager:

Avrebbero proprio dovuto donarlo ai bisognosi. Esportarlo in Africa sarebbe stato troppo costoso.

lenin75ka:

L’Africa non accetta prodotti Europei, come nemmeno la Russia. Gli allevatori locali, infatti, hanno problemi ben
peggiori di quelli degli allevatori europei. […] Se donassero il latte ai bisognosi, il prezzo non salirebbe, perchè
farebbero calare la domanda.

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sokolhan:

Meglio venderlo a 20 centesimi che buttarlo.

lavradar:

Il secolo scorso, nei periodi di produzione eccessiva, lo avrebbero semplicemente buttato nel fi ume; c’è da dire che in
questo caso, almeno, hanno fatto qualcosa di utile.

lenin75ka:

Negli anni delle grandi carestie in Unione Sovietica, gli Stati Uniti offrirono a Stalin i propri prodotti gratuiti perchè
da loro mancava del tutto la domanda. Eravamo troppo orgogliosi e rifi utammo categoricamente - per poi
sbandierare la nostra “abbondanza” inscenando dei gran banchetti. Così i contadini furono costretti a bruciare il
grano e gettare il latte nei fiumi. Sembra che queste misure abbiano migliorato la situazione - la domanda è poi
tornata.

lavradar:

Non sapevo delle “proposte di donazione” - ma se è vero che gli allevatori regalavano il latte, non c’era però nessuno
disposto a finanziare la consegna in Africa.

lenin75ka:

In occidente si diceva che in Unione Sovietica molta gente moriva di stenti, se ne parlava anche sui giornali. Ma
l’URSS negava che ci fosse del vero in queste voci. Vennero anche organizzati enormi banchetti per gli ospiti europei
e statunitensi, per dimostrare che non c’era nessuna carestia. L’occidente ci credette, così gli Stati Uniti smisero di
offrire a Stalin gli aiuti umanitari.

[…] http://www.garethjones.org/soviet_articles/bernard_shaw.htm [in] In questa lettera aperta indirizzata al


direttore del Manchester Guardian, Bernard Shaw dichiarava false le voci di carestie in Unione Sovietica. (Giovedì 2
marzo 1933)

pashyrey:

In Unione Sovietica, la carestia fu provocata dal fatto che i raccolti venivano requisiti ai contadini e venduti in
occidente. Poichè serviva denaro per l’industrializzazione, e gas e petrolio non erano altrettanto popolari come
adesso, il grano valeva molto di più.

lenin75ka:

È vero, si vendeva il raccolto. E lo si lasciava anche marcire nei campi. In più, l’occidente si rifi utava d’acquistarlo,
bastava la produzione propria, e il valore del grano stava crollando verso lo zero.

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Denver07:

Be’… prendiamo il Sudan, per esempio. Dove la gente muore come mosche. Questi, invece, buttano via il latte. È una
mentalità simile alla nostra.

lavradar:

Be’, perchè allora non ne finanzi la spedizione in Sudan?

onlymax:

http://www.rg.ru/2009/07/30/moloko.html [articolo pubblicato sulla Rossiyskaya Gazeta il 30 luglio, ru]

Per domani è prevista un’azione dimostrativa senza precedenti nella regione di Ust-Labinsky, nella Repubblica del
Kuban. Gli abitanti locali, disperati, getteranno i loro prodotti nel letame, spinti alla disperazione dai bassi prezzi del
latte.

Stessa cosa nella regione di Stavropol.

pashaman:

Tutto ciò è già successo… in Inghilterra… circa 100 anni fa… ma si trattava di verdure. Gettate in mare. Anche i nostri
allevatori [russi] vendono i loro prodotti a 10 rubli [22 centesimi di euro], mentre il prezzo di stoccaggio è di 30 rubli
[67 centesimi di euro].

daily_winegraph:

Dieci rubli mi sembra un prezzo troppo alto. Secondo le informazioni che ho io, il prezzo vero oscilla tra i 4 e i 6 rubli
[8-13 centesimi di euro].

kolbaska:

Quattro rubli al litro [8 centesimi di euro].

zanozanet:

Avrebbero dovuto gettare il latte in una piscina, e poi far pagare 50 euro il biglietto per entrare.

leo_nardo:

Possibile che in Belgio non ci siano orfanotrofi, o altri istituti per l’infanzia?

mcsdwarken:

Non credo proprio che in Belgio orfanotrofi o istituti simili patiscano la mancanza di latte.

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tatti_anna :

Possibile che oggigiorno il latte non serva a nulla? […] Voglio dire, e la divisione del lavoro, allevatori che producono
il latte, altri che fanno formaggio, fiocchi di latte […] Ma la gente è troppo pigra per produrre alcunché. È un modo di
fare talmente russo… raccogliere, lasciar marcire, chiedere più denaro… è sempre questa l’opzione più a buon
mercato..

incogn1too :

Il socialismo porta a questo: tutti vogliono gli aiuti di Stato.

sergey_sht :

A proposito, nel 2002, quando l’UE si rifi utò di comprare latte in polvere dall’Ucraina, cosa che portò a una situazione
simile, i nostri macellarono le mucche - scelta drastica. I belgi invece non fanno altro che gettar via il latte, attirare
l’attenzione, ma perlomeno non macellano le mucche! Resta da vedere chi adotta il comportamento più intelligente,
in questo tipo di situazione.

red_tengu:

Una volta prendevano ricchi sussidi dal governo e dalla UE, ma ora che i fi nanziamenti sono stati tagliati
considerevolmente (per via dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e della crisi) - i profi tti degli allevatori
sono crollati. Nessuno vuol più comprare latte tanto costoso. In Lettonia, a proposito, il prezzo del latte è anche più
basso - circa sei centesimi di euro al litro, e in alcuni casi gli allevatori non prendono niente, per il latte - perchè non
contiene abbastanza grassi, tra le altre cose.

golovach_igor :

Perchè ci sono così tanti allevatori, se a nessuno serve il latte? Tutti gli allevatori belgi dovrebbero darsi subito al
citizen journalism, diventare blogger, vendere i trattori, comprare una macchina digitale e un computer portatile, e
ancora avrebbero abbastanza denaro per comprare un biglietto per Perm [it] - allora sì, ci sarebbe competizione!

rolliks:

Un buon metodo per far soldi col latte:

Primo Giorno: alla guida di un convoglio di camion pieni di latte, entriamo a Bruxelles, e inondiamo le strade [di
latte]. Secondo Giorno: Col nostro convoglio di camion pieni di latte, arriviamo a Bruxelles. Che ormai puzza. E
inondiamo di nuovo le strade [di latte]. Terzo Giorno: Ci avviciniamo a Bruxelles. La puzza è terribile. Gli abitanti ci
vengono incontro ai confini della città con un sacco di soldi. Vendiamo loro il latte.

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13. Twitter in Iran tra mito e realtà

09.07.09 - articolo originale di Hamid Tehrani - tradotto da Paolo d'Urbano

Nel raccontare i movimenti di protesta in Iran, le testate internazionali hanno ampiamente celebrato [in] il ‘Twitter
power’, quello cioé che avrebbe aiutato gli attivisti a organizzare manifestazioni e diffondere comunicati, ma in questa
crisi l’uso di Twitter ha prodotto risultati sia positivi che negativi. Questa rassegna ne prende in esame alcuni per
ridimensionarne l’impatto concreto.

Non c’è alcun dubbio sul fatto che i partecipanti alle proteste post-elettorali di giugno abbiano utilizzato in maniera
eccellente [in] strumenti quali Twitter, Facebook, YouTube e i blog per ‘immortalare’ il movimento e rivelare i soprusi
perpetrati dalle forze di sicurezza, ma il cuore di tale movimento è la gente non la tecnologia.
Mentre ai giornalisti veniva impedito di fare il proprio mestiere informando l’opinione pubblica internazionale assetata
di notizie dall’Iran, i citizen media hanno spesso rappresentato una fonte primaria d’informazione.

Purtroppo a volte si sono nutriti dei forti dubbi circa l’identità e l’affi dabilità degli utenti di Twitter, arrivando anche a
casi in cui il confine tra finzione e realtà sembrava dissolto - ma d’altronde potremmo dire lo stesso delle presidenziali
iraniane.

1-Mezzo di comunicazione per leader riformisti


Dopo le elezioni del 12 giugno parecchi siti filo-riformisti sono stati filtrati. Le forze di sicurezza hanno innalzato il livello
di controllo sui quotidiani e arrestato alcuni esponenti di spicco dell’area riformista, mentre a quelli ancora liberi veniva
impedita la partecipazione a programmi di radio e televisione di Stato. Internet è così diventata l’unico canale di
comunicazione verso l’esterno. Sulla pagina di Facebook [in] il movimento a sostegno di Mir Hussein Mousavi conta
oltre 100.000 simpatizzanti. Su Twitter [in], invece, il profilo della campagna ha circa 30.000 follower. Ghloamhussein
Karbaschi, consigliere speciale di Mehdi Karroubi [it], riformista e terzo candidato alle presidenziali, pubblica via Twitter
gli aggiornamenti per i suoi 5.000 contatti. Twitter, Facebook e testate online come Ghlamnews [fa] hanno contribuito a
comunicare le decisioni dei leader riformisti e diffonderne i messaggi.

2-Ponte fra Iran e resto del mondo


I tweet iraniani sono ormai diffusi a migliaia in tutto il mondo e sembra che seguendo e rilanciando su Twitter la gente si
senta coinvolta. Per giorni l’argomento più cercato [in] su Twitter è stato il tag #iranelection [in] (l’“hashtag” per le
discussioni sull’Iran) e persino le testate internazionali proponevano informazioni e immagini prese su Twitter. Secondo
Bloggasm, i tweet provenienti dall’Iran vengono rilanciati con una media di 57.8 volte [in].

3-Non è Twitter a organizzare le dimostrazioni :


Sono i leader riformisti e i loro sostenitori a organizzare le proteste e diffondere messaggi usando diversi mezzi di
comunicazione. Non abbiamo alcuna prova che i manifestanti abbiano usato Twitter per comunicare e organizzare le
manifestazioni. Come sostiene Evgeny Mozrov, ricercatore presso l’Open Society Institute di New York [in], in
un’intervista al Washington Post:

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[Twitter] è stato fondamentale per la trasmissione di informazioni all’esterno del Paese. Ma non è altrettanto certo che
sia stato impiegato anche per organizzare le proteste—ipotesi sostenuta dalla maggior parte dei media—poiché
come piattaforma pubblica non si presta particolarmente alla pianifi cazione di una rivoluzione (volendo le autorità
possono leggere tali messaggi!).

4-I tweet possono disinformare :


Nei giorni scorsi un utente ha pubblicato su Twitter [in] una notizia secondo cui 700.000 persone si erano riunite presso
la moschea di Ghoba a Tehran. La cosa è stata rilanciata da altri utenti, alcuni dei quali l’hanno persino pubblicata sui
propri blog [in]. Nel frattempo le stime comunicate dai media internazionali sulla stessa manifestazione fornivano cifre
tra le 3.000 e le 5.000 persone. Cosa sarà successo agli altri 695.000?

Su Twitter Journalism [in], il sito di Craig Kanalley, fondatore di Breaking Tweets [in], si legge quanto segue [in]:

È ovvio che la gente voglia informazioni dall’Iran, e anche in tempo reale. Non ci vuole molto a premere il tasto
‘Invia’ rilanciando le notizie che si ritengono probabili “scoop”. Ma c’è forse qualcuno che verifi ca tali informazioni?
Sì, è colui che rilancia la notizia dopo qualche breve istante di considerazione. Chiunque legga un retweet dovrebbe
tenerlo a mente e trattare con prudenza qualsiasi messaggio fi no all’arrivo di una conferma.

5-Il tweet ricicla notizie e consigli


La maggior parte degli utenti ha rilanciato quanto trovava altrove nella Rete, condividendo consigli utili e informazioni
[in] per aiutare gli iraniani a eludere il filtraggio e la censura online. In definitiva l’uso dei messaggi su Twitter consente
di creare un un ampio bacino d’informazione.

6-Fraintendere il mittente :
Tavolta alcuni ‘mittenti’, per esempio gli iraniani residenti in Occidente, ricevono da qualche fonte la notizia di una
dimostrazione e la rilanciano senza verifi carne l’attendibilità, oppure omettendo la fonte. I destinatari - specialmente se
non iraniani - possono pensare che l’autore si trovi a Tehran e scriva dalla prima linea.

7-Attivismo e agenda :
Gli utenti iraniani di Twitter sono in gran parte sostenitori e attivisti del movimento di protesta e delle sue istanze. Le
loro informazioni dovrebbero essere controllate più volte e non accettate acriticamente, come fossero testimonianze
oculari.

Una volta considerati questi elementi appare chiaro come Twitter possa essere fonte di informazione e strumento di
propaganda allo stesso tempo. Ma ciò che conta sono le persone dietro quegli schermi, così come quanti ne diffondono i
messaggi.

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14. Messico: Internet come necessità e non come


bene di lusso

26.10.09 - articolo originale di Issa Villareal - tradotto da Gaia Resta

La Camera dei Deputati messicana ha approvato un rincaro delle tasse per il 2010 che include la Tassa Speciale per i
Prodotti e i Servizi (IESPS nell’acronimo spagnolo), che farà aumentare del 3% la tassa su internet e i servizi via cavo.

Un mese fa, all’interno delle discussioni sulla tassa IESPS, il Segretario all’Amministrazione delle Imposte Pubbliche,
Agustín Cartens, aveva dichiarato che la metà del denaro speso nelle telecomunicazioni appartiene al 20% delle famiglie
più ricche del Paese, secondo una nota della rivista messicana Proceso [sp]. Il Segretario ha dichiarato che poichè i servizi
di telefonia pubblica e rurale sono esenti dalla IESPS, i cittadini che versano in diffi coltà economiche non saranno toccati
dalla tassa. Eppure le famiglie a basso reddito che usufruiscono di questi servizi in casa saranno maggiormente colpite
visto che Internet è considerato un servizio di lusso a benefi cio solo di quanti possono permetterselo. Motivo per cui la
comunità online messicana ha condannato l’idea di Internet come bene di lusso e lanciato la protesta su Twitter con
l’hashtag #internetNecesario [sp], con grande urgenza perchè il dibattito conclusivo e il voto si sarebbero svolti il 20
ottobre. Le legge è stata approvata nella mattinata del 21 Ottobre.

Foto di Mark Schoneveld usata con licenza Creative Commons

Il movimento di protesta ha dimostrato l’importanza di Internet per i messicani, ed è stato segnalato dalla televisione
nazionale e dai giornali, così come da blog assai seguiti quale Boing Boing [in]. Il servizio di Twitter WhatTheHashtag [in]
ha calcolato che la protesta abbia raccolto circa 35.000 tweet da oltre 7.000 partecipanti.
Ecco alcuni dei rilanci diffusi su Twitter [in spagnolo]:

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MexiComunicado @mexicomunicado :

Me voy a ir a finlandia a twittear haya [sic: allá] es un derecho y me cuesta 3% menos hacerlo #internetnecesario

Andrò in Finlandia per usare twitter, lì è un diritto e costa il 3% di meno

Luis Macedo @Luismacedo:

Lujo es el suel[d]o que se imponen como los bonos de fi n de año y aguinaldo, nola comunicación #internet necesario

Il vero lusso sono i loro stipendi con bonus di fi ne anno e altri benefici, non la comunicazione

Citlali Avilés @missblissdior:

Por que debo de pagar por algo que es necesario para mi profesión? No nos dejaremos!!!! #InternetNecesario!!!

Perchè dovrei pagare per qualcosa che mi serve per lavoro? Non permettiamoglielo!!!!

@Neodevelop, citando un altro utente [il cui account è ora chiuso]:

Internet es nuestra única opción para llegar a tener un gobierno transparente #internetnecesario

Internet è la nostra unica possibilità per arrivare ad avere un governo trasparente.

L’Associazione Messicana per Internet (AMIPCI) ha dichiarato la propria opposizione via Twitter [sp], unendosi alla
protesta:

Aprobación del IEPS a Internet alejará aún más a los gobiernos y a los legisladores de los ciudadanos. #InternetNecesario

L’approvazione della IEPS per Internet farà aumentare la distanza tra il governo e i cittadini. #InternetNecesario

Anche i blogger messicani hanno protestato contro la tassa prima che venisse approvata. Su Pixelaris, il blogger Jitten
descrive [sp] l’aumento delle tasse come un errore, specialmente rispetto ai provvedimenti degli altri Paesi:

Las propuestas de qué tipo de productos y servicios gravar suponen medidas inteligentes y planeadas en las cuáles los ciudadanos
paguen lo que consumen pero recibiendo servicios de calidad. El gran problema de los impuestos en un país como México es que
las políticas fiscales van en contra de la lógica de otros países e incluso expertos en los temas económicos, en las que, por una
causa u otra, se grava lo que en otros países se le considera un derecho humano e incluso un servicio básico garantizado.

Le proposte sui prodotti e i servizi da tassare richiedono misure intelligenti e ben pianifi cate secondo le quali i
cittadini pagano ciò che consumano, ma ricevono servizi di qualità. Il grosso problema delle tasse in un Paese come il
Messico è che la politica fiscale va contro la logica degli altri Paesi e contro il parere degli esperti di economia, per cui
vengono applicate le tasse su ciò che altrove è considerato un diritto umano o addirittura un servizio di base
garantito.

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La blogger Darinka ha pubblicato sul proprio blog un manifesto [sp] sull’importanza di Internet in periodi di difficoltà
economiche:

Somos nosotros, los blogueros y twitteros, los que nos despedimos para siempre del papel, no por convicción ecologista o afán
ambientalista, sino porque leemos el periódico on-line a falta de diez pesos para el diario impreso y nos hacemos de libros en pdf
ante el encarecimiento ruin de la industria editorial.

Siamo noi, blogger e utenti di Twitter, che rinunciamo alla carta stampata non per via di ideali ecologici o motivi
ambientali, ma leggiamo i giornali online perchè non abbiamo dieci pesos per comprare i giornali stampati e
realizziamo i nostri libri in pdf per contrastare l’aumento dei costi dell’industria editoriale.

Un recente studio del Berkman Center for Internet & Society della Harvard University ( disponibile online [in]) su
Internet a banda larga ha messo a confronto il Messico con altre 30 nazioni, dimostrando che fra questi è il Messico ad
avere la minore penetrazione di banda larga e tecnologia 3G. Oltre a questo, il Messico sembra essere in testa alla lista dei
Paesi con i prezzi più elevati per le connessioni a bassa velocità, dove gli utenti di Internet pagano circa il doppio rispetto
a quelli statunitensi.
Ciò riguarda i circa 30 milioni di messicani che attualmente hanno accesso a Internet, l’equivalente di un quarto della
popolazione totale del Paese, secondo i dati forniti dalla Associazione Messicana per Internet (AMIPCI) [sp] citati da El
Universal. Nonostante la mancanza di ricerche dettagliate sugli utenti di Internet, alcuni rapporti hanno fornito dati
chiave che non possono essere ignorati sulla distrubuzione dell’utenza nei vari livelli socioecomomici: in un’indagine del
2001, Istituto nazionale per statische e geografia (INEGI) [sp] segnalava come metà dei computer del Paese appartenesse
a famiglie con redditi inferiori a 800 pesos al mese (circa 62 dollari usa). Nello studio dell’AMIPCI effettuato nel 2006 si
rileva come almeno il 10% degli utenti Internet vivano in aeree rurali e oltre il 40% appartengano alle fasce
socioeconomiche più basse del Messico.

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15. Cina: la tragedia dei bambini “lasciati indietro”


dai genitori migranti in città

30.11.09 - articolo originale di Jennifer Cheung - tradotto da Elena Intra

Il 12 novembre, qualche giorno prima della Giornata mondiale per i diritti dei bambini [in], è avvenuta un’esplosione in
una fabbrica illegale di petardi a Guangxi, causando la morte di due bambini e il ferimento di altri 11 che vi lavoravano.
Secondo un articolo della testata Southern Weekend [cin], questi bambini erano stati “dimenticati” dai propri genitori,
lavoratori migranti che vanno a lavorare in città tutto l’anno per guadagnare abbastanza da mantenere le famiglie.
Questi bambini vivevano con i nonni anziani e prima e dopo la scuola facevano qualche lavoretto per intascare qualche
soldo per gli spuntini. Il fenomeno dei bambini lavoratori non è raro nel villaggio di Yanghui dove è avvenuta la
tragedia. Una delle ragioni dietro tale fenomeno è la mancanza di un regolamento governativo a riguardo, ma d’altra
parte, “se questi bambini avessero i genitori a prendersi cura di loro, non avremmo simili tragedie,” ha detto Yang Youji,
il capo del partito del villaggio. Secondo il censimento della popolazione del 2005, 120 milioni di agricoltori lavoravano
o avevano attività nelle città, e il numero di bambini che venivano lasciati indietro ammontava a 20 milioni. L’88.2% di
questi bambini potevano contattare i genitori solo al telefono, ma il 53.5% di loro ci parlava per meno di tre minuti. Tong
Dahuan [cin], un blogger cinese di Tianya [cin], ha evidenziato un altro problema sociale relativo all’incidente della
fabbrica di petardi in un post intitolato, “Chi dovrebbe scusarsi per la tragedia dei bambini dimenticati”:

前 年,来自北京、上海等地的有 调查即 显,新移民二代的犯罪率是当地


示 户籍青
少年的三倍!留守儿童和流动儿
童 的 悲 剧命 运
,正 在 引 领着 我 们走 向 一 个 不 可 知 的 未 来 。

Negli ultimi 2 anni, i sondaggi effettuati in città come Pechino e Shanghai hanno mostrato che il tasso di criminalità
della seconda generazione di lavoratori migranti (fi gli dei primi emigranti) è tre volte più alta dei coetanei locali
muniti di un certificato di residenza. L’amaro destino dei bambini lasciati indietro e migranti ci sta portando ad un
futuro imprevedibile.

Tong accusa l’iniquo sistema didattico come causa di tragedie di questo tipo.

中国数以亿计的 农村 人 到 城 市 打
,他工 们的 孩 子 经常 被 城 市 的 学 校 排 除 在
,或被收更高的学费,城
外 市 里 也 没 有 专门
供 这些 孩 子 受
教育的非正式学校(打工子弟学校常常被教育主管部 门以 教 育 条 件 不 达标为由 围追 堵 截 甚 至 赶
)尽 杀绝
。更有甚者,在 户籍加学籍的高考 报考制度下,即使打工子弟
历尽 千 辛 万 苦 过五 斩六 将 在 父 母 打 工 所 在 地 读完 了 高
中 , 他 们也 将 面 临无 处高 考 的 命 运。 这一 切 导致 大 量 孩 子 过早 被 迫 与 父 母 分
“没离 ,
没妈”留守儿童。
成为

Centinaia di milioni di agricoltori cinesi vanno a l avorare nelle città, ma spesso i figli sono esclusi dalle città in cui
lavorano o gli vengono addebitate rette più alte. Non ci sono scuole preparate specifi catamente per questi figli di
lavoratori migranti (le scuole per i figli di migranti vengono spesso chiuse dalle autorità didattiche per mancanza di
docenti adeguati). Inoltre, sotto il doppio sistema del certifi cato obbligatorio di residenza e della tessera studentesca
(che mostra la regione d’appartenza geografica dello studente), anche se i figli di lavoratori migranti finiscono il liceo
con grandi sforzi e sacrifici, possono ancora vedersi rifiutata l’ammissione all’esame d’ammissione dell’università
nazionale. Tutti questi fattori portano alla separazione dai genitori, lavoratori migranti, quando sono molto piccoli, e
più avanti diventano figli “dimenticati” virtualmente senza genitori.

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Tong ha poi evidenziato le molte critiche contro gli obsoleti sistemi per il certifi cato di residenza e per le tessere
studentesche dal 1997, ma sembra che non ci sia il minimo progresso su questi due temi.

现行 户籍 与 教 育 制,已
度 经严重 违反 了 人 权 、 人 道 、 ,也
人 伦违反 了 我 们
1990 年签署 、1991 年全国人大批准、 1992 年 3
月 1 日起即对我 国 生 效 的 联合 国 《 儿 童 国 际公 约》

L’attuale sistema di registrazione della residenza e il sistema didattico in Cina hanno seriamente violato i diritti umani dei cittadini,
la moralità umana, così come la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’infanzia fi rmata nel 1990 dal governo, approvata nel
1991 dal Congresso Nazionale del Popolo ed entrata in vigore il 1. Marzo 1992.

请问,不 让孩子就地平等地接受教育和高考
,是 为了 孩 子 的 最 大 利 益 吗
?用 户籍制度生生将孩子和父母拆散
,这样的
分离符合儿童的最大利益吗?”

Vorrei chiedere, è nell’interesse dei bambini che il governo non fornisce pari opportunità per un’adeguata istruzione
e per l’esame d’ammissione all’università nazionale? È nell’interesse dei bambini che il governo li separa dai genitori
tramite il sistema di registrazione della residenza?

Un altro blogger di Tianya, Li Hui [cin], domanda perchè i bambini lavoratori vengano sempre “lasciati indietro” [cin]?

为什么 黑 童 工 都 是 留 守 儿 童
?这背 后,不 仅是 一 个 非 法 雇 佣童 工 的,更
问题深 层次 的 原 因
,是 城 乡二 元 分 化
,以及由
此 导致 的 教 育 资源 发展 严重 不 均 衡 。

Perchè gli illegali bambini lavoratori sono sempre quelli “dimenticati”? Alla base di questo problema non c’è solo
l’impiego illegale dei bambini lavoratori, ma più profondamente è un problema causato dalla doppia struttura rurale-
urbana della Cina, e dal grave squilibrio delle risorse didattiche.

Nella sezione commenti dell’articolo del Southern Weekend [cin], molti netizen hanno lasciato degli interventi e alcuni
hanno incolpato il sistema di registrazione dei residenti per simili tragedie. Per esempio, Yanchenyu [cin] ha scritto:

户籍制度 是造 成留 守儿 童的根源
,城 市 人 口 享 受 农民 工 带来 的 繁,却 不 为他 们的 健 康 提 供 保,不
障 为他 们的 小 孩 提
供教育。

Il sistema di registrazione dei residenti è la causa alla radice della tragedia dei bambini lasciati indietro. La popolazione urbana
gode la prosperità garantita dai lavoratori migranti, ma non fornisce la protezione dovuta alla loro sicurezza, e non offre neppure
un’istruzione ai figli dei lavoratori migranti.

li101947 [cin] si domanda cosa stiano facendo le autorità:

已经有 多 少 儿 童 遭 受 了 苦 难
?还有 多 少 儿童 将 要 遭 受 苦 难
?难道 就 不 能 有 组织、 制 度 保 障 他 们的 权
?法益吗
律 的 执行
怎么了?

Quanti bambini hanno sofferto per questa tragedia? Quanti ancora ne soffriranno? Non esistono organizzazioni e
regolamenti per salvaguardare i diritti e il benessere di questi bambini? Cosa stanno facendo le autorità?

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16. America Centrale: NO alla violenza contro le


donne

27.11.09 - articolo originale di Renata Avila - tradotto da Bernardo Parrella

Nell’intera regione dell’America Centrale sono in corso attività e campagne online per portare all’attenzione generale la
questione della violenza contro le donne. Molte di queste iniziative vanno attirando l’interesse e la partecipazione di
parecchi blogger che riflettono variamente sul tema.

In Guatemala, recentemente è stata rilanciata la


campagna pluriannuale (che va dal 2008 al 2015)
“Uniti per porre fine alla violenza contro le donne”
e Radio Feminista informa sugli eventi in corso nel
programma collettivo Fin a la Violencia [sp].
L’associazione Riprendiamoci la Tecnologia sta inoltre
promuovendo una maratona-blog di 16 giorni [in]
diffondendo nella blogosfera discussioni su temi
connessi alla violenza contro le donne e a modi per
prevenirla tramite l’uso della tecnologia. Chiunque
può coinvolgersi nel progetto [in] e intervenire al
riguardo sul proprio blog, in qualsiasi luogo e
lingua.
Foto di Rudy Girón, ripresa da Antigue Daily Photo con licenza Creative Commons.

Honduras
Quando in qualche parte del mondo scoppiano delle crisi, le donne sono più vulnerabili a subirne la violenza. Ad
esempio, il blog honduregno Género con Clase [sp] ripubblica un articolo di Tacuazina Morales, che parla dell’aumento
dei casi di violenza e brutalità contro le donne avvenuti subito dopo il recente colpo di Stato.

Ciò è parzialmente dovuto alla “situazione di mancata protezione in cui sono venute a ritrovarsi le vittime e alla
debolezza delle istituzioni preposte alla tutela dei diritti umani delle donne.” Secondo Feministas en Resistencia, si sono
registrati circa 400 casi di violenza contro le donne [sp] durante le dimostrazioni contro il colpo di Stato, incluse 23
violenze sessuali, alcune delle quali ad opera dei militari delle forze di sicurezza statali.

Guatemala
Nel confinante Guatemala, l’impunità, che è la mancanza di processo o di punizioni per i colpevoli, è la conseguenza più
seria di questo fenomeno. Secondo il blog Género con Clase fino al 97% dei casi di violenze contro le donne guatemalteche
restano impuniti [sp]. Sul suo blog, il giornalista Montserrat Boix presenta diverse organizzazioni del Paese impegnate
su tale tema, e mette anche in luce la recente Legge contro il femmi approvata nel 2009 [sp].

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Il blogger guatemalteco Ixmucane di Cine Sobre Todo racconta delle donne migranti, particolarmente esposte
alla violenza [sp]:

- Unas de las situaciones en las que las mujeres están más indefensas es en la migración, porque están lejos del círculo
familiar que las proteje, no conocen las leyes y muchas veces tampoco el idioma. Insisto que cuando hablo de migración,
hablo de la migración dentro del país como hacia el extranjero. Y lo peor es que no se quiere defraudar a la familia que se
queda, ya que ellos dependen muchas veces económicamente de ellas.

Una delle situazioni in cui le donne restano senza difesa è quando emigrano, perché si trovano lontano dal circolo
famigliare che le protegge, non conoscono la legge del posto, e molte volte neppure la lingua. Quando parlo di
emigrazione, intendo sia quella all’interno del proprio Paese che fuori. Quel che è peggio, queste donne non vogliono
abbandonare la famiglia rimasta a casa, perchè molti membri di tale famiglia dipendono economicamente da loro .

Nella Chiesa Cattolica [it], la novena [it] consiste principalmente nel recitare preghiere ripetute per nove giorni
consecutivi per chiedere qualche grazia particolare; allo stesso modo, Julio Serrano del blog Fellinada [sp] ha scritto una
serie di nove articoli a mo’ di “novena” per illustrare la complessità della violenza contro le donne. Egli chiede inoltre la
grazia di sostiture la violenza con parole d’amore: come preghiere ha usato nove storie reali di diversi tipi di violenza
contro le donne e conclude il post con questa rifl essione:

Finalmente, no es un golpe bajo hablar del amor en este día, es una postura radical, política, amar es un acto social. Desde mi
masculinidad y reivindicando a la mujer en mí, y a la mujer en el otro, y a las mujeres cercanas y lejanas, a mi mamá, a mi novia,
a mis amigas, a mis hermanos, a mi papá, a mis amigos, y a aquellas tres hermanas y a lo que representan para nosotros hoy, para
ustedes estas palabras llenas de amor

Infine, non è robetta da blog parlare d’amore in questi giorni, ma è una posizione radicale e politica, amare è un atto
sociale. Dalla mia parte virile e da quella vendicativa femminile in me e nelle altre donne, e per quelle donne vicine e
lontane, per mia madre, la mia ragazza, gli amici, i fratelli, mio padre, per quelle tre sorelle e per quanto ci sono care
oggi, per tutti voi, ecco le mie parole piene d’amore

Foto di Rudy Girón, ripresa da Antigue Daily Photo con licenza Creative Commons.

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Rudy Girón del blog Antigua Daily Photo [in] spiega perché dovremmo rifi utare la violenza come qualcosa di normale e
perché dovremmo proporci come parte della soluzione rispetto al problema della violenza contro le donne:

Non voglio sentir dire che i colpi di pistola sono una cosa normale. Mi rifi uto di considerare normali le azioni violente. Non
voglio essere insensibile davanti a qualsiasi manifestazione di violenza. Non voglio vedere pistole sguainate per la strada [in];
davanti alle banche; nei camion che consegnano merci; e nei negozi del Paese. Non voglio esser parte del problema. Non voglio
dire cose che sminuiscono le donne o qualcun altro. Non lo farò. Voglio esser parte della soluzione.

Il mondo è in trasformazione continua, facendo emergere problemi più complessi che vanno risolti, ma grazie a Internet
crescono anche le voci che partecipano alla conversazione e propongono idee per arrivare a delle soluzioni. Anche le
persone più marginalizzate della società, le donne indigene povere, combattono per i propri diritti, come descritto nel
blog Guatemala Solidarity [in], perciò è ora di dire NO alla violenza e SI a una società più paritaria.

> INDICE

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17. Brasile: la sanatoria per gli immigrati illegali


suscita speranze e controversie

03.08.09 - articolo originale di Paula Góes - tradotto da Laura Diel

Il Brasile è stato storicamente un punto di arrivo per persone di svariate


nazionalità [in], un’apertura che ha ha conferito al Paese un carattere variegato e
multiculturale tale da renderlo un vero e proprio melting pot. Mentre in passato
l’immigrazione era una soluzione promossa dal governo per popolare i vasti
territori del gigante sud-americano, negli ultimi anni il fenomeno ha riguardato
immigrati, prevalentemente illegali, provenienti dai Paesi confi nanti, soprattutto
Paraguay, Perù e sempre più spesso Bolivia, emigrati in Brasile per ragioni
economiche e politiche. Anche dalla Cina proviene un fl usso consistente di persone
alla ricerca di opportunità lavorative.

Si ritiene che solo dalla Bolivia arrivino ogni mese in Brasile tra i 1.200 e 1.500
immigrati in cerca di lavoro che vanno a infoltire le schiere dei lavoratori illegali. Si
stima che nell’area metropolitana di São Paulo vivano 200.000 boliviani, la maggior
parte senza documenti. Situazione però prossima a cambiare. Il Presidente Lula da Festa degli immigrati a São Paulo, giugno 2009.
Foto gentilmente concessa da Rita Barreto.
Silva ha varato [in] una nuova amnistia per gli immigrati, che consentirà agli
stranieri irregolari di richiedere un permesso di residenza temporaneo e alla fi ne di ottenere lo status legale in Brasile.

La norma riguarda gli immigrati arrivati prima del


1 febbraio 2009 – entrati illegalmente nel Paese o
rimastivi una volta scaduto il visto – che otterranno
il diritto alla libertà di movimento e al lavoro, oltre
all’accesso a servizi sanitari pubblici, educazione e
strutture legali.

Secondo il Ministero di Giustizia, quasi 50.000 le


persone potranno beneficiare della legge, ma le
organizzazioni internazionali stimano che gli
immigrati eligibili siano 200.000. Anche se solo un
quarto dovessero trarne beneficio, si tratterà
comunque della più grande sanatoria mai
Immigrati andini a São Paulo. Foto gentilmente concessa da Thiago Macedo, aprile 2009.
realizzata in Brasile.

La speranza è che possa cambiare le sorti di chi ad esempio viene sfruttato nei laboratori tessili (sweatshop) [in] - una
cruda realtà di São Paulo. L’obiettivo ultimo è ottenere clemenza e comprensione per gli immigrati brasiliani illegalmente
residenti all’estero: secondo il Ministero di Giustizia i brasiliani che lasciano il Paese sono assai più numerosi delle
migliaia che vi arrivano.

Durante il recente convegno del G8 in Italia, il Presidente Lula, che sta anche facendo una campagna per il
miglioramento e l’“umanizzazione” dello statuto sull’immigrazione del 1980, ha criticato le nazioni ricche per il duro
atteggiamento assunto contro gli immigrati illegali e ha fatto appello alla solidarietà internazionale. Riuscirà il Brasile a
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far capire agli altri Paesi la necessità di trattare meglio gli immigrati? Ariel Pontes [pt] ritiene che il Brasile stia
insegnando qualcosa al mondo:

Enquanto Estados Unidos criam leis e muro entre seu território e do México para impedir estrangeiros de entrar em seu país e
Israel isola comunidade palestina, presidente Lula dá ao mundo demonstração de que é possível vivermos em tempos modernos a
multicultura.

Mentre gli Stati Uniti approvano leggi e tirano su muri tra il proprio territorio e il Messico per impedire agli stranieri
di entrare nel Paese e Israele isola le comunità palestinesi, il Presidente Lula dimostra al mondo che oggi si può vivere
nella multiculturalità.

Fernando Branquinho [pt] elabora ulteriormente la questione:

Em época de crise, onde as oportunidades de trabalho e negócios minguam, a mesquinhez humana aguça preconceitos numa
“ética de bote salva-vidas”, onde a regra é: eu me salvo, você, não! É o caldo cultural onde os fascismos prosperam, e a história
nos mostra que o ápice da direita como ideologia aconteceu após a 1a grande guerra, reforçado pela crise do capitalismo de 1929.
Hoje na Europa o tema que tem elegido direitistas a cada urna aberta é a restrição a estrangeiros. A França tem cotas de expulsão
mensais. A Itália incentiva a deduragem de estrangeiros com a aprovação de uma nova lei que criminaliza a imigração ilegal.

No Brasil, temos uma elite tão retrógrada quanto a que deu o golpe agora em Honduras, e que se manifesta no cotidiano
espumando seu ódio ao “iletrado” presidente Lula, às cotas das políticas de afi rmação racial e às transferências governamentais
como o bolsa-família, Prouni, etc. E temos um governo que, apesar do grande defeito de não ter avançado mais nas conquistas
sociais e de ter sucumbido aos defeitos da política tradicional, acaba de sancionar a anistia a cerca de 50 mil imigrantes ilegais
que se encontravam no país até fevereiro de 2009, humanizando o problema migratório. Na contra-mão da discriminação, o
Brasil se mostra como país acolhedor de imigrantes, dando exemplo ao mundo.

Nei periodi di crisi, quando scemano opportunità d’impiego e d’affari, la meschinità umana acuisce i pregiudizi in
una specie di “etica da scialuppa di salvataggio” dove vige la regola: Io mi salvo, tu no! È il brodo culturale dove
prospera il fascismo, la storia ci mostra come l’ideologia della destra abbia raggiunto l’apice dopo la prima guerra
mondiale, rafforzata dalla crisi del capitalismo nel 1929. Oggi in Europa la questione che porta la gente a votare per i
politici di destra a ogni elezione è quella sulla restrizione dell’immigrazione. La Francia ha delle quote mensili di
espulsione. L’Italia incoraggia la denuncia degli stranieri con l’approvazione di una legge che criminalizza
l’immigrazione illegale [it].

In Brasile, abbiamo un’elite retrograda come quella che recentemente ha realizzato il colpo di Stato in Honduras e che
nella vita di tutti i giorni si preoccupa di fomentare odio contro l’”illetterato” Presidente Lula, contro le quote delle
politiche per l’affermazione razziale [in] e i benefici statali come il sussidio familiare [in], il Prouni [Programma
Università per Tutti], ecc. E il nostro governo, nonostante il grande difetto di non aver ottenuto un maggiore sviluppo
sociale ed essersi piegato ai difetti della politica tradizionale, ha appena fi rmato una sanatoria per quasi 50.000
immigrati illegali entrati nel Paese prima del febbraio 2009, umanizzando così il problema dell’immigrazione. Invece
di discriminare gli immigrati, il Brasile gli accoglie, fornendo un esempio a tutti i Paesi del mondo.

Vitor Vieira [pt] reagisce invece con sarcasmo alla notizia di un’altra amnistia, sottolineando come già in passato in
Brasile ci siano state delle sanatorie, sia nel 1988 che nel 1998, con l’ultima che ha riguardato quasi 60.000 persone:

Estrangeiros de todas as latitudes, podem vir para o Brasil e podem fi car clandestinamente aqui, porque em poucos anos será
feita outra lei legalizando todo mundo. O Brasil é a mãe do mundo. Membros da Yakuza, podem entrar à vontade. Membros
da máfia russa, podem chegar.
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Stranieri da tutte le latitudini possono venire in Brasile e rimanervi illegalmente poiché dopo un paio d’anni verrà
fatta un’altra legge che li legalizzerà tutti. Il Brasile è la madre del mondo. Membri della Yakuza[it], potete venire
quando volete. Membri della mafi a russa, siete i benvenuti.

Anche Maria B [pt] sembra scontenta:

Que país de mierda.Enquanto a Itália torna crime a imigração ilegal, Lula, o bom transforma o Brasil na casa da Mãe
Joana.Estou sendo polida. Até hoje Lula só prestigiou o que não presta.Vamos aguardar o dia que vai privilegiar o que presta…
sentados, por favor

Che Paese di merda. Mentre l’Italia criminalizza l’immigrazione, Lula, il buono, trasforma il Brasile in un bordello.
Per parlare educatamente. Finora Lula ha dato prestigio solo agli inutili. Aspettiamo il giorno in cui darà priorità alle
persone utili….. ma non terremo il fiato sospeso.

Leonardo Sakamoto [pt], blogger che segue da vicino i fenomeni dell’immigrazione e della schiavitù dei nostri giorni,
concorda sul fatto che la legge sia un buon passo nella giusta direzione, ma sottolinea come sia ben lontana dal risolvere
il problema:

A notícia é ótima, mas os problemas para os imigrantes ilegais não serão resolvidos de um dia para noite. Primeiro, porque o
valor não é tão baixo em se tratando de famílias pobres com muitos membros: por exemplo, cinco pessoas terão que desembolsar
R$ 490,00 – o que não é pouca coisa para quem já não ganha quase nada. Além disso, para obter o registro defi nitivo, o
estrangeiro terá que, entre outras coisas, comprovar que está trabalhando. Considerando que muitos estão na informalidade –
como uma parte considerável do resto da população brasileira – quais serão os documentos exigidos? Contracheque fantasma de
oficina de costura ilegal?

É um primeiro passo, mas o ideal seria atingir algo mais profundo, que mude também a forma como vemos a América do Sul e
como a “Sudamerica” nos vê.

Os preços baixos de roupas em ruas de comércio paulistanas como a José Paulino ou a Oriente, que tanto atraem os consumidores
do varejo e do atacado, muitas vezes são obtidos através da redução dos custos no processo de produção. A maior parte dos
funcionários utilizados na confecção dessas roupas é composta por imigrantes latino-americanos em situação ilegal no Brasil.
Bolivianos, paraguaios, peruanos, chilenos formam um verdadeiro exército de mão-de-obra barata e abundante em São Paulo.
Saem de seus países de origem em busca de uma vida melhor em solo brasileiro, fugindo da miséria. Das comunidades latino-
americanas na capital paulista, os bolivianos destacam-se por constituir a mais numerosa. Além disso, encontram-se nas
situações mais graves de exploração e degradação do trabalho humano.

È un’ottima notizia, ma non risolverà i problemi degli immigrati illegali da un giorno all’altro. Innanzitutto perché
l’importo da pagare per la regolarizzazione non è indifferente per le persone povere con famiglie numerose, cinque
persone ad esempio dovranno pagare R$ 490.00 (circa 254 dollari Usa), non poco per chi già non guadagna granché.

Oltretutto, per ottenere il permesso di residenza permanente, gli stranieri devono, tra le altre cose, dimostrare che
stanno lavorando. Considerando il fatto che molti di loro lavorano illegalmente - come d’altronde gran parte della
popolazione brasiliana – quali saranno i documenti richiesti? Buste paga fantasma di laboratori tessili illegali?
È un primo passo, ma si dovrebbe aspirare a ottenere qualcosa di più profondo, che possa cambiare anche il modo in
cui noi vediamo l’America del Sud e quello con cui il “Sudamerica” vede noi.

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I prezzi bassi dei capi d’abbigliamento venduti nelle strade di São Paulo come José Paulino o Oriente, che attraggono
acquirenti al dettaglio e all’ingrosso, sono spesso possibili grazie alla riduzione dei costi di produzione. La maggior
parte della manodopera impiegata per la produzione di questi vestiti è composta da immigrati latinoamericani che si
trovano in Brasile illegalmente. Boliviani, paraguayani, peruviani, cileni formano un vero e proprio esercito di
manodopera a basso costo a São Paulo. Lasciano i loro Paesi di origine per fuggire dalla povertà e alla ricerca di una
vita migliore in terra brasiliana. La comunità latinoamericana più numerosa a São Paulo è quella boliviana. Sono
anche i lavoratori che si trovano nelle peggiori situazioni di sfruttamento e degrado.

Il blogger prosegue spiegando come molti di questi laboratori operino illegalmente in seminterrati nascosti, senza aria
fresca né luce del sole per non suscitare sospetti. Il rumore dei macchinari è soffocato da musica boliviana a tutto volume
e i “dipendenti” sono chiusi a chiave, rivolti verso le pareti senza potersi vedere o parlare, per impedire proteste e
richieste per migliori condizioni lavorative. Essendo clandestini, guadagnano salari bassissimi e vivono con la paura
costante di perdere il lavoro, in alcuni casi i datori di lavoro ne sequestrano addirittura i documenti d’identità, senza
lasciare loro alcuna altra scelta. Al termine di questo lungo, lucido e completo post, Sakamoto [pt] si domanda:
“Dopotutto, cosa vuol dire essere davvero un brasiliano?”

A história de nosso país é uma história de migrações, de acolher gente de todos os cantos do mundo (não tão bem, é claro - São
Paulo, por exemplo, é a maior cidade nordestina fora do Nordeste e, ao mesmo tempo, ostentamos um preconceito raivoso e
irracional). Mas não faz sentido que viremos às costas aos que vêm de fora e adotam o Brasil, mesmo que a contragosto. Eles são
tão brasileiros quanto eu e você, trabalham pelo desenvolvimento do país, mas normalmente passam invisíveis aos olhos da
administração pública e do resto de nós.

La storia del nostro Paese è una storia d’immigrazione, di accoglienza verso gente di ogni angolo del pianeta (non
sempre funziona bene, naturalmente – a São Paulo, ad esempio, nonostante sia la città dove vive il maggior numero
di persone provenienti dal Nordest brasiliano, esistono pregiudizi odiosi e irrazionali nei loro confronti). Ma non ha
senso voltare le spalle a chi viene dall’estero e si stabilisce nel Paese, a volte anche contro la propria volontà. Sono
brasiliani come noi, che lavorano per lo sviluppo del Paese, sebbene siano di solito invisibili agli occhi
dell’amministrazione pubblica e al resto di noi.

Gli immigrati che otterranno il permesso di residenza avranno tutti i diritti dei cittadini brasiliani, fatta eccezione per il
diritto di voto e la possibilità di arruolarsi nell’esercito. La richiesta per la residenza temporanea deve essere presentata
entro 180 giorni dalla pubblicazione della nuova legge e le domande vanno indirizzate al Ministero della Giustizia.

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18. Macedonia: i “Cantori di Skopje”

25.11.09 - articolo originale di Filip Stojanovksi - tradotto da Francesco Gagliardi

I “Cantori di Skopje” (in macedone: Распеани скопјани in alfabeto cirillico eRaspeani skopjani in alfabeto latino), è un
coro amatoriale formato da cittadine e cittadini di Skopje [it] che esprimono attraverso il canto le loro opinioni su varie
questioni sociali. Il coro si raduna ogni domenica in diversi luoghi della capitale della Repubblica di Macedonia e gira un
video musicale da caricare su YouTube, nel canale del gruppo di attivismo civico Ploshtad Sloboda [in, mac] (”Piazza
della Libertà”).

Il coro adotta uno stile umoristico, ben rifl esso nel loro repertorio. In occasione della festa nazionale [in] dedicata alla
Giornata della Lotta Rivoluzionaria Macedone, hanno eseguito la canzone per bambini “Siamo Macedoni” ( Ние сме
M акедонци) [mac] e davanti all’ufficio greco per le relazioni estere (di fatto l’ambasciata greca) hanno eseguito “Dirlada”
(Дирлада) [mac], canzone che parla degli amori estivi di un ragazzo macedone e di una ragazza greca che ha problemi
con il visto d’ingresso.

Su una nota più tetra, i “Cantoridi Skopje” hanno poi eseguito “Uccidimi” ( Убиј ме) della band locale Bernays
Propaganda [in], che include queste parole:

Не сум како тебе,


немам иста боја,
омразата е твоја

Не сум како тебе
затоа у- б- и- ј м- е
убиј, убиј ме.

Non sono come te


Non siamo dello stesso colore
Sei tu a odiarmi

Non sono come te
e allora u-c-c-i-d-i-m-i
uccidi, uccidimi.

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Quanto sopra a commento del pestaggio di studenti


che protestavano in una piazza di Skopje [in]
avvenuto alcuni mesi fa.

L’esibizione più recente del coro


riguarda Lumberjack Song [in] (La canzone del
boscaiolo) dei Monty Python, in risposta
all’abbattimento dei vecchi alberi che costeggiavano
Viale Ilinden, un’iniziativa del sindaco di Skopje che
qualche mese fa ha provocato molto dolore e
scontento [mac] nella cittadinanza.

La fama di questa originale forma di satira sociale si è diffusa


inizialmente grazie ai social media, in particolare tramite
Facebook, e dopo qualche settimane ha attirato anche
l’attenzione delle testate tradizionali: il
quotidiano Dnevnik ha pubblicato un articolo sul coro [mac].

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19. Colombia: tutelare la cultura afro-colombiana


a San Basilio di Palenque

24.11.09 - articolo originale di Caralina Restrepo - tradotto da Beatrice Borgato

Il piccolo villaggio di San Basilio di Palenque [in] si trova


nel nord della Colombia ed è stato fondato da una delle
prime comunità di schiavi africani fuggiti durante la
colonizzazione spagnola. Oggi i discendenti di quegli
schiavi africani si stanno impegnando per preservare le
proprie tradizioni culturali così come il Palenquero [in],
una lingua spagnola di origine creola parlata secondo le
stime da 2.500 persone. Grazie alle storie sulla schiavitù
tramandate di generazione in generazione e alle
tradizioni musicali mantenute vive nel tempo, questo
villaggio fa rivivere l’anima del continente africano in un

Foto di San Basilio de Palenque di Royale_With_Cheese, ripresa con licenza Creative Commons
angolo della Colombia.

Il blog Azadón de Palo ha intervistato M. Elena Salgado, una ragazza residente nel villaggio che risponde alla domanda,
“Come si vive a San Basilio di Palenque?” [sp].

Es un lugar pequeño, donde todos nos conocemos. Somos generaciones de todas las familias, desde las primeras que se refugiaron
en los Montes de María (así se llama la zona que rodea a San Basilio). Nuestras casas son humildes, hechas con material que nos
da la naturaleza; tierra, bahareque, tapia y cemento a la vista. Nuestros techos son de palma y lata, que ayuda a refrescar y
soportar el calor.

È un posto piccolo dove tutti si conoscono. Le nostre generazioni discendono dalle prime famiglie che si rifugiarono
nei Monti di Maria (si chiama così la zona montuosa attorno a San Basilio). Viviamo in case umili, fatte con materiali
che si trovano in natura: terra, mattoni e cemento a vista. I tetti sono di foglie di palma e lamiera che aiuta a
mantenere la casa fresca e a sopportare il calore.

Nelle case riecheggiano le melodie afrocolombiane, ed è proprio partendo dalla tradizione che molti settori della
società rivendicamo il proprio diritto. L’essenza di questo concetto si rafforza come sottolinea il blog Colombian
Passport dove viene pubblicato questo paragrafo sulla loro storia [sp]:

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- Lo que bien se sabe acerca de los colombianos negros es que son las personas descendientes de los que fueron traídos como
mercancía, forzados por las compañías negreras europeas entre los siglos XV y XVIII a todo el territorio de las Américas.

Dei neri colombiani si sa per certo che sono i discendenti di tutti quegli uomini e donne trasportati come
mercanzìa, costretti a lasciare l’Africa per il territorio americano dalle compagnie europee di tratta degli schiavi
tra il XV e il XVIII secolo.

Patricia Quintero Barrera scrive [sp] sul blog Etnicográfica :

- La Afrocolombianidad o Identidad étnica Afrocolombiana es el conjunto de aportes y contribuciones, materiales y


espirituales, desarrollados por los pueblos africanos y la población afrocolombiana en el proceso de construcción y desarrollo
de nuestra Nación y las diversas esferas de la sociedad Colombiana.

Son el conjunto de realidades, valores y sentimientos que están integrados en la cotidianidad individual y colectiva de todos
nosotros y nosotras. La Afrocolombianidad es un patrimonio de cada colombiano(a), indistintamente del color de la piel o el
lugar donde haya nacido.

L’Afrocolombianità o Identità etnica Afrocolombiana è l’insieme dei contributi e apporti, sia materiali che
immateriali, sviluppati dai popoli africani e dalla popolazione afrocolombiana nel corso del processo di
costruzione e crescita della nostra nazione e delle diverse sfere della società colombiana. Sono la somma delle
diverse realtà, valori e sentimenti integrati nella quotidianità individuale e collettiva di tutti/e noi.
L’Afrocolombianità è patrimonio di ogni colombiano/a senza distinzione nel colore della pelle e nel luogo di
nascita.

Infine, sul canale Asabbagh di YouTube trovate il trailer del documentario[sp] che mostra com’è San Basilio di Palenque
oggi, una comunità non a caso dichiarata dall’UNESCO ‘Capolavoro del Patrimonio orale e intangibile dell’umanità’.

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20. Attivismo e maternità in Asia

30.10.09 - articolo originale di Daniel Chandranayagam - tradotto da Luana Rodriguez

Cosa sacrifica una donna per la causa per cui combatte? In che modo i suoi fi gli vengono colpiti dalle persecuzioni nei
suoi confronti? Questo articolo analizza brevemente la vita di donne attiviste che sono anche madri in vari Paesi asiatici.

Irene Fernandez è un’attivista per i diritti degli emigranti e delle donne in Malesia. Per oltre dieci anni, Irene è
stata accusata di ‘diffamazione criminale’ [in] (accusa ora lasciata cadere) per aver pubblicato un memorandum in cui
chiedeva al governo Malese di indagare sulle possibili atrocità commesse nei campi immigrati del Paese.

Oltre ad essere un’attivista, cosa che ha portato al conferimento del Right Livelihood Award 2005, Irene è anche madre di
tre figli, Camverra Jose Maliamauv, Tania Jo e Katrina Jorene, e di molti fi gli adottivi [in]. È difficile immaginare ciò che
passa per la mente di un’attivista come Irene, quando pensa ai propri fi gli. Nel momento della condanna al primo
processo nel 2003, sembra che Irene abbia detto:

Voglio che i miei figli e i figli di tutti coloro con cui lavoro come responsabile di Tenaganita, vivanoin una società
pacifica dove non c’è paura per la violenza di Stato.

Probabilmente il ruolo di Irene come madre è rifl esso al meglio negli occhi della figlia, Katrina Jorene, che ha scritto
quanto segue su Micah Mandate[in] (un blog di fede cristiana che promuove l’interesse pubblico):

Sono orgogliosa di mia madre che mi ha insegnato a prestare sempre attenzione nella vita alla costante ricerca di ciò
che è giusto, vero e corretto. Sono orgogliosa di tutti gli eroi della mia vita, soprattutto quelli della mia famiglia e
della famiglia di Tenaganita [ l’organizzazione guidata da Irene Fernandez]. Sono orgogliosa di tutti quanti hanno
lavorato silenziosamente, senza sosta e con così profonda attenzione per tutti questi anni per far del bene al
prossimo.

Sembra che gli insegnamenti di Irene abbiano spinto almeno uno dei fi gli ad abbracciare lo stesso percorso di
attivista. Ora Katrina scrive articoli che sostengono [in] i diritti e la tutela delle minoranze.

Al contrario di Katrina Jorene, purtroppo Alexander e Kim Aris, fi gli del Premio Nobel Aung San Suu Kyi, non possono
imparare direttamente dalla madre da più di dieci anni. L’amore della Signora Suu Kyi’ per il Myanmar è stata così forte
da farle trascorrere circa quattordici anni imprigionata nella villa sul lago di Yangon, [in], facendo questa scelta per paura
che la giunta militare le impedisse di rientrare una volta uscita dal Paese . Womensphere[in], un blog di e sulle donne,
scrive:

Il marito britannico [di Suu Kyi] e ricercatore a Oxford, Michael Aris, è morto nel 1999 di cancro all’età di 53
anni. La moglie non ha potuto essere con lui in punto di morte - la giunta militare aveva rifi utato ad Aris il
visto d’ingresso e la moglie temeva di non poter rientrare una volta uscita. Inoltre Kyi ha potuto incontrare i
figli, ora più che 30enni, per oltre un decennio.

Poco è stato scritto poco su (o da) Alexander o Kim. Comunque nel 1991 il fi glio più grande della Signora
Suu Kyi, Alexander, ha ritirato il Premio Nobel a Oslo per conto della madre. Di nuovo, guardando
attraverso gli occhi del figlio [in], possiamo capire meglio la Signora Suu Kyi come madre:

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- Aggiungerei, comunque, parlando da figlio, che personalmente credo che la sua dedizione e il suo sacrifi cio
personale l’abbiano resa un simbolo importante per comprendere il dramma del popolo di Burma. E tale dramma
non andrebbe sottovalutato.

Dobbiamo inoltre ricordare che lotta solitaria [di Suu Kyi] nel complesso sorvegliato a vista di Rangoon è parte di
una battaglia più ampia, di livello mondiale, per l’emancipazione dello spirito umano dalla tirannia politica e dalla
sottomissione psicologica.

Sebbene mia madre venga spesso descritta come una dissidente politica che utilizza mezzi pacifi ci per indurre un
cambiamento verso la democrazia, dovremmo tenere a mente che la sua ricerca è puramente spirituale.

Spero che presto mia madre possa condividere questo sentimento e parlare direttamente di persona invece che
tramite me.

Nel frattempo, molte madri attiviste in Asia sono tuttora vititme di persecuzioni. Per esempio, Fan Guijuan, la cui casa si
dice sia stata demolita per il progetto Shanghai World Expo, è stata arrestata a Pechino e rinviata a Shanghai, dove è stata
posta immediatamente in detenzione [in]. Suo figlio non ha un posto dove vivere a causa della demolizione. Nel
frattempo, nelle Filippine, la Dottoressa Edita Burgos, madre di Jonas Burgos, combatte per la giustizia del figlio
attivista [in], che si dice siadesaparecido. La Dottoressa Burgos è presidente dei Desaparecidos (Famiglie dei
Desaparecidos per la Giustizia), organizzazione che chiede giustizia per la moltitudine delle persone scomparse,
elemento simbolo del regime Arroyo [in] .

Infine, in Iran le madri attiviste umanitarie vanno rapidamente trasformandosi in icone globali per i diritti umani in tutto
il mondo. In una silenziosa protesta pubblica, le ‘ Madri iraniane in lutto [in],’ conosciute a Tehran come le ‘Madri di
Laleh,’ cercano pacificamente giustizia per i propri figli morti o imprigionati [in].

“Una madre rimane tale per tutta la vita. ” [in].

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21. Iran: vive online il ricordo dei martiri del


“Movimento Verde”

4.09.09 - articolo originale di Hamid Tehrani - tradotto da Stefano Ignone

Nel
corso
1dalle
manifestazioni
di
contestazione
al
controverso
risultato
delle
elezioni
presidenziali 

che 
 hanno 
 attraversato 
 il 
 Paese 
 lo 
 scorso 
 giugno, 
 sono 
 state 
 dozzine 
 i 
 dimostranti 
 uccisi. 

Su
Neverforget.us
[in],
un
nuovo
sito
multimediale,
è
possibile
trovare
foto
e
brevi
biografie
di 

oltre
70
vittime
della
repressione.
 Una di queste vittime è Neda Agha Soltani [it], spirata con gli
occhi ancora aperti. La sua morte è stata catturata dalle telecamere dei passanti, e diffusa su
Internet. I suoi ultimi istanti di vita, passando dai citizen media ai mass media, sono arrivati a
milioni di persone.

I cittadini iraniani hanno continuato a utilizzare Internet [fa] per immortalare altri martiri del movimento di protesta
(noto come “Movimento Verde”). L’opposizione sostiene [in] che il numero dei manifestanti uccisi sia superiore a 70.
Alcuni deceduti [in] per le torture subite al momento dell’arresto, altri colpiti a morte nelle strade.

A dispetto della segretezza imposta dal Governo, sono così emersi i nomi e i volti dei caduti.

Uno dei biografi che collaborano con Neverforget.us scrive:

Toufanpour, Amirhossein (foto affi anco) 1977-2009.

Amirhossein, padre di una bambina di sette anni, è scomparso il 15 giugno. La famiglia,


sconvolta, che lo aveva cercato per tutti gli ospedali di Teheran senza alcun risultato, è
riuscita a riconoscerne il cadavere tra le foto affi sse all’ufficio del coroner. Tra i segni sul
corpo una profonda ferita alla testa e ferite da arma da fuoco alle braccia, che lasciano
ancora molti dubbi sulle cause della morte.

Anche un altro sito, Green Martyrs, fornisce [fa]


informazioni sui dimostranti uccisi. Ecco un video
in cui si ricordano i martiri e si onora il lutto delle
loro madri:

Mentre osserviamo queste foto e filmati, ci sono


ancora centinaia di prigionieri politici, come il
blogger Mohammad Ali Abtahi [in] che vanno
incontro a un futuro incerto nelle prigioni iraniane.

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22. Guinea: indignazione e dolore dopo il


massacro compiuto dai militari a Conakry

06.10.09 - articolo originale di Claire Ulrich - tradotto da Maria Grazia Pozzi

Ancora sotto lo stretto controllo della polizia,


la Guinea [it] si è lasciata alle spalle il lutto
nazionale per la strage dei civili massacrati la scorsa
settimana dai militari durante la manifestazione [in]
di lunedì 28 settembre contro l’opposizione. Si stima
che 157 dimostranti disarmati (probabilmente molti
di più) siano stati uccisi con armi da fuoco,
accoltellati o bastonati a morte dai soldati dentro e
fuori lo “Stadio del 28 settembre” dove la coalizione
delle forze di opposizione “Forces vives” aveva
indetto una dimostrazione contro il Capo di Stato, il
militare Dadis Camara [it], che punta a candidarsi
alle elezioni presidenziali nel gennaio 2010.
Il filmato mostra i soldati guineani che sparano sui dimostranti a Conakry,
lunedì 28 settembre (ANSA, su YouTube)

Coincidenza tragica, lo stadio prende il nome del giorno in cui la Guinea ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia, il 28
settembre 1958. D’ora in poi verrà ricordato come il secondo monumento commemorativo per le torture e le uccisioni di
massa dopo il famigerato Camp Boiro [it].

Quello stesso giorno, in Europa, il blogger Konngol Afirik esprimeva così la propria rabbia [fr] :

Les responsables du carnage de cette journée noire ont pour nom Capitaine Moussa Dadis Camara, chef de la junte et président
de la République autoproclamé, Capitaine Tiegboro Camara secrétaire d’État chargé de la lutte anti-drogue et du grand
banditisme, Général Sékouba Konaté ministre de la Défense, Jean Claude Pivi ministre chargé de la sécurité présidentielle.
Encore une fois, l’Union Africaine et la CÉDÉAO et les partenaires internationaux se sont révélés ineffectifs devant un offi cier
putschiste prêt à marcher sur des cadavres pour conserver le pouvoir.

I responsabili della carneficina in questa tragica giornata sono il Cap. Moussa Dadis Camara, capo della giunta
militare e presidente dell’autoproclamata repubblica, il Cap. Tiegboro Camara, Segretario di Stato responsabile degli
interventi antidroga e contro il banditismo, il Gen. Sekouba Konaté, Ministro della Difesa e Jean Claude Pivi, ministro
responsabile della sicurezza del presidente. Ancora una volta l’Unione Africana, l’ECOWAS [it] e i partner
internazionali hanno dimostrato la propria incapacità davanti all’uffi ciale golpista che non esita a camminare sui
morti per mantenere il potere.

Il cap. Moussa Dadis Camara, salito al potere con un colpo di stato senza spargimento di sangue nove mesi fa, subito
dopo la morte del dittatore Lansana Conté [in], inizialmente aveva alimentato grandi speranze nei guineani. Ciò perchè
era giovane, aveva ricevuto addestramento militare all’estero (in Germania) e non era coinvolto nella precedente

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dittatura. Come ricorda [fr] Noël Etienne Gnimassou, tecnico in una fabbrica di alluminio a Conakry, sul web del canale
TV di France24, ”Les observateurs”, tale speranza è durata tre mesi:

Le capitaine Camara est incompétent pour le poste. Il s’est contenté de travailler pendant les trois mois qui ont suivi sa prise de
pouvoir : il a lutté contre la corruption, il a mis à la retraite les vieux généraux fi dèles au président Conté et il s’est attaqué au
trafic de drogue. Mais passé cette période, il a commencé à se sentir à l’aise dans le fauteuil de président.

Il cap. Camara è inadatto a quel ruolo. Si è dato da fare nei tre mesi successivi alla sua ascesa al potere: ha combattuto
la corruzione, il traffico di droga e ha mandato in pensione i vecchi generali fedeli al presidente Conté. Poi ha iniziato
a star comodo nella poltrona presidenziale.

Su YouTube, l’utente anonimo ”Dadis Show” [fr] ha


documentato il rapido cambiamento verso la
brutalità della dittatura con una serie di discorsi
ampollosi che hanno alimentato dubbi su un leader
che la rivista Jeune Afrique ha soprannominato il
Capitano Dadis e il Signor Camara [fr].

Lentamente, nei forum dei residenti, dei medici e dei


corrispondenti esteri, sono poi fi ltrate notizie di
stupri brutali, di soldati che cercavano di nascondere
la reale portata del massacro rubando i cadaveri
dalle camere mortuarie degli ospedali o
seppellendoli in tutta fretta sul posto.

Anonymous: J’ai une collègue qui a perdu son neveu, mais d’apres les militaires qui ont répondu a son téléphone portable, la
famille ne récupérera pas le corps. On est confine dans les maisons. C’est vraiment terrifi ant.

Anonimo: una mia collega ha perso la nipote ma stando ai soldati che hanno risposto al cellulare la famiglia non
potrà reclamarne il corpo. La gente è confi nata in casa. È davvero terribile.

Giovedì le voci sono state confermate dall’agghiacciante testimonianza resa all’emittente radiofonica francese RFI da
un soldato coinvolto nel bagno di sangue [fr] per obbedire all’ordine ricevuto.

In un comunicato stampa [fr] il Cap. Dadis Camara nega qualsiasi responsabilità, scaricando le accuse sull’opposizione e
sui soldati: “Neppure il Capo di Stato è in grado di fermare questo movimento”. Resta da vedere chi guida
effettivamente l’esercito, chi ha ordinato di dare la caccia a due corrispondenti di testate estere che “hanno diffuso
un’immagine negativa della Guinea” [in]. La maggioranza di quanti hanno commentato l’evento nei siti web sulla
diaspora [fr] e nei forum guineani[fr] inorridisce di fronte a queste “lacrime di coccodrillo” e considera l’appello
“all’indagine internazionale” e al “governo di coalizione” un altro espediente.

Oumar, un guineano residente all’estero, esorta i connazionali a non aver paura e non smettere mai di volere la pace
per non cadere in trappola [fr]:

Son dernier subterfuge est le gouvernement d’union nationale. Le dictateur sait que si l’opposition accepte de faire partie d’un
pareil gouvernement, la communauté internationale serait embarrassée dans l’application des sanctions. Comment punir des
bourreaux si leurs victimes collaborent avec eux dans un même gouvernement ?Autre idée du chef de la junte pour échapper à la
justice internationale : une commission d’enquête internationale avec à sa tête un « sage africain ». À qui pense t-il quand il

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parle de ce fameux « sage africain » ? Certainement à son mentor Abdoulaye Wade président du Sénégal voisin qui l’appelle
affectueusement « mon fils » et qui est avec Kadhafi le seul Chef d’État africain à l’avoir ouvertement soutenu depuis le début.

L’ultimo pretesto è un governo di unità nazionale. Il dittatore sa bene che qualora l’opposizione accettasse di far parte
di quel governo la comunità internazionale sarebbe perlomeno imbarazzata nell’applicare le sanzioni. Come si fa a
punire i responsabili quando proprio le loro vittime collaborano nello stesso governo? Un’altra trovata del capo della
giunta per sfuggire alla giustizia internazionale: una commissione d’inchiesta internazionale presieduta da un
“africano saggio”. Ma a chi pensa quando parla di questo famoso “saggio africano?” Sicuramente al suo mentore
Abdoulaye Wade, Presidente del vicino Senegal, che gli si rivolge chiamandolo affettuosamente “fi glio mio” e che,
insieme a Gheddafi, è l’unico capo di stato africano ad aver sostenuto apertamente Camara fi n dall’inizio.

Quando finirà questa vicenda? Nell’ambito di un’indagine svolta dalla BBC, l’analista Paul Melly spiega una delle
ragioni [in] per cui la Guinea si è trovata per cinquant’anni stretta nella morsa di una serie di dittature:

Il Paese è ricco di risorse naturali. Non è facile forzare la caduta di un regime solo con le pressioni esterne. Il
[precedente] regime di Lasana Conté è sopravvissuto ad anni di sospensioni degli aiuti europei senza mai
cedere di fronte alle richieste dell’Unione Europea di una riforma politica.

Le proteste in Germania

Intanto, le difficili condizioni della Guinea hanno sollevato un’altra polemica. Quando si è saputo in Germania, dove
Dadis Camara ha seguito l’addestramento militare, che parla tedesco e che sfoggia sempre il distintivo dei paracadutisti
tedeschi [ted] sul berretto rosso dell’esercito, il ministero della difesa ha dichiarato che la formazione di uffi ciali stranieri
in Germania viene promossa dal governo per diffondere la democrazia all’estero [in] e che “non è colpa di Berlino se gli
ufficiali prendono un’altra direzione quando tornano a casa”. L’indignazione si è riversata in dieci pagine e più di
commenti sul sito del quotidiano tedesco Die Welt [ted]:

Angelina: Diesem Schwein sollten alle Titel und Ränge der Deutschen Bundeswehr aberkannt werden,das
Fallschirmspringerabzeichen müßte ihm Frau Merkel persönlich vom Barrett reißen!

A quel maiale bisognerebbe strappare i titoli e i gradi della Bundeswehr tedesca e il distintivo dei paracadutisti, e
dovrebbe farlo personalmente la Sig.ra Merkel!

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23. Tunisia: elezioni imparziali e trasparenti !?

29.10.09 - articolo originale di Lina Ben Mhenni - tradotto da Paolo d'Urbano

Come previsto, il presidente tunisino Zine Al Abidine Ben Ali ha vinto le elezioni per la quinta volta. Quel che ha colto
molti di sorpresa è stata la percentuale: 89.62%. I sondaggi pre-elettorali avevano previsto una vittoria ancora più
schiacciante.

Anche il partito di Ben Ali [it], il Raggruppamento Costituzionale Democratico, ha ottenuto un ottimo risultato. Il partito
di maggioranza ha infatti conquistato 161 dei 214 seggi parlamentari. Gli altri 53 sono stati assegnati a sei partiti diversi:
16 seggi sono andati al Movimento Socialdemocratico; 12 al Partito dell’Unione Popolare, guidato da Mohamed
Bouchiha; 9 seggi all’Unione Democratica [UDU] di Ahmed Inoubli; 8 seggi al Partito Liberal-Socialista; 6 seggi ai Verdi
per il Progresso e 2 per Ettajdid [Rinnovamento] di Ahmed Brahim.

Il partito di Ben Ali ha posto grande enfasi sulla trasparenza e l’imparzialità di queste elezioni. Ma i leader
dell’opposizione e i blogger sono di tutt’altra opinione: secondo loro, infatti, le elezioni presidenziali e legislative tenutesi
lo scorso 25 ottobre sarebbero state caratterizzate da misure repressive e controlli soffocanti sul processo elettorale.

Arabasta [ar] commenta ironico:

‫ﻣﺒﺮﻭﻙ ﻋﻠﻴﻜﻢ ﻣﺎ ﻋﻤﻠﺘﻮ‬

‫ﻧﺘﻮﺟﻪ ﺑﺎﻟﺸﻜﺮ ﺃﻭﻻ ﺇﻟﻰ ﺍﻟﺸﻌﺐ ﺍﻟﺘﻮﻧﺴﻲ ﺍﻟﻠﻲ ﻗﺎﻡ ﺑﻮﺍﺟﺒﻮ ﺍﻹﻧﺘﺨﺎﺑﻲ ﻓﻲ ﻛﻨﻒ ﺍﻟﺪﳝﻮﻗﺮﺍﻃﻴﺔ ﻭ ﺍﻟﺸﻔﺎﻓﻴﺔ ﻭ ﺍﻟﺮﻭﺡ ﺍﻟﺮﻳﺎﺿﻴﺔ ﺍﻟﺒﺎﺭﺡ ﻭ ﺇﻧﺘﺨﺐ ﺭﺋﻴﺲ ﺟﺪﻳﺪ ﻟﻠﺒﻼﺩ ﻭ ﻣﺠﻠﺲ‬
‫ ﺍﻹﺧﺘﻴﺎﺭ ﻫﺬﺍ ﻛﺎﻥ ﻣﺤﻜﻢ ﻭ ﻣﺪﺭﻭﺱ ﻭ ﺣﺘﻰ ﻭﺍﺣﺪ ﻣﺎ ﺣﺎﻭﻝ ﻳﺄﺛﺮ ﻋﻠﻰ ﺍﻟﻌﺒﺎﺩ ﻭ ﺣﺘﻰ ﻣﻦ ﺍﻟﺘﻠﻔﺰﺓ ﻭ ﺍﻟﺼﺤﺎﻓﺔ ﻛﺎﻧﻮ ﻓﻲ ﺍﳌﺴﺘﻮﻯ ﻭ ﻋﻄﺎﻭ ﻭﻗﺖ‬.‫ﻧﻮﺍﺏ ﺃﺧﺮ ﳌﺪﺓ ﺧﻤﺴﺔ ﺳﻨﲔ‬
‫ﻣﺘﺴﺎﻭﻱ ﻟﻜﻞ ﺍﳌﺘﺮﺷﺤﲔ ﻭ ﺍﻷﻧﺼﺎﺭ ﻣﺘﺎﻋﻬﻢ ﺑﻘﻄﻊ ﺍﻟﻨﻈﺮ ﻋﻦ‬
‫ﻗﺮﺑﻬﻢ ﺃﻭ ﺑﻌﺪﻫﻢ ﻋﻦ ﺍﻟﺴﻠﻄﺔ‬

‫ ﺳﻨﻮﺍﺕ ﺃﺧﺮﻯ( ﻭ ﻧﻌﺘﺬﺭ ﻋﻦ ﻋﺪﻡ ﺍﻟﺪﻋﻮﺓ ﻭ ﺍﻟﺘﺼﻮﻳﺖ ﻟﻴﻪ ﻭ ﻧﺴﺘﻨﻜﺮ ﻭ ﻧﺸﺠﺐ‬5 ‫ﻧﺘﻮﺟﻪ ﺑﺎﻟﺸﻜﺮ ﺯﺍﺩﺓ ﻟﺴﻴﺎﺩﺓ ﺭﺋﻴﺲ ﺍﳉﻤﻬﻮﺭﻳﺔ )ﳌﺪﺓ‬

%99،98 ‫ ﻓﻤﻦ ﺍﳌﻌﺮﻭﻑ ﺃﻧﻮ ﻓﻲ ﺣﺎﻟﺔ ﺗﺰﻭﻳﺮ ﺍﻹﻧﺘﺨﺎﺑﺎﺕ ﺍﻟﻨﺘﺎﺋﺞ ﺗﻜﻮﻥ ﻣﻦ ﻧﻮﻉ‬،‫ﺍﻟﺘﺼﺮﻓﺎﺕ ﺍﳌﺸﻴﻨﺔ ﻫﺬﻱ ﺃﻣﺎ ﻧﺬﻛﺮ ﺃﻧﻮ ﻋﻤﺮﻱ ﻣﺎ ﺷﻜﻜﺖ ﻓﻲ ﻧﺰﺍﻫﺔ ﺍﻹﻧﺘﺨﺎﺑﺎﺕ ﻭ ﺣﺮﻳﺘﻬﺎ‬
‫ ﻓﻲ ﻓﺮﻧﺴﺎ ﻭ ﻟﺬﺍ ﻓﺎﻹﻧﺘﺨﺎﺑﺎﺕ ﻫﺬﻱ ﺇﺭﺗﻘﺖ ﺑﻴﻨﺎ ﺇﻟﻰ ﻣﺼﺎﻑ‬2002 ‫ ﻣﺎ ﺗﺒﻌﺪﺵ ﺑﺮﺷﺔ ﻋﻠﻰ ﺍﻟﻨﺴﺒﺔ ﺍﻟﻠﻲ ﺭﺑﺢ ﺑﻴﻬﺎ ﺷﻴﺮﺍﻙ ﻓﻲ‬2009 ‫ﻟﻜﻦ ﺍﳌﻼﺣﻆ ﺍﻟﻨﺰﻳﻪ ﻳﻌﺮﻑ ﺃﻧﻮ ﻧﺘﻴﺠﺔ‬
‫ﺍﻟﺪﻭﻝ ﺍﻟﻌﻈﻤﻰ ﻭ ﺍﳌﺘﻘﺪﻣﺔ‬

Congratulazioni per quanto avete fatto!


I miei ringraziamenti vanno prima di tutto ai cittadini tunisini, i quali hanno compiuto il proprio dovere elettorale
all’interno di un quadro istituzionale democratico e trasparente, allestito ieri per l’occasione. I cittadini hanno scelto
un nuovo presidente e un nuovo parlamento per il Paese, per altri cinque anni. Si è trattato di una decisione
coscienziosa e ben ponderata. Nessuno ha cercato di infl uenzare gli elettori e persino i media nazionali, come TV e
stampa, sono stati neutrali garantendo uno spazio uguale ai candidati ed ai loro sostenitori, a prescindere dalla loro
relazione con il governo.

Inoltre, vorrei ringraziare il Presidente (per altri cinque anni) e scusarmi per non averLo né sostenuto né votato.
Condanno questo comportamento vergognoso anche se non metto in dubbio la neutralità e l’imparzialità delle

elezioni. Come sappiamo, se ci fossero stati dei brogli elettorali il risultato sarebbe stato del 98.99%. Ma un
osservatore obiettivo sa che i risultati del 2009 non sono poi così diversi da quelli francesi del 2002, quando vinse
Chirac. Perciò possiamo affermare che queste elezioni hanno elevato la Tunisia al rango di nazione sviluppata e
democratica.
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Nakhlet Wed El Bey [ar] (La palma sul fiume Bey) ha scritto in dialetto tunisino quanto segue:

‫ﺃﻧﺎ ﻻ ﺃﺷﻜﻚ ﻓﻲ ﻧﺰﺍﻫﺔ ﺍﻟﺘﻤﺜﻴﻠﻴﺔ ﺍﻹﻧﺘﺨﺎﺑﻴﺔ‬

‫ﺁﺵ ﻛﺎﻥ ﻋﻠﻴﻪ ﻟﻮ ﻛﺎﻥ ﺣﻠّﻴﻨﺎ ﺍﻟﻠﻌﺐ ﺷﻮﻳّﺔ‬


‫ﻭ ﻧﺰﻋﻨﺎ ﺍﻷﻛﻤﺎﻡ ﻣﻦ ﺃﻓﻮﻩ ﺍﳌﻌﺎﺭﺿﺔ ﺍﳊﻘﻴﻘﻴﺔ‬
‫ﻹﻧﺘﺼﺮ ﺋﻴﺲ ﺳﺒﻌﺔ ﻭ ﺳﺒﻌﲔ ﻓﻲ ﺍﳌﻴﺔ‬
‫ﻭ ﺍﻧﺘﺰﻋﻨﺎ ﻣﻦ ﻗﻠﻮﺏ ﺍﻟﺮﻋﺎﻳﺎ ﺍﻟﻨﻔﺎﻕ ﻭ ﺍﻟﺴﻜﻴﺰﻭﻓﺮﻳﻨﻴﺔ‬

Non metto in dubbio l’imparzialità e la trasparenza della farsa delle elezioni tunisine.
Ma se fossimo più flessibili e se togliessimo la museruola dalla bocca della vera opposizione,
in questo modo il presidente avrebbe vinto lo stesso, ma con il 77.7%
E noi avremmo rimosso l’ipocrisìa e la schizofrenìa dai cuori di questo Paese

Some Thoughts from Tunisia [ar], dal canto suo, descrive un evento a cui ha assistito poco prima di votare, sul fi nire
della giornata:

.(‫ﻛﻴﻤﺎ ﻗﻠﺖ ﺳﺒﻘﻨﻲ ﻣﺮﺍﻓﻘﻲ ﻟﻠﻘﺎﻋﺔ ﻣﺘﺎﻉ ﺍﻻﻧﺘﺨﺎﺏ ﻭﻛﻴﻒ ﺩﺧﻠﺖ ﺍﻧﺎ ﻧﻠﻘﺎ ﺍﻟﺪﻧﻴﺎ ﺩﺍﺧﻠﺔ ﺑﻌﻀﻬﺎ ﻭﺍﳉﻤﺎﻋﺔ ﻳﺘﻐﺎﻣﺰﻭ ﻋﻠﻴﻪ ﻭﻳﺘﻠﻔﻮﺍ ﻓﻲ ﺍﳉﺮّﺓ )ﻣﺎ ﻓﺎﻗﻮﺵ ﺍﻟﻠﻲ ﺍﺣﻨﺎ ﻣﻊ ﺑﻌﻀﻨﺎ‬
‫ﺻﺎﺭـڨ‬
‫ﺿﻬﺮ ﺍﻟﺴﻴّﺪ ﻣﺎﺯﺍﻝ ﻓﻲ ﺩﺍﺭﻭ ﻭﻫﻮﻣﺎ ﺭﻱـــ ﻟﻮﻟﻮ ﺍﻣﻮﺭﻭﺍ ﻭﺍﻧﺘﺨﺒﻮﺍ ﻓﻲ ﺑﻼﺻﺘﻮﺍ ﻭﺻﺤﺤﻮﺍ ﻓﻲ ﺍﻟﺪﻓﺘﺮ ﻓﻲ ﺑﻼﺻﺘﻮﺍ… ﺁﻳﺎ ﻗﺎﻟﻮﻟﻮ ﻣﺎ ــ‬:‫ﺍﻛﻬﻮ ﻓﻬﻤﺖ ﺁﺵ ﺻﺎﺭ‬
‫ﺷﻲﺀ ﺑﺮّﺍ ﻟﻠﺨﻠﻮﺓ ﺍﺧﺘﺎﺭ ﻭﻣﻮﺵ ﻻﺯﻡ ﺗﺼﺤﺢ )ﺍﻟﻮﺭﻗﺔ ﻛﻠﻬﺎ ﻣﺼﺤﺤﺔ ﻭﻣﺎﻋﺎﺩﺵ ﻓﻤﺔ ﺑﻼﻳﺺ(… ﻫﺎﺫﺍ ﻛﻠّﻮ ﺻﺎﻳﺮ ﻭﺍﻧﺎ ﻭﺍﻗﻒ ﻧﺘﻔﺮّﺝ!! ﺍﻟﺴﻴّﺪ ﻣﺸﻰ ﻟﻠﺨﻠﻮﺓ ﻭﺍﻧﺎ ﻧﺴﻤﻊ ﻓﻴﻬﻢ‬
‫ﻳْﻮَﺷْﻮْﺷُﻮ ﻭﻳﺤﻜﻴﻮ ﺑﺎﻟﺴﺮﻗﺔ‬

‫ﺑﺎﳊﺮﻑ ﺍﻟﻮﺍﺣﺪ‬:

“‫”!!!!…ﻫﺬﺍ ﺍﻟﻌﻤﺪﺓ ﺍﻧﺘﺨﺐ ﻓﻲ ﺑﻼﺻﺘﻮﺍ‬

Come dicevo, un mio amico è entrato prima di me nel seggio elettorale. Quando sono entrato anch’io ho visto i
presenti confusi, alcuni ammiccavano e facevano fi nta di niente (non avevano capito che eravamo insieme).
All’improvviso ho capito tutto: mentre il mio amico era ancora a casa sua, qualcuno ha votato e fi rmato per lui.
Alcune persone gli hanno detto: “Non è successo niente, puoi scegliere i tuoi candidati ma non devi fi rmare. (Tutto il
documento era firmato e non c’era spazio nemmeno per una sola fi rma).
Questo mentre aspettavo il mio turno lì dentro. Il mio amico è andato a votare e ho sentito quegli uomini sussurrare:
L’“Omda” [it] (capo circoscrizione) ha votato al suo posto.

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24. Italia: l'attivismo online infiamma il “No


Berlusconi Day”

18.11.09 - articolo originale di Bernardo Parrella - tradotto da Beatrice Borgato

Il 9 ottobre scorso è stata dichiarata l’incostituzionalità del Lodo Alfano, legge


emanata nel 2008 dal governo di centro-destra di Silvio Berlusconi. La Corte
Costituzionale ha annullato lalegge che garantiva l’immunità alle più alte cariche
dello Stato fino alla conclusione del mandato elettorale.

Questa decisione ha riaperto due processi pendenti, che accusano il Primo Ministro
Berlusconi di falso in bilancio e corruzione. Dopo la decisione della Corte, il Primo
Ministro ha lanciato una campagna mediatica accusando le “toghe rosse”, la stampa
nazionale ed estera e persino il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, di
complotto politico nei suoi confronti.

La scorsa settimana il governo ha approvato un disegno di legge considerato dal centro-destra “la migliore riforma del
sistema giudiziario italiano dal dopoguerra”, mentre la proposta viene ritenuta dall’opposizione, dai magistrati e dai
rappresentanti dei consumatori un’altra “legge ad personam“, ideata per consentire a Berlusconi di evitare nuovamente i
processi penali in corso per corruzione.

Nello stesso giorno del verdetto, il 9 ottobre, un gruppo di blogger, cittadini e intellettuali dichiaratisi “apolitici e
apartitici” hanno lanciato l’idea di una manifestazione nazionale di protesta contro Berlusconi chiedendone le
dimissioni. È stato subito aperto un gruppo su Facebookcon questo motto:

SALVIAMO L’ITALIA, SALVIAMO LA DEMOCRAZIA. BERLUSCONI DIMETTITI.

Sabato 5 Dicembre è stato proclamato il “No Berlusconi Day (NBD)”. L’iniziativa si è diffusa velocemente sul web grazie
a video, blog, e Twitter, così come nelle piazze grazie al passaparola. In poco più di un mese oltre 280,000 persone hanno
confermato la propria partecipazione all’evento del “No Berlusconi Day” nel gruppo principale su Facebook. Hanno
aderito anche i gruppi locali creati dai blogger di molte città italiane e straniere, così come San Francisco e Sacramento
(California), Ottawa e Montreal (Canada), Buenos Aires (Argentina), Londra, Madrid, Vienna, e Istanbul, dove verranno
organizzati nello stesso giorno delle manifestazioni locali.

Dell’iniziativa si sono occupati innumerevoli siti web, così come i maggiori quotidiani nazionali La Repubblica e
il Corriere della Sera. Ieri il quotidiano della sinistra L’Unità ha dedicato diverse pagine all’evento incluso un articolo che
evidenzia il ruolo fondamentale svolto dai media partecipativi in quest’iniziativa “nata dal basso” paragonandola al
movimento di protesta iraniano e finanche all’elezione di Obama negli Stati Uniti. È stata inviata una lettera aperta anche
al Times di Londra [in].

Il testo dell’appello, finora tradotto in 11 lingue incluso arabo, turco e serbo-croato, spiega fra l’altro:

Il gruppo del No Berlusconi Day è formato da una ampia rete informale e globale di cittadini comuni che abbracciano
diverse ideologie politico-culturali. I coordinatori non vengono pagati e non possiedono alcuna tessera di partito…
Sebbene il gruppo del No Berlusconi Day sia apolitico, l’evento ha ricevuto contributi pubblici e fi nanziamenti da

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alcuni attivisti di spicco, incluso Salvatore Borsellino, fratello del noto magistrato anti-mafi a Paolo Borsellino
assassinato da un’auto-bomba nel 1992.

Anche Beppe Grillo, che l’anno scorso ha lanciato una popolare campagna(da alcuni ritenuta ‘populista’) contro la
corruzione e l’illegalità dei precedenti governi italiani, ha annunciato il sostegno al No Berlusconi Daysul proprio sito
web, raccogliendo più di 1300 commenti, la gran parte dei quali d’accordo con la sua posizione:

“Mi sono rotto i coglioni di Berlusconi”. Ditelo in pubblico, al bar, al ristorante. Gridatelo in radio, ai semafori,
scrivetelo ai giornali, inviate mail ai siti italiani e internazionali, alle caselle di posta dei deputati, dei senatori. “Mi
sono rotto i coglioni di Berlusconi”. E’ mai possibile che gli italiani, anche quelli rincoglioniti dalle televisioni, non
abbiano un moto di rigetto, un conato di vomito a vedere la Repubblica Italiana trattata come una zoccola? Il Grande
Corruttore ha corrotto forse ogni coscienza? Tutto ciò che ha toccato nella sua vita si è corrotto, decomposto. E’ lui
l’H1N1 della nostra democrazia.

Il principale gruppo Facebook raccoglie un continuo fl usso di nuovi commenti:

Giacomo
Spataro: GIORNO 5/12.. TUTTI I NEGOZI CHIUSI…bandiere viola fuori…e tutti a roma….

Diritto Di Parola: La manifestazione si potrà definire APARTITICA e nata ed organizzata dal basso solo se i partiti
non esibiranno i propri simboli. Non raccontiamoci frottole :) W il 5 dicembre voluto dai cittadini !!!! Scendiamo tutti
in piazza a manifestare per le dimissioni di Berlusconi !!!

Daniele Nuzzo: Per fare Carpooling per andare a Roma dividendo le spese.

Gli organizzatori del No B-Day hanno scelto il colore viola per identifi care il movimento, spiegando che “il viola non è
solo il colore del lutto ma anche quello dell’energia vitale, dell’autoaffermazione”. Sono così nate varie idee creative su
Facebook:

Utilizza quest’immagine per il tuo profilo o per una maglietta:

Mentre sono in corso riunioni e meet-up in tutto il Paese, il tam-tam


elettronico continua a diffondersi anche via Twitter. Il 31 ottobre i primi
volontari sono scesi per le strade in molte città per cominciare a informare
la gente sull’evento in vista. Ecco un video girato nel centro di Roma, nel
quale un giornalista di PdCI-TV ha intervistato in diretta gli attivisti.
Nessun partito politico ha formalmente appoggiato la protesta, con
l’eccezione di Antonio di Pietro e Paolo Ferrero (leader rispettivamente
diItalia dei Valori e Comunisti Italiani), che hanno confermato la loro
partecipazione al corteo di Roma. Davvero la gente scenderà in massa
nelle piazze? Per chi è ancora in dubbio, il video “Joker Silvio” qui
affianco, spiega i “10 motivi per cui i cittadini dovrebbero partecipare
al No B-Day, un evento nato e promosso quasi esclusivamente sulla Rete”.

> INDICE

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25. Iraq: da Baghdad a Mosul, tra colpi di


mortaio, schede elettorali e tanta speranza

10.03.10 - articolo originale di Salam Adil – tradotto da Stefano Ignone

Queste elezioni preludono a una nuova era di stabilità politica, o resterà tutto più o meno uguale [a prima]? Nel giorno
delle elezioni legislative, i blogger iracheni discutono delle proprie paure e speranze. Ma prima…

Se questa settimana vuoi leggere solo un post, leggi questo

Alla vigilia elettorale, Sunshine descrive i suoi auspici per il futuro [in]:

Siamo così stanchi di vivere nel terrore, non vogliamo perdere altre persone care. Questa guerra è stata sanguinosa,
ora voglio solo che finisca e che non rimanga nient’altro che un brutto ricordo… Mi chiedo se i miei parenti all’estero
torneranno mai.

Non vedo la mia unica zia da cinque anni, e i cugini


nemmeno mi conoscono… gli iracheni rivogliono
indietro le proprie vite. Non vedo l’ora di svegliarmi,
un giorno, aprire le tende della camera e vedere il
mio quartiere pieno di vita, al posto della città
fantasma che c’è ora… aspetto con ansia il giorno in
cui potremo togliere le tavole di legno che abbiamo
affisso alle finestre, e mi domando sempre se io e gli
altri iracheni riusciremo mai a sentirci meglio…
coltivo così tante speranze e progetti per un giorno
simile, mi chiedo sempre quando arriverà. Voglio
ricevere buone notizie sulla ricostruzione del Paese,
sullo sviluppo e l’evoluzione dell’economia, e non
Sunshine fotografa le sue dita sporche d’inchiostro [in] facendo il gesto della vittoria.
aggiornamenti quotidiani sul numero dei morti…

[La blogger prosegue scrivendo] della campagna di terrore in corso contro tutti cristiani nella sua città, Mosul:

Perché tutto ciò? Chi sta tramando per costringere i cristiani ad andarsene? I partiti politici si fronteggiano a vicenda,
e le vittime sono queste persone innocenti… la colpa di questi omicidi, di questo terrore diffuso, è delle elezioni:
vogliono costringere i cristiani a ritirarsi nelle campagne, impedendo loro di esercitare il diritto di voto…

Ciò che mi fa infuriare e che trovo frustrante è che quando si tengono i funerali degli sciiti, il Paese dichiara
l’emergenza nazionale, e invia molti soldati a proteggerli, introduce procedure di sicurezza molto rigorose. Invece il
governo non assicura lo stesso trattamento ai cristiani, che vogliono solo andare avanti con le proprie vite, giorno per
giorno, andare a scuola o lavorare normalmente… è talmente ingiusto!

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Cosa si dice per strada

Baghdad Dentist ci parla [in] della sua città nel giorno delle elezioni:

Ieri sera era vietata la circolazione delle automobili, e molte strade che portano ai seggi elettorali erano
chiuse con il filo spinato, [sorvegliate] da veicoli dell’esercito. [All’apertura dei seggi] ci sono state molte
esplosioni, a Baghdad. Le notizie parlavano di un’ondata di attentati: colpi di mortaio su diversi distretti
della città come Adamyah, Al-adil, Palestine street, Ur e molti altri posti. Baghdad non è sicura…
Nonostante la paura di recarsi a votare, per fermare la violenza gli iracheni insistono con la democrazia, e
scelgono [loro connazionali], come rappresentanti.

Nibras ha votato e si è sentito magnificamente [in]:

La cosa migliore [del votare] è quanto sembri una cosa normale: le elezioni sono ormai routine, un evento comune.
Non è poco per un Paese col passato dell’Iraq, e con le sfi de attuali… Si è trattato di un fallimento logistico dei
jihadisti: quasi nessun attentatore-suicida e nessun cecchino, nei pressi dei seggi elettorali. I colpi di mortaio da
lontano sono un’intimidazione da nulla. Certo non hanno spaventato gli elettori.

Ladybird è andata a guardare [in] il “circo” elettorale in un seggio elettorale predisposto in Olanda, e riferisce:

Ho notato che sono molte le persone che hanno deciso di votare per partiti laici, in particolare per la lista di Allawi,
Al-Iraqiya, ma ci sono anche dei sostenitori di Maliki… La fi la era lunga, si aspettava dalle quattro alle cinque ore.
Ho lasciato il seggio alle 17.00 e la fila era di circa un chilometro. Da ciò che leggo, e da quanto ho visto, mi pare che
Maliki e Allawi finiranno in un testa a testa.

Il gruppo editoriale McClatchy offre le maggiori informazioni da tutto l’Iraq, nel suo blog dei giornalisti [in].

Paure e Speranze

Layla pensa [in] che il risultato parziale permetta di essere ottimisti, ma si aspetta molti brogli. La netizen aggiorna
su Twitter [in] i risultati man mano che li ascolta, e conclude così:

Si tratta di un’immensa sconfitta MORALE per i partiti sciiti, e in particolare per Maliki… inoltre, [i risultati]
dimostrano ciò che vado dicendo da quattro anni - e cioè che essenzialmente [noi iracheni] siamo un popolo
secolarizzato e nazionalista. Si tratta INOLTRE di una sconfi tta simbolica per l’Iran e per i piani STATUNITENSI, del
piano con cui ci hanno occupato in modo brutale e criminale, dividendoci secondo le affi liazioni settarie … ti amo,
Iraq.

Dopo aver monitorato con costanza [i risultati], la blogger dice di non poterne più [in]:

Devo uscire dall’atmosfera [elettorale]. Non sono tranquilla, a pensare a ciò che accadrà quando verranno diffusi i
risultati definitivi… è una sensazione viscerale… devo staccare, staccare completamente…

Neurotic Wife non ha votato [in], spiegandone motivazioni sotto forma di lettera al padre defunto:

Mi dispiace, ma non c’è nessuno [tra i candidati] che ritengo possa migliorare la vita degli iracheni. Tutte le promesse
che queste persone dichiarano di poter realizzare in Iraq sono false. Tutti partecipano alla competizione elettorale
solo per soddisfare il proprio ego. Il proprio ego e i propri bisogni… Sì, papà, so che non sei d’accordo. So che hai
sempre avuto speranze, GRANDI speranze… ma papà, non ci sono uomini onesti, là fuori, credimi. Le loro parole
hanno smesso di significare alcunché, per me. Perché lo so, lo so che l’Iraq che hai conosciuto tu non tornerà mai più.

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Non ora, né durante la vita dei miei figli, né mai. E no, non sono pessimista, come eri solito defi nirmi, sono solo
realista.

Sono molte le persone che dicono che questo è un momento storico. Ma quale storia? Defi niremo momento storico
ogni elezione? È’ qualcosa che non riesco a capire. Che tipo di storia stanno facendo? Cosa leggeranno [nei libri di
storia] i miei figli, quando cresceranno? Iraq, il Sogno Infranto? Centinaia di migliaia di persone rischiano la vita in
nome della Speranza. E forse è la Speranza, l’unica cosa che gli rimane. Ma per me questo non è altro che la
ripetizione di un fallimento totale. Scusa, papà, non voglio farti arrabbiare, ma tu ci hai insegnato a dire sempre ciò
che pensiamo, e la penso proprio così.

Sunshine non potrebbe essere più in disaccordo [in]:

Quante volte pensiamo a noi stessi, alle cose che dobbiamo fare, e usiamo la parola “io”, in un solo giorno? Sarebbe
meraviglioso che, in una giornata come questa, la gente dicesse “Iraq”, piuttosto, e anteponesse il benefi cio della
comunità al proprio, perché non c’è nulla di più importante, oggi, che votare per costruire un futuro migliore per noi
e le nostre famiglie… Tutti i miei parenti a Baghdad ed a Mosul, in Iraq come all’estero, hanno votato, e così i miei
amici, anche quelli che erano titubanti hanno deciso di votare, dopo che ho insistito… Sono talmente orgogliosa degli
iracheni che hanno votato e di quelli che ancora devono votare…

Hammorabi coltiva la stessa speranza [in] per il futuro, ma [è meno otttimista]:

Le ingerenze di altri Paesi, come Iran e Arabia Saudita, l’assenza di un piano da parte delle truppe straniere
per lasciare un esercito iracheno forte, in grado di proteggere i confi ni iracheni, di garantire la sicurezza
interna, e molti altri problemi… tutti questi, e altre questioni ancora, ci restituiscono un Iraq debole e
corrotto… Oggi la maggior parte degli iracheni è andata a votare in cerca di un cambiamento che sperano
deriverà da queste elezioni, perché ne scaturisca un Governo e un Parlamento depurati dalle ideologie
settarie, che dovrebbero adottare il bene dell’Iraq come primo obiettivo, e non gli interessi di altri Paesi.
Riteniamo che un qualche tipo di cambiamento possa verifi carsi, [ma sappiamo anche] che la magia non
esiste.

E per concludere:

Vivendo negli Stati Uniti, Iraq the Model ha avuto esperienze leggermente diverse [in], riguardo le elezioni:

Nel dicembre 2005 siamo andati a piedi da casa al seggio elettorale (che era anche la scuola dove andavo da
bambino) accompagnati dalla colonna sonora dei mortai e dei colpi d’arma da fuoco. Certamente, quella
camminata di dieci minuti era intrisa di paura e preoccupazione, ma anche di tanta speranza e orgoglio.
La mia passeggiata al seggio elettorale, questa volta, sarà molto meno interessante, perché mi basterà
prendere la linea arancione da Arlington al seggio, che tra l’altro è nell’Hotel che prima o poi diventerà di
proprietà di Paris Hilton.

Sì, è un pò più noioso, così.

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26. Italia: giornata senza immigrati: “I mandarini e


le olive non cadono dal cielo”

01.03.10 - articolo originale di Davide Galati - tradotto da Davide Galati

Oggi, lunedì 1° marzo, si svolge la prima giornata di sciopero dei lavoratori stranieri nella storia d’Italia. Analoghe
manifestazioni di protesta non violente sono programmate per lo stesso giorno in Francia [fr], Spagna[sp] e Grecia [gr].

In Italia, il comitato organizzatore Primo Marzo 2010 (costituito da attivisti della società civile, giornalisti e imprenditori
immigrati) ha diffuso la proposta attraverso gli strumenti online sin dal novembre scorso, attraverso un blog dedicato e
numerosi gruppi locali su Facebook. Così il comitato presenta l’evento:

Cosa succederebbe se i quattro milioni e mezzo di immigrati che vivono


in Italia decidessero di incrociare le braccia per un giorno? E se a
sostenere la loro azione ci fossero anche i milioni di italiani stanchi del
razzismo? Primo marzo 2010 si propone di organizzare una grande
manifestazione non violenta per far capire all’opinione pubblica italiana
quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al
funzionamento della nostra società. Questo movimento nasce meticcio
ed è orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde
generazioni, e chiunque condivida il rifi uto del razzismo e delle
discriminazioni verso i più deboli.
Il colore di riferimento di Primo marzo 2010 è il giallo. Lo abbiamo
scelto perché è considerato il colore del cambiamento e per la sua
neutralità politica: il giallo non rimanda infatti ad alcuno schieramento
in particolare.

Peggioramento delle relazioni

Nel corso dell’ultimo anno le condizioni di vita dei migranti che risiedono in Italia o che cercano di entrarvi sono
peggiorate. Si sono verificati diversi episodi emblematici. In maggio, il rifiuto di accettare 227 africani che, attraverso il
Canale di Sicilia, cercavano di sbarcare a Lampedusa. In luglio viene approvato dal Parlamento un severo decreto legge
sulla sicurezza, con l’introduzione del reato di clandestinità.

Sulla percezione comune degli immigrati in Italia, Mauro Biancaniello scrive su Facebook:

L’Istat conferma dei dati di cui molti di noi erano già convinti: l’immigrato non è il criminale che lo si dipinge, ovvero
che, come abbiamo visto, il reato principalmente commesso è la violazione sulla legge dell’immigrazione […].
L’immigrato (regolare o non), non è un santo. Ebbene sorpresa: nemmeno l’italiano è pronto per la beatifi cazione.

Il momento più difficile coincide probabilmente con la cosiddetta rivolta di Rosarno, in Calabria, tra il 7 e il 9 gennaio
2010: dopo l’assalto a tre braccianti africani da parte di sconosciuti, scatta la furiosa reazione degli immigrati con
conseguenti, violente, rappresaglie dei residenti locali. Dietro agli avvenimenti si può intravedere la mano della
‘ndrangheta, mentre il governo egiziano ha uffi cialmente protestato [fr] con l’Italia per l’episodio.

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Questo il documentario Rosarno: il tempo delle arance, di Nicola Angrisano:

Giuseppe Civati, blogger e politico,


pubblica invece un’infografica che
mostra attraverso una mappatura la
dipendenza del Nord Italia dai
migranti. E che illustra la domanda
che si pongono molti: è possibile
immaginare un’Italia senza i lavoratori
immigrati?

I cittadini si uniscono

I musicisti sono stati invitati a


comporre in maniera collaborativa una
colonna sonora per il primo marzo. La
band Reagenti Limitanti presenta un
nuovo video su YouTube, e tanti
altri artisti si impegneranno in
esecuzioni dal vivo.

A Roma si terrà in piazza Montecitorio un incontro aperto sulla ‘geografi a dell’esclusione’ durante la crisi economica,
con le Lezioni di clandestinità. Queste le loro intenzioni:

Fare della nostra clandestinità la nostra ricchezza, rivendicare la nostra eccedenza e mettere in comune le nostre

esperienze e i nostri saperi [per] renderci visibili e prendere parola contro le politiche e le retoriche razziste, contro lo
svilimento del mondo della formazione, contro la precarizzazione delle vite.

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Un documentario della rivista Carta, dal titolo In Between, sta avendo larga diffusione in vista dell’evento.
Intervengono giovani di sei diverse nazioni europee che raccontano le proprie esperienze, la quotidianità in cui
devono fare i conti tra la cultura del Paese in cui vivono e quella del Paese da cui provengono le loro famiglie:

Nove città europee di sei differenti Paesi. In ognuna di queste città, alcuni
giovani, figli di migranti, raccontano le proprie esperienze, le proprie
sensazioni e ricordi, il loro modo di percepirsi e di essere percepiti, la loro
quotidianità e le sue sfide. Italia, Francia, Germania, Olanda, Portogallo,
Spagna. Nonostante le diversità, tutti i protagonisti del video si raccontano
in una situazione che li accomuna: persone che si trovano nel mezzo,
portatori di un’identità di confine che li colloca fra il paese da cui
provengono i loro parenti e quello dove vivono, seconde e poi terze e poi
enne-esime generazioni, sempre ri-conosciuti solo a partire dalla loro
provenienza.

Attivisti e cittadini della Rete sono impegnati nella preparazione dell’importante manifestazione di oggi. Sono
in programma grandi e piccoli eventi in tutto il Paese. Questa mappa Google predisposta dagli organizzatori
del Primo marzo 2010 evidenzia quanto siano numerosi i comitati locali, mentre una Web-TV trasmetterà uno
speciale di 24 ore concentrato sull’evento.

Terre Libere, piattaforma di comunicazione online che si dedica alle minoranze e all’attualità, diffonde un appello scritto
dai lavoratori africani di Rosarno:

Non siamo venuti in Italia per fare i turisti. Il nostro lavoro e il nostro sudore serve all’Italia come serve alle
nostre famiglie che hanno riposto in noi molte speranze. I mandarini, le olive, le arance non cadono dal
cielo. Sono delle mani che li raccolgono.

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27. Haiti: mappe online per informare e indirizzare


al meglio gli aiuti

18.01.10 - articolo originale di Marc Herman - tradotto da Tindaro Cicero

Parliamo qui di una serie di mappe che i soccorritori stanno usando per comunicare l’evoluzione della situazione nella
zona di Haiti colpita dal terremoto. A quasi una settimana dal disastro — e dopo scosse di assestamento vicine alle
precedenti scosse di maggiore intensità — le mappe e le immagini via satellite si stanno dimostrando la fonte di
informazione disponibile più affi dabile.

Il Network di Ushahidi [in] ha creato una mappa interattiva assai dettagliata [in] con informazioni su problemi vari,
persone che necessitano assistenza, cure mediche, cibo e disponibilità di altri generi di prima necessità. La mappa viene
continuamente aggiornata non appena le informazioni vengono ricevute dalla rete di Ushahidi, o tramite Twitter e dal
modulo sul Web form. Erik Hersman di Ushahidi ha spiegato via email che il sistema sta elaborando soprattutto
comunicazioni in Rete e via Twitter, perché nei primi giorni dopo il terremoto in buona parte della regione meridionale
di Haiti i ripetitori non funzionavano. La situazione sta cambiando e ora è la telefonia cellulare, molto più diffusa, “a
fornirci le maggiori informazioni.”

Crisis Commons [in], rete di professionisti in tecnologia che crea strumenti per le emergenze umanitarie,
ha annunciato [in] il recente avvio del progetto per mappare gli aiuti umanitari [in] e per generare una mappa di
riferimento specifica per la crisi [in] della capitale di Haiti, Port-au-Prince, in modo che le organizzazioni umanitarie
possano usarla come riferimento.

Nella città di New York, la New York Public Library ha una serie di mappe online [in] per localizzare i centri dove
possono trovare rifugio i sopravvisuti. Un secondo gruppo di mappe identifi ca le aree e gli edifici danneggiati [in].
Anche queste mappe vengono continuamente modifi cate e aggiornate.

Molte altre immagini non sono interattive, ma probabimente offrono una visione più generale della situazione. Questa
immagine [in] del Center for Satellite Based Crisis Information [in] misura le distanze che separano l’epicentro del sisma
dai luoghi dove viveva la popolazione prima del terremoto, nella regione meridionale di Haiti. I diversi colori indicano
la densità di popolazione.

Secondo la mappa, lo stato di Leogane, sebbene in molti notiziari non sia stato riportato per nome, è stato l’epicentro del
sisma, e include numerose aree densamente popolate. Carrefour, un grande sobborgo di Port-au-Prince, si trova sul
confine dello stato di Leogane. La città di Jacmel, sulla costa, anch’essa nello stato di Leogane, ha subito gravi danni.
Strade interrotte e ponti crollati rendono diffi cile l’arrivo dei soccorsi nella zona, che si trova più vicina all’epicentro del
sisma che a Port-au-Prince.

Il Servizio Geologico statunitense ha organizzato le informazioni in una mappa di facile lettura [in] che include le varie
città divise per numero di abitanti e secondo l’intensità del sisma. In tal modo consente di capire rapidamente quante
persone vivevano nei luoghi maggiormente colpiti dal disastro. L’ente ha inoltre pubblicato una mappa dei resoconti sul
terremoto ricevuti per telefono [in]. Mette a nudo le percezioni della gente che chiamava per raccontare quanto
succedeva.

Il New York Times ha creato una mappa tridimensionale [in] estrememamente utile per capire dove si trova Port-au-Prince
in relazione alla geologia di Haiti. Mostra la città in un piano costiero ai piedi di una catena montuosa che ostacola

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l’arrivo dei soccorsi. La mappa del Times illustra inoltre molto chiaramente la posizione di numerosi quartieri dove
stanno arrivando cure mediche e scorte di alimenti, e dove a fatica si rendono disponibili i primi campi profughi.

Immagini dal satellite sono disponibili qui [in]. Tali immagini vengono comparate con quelle di Port-au-Prince e dintorni
prima del terremoto,come in questo caso [in].

Le immagini dal satellite sono in grado di quantifi care i danni e le necessità in aree ancora prive di comunicazioni
affidabili. In teoria, le immagini notturne dovrebbero poterci dire qualcosa di simile in merito all’elettricità, alla
disponibilità di corrente, e forse al combustibile. Ma pur se utilizzate, immagini di questo tipo non sono ancora state rese
pubbliche.

La minifoto usata in questo post, Day 15 - Small World [in], è di kylebaker, usata sotto licenza Creative
Commons [in]. Visitate la pagina di kylebaker su Flickr [in].

Lo speciale di GV su Haiti è in continuo aggiornamento in inglese [in] e in italiano [it].

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28. Canada: allarmante il tasso di suicidio tra i


giovani indigeni

20.01.10 - articolo originale di Juhie Bhatia - tradotto da Laura Diel

I Giochi Olimpici invernali 2010 si terranno il prossimo mese a Vancouver e l’evento sarà rappresentato da un
simbolo indigeno [in]. Il logo [in] dei Giochi è, infatti, un moderno inukshuk: una scultura in pietra usata come punto di
riferimento dalle popolazioni Inuit del Canada, che a detta degli organizzatori è un simbolo di amicizia e speranza. Ma la
speranza è proprio quello che sembra mancare a molti giovani indigeni del Canada, che mostrano ancora un livello
allarmante di suicidio, una situazione che in alcune comunità appare davvero critica.

Negli anni il tasso di suicidio è diminuito in Canada, ma non tra gli aborigeni, pur esistendo notevoli differenze tra le
diverse comunità. Il tasso di suicidio [in] tra i giovani delle Prime Nazioni [it] è da cinque a sette volte superiore a quello
dei giovani non autoctoni e i tassi tra i giovani Inuit [it] sono tra i più alti nel mondo, undici volte la media nazionale. Si
ritiene che il problema sia in realtà ancora più grave, poiché di solito non tutti i gruppi indigeni sono contemplati dalle
statistiche.

Sono molti i fattori che contribuiscono [in] a questo tragico fenomeno, come l’isolamento, la povertà e la mancanza di
alloggi adeguati, cure mediche, servizi sociali e altri servizi di base. Nel suo blog Sweetgrass Coaching, Richard
Bull ritiene responsabili [in] anche il dolore e l’impotenza causati dalla colonizzazione:

“Non si può comprendere il suicidio dei nativi senza prendere in considerazione la colonizzazione. Come persone
indigene dobbiamo renderci conto che prima dell’invasione europea non avevamo tassi di suicidio esorbitanti (il
termine ‘contatto’ è troppo blando per descrivere quanto accaduto in realtà).

Quando la società canadese afferma che siamo malati, è come se un killer psicopatico dicesse a qualcuno che ha
cercato ripetutamente di strangolare che dovrebbe fare qualcosa per i segni sul collo e visitare uno psichiatra per gli
incubi ricorrenti e la scarsa autostima”.

Nello specifico, alcuni blogger puntano il dito contro le scuole residenziali[in] del Canada, un sistema finanziato a
livello federale e gestito dalla Chiesa che ha separato i bambini indigeni da famiglie e comunità per aiutarli a
integrarsi nella cultura euro-canadese. Dal XIX secolo fi no agli anni ’70, oltre 150.000 [in] bambini indigeni sono stati
costretti a frequentare queste scuole cristiane. Si è in seguito scoperto che molti di loro hanno sofferto abusi fi sici,
emozionali e sessuali. Nel giugno 2008, il Primo ministro Stephen Harper ha chiesto pubblicamente scusa [in] a nome
del governo canadese e dei suoi cittadini per il sistema scolastico residenziale.

Sul blog Anishinawbe Blog, Bob Goulais afferma [in] che non si devono sottovalutare gli effetti multi-generazionali delle
scuole residenziali.

“Molti dei sopravvissuti alle scuole residenziali e le loro famiglie non hanno nessun’altra identità oltre alla propria
chiesa e quanto hanno appreso a scuola. Senza un’identità e senza essere accettati, vengono confi nati ai margini della
società. Sebbene questa generazione sia probabilmente meno discriminata, grazie al maggiore accesso ai programmi
sociali e alle numerose vittorie in campo politico, legale e dei diritti, il danno nei confronti delle generazioni passate è
ormai stato perpetuato. I genitori non sanno come svolgere il proprio ruolo. Le famiglie non sanno come amare…

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…per troppi giovani, il suicidio è l’ultima via d’uscita. Lo vediamo sempre più spesso nelle comunità settentrionali
più remote. Quella è davvero la realtà più triste. Non riesco a immaginare quanto debba essere brutta la vita perché
un ragazzino Cree di dodici anni arrivi a impiccarsi con l’altalena del centro ricreativo. Per non avere l’amore di cui
ha bisogno….per non avere speranza. Sapere che non è stato il primo e che non sarà l’ultimo”.

Per combattere il fenomeno del suicidio tra i giovani indigeni, è stato lanciato [in] ad aprile 2008 il Honouring Life
Network [in] fondato da Health Canada. Il sito contiene tra le altre cose risorse per i giovani e gli assistenti giovanili, un
blog [in] e le storie personali di giovani nativi. In questo racconto personale [in] un giovane narra come la morte del
fratello maggiore lo abbia spinto lui stesso a pensare di togliersi la vita.

“Il giorno del secondo anniversario dalla sua morte, non ce la facevo più a sentirne la mancanza. Mi sono alzato
molto presto la mattina per recarmi a piedi fi no all’area del picnic vicino al lago. Un altro ragazzo si era impiccato lì
non molto tempo prima. Era come se volessi vedere per l’ultima volta il lago.

Lì fuori però c’era il mio vicino di casa e ha iniziato a parlarmi e credo si fosse reso conto che qualcosa non andava.
Ha continuato a parlare e parlare e poi ha svegliato i miei genitori. In realtà non ho mai detto loro cosa avessi
intenzione di fare, ma in qualche modo l’intuivano. È stato un forte shock per tutti noi e ci ha aperto gli occhi.
Abbiamo iniziato delle terapie tradizionali, io e mio papà ad esempio abbiamo cominciato a fare le saune cerimoniali
con gli altri uomini. Non ne parlerò perché sono faccende private. Mia madre invece si occupa di bruciare la salvia e
la mirra, impuzzolentisce tutta la casa, ma va bene così, perché è tornata a comportarsi da mamma”.

Lo scorso autunno, su Honouring Life Network è stato annunciato un concorso video, invitando i giovani nativi a inviare
un breve filmato sul tema della prevenzione e della consapevolezza del suicidio. I fi lmati inviati possono essere visti
su YouTube; il video vincitore è intitolato “Choose life” [scegli la vita]:

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Anche altri giovani sono impegnati a sconfi ggere questo problema in crescita. Nel 2006, Steve Sanderson, un giovane
fumettista indigeno, ha scritto e illustrato un fumetto intitolato “Darkness Calls” [in, Il richiamo delle tenebre] che tratta
il tema del suicidio tra i giovani nativi. Incentrata su un adolescente chiamato Kyle, la storia è disponibile anche
in video [in]. Nel blog Stageleft, il blogger presenta [in] altri dodici giovani locali che hanno fornito un contributo
importante e che per questo hanno ricevuto un riconoscimento; tra loro c’era anche la fi glia Charlotte:

“Sono sicuro di poter affermare che nessuno delle dodici persone sul palco ha vissuto la vita che ha vissuto, o fatto le
cose che ha fatto, solo per ricevere un riconoscimento…Charlotte si è interessata al tasso di suicidio dei giovani
indigeni, che è di gran lunga superiore al tasso nazionale, e quello della comunità Inuit è il più alto in Canada. Per
attirare l’attenzione su questo problema, lei e altri quattro giovani nativi hanno viaggiato a piedi da Duncan, in
British Columbia, a Ottawa, parlando in centri comunitari, carceri giovanili, centri sociali, consigli municipali e con
tutti i politici che hanno voluto ascoltarli”.

Secondo un rapporto [in] di Unicef Canada del 2009 sulle condizioni di salute dei giovani indigeni, la prevenzione
del suicidio e l’intervento in questo campo possono avere successo solo se si prendono in considerazione le
interconnessioni tra cultura, comunità e ambiente. Qualunque sia l’approccio, il blog Rebel Youth afferma [in] che i
giovani autoctoni, come tutti i giovani canadesi, meritano di avere un futuro.

“Oltre il 50% dei giovani nativi ha meno di 23 anni. I giovani canadesi hanno ragione a essere profondamente
arrabbiati per come la classe dominante canadese tratta le popolazioni indigene; l’attacco nei confronti della gioventù
autoctona è un attacco nei confronti di tutta la gioventù.

I giovani indigeni hanno bisogno di un futuro. Un futuro privo di razzismo, un futuro con un lavoro ben retribuito,
un futuro con la loro terra o una giusta compensazione per il suo utilizzo. Un futuro con il diritto a un’educazione
per tutti, inclusa quella terziaria. Un futuro con alloggi adeguati. Un futuro senza razzismo istituzionale e senza la
brutalità di forze dell’ordine discriminanti. Un futuro con un sogno. Un futuro che sia realtà”.

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29. India: se ne va Boa Senior, l'ultima a parlare la


lingua preistorica Bo

1.02.10 - articolo originale di Simon Maghakyan - tradotto da Gaia Resta

Boa Senior, l’ultima persona che parlava l’antica lingua Bo è morta [in] la settimana scorsa nelle natie Isole Andaman [in]
(territorio dell’India). È la vivida conferma degli avvertimenti riportati nella relazione stilata dall’Unesco l’anno
scorso, secondo cui sono 2.500 le lingue a rischio di estinzione [in].

Sara Duane scrive dal Minnesota sul proprio


blog True to Words [in], volto “all’esplorazione
della lingua e della scrittura”, e riporta la notizia
aggiungendo che alcune lingue precedentemente
morte sono recentemente ricomparse:

Nel 1992 un noto linguista


statunitense aveva predetto che
entro l’anno 2100 il 90% delle
lingue del mondo si sarebbero
estinte. Una di queste è scomparsa
recentemente con la morte di Boa
Senior a 85 anni. Era l’ultima
persona a parlare la lingua Bo, una
delle più antiche al mondo, le cui
origini risalgono a 70.000 anni fa.

Boa Senior canta in lingua Bo, video ripreso da Survival International

Una lingua può essere salvata dall’estinzione, parziale o totale che sia, se c’è la volontà e, più importante, se
ne esistono ampi produzioni scritte. L’ebraico era una lingua morta all’inizio del XIX secolo. Esisteva in
forma scritta in quanto utilizzato dagli studiosi, ma non c’era modo di sapere come si pronunciassero le
parole. La tenacia e la volontà degli ebrei d’Israele ha riportato l’ebraico nell’uso quotidiano. Anche il
gallese nel Regno Unito e il maori in Nuova Zelanda stanno sperimentando un revival.

Transubstantiation [in], che si descrive come un progetto che “cerca di dare un senso all’eredità della Torre di
Babele,” suggerisce di documentare le lingue in estinzione:

Se siamo in grado di preservare la vita della lingua allora proviamoci sul serio. Tuttavia, a volte ciò è
impossibile e allora forse il compito più importante in quanto linguisti è quello di analizzare, descrivere e
documentare; deporre la lingua in estinzione e utilizzare la conoscenza che ne abbiamo per ulteriori
ricerche sulla comprensione della condizione umana in generale.

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Madhu Baganiar [in], che appartiene alla comunità indigena


Oraon (Kurukh), commenta la scomparsa della lingua Bo dopo
la morte di Boa Senior:

Ogni lingua ha una propria storia, cultura, stile. Quando


una lingua scompare, sparisce anche l’enorme deposito di
conoscenza associato ad essa. Oggi è morta una lingua viva
e tribale, il “Bo”. Domani altre lingue tribali dell’India
saranno destinate a morire. Ci sono centinaia di fattori che
Le Isole Andaman viste dall’alto,foto di Venkatesh K su Flickr uccideranno le lingue vive delle tribù…

Il blogger irlandese The Poor Mouth [in] piange la perdita del Bo e scrive:

Le lingue vanno e vengono - possiamo vedere le tracce di numerose lingue scomparse nelle Isole
Britanniche (Yola, Norn, Cumbric, etc.) – ma non posso fare a meno di pensare che quando scompaiono,
perdiamo qualcosa di molto importante in questa ricca e scura zuppa che è l’umanità. La morte di Boa ci
impoverisce tutti.

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30. Regno Unito: attivismo contro la permanenza


dei bambini nei centri di detenzione

16.03.10 / articolo originale di Judith Townend - tradotto da Tamara Nigi

Verso la fine dell’anno scorso un gruppo di cittadini britannici ha lanciato una campagna rivolta a far cessare la
detenzione di bambini e neonati da parte delle autorità preposte al controllo dell’immigrazione. La campagna è stata
denominata End Child Detention Now (ECDN) [in, come tutti gli altri link di questo articolo], e fi n da subito ha avuto il
sostegno di personaggi britannici di alto profilo, potendo raccogliere numerose sottoscrizioni - quasi 4.600 fi nora - per
la petizione rivolta al governo britannico. Ho aderito al gruppo a febbraio per dare una mano nella campagna online.

Il Regno Unito è l’unico Paese europeo in cui i fi gli dei richiedenti asilo vengono posti nei centri di detenzione [per
stranieri] senza limiti di tempo: sono circa 2000 ogni anno e alcuni vi restano anche per mesi. Altri Paesi, per esempio
l’Australia, si sono già attivati impegnandosi a non collocare più alcun bambino nei centri di detenzione.

La campagna portata avanti dai volontari dell’ECDN punta anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sui casi di minori
di diciotto anni trattati da adulti. Questo mese è stata la volta di ‘M’ (l’identità resta anonima per ragioni legali), un
ragazzo afgano di quattordici anni arrestato perché scambiato per adulto, e in procinto di essere espatriato dal Regno
Unito, se non fosse giunto l’ordine di rilascio da parte del giudice, in attesa dell’udienza giudiziaria per il riesame [il
ragazzo è ritratto nella foto in alto con il fratello maggiore].

A raccontare la storia di ‘M’ è Clare Sambrook, coordinatrice della campagna, sul sito web di OpenDemocracy, dove ci
parla anche della diciassettenne Rima, sfuggita alla persecuzione religiosa in Eritrea. Ecco uno spaccato della vicenda di
Rima:

Rima è fuggita, spostandosi di casa in casa, vivendo di espedienti fi no a dodici mesi fa, quando Alison e Robert
l’hanno finalmente accolta come una figlia naturale. Nel maggio dell’anno scorso Rima è stata catturata e rinchiusa
nell’ex penitenziario di Dungavel.

Quando il legale di Rima ha presentato ricorso per il riesame del caso, la Border Agency britannica [polizia di
frontiera] l’ha trascinata fuori dalla sua giurisdizione trasferendola a 356 miglia di distanza su di un cellulare blindato
diretto a Sud, per raggiungere il notorio centro di detenzione di Serco nel Bedfordshire. Un ulteriore ricorso ha
evitato che fosse tradotta altrove. Dopo una settimana a Yarl’s Wood, Rima è potuta tornare a casa.

Poi il mese scorso, il giorno dopo San Valentino, il governo ha notifi cato a Rima che nel giro di alcune settimane
sarebbe stata trasferita forzatamente in Italia. La famiglia chiede con forza clemenza, temendo a ogni spuntar del sole
di vedere gli agenti della Border Agency alla porta.

Sambrook continua così:

“Il destino di ‘M’ e quello di Rima sono appesi a un filo — proprio qui in Gran Bretagna, Paese in cui chiedere asilo è
un diritto, non un crimine, e dove, a detta del governo, tutti i bambini contano.”

Esistono altre iniziative mirate a far pressione sul governo affi nché ponga mano ai problemi legati alla detenzione dei
bambini.

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Anche la NCADC (National Coalition of Anti-Deportion Campaigns , che associa a livello nazionale le varie campagne
antideportazione), per esempio, ha sollevato il caso di ‘M’, e proposto idee per ulteriori azioni da intraprenere .

L’organizzazione Medical Justice sta chiedendo ai medici di lanciare appelli in merito. Nella petizione rivolta ai medici,
c’è scritto:

“La detenzione amministrativa dei bambini li danneggia, non c’è niente da fare, ed è una cosa inaccettabile in una
società che si dica civile. Chiediamo l’immediata cessazione di questa pratica che provoca danni palesi e indelebili
per la salute dei piccoli, tanto a breve quanto a lungo termine.”

Fra gli altri gruppi collegati ci sono il Bail for Immigration Detainees e la campagna Citizens for Sanctuary.

Dopo la pubblicazione di un recente rapporto, la stampa tradizionale ha seguito con attenzione la questione. Nell’ECDN
c’è speranza che blogger e utenti dei social media possano prestare sempre più il loro impegno per questa causa. Si può
seguire la campagna su Twitter @stop_child_det oppure sul gruppo di Facebook.

> INDICE

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31. Il silenzio parla: testimonianze e narrazioni


multimediali nella Repubblica del Congo

04.03.10 - articolo originale di Firuzeh Shokook Valle - tradotto da Tamara Nigi

Sette donne che tra il 1997 e il 2003 hanno subito gli effetti delle guerre
civili del Congo Brazzaville[it] (meglio noto come Repubblica del Congo),
si sono ritrovate nel mese di novembre 2009 per un seminario di quattro
giorni sul tema della narrazione digitale, organizzato nell’ambito di un
partenariato tra l’Agenzia per lo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) ,
il Bureau for Crisis Prevention and Recovery (BCPR) [in] e
l’iniziativa Silence Speaks [in] curata dal Center for Digital Storytelling [in].
Fin dalla nascita, nel 1999, Silence Speaks, che ha sede negli USA, ha
coordinato oltre 40 progetti in tutti gli Stati Uniti e in Australia, Brasile,
Canada, Congo-Brazzaville, Sudafrica e Uganda.
“Mi chiamo Bahamboula Gertrude. Prima della guerra
Ho intervistato la direttrice di Silence Speaks, Amy Hill, a nome di Global facevo la scalpellina a Kinkala. Ho lavorato trasformando
pietre per farne materiale da costruzione. Con la guerra le
Voices, per saperne di più su questa stupenda iniziativa. Amy spiega che i case hanno cominciato a distruggerle anziché costruirle. Foto
pubblicata con l’autorizzazione di Silence Speaks
seminari conciliano la storia orale e l’educazione popolare con la
produzione partecipativa di media, offrendo alle persone l’opportunità di
creare brevi video-storie delle loro vite, che resterebbero altrimenti
inascoltate.

“Adattiamo le modalità operative ai linguaggi, alle capacità


espressive e alle tecnologie presenti nel contesto specifi co,
mettendo in luce riflessioni su quali conseguenze abbia il
porre nella sfera pubblica narrazioni personali su temi
sensibili. Dopo scrupolose procedure di consenso informato,
le storie vengono condivise a livello locale e globale e
diventano strumento strategico per la formazione, la
mobilitazione della comunità e l’attivismo mirato a politiche
di promozione del benessere, dell’uguaglianza fra i sessi e
dei diritti umani” ci spiega.
Il gruppo che ha partecipato al seminario del Congo-Brazzaville.
Foto pubblicata con l’autorizzazione di Silence Speaks

GV: Come hai iniziato a lavorare con le donne sopravvissute alla guerra nella Repubblica del Congo?
Amy: Nell’aprile del 2009 mi ha contattata un membro del BCPR dell’UNDP[in] di Ginevra per parlarmi della possibilità
di realizzare un progetto sulla narrazione digitale nell’ambito dei programmi di disarmo, smobilitazione e riabilitazione
(i cosidetti DDR).

Negli ultimi anni, il personale del BCPR si è reso conto che per la riuscita del suo lavoro è cruciale sviluppare strategie
comunicative in grado di dar voce alle persone direttamente coinvolte nei confl itti, portando le loro storie a conoscenza
del pubblico. Poiché nutrivamo tutti un particolare interesse verso la salute e il benessere delle donne, e date le critiche
mosse al DDR per non aver puntualizzato abbastanza il bisogno di impostare sulle specifi cità di genere gli aiuti prestati

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dopo i conflitti, abbiamo definito un progetto collaborativo per supportare nella condivisione di storie personali un
piccolo gruppo di donne colpite o comunque coinvolte nella recente guerra civile del Congo Brazzaville (1997-2003).

L’iniziativa aveva un duplice obiettivo: (1) creare, mediante un processo partecipativo, una collezione di brevi fi lmati e
registrazioni radiofoniche da poter trasmettere attraverso l’UNDP in vari contesti locali o internazionali (per es. nel corso
di eventi a livello di singole comunità, corsi di addestramento, conferenze, incontri, presentazioni via web, ecc.) per far
emergere i casi di successo in cui la situazione è cambiata per il meglio; e (2) offrire uno strumento in grado di intervenire
sulle profonde cicatrici lasciate nella regione da anni di confl itti (e questo sia mediante dinamiche laboratoriali, sia con la
successiva diffusione in Congo di queste storie digitali).”

GV: Con quali organizzazioni locali ha collaborato Silence Speaks in Congo?

Amy: “Come sede dell’iniziativa la BCPR ha scelto la


Repubblica del Congo, perché la sua squadra DDR
presta particolare attenzione ad attività femminili che
generano reddito.

Sono stati coinvolti fin dall’inizio i responsabili locali


della comuncazione e il personale che porta avanti il
programma, tutti operanti a Brazzaville (la capitale del
Paese) e a Kinkala (una città gravemente colpita dalla
guerra, nella regione congolese di Pool, dove si è svolta
la maggior parte dei combattimenti).
Kinkala. Foto pubblicata con autorizzazione di Silence Speaks

Come elemento portante del processo di reclutamento dei partecipanti si è provveduto sin dal principio ad informare le
donne del fatto che le loro storie venivano destinate alla condivisione con il pubblico. Dopo aver lavorato per anni in vari
contesti di estrema penuria di risorse e in comunità che vivono in condizioni di elevata povertà e sofferenza, non
concepisco il “consenso informato” come procedura una tantum che si limiti a raccogliere la fi rma su un modulo. Ho
invece abbracciato la pratica di intessere il concetto di consenso nella dinamica stessa dei progetti.

L’obiettivo che ci siamo posti con questa iniziativa era quello di sostenere al meglio un processo che portasse le donne ad
appropriarsi consapevolmente del proprio lavoro e a sentirsi partecipi del modo in cui le storie, all’indomani della
guerra, potevano contribuire alla riconciliazione e ad attività per la costruzione della pace in seno alla comunità, a
livello tanto locale quanto globale.”

GV: Quali formati mediatici hanno scelto le donne superstiti per raccontare le loro storie?

Amy: “La maggior parte delle donne partecipanti al laboratorio possedeva un livello di scolarità inferiore alla prima
elementare e non aveva mai avuto accesso a strumenti di produzione mediatica. Abbiamo così deciso di ideare un
processo che consentisse loro di agire senza essere intimidite, ma poiché localmente avevamo risorse tecnologiche
limitate (ribadisco, a Kinkala scarseggia l’elettricità e i computer praticamente non esistono), abbiamo sviluppato
l’aspetto partecipativo puntando sulla fotografi a e sul disegno piuttosto che sull’uso del
computer.

“Il personale dell’UNDP ha fatto precedere questa quattro-giorni da alcune sessioni di orientamento per aiutare le donne
a trascendere l’obiettivo del progetto e per descrivere quanto sarebbe accaduto nel processo di composizione delle storie.
Ogni partecipante ha ricevuto una macchina fotografi ca usa e getta, poi il personale UNDP ha organizzato un breve
incontro formativo di base sulla fotografi a e sull’uso della fotocamera.

Diverse settimane dopo, ci siamo ritrovati per quattro giorni a Kinkala, e lì le donne hanno condiviso le loro storie, le
hanno registrate e hanno realizzato delle illustrazioni. Abbiamo anche scattato fotografi e e girato dei filmati sul posto.
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Quando le partecipanti hanno restituito le fotocamere abbiamo sviluppato le foto. Poi ho rielaborato personalmente
tutto il materiale per farne brevi video e inserti radiofonici.”

GV: Come hanno descritto l’esperienza del racconto le donne?

Amy: Il tempo e le risorse limitate non ci


hanno permesso di realizzare colloqui
mirati con le partecipanti su come si sono
sentite all’indomani dell’esperienza di
condivisione della storia personale, ma
nell’ultimo giorno degli incontri il senso
di sollievo e l’orgoglio erano
palpabili. Nel corso di una breve
conversazione a posteriori, Florence
Malanda, una delle donne del gruppo che
guida una Cooperativa femminile a
Kinkala, ha detto: “Queste testimonianze
serviranno a sensibilizzare tutti i
Congolesi sulle conseguenze della guerra.
Ci auguriamo che il sostegno dell’UNDP Florence Malanda alla Cooperativa. Foto pubblicata con l’autorizzazione di ‘Silence Speaks

aiuti anche altre donne che soffrono in


tutto il mondo.

GV: Quale ruolo svolgono Internet e gli strumenti multimediali in questi laboratori narrativi?

Amy: “Presso il Center for Digital Storytelling prendiamo gli strumenti multimediali e i media digitali per quello che
sono: strumenti che aiutano la gente a condividere storie di vita signifi cative. Non li osanniamo, né li riteniamo in grado,
da soli, di produrre cambiamento. Crediamo invece che quel che conta sia come e perché vengono usati.

Con Silence Speaks non mi interessa collezionare storie solo per il gusto di creare degli archivi; ciò a cui miro è esaminare
criticamente come i processi di condivisione e di ascolto possano indurre determinati cambiamenti ed effetti, a molteplici
livelli dell’esperienza umana.

Naturalmente, per realizzare questa idea è indispensabile disporre di strumenti di produzione e manipolazione digitale
di facile utilizzo, che consentano di mettere insieme storie in formato mediatico. A me pare però che sarebbe decisamente
fuorviante, in queste comunità, limitarsi a insegnare solo capacità tecnologiche, oppure riempirle di attrezzature senza
avere un piano organico su come impiegare le une e le altre per favorire l’analisi dei fatti che riguardano la vita di questa
gente, per formare una coscienza politica, o per sostenere l’impegno civile e a livello di comunità, ecc.

Quanto invece all’uso degli strumenti, abbraccio il pensiero di Freire [it], che considerava la tecnologia per la capacità di
valorizzare il processo di apprendimento e il potenziamento personale.

Riguardo al ruolo di Internet, soprattutto in relazione a progetti come il lavoro delle donne nel Congo, metterei in
guardia i lettori invitandoli a rifl ettere attentamente su chi effettivamente trae vantaggio dalla proliferazione online di
narrative della sofferenza e della tristezza.

È chi racconta a trarne beneficio? Oppure sono i media, le ONG, le agenzie governative e le loro specifi che agende
programmatiche e di finanziamento, o ancora gli spettatori distanti, soli davanti al computer, che si sentono sicuri e
protetti nella consapevolezza che certe remote tragedie possono solo suscitare compassione.
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Certo, dentro questo paradigma ci sono anch’io, perché benefi cio delle sovvenzioni del programma di aiuti e della
pubblicità che arriva grazie a storie condivise sul web. Ma se parliamo di come realizzare il progetto, allora preferisco
non limitarmi a concepire strategie per la distribuzione via Internet, concentrandomi, invece, anche sui meccanismi di
condivisione delle storie con un pubblico locale, presso il quale le stesse possano avere un effetto davvero incisivo.

In questo senso, un modello utile viene dai miei colleghi di WITNESS [in], i quali pongono l’accento sul concetto di
”micro-pubblico” e sulla cosiddetta “ video advocacy”. Per le storie delle donne congolesi, la collaborazione con l’UNDP
ha significato non solo la diffusione in varie sedi internazionali, ma anche la distribuzione a livello locale, mediante la
pubblica visione in seno alle comunità e tramite incontri per parlarne a Kinkala, e in tutta la regione del Pool, oltre che a
livello nazionale, mediante trasmissioni radiofoniche associate a programmi in cui gli ascoltatori possono intervenire per
parlare di temi connessi al confl itto e alla riconciliazione”.

GV: In che modo il raccontarsi riesce a dare forza?

Amy: “L’esperta di psicologia del trauma Judith


Herman [in] sostiene che raccontare la propria storia
può già essere terapeutico, ma essere partecipi di
un’azione che coinvolge tutta la comunità ha un ruolo
sostanziale nel processo di guarigione. È per questo
che Silence Speaks si propone di sostenere la
trasformazione e il potenziamento individuali, facendo
crescere al tempo stesso la resilienza che servirà ai
partecipanti per prendere parte ai movimenti
impegnati nel perseguire la giustizia sociale e
nell’aggregazione di persone intorno a valori condivisi.
Alcune partecipanti alle sessioni. Foto pubblicata con l’autorizzazione di Silence Speaks.

“È tuttavia importante puntualizzare che nessuno dei benefi ci di cui parlavamo potrà prodursi fi ntanto che i singoli non
si sentiranno pronti e capaci di mettere in comune le loro storie. Per la maggior parte, le persone si accosteranno alla
narrazione quando sentiranno di essere abbastanza forti per farlo, emotivamente e fi sicamente, anche se non tutti
potrebbero essere in grado di capire quando sono pronti.”

> INDICE

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32. Cina: parlano le mogli di tre attivisti per i


diritti umani condannati a lunghi anni di carcere

05.03.10 - articolo originale di Andy Yee - tradotto da Elena Intra

A febbraio, in occasione della Festa di Primavera (il Capodanno cinese), il momento più importante in Cina per riunire la
famiglia, Duting ( 杜 ) ha intervistato le mogli di alcuni prigionieri di coscienza cinesi. Si tratta di Liu Xia, Ceng Jinyan,
Wang Qinghua e Ceng Li, e sono le mogli rispettivamente di Liu Xiaobo, Hu Jia, Tan Zuoren e Huang Qi. Liu Xiaobo [it],
un intellettuale conosciuto per aver lanciato Charta 08, con cui si richiedeva maggiore libertà, diritti umani ed elezioni,
nel dicembre 2009 è stato condannato a 11 a nni di carcere. Hu Jia [it], il cui lavoro si concentrava sulla democratizzazione
della Cina, sui movimenti ambientalisti e sul sostegno ai malati di AIDS, nell’aprile 2008 è stato condannato a 3 anni e
mezzo. Tan Zuoren [in], ambientalista e scrittore famoso per la sua indagine sullo stato decadente delle scuole a seguito
del terremoto a Sichuan nel 2008, a febbraio 2010 è stato condannato a 5 anni. Huang Qi [it], webmaster e attivista per i
diritti umani noto per aver fondato il Centro Tianwang per le Persone Scomparse, a novembre 2009 è stato condannato a
3 anni. Ecco di seguito alcuni estratti e citazioni dal servizio-intervista [cin] di Duting.

Liu Xia: quando penso che non potrò toccarlo per 11 anni, mi si spezza il cuore

Questo è stato il suo commento su Twitter dopo il giudizio di secondo grado per Liu Xiaobo, accusato di aver ‘incitato
all’eversione del potere statale.’ Pochi giorni dopo il verdetto, Duting ha cercato di parlare con Liu Xia, che inizialmente
aveva acconsentito, ma poi ha preferito mettere per iscritto i suoi sentimenti:

个 人 这些 年 风风 雨 雨 走 过来 , 那 么 多 的 事 情 一 时 很 难 用 语言 表 达 清 楚 , 与 其 有 一 句 没 一 句 地 说, 还不 如 我 自 己
敲 碎 打 地 写 出 来 。 我 这个 人 嘴 挺 笨 的 , 一 向 不 善 于 口 头表 达, 这也 不 是 我 的 风格 , 还是 文 字 比 较适 合 我 。

Noi due veniamo da questi anni tempestosi, ed è diffi cile esprimere con chiarezza quanto è successo. Piuttosto che
dirlo frase per frase, preferisco scriverlo volta per volta. Non so essere eloquente, non riesco ad esprimermi bene
parlando, non è il mio stile. Le parole scritte mi si adattano meglio.

Ceng Jinyan: ci sono troppo poche persone alla cena di riunione familiare.
Non vedo l’ora di preparare una vera cena-riunione un giorno

Questo suo commento risale alla vigilia del Capodanno cinese mentre preparava la tradizionale cena per la riunione
familiare. Ceng ha sposato Hu Jia nel 2006. Hu è detenuto dal 2007, ed è stato condannato a 3 anni e mezzo di carcere
nell’aprile 2008 con l’accusa di ‘incitare all’eversione del potere statale.’ Questa è la terza volta che Ceng trascorre la Festa
di Primavera senza il marito. Suo compito principale è prendersi cura della loro fi glia di due anni. Hu è stato arrestato un
mese dopo la nascita della bambina. Pur se tutto appare triste e penoso, Jinyan ha cercato di controllarsi creando un
ambiente affettuoso e sicuro per la figlia:

我 把 我 和 胡 佳 的 合 影 贴 在 床 头, 告 诉宝 宝 这 是 爸 爸 , 去 探 望 胡 佳 的 时候 也 都 尽 量 带 去 , 现在 已 经知 道 怎 么 去 监
狱, 坐 什 么 车了 。 每 次 见到 胡 佳 宝 宝 都 很 心 , 又 唱 又 跳 的 , 把 平 时我 和 做 的 游 戏做 给胡 佳 看 。

Ho messo una foto di me con Hu Jia a lato del letto e spiego a mia fi glia che si tratta di suo padre. La porto con me
anche quando vado a visitare Hu Jia. Ora sa che autobus dobbiamo prendere per andare al carcere. Ogni volta che
vede il padre, è molto felice. Salta, canta e mostra a Hu Jia i giochi che facciamo insieme.

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Da giovane Jinyan ha avuto una grave miocardite, che le avrebbe impedito di sostenere il test per entrare all’università.
Ma ha preso delle medicine per nasconderne i sintomi, ed è stata ammessa con successo all’Università Renmin per
studiare economia. Proprio per averlo sperimentato in prima persona, conosce la sensazione di impotenza che si prova di
fronte alla malattia e alla morte. Così decise di fare la volontaria per un’organizzazione non governativa che affronta i
problemi dell’AIDS, e lì ha incontrato Hu Jia. Allora Hu Jia era coinvolto già da parecchio tempo sulle questioni
dell’AIDS e dell’ambiente, ed era una ‘persona politicamente sospetta’ agli occhi dell’autorità. La sicurezza pubblica le
disse di interrompere la relazione con Hu, ma:

也 许是 因 为身 体 的 缘故 所 以 我 看 得 比 较 吧 。 人 总要 经历各 苦 , 有 些 人 终其 一 生 都 无 法 遇 到 自 己 爱的 人 , 我 很 幸 运
到 胡 佳 。 虽 然 选择和 他 在 一 起 就 注 定 不 会 有 稳定 的 生 活 , 但 这是 我 必 须承 受 的 。

Forse è per via della mia malattia, ma non mi spavento facilmente. La gente deve poter sopportare il dolore. Alcuni
sono destinati a non incontrare la loro anima gemella, ma io sono stata fortunata a trovare Hu Jia. Sebbene scegliere
lui voglia dire rinunciare a una vita stabile, sono pronta a sostenere questo peso.

Jinyan ha raccontato che il 2005 e il 2006 sono stati anni diffi cili, perchè Hu Jia non c’era. Quando è stato pronunciato il
verdetto nel 2008, ha provato rabbia e tristezza, ma almeno era una certezza. Commentando il fatto che il 26 giugno 2011
sarà il giorno del suo rilascio, ha aggiunto:

最 糟 的 时候 已 经过去 了 , 胡 佳 现在 比 较平 静 , 我 的 焦 虑感 也 就 随 之 降 低 了 。 但 我 也 知 道 他 回 来 之 后 的 生 活 会 是 一 个 巨
大 的 挑 战。 之 前 胡 佳 每 次 失 踪 回 来 后 的 头几 天 对我 和 他 来 讲都 非 常 痛 苦 , 他 潜 意 识中 会 把 对抗 的 情 绪带回 家 , 把 我 当
做 反 抗 的 对象 , 虽 然 他 并 不 想 如 此 。 阿 兰牧 师曾 说过『 对于 一 个 囚 犯 而 言 , 真 正 的 监狱是 在 他 走 出 监狱的 那 一 天 才
始的。

Il momento più difficile è passato. Hu Jia ora è più calmo, e io sono meno preoccupata. Ma so che quando tornerà,
dovremo affrontare vari problemi. In passato, ogni volta che tornava dopo che era stato assente per qualche giorno,
mi diceva che si sentiva infelice, e portava in casa un senso di antagonismo, trattandomi come un bersaglio, anche se
non era sua intenzione. Il pastore A Lan ha detto, ‘per chi è stato in carcere, la vera prigione inizia il giorno in cui
esce.’

Wang Qinghua: sono la sua compagna. Siamo sulla stessa barca

Pochi giorni prima della Festa di Primavera, il marito di Wang, Tan Zuoren, è stato condannato a 5 anni di carcere. Wang
ha raccontato:

已 经是 第2 个 春 节不 在 一 起 过了 , 去 年 的 时候 他 去 灾 区 , 其 实那 个 时候 更 担 心 他 , 怕 他 出 事 。 现在 他 在 看 守 所 , 至 少 人
是安全的。

Questa è la seconda Festa di Primavera in cui non possiamo stare insieme. L’anno scorso si trovava nella zona colpita
dal terremoto [Sichuan]. In realtà, ero più preoccupata per la sua sicurezza allora. Ora, per lo meno è al sicuro nel
centro di detenzione.

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Wang ha conosciuto Tan quando lui lavorava come anestesista in ospedale

他当 时在 华西医 科大学附属 医院,是成都很好的一 家医院。后来离 是因 为六四。六四 时他去了北京,回来后知道 肯


定 没 办法 再 在 医 院 工 作 下 去 , 就 辞 职了 。

Allora lavorava all’ospedale Western China Medical affi liato con l’università, un ottimo ospedale a Chengdu. Si è
licenziato per i fatti di Piazza Tiananmen del 1989. Si trovava a Pechino duranti quegli eventi, e sapeva che gli sarebbe
stato impossibile continuare la carriera lì.

Per vari anni ha gestito una piccola azienda a Shenzhen. Poi un amico lo convinse a coinvolgersi nella tutela ambientale,
che era il suo interesse. Così Tan è tornato a Chengdu, fondando l’organizzazione non governativa Green Rivers,
‘visitando ogni angolo della campagna di Chengdu, scrivendo articoli e dando suggerimenti al governo ogni volta che
s’imbatteva in un problema.’ In quegli anni Tan non aveva entrate fi sse, e il sostentamento della famiglia dipendeva da
Wang:

他 总 和 朋 友 们说对 不 起 我 , 我 就 很 生 气 。 我 和 他 讲 『 这 个 家 也 是 我 的 家 , 我 不 觉 得 一 定 要 男 人 来 家 。 我 们分 工 不
同,你做的事情我做不了,那我来 家好了。

Diceva sempre agli amici che non mi trattava bene. Mi arrabbiavo molto. Gli dicevo, ‘questa famiglia è anche mia;
non penso che una famiglia debba essere sostenuta solo dal marito. Facciamo cose diverse. Non posso fare quello che
fai tu, quindi consentimi di mantenere la famiglia.

Sebbene Tan pensasse di non correre rischi con le sua attività, ebbe una premonizione su quel che alla fi ne è successo:

国 保 经常 找 他 谈话, 软的 硬 的 , 那 时候 他 就 感 觉到 可 能 要 出 事 。 他 和 我 谈过几 次 , 当 时他 就 说 如 果 做 这些 事 都 能 被
那 就 让他 们抓 吧 。 所 以 那 时 始 我 们就 常 和 个 女 儿 讲, 爸 爸 做 的 事 情 是 对的 , 但 可 能 会 有 危 险, 让 们也 有 个 心 理
准 备。我是没什 想不 的,我一直是个挺洒脱的人。之前他正常做事的 时候我是他的妻子,我支持他。他一旦有了
危 险, 那 我 就 是 他 的 战友 , 我 们早 就 在 一 条 船 上 了 。

Gli agenti della sicurezza statale hanno avuto molte discussioni con lui, sia pesanti che leggere. Ciò l’aveva messo in
guardia. Me ne ha parlato parecchie volte, e diceva che se proseguire quelle attività lo avrebbe portato all’arresto,
allora così doveva essere. Da quel momento in poi, abbiamo spiegato alle nostre due fi glie che il lavoro del padre era
qualcosa di giusto ma pericoloso. In tal modo erano preparate psicologicamente. Non mi faccio sconvolgere
facilmente dalle piccole cose. Quando Tan faceva l’attivista, io ero già sua moglie e l’ho sostenuto. Quando è in
pericolo, io sono la sua compagna, e siamo sulla stessa barca.

之前我不太 心 他 做 的 那 些 事 , 我 只 是 和 他 一 样是 个 见到 不 公 平 的 事 就 要 站 出 来 说话的 人 。 现在 他 被 抓 , 那 我 就 要 代
他 去 参 加 这些 活 动, 然 后 , 等 他 出 来 。

In passato, non mi importava molto di quanto facesse. Avevamo solo personalità simili, eravamo contro l’ingiustizia.
Ora che è stato arrestato, continuerò le sue attività, e ne aspetterò il rilascio.

Ceng Li: sto facendo solo quanto credo giusto. Pensavo fosse corretto. Lo credo ancora.

Ceng ha raccontato di essere ormai abituata a passare la Festa di Primavera senza il marito. Nel 2000, Huang Qi è stato
arrestato con l’accusa di ‘incitare all’eversione dello Stato’, e 3 anni dopo è stato condannato a 5 anni di carcere. È stato
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rilasciato nel 2005, ma è stato arrestato di nuovo nel 2008 con l’accusa di ‘possesso illegale di documenti riguardanti
segreti di Stato.’

之前黄 琦做 生 意, 我在 机 工作, 那 时候我什 心都不 操, 一点 压力 都没有。 这些年就完 全不一 样了,所 有的事情 都


要一个人来承担。05 年 黄 琦 出 来 的 时候 说『 你 怎 么 完 全 变成 了 另 外 一 个 人 』 , 他 希 望 我 还是 之 前 那 个 无 忧无 虑, 什 么
事 都 依 赖他 的 小 女 人 。

In passato è stato un uomo d’affari e ha lavorato nel governo. Non dovevo preoccuparmi di niente. In questi ultimi
anni, è cambiato tutto. Ho dovuto sopportare tutto da sola. Quando Huang è stato rilasciato nel 2005, mi ha chiesto,
‘perchè sei diventata una persona completamente diversa?’ Sperava ancora che fossi la giovane donna spensierata del
passato.

Nel 1998, Ceng e Wang misro insieme i loro risparmi dagli affari per fondare il ‘Centro Tianwang per le Persone
Scomparse’, per aiutare i genitori a ritrovare i loro fi gli scomparsi.

有 政 府 支 持 , 有 媒 体 宣 传, 一 切 都 挺 顺利 。 后 来 在 做 的 过程 中 渐渐接 触 到 许多 上 访者 , 许多 弱 势群 体 , 就 想 尽 量 帮 帮
他 们, 于 是 我 们
99 年就做了网站,希望能提供一个平台。

Grazie a un certo sostegno e rilanci uffi ciali, tutto è filato liscio. Più avanti, ci siamo messi in contatto con alcune
persone che avevano presentato delle petizioni e gruppi di minoranze perchè volevamo aiutarli. Nel 1999 abbiamo
creato un sito web con la speranza di fornire loro una piattaforma.

A parte materiali per la ricerca degli scomparsi, sul sito apparvero alcuni commenti politici riguardanti Falun Gong e
Rabiye [dirigente e dissidente di Xinjiang], che li misero nei guai.

最 初 完 全 没 有 想 到 做 这个 会 有 风险, 只 是 觉得 顶多 是 往 里 贴钱, 偶 尔 也 会 因 为经济上 的 问题和 黄 琦 抱 怨 。 但 那


很 快 就 会 被 看 到 父 母 找 到 失 踪 儿 童 后 一 家 人 团聚 的 喜 悦 所 取 代 , 那 幸 福 感 和 满足 感 很 难用 语言 去 表 达, 就 是 你 实实
在在帮到了 人, 人 从 中 受 益 , 这是 一 很 难得 的 体 验。

All’inizio, non pensavamo affatto che fosse qualcosa di rischioso, al massimo che bisognava metterci dei soldi.
Abbiamo discusso un pò sulle questioni economiche. Ma quando vedevamo dei genitori ritrovare i fi gli scomparsi, i
problemi venivano spazzati via da una felicità inesprimibile a parole. Tutto ciò aiuta davvero la gente, un’esperienza
molto preziosa.

Dopo il suo rilascio nel 2005, Wang ha riaperto il sito web, questa volta trasformandolo in un sito sui diritti umani.

他 更 坚定 了 , 也 没 有 了 之 前 的 顾虑, 还能 怎 么 样 ? 大 不 了 再 进去 吧 。 但 这 一 次 他 就 不 让 我 参 与 了 , 和 之 前 不 同 这次
他 知 道 风险性 , 再 说总要 有 个 人 打 工 挣钱, 孩 子 要 读书, 大 人 要 吃 饭。

Era più determinato, e senza le preoccupazioni precedenti. Cos’altro poteva succedere? Il peggio era essere
incarcerato nuovamente. Ma stavolta non mi ha permesso di prendervi parte. Sapeva che era rischioso. Dopo tutto,
una persona deve guadagnarsi da vivere per pagare l’istruzione dei fi gli e nutrire gli adulti.

Dopo il secondo arresto di Wang, Ceng si è licenziata dal suo lavoro a Pechino per prendersi cura dei loro genitori e
figli.

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难是 难, 但 也 挺 坦 然 的 , 我 只 是 做 了 我 认为正 的 事 情 , 当 时我 觉得 那 是 对的 , 现在 我 依 然 这么 认为。

È dura, ma vado avanti. Sto solo facendo quanto credo giusto. Pensavo fosse corretto. Lo credo ancora.
Dopo aver letto queste storie di mogli, madri e libertà, e di resistenza, attesa e speranza, Lan Xiaohuan [cin] ( 兰 小 欢)
ha citato l’autrice americana vincitrice del premio Pulitzer, Annie Dillard, su cosa potrebbe dare loro il coraggio di
andare avanti:

Dedicare (donare, dare tutto) la tua vita a qualcosa di più grande di te e la gioia alla cosa più grande che ci sia: a Dio,
per alleviare la sofferenza, per contribuire alla conoscenza, alla letteratura, o a qualcos’altro. La felicità giace qui, e
supera ogni piacere vuoto.

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33. Voci boliviane: dal carnevale di El Alto al


progetto “jaqi aru”

09.03.10 - articolo originale di Rezwan - tradotto da Beatrice Borgato

Los Tiempos, periodico della città boliviana di Cochabamba, ha intervistato


recentemente Eduardo Avila del progetto Voces Bolivianas [in]. Ecco un
estratto [in] dell’intervista:

Il progetto è iniziato con la creazione di laboratori informatici nella zona di El


Alto, dove c’erano solo tre blog per una città di oltre mezzo milione di abitanti.
Voces Bolivianas ha poi continuato lo stesso lavoro a Plan 3000 di Santa Cruz,
Oruro e Tiquipaya (Cochabamba). Avila ammette che l’organizzazione dei
laboratori non è stata facile, perché poche persone hanno accesso a Internet da
casa. Per questo motivo la maggior parte delle lezioni si sono tenute negli
Internet café.
Eduardo Avila. Immagine concessa da Luis Carlos Diaz

Da questi laboratori di
alfabetizzazione digitale, è nato un
nuovo progetto chiamato Jaqi-
Aru [sp], comunità virtuale che
promuove l’uso della lingua
Aymara su Internet. Dodici persone
partecipano al progetto sotto la
guida del linguista Ruben Hilari
Quispe, che si occupa di tradurre
volontariamente testi da altre
lingue allo spagnolo e all’aymara.

Los Tiempos cita anche Hilari e Quispe:

“In Bolivia vivono 2 milioni e mezzo di persone che parlano l’Aymara e in


Sud America ce ne sono circa 5 milioni, ma esiste pochissimo materiale nella
nostra lingua. È per questo che dodici persone del team si dedicano alla
selezione di uno o due articoli al mese da pubblicare sul sito web www.jaqi-
aru.org [sp], ha detto Hilari. “Grazie a Internet aumentiamo anche la
consapevolezza di conoscenze, scienza e cultura sviluppate in lingua
aymara e che oggi sono note solo agli studiosi”, spiega Edwin Quispe, uno
dgli animatori del gruppo Jaqi-Aru.

Foto di Cristina Quisbert,gentilmente concesse dall’autrice.

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Cristina Quisbert su Bolivia Indigena scrive dei


festeggiamenti per il Martes De Ch’alla [Il martedì
dell’abbondanza, in]:

Per questo lungo carnevale nelle strade di El


Alto e di altre città, si trova tutto il necessario
per compiere il rituale e connettersi alla madre
terra. Nelle zone vicine si trovano fiori di
diversi colori per un 1 Boliviano (moneta
nazionale) al mazzo, fiori extra inclusi.
Foto
di
Cristina
Quisbert,
gentilmente
concesse
dall'autrice.

Ci sono anche i confetti bianchi, gialli, blu, rosa e di altri colori, grandi e piccoli, una libbra di diverse gradazioni per
4 boliviani o in sacchetti per due, quattro o cinque Boliviani. Inoltre, l’alcool e il vino artigianale da utilizzare per
bagnare i quattro angoli di una proprietà o di una casa. Altri preferiscono acquistare pennoni, palloncini, bandierine
o altre decorazioni.

Cristina ripropone poi un video con alcune canzoni dimenticate, interpretate in occasione del carnevale.

Alberto Medrano pubblica una serie di articoli e video del carnevale su El Alto Noticias:

* Shanyra Zabala, Regina del Carnevale di El Alto 2010 [sp]

* Carnivale in Bolivia: Corocoro “Culla di C’UT” [in]

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* Immagini del carnevale nella città andina di El Alto

Anche Hugo Miranda scrive [sp] del carnevale a Oruro.

Mario R. Duran informa [in] dal blog Palabras Libres che il BarCamp di El Alto è programmato per il 13 Marzo 2010.
L’evento si terrà presso l’Universidad Pública di El Alto.

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34. Cile: le molte facce del terremoto tramite i


filmati online della gente

09.03.10 - articolo originale di Juliana Rincón Parra - tradotto da Davide Galati

Verso la fine di questa prima giornata dal cataclisma, sono diventati


sempre più numerosi i video [in spagnolo] del devastante terremoto di
magnitudo 8.8 che ha colpito il Cile alle 3:30 ora locale [in]. Il sisma,
colpendo ben oltre la terraferma con ampi movimenti tellurici, ha
generato anche uno tsunami per il quale è scattato l’allerta in tutto il
Pacifico e che ha costretto diverse nazioni a prepararsi per le onde che
potrebbero sommergerne le spiagge.

Diversi i video girati durante il terremoto, come questo su YouTube. Il


filmato inizia con l’inquadratura di un computer in una stanza e, mentre
tutto trema, si sente anche un rombo; poi se ne va la corrente e rimane
tutto buio, si sentono solo le voci di di un uomo e di una donna. Si capisce Santiago dopo il terremoto (foto di pviojo, con licenza
Creative Comons)
che è l’uomo a riprendere con la telecamera, cercando nel contempo di
calmare la donna.

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Il video successivo è stato ripreso dall’utente di YouTube ikonsento durante una delle scosse di assestamento:

Ikonsento ha cominciato a filmare pochi minuti dopo la prima scossa, caricando online questo video che ne mostra gli
effetti sulla sua casa: il modo in cui i mobili sono prima scivolati sul pavimento per poi rovesciarsi in giro testimonia la
potenza del terremoto:

Anche il filmato che segue è stato realizzato alcuni minuti dopo il terremoto, come anche questo dove due uomini
appena arrivati in Cile subiscono l’esperienza del sisma e decidono di lasciare l’edifi cio in cui stavano e andare in strada
per un po’.

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Una volta ripristinata la luce nell’edifi cio, fanno ritorno alla palazzina i cui residenti sono tutti raccofanno rientrano
nell’appartamento, cercano di valutare l’entità dei danni: tubi dell’acqua rotti e crepe nei muri.

Con l’arrivo dell’alba, sempre più gente è scesa in strada per rendersi conto danni tutt’intorno.

Netprox si trovava in viaggio lungo l’autostrada, ed è riuscito a passare a malapena sotto un cavalcavia crollato.

Anche Rafael Vial è uscito in strada e ha fi lmato un ponte distrutto a Llaillay, ripreso grazie al suo cellulare su Qik.

In molte zone del Cile le comunicazioni sono interrotte e diventa più diffi cile mettersi in contatto con i propri cari per

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assicurarsi che siano tutti salvi. Questa coppia di ragazze ha sfruttato YouTube caricandovi un video nel quale informano
amici e famiglia che va tutto bene, e raccontano qualcosa di quanto hanno visto e sentito sul terremoto:

Altri cercano di aiutare diffondendo informazioni preziose su cosa sia meglio fare per avere maggiori probabilità di
restare in vita sotto un edificio che sta crollando. Come ad esempio in questo video, diffuso subito dopo il terremoto. La
teoria del “Triangolo della Vita” [in] stabilisce sostanzialmente che il posto più sicuro dove nascondersi durante una
scossa non è sotto qualche mobile, bensì a fi anco di un armadio grande e pesante: in questo modo, se l’armadio viene
schiacciato da quanto vi cade sopra, non collasserà sulla persona nascosta sotto. Al contrario, si potrà trovare rifugio
nello spazio creatosi a lato dell’armadio. Questo video promozionale, che è stato adattato e tradotto in spagnolo, spiega
perchè nascondersi sotto i tavoli o nei vani delle porte non sia una buona idea.

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35. Congo: elettrodomestici e computer


alimentano il conflitto bellico

24.02.10 / articolo originale di Juliana Ri ncón Parra - tradotto da Gaia Resta

Il coltan [it], o columbo-tantalite, è un minerale impiegato


per le resistenze di telefoni cellulari, video-game, computer e
di tutti i nostri elettrodomestici.

L’estrazione del coltan, che è stato paragonato ai diamanti


insanguinati [it], ha provocato danni ambientali [in], abusi
dei diritti umani e, secondo alcuni, sta alimentando il
conflitto in Congo [in].

Per cominciare, ConflictVoice [in] fa riferimento a Blood


Coltan, un documentario di 52 minuti diretto da Patrick
Forestier [in]. Il film, girato nel 2007, illustra tutti i dettagli
del commercio del coltan, la situazione militare e come la
vita quotidiana dei cittadini sia condizionata da questo
minerale, spesso unica fonte di reddito per quanti vivono
in villaggi poveri e isolati, e che spesso ne ignorano
l’utilizzo.

Nel 2006, avevamo già parlato [in] di Congo’s Bloody Coltan [in/fr], il documentario sul minerale in questione e la crisi
in Congo, a cura delPulitzer Center on Crisis Reporting [in]:

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Verso la fine del 2009 il Global Post ha pubblicato [in] un foto-documentario da far torcere le budella, corredato di
intervista a un minatore congolese di coltan, la cui storia è simile a quella di tutti i minatori:

In un altro articolo sul Global Post, Cell phone minerals fuel deadly Congo confl ict [in], Tristan McConnell indica le
ragioni per cui dovremmo preoccuparci di tale questione:

È facile ignorare le guerre in Congo, sembrano infi nite e così lontane. Ma solo fino a quando non ti rendi conto che
lo smartphonecon accesso a Internet che ti squilla in tasca, o la console palmare per videogiochi con cui passi il
tempo, contengono all’interno dei piccoli pezzetti di Congo orientale.

Jonathan Gosier, ricercatore del TED, scrive su Appfrica [in] di come abbiamesso insieme le mappe della crisi di
Ushahidi con quelle delle aree in cui si estrae il coltan [in], facendo emergere una sovrapposizione perfetta tra le zone del
conflitto e l’ubicazione delle miniere.

Come si vede nel grafico, il rosso indica gli episodi denunciati tramite drc.ushahidi.com [in], mentre il blu evidenzia le
aree in cui si estrae il coltan.

Il coltan non si produce solo in Congo, pur essendone questo il maggior produttore. Gosier fornisce alcuni
esempi [in] di come le aziende che lo utilizzano cercando di accertarsi di non favorire il confl itto:

Molte delle maggiori aziende tecnologiche adoperano il coltan nei prodotti elettronici di uso comune: Wii,
Playstation, iPhone, computer, ecc. Dall’inizio del secolo la maggior parte di loro hanno preso specifi che

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misure per assicurarsi che il loro coltan non provenga dal Congo. Di quali aziende si tratta? Apple, Intel,
Hewlett-Packard, Sony, Nokia e Nintendo.

Tuttavia, il blog Conflict Minerals [in] offre una prospettiva ben diversa sull’acquisto del coltan nella Repubblica
Popolare del Congo:

Una volta trattato e trasformato in condensatori, il coltan viene rivenduto ad aziende quali Nokia, Motorola, Compaq,
Alcatel, Dell, Hewlett-Packard, IBM, Lucent, Ericsson e Sony, per essere poi impiegato in un vasto assortimento di
prodotti d’uso quotidiano, dai telefoni cellulari ai chip dei computer fi no alle console dei videogiochi.

Altri credono che, pur esistendo un nesso tra il confl itto e il minerale, non sia corretto considerarlo come uno specifi co
rapporto di causa-effetto. È il caso del video che segue [in], Ask the African - Kambale Musavuli, Friends of the Congo :

Quindi cosa si PUO’ fare sulla situazione del coltan? Per il momento, è utile fare pressione sui produttori di beni di
consumo perché si accertino che le aree da cui lo acquisiscono non siano zone di guerra. E naturalmente è bene far girare
le notizie onde evitare che la storia si ripeta. La vicenda si fa inoltre più interessante ora che Colombia e Venezuela,
depositarie di una storia di conflitti e ostilità, hanno scoperto la presenza del coltan in alcune zone del confine in
comune [sp].

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