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Ogni volta che si nomina lIdroscalo di Ostia, a ogni buon letterato viene in
mente il pantano dove fu trucidato Pasolini. Delitto efferato, non c dubbio,
indipendentemente da chi labbia compiuto e per quale motivo. Eppure,
parlando dellIdroscalo, nella mia testa affiorano le centinaia e centinaia di vite
strappate dal mare, seviziate e uccise senza alcuna apparente ragione se non
quella di soddisfare i bisogni indotti di un capitalismo rampante.
Accanto a me, uno di questi cadaveri comprati al miglior offerente. Ogni
Venerd, difatti, mi reco allIdroscalo e dopo aver fatto tappa al boschetto che
nasconde la statua di Pasolini, sguscio al di l del Porto di Roma per giungere,
infine, allAppagliatore.
LAppagliatore un mercato coperto in una periferia suburbana che ormai non
ha pi nulla a che fare con la borgata pasoliniana. Labusivismo edilizio, infatti,
insieme a vari interventi di recupero mai riusciti del tutto e mai del tutto
coordinati, lhanno trasformata in unanonima periferia di unanonima
metropoli a un passo da una bidonville. Gli edifici sono casermoni di nove piani
con lintonaco bianco corroso dal salmastro. Le scale antincendio sono lasciate
a vista, come in certi bassifondi newyorkesi. Ogni tanto qualche pino secolare
sbuca dallasfalto, ma pi per inceppare il traffico che per rammentarci i resti di
una natura violentata. Sulle mura del mercato, alcuni graffiti e murales,
suburbani ma non proletari. Dei fasti dellantico porto romano neanche una
colonna o un muretto, gli scavi giacciono qualche chilometro nellentroterra:
del resto, allepoca dei romani, questa zona era mare aperto, deserto assolato.
AllAppagliatore c una pescheria niente male che vende prodotti a chilometri
zero, che arrivano direttamente dall'estuario del Tevere. Ogni tanto mi
domando se quello che faccio abbia un senso: percorrere quaranta chilometri
per procacciarsi del pesce che proviene da una delle zone pi contaminate
d'Italia. Eppure i prezzi in periferia, a volte, sono pi economici; e quello che
perdo in mercurio lo guadagno in assenza di antibiotici. E poi, ormai una
moda che si fatta tradizione.
Dallo stereo della macchina la voce di Andrea Camerini, il leader delle Nuove
Trib Zulu, sembra aprire varchi di cui non sospetto lesistenza. Devo sbrigarmi
prima che i moscardini prendano caldo, le telline si aprano e le papaline inizino
a puzzare. Cionondimeno percorro Via del Mare a passo duomo, non tanto per
timore degli autovelox, e neppure per godermi gli scavi (anche se ogni tanto
butto un occhio con il rischio di intruppare nellauto che mi precede). Questa
citt perennemente un cantiere aperto e il problema che non si tratta
neppure di archeologia. Una citt immensa da Bracciano a Trigoria collegata
forse solo dai ripetitori del telefono. Eppure per il teletrasporto pare che
bisogner attendere parecchio, daltronde solo per la metro D ci vorranno come
minimo altri ventanni. Ogni tanto vorrei fuggire in provincia, per godere di una
qualit di vita pi alta e di affitti pi abbordabili.
Tuttavia, ieri sera, mi successa una cosa che mi ha fatto riconciliare con
questa citt che odio e amo. Al Cineteatro di Monte Sacro, un piccolo spazio
underground gestito da un artista di ricerca, Antonio Bilo Canella, ho visto
unesibizione di canti e danze tradizionali dellIndia, come non ne capitano
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neanche nei teatri sovvenzionati del centro. Emozioni cos solo una grande
metropoli te le pu offrire, punti di incontro tra genti e culture distanti nello
spazio e nel tempo.
Ovviamente sono rincasato a notte fonda e il mio Leo non lha presa benissimo,
anzi...
Ma quando siamo usciti nel solito parco abbiamo visto non una, ma dieci, venti,
trenta lucciole; come tante piccole fatine che gironzolavano curiose attorno
allasilo, noto alle cronache locali perch le maestre vi maltrattavano i bambini.
Siamo al parco di Villa Veschi, a due passi da Circonvallazione Cornelia, una
delle zone pi trafficate di Roma. Mio padre diceva sempre che le lucciole
stanno l dove laria limpida e pulita. Ed io erano anni che non vedevo questi
insetti. Probabilmente hanno fatto come gabbiani e pappagalli: si sono adattati.
O forse, come per magia, sono sbucati da una voragine dell'asfalto,
direttamente dai resti di unantica villa romana. A proposito di chilometri zero,
chiss che mangiano adesso, con tutti questi diserbanti?
Per colpa dellunico senso alternato che paralizza lOstiense, mi devo inventare
qualcosa se voglio tornare a casa in tempo per desinare. Gi, Leo mi aspetta e
lui quando mi attardo si fa nervoso e irascibile. Ed inutile che gli racconti di
Marziale, Cortzar o Fellini.
Qualcuno potr non capire il mio essere ambientalista. Eppure io vengo da un
territorio in cui limpronta antropica millenaria. Mentre i coloni inglesi quando
sbarcarono negli Stati Uniti incontrarono la wilderness la terra selvaggia che
comprendeva piante, alberi, animali (tra cui gli indiani); noi viviamo qui da
sempre. La natura fa parte di noi: senza lopera dei contadini, i terrazzamenti
delle Cinque Terre non sarebbero esistiti. Limpronta antropica nel nostro paese
cos forte che i primi ambientalisti, in Italia, paradossalmente, sono i
cacciatori; gi perch per cacciare essenziale garantire lesistenza e lhabitat
dellanimale cacciato. Quindi non ho alcun rimorso per i miei cari moscardini
che stanno appassendo nella plastica, del resto il fermo ittico passato da un
pezzo. E come scrisse De Andr a proposito di Pasolini una storia comune
per gente speciale.
Appena entro in casa Leo mi scaraventa a terra e punta dritto i sacchetti del
pesce. Frutta e verdura non lo hanno mai interessato. A volte provo a
nascondergli qualche zucchina tritata nel riso, ma lui forse pensando all'anima
dei vegetali, le evita con diligenza, spingendole ai margini della ciotola.
In tutta fretta, nascondo il pesce nel frigo.
Non ora Leo, non ora!
E agguanto pettorina e guinzaglio.
Leo un meticcio, un incrocio tra un pastore cecoslovacco e uno tedesco. Il
piccolo, che pesa quasi quaranta chili, ha passato sei dei suoi sette anni di vita
in un canile. Unamica macrobiotica ha sentenziato per espiare le sue colpe,
dato che mangia carne. Odio i fanatici, persino quelli del cibo. Infatti, Leone ha
scontato tutte le sue pene, certo, ma rimanendo giovane e spavaldo, come
direbbe Guccini, gli eroi sono tutti giovani e belli: nella campagna Nord di
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Mentre parlavo con Elisabeth, una strana sensazione si faceva strada nei miei
pensieri. Mi sentivo come se non fossi lIo narrante, ma un personaggio
secondario a servizio della narrazione di un Io sconosciuto. A volte, gli incontri
nella vita non sono casuali. In quelloccasione, tuttavia, ho deciso di non dare
troppo peso alle circostanze: in fondo, se Elisabeth avesse ritenuto il nostro
incontro significativo, lo avrebbe fatto, indipendentemente dalle mie parole;
inoltre sembrava che la sua particolare ricettivit amplificasse ogni mia mossa;
per cui il miglior modo di comportarsi mi parso lasciarmi agire come mezzo,
essere percorso dagli eventi e non precorrerli.
Quando Elisabeth mi ha chiesto come ci siamo conosciuti Leone ed io, distinto
ho parlato dal cuore. Le ho raccontato che avevo sognato Betty, la mia cana,
che ormai era morta da qualche mese. Betty mi consigliava di salvare un
cagnolotto particolare, che non sopportava pi le sbarre della gabbia. Me lo
fece vedere e mi disse il nome: Leone. Il giorno dopo ho trovato, per caso, un
volantino di un canile, con il musotto spavaldo di Leone.
Parli con i morti?
Mi ha domandato Elisabeth, stupita.
Certo, i morti parlano.
Anche se in modo inconsapevole, ormai avevo preso liniziativa.
Tu non ci crederai, ma ieri mi sembrato di sentire il respiro di mio figlio
proprio qui sul mio seno.
Prima che finisse di parlare, ho percepito una forte energia rossa. E il rumore di
un respiro pervadermi il petto e salire fino alla gola. S era lui, ma non glielo
potevo confermare con assoluta certezza, i fantasmi non hanno volto, quindi ho
preferito tacere. Del resto, lei sapeva gi che il nostro incontro non era
avvenuto per caso.
Lho salutata velocemente, non so perch, ma volevo che quella situazione
finisse il prima possibile: non mi sentivo a mio agio, come se non fossi padrone
delle mie azioni. Ricordo solo di averle ripetuto pi volte ci rivedremo di nuovo
Elisabeth, solo un arrivederci.
Invece non lho pi rivista.
No, Leone, non l... l ci sono i forasacchi che ti entrano nella pelle e ti fanno
male. Poi dobbiamo andare dal medico e spendere un sacco di soldi che non
abbiamo.
I cani hanno bisogno che si parli loro di continuo. Non so quanto capiscono
ma in fondo cosa c da capire? La vita ha bisogno di attenzione pi che di
comprensione. Anzi, bisogna che badi a che Leone non si infratti: la Pineta
piena di istrici e di volpi, alcune incrociate con canidi, altre invece sono pure; il
loro nidore risveglia l'istinto del mio lupo che, a volte, si rotola nei loro
escrementi per coprire il suo odore e approntarsi per la caccia.
Le spighe sono alte nei campi della Pineta, i cespugli di mirto, menta e
finocchietto selvatico arrivano a met coscia. La menta cos resistente che un
giorno l'ho trapiantata sul terrazzo e lei si innestata sul basilico dando vita a
una nuova pianta aromatica che, sulla scia del Basilisco di Harry Potter, ho
chiamato basilmenta.
Sotto la collina che ospita una base militare e un manicomio, sgorga una
sorgente sulfurea che si raccoglie in un antico abbeveratoio. Al di l dello
strapiombo, i casermoni di Valle Aurelia dominano la vallata, grigi e tetri come
un pugno allo stomaco. Dove un tempo cera la ferrovia abbandonata, adesso
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*Finito il racconto, vado in cucina per inventarmi il pranzo. Nel frigo trovo
unorata cucinata il giorno prima. Per evitare di buttare gli avanzi, mi siedo in
salone e mangio accanto alla TV. Su Rai Storia, inaspettata, la voce di Alberto
Moravia a tenermi compagnia. Nel suo documentario Centrafrica uno sguardo
di Alberto Moravia, Alberto racconta la religione della foresta dei Pigmei e
afferma, cito testualmente In Africa, a differenza dellEuropa, la morte sta
accanto alla vita, gli africani sembrano pi consapevoli degli europei dei
misteri delluniverso, forse da questo deriva una certa rassegnazione alla
morte che, per certi versi, li accomuna al mondo animale... In Africa le parole
sono pi necessarie delle lacrime: svolgono una funzione sociale, rituale,
musicale e, quindi, per certi versi, magica. Gli africani danno un gran peso alla
parola, maggiore di qualsiasi europeo.
Ciao Alberto!