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Inquirenti milii in me quaedam uitia apparebant, Seneca,

in aperto posita, quae manu prenderem, quaedam obscuriora et in


recessu, quaedam non continua sed ex interuallis redeuntia, quae
uel molestissima dixerim, ut hostis uagos et ex occasionibus
adsilientis, per quos neutrum licet, nec tamquam in bello paratuin
esse nec
!R tamquam in pace securum. Illum. tamen habiturn in me maxime
deprendo (quare enim non uerum ut medico fatear?), nec bona
fide liberatum me eis quae timebam et oderam nec rursus
obnoxium; in statu ut non pessimo, ita maxime querulo et moroso
positus sum- nec aegroto nec
3 ualeo. Non est quod dicas omniurn uirtutium tenera esse principia,
tempore illis duramentum et robur accedere;
1 <SERENvs>

* Anneo Sereno il dedicatario di almeno due dei dialoghi senecani: De


constantia sapientis, De tranquillitate animi. Amico molto pi
giovane di Seneca, gli premor, come apprendiamo dal filosofo stesso che ricorda
di averlo pianto sconsolatamente in Epistulae ad Lucilium 63, 14 sgg.
Secondo la testimonianza di Plinio, Nat. Hist. 22, 96 sgg., che lo cita come
capitano dei vigiles di Nerone (vigili del fuoco, con compiti di polizia notturna),
la sua morte da attribuire ad avvelenamento da funghi.
1 Il verbo inquirere conosce un uso specifico giudiziario, passato all'italiano
nel campo semantico di inchiesta, inquisito ecc.: come mostra anche il resto
del discorso, Sereno infatti nell'atteggiamento di chi indaga in se stes
62

[1] <Sereno*> Ero immerso nell'introspezione,1 Seneca, ed


ecco mi apparivano alcuni vizi, messi allo scoperto, tanto che
potevo afferrarli con la mano: alcuni pi nascosti e reconditi,
altri non costanti, ma ricorrenti di quando in quando, che
definirei addirittura i pi insidiosi, come nemici sparpagliati e
pronti ad attaccare al momento opportuno, con i quali non
ammessa nessuna delle due tattiche, star pronti come in guerra
n tranquilli' come in pace. Tuttavia ho da criticare soprattutto
quell'atteggiamento in me (perch infatti non confessarlo
proprio come a un medico?), vale a dire di non essermi liberato
in tutta sincerit di quei difetti che temevo e odiavo e di non
esserne tuttavia ancora schiavo; mi ritrovo in una condizione se
vero non pessima, pur tuttavia pi che mai lamentevole e
uggiosa: non sto n male n bene. Non devi dirm che tutti i
comportamenti virtuosi hanno esordi malfermi, e che col tempo
essi guadagnano consolidamento e

so. La particolare condizione di fluttuazione tra la voglia che l'uomo ha di liberarsi


dei propri vizi e la sostanziale incapacit di farlo una volta per tutte spesso
presente all'attenzione di Seneca anche nelle Lettere a Lucilio: aiutare chi
si trova in questa insidiosa quanto comune condizione compito precipuo della
filosofia morale, intesa come medicina dell'anima, secondo la fisionomia che
soprattutto la scuola stoica si era data, da Crisippo in poi.
2 Laggettivo securus reca nella propria etimologia l'ideale della composi~2ei
conflitti interiori: in questo modo che l'insegnamento paneziano zione
aveva mitigato la difficolt di raggiungere l'apatia, obiettivo dell'antica Stoa.
Seneca accosta il termine securitas a tranquillitas in Epist.
92, 3, chiedendosi Quid est vita beata? Securitas et

perpetua tranquillitas.

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non ignoro etiam quae in speciem la~orant, dignitatem dico et


cloquentiae famam et quidquid ad alienum. suffragium uenit,
mora conualescere-et quac ueras uires parant et quae ad
placendurn fuco quodam subornantur expectant annos donee
paulatim colorem diuturnitas ducat -sed ego uereor nc
consuetudo, quac rebus adfert constantiam, hoc uitium mihi
altius figat: tam malorum. quam bonorum. longa conuersatio
amorem induit.
4 Haec animi inter utrumque dubii nec ad recta fortiter nee
ad praua uergentis infirmitas qualis sit, non tam semel tibi possum
quam per partes ostendere; dicam quac accidant 5 mihi, tu morbo
nomen inuenies. Tenet me summus amor
parsimoniae, fateor: placet non in ambitionern cubile compositurn,
non ex arcula prolata uestis, non ponderibus ac mille tormentis
splendere cogentibus expressa, sed 6 domestica et uilis, nec seruata
nee sumenda sollicite; placet
cibus quem nec parent familiae ncc spectent, non ante multos
imperatus dies nec multorum manibus ministratus, sed parabilis
facilisque, nihil habens arcessiti pretiosiue, ubilibet non defuturus,
nec patrimonio nec corpori grauis, 7 non rediturus qua intrauerit;
placet minister incultus et
rudis uernula, argentum. graue rustici patris sine ullo

3 Il concetto che la consuetudine con pratiche virtuose o viziose le rafforzi, variamente

diffuso in letteratura greca e latina, appartiene al patrimonio del sapere


popolare-proverbiale, a cui attinge volentieri la precettistica diatribica, quella che
appunto ha per destinatario l'uomo comune: si esprimeva cos anche Ovidio nei
Remedia amoris, vv. 79- 92, ammonendo che il tempo accresce la forza
anche all'amore malattia di cui ci si vuole liberare. E da notare anche che il paragrafo
linguisticamente e concettualmente costruito sull'opposizione verit-apparenza (in

speciem
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... ; ad alienum suffragiuni...

forza; non ignoro nemmeno che anche quelle attivit che indirizzano i loro sforzi a guadagnare immagine, intendo le cariche pubbliche o la fama legata all'abilit oratoria e tutto ci
che punta sul favore della gente, si rafforzano con il tempo -sia
quelle attivit che forniscono vere forze sia quelle che per
guadagnare favore si danno una qualche verniciatura artificiosa
aspettano anni, finch a poco a poco la durata faccia assumere
colore - ma io temo che la consuetudine, che consolida le cose,
mi infigga pi profondamente questo vizio nell'animo: la lunga
frequentazione ingenera amore sia per i difetti che per le virt.3
Quale sia la debolezza del rnio animo in bilico tra i due
comportamenti, incapace di inclinare con forza verso la retta
via o verso quella sbagliata, non posso indicartela tutta insieme
bens per parti; ti dir quel che mi accade, tu troverai un nome
al mio male.4 Sono preda di un grandissimo amore per la
parsimonia, lo confesso: mi piace un letto non preparato per
l'ostentazione, una veste non tirata fuori dal forziere, non
pressata da pesi e mille strumenti di tortura che la costringono
a ostentare una bella piega, ma ordinaria e semplice, non di
quelle che si conservano e si tirano fuori con ansia. Mi piace il
cibo che non debbano elaborare e sorvegliare stuoli di servi,
non ordinato molti giorni prima n servito dalle mani di molti,
ma facile a reperirsi e semplice, un cibo che non ha nulla di
ricercato o di prezioso, che non verr a mancare da nessuna
parte si vada, non oneroso per il patrimonio n per il corpo, tale
da non uscire poi per la stessa via dalla quale entrato. Mi
piacciono il servo alla buona e lo schiavetto rustico, l'argenteria
massiccia ereditata dal padre contadino che non
veras vires... ad placendum ecc.), nucleo tematico particolarmente caro
al pensiero del filosofo; l'espressione in speciein laborant ha sapore
sarcastico, indicando la vanit di una fatica volta a conquistare un bene effimero ed
estrinseco come il plauso degli altri e in questa accezione il verbo torna variamente nei

Dialogi.
infinnitas e morbus appartengono all'ambito medico, e insieme ad

41 termini

altri contribuiscono a rafforzare all'interno della struttura del dialogo la funzione della
filosofia come terapia dell'anima.

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nomine artificis, et mensa non uarietate macularum conspicua nec


per multas dominorum elegantium successiones ciuitati nota, sed in
usum posita, quae nullius conuiuae 8 oculos nec uoluptate moretur
nec accendat inuidia. Cum
bene ista placuerunt, praestringit animum apparatus alicuius
paedagogii, diligentius quam in tralatu uestita et auro culta
mancipia et agmen seruorum nitentium, iam domus etiam qua
calcatur pretiosa et diuitiis per omnes angulos dissipatis tecta ipsa
fulgentia et adsectator comesque patrimoniorurn pereuntium
populus; quid perlucentis ad imurn aquas et circurnfluentis ipsa
conuiuia, quid epu9 las loquar scaena sua dignas? Circumfudit me
ex longo
frugalitatis situ uenientem multo splendore luxuria et undique
circumsonuit: paulum titubat acies, facilius aduersus illarn
aninium quam oculos attollo; recedo itaque non peior sed tristior,
nec inter illa friuola. mea tam altus incedo tacitusque morsus
subit et dubitatio numquid illa meliora sint. Nihil horum me
mutat, nihil tamen non concutit.
10
Placet imperia praeceptorum sequi et in mediam ire rem
publicam; placet honores fascisque non scilicet purpura aut
uirgis abducturn capessere, sed ut amicis propinquisque
et omnibus ciuibus, omnibus deinde mortalibus paratior

5 Le mense raffinate erano fatte in legni pregiati, di cui si potevano ammira

re venature particolari (cfr. Seri., De

ira 3, 35, 5 mensam... crebris

distinctani
venis; ce le descrive diffusamente Plinio in Nat. Hist. 13, 93 sgg., soprattut
to 96- 9). Tutto il passo si inserisce nella nota polemica contro il lusso che
rappresentava un filone importante del pensiero antico, greco e latino. Uac
cenno al rusticus pater, in particolare, punta su uno dei capisaldi dell'auto
rappresentazione in senso tradizionalista del civis Romanus, come erede di
una cultura contadina (opposta con orgoglio a quella cittadina) che aveva fat
to la grandezza di Roma: inoltre fondamentale per giustificare il possesso,
appunto, di un bene di lusso, quale l'argentum, ammesso solo in quanto ere
ditario e comunque di qualit solida (grave) e non raffinata (sine... artificis).
6 1 paedagogia erano scuole dove in et imperiale venivano educati giovani

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reca norni di artigiani, e una tavola che non si fa notare per la


variet delle venaturel e che non famosa in citt per il frequente susseguirsi di padroni eleganti, ma che sia improntata
alla praticit, tale da non trattenere su di s gli occhi di nessun
commensale per il piacere n accenderli di invidia. Pienamente
soddisfatto di queste cose, mi attanaglia l'animo il fasto di un
collegio di valletti,6 schiavi vestiti e adorni d'oro con pi cura
che per una processione solenne e una schiera di servi tirati a
lucido, e poi una casa preziosa anche l per dove si cammina e
persino i soffitti splendenti di ricchezze sparse per ogni angolo
e la folla che fa da seguito e compagnia a patrimoni che vanno
in fumo; a che dovrei parlare di profiuvi di acque limpide fino
al fondo tutto intorno alle stesse mense, a che di banchetti degni
della loro messa in scena?' Il lusso si riversa con uno splendore
diffuso intorno a me che vengo dal lungo letargo della mia
frugalit e mi risuona intorno da ogni parte: la vista un poco
vacilla, contro il lusso levo pi facilmente l'animo che gli
occhi; me ne vado dunque non peggiore ma pi triste, e non
cos a testa alta tra quelle mie povere cose e un assillo segreto
mi prende e il dubbio che quelle altre possano davvero essere
migliori. Nulla di queste cose mi cambia, e tuttavia non c'
nulla che non mi agiti.
Mi piace seguire gli ordini dei miei maestri e dedicarnii alla
vita pubblica; n-ti piace riportare onori e trionfi non certo
perch attratto dalla porpora e dalle insegne del potere, ma per
essere pi sollecito e pi utile agli amici, ai parenti e a tutliberi, ma pi in particolare gli schiavi delle famiglie ricche, destinati a compiti
superiori.
7 SUI fasto delle case e soprattutto delle sale da pranzo in et imperiale abbiamo copiosa
testimonianza: lo stesso Seneca ne parla pi volte, sempre polemizzando contro lo
stravolgimento di prospettiva che porta a sprecare le ricchezze fino al limite estremo di
calpestarle, ricoprendo i pavimenti di materiali preziosi (per es. Epist. 94, 71

... ut terrani marmoribus abscondas: non tantum habere


tibi liceat, sed calcare divitias). Uallusione ai giochi d'acqua e

soprattutto alla messinscena coglie quello che era diventato l'elemento centrale dei
banchetti: la loro spettacolarit. Di ci abbiamo la testimonianza pi significativa nel
quadro dipinto da Petronio con la Coena Trimalchionis nel Satyricon.

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utiliorque sim. Promptus [sim positus] sequor Zenona,


Cleanthen, Chrysippum, quorum tamen nemo ad rem
i i publicam accessit, et nemo non misit. Vbi aliquid animum
insolitum arietari percussit, ubi aliquid occurrit aut indignum, ut
in orrini uita humana multa sunt, aut parum ex facili fluens, aut
multum temporis res non magno aestimandae poposcerunt, ad
otium conuertor et, quemadmodum pecoribus fatigatis quoque,
uelocior domum gradus est. Placet intra parietes suos uitam
coercere: 'nemo ullum auferat diem nihil dignum tanto inpendio
redditurus; sibi ipse animus hacreat, se colat, nihil alieni agat,
nihil quod ad iudicern spectet; ametur expers publicae priua12 taeque curae tranquillitas.' Sed ubi lectio fortior erexit ammurri et
aculeos subdiderunt exempla nobilia, prosilire libet in forum,
commodare alteri uocem, alteri operam, etiam si nhil
profuturam, tamen conaturam prodesse, alicuius coercere [in
foro] superbiam male secundis rebus elati.
13 In studiis puto mehercules melius esse res ipsas intueri et harum
causa loqui, ceterum uerba rebus permittere, ut qua duxerint hac
inelaborata sequatur oratio: 'quid opus est saeculis duratura
componere? Vis tu non id agere ne te posteri taceant? Morti
natus es, minus molestiarum habet funus tacitum. Itaque
occupandi temporis causa

Sono i padri dello stoicismo. Zenone, nato a Cizio


nell'isola di Cipro, e passato ad Atene, vi fond attorno al
301 a.C. la scuola detta Sto poikle (= portico variopinto),
dal portico, appunto, sotto il quale si tenevano le lezioni.
Cleante di Asso fu allievo e successore di Zenone come
caposcuola; a lui successe Crisippo di Soli nella medesima
funzione.
9 Il precetto compare in varia forma negli scritti di Seneca,
in particolare nelle Lettere a Lucilio: raccogliersi in se
stessi presentato come un passo spesso necessario per

ti i concittadini, e insomma a tutti gli uomini. Seguo pronto


Zenone, Cleante, Crisippo,8 dei quali nessuno fece carriera
politica e tuttavia nessuno manc di indirizzarci gli altri.
Quando qualcosa colpisce il mio animo non avvezzo a essere
urtato, quando mi si presenta qualche situazione spiacevole,
come ce ne sono molte nella vita di ognuno, o di quelle che
procedono poco agevolmente, oppure occupazioni di non gran
conto mi richiedono troppo tempo, mi concedo del tempo per
me e, come succede anche ai greggi stanchi, tomo pi
velocemente verso casa. Mi piace chiudere la vita tra le sue
pareti: Che nessuno ci porti via alcun giomo, dato che non
potr renderci nulla che sia degno di tanta perdita; l'animo stia
con se stesso, si coltivi, non si dedichi a nulla di estemo, a
nulla che attenda il giudizio di altri;9 si cerchi una tranquillit
priva di tormenti pubblici e privati. Ma non appena una
lettura pi impegnativa mi innalza l'animo e nobili esempi
fanno sentire il loro stimolo, mi piace corrermene nel foro,
prestare ad uno la mia voce, a un altro il mio aiuto, che, se anche non sar di alcuna utilit, tuttavia cercher di esserlo, colpire l'arToganza di chi ingiustamente insuperbito per il favore
delle circostanze.
Nella pratica degli studi ritengo, davvero, che sia meglio
tener presenti attentamente i contenuti stessi e parlare per
questi, per il resto affidare le parole ai contenuti, affinch
venga fuori un discorso non artificioso nella direzione in cui
essi conducono: 10 Che bisogno c' di creare opere destinate a
durare nei secoli? Non vuoi tu cercare piuttosto che i posteri ti
passino sotto silenzioP 1 Sei nato per la morte, un funerale
silenzioso crea meno fastidi. Cos, scrivi qualcosa con

68

La teoria dello stile qui esposta da Sereno in forma di


problema aperto rifiene nella sostanza i principi in cui
Seneca professava di credere: assegnare pi irriportanza ai
concetti che agli abbellimenti stilistici quanto il filosofo
raccomanda anche a Lucilio (cfr. soprattutto Epist. 40 e
75).
I I Anche questo precetto, che Seneca include pi volte nelle
sue opere, appartiene al patrimonio del pensiero cinico;
noto viceversa che per i Romani l'aspirazione alla gloria
69
1()

in usum tuum, non in pracconium aliquid simplici stilo 14 sciibe:


minore labore opus est studentibus in diem.' Rursus ubi se animus
cogitationum magnitudine leuauit, ambitiosus in uerba est altiusque
ut spirare ita eloqui gestit et ad dignitatem rerum exit oratio; oblitus
tum legis pressiorisque iudicii sublimius feror et ore iam non meo.
is Ne singula diutius persequar, in omnibus rebus haec me sequitur
bonae mentis infirmitas. tCuit ne paulatim defluam uereor, aut,
quod est sollicitius, ne semper casuro similis pendeam et plus
fortasse sit quam quod ipse peruideo; familiariter enim domestica
aspicimus et semper iudicio
16 fauor officit. Puto multos potuissead sapientiam peruenire, nisi
putassent se peruenisse, nisi quaedam in se dissimulassent,
quaedam opertis oculis transiluissent. Non est enim quod magis
aliena <nos> iudices adulatione perire quam nostra. Quis sibi
uerum dicere ausus est? Quis non inter laudantium
blandientiumque positus greges plurimum
17 tamen sibi ipse adsentatus est? Rogo itaque, si quod habes
remedium quo hanc fluctuationem meam sistas, dignum me putes
qui tibi tranquillitatem debeam. Non esse periculosos <hos>
motus animi nec quicquarn tumultuosi adferentis scio; ut uera tibi
similitudine id de quo queror exprimam, non tempestate uexor
sed nausea: detrahe ergo quidquid hoc est mali et succurre in
conspectu terrarum laboranti.

semplicit per occupare il tempo ad uso personale, non perch


si sappia in giro: occorre minor fatica a coloro che si applicano
per l'oggi. Ma di nuovo quando l'animo si eleva per la
grandezza delle cose che pensa, si fa ambizioso anche nella
ricerca delle parole e cerca di respirare e di parlare con
maggiore sostenutezza e il discorso che vien fuori si conforma
alla grandezza dei concetti; allora, dimentico della regola
del mio gusto pi misurato mi faccio trasportare pi in alto
parlo con bocca non pi mia.
Per non dilungarmi sui singoli aspetti, in tutte le occasioni
mi accompagna questa incostanza di senno . ... Il Temo di scivolare gi a poco a poco o, cosa pi preoccupante, di essere
sempre in bilico come chi sta per cadere e che la situazione sia
forse peggiore di quella che vedo io; infatti guardiamo con
bonomia le cose che ci riguardano e la simpatia offusca sempre
il giudizio. Penso che molti avrebbero potuto raggiungere la
saggezza, se non avessero ritenuto di averla raggiunta, se non si
fossero nascosti qualche loro manchevolezza, se non avessero
sorvolato su qualcosa chiudendo gli occhi. Infatti non c'
ragione di credere che noi andiamo in rovina pi per
l'adulazione altrui che per la nostra. Chi che ha mai osato dirsi
la verit? Chi che posto tra branchi di elogiatori e lusingatori
non si fatto tuttavia egli stesso grandissimo adulatore di S?
13 Ti prego dunque, se hai un qualche rimedio con cui tu possa
por fine a questo mio fluttuare, di ritenermi degno di dovere a
te la tnia tranquillit. Che non siano pericolosi questi moti
dell'animo e che non portino con s nessun vero
sconvolgimento lo so; per esprimerti ci di cui mi lamento con
una similitudine appropriata, non sono tormentato da una
tempesta, ma dal mal di mare: toglin- dunque questo
malessere, quale che sia, e vieni in aiuto di un naufra go che
ancora tribola gi in vista della terraferma.
Alla pratica dell'adulazione, tristemente tipica della corte imperiale, Seneca fa riferimento anche altrove (cfr. per es. De vita beata 2, 4). Ugualmente, e
soprattutto nelle Epistulae, egli ricorda per stigmatizzarlo il vizio dell'autoadulazione, cui l'uomo volentieri indulge, cfr. per es. Epist. 59, 10.
13

Il testo dei codici corrotto: cui lezione di A, il manoscritto pi autorevole, che qualcuno cerca di salvare come dativo poetico. Vari i tentativi di
emendare la corruttela (quin, itaque, sic), nessuno dei quali sembra pienamente
soddisfacente.
12

70

71

<SENECA> Quacro

mehercules iam. dudum, Serene, ipse


tacitus, cui talem. adfectum animi similem putem, nec ulli
propius admouerim. exemplo quam eorum qui ex longa
et graui ualetudine cxpliciti motiunculis leuibusque inte
rim offensis perstringuntur et, cum reliquias effugerunt,
suspicionibus tamen inquietantur medicisque iam sani
manum porrigunt et omnem calorem corporis sui calumni
antur. Horum, Serene, non parum sanum est corpus, sed
sanitati parum adsueuit, sicut est quidam tremor etiam
tranquilli maris, utique cum ex tempestate requieuit.

Opus est itaque non illis durioribus quae iam transcucurri


mus, ut alicubi obstes tibi, alicubi irascaris, alicubi instes
grains, sed illo quod ultimum uenit, ut fidem tibi habeas et
recta ire te uia credas, nihil auocatus transuersis multorurn
uestigiis passim discurrentium, quorundam circa ipsam.

3 errantium uiam. Quod desideras autem magnum ct sum


mum est deoque uicinum, non concuti. Hanc stabilem
animi sedem Graeci 6~jilav uocant, de qua Democrid
uolumen egregium est, ego tranquillitatern uoco; nec enim.
imitari et transferre uerba ad illorum. formarn necesse est:
res ipsa de qua agitur aliquo signanda nomine est, quod
4 appellationis Graecae uim debet habere, non faciem. Ergo
quacrimus quomodo animus scmper aequali secundoque

Anche questa nuova immagine tratta dall'ambitc, medico


utilizzata variamente da Seneca in altri testi (per es.

[2] <Seneca> Mi vado chiedendo, perbacco, gi da un po',


Sereno - tra me e me -, a che cosa potrei assimilare tale affezione dell'animo, e non saprei avvicinarla di pi a nessun
esempio che a quello di quanti, usciti da una malattia lunga e
grave, di tanto in tanto sono colpiti da piccoli attacchi di febbre
e da episodi di leggero malessere e, quando si sono ormai
sottratti alle residue manifestazioni del male, tuttavia si fanno
turbare da quelli che giudicano sintomi e, orinai guariti, tendono la mano ai medici e sovrainterpretano ogni rialzo di
temperatura. 14 Di costoro, Sereno, non poco sano il corpo,
ma troppo poco si abituato alla salute, cos come presente
un qualche tremolio anche nella marina tranquilla, specie
quando uscita da una tempesta. C' bisogno dunque non di
quei provvedimenti pi duri che orinai ci siamo lasciati alle
spalle, cio che a volte tu lotti con te stesso, altre monti in
collera con te, altre ancora ti incalzi pesantemente, ma di
quello che viene da ultimo, che tu abbia fiducia in te stesso e
creda di procedere per la strada giusta, non facendotene assolutamente distogliere dalle orme incrociate dei molti che vagano in tutte le direzioni, di alcuni che sbandano proprio ai
margini della strada. Quanto a ci di cui senti la mancanza,
qualcosa di grande, di eccelso, di vicino a dio, il non essere
turbato. Questa stabilit dell'animo, sulla quale c' quel volume
egregio di Democrito, 15 i Greci la chiamano ftu~tct, io la
chiamo tranquillit; infatti non necessario imitare e traslitterare un termine secondo la forma greca: lo stesso oggetto
di cui si tratta va contrassegnato con un nome, che deve avere
l'efficacia, non l'aspetto della dizione greca. Dunque noi ci
chiediamo in che modo gli stati d'animo possano se-

14

Epist. 72, 6).

Come anche in alcuni altri casi Seneca cita qui


direttamente in greco il termine tecnico filosofico, ma una
scelta che egli non sostiene teoricamente, ritenendo anzi
che il rispetto del senso di un concetto non debba
necessariamente passare per l'ossequio alla dizione della
lingua di partenza: per gli stoici, di cui sono noti gli
interessi per la riflessione teorica sulla lingua, la parola
72
15

sofo atomista che manifest un interesse particolare per i


problemi etici: nei frammenti che possediamo leggibile il
concetto di eM5u[ta come lo intende Seneca, una forma di
equilibrio interiore nel quale il senso della misura s'impone
sui turbamenti e le passioni dell'animo. Uequivalenza del
termine greco con il latino tranquillitas era gi adombrata
in Cicerone (Defin. 5, 23): Democriti autem securitas,

quae est animi tamquam tranquillitas, quam appellant

73

cursu cat propitiusque sibi sit et sua laetus aspiciat et hoc


gaudium non interrumpat, sed placido statu. maneat nec attollens
se umquarn nec deprimens: id tranquillitas erit. Quomodo ad hanc
perueniri possit in uniuersum quaeramus: sumes tu ex publico
remedio quantum. uoles. Totum interim uitium in medium
protrahendurn est, ex quo agnoscet quisque partem suam; simul
tu intelleges quanto minus negotii habeas cum fastidio tui quam ii
quos ad professionem speciosarn alligatos et sub ingenti titulo
laborantis in sua simulatione pudor magis quam uoluntas tenet.
6 Omnes in eadem causa sunt, et hi qui leuitate uexantur ac taedio
adsiduaque mutatione propositi, quibus semper magis placct quod
reliquerunt, et illi qui marcent et oscitantur. Adice eos qui non
aliter quam quibus difficilis somnus est uersant se et hoc atque
illo modo componunt donec quietem lassitudine inueniant: statum
uitae suae reformando subinde in eo nouissime manent in quo
illos non mutandi odium sed senectus ad nouandum pigra
deprendit. Adice et illos qui non constantiae uitio parum lcues
sunt sed inertiae, et uiuunt non quomodo uolunt sed
7 quomodo coeperunt. Innumerabiles deinceps proprietates sunt sed
unus effectus uitii, sibi displicere. Hoe oritur ab intemperie animi
et cupiditatibus timidis aut parum

guire un andamento sempre regolare e favorevole e l'animo sia


propizio a se stesso e guardi con contentezza a ci che lo
concerne e non interrompa questa felicit, ma rimanga in uno
stato di benessere, senza mai esaltarsi o deprimersi: questo
costituir la tranquillit. In che modo si possa pervenire ad essa
cerchiamolo in generale: tu prenderai dalla medicina comune
quanto vorrai. Frattanto va esposto alla vista di tutti il male
nella sua interezza, e ciascuno potr riconoscere la parte che
sua; tu capirai subito quanto minor imbarazzo costi a te il
disprezzo di te stesso rispetto a quanti, legati a una professione
di immagine e affaticati dal peso della loro alta dignit
ufficiale, sono costretti a recitare una parte dal pudore pi che
dalla volont.
Tutti si trovano nella stessa condizione, sia quanti sono
tormentati dall'incostanza e dal tedio16 e dal continuo mutamento dei propositi, ai quali sempre piace di pi ci che hanno
lasciato, sia quelli che si lasciano marcire tra gli sbadigli.
Aggiungi quelli che si agitano non diversamente da quanti
hanno il sonno difficile e si mettono in questa o in quell'altra
posizione finch non trovano pace per stanchezza: cambiando
continuamente modo di vivere da ultimo si fermano in quello in
cui li sorprende non il fastidio per i cambiamenti ma la
vecchiaia restia ai rinnovamenti. Aggiungi anche quelli che
sono poco duttili non per colpa della loro fermezza, ma per
colpa della loro inerzia, e vivono non come vogliono, ma come
hanno cominciato.17 Di qui innumerevoli sono le caratteristiche, ma uno solo l'effetto del male, l'essere scontenti di s.
Questo trae origine dall'incostanza dell'animo e da desi-

La levitas, semanficamente opposta alla virt stoica della constantia,


bersaglio degli attacchi di Seneca anche in De brev. 2, 2 all'intemo di una
galleria simile a questa di esempi di instabilit nevrotica (vaga et inconstans et
sibi displicens levitas: una volubilit incerta, incostante, insoddisfatta).
Taedium a propria volta parola tematica: rimanda infatti a quella lunga tradizione di pensiero che si era occupata del taedium vitae, l'angoscia esistenziale, individuandovi il nocciolo dell'infelicit umana: sono celebri i versi di
Lucrezio 3, 1053 sgg. e di Orazio, Epist. 1, 11. Tra le altre, di ascendenza
lucreziana l'immagine degli inquieti che sbadigliano: 3, 1065, oscitat extem-

PIO... Seneca la impiega anche in De brev. 2, 2 ugualmente in coppia con

16

74

marceo (nwrcentes oscitantesque).

La casistica delle varie forme di irrequietezza interiore, che allontanano


l'uomo dalla capacit di vivere pienamente la propria vita seguendo la saggezza, ha caratteristiche di pezzo di repertorio: infatti molto simile al
quadro tracciato in De brev. 2, 2 di cui sopra. La presenza di queste parti riconduce al carattere predicatorio originario della filosofia diatribica, che vi
doveva fare ricorso proprio perch basata sull'improvvisazione, e dunque
pu spiegarsi nei Dialogi di Seneca come portato di questa tradizione.
17

75

prosperis, ubi aut non audent quantum concupiscunt aut


non consequuntur et in spern toti prominent; semper instables
mobilesque sunt, quod necesse est accidere pendentibus. Ad uota
sua omni uia tendunt et inhonesta se ac difficilia docent
coguntque, et ubi sine praemo labor est, torquet illos inritum
dedecus, nec dolent praua se
8 <sed> frustra uoluisse. Tunc illos et paenitentia coepti tenet et
incipiendi timor subrepitque illa animi iactatio non inuenientis
exitum, quia nec imperare cupiditatibus suis nec obsequi possunt,
et cunctatio uitae parum se explicantis et inter destituta uota
torpentis animi situs.
9 Quae omnia grauiora sunt, ubi odio infelicitatis operosae ad
otium perfugerunt, ad secreta studia, quae pati non potest animus
ad ciuilia erectus agendique cupidus et natura inquies, parum
scilicet in se solaciorum habens; ideo, detractis oblectationibus
quas ipsae occupationes discurrentibus praebent, domurri
solitudinem parietes non
10 fert, inuitus aspicit se sibi relictum. Hinc illud est taedium et
displicentia sui et nusquam residentis animi uolutatio et otii sui
tristis atque aegra patientia, utique ubi causas fateri pudet et
tormenta introsus egit uerecundia, in angusto inclusae cupiditates
sine exitu se ipsae strangulant; inde maeror marcorque et mille
fluctus mentis incertae, quam spes inchoatae suspensam habent,
deploratae tristem; inde

Mille lezione del codice A, e pu contare sul sostegno


dell'allitterazione con maeror e marcor, ragioni pi che
18

sufficienti ad accoglierla nel testo: resta tuttavia un


margine di dubbio per l'immagine cos ottenuta (mille fiut76

deri timidi o poco fortunati, laddove gli uomini o non osano


quanto vogliono o non lo ottegono e sono tutti protesi nella
speranza; sono sempre instabili e mutevoli, il che inevitabile
succeda a chi sta con l'animo in sospeso. Tendono con ogni
mezzo al soddisfacimento dei loro desideri, e si addestrano e si
costringono a obiettivi disonorevoli d ardui, e quando la loro
fatica priva di premio, li tormenta il disonore che non ha dato
frutto, n si rammaricano di aver teso a obiettivi ingiusti, ma di
averlo fatto invano. Allora li prende sia il pentimento di quello
che hanno intrapreso sia il timore di intraprendere altro e
s'insinua in loro quell'irrequietezza dell'animo che non trova
vie d'uscita, poich non possono n dominare i loro desideri n
assecondarli, e l'irresolutezza di una vita che non riesce a
realizzarsi e l'inerzia dell'animo che s'intorpidisce tra desideri
frustrati. E tutto ci risulta pi grave, laddove per il disgusto di
una vita infelice piena di impegni si sono rifugiati nell'ozio,
nella vita privata, condizione che non pu sopportare un animo
teso all'impegno civile e desideroso di agire e per natura
insofferente del quieto vivere, che - si capisce - trova in s
poco conforto; perci, tolti i piaceri che gli stessi impegni
dispensano a chi corre da tutte le parti, non sopporta casa
solitudine pareti, a malincuore si guarda abbandonato a se
stesso. Di qui quella noia e quel disgusto di s, e l'irrequietezza
dell'animo che non trova mai un dove, e la triste e penosa
sopportazione del proprio ozio, soprattutto quando si ha ritegno
nell'ammetterne le cause e il pudore ha ricacciato dentro le
ragioni del tormento, mentre le passioni bloccate in uno spazio
angusto si soffocano a vicenda senza trovare sbocchi; di l
mestizia abbattimento e mille'8 ondeggiamenti della mente
incerta, tenuta in sospeso dalle speranze accarezzate, intristita
da quelle abbandonate; di l quello

tuazioni) che appare di gusto forse un po' troppo modemo,


a fronte di un nesso linguisticamente del tutto affidabile
come illefluctus (quella ben nota fluttuazione), che si
otterrebbe accogliendo la lezione ille di alcuni codici pi
77

ille adfectus otium suurn detestantium querentiumque nihil ipsos


habere quod agant et alienis incrementis inimicissima inuidia.
Alit enirri liuorem inflix inertia et omnes destrui cupiunt, quia se
non potuere prouchere;
il ex hac deinde auersatione alienorum processuum et suorum
desperatione obirascens fortunae animus et de sacculo querens et
in angulos se retrahens et poenac incubans suae, dum illum taedet
sui pigetque. Natura enim humanus animus agilis est et pronus ad
motus. Grata omnis illi excitandi se abstrahendique materia est,
gratior pessimis quibusque ingeniis quae occupationibus libenter
deteruntur; ut ulcera quaedam nocituras manus adpetunt et tactu
gaudent et fbedarn corporum scabiem delectat quidquid
exasperat, non aliter dixerim his mentibus in quas cupiditates
uelut mala ulcera eruperunt uoluptati esse laborem
12 uexationemque. Sunt enim quaedam quae corpus quoque nostrum
cum quodarn dolore delectent, ut uersare se et mutare nondum
fessum latus et alio atque alio positu uentilari: qualis ille
Homericus Achilles est, modo pronus, modo supinus, in uarios
habitus se ipse componens, quod proprium aegri est, nihil diu pati
et mutationibus ut
13 remediis uti. Inde peregrinationes suscipiuntur uagae et litora
pererrantur et modo mari se modo terra experitur semper
praesentibus infesta leuitas. 'Nune Campaniam petamus.' Iam
delicata fastidio sunt: 'inculta uideantur, Bruttios et Lucaniae
saltus persequamun' Aliquid tamen inter deserta arnoeni
requiritur, in quo luxuriosi oculi longo

Il nesso ripreso con variazione pi avanti, a 12, 3, in inquieta inertia: entrambi contengono un'eco dell'oraziana strenua inertia di Epist. 1, 11, 28,
passo come questo dedicato alla descrizione delle inquietudini interiori. 20 Il
paragone con Achille allude all'episodio omerico di Riade 24, 4 sgg. in cui
descritta l'agitazione fisica incontenibile dell'eroe derivante dallo strazio per
la morte di Patroclo. Linguisticamente funge da intermediario una
19

78

stato d'animo di quanti detestano il loro ozio, lamentano di non


aver nulla da fare e la terribile invidia verso i successi altrui.
Infatti l'inerzia infelice" alimenta il livore e desiderano che tutti
cadano in rovina, perch loro non hanno potuto progredire;
quindi da questo avversare i progressi altrui e dal disperare dei
propri l'animo passa ad adirarsi contro la sorte e a lamentarsi
dello spirito dei tempi e a ritirarsi negli angoli e a covare la
propria pena, mentre prova fastidio e disgusto di s. Infatti per
natura l'animo umano attivo e portato al movimento. Gli
gradita ogni occasione di muoversi e distrarsi, pi gradita a tutti
i peggiori soggetti che volentieri si consumano nelle
occupazioni; come certe ferite vogliono il contatto con le mani
che pure recheranno loro dolore e godono a sentirlo, e la turpe
scabbia prova piacere da qualunque cosa la esasperi, non
diversamente direi che per queste menti, in cui le passioni sono
esplose come una dolorosa ferita, sono motivo di piacere il
travaglio e il tormento. Ci sono infatti cose che possono far
piacere anche al nostro corpo recandogli un certo dolore, come
voltarsi e girare il fianco non ancora stanco e rigirarsi
continuamente ora in una posizione ora in un'altra, qual quel
famoso Achille descritto da Omero~20 ora prono, ora supino,
che assume varie posizioni - il che proprio di un malato: non
sopportare nulla a lungo e ricorrere ai cambiamenti come a
medicine. Per questo si intraprendono peregrinazioni in lungo e
in largo e si attraversano lidi inospitali e ora per mare ora per
terra fa prova di s la loro incostanza sempre nemica del
presente: Ora andiamo in Campania. Subito i luoghi
raffinati21 vengono a noia: Si vada a vedere luoghi selvaggi,
visitiamo le balze del Bruzio e della Lucania. Tuttavia in
mezzo ai luoghi desolati si cerca qualcosa di
precisa reminiscenza virgiliana, Aen. 3, 581 jessuni quotiens mutet latuni;
pure notevole l'uso del verbo ventilari (rigirarsi contirmamente) che contiene nella radice l'immagine della mutevolezza legata al vento.
21 Laggettivo delicatus nel lessico senecano spesso connotato negativamente. Le spiagge della Campania, tra cui il famoso litorale di Baia, erano
tra le pi ricercate del tempo.
79

locorum horrentium. squalore releuentur: 'Tarentumi petatur


laudatusque portus et hiberna caeli mitioris et regio uel antiquae
satis opulenta turbae.' 'Iarn flectamus cursum ad urbem': nimis diu a
plausu et fragore aures uacauerunt, 14 iuuat iani et humano
sanguine frui. Aliud ex alio iter suscipitur et spectacula spectaculis
mutantur. Vt ait Lucretius,
hoc se quisque modo semper
fugit.
Sed quid prodest, si non effugit? sequitur se ipse et urget 15
grauissimus comes. Itaque scire debemus non locorum uitiurn esse
quo laboramus, sed nostrum: infirmi sumus ad omne tolerandum,
nec laboris patientes nec uoluPtatis nec nostri nec ullius rei diutius.
Hoc quosdarn egit ad mortem, quod proposita saepe mutando in
eaderri reuoluebantur et non reliquerant nouitati locum: fastidio
esse illis coepit uita et ipse mundus et subit illud tabidarumi
deliciarum: 'quousque eadem?'
3 Aduersus hoc taediurn quo auxilio puterni utenduni quaeris.
Optumurn erat, ut ait Athenodorus, actione rerum et rei publicae
tractatione et officiis ciuilibus se detinere. Narri ut quidani sole
atque exercitatione et cura corporis dierni educunt athletisque
longe utilissimurn est lacertos suos roburque, cui se uni
dicauerunt, maiore temporis

22 Del clima di Taranto abbiamo testimonianza, per es.,


anche in Orazio, Carm. 2, 6. 23 t il passo 3, 1068, interno

alla sezione gi citata del poema lucreziano, ma la citazione


fatta a memoria contiene un semper che nel testo manca:
in letteratura latina quella per noi la prirria formulazione
del topos diatribico della instabilit spirituale che si
traduce nel frequente cambiamento di luogo. A questo
Seneca stesso dedica una trattazione rivolta al discepolo
80

piacevole, in cui gli occhi abituati al lusso possano trovar sollievo dal prolungato spettacolo di squallore dei luoghi aspri:
Rechiamoci a Taranto, al suo porto elogiato e al soggiorno
invernale di un clima pi mite 22 e a una terra abbastanza ricca
anche per la popolazione di un tempo. Ormai volgiamo la
rotta verso Roma: troppo a lungo le orecchie sono restate
libere dagli applausi e dal chiasso, ormai fa piacere godere
della vista del sangue umano. Si intraprende un viaggio dietro
l'altro e si alternano spettacoli a spettacoli. Come dice Lucrezio, in questo modo ciascuno fugge sempre se steSSO.23
Ma a che gli serve, se non riesce a sfuggirsi? sempre si segue e
si
C

incalza da solo, compagno di viaggio insopportabile. Dunque


dobbiamo sapere che non dei luoghi la colpa per cui ci tormentiamo, ma nostra:24 siamo incapaci di tollerare tutto, non
sopportiamo la fatica n il piacere n noi stessi n nessuna cosa
troppo a lungo. Questo ha portato alcuni alla morte, il fatto che
spesso cambiando propositi finivano per ritornare ai medesimi
e non avevano lasciato spazio alla novit: cominciarono ad
esser loro motivo di fastidio la vita e lo stesso mondo e si
insinu in loro quel famoso dubbio proprio di una raffinatezza
marcescente: fino a quando le stesse cose?
[3] Contro questa insofferenza chiedi di quale aiuto io pensi
ci si debba servire. Il meglio sarebbe stato, come diceva
Atenodoro ~25 tenersi occupati nell'azione e nell'impegno
politico e nei doveri civili. Infatti, come alcuni passano la vita
all'aria aperta e nell'esercizio e nella cura del corpo e per gli
atleti di gran lunga la cosa pi utile nutrire per gran parte del
tempo la forza dei loro muscoli, alla quale si sono deEpist. 28, 1 sgg., che contiene la celebre esortazione
animum debes mutare, non caelum ecc.
24 Per il principio, cfr. Epist. 17, 12 non est enim in rebus
vitium, sed in ipso animo (il male non nelle cose, ma
proprio nell'ammo).
25 Si in dubbio sull'identificazione precisa di questo
personaggio: c' chi pensa ad Atenodoro di Tarso,
discepolo di Posidonio, frequentatore a Roma della corte di
Augusto (forse lo stesso che Seneca cita in Epist. 10, 81
5
come sua fonte); viceversa potrebbe trattarsi dell'omonimo

parte nutrire, ita uobis animum ad rerum ciuiliurn certamen


parantibus in opere esse [non] longe pulcherrimuni est; nam cum
utilem se efficere ciuibus mortalibusque propositum habeat, simul
et exercetur et proficit qui in mediis se officiis posuit communia
priuataque pro facultate
2 administrans.'Sedquiainhac'inquittaminsanahoniinum ambitione
tot caluinniatoribus in deterius recta torquentibus parum tuta
simplicitas est et plus futurum semper est quod obstet quam quod
succedat, a foro quidem et publico recedenduin est, sed habet ubi
se etiam in priuato laxe explicet magnus animus; nec ut leonum
animaliumque impetus caucis coercetur, sic hominum, quorum
maximae
3 in seducto actiones sunt. Ita tamen delituerit ut, ubicumque otium
suum absconderit, prodesse uelit singulis uniuersisque ingenio
uoce consilio; nec enim is solus rei publicac prodest qui
candidatos extrahit et tuetur reos et de pace belloque censet, sed
qui iuuentutem exhortatur, qui in tanta bonorum praeceptorum
inopia uirtutem instillat animis, qui ad pecuniam luxuriamque
cursu ruentis prensat ac retrabit et, si nihil aliud, certe moratur, in
priuato
4 publicum negotiurn agit. An ille plus praestat qui inter peregrinos
et ciues aut urbanus praetor adeuntibus adsesso-

Si affaccia qui l'idea del ritiro nel privato, a cui Seneca approder con pie na convinzione teorica e avvicinandosi consapevolmente a posizioni epicuree nelle Epistulae ad Lucilium: nel De tranquillitate
(probabile anello di congiunzione nella trilogia dedicata a Sereno tra il De
constantia sapientis e il De otio, nel quale la convinzione si
radicalizza) l'idea ancora quella di un ritiro che consenta all'uomo di
svolgere una funzione attiva sulla collettivit, con l'esortazione e con
l'insegnamento, come viene chiarito subito di seguito.
27 Il riferimento alla figura del praetor urbanus che era incaricato di
amministrare la giustizia nelle questioni interne alla cittadinanza romana:
analogo ruolo per le questioni tra chi aveva la cittadinanza romana e chi no
era
82
26

dicati totalmente, cos per voi che preparate l'animo alla lotta
politica di gran lunga la cosa preferibile darsi all'azione;
infatti, avendo il proposito di rendersi utile ai cittadini e agli
uomini in generale, si esercita e nello stesso tempo ne trae
giovamento chi si immerso nelle occupazioni curando - in
base alle sue possibilit - il pubblico e il privato. Ma poich diceva - in questa cos dissennata ambizione degli uomini, in
presenza di tanti detrattori che distorcono in peggio le azioni
oneste, la sincerit troppo poco sicura ed sempre pi
probabile si verifichi un intoppo piuttosto che un successo,
necessario ritirarsi dal foro e dalla vita pubblica, ma un animo
grande anche in privato ha dove dar ampia prova di s; e per gli
uomini non lo stesso che per i leoni e le bestie, la cui forza
soffocata dalla cattivit: le loro azioni risultano anzi
efficacissime nel ritiro .26 Tuttavia star nascosto cosi che, in
qualunque luogo abbia tenuto celato il suo ritiro, voglia giovare
ai singoli e alla collettivit con l'intelligenza, la parola, la
saggezza; infatti non si rivela utile allo stato soltanto colui che
promuove i candidati e difende gli accusati e decide della pace
e della guerra, ma anche colui che esorta i giovani, che in tanta
carenza di buoni insegnamenti instilla la virt negli animi, che
sa bloccare e tirare indietro quelli che si gettano di corsa verso
il denaro e il consumo sfrenato e, se non altro, almeno li
trattiene, costui in privato svolge un compito di ordine
pubblico. Ma fa forse di pi colui che tra i forestieri e i
concittadini o in qualit di pretore urban021 a quanricoperto dal praetorperegrinus. Uassistente, o adsessor, una
figura che compare, a quanto possiamo ricostruire dalle nostre
testimonianze, in et imperiale, sotto Claudio: suo compito era quello di
preparare la sentenza che il praetor avrebbe reso poi ufficiale, dandone
lettura. Il senso del discorso senecano quello di rivendicare una funzione
di primo piano al filosofo, colui che ha la capacit di spiegare l'essenza
del diritto (e per estensione della vita), rispetto a chi viceversa non discute
ma applica il diritto, cio rispetto al personaggio emblematicamente
pubblico del pretore, scelto come esempio per il riconoscimento
generalizzato della sua funzione civile: Seneca vuole far capire come chi
ragiona sulla vita e cerca di interpretarne il senso svolge una funzione forse
meno evidente, ma allo stesso modo (e forse pi) altamente civile.
83

ris uerba pronuntiat quam qui quid sit iustitia, quid pietas, quid
patientia, quid fortitudo, quid mortis contemptus, quid deorurn
intellectus, quam gratuiturn bonum sit bona 5 conscientia? Ergo si
tempus in studia conferas quod subduxeris officiis, non deserueris nec munus detrectaueris. Neque
enim ille solus militat qui in acie stat ct cornu dextrum lacuumque
defendit, sed <et> qui portas tuetur et statione minus periculosa,
non otiosa tamen fungitur uigiliasque scruat et armamentario
praeest; quae ministeria, quarnuis incruenta sint, in numerurn
stipendiorurn ueniunt. 6 Si te ad studia rcuocaucris, omne uitae
fastidium effugeris
nec noctem fieri optabis taedio lucis, nec tibi grauis cris nee aliis
superuacuus; multos in amicitiarn adtrahes adfluetque ad te
optumus quisque. Numquarn enim quamuis obscura uirtus latet,
sed mittit sui signa: quisquis dignus fuerit 7 uestigiis illarn colliget.
Nam si omnem conuersationern tollimus et generi humano renuntiamus uiuimusque in nos tanturn
conuersi, sequetur hanc solitudinern omni studio carentern inopia
rerurn agendarum: incipiemus aedificia alia ponere, alia subuertere
et mare summouere et aquas contra difficultatern locorurn educere
et male dispensare 8 tempus quod nobis natura consumendurn
dedit. AM parce
illo utimur, alii prodige; alii sic inpendimus ut possimus
rationem reddere, alii ut nullas habeamus reliquias, qua

28 Anche questo dell'operosit irriflessiva topos diatribico,


pi volte ogget
to della polemica senecana. Nel discorso filtra anche,
nuovamente, la con
danna tradizionale del lusso e della dissennata ricerca
84

ti gli si rivolgono pronuncia le parole di un assistente rispetto a


chi dice che cosa sia la giustizia, che cosa il senso del dovere,
che cosa la sopportazione, che cosa la forza d'animo, che cosa
il disprezzo della morte, che cosa la nozione degli dei, che
bene sicuro e incondizionato sia la buona coscienza? Dunque,
se convertirai agli studi il tempo che avrai saputo sottrarre ai
doveri pubblici, non avrai disertato n ti sarai sottratto al tuo
servizio. Infatti non milita soltanto chi sul campo e difende
l'ala destra e quella sinistra, ma anche chi sorveglia le porte e si
vale di una postazione meno pericolosa, ma non certo oziosa e
osserva i turni di guardia e ha la responsabilit dell'arsenale; i
quali compiti, bench siano incruenti, sono nel novero dei
servizi militari. Se saprai richiamarti agli studi, fuggirai ogni
forma di fastidio della vita e
e

non desidererai che venga la notte per noia della luce, non sa
rai di peso a te stesso n di troppo per gli altri; attrarrai molti
nella tua amicizia e tutti i migliori verranno da te. Infatti la
virt non resta mai in incognito, per quanto nascosta, ma
manda segni di s: chiunque ne sar degno, la recuperer dal
le tracce. Infatti se elimmiamo ogni frequentazione degli altri
e rinunciamo al genere umano e viviamo concentrati unica
mente in noi stessi, far seguito a questo stato di solitudine
priva di ogni interesse la mancanza di cose da fare: comince
remo a costruire edifici e a distruggeme altri, e a sconvolgere
il mare e a condurre corsi d'acqua contro le difficolt dei luo
ghi e a distribuire male il tempo che la natura ci ha dato da
impiegare.28 Alcuni di noi ne fanno uso con parsimonia, altri
con prodigalit; alcuni di noi lo spendono in modo da poter
ne rendere conto, altri in modo da non lasciarne alcun resi
duo, cosa di cui niente pi vergognoso. Spesso una persona
ciare indietro il mare o viceversa di condurre le acque in
luoghi impervi: l'immagine vanta una tradizione letteraria
consolidata almeno a partire da Eschilo, che nei Persiani
interpreta la sconfitta finale di Serse come punizione di un
esempio di tale tracotanza l'aver messo il giogo
all'Ellesponto (il ponte di zattere sullo stretto dei
85

re nihil turpius est. Saepe grandis natu senex nullum aliud habet
argumentum quo se probet diu uixisse praeter aetatem.'
4 Mihi, carissime Serene, nimis uidetur summisisse temporibus se Athenodorus, nimis cito refugisse. Nec ego negauerim
aliquando cedendum, sed sensim, relato gradu et saluis signis, salua
militari dignitate: sanctiores tutiores2 que sunt hostibus suis qui in
fidem cum. armis ueniunt. Hoc
puto uirtuti faciendum studiosoque uirtutis: si pracualebit fortuna
et praccidet agendi facultatem, non statim auersus inermique
fugiat latebras quaerens, quasi ullus locus sit quo non possit
fortuna persequi, sed parcius se inferat officiis et cum dilectu
inueniat aliquid in quo utilis ciuitati
3 sit. Militare non licet: honores petat. Priuato uuendum
est: sit orator. Silentium. indictum est: tacita aduocatione ciues
iuuet. Periculosum etiam ingressu forum. est: in domibus, in
spectaculis, in conuiuiis bonum contubernalem, fidelem amicum,
temperantem conuiuam agat. Officia 4 ciuis amisit: bominis
exerceat. Ideo magno animo nos non
unius urbis moenibus clusimus sed in totius orbis com
mercium emisimus patriamque nobis mundum professi
sumus, ut liceret latiorem uirtuti campum dare. Prae
clusum tibi tribunal est et rostris prohiberis aut comitiis:
respice post te quantum latissimarum regionum pateat,

29 Uadvocatus (o patronus, come regolarmente in et imperiale) svolgeva la


propria funzione legale durante i processi con un vero e proprio patrocinio o
semplicemente assistendo l'amico con la presenza fisica, che comunque poteva - in base al prestigio - esercitare una qualche influenza sulla giuria.
30 una rivendicazione del cosmopolitismo stoico, non infrequente negli
scritti senecani, che lascia trasparire nella formulazione un certo orgoglio,
86

molto anziana non ha nessun altro argomento con cui provare


di essere vissuta a lungo se non l'et.
[41 A me sembra, carissimo Sereno, che Atenodoro si sia
piegato troppo ai tempi, si sia ritirato troppo presto. E io non
sono qui a escludere che a un certo punto ci si debba ritirare, ma
arretrando a poco a poco e con le insegne intatte, salvaguardando l'onore delle armi: risultano pi rispettati e pi sicun
quanti si consegnano ai nerrtici con le armi in pugno. Questo
ci che penso sia il compito della virt e di uno che ama la
virt: se la sorte avr il sopravvento e recider la possibilit di
agire, non si dia subito alla fuga volgendo le spalle e gettando le
anni, cercando rifugio, quasi che esista davvero un luogo nel
quale la sorte non possa raggiungerlo, ma si dedichi agli
impegni pubblici con maggiore misura e scelga qualche
occupazione in cui possa rendersi utile alla cittadinanza. Non
gli permesso prestare servizo militare: si candidi a cariche
pubbliche. Deve vivere da privato cittadino: faccia l'oratore. t
costretto al silenzio: aiuti i cittadini con una assistenza legale
tacita.29 Gli pericoloso anche l'ingresso nel foro: nelle case,
agli spettacoli, durante i banchetti faccia il buon compagno,
l'amico fidato, il convitato sobrio. Ha perduto gli incarichi del
cittadino: svolga quelli dell'uomo. Per questo noi con animo
grande non ci siamo voluti chiudere nelle mura di una sola citt,
ma ci siamo aperti alla relazione con tutto il mondo e abbiamo
affen-nato di avere il mondo come patria, perch fosse possibile
offrire alla virt un campo pi vasto.10 Ti precluso il tribunale
e ti vietata la frequentazione dei rostri o dei comizi;' I guarda
dietro di te che ampia

soprattutto nell'enfasi con cui la prima persona plurale marcata dalla presenza del pronome.
31 Con tribunal si intendeva propriamente il palco spettante ai magistrati, i
rostra erano invece le tribune destinate agli oratori e prendevano il nome dai
rostri, appesi come trofeo, delle navi nemiche degli Anziati sconfitti nel 338
a.C.; i comitia erano le assemblee del popolo: l'esclusione da questi luoghi e
occasioni pubblici vuole significare l'esclusione dalla vita politica nelle sue
varie manifestazioni.
87

quantum populorum; numquam ita tibi magna pars 5 obstruetur


ut non maior relinquatur. Sed uide ne totum istud tuum uitium sit;
non uis enim nisi consul aut prytanis aut ceryx aut sufes
administrare rem publicam. Quid si militare nolis nisi imperator aut
tribunus? Etiam si alii primam frontem tenebunt, te sors inter
triarios posuerit, inde uoce adhortatione exemplo animo milita:
praecisis quoque manibus ille in proelio inuenit quod partibus
conferat qui
6 stat tamen et clamore iuuat. Tale quiddam facias: si a prima te rei
publicae parte fortuna summouerit, stes tamen et clamore iuues
et, si quis fauces oppresserit, stes tamen et silentio iuues.
Numquam inutilis est opera ciuis boni: auditus uisusque, uultu
nutu obstinatione tacita incessuque
7 ipso prodest. Vt salutaria quaedam citra gustum tactumque odore
proficiunt, ita uirtus utilitatem etiam ex longinquo et latens
fundit. Siue spatiatur et se utitur suo iure, siue precarios habet
excessus cogiturque uela contrahere, siue otiosa mutaque est et
<in> angusto circumsaepta, siue adaperta, in quocumque habitu
est, prodest. Quid tu
8 parum utile putas exemplum bene quiescentis? Longe itaque
optimum est miscere otium rebus, quotiens actuosa uita
inpedimentis fortuitis aut ciuitatis condicione prohibebitur;
numquarn emm usque co interclusa sunt omma ut nulli actioni
locus honestac sit.

estensione di vastissime terre e di popoli si apra; non ti sar


mai preclusa una parte cos grande che una pi grande non ti
sia lasciata. Ma fa' attenzione che tutto questo non sia un tuo
difetto; infatti non vuoi amministrare lo stato se non da console
o da pritano o da araldo o da suffete.11 Che dire se tu rifiutassi
di combattere se non da generale o da tribuno? Anche se altri
occuperanno la prima fila, e la sorte ti avr posto fra i
triarii~33 combatti dunque con la voce, con l'esortazione, con
l'esempio, con il coraggio: anche con le mani tagliate colui che
tuttavia resiste e fa opera di sostegno con le grida trova nella
battaglia modo di aiutare il suo partito. Fa' qualcosa di sin-file:
se la sorte ti allontaner dalla posizione di primo piano nello
stato, resisti tuttavia e fa' opera di sostegno con le grida e, se
qualcuno ti chiuder la bocca, resisti tuttavia e fa' opera di
sostegno col silenzio. Non mai inutile l'opera di un buon
cittadino: ascoltato e visto, col volto col cenno con la tacita
determinazione e con la stessa andatura aiuta. Come certe cose
salutari giovano indipendentemente dal gusto e dal tatto con
l'odore, cos la virt dispensa la sua utilit anche da lontano e
di nascosto. Sia che possa spaziare e disporre di s a suo
piacere, sia che abbia sbocchi incerti e sia costretta a contrarre
le vele, sia che si trovi in ozio e muta e circoscritta in spazi
ristretti, sia che abbia libert di espandersi, in qualsiasi
condizione si trovi, giova. Ritieni forse non abbastanza utile
l'esempio di chi vive bene stando appartato? Dunque di gran
lunga la cosa migliore mescolare l'ozio alle occupazioni, ogni
volta che verr preclusa la vita attiva da impedimenti
occasionali o dalla situazione della citt; mai infatti sono a tal
segno impedite tutte le possibilit che non ci sia spazio per
alcuna azione onesta.

Il titolo di pritano, che poteva indicare genericamente chi


ricopriva una magistratura superiore, aveva avuto un
significato particolare nella Grecia arcaica e poi nell'Atene
di Clistene, dove indicava uno dei rappresentanti della
sezione speciale della Boul incaricata di preparare l'ordine
del giorno. Gli araldi, gi presenti in epoca omerica come
aiutanti dei re, conservarono

anche in seguito in Grecia molto della loro originaria


importanza, assistendo i magistrati nelle assemblee e nei
tribunali. Quanto ai suffeti, essi erano i due magistrati
supremi, di incarico annuale, di Cartagine.
33 Erano i soldati veterani, schierati in campo in terza fila,
dietro gli hastati e
89

32

5 Numquid potes inuenire urbem miseriorem quam Atheniensium.


fuit, cum illam triginta tyranni diuellerent? Mille trecentos ciues,
optimum quenique, occiderant nec finem ideo faciebant, sed
inritabat se ipsa saeuitia. In qua ciuitate erat Areos pagos,
religiosissimum iudicium, in qua senatus populusque senatu
similis, coibat cotidie carnificurn triste collegium et infelix curia
tyrannis angustabatur: poteratne illa ciuitas conquiescere in qua
tot tyranni crant quot <satis> satellites essent? Ne spes quidem
ulla recipiendae libertatis animis poterat offerri, nec ulli remedio
locus apparebat contra tantam uim malorum; unde enim miserae 2
ciuitati tot Harmodios? Socrates tamen in medio crat et
lugentis patres consolabatur et desperantis de re publica,
exhortabatur et diuitibus opes suas metuentibus exprobrabat seram
periculosae auaritiae paenitentiam et imitari uolentibus magnum
circumferebat exemplar, cum inter 3 triginta dominos fiber
incederet. Hunc tamen Athenae
ipsac in carcere occiderunt, et qui tuto insultauerat agmini
tyrannorum, cius libertatem libertas non tulit: licet scias et in
adflicta re publica esse occasionem sapienti uiro ad se proferendum
et in florend ac beata f pecuniamt inuidiam, 4 mUle alia inertia
uitia regnare. Vtcumque ergo se res
publica dabit, utcumque fortuna permittet, ita aut ex-

Nella lunga contesa per l'egemonia politica tra Sparta e Atene, questa la
fase pi nefasta per Atene, seguita alla sconfitta nella battaglia di Egospotami (404 a.C.), e alla conseguente resa agli Spartani: emanazione della linea
politica imposta da questi sulla grande rivale sconfitta, da sempre simbolo di
un sistema di governo aperto rispetto alla rigidit del modello oligarchico
spartano, la dominazione dei trenta tiranni fu segnata da una sequela di atrocit e violenze senza precedenti, che ne provocarono in breve la caduta.
35 Era l'antico tribunale ateniese competente dei processi per reati di empiet
e che fungeva da suprema corte costituzionale.
36 Armodio ed Ari stogitone erano diventati un modello della ribellione anti34

90

[51 Puoi forse trovare una citt pi infelice di quanto lo fu


quella degli Ateniesi, quando la dilaniavano i trenta tiranni?34
Avevano ucciso milletrecento cittadini, tutti i migliori, e non
per questo si fermavano, ma era la stessa crudelt che si fomentava da sola. Nella citt in cui si trovava l'Areopago~31 il
.1

sacro dei tribunali, nella quale si trovavano un senato e un


popolo simile al senato, si raccoglieva ogni giorno un tristo
collegio di carnefici e la curia infelice si faceva stretta per i tiranni che la affollavano: avrebbe forse potuto vivere in tranquillit quella citt in cui c'erano tanti tiranni quanti avrebbero
potuto essere gli sgherri? Non si poteva presentare agli ammi
nemmeno un barlume di speranza di riacquistare la libert, n si
profilava spazio ad alcun rimedio contro tanta violenza di mali;
da dove infatti recuperare tanti Armodii36 per la povera citt?
Eppure c'era Socrate e consolava i senatori affranti, esortava
quanti disperavano della repubblica, ai ricchi che temevano a
causa delle loro ricchezze rimproverava il tardivo pentimento di
una cupidigia foriera di pericolo e a quanti erano desiderosi di
imitarlo andava portando un grande esempio, col suo incedere
libero fra i trenta dominatori. Tuttavia quest'uomo la stessa
Atene lo uccise in carcere, e la Libert non toller la libert di
colui che aveva sfidato la schiera compatta dei tiranni: sappi
pure che anche in uno stato oppresso c' la possibilit per un
uomo saggio di nianifestarsi, e in uno fiorente e felice regnano
la sfrontatezza37 l'invidia e mille altri vizi che rendono inerti.
Dunque, comunque si presenter la repubblica, comunque lo
permetter la sorte,
pi

tirannica, avendo ucciso Ipparco, uno dei figli del tiranno Pisistrato, e provocato la fuga dell'altro, Ippia (510 a.C.), liberando cos la citt da una do minazione violenta e ingiusta.
37 Il testo dei codici corrotto: l'emendazione accolta dai pi quella, del
Lipsio, di petulantiam (sfrontatezza) in luogo del trdito pecuniam, con
cui si farebbe riferimento a un vizio ricordato anche in altre opere senecane,
come opposto alla saggezza. Resta naturalmente un margine di dubbio:
accanto a un sostantivo che non pu comunque essere pecunia, a me sembra
che il senso dei testo renderebbe opportuna anche una specificazione
temporale del tipo saepe, o altre simili, per meglio contestualizzare
l'opposizione.
91

plicabimus nos aut contrahemus, utique mouebimus nec alligati metti


torpebimus. Immo ille uir fuerit qui periculis undique imminentibus,
armis circa et catenis frementibus, non adliserit uirtutem nec absconderit;
non est enim.
5 seruare se obruere. <Vere>, ut opinor, Curius Dentatus aiebat malle esse
se mortuum quam uiuere: ultimum malorum est e uiuorum numero exire
antequam moriaris. Sed faciendum erit, si in rei publicae tempus minus
tractabile incideris, ut plus otio ac litteris uindices, nec aliter quam in
periculosa nauigatione subinde portum petas, nec expectes donec res te
dimittant sed ab illis te ipse diiungas.
6 Inspicere autem debebimus primum. nosmet ipsos, deinde ea quae
adgrediemur negotia, deinde cos quorum causa aut cum quibus.
2 Ante omnia necesse est se ipsum aestimare, quia fere plus nobis uidemur
posse quam possumus: alius eloquentiac fiducia prolabitur, alius
patrimonio suo plus imperauit quam ferre posset, alius infirmum corpus
laborioso pressit officio. Quorundam parum idonea est ucrecundia rebus
ciuilibus, quae firmam frontem desiderant; quorundam contumacia non
facit ad aulam; quidam non habent irani in potestate et illos ad temeraria
uerba quaelibet indignatio effert; quidam urbanitatem nesciunt continere
nec periculosis abstinent salibus: omnibus his utilior negotio quies est;
ferox inpatiensque natura inritamenta nociturae libertatis euitet.

Aestimanda sunt deinde ipsa quae adgredimur, et uires

cos o esplicheremo le nostre possibilit o le contrarremo, in ogni


modo ci muoveremo e non ci intorpidiremo paralizzati nel timore.
Anzi, sar davvero un uomo colui che, mentre incombono pericoli da
tutte le parti, mentre intorno fremono armi e catene, non infranger la
virt n la occulter; nascondersi infatti non significa salvarsi. A buon
diritto, a quel che penso, Curio Dentatoll diceva di preferire la morte
alla vita: l'estremo dei mali uscire dal novero dei vivi prima di mori re. Ma, se ti sarai imbattuto in un periodo meno agevole della vita
politica, dovrai fare in modo di rivendicare pi spazio per l'ozio e gli
studi letterari, e da dirigerti immediatamente verso il porto non
diversamente che in una navigazione pericolosa, non aspettando che
sia la situazione ad allontanarti ma facendo in modo da separarti tu da
essa, di tua volont.
[6] Dovremo poi osservare attentamente dapprima noi stessi, poi i
compiti che intendiamo intraprendere, poi coloro per i quali o con i
quali intendiamo farlo.
Prima di tutto necessario che uno valuti se stesso, perch a noi
sembra di potere quasi pi di quello che possiamo: uno cade in rovina
per fiducia nell'eloquenza, un altro ha chiesto al suo patrimonio pi di
quanto potesse sostenere, un altro ha schiacciato il suo corpo debole
con un compito gravoso. Il riserbo di alcuni poco si addice alla
politica, che richiede sicurezza di atteggiamenti; la fierezza di altri non
si corif alla vi~ ta di corte; alcuni non sanno governare la collera e
una qualsiasi occasione di indignazione li trascina a parole temerarie;
alcuni non sanno trattenere l'ironia e non si astengono da pericolose
battute salaci: a tutti costoro la vita ritirata pi utile delle occupazioni
pubbliche; una natura indomita e ribelle eviti le sollecitazioni di una
franchezza destinata a nuocerle.
In secondo luogo occorre valutare i compiti che intrapren-

Grande modello eroico della tradizione romana, Curio Dentato, che aveva iniziato la
propria carriera politica come homo novus, il console che con una vittoria decisiva
pose fine alle guerre coi Sanniti nel 290 a.C. e che sconfisse Pirro a
Malevento-Berevento nel 275 a.C.
38

92

93

nostrae cum rebus quas temptaturi sumus comparandac. Debet enim


semper plus esse uirium in actore quam in opere: necesse est
opprimant onera quae ferente maiora 4 sunt. Quaedam praeterea
non tara magna sunt negotia
quam fecunda multumque negotiorum ferunt: et haee refugienda
sunt ex quibus noua occupatio multiplexque nascetur, nec
accedendum co unde liber regressus non sit; iis admouenda manus
est quorum finem aut facere aut certe sperare possis, relinquenda
quae latius actu procedunt nec ubi proposueris desinunt.
7 Hominum utique dlectus habendus est, an digni sint
quibus partem uitae nostrae inpendamus, an ad illos temporis nostri
iactura perueniat; quidam enim ultro officia 2 nobis nostra inputant.
Athenodorus ait ne ad cenam quidem
se iturum ad cum qui sibi nil pro hoc debiturus sit. Puto intellegis
multo minus ad cos iturum qui cum amicorum officiis paria
mensa faciunt, qui fericula pro congiariis
numerant, quasi in alienum honorem intemperantes sint: deme illis
testes
spectatoresque,
non
delectabit
popina
secreta.
*Considerandum est utrum natura tua agendis rebus an otioso
studio contemplationique aptior sit, et eo inclinandum quo te uis
ingenii feret: Isocrates Ephorum. iniccta manu. a foro subduxit,
utiliorem componendis monumentis historiarum ratus. Male enim
respondent coacta ingenia; reluctante natura inritus labor est.* 3
Nihil tamen aeque oblectauerit animum quam amicitia
fidelis et dulcis. Quantum bonum est ubi praeparata sunt
pectora in quae tuto secretum omne descendat, quorum
conscientiam minus quam tuam timeas, quorum sermo

Il passo che inizia qui e termina a fine paragrafo con le


parole labor est non
sembra avere una collocazione appropriata a questo punto
39

94

diamo, e confrontare le nostre forze con le imprese che vogliamo tentare. Infatti devono esserci sempre pi forze nell'esecutore che nell'opera: inevitabile che schiaccino i pesi
che sono maggiori di chi li sostiene. Inoltre alcuni compiti non
sono tanto pesanti in s quanto fecondi e recano con s molti
altri compiti: sono da evitare anche questi, dai quali scaturir
un nuovo e multiforme impegno, e non bisogna accostarsi a un
compito dal quale non sia facile ritirarsi; bisogna mettere mano
a quelle faccende cui si pu porre una fine o di cui si pu
almeno sperarla, tralasciare quelle che si spingono sempre pi
in l con l'azione e non finiscono l dove ci si era proposti.
[71 Bisogna comunque scegliere i destinatari, se sono degni
che noi dedichiamo loro una parte della nostra vita, o se sono
toccati dal sacrificio del nostro tempo; alcuni infatti ci
ascrivono di loro iniziativa i nostri doveri. Atenodoro dice che
non andrebbe nemmeno a cena da chi per questo non si sentisse
per nulla in debito con lui. Comprendi - penso - che si
recherebbe tanto meno da coloro che si sdebitano dei favori
degli amici con un pranzo, che contano le portate come fossero
donativi, quasi che fossero smodati in onore degli altri: togli a
costoro testimoni e spettatori, non piacer loro gozzovigliare in
segretezza. Devi riflettere 39 se la tua natura sia pi adatta
all'attivit o a un ritiro dedito agli studi, e devi volgerti l dove
ti condurranno le capacit del tuo ingegno: Isocrate port via
dal foro con le sue stesse mani Eforo, giudicandolo pi idoneo
a stilare memorie storiche. Infatti daranno cattiva risposta gli
ingegni forzati; la fatica vana, se la natura vi rilutta. Nulla
tuttavia delizier tanto l'animo quanto un'amicizia fedele e
dolce. Che bene prezioso l'esistenza di cuori preparati ad
accogliere in sicurezza ogni segreto, la cui coscienza tu debba
temere meno della tua, le cui parole allevino

to sul testo, come il trasporlo tra le parole Ante omnia e


necesse est se ipsum aestimare di 6, 2, o dopo pressit
officio nello stesso 6, 2. Nessuna immune da costi, n
tale da farli accettare senza ripensamenti. C' anche chi
ritiene che il passo possa riprodurre una nota a margine poi
95

sollicitudinem leniat, sententia consilium expediat, hilaritas


tristitiam dissipet, conspectus ipse delectet! Quos scilicct uacuos,
quantum fieri poterit, a cupiditatibus eligemus; serpunt enim uitia
et in proximum quenique transiliunt et 4 contactu nocent. Itaque ut
[quod] in pestilentia curandum
est ne correptis iam corporibus et morbo fiagrantibus
adsideamus, quia pericula trahemus adflatuque ipso laborabimus,
ita in amicorum legendis ingeniis dabimus operam ut quam
minime inquinatos adsumamus: initium
morbi est aegris sana miscere. Nec hoc praeceperim tibi, ut
neminern nisi sapientem sequaris aut adtrahas. Vbi enim. istum
inuenies quem tot saeculis quaerimus? Pro optimo 5 sit minime
malus. Vix tibi esset facultas dilectus felicioris,
si inter Platonas et Xenophontas et illum Socratici fetus prouentum
bonos quaereres, aut si tibi potestas Catoniariae fieret aetatis, quae
plerosque dignos tulit qui Catonis saeculo nascerentur (sicut multos
peiores quam umquarn alias maximorumque molitores scelerum;
utraque enim turba opus erat ut Cato posset intellegi: habere debuit
et bonos quibus se adprobaret et malos in quibus uirn suam
experiretur): nunc ucro in tanta bonorum egestate 6 minus
fastidiosa fiat electio. Praecipue tamen uitentur
tristes et omnia deplorantes, quibus nulla non causa in querellas
piacet. Constet illi licet fides et beniuolentia, tranquillitati tamen
inimicus est comes perturbatus et omnia gemens.

l'ansia, il cui parere renda pi facile una decisione, la cui con tentezza dissipi la tristezza, la cui stessa vista faccia piacere!
Questi li sceglieremo naturalmente liberi, per quanto sar
possibile, da passioni; infatti i vizi serpeggiano e si trasmettono
a chiunque sia pi vicino e nuocciono per contatto. Dunque,
come in una pestilenza occorre badare a non sedersi accanto a
chi gi stato aggredito ed divorato dal male, perch ne
trarremo pericolo e lo stesso respiro ci far ammalare, cos
nello scegliere gli amici faremo in modo di prendere quelli il
meno possibile contaminati: l'inizio della malattia mescolare
sano e malato. N vorrei consigliarti di non seguire o attrarre a
te nessuno che non sia saggio. Dove troverai infatti costui che
cerchiamo da tante generazioni? Valga per ottimo il meno
cattivo.4o Difficilmente avresti la possibilit di una scelta pi
felice, se tu cercassi i buoni tra i Platoni e i Senofonti e quella
generazione di discepoli di Socrate, o se tu avessi la possibilit
di scegliere nell'et catoniana, che vide numerosi uomini degni
di nascere nella generazione di Catone41 (cos come molti
peggiori di quelli mai nati in nessun'altra e promotori dei pi
gravi crimini; infatti c'era bisogno dell'una e dell'altra schiera
perch potesse essere compreso Catone: egli doveva avere sia i
buoni da cui farsi approvare, sia i cattivi in mezzo ai quali far
prova della sua forza): ora invece in tanta povert di buoni la
scelta deve essere meno selettiva. Tuttavia si evitino soprattutto
quanti sono malcontenti e si lagnano di tutto, per i quali non c'
un solo motivo che non sia buono per lamentarsi. Se anche
abbia fedelt e benevolenza accertate, tuttavia nernico della
tranquillit un compagno profondamente turbato e che geme di
tutto.

Il concetto della rarit del vero saggio, presente anche altrove in Seneca, sconfina
nel territorio del sapere popolare: un passo vicino a questo in Ora zio, Serm. 1,
3, 68 sgg. Nam vitiis nemo sine nascitur,- optimus ille
est,1 qui minimis urgetur (Nessuno infatti nasce senza difetti; il
migliore colui che afflitto dai pi piccoli).
41 Si tratta naturalmente di Marco Porcio Catone, pronipote del Censore, uo-

mo politico di spicco dell'ultima repubblica: fu detto l'Uticense perch mor suicida ad


Utica nel 46 a.C. per sfuggire a ritorsioni dei cesariani, e divenne modello di martirio
per la libert antitirannica. Per gli stoici egli era l'esempio per eccellenza del
sapiens, che sa opporre alle crudeli forme di schiavit che la vita infligge all'uomo
l'affermazione tragica della propria superiore indipendenza.

40

96

97

8 Transeamus ad patrimonia, maximam humanarum aerimmarum.


materiam; nam si omnia alia quibus angimur compares, mortes
aegrotationes metus desideria dolorum laboruinque patientiam,
cum iis quae nobis mala pecunia a nostra exhibet, haec pars
multuni praegrauabit. Itaque cogitanduin est quanto leuior dolor
sit non habere quam perdere: et intellegemus paupertati eo
minorem tormentorum quo minorem damnorum esse materiam.
Erras enim si putas animosius detrimenta diuites ferre: maximis 3
minimisque corporibus par est dolor uulneris. Bion eleganter ait
non minus molestum esse caluis quam comatis pilos uelli. Idem
scias licet de pauperibus locupletibusque, par illis esse
tormentum; utrique enim pecunia sua obliaesit nec sine sensu
reuell potest. Tolerabilius autem est, ut dixi, faciliusque non
adquirere quam amittere, ideoque laetiores uidebis quos numquam
fortuna respexit quam quos 4 deseruit. Vidit hoc Diogenes, uir
ingentis animi, et effecit ne quid sibi eripi posset. Tu istud
paupertatem inopiam egestatem uoca, quod uoles ignominiosurn
securitati nomen npone: putabo hunc non esse felicem, si quem
milii aliuni inueneris cui nihil pereat. Aut ego fallor aut regnum
est inter auaros circumscriptores latrones plagiarios unum 5 esse
cui noceri non possit. Si quis de felicitate Diogenis dubitat, potest
idem dubitare et de deorum inmortalium

[8] Veniamo ai patrimoni, massimo motivo delle preoccupazioni umane; infatti, se confronti tutte gli altri mali per i quali
ci angustiamo, morti, malattie, timori, rimpianti, sopportazione
di dolori e fatiche, con quei mali che ci procura il nostro
denaro, questa parte sar molto pi gravosa. Dunque, dobbiamo
pensare quanto pi lieve dolore sia non avere che perdere: e
comprenderemo che la povert ha tanto meno materia di
sofferenze quanto minore ne ha di danni. Sei in errore infatti se
ritieni che i ricchi sopportino le perdite con animo pi saldo: il
dolore di una ferita uguale per i corpi pi grandi e per quelli
pi piccoli. Bione42 disse con eleganza che farsi strappare i
capelli non meno doloroso per i calvi che per chi calvo non .
Puoi ritenere la stessa cosa per quanto riguarda i poveri e i
ricchi, il loro tormento uguale; ad entrambi infatti il loro
denaro sta attaccato n pu esser loro strappato senza che lo
sentano. Inoltre pi sopportabile, come ho detto, e pi facile
non acquistare che perdere, e perci vedrai pi felici coloro che
mai la fortuna si voltata a guardare di quelli che ha
abbandonato. Se ne avvide Diogene~43 uomo di grande animo,
e fece in modo che nulla potesse essergli tolto. Tu chiama
questo povert, miseria, indigenza, da' alla mancanza di
preoccupazioni quel nome vergognoso che vorrai: penser che
costui non sia felice, se mi saprai trovare qualcun altro che non
perda nulla. 0 io mi sbaglio o essere re significa, tra avidi,
circonventori, ladri, ricettatori di schiavi, essere il solo a cui
non si possa nuocere. Se qualcuno mette in dubbio la felicit di
Diogene, pu allo stesso modo dubitare anche della condizione
degli dei immortali, se vivano poco

Bione di Boristene, filosofo cinico vissuto nel III sec. a.C., era considerato gi dagli antichi uno dei padri della diatriba. Sappiamo che i suoi insegnamenti affidati a prediche si trovavano anche in raccolte scritte. Era noto
per il particolare piglio polemico, per la critica pungente contenuta nei suoi
discorsi. La testimonianza di autori di morale quali Orazio e Seneca ci assi cura della forza che il suo modello dovette esercitare nella cultura antica.
43 Diogene di Sinope, altro illustre rappresentante del cinismo, visse nel IV
sec. a.C. ad Atene, poi a Cori rito. Il tratto che ha consacrato pi di tutti il
personaggio alla storia l'ostentazione polemica di un modo di vita assoluta-

mente essenziale e duramente ascetico nella ricerca puntigliosa dell' autosufficienza. Per questo ci sono pervenuti numerosissimi aneddoti su di lui, che
ce lo mostrano particolarmente sarcastico nei confronti della stoltezza degli
uomini, bersaglio di molte delle sue frecce pungenti. Lesempio scelto da
Seneca per introdurre il tema della felicit insita nella povert, tema a sua
volta derivante dal motivo gi cinico e comunque tipico del sapere popolare
che la ricchezza la prima fonte delle ansie dell'uomo. Va ricordato che per
gli stoici la povert di per s non n un bene n un male: appartiene cio
alla loro categoria degli indifferenti (tcpopa).

42

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statu. an parum beate degant quod illis nec praedia nec horti sint
nec alieno colono rura pretiosa nec grande in foro fenus. Non te
Pudet, quisquis diuitiis adstupes? Respice agedum mundum:
nudos uidebis deos, omnia dantis, nihil habentis. Hune tu
pauperem putas an dis inmortali6 bus similem qui se fortuitis omnibus exuit? Feliciorem tu
Demetrium. Pompeianum uocas, quem non puduit locupletiorem
esse Pompeio? Numerus illi cotidie seruorum uelut imperatori
exercitus referebatur, cui iam dudurn
7 diuitiae esse debuerant duo uicarii et cella laxior. At Diogeni
seruus unicus fugit nec eurn reducere, cum monstraretur, tanti
putauit. 'Turpe est' inquit 'Manen sine Diogene posse uiuere,
Diogenen sine Mane non posse.' Videtur mihi dixisse: 'age tuurn
negotium, fortuna, nihil apud Diogenen iam tui est: fugit mihi
seruus, immo liber abii.'
8 Familia petit uestiarium uictumque, tot uentres auidissimorum
animalium tuendi sunt, emenda uestis et custodiendae
rapacissimae manus et flentium detestantiunique ministeriis
utendum: quanto ille felicior qui riihil ulli debct
9 nisi cui facillime negat, sibi! Sed quoniam non est nobis tantum
roboris, angustanda certe sunt patrimonia, ut mmus ad iniurias
fortunae simus expositi. Habiliora sunt corpora in bello quae in
arma sua contrahi possunt quam quae superfunduntur et undique
magnitudo sua uulneribus

44 Liberto di Pompeo, proveniente da Gadara: la sua

raffigurazione fa pensare al modello principe della


categoria dei liberti arricchiti, e cio al personaggio di
Trimalchione nel Satyricon di Petronio: in particolare,
l'elenco degli schiavi di propriet simile a quello delle
truppe davanti a un generale ri-

felicemente per il fatto che non hanno n poderi n giardini n


campi resi preziosi dal lavoro di coloni mercenari n grandi
proventi dall'usura. Non ti vergogni di ammutofire, chiunque tu
sia, davanti alle ricchezze? Guarda dunque l'universo: vedrai
gli dei nudi, che dispensano tutte le cose, non possedendone
nessuna. Giudichi tu povero o simile agli dei immortali chi si
spogliato di tutti i beni legati alla sorte? Chiami forse pi felice
Demetrio Pompeiano,44 che non si vergogn di essere pi
ricco di Pompeo? A lui, per il quale gi avrebbero dovuto
costituire ricchezze due schiavi vicari e una cella un po' pi
grande, ogni giorno veniva rifatto l'elenco degli schiavi come a
un generale quello delle truppe. A Diogene invece scapp via
l'unico schiavo ed egli non ritenne cosa cos importante
riportarlo indietro, mentre gli veniva mostrato. t vergognoso
disse che Mane possa vivere senza Diogene, e Diogene senza
Mane non possa. Mi sembra che abbia detto: Occupati dei
tuoi affari, fortuna, ormai da Diogene non c' pi nulla di tuo:
mi scappato lo schiavo, anzi me ne sono andato io, libero.
41 La servit chiede il vestiario e il vitto, occorre prendersi
cura di tanti ventri di animali avidissimi, bisogna comprare la
veste e sorvegliare mani rapacissime, e utilizzare i servigi di
gente che piange e maledice: quanto pi felice colui che non
deve nulla a nessuno, se non a chi pu rifiutare nel modo pi
facile, a se stesso !46 Ma dal momento che non abbiamo tanta
forza, almeno dobbiamo limitare i patrimoni, per esser meno
esposti ai capricci della sorte. Sono pi adatti alla guerra i corpi
che possono rannicchiarsi al riparo delle loro armi di quelli
sovrabbondanti e che la loro stessa grandezza ha esposto da
ogni parte

chiama l'elenco dei beni di propriet che viene


ostentatamente pronunciato davanti a Trimalchione in Sat.
53.
45 Aneddoto riportato da Diogene Laerzio
6, 55.
46 Soprattutto grazie alla collocazione del riflessivo in fine
101

obiecit: optimus pecuniac modus est qui nec in paupertatem cadit


nec procul a paupertate discedit.
9 Placebit autem hacc nobis mensura, si prius parsimonia placuerit,
sine qua nec ullae opes sufficiunt, nec ullae non satis patent,
praesertim. cum in uicino remedium sit et possit ipsa paupertas in
diuitias se aduocata frugalitate
2 conuertere. Adsuescamus a nobis remouere pomparn et usus
reruni, non ornamenta metiri. Cibus famem domet, potio sitim,
libido qua necesse est fluat; discamus membris nostris inniti,
cultuin uictumque non ad noua exempla componere, sed ut
maiorum mores suadent; discamus continentiam augerc, luxuriarn
coercere, gloriam temperare, iracundiam lenire, paupertatem
aequis oculis aspicere, frugalitatem colere tetiam si mulos pudebit
ei plust, desideriis naturalibus paruo parata remedia adhibere,
spes effrenatas et animuni in futura imminentem uelut sub
uinculis habere, id agere ut diuitias a nobis potius quam
3 a fortuna petamus. Non potest umquarn tanta uarietas et iniquitas
casuurn ita depelli ut non multuni procellarum inruat magna
armamenta pandentibus; cogendae in artum res sunt ut tela in
uanum. cadant, ideoque exilia interim. calamitatesque in
remedium cessere et leuioribus incommodis grauiora sanata sunt.
Vbi parum audit praccepta animus nec curari mollius potest,
quidni consulatur ei, si pauper-

47 Si tratta di un passo controverso, che ha impegnato gli esegeti nella ricer ca di dotare
di senso un testo dalla tradizione peraltro priva di varianti significative. La via pi
convincente (Castiglioni) sembra quella di pensare che il testo condensi due concetti
posti in antitesi tra loro grazie al tratto della assenza/presenza della parsimonia: su
questa via, alcuni editori integrano un cum illa (cio con la parsimonia) nel secondo
membro dell'antitesi.
48 Attraverso l'esempio di come controllare i tre bisogni fondamentali indicati si
riconferma l'utilit della norma del vivere secondo natura, principio in qualche misura
condiviso da tutte le scuole di pensiero postsocratiche attive a Roma. Per Seneca, si pu
risalire all'insegnamento di Zenone e Cleante,
102

alle ferite: la migliore misura del denaro quella che n precipita in povert n si allontana molto dalla povert.
[9] E a noi piacer questa misura, se prima ci sar piaciuta la
parsimonia, senza la quale non ci sono ricchezze bastanti e con
la quale invece tutte sono abbastanza estese~47 tanto pi che il
rimedio vicino e la stessa povert pu, chiamata in aiuto la
frugalit, tramutarsi in ricchezza. Abituiamoci a rimuovere da
noi lo sfarzo e a misurare l'utilit, non gli ornamenti delle cose.
Il cibo domi la fame, le bevande la sete, il piacere sia libero di
espandersi entro i limiti necessari;48 iMpariamo a sostenerci
sulle nostre membra, ad atteggiare il modo di vivere e le
abitudini alimentari non alle nuove mode, ma come
suggeriscono le tradizioni; impariamo ad aumentare la
continenza, a contenere il lusso, a moderare la sete di gloria, a
mitigare l'irascibilit, a guardare la povert con obiettivit, a
coltivare la frugalit anche se molti se ne vergogneranno~49 ad
apprestare per i desideri naturali rimedi preparati con poco, a
tenere come in catene le speranze smodate e l'animo che si
protende verso il futuro, a fare in modo di chiedere la ricchezza
a noi piuttosto che alla sorte. Tanta variet e ingiustizia di
accidenti non pu mai essere allontanata cos che molte
tempeste non irrompano su chi dispiega vele ampie; bisogna
restringere le nostre sostanze affinch gli strali della sorte
cadano nel vuoto, e in questo modo talora gli esili e le calarnit
si sono mutati in rimedi e i danni pi gravi sono stati sanati da
quelli pi lievi. Laddove l'animo d poco ascolto ai consigli e
non pu essere curato in modo pi dolce,

ma occorre ricordare anche Epicuro, il cui pensiero a questo proposito ci tato dallo
stesso Seneca in forma di massima in Epist. 4, 10 Magnae divitiae sunt lege naturae
composita paupertas (t una grande ricchezza una povert che si adegui alla legge della
natura).
49 La lezione del codice A etiam si mulos pudebit ci plus, e non d senso. Alcuni
editori espungono il segmento (tra essi Castiglioni nel 1960, e Reynolds si dice incline a
questa soluzione), altri intervengono con congetture. La pi verosin -le tra queste
appare quella risalente a Rossbach (accolta da Castiglioni nel 1968), etiam si multos
pudebit eius, che ho seguito nella traduzione, scostandomi dal testo di Reynolds.

103

tas et ignominia et rerum cuersio adhibetur, malo malum


opponitur? Adsuescamus ergo cenare posse sine populo et seruis
paucioribus seruire et uestes parare in quod inuentae sunt et
habitare contractius. Non in cursu tantum circique certamine, sed
in his spatiis uitae interius flectenduin est.
4 Studiorum quoque quae liberalissima inpensa est tam diu
rationem habet quam diu modum. Quo innumerabiles libros et
bybliothecas, quarum dominus uix tota uita indices perlegit?
onerat discentem turba, non instruit, multoque satius est paucis te
auctoribus tradere quani
5 errare per multos. Quadraginta milia librorum Alexandriae
arserunt; pulcherrimum regiae opulentiac momimentuni alius
laudauerit, sicut T. Liuius, qui elegantiac reguni curaeque
egregiuni id opus ait fuisse: non fuit elegantia illud aut cura, sed
studiosa luxuria, immo ne studiosa quidem, quoniam non in
studium sed in spectaculuni comparaucrant, sicut plerisque
ignaris etiam pueriliuni litterarum libri non studiorum
instrumenta sed cenationum ornamenta sunt. Paretur itaque
librorum quantum satis
6 sit, nihil in apparatum. 'Honestius' inquis 'hoc se inpensae quam
in Corinthia pictasque tabulas effuderint.' Vitiosurn

50 Sul principio Senecatoma varie volte, specialmente nelle

Epistulae ad Lucilium (per es. 2, 3 distringit librorum


multitudo; itaque cum legere non possis, quantum
habueris, satis est habere, quantuni legas (la grande
quantit dei libri soffoca; dunque, poich non puoi leggere
quanto avrai accumulato, sufficiente che tu abbia quanto
effettivamente leggi).
51 L'episodio legato a una rappresaglia di Cesare ai danni
della citt che era stata teatro di un'insurrezione contro di
lui (48-7 a.C.): il fuoco appiccato alle navi che stringevano
in assedio Cesare nel palazzo si sarebbe propagato a dei
104

non si provvede forse al suo bene, ricorrendo alla povert e alla


privazione degli onori e al rovescio di fortuna, opponendo
male a male? Abituiamoci dunque a essere capaci di cenare
senza una folla e ad adattarci a un numero minore di servi e a
farci apprestare vesti per lo scopo per cui sono state inventate e
ad abitare in spazi p ristretti. Non soltanto nelle corse e nelle
gare del circo, ma in questi spazi della vita occorre serrare il
giro. Anche la spesa pi grandiosa per gli studi conserva un
senso finch conserva una misura. A che scopo innumerevoli
libri e biblioteche, il cui proprietario in tutta la sua vita a stento
arriva a leggere per intero i cataloghi? La massa di libri grava
sulle spalle di chi deve imparare, non lo istruisce, ed molto
meglio che tu ti affidi a pochi autori piuttosto che tu vada
vagando attraverso molti.50 Ad Alessandria andarono in
fiamme quarantamila libri;" altri loderebbe il magnifico
monumento di opulenza regale, come Tito Livio, che ne parla
come di un'opera insigne di stile e buona amministrazione dei
re: non fu un fatto di stile o di buona amministrazione quello,
ma un'esibizione di lusso per gli studi, anzi non per gli studi,
dal momento che l'avevano apprestata non per lo studio ma per
l'apparenza, cos come per molti ignari anche di sillabari per
l'infanzia i libri non rappresentano strumenti di studio ma
omamento delle sale da pranzo. Dunque ci si procurino libri
nella quantit necessaria, non per rappresentanza. Pi
dignitosamente dici tu i soldi se ne andranno per questo che
per bronzi di Corinto52 e quadri. Ci che

Cassio Dione e Orosio, ed era presumibilmente gi in Livio:


in questo caso non corrisponderebbe all'incendio di tutta la
biblioteca dei Tolemei. Altri autori parlano invece di
centinaia di migliaia di libri (quattrocentomila o settecentomila), che corrisponderebbero all'intero patrimonio
librario del Museo. 52 Vasellame e statue in bronzo di
Corinto godevano di grande prestigio nella Rorna imperiale
anche come genere d'antiquariato, essendo cessata da
tempo la loro produzione: Svetonio ci testimonia che
Augusto aveva per essi una particolare passione, che gli
procur
un
giomo
anche
una
battuta
irridente
sull'iscrizione posta sotto una sua statua (Aug. 70: Pater
105

est ubique quod nimium est. Quid habes cur ignoscas homini
armaria <e> citro atque ebore captanti, corpora conquirenti aut
ignotorum auctorum aut inprobatorum et inter tot milia librorum
oscitanti, cui uoluminum. suorum 7 frontes maxime placent
titulique? Apud desidiosissimos ergo uidebis quidquid orationum
historiarumque est, tecto tenus exstructa loculamenta; iam enim
inter balnearia et thermas bybliotheca quoque ut necessarium
domus ornamentum expolitur. Ignoscerem plane, si studiorum
nimia cupidine erraretur: nunc ista conquisita, cum imaginibus suis
discripta [et] sacrorum opera ingeniorum in speciem et cultuni
parietum comparantur.
10
At in aliquod genus uitae difficile incidisti et tibi ignoranti uel publica fortuna uel priuata laqueum inpegit quem nee
soluere possis nec rumpere: cogita compeditos primo aegre ferre
onera et inpedimenta crurum; deinde, ubi non indignari illa sed pati
proposuerunt, necessitas fortiter ferre docct, consuetudo facile.
Inuenies in quolibet genere uitae oblectamenta et remissiones et
uoluptates, si uolueris 2 mala putare leuia potius quam inuidiosa
facere. Nullo
melius nomine de nobis natura meruit, quae, cum sciret quibus
aerumnis nasceremur, calamitatium mollimentum consuetudinem
inuenit, cito in familiaritatem grauissima adducens. Nemo duraret, si
rerum aduersarum candem 3 umi adsiduitas haberet quam primus
ictus. Omnes cum
fortuna copulati sumus: aliorum aurea catena est, laxa,
aliorum arta et sordida, sed quid refert? eadem. custodia
uniuersos circumdedit alligatique sunt etiam qui alliga
uerunt , nisi forte tu leuiorem in sinistra catenam putas.
Alium honores, alium opes uinciunt; quosdarn nobilitas,

troppo sbagliato ovunque. Che motivo hai di giustificare un


uomo che si procura librerie fatte di legno di cedro e di avorio,
che va in cerca di raccolte di autori o ignoti o screditati e tra
tante migliaia di libri sbadiglia, a cui dei suoi volumi piacciono
soprattutto i frontespizi e i titoli? Dunque, a casa dei pi pigri
vedrai tutte le orazioni e le opere storiografiche che esistono,
scaffali che arrivano fino al soffitto; ormai infatti tra i bagni e le
terme si tiene lustra anche la biblioteca come un ornamento
necessario della casa. E lo potrei giustificare, certo, se si
sbagliasse per troppa passione per gli studi: ora codeste opere
di sacri ingegni ricercate e suddivise con i loro ritratti vengono
procurate per abbellire e decorare le pareti.
[10] Ma tu ti sei imbattuto in un tipo di vita difficile e la fortuna pubblica o la tua personale ti ha imposto a tua insaputa un
laccio che non sei in grado di sciogliere n di rompere: pensa
che gli schiavi in ceppi in un primo tempo mal sopportano i pesi e gli impedimenti delle gambe; quindi, una volta che si sono
proposti di non indignarsi per essi, ma di sopportarli, la necesC

sit insegna loro a sopportarli con fermezza, l'abitudine con


docilit. In qualsiasi genere di vita troverai divertimenti, distensioni e piaceri, se vorrai giudicare lievi i mali piuttosto di
renderteli odiosi. A nessun titolo ci tratt meglio la natura che
per questo: sapendo per quali sofferenze nasciamo, trov come
lenimento delle disgrazie l'assuefazione, ponendoci subito in
familiarit con le sventure pi gravi. Nessuno potrebbe resistere, se la continuit delle avversit conservasse la stessa violenza del primo colpo. Tutti siamo legati alla fortuna: la catena
degli uni d'oro, lenta, quella di altri stretta e spregevole, ma
che importa? La medesima custodia ha stretto tutti e si trovano
legati anche quelli che hanno legato, a meno che tu non ritenga
pi leggera una catena nella sinistra.-" Uno lo tengono avvinto
gli onori, un altro il patrimonio; alcuni sono schiacciati dalla
Allusione al fatto che prigioniero e guardia erano legati da un'unica cate na, che passava attomo al polso destro dell'uno e a quello sinistro dell'altro,
come ammanettati.
53

106

107

quosdarn humilitas premit; quibusdarn aliena supra caput


imperia sunt, quibusdam sua; quosdam exilia uno loco tenent,
quosdam sacerdotia: ominis uita seruitiurri est.
4 Adsuescendurn est itaque condicioni suae et quam minimum de
illa querendum et quidquid habet circa se commodi
adprendendum: nihil tam acerbum. est in quo non aequus animus
solacium inueniat. Exiguae saepe arcae in multos usus
discribentis arte patuerunt et quamuis angusturn pedem dispositio
fecit habitabilem. Adhibe rationern difficultatibus: possunt et
dura molliri et angusta laxari et
5 grauia scite ferentis minus premere. Non sunt praeterea
cupiditates in longinqua mittendae, sed in uicinum illii egredi
permittamus, quoniam includi ex toto noia patiuntur. Relictis iis
quae aut non possunt fieri aut difficulter possunt, prope posita
speique nostrae adludentia sequamur, sed sciamus omnia aeque
leuia esse, extrinsecus diuersas facies habentia, introrsus pariter
uana. Nec inuideamus altius stantibus: quae excelsa uidebantur
praerupta sunt.
6 Illi rursus quos sors iniqua in ancipiti posuif tutiores erunt
superbiam detrabendo rebus per se superbis et fortunam suam
quam maxime poterunt in planum deferendo. Multi quidem sunt
quibus necessario haerendum sit in fastigio suo, ex quo non
possunt nisi cadendo descendere, sed hoc ipsum testentur
maximurn onus suum esse quod aliis graues esse cogantur, nec
subleuatos se sed suffixos; iustitia mansuetudine humanitate,
larga et benigna manu

nobilt, alcuni dalla condizione umile; alcuni sono soggiogati


dall'altrui potere, alcuni dal loro proprio; alcuni li confina in un
unico luogo l'esilio, alcuni la carica religiosa:54 ogni vita una
schiavit. Occorre dunque assuefarsi alla propria condizione e
lamentarsi il meno possibile di essa e afferrare tutto ci di
buono che ha intorno a s: non c' nulla di cos aspro in cui un
animo obiettivo non sappia trovare un conforto. Spesso aree
esigue si sogliono aprire a molti utilizzi per l'abilit di chi le
dispone e una disposizione accorta suole rendere abitabile
anche il pi piccolo spazio. Usa la ragione di fronte alle difficolt: le durezze possono addolcirsi, le strettoie allentarsi, le
situazioni gravi opprimere di meno chi le sopporta con accortezza. 1 desideri non vanno indirizzati a obiettivi lontani, ma
dobbiamo permettere loro uno sbocco vicino, dal momento che
non sopportano di essere del tutto bloccati. Abbandonati quegli
obiettivi che o non possono realizzarsi o lo possono con
difficolt, perseguiamo mete situate vicino e che arridono alla
nostra speranza, ma manteniamo la consapevolezza che tutte
sono ugualmente inconsistenti, e all'esterno hanno aspetto diverso, mentre all'intemo sono parimenti vane. E non invidiamo
quelli che stanno pi in alto: quelle che sembravano vette si
sono rivelate dirupi. Per converso quelli che una sorte contraria
ha posto in situazione incerta saranno maggiormente sicuri
togliendo superbia a cose superbe di per s e cercando di
portare il pi possibile in piano la loro situazione. Ci sono molti che per necessit devono tenersi attaccati al loro rango, dal
quale non possono scendere se non cadendone, ma attestano
che proprio questo il loro maggior onere, il fatto che sono costretti a essere di peso ad altri, e che non sono stati messi su un
piedistallo ma ci sono stati inchiodati;" con giustizia, mitezza,
benevolenza, con mano prodiga e generosa dovrebbero appre-

C'erano sacerdoti che, per esempio, non potevano lasciare la citt durante la notte
(iflamines Diales), ma c'erano anche le Vestal che subivano per tutta la vita una
condizione di segregazione. 55 Il pensiero che ricoprire una posizione di primo piano
spesso si carica del

peso di una condanna ricorre pi volte in Seneca, e condensa verosimilmen te il senso


dell'esperienza autobiografica. Sufflxos varrebbe propriamente crocefissi, secondo
una forma di supplizio comunemente inflitta in et imperiale.

54

t08

109

praeparent multa ad secundos casus praesidia, quorum spe


securius pendeant. Nihil tamen aeque nos ab his animi fluctibus
uindicaucrit quam semper aliquem incrementis terminum figere,
nec fortunae arbitrium desinendi dare, sed ipsos multo quidem
citra [exempla hortentur] consistere; sic et aliquae cupiditates
animum acuent et finitac non in inmensum incertumque
producent.
1 Ad inperfectos et mediocres et male sanos hic meus sermo
pertinet, non ad sapientem. Huic non timide nec pedetemptim
ambulandum est; tanta enim fiducia sui est ut obuiam fortunae ire
non dubitet nec umquam loco ill cessurus sit. Nec habet ubi
illam timeat, quia non mancipia tantum possessionesque et
dignitatem sed corpus quoque suurn et oculos et manum et
quidquid cariorem uitam facit seque ipsum inter precaria numerat
uiuitque ut commo2 datus sibi et reposcentibus sine tristitia redditurus. Nec ideo uilis
est sibi quia scit se suurn non esse, sed omnia tam diligenter
faciet, tam circurnspecte quam religiosus homo sanctusque solet
tueri fidei conunissa. Quandoque autem reddere iubebitur, non
queretur cum fortuna sed dicet:
3 'gratias ago pro co quod possedi habuique. Magna quidem res tuas
mercede colui, sed quia ita imperas, do, cedo gratus libensque. Si
quid habere me tui uolueris etiamnunc, seruabo; si aliud placet,
ego uero factum signaturrique argentum, domum familiamque
meam reddo, restituo.' Appellauerit natura quae prior nobis
credidit, et huic dicemus: 'recipe animurn meliorem quam dedisti;
non

stare molte difese per i momenti favorevoli, alla speranza nei


quali potrebbero attaccarsi con pi sicurezza. Nulla tuttavia ci
sapr mettere al riparo da queste fluttuazioni dell'animo quanto
fissare sempre un qualche termine ai nostri successi, e non
concedere alla sorte l'arbitrio di smettere, ma fermarci noi stessi
decisamente molto al di qua; in questo modo sia alcuni desideri
stimoleranno l'animo sia, delimitati, non spingeranno verso
l'infinito e l'incerto.56
[11] Questa mia chiacchierata si rivolge a uomini imperfetti,
deboli e non ragionevoli, non a chi possiede la saggezza. Costui
non deve camminare con incertezza n a piccoli passi; infatti ha
tanta fiducia in s che non esita ad andare incontro alla sorte e
non dovr mai cederle il passo. N ha ragione di temerla,
perch non solo gli schiavi e i possedimenti e la posizione ma
anche il suo corpo e gli occhi e la mano e tutto ci che rende
pi cara la vita e persino se stesso annovera tra i beni fuggevoli
e vive come se fosse stato affidato a se stesso in concessione e
disposto a restituirsi senza malumore a chi lo reclamasse. E non
per questo si ritiene poco importante - perch sa di non
appartenersi - ma svolger tutti i suoi compiti con tanta
diligenza, con tanta attenzione quanto un uomo coscienzioso e
responsabile solito tutelare le cose rimesse alla sua coscienza.
57 E quando poi gli sar ingiunto di restituirle, non si lamenter
con la sorte ma dir: Sono grato di ci che ho posseduto e ho
avuto in uso. Ho curato le tue cose con grande profitto, ma
poich cos stabilisci, ecco che te le do, cedo, grato e volentieri.
Se vorrai che io tenga ancora ora qualcosa di tuo, lo
conserver; se decidi diversamente, io allora argenteria, denaro,
casa, servit ti rendo, ti restituisco.18 Poniamo che la natura
reclarni le cose che per prima ci aveva affidato: noi le diremo:
Riprenditi un animo migliore di
58 Nel contraddittorio con la natura il lessico impiegato attinge alla

56 Il pensiero, di derivazione aristotelica (Eth. Nic. 1, 2, 1) come

mostrano anche precise corrispondenze formali tra i due passi, potrebbe


essere stato mediato da Seneca il Vecchio (Suas. 1, 9). 57 Gli aggettivi
religiosus e sanctus e il sostantivofides entrano in un unico
campo di significazione, dotato di una precisa identit letteraria, oltre che
culturale, almeno a partire da Catullo.
110

formularit giuridica (le coppie in raddoppiamento enfatico del concetto


do, cedo, reddo, restituo): il sapiens, proprio dalla sua
consapevolezza delle leggi della natura, trova la forza di resistere agli
attacchi di essa, con una dignit che a noi ricorda Leopardi.

tergiuersor nec refugio; paratum habes a uolente quod non 4


sentienti dedisti: aufer.' Reuerti unde ueneris quid graue
est? male uiuet quisquis nesciet bene mori. Huic itaque primum rei
pretium detrahendum est et spiritus inter uilia numerandus.
Gladiatores, ut ait Cicero, inuisos habemus, si omni modo uitam
inpetrare cupiunt; fauemus, si contemptum cius prae se ferunt.
Idem euenire nobis scias; 5 saepe cnirn causa moriendi est timide
mori. Fortuna illa,
quae ludos sibi facit, 'quo' inquit 'te reseruem, malum et trepidum
animal? Eo magis conuulneraberis et confodieris, quia nescis
praebere iugulum; at tu et uiues diutius et morieris expeditius qui
ferrum non subducta ceruice nec 6 manibus oppositis sed animose
recipis.' Qui mortem timebit
nihil umquarn pro homine uiuo faciet; at qui sciet hoc sibi cum
conciperetur statim condictum, uiuet ad formulam et simul illud
quoque codem animi robore praestabit, ne quid ex ns quae
eueniunt subitum sit. Quidquid enim [si] fieri potest quasi futurum.
sit prospiciendo malorum omnium impetus molliet, qui ad
pracparatos expectantesque nihil adferunt noui, securis et beata
tantum sperantibus graues 7 ueniunt. Morbus est, captiuitas ruina
ignis: nihil horum repentinum est; sciebarn in quam tumultuosurn me contuber
nium natura clusisset. Totiens in uicinia mea conclamatum
est; totiens praeter limen inmaturas exequias fax cereusque

quello che mi hai dato; non sto a tergiversare o a rifiutarmi; ho


pronto da darti spontaneamente ci che tu mi desti mentre ne
ero inconsapevole: prenditelo. Che c' di grave a tornare da
dove sei venuto? destinato a vivere male chi non sapr morire
bene. Dunque occorre prima di tutto togliere valore a questa
cosa e considerare la vita tra le cose di poco conto.19 Come
dice Cicerone, ci sono insopportabili i gladiatori, se vogliono in
ogni modo impetrare la grazia della vita; li applaudiamo, se
ostentano il disprezzo di essa. Sappi che anche a noi accade la
stessa cosa; spesso infatti causa di morte la paura di morire.
Proprio la sorte, che ama scherzare, dice: A che scopo dovrei
risparirtiarti, animale meschino e tremebondo? Tarito pi
profondamente ti farai ferire e trapassare, perch non te la senti
di porgere la gola; tu invece vivrai pi a lungo e morirai in
maniera pi rapida, tu che aspetti la spada non sottraendo il
collo n mettendo davanti le mani, ma con coraggio. Chi avr
paura della morte non far mai nulla da uomo che vive; invece
chi sapr che questa condizione stata stabilita subito nel
momento in cui egli stato concepito, vivr secondo i patti e
contemporaneamente con la stessa forza d'animo si prodigher,
perch nulla delle cose che accadono sia improvvisa. Infatti
guardando a tutto ci che pu avvenire come se fosse sul punto
di realizzarsi, sapr attenuare la forza di tutte le disgrazie, che
non portano niente di sorprendente a chi vi si preparato e se
le aspetta, mentre giungono con tutto il loro peso su chi si sente
sicuro e spera solo nelle cose favorevoli. Si tratta di una
malattia, della prigionia, di un crollo, di un incendio: nulla di
ci improvviso; sapevo in che albergo tumultuoso la natura
mi aveva chiuso. Tante volte si sono levate grida di dolore nelle
mie vicinanze; tante volte torce e ceri hanno preceduto oltre la
soglia esequie immature; spesso

Essendo la morte posta dagli stoici tra gli indifferentia,


anche la paura di essa va ridimensionata, e il modo pi
semplice per farlo di ridimensionare prima di tutto il
valore della vita: sul concetto Seneca torna anche nelle
Epistulae.
59

112

113

praccessit; saepe a latere ruentis aedificii fragor sonuit; multos ex


iis quos forum curia sermo mecurn contraxerat nox abstulit et
tiunctas sodalium. manus copulatast interscidit: mirer ad me
aliquando pericula accessisse quac circa me semper errauerint?
Magna pars hominum est 8 quac nauigatura de tempestate non
cogitat. Numquam me
in bona re mali pudebit auctoris. Publilius, tragicis comicisque
uchementior ingeniis quotiens mimicas ineptias et uerba ad
summam caueam spectantia reliquit, inter multa alia coturno, non
tanturn sipario, fortiora et hoc ait: cuiuis potest accidere quod
cuiquam potest.
cuiuis potest accidere quod cuiquam
potcst.
Hoc si quis in medullas demiserit et omnia aliena mala, quorum
ingens cotidie copia est, sic aspexerit tamquam liberum illis et ad
se iter sit, multo ante se armabit quam petatur; sero animus ad
periculorum patientiam post pericula instruitur. 'Non putaui hoc
futurum' et 'umquam tu hoc cuenturum credidisses?' Quare autem
non? Quae sunt diuitiae quas non egestas et fames et mendicitas a
tergo sequatur? Quae dignitas cuius non praetextam et augurale et
lora patricia sordes comitentur et exprobratio

60 Il testo corrotto, e il Reynolds rinuncia a congetture: volendo salvare

l'immagine delle strette di mani violentemente separate, occorre ipotizzare


un soggetto, come Aa morte.
61 t Publilio Siro, autore di mimi vissuto nel I sec. a.C., vale a dire in un'e poca in cui la grande stagione del teatro romano era ormai finita e il pubbli co trovava nel mimo e nelle farse buffonesche la forma di intrattenimento
corrente. Seneca mostra un atteggiamento aperto nei confronti di questo autore, che critica per certi effetti di comicit grossolana, ma da cui si sente li bero di estrarre sentenze che giudica efficaci, polemicamente contrapponendole all'artificio enfatico che doveva ormai contrassegnare molta della produzione tragica. Il cothurnus era la calzatura alta, tipica degli attori di trage114

mi risuonato accanto il fragore di un edificio che crollava;


molti tra quelli che il foro la curia la conversazione aveva
messo in relazione con me una notte li ha portati via ... 60: Mi
dovrei meravigliare che una buona volta siano toccati a me i
pericoli che mi sono sempre girati attorno? C' una grande parte
dell'umanit che mentre si accinge a navigare non pensa alla
tempesta. lo non mi vergogner mai di citare un cattivo autore
in un caso felice. PubliliOl pi vigoroso dei talenti tragici e
comici ogni volta che ha rinunciato alle sue buffonerie da mimo
e alle parole dirette alle ultime file del pubblico, tra molte altre
frasi di tono pi elevato di quello tragico, non solo di quello del
mimo, disse anche questo:
a chiunque pu capitare ci che pu capitare a
qualcuno.
Chi si sar impresso questo principio nel profondo dell'animo e
guarder tutte le disgrazie altrui, delle quali tutti i giorni c'
grande abbondanza, cos come se esse avessero la strada
spianata anche verso di lui, si anner molto prima di venire
assalito; troppo tardi si prepara l'animo a sopportare i pericoli
dopo che questi si sono presentati. Non pensavo che sarebbe
successo e avresti mai pensato tu che questo sarebbe
accaduto? E perch no? Quali sono quelle ricchezze che non
possono essere seguite da vicino dalla miseria e dalla fame e
dall'indigenza?62 Quale carica pubblica di cui la toga pretesta,
il bastone da augure e le cinghie patrizie non siano accompagnate dalla veste n-serabile, dal marchio del disonodia, e valeva metonimicamente per indicare il genere teatrale stesso, spesso
in opposizione al soccus, la calzatura degli attori di commedia.
62 Il motivo dei rovesci di fortuna - che ben si comprende dovesse appartenere al bagaglio della filosofia diatribica, dove aveva dato origine a una to pica molto ampia - conosceva anche uno sviluppo specificamente romano
all'interno della tragedia, dunque del genere letterario di registro convenzionalmente pi alto. In questo ambito si innestava nella pi generale riflessione sul ruolo e le sorti del firanno, che com' noto rappresentava un nucleo
tematico di grande rilievo nelle tragedie di Seneca, che sono per noi il documento pi significativo (poich l'unico non pervenutoci in frammenti) di tutto il teatro tragico in lingua latina.
115

notac et mille maculae et extrema contemptio? Quod regnum est


cui non parata sit ruina et proculcatio et dominus et carnifex?
Nec magnis ista interuallis diuisa, sed horac
io momentum interest inter solium et aliena genua. Scito ergo
omnern condicionern uersabilem esse et quidquid in ullurn
incurrit posse in te quoque incurrere. Locuples es: numquid
diuitior Pompeio? Cui cum Gaius, uetus cognatus, hospes nouus,
aperuisset Caesaris domum ut suam cluderet, defuit panis, aqua.
Cum tot flumina possideret in suo orientia, in suo cadentia,
mendicauit stilicidia; fame ac siti periit in palatio cognati, dum
illi heres publicum funus
i i esurienti locat. Honoribus summis functus es: numquid aut tam
magnis aut tam insperatis aut tam uniuersis quam Seianus? Quo
die illum senatus deduxerat populus in frusta diuisit; in quern
quidquid congeri poterat di hominesque contulerant, ex co nihil
superfuit quod carnifex
x2 traheret. Rex es: non ad Croesurn te mittam, qui rogurn suum et
accendi uiuus et extingui uidit, factus non regno tantum, etiam
morti suae superstes, non ad Iugurtham,

63 La toga pretesta, propria dei magistrati e dei giovani

nobili fino al raggiungirnento dell'et virile, era ornata da


fregi di porpora; le cinghie alludono al tipo di calzari
proprio dei senatori (da cui l'espressione idiomatica
cambiarsi i calzari come segno dell'ammissione al rango
senatorio): essi erano muniti appunto di cinghie in pelle che
si legavano a met polpaccio. Con sordes si intendono
verosimilmente le vesti dimesse imposte dal lutto (ma c'
un caso in Sen., De ira 1, 2, 1 ove reorum... sordes indica
la veste nera di chi era accusato), mentre l'exprobratio
notae rappresenta il provvedimento di cancellazione dal
novero dei senatori che seguiva la nota censoria.
64 Il personaggio un Sesto Pompeo, discendente di
Pompeo Magno e imparentato con l'imperatore Caligola
(Gaio) attraverso la nonna materna, che a sua volta era
stata zia di Augusto. L'episodio a cui qui si allude, non
altrove
testimoniato,
rientra
nell'ampia
aneddotica
116

re61 e da mille macchie fino all'estremo disprezzo? Quale regno c' al quale non siano gi preparati la rovina e l'annientamento e l'oppressore e il boia? N queste cose sono separate
da lunghi intervalli di tempo, ma intercorre un momento solo
tra il trono e l'omaggio alle ginocchia altrui. Sappi dunque che
ogni condizione rovesciabile e tutto ci che si abbatte su
qualcuno pu abbattersi anche su di te. Sei ricco: forse pi
ricco di Pompeo?64 Eppure a lui, quando Gaio, parente da
tempo, ospite nuovo, ebbe aperto la casa di Cesare per chiudere
la sua~65 mancarono il pane e l'acqua. Pur possedendo molti
fiumi che nascevano sul suo territorio, che vi sfociavano, and
mendicando qualche goccia d'acqua; mor di fame e di sete nel
palazzo del parente, mentre a lui che soffriva la fame l'crede
appaltava esequie pubbliche. Hai ricoperto le pi alte cariche
onorifiche: forse tanto alte o tanto insperate o tanto totalizzanti
quanto quelle di Seiano?66 Il giorno che il senato lo aveva
scortato il popolo lo fece a pezzi; di colui sul quale gli dei e gli
uomini avevano accumulato quanto era possibile accumulare,
non rimase nulla che il carnefice potesse strappare. Sei re: non
ti rimander a Creso,11 che dovette vedere da vivo il proprio
rogo e accendersi e spegnersi, fatto superstite non solo al
proprio regno, ma anche alla propria morte, non a Giugurta~68
che il popolo romano pot contem155 Domus ha qui la doppia valenza di casa
materiale, residenza, e <~famiglia, stirpe, dinastia:
Caligola, cio, sarebbe voluto diventare l'erede dei beni
di Pompeo.
66 Sul personaggio di Seiano, prefetto del pretorio e
poi di fatto plenipotenziario dell'imperatore Tiberio,
soprattutto a partire dal ritiro di questi a Capri,
possediamo un ritratto dettagliatamente infonnato e
indimenticabile per caratterizzazione psicologica nelle
pagine degli Annali di Tacito a lui dedicate (specie dal
libro IV in poi).
67 L'episodio - avvenuto a seguito della sconfitta patita
dai Lidi, di cui Creso era re, nel 546 a.C. ad opera di
Ciro, re dei Persiani - risale a Erodoto 1, 86.
68 La guerra contro il re di Numidia Giugurta si
protrasse con alteme vicende propriamente dal 111 al
109 a.C., ma fu preceduta da vari episodi di conflittualit anche negli anni precedenti: Seneca parla di
117
un anno solo perch nella topica retorizzata dei rovesci
di fortuna occorre mettere in rilievo il rapido
avvicendarsi delle sorti. Con spectavit si alluder allo

quem populus Romanus intra annum quam. timucrat spectauit:


Ptolemaeum Afficae regem, Armeniae Mithridaten inter Gaianas
custodias uidimus; alter in exilium missus est, alter ut meliore
fide mitteretur optabat. In tanta rerum susum ac deosum euntium
uersatione si non quidquid fieri potest pro futuro habes, das in te
uires rebus aduersis, quas infregit quisquis prior uidit.
12 Proximum ab his crit ne aut in superuacuis aut ex
superuacuo laboremus, id est ne quae aut non possumus
consequi concupiscamus aut adepti uanitatem cupidita
tium nostrarum sero post multum sudorem intellegamus,
id est ne aut labor inritus sit sine effectu aut effectus labore
indignus; fere enim ex his tristitia sequitur, si aut non
2 successit aut successus pudet. Circumcidenda concursatio,
qualis est magnac parti hominum domos et theatra et fora
pererrantium: alienis se negotiis offerunt, semper aliquid
agentibus similes. Horum si aliquem exeuntem e domo
interrogaucris 'quo tu? quid cogitas?' respondebit tibi
'non mehercules scio; sed aliquos uidebo, aliquid agam.'
3 Sine proposito uagantur quaerentes negotia nec quae de
stinaucrunt agunt sed in quae incucurrerunt; inconsultus
illis uanusque cursus est, qualis formicis per arbusta repen
tibus, quae in summum cacumen et inde in imum inanes
aguntur: his plerique similem uitam agunt, quorum noq

69 Si tratta del Tolerneo figlio del re Giuba Il e di Cleopatra Selene, figlia di


Marco Antonio: della sua uccisione ordinata da Caligola, dopo che egli stes
so lo aveva invitato a Roma, ci informa Svetonio, Cal. 35 (cfr. anche Dione
Cassio 59, 25, 1).
70 Mitridate d'Armenia venne chiamato a Roma da Caligola, che poi lo trat-

118

plare a spettacolo entro l'anno in cui ne aveva avuto paura:


vedemmo Tolemeo re dell'Africa~69 Mitridate re dell'Armenia70 tra le guardie di Gaio; l'uno venne mandato in esilio,
l'altro si augurava di esservi mandato con migliore garanzia. In
tanto profondo sconvolgimento di situazioni che volgono in
alto e in basso, se non consideri come destinato a succedere
tutto ci che pu succedere, dai forza contro te stesso alle
avversit, che sogliono essere sconfitte da chi le vede prima.
[12] Principio derivante da questi sar che non ci tormentiamo in preoccupazioni superflue o che derivano dal superfluo,
cio o che non desideriamo le cose che non possiamo ottenere o
che ottenuto quel che volevamo non comprendiamo troppo
tardi dopo molta fatica la vanit dei nostri desideri, cio che
non sprechiamo fatica vana senza risultato o che il risultato non
sia degno della fatica; infatti da queste cose per lo pi
scaturisce tristezza, se non c' stato successo o se ci si vergogna
del successo ottenuto. Bisogna limitare l'andare in giro di qua e
di l, che proprio di gran parte degli uomini che vagano per
case per teatri e per fori: si offrono di occuparsi degli affari
degli altri, sembra che abbiano sempre qualcosa da fare. Se
chiederai a qualcuno di questi mentre esce di casa: Dove vai?
che pensi?, ti risponder: Non lo so, per Ercole; ma vedr
qualcuno, far qualcosa. Vanno vagando senza un proposito
cercando occupazioni e non fanno le cose che avevano deciso
ma quelle in cui si sono imbattuti; insensata e vana la loro
corsa, quale quella delle formiche che si arrampicano su per gli
alberi, che vanno su fino alla cima e poi di nuovo gi in basso
senza frutto: in modo simile a queste conducono la loro vita
molte persone, per le quali non senza motivo qualcuno
parlerebbe di inoperosit
tenne prigioniero, e fu rimandato in patria da Claudio: qui, durante conflitti di potere di
natura anche dinastica, malgrado in un primo tempo riuscisse ad avere la meglio sulle
opposizioni interne, venne tradito dal prefetto della guarnigione romana e assassinato
(Tacito, Ann. 11, 8-9 e 12, 44-47: nel cap. 47 si allude alla rovina di lui come ad un
esempio di rovescio di fortuna -fortunae commutatio - di cui molti avevano
compassione).

4 innierito quis inquietam inertiam dixerit. Quorundam quasi ad


incendium currentium miscreberis: usque eo inpellunt obuios et
se aliosque praccipitant, cum interim cucurrerunt aut salutaturi
aliquem non resalutaturuni aut fumis ignoti hominis prosecuturi
aut ad iudicium saepe litigantis aut ad sponsalia saepe nubentis et
lecticam adsectati quibusdam locis etiam tulerunt; dein domum
cum superuacua redeuntes lassitudine iurant nescire se ipsos
quare exierint, ubi fucrint, postero die erraturi per cadem
5 illa uestigia. Omnis itaque labor aliquo referatur, aliquo respiciat.
Non industria inquietos sed insanos falsae rerum imagines
agitant; nam ne illi quidem sine aliqua spe mouentur: proritat
illos alicuius rei species, cuius uanitatem capta
6 mens non coarguit. Eodem modo unumquemque ex his qui ad
augendam turbam exeunt inanes et lcues causac per urbem
circumducunt; nihilque habentem in quod laboret lux orta
expellit et, cum multorum frustra liminibus inlisus
nomenculatores persalutauit, a multis exclusus neminern ex
omnibus difficilius domi quam se conuenit.
7 Ex hoc malo dependet illud taeterrimum uitium, auscultatio et
publicorum secretorumque inquisitio et multarum rerum scientia
quae nec tuto narrantur nec tuto audiuntur.
13 Hoc secutum puto Democritum ita coepisse: 'qui tranquille uolet
uiuere nec priuatim agat multa nec publice', ad superuacua
scilicct referentem. Nam si necessaria sunt,

71 Per la iunetura inquieta inertia

cfr. sopra, n. 19. Uintero passo rielaborazione del topos diatribico della levitas come opposto della tranquillitas,
la meta del saggio: la descrizione caricaturale degli affaccendati, che consumano
affannosamente il loro tempo in quelle che per Seneca sono le futilit della vita sociale,
ha molti tratti comuni con De brev. 14, 3-5. 72 L'accenno riflette la realt
della vita nella Roma imperiale, dove sapere troppo poteva rappresentare un rischio
concreto per l'incolumit personale.
120

inquieta." Commisererai alcuni quasi che stessero correndo


verso un incendio: tanto spingono quelli che si parano loro
davanti e travolgono s e altri, mentre sono corsi o a salutare
qualcuno che non ricambier il loro saluto o a seguire il funerale di un uomo ignoto o al processo di uno che spesso in
contesa o alle nozze di una che si sposa spesso e, dopo aver
seguito la lettiga, in alcuni luoghi l'hanno persino portata;
quindi, tornando a casa con la loro stanchezza inutile, giurano
che non sanno loro stessi perch sono usciti, dove siano stati,
gi pronti il giorno dopo a girovagare su quegli stessi passi.
Dunque ogni fatica deve riferirsi a qualche scopo, deve
riguardare qualche scopo. Non l'operosit che li agita rendendoli inquieti, ma sono le false immagini delle cose che li
agitano come pazzi; infatti nemmeno i pazzi si muovono senza
una qualche speranza: li attrae l'aspetto di una cosa, la cui
inconsistenza la mente, presa nel suo delirio, non riuscita a
cogliere. Allo stesso modo ognuno di costoro che escono senza
scopo per ingrandire la folla viene condotto in giro qua e l da
motivi futili; non avendo niente a cui applicarsi, il sorgere della
luce lo caccia fuori e, dopo che, calcate invano le soglie di
molti, ha salutato i nomenclatori, da molti lasciato fuori, a casa
non si incontra con nessuno, tra tutti, con pi difficolt che con
se stesso. Da questo male deriva quel vizio tristissimo,
l'origliare e il curiosare tra gli affari pubblici e privati e il
venire a conoscenza di molte cose che n si raccontano n si
ascoltano senza rischi.72
[13] lo penso che seguendo quest'idea Democrito abbia
iniziato cos: Chi intender vivere nella tranquillit non faccia
molte cose n privatamente n pubblicamente~73 chiaramente riferendosi alle cose superflue. Infatti, se sono necessa-

73

Sarebbe suggestivo che questo fosse davvero l'inizio del rIep d~u~tiag di
Democrito, anche se non detto che dietro ita coepisse debba esserci un' informazione tecnica sull'inizio del trattato. La citazione senecana comunque molto vicina
alla letteralit del testo di un frammento di Democrito, il B 3 D.K., che poi prosegue
con l'affermare la necessit di non assumersi compiti superiori alle proprie forze,
concetto anche altrove fatto proprio da Seneca.
121

et priuatim et publice non tantuni multa sed innumerabilia agenda


sunt; ubi uero nulluni officiuni sollemne nos citat, 2 inhibendae
actiones. Nam qui multa agit saepc fortunac
pote.statern sui facit, quani tutissimuni est raro experiri, ceterum
semper de illa cogitare et nihil sibi de fide cius promittere 'nauigabo, nisi si quid inciderit' et 'praetor fiam, nisi si quid
obstiterit' et 'negotiatio mihi respondebit, msi si quid interuenerit'.
Hoc est quare sapienti nihil contra opinionem dicamus accidere:
non fflum casibus hominum excerpimus sed erroribus nec illi
omnia ut uoluit cedunt, sed ut cogitauit; in primis autem cogitauit
aliquid posse propositis suis resistere. Necesse est autem leuius ad
animum peruenire destitutae cupiditatis dolorem cui successum
non utique promiseris.
14 Faciles etiani nos facere debemus, ne nimis destinatis
rebus indulgeamus, transeamusque in ca in quae nos casus deduxerit
nec mutationeni aut consili aut status pertimescamus, dummodo nos
leuitas, inimicissimurn quieti uitium, non excipiat. Nam et pertinacia
necesse est anxia et misera sit, cui fortuna saepe aliquid extorquet, et
leuitas multo grauior misquani se continens. Vtrumque infestum est
tranquillitati, et nihil mutare posse et nihil !a pati. Vtique animus ab
omnibus externis in se reuocandus
est: sibi confidat, se gaudeat, sua suspiciat, recedat quan
tum potest ab alienis et se sibi adplicet, danma non sentiat,
3 etiani aduersa benigne interpretetur. Nuntiato naufragio

rie, si devono fare sia privatamente che pubblicamente non solo


molte ma innumerevoli cose, ma laddove nessun compito
importante ci spinga, va saputo contenere l'agire. Infatti chi fa
molte cose spesso d potere su di s alla sorte, che norma del
tutto sicura sperimentare di rado, mentre per il resto occorre
sempre riflettere su di essa e non ripromettersi nulla sulla sua
affidabilit: Navigher, a meno che non capiti qualche
incidente e Diventer pretore, a meno che non si frapponga
un qualche ostacolo e Mi riuscir l'affare, a meno che non
intervenga qualcosa. Questo il motivo per cui diremmo che
all'uomo saggio non accade niente di inaspettato: non lo abbiamo esentato dalle vicende umane, ma dagli errori, n a lui
capitano tutte le cose come le ha volute, ma come le ha pensate;
e prima di tutto egli ha pensato che qualcosa potesse far resistenza ai suoi propositi. t poi d'obbligo che il dolore di un
piacere deluso arrivi in forma attenuata all'animo al quale non
stata promessa comunque la riuscita.
[14] Dobbiamo anche rendere noi stessi disponibili a non
indulgere a un'eccessiva programmazione delle cose, a rivolgerci a quelle nelle quali ci avr fatto imbattere il caso e a non
temere n un cambiamento di programma n di condizione, a
patto che non finiamo preda della volubilit, difetto nemicissimo della quiete interiore. Infatti sia inevitabile che l'eccessivo attaccamento sia fonte di ansie e di infelicit, poich
spesso la sorte gli strappa qualcosa, sia molto pi grave la
volubilit che non sa contenersi in nessun luogo. Uuno e l'altro
difetto sono nocivi per la tranquillit, non poter mutare nulla e
non sopportare nulla. In ogni modo l'animo va richiamato da
tutte le sollecitazioni esterne a se stesso: si affidi a se stesso,
gioisca di s, rivolga lo sguardo a se stesso, si ritiri quanto pu
dalle cose degli altri e si applichi a s, non patisca i danni,
interpreti favorevolmente anche le avversit.74 Alla
74 t l'ideale dell'autrkeia del saggio, che per Seneca si traduce nel rag-

giungimento di una sostanziale autosufficienza interiore, in cui il rifugiarsi


in s diventa condizione talvolta necessaria al perfezionarnento interiore.

122

123

Zenon noster, cum omnia sua audiret submersa, 'iubet'


inquit 'me fortuna expeditius philosophari.' Minabatur
Theodoro philosopho tyrannus mortem et quidem insepul
tam: 'habes' inquit 'cur tibi placeas, hemina sangunis in
tua potestate est; nam quod ad sepulturam pertinet, o te
ineptum, si putas mea interesse supra terram an infra
4 putrescam.' Canus lulius, uir in primis magnus, cuius
admirationi ne hoc quidem obstat quod nostro sacculo
natus est, cum Gaio diu altercatus, postquam abeunti
Phalaris ille dixit 'ne forte inepta spe tibi blandiaris, duci
5 te ussi', 'gratias' inquit 'ago, optime princeps.' Quid sen
serit dubito; multa enim mihi occurrunt. Contumeliosus
esse uoluit et ostendere quanta crudelitas esset in qua
mors beneficium erat? An exprobrauit illi cotidianam de
mentiam?-agebant enim gratias et quorum liberi occisi
et quorum bona ablata erant. An tamquarn libertatem
libenter accepit? Quidquid est, magno animo respondit.
6 Dicet aliquis 'potuit post hoc iubere illum Gaius uiucre.'
Non timuit hoc Canus; nota erat Gai in talibus imperiis
fides. Credisne illum decem medios usque ad supplicium
dies sne ulla sollicitudine exegisse? Verisinffle non est quae

75

Noster aggettivo che Seneca utilizza volentieri per

qualificare i filosofi stoici, indipendentemente dal grado di


adesione all'ortodossia della dottrina. Nell'episodio cui si
allude (riportato anche da Diogene Laerzio, 7, 4 sg.), il
naufragio quello di una nave da carico che trasportava
merce in cui il filosofo aveva investito il suo denaro.
76 t Teodoro di Cirene, detto l'Ateo, contemporaneo di
Socrate: fu per un
certo tempo ad Atene dove fece conoscere la scuola
cirenaica e godette del
124

notizia del naufragio il nostro Zenone ~75 venendo a sapere che


erano andati sommersi tutti i suoi averi, disse: La fortuna mi
impone di dedicanni pi agevolmente alla filosofia. Un tiranno minacciava di morte il filosofo Teodoro76 e per di pi di
negargli la sepoltura: questi gli disse: Hai di che compiacerti
con te stesso, in tuo potere un mezzo litro di sangue; infatti
per quanto riguarda la sepoltura, povero te se pensi che mi
interessi l'imputridire sopra o sotto terra. Giulio Cano ~77
uomo tra i primi per grandezza, all'ammirazione del quale non
si oppone neppure il fatto di essere nato nel nostro secolo,
avendo a lungo discusso con Gaio, dopo che quel famoso
Falaride gli disse, mentre se ne andava: Perch per caso tu
non ti faccia allettare da una vana speranza, ho dato ordine che
tu sia accompagnato al supplizio, rispose: Ti ringrazio,
ottimo principe. Non so che cosa abbia pensato; infatti mi
vengono in mente molte ipotesi. Volle essere offensivo e mostrare quanto grande fosse la crudelt in cui la morte rappresentava un beneficio? Oppure gli rimprover la follia quotidiana? - infatti rendevano grazie sia coloro i cui figli erano
stati uccisi, sia coloro i cui beni erano stati portati via. 0 ac colse l'annuncio volentieri come se si trattasse della libert?
Qualsiasi sia la soluzione, diede una risposta coraggiosa.
Qualcuno dir: Dopo questo, Gaio avrebbe potuto dare ordine
che fosse lasciato in vita. Cano non ebbe paura di questo; era
nota la affidabilit di Gaio in tali ordini. Credi forse che egli
abbia trascorso i dieci giorni che mancavano al supplizio senza
alcuna occupazione? t incredibile che cosa riusc a dipiet e il bando dalla citt di Atene, che lo costrinse a
ritornare a Cirene dove fond una scuola di filosofia.
L'episodio qui ricordato si trova anche in Cicerone (Tusc. 1,
102) e il tiranno di cui si parla Lisimaco.
77 L'episodio, che ha un'ampiezza inusuale rispetto alla
funzione di exemplum, entra a far parte di una tipologia di
racconto che si diffonde in et imperiale, quella della morte
eroica (spesso per suicidio) di uomini illustri, che trovavano
nella filosofia stoica il miglior conforto alla loro estrema
resistenza al potere tirannico. Gaio naturalmente
Caligola, che viene assimilato al ben noto tiranno Falaride
125

uir ille dixerit, quae fecerit, quam in tranquillo fuerit. 7 Ludebat


latrunculis, cum centurio agmen periturorum trahens illum quoque
excitari iuberet. Vocatus numerauit calculos et sodali suo 'uide'
inquit 'ne post mortem meam mentiaris te uicisse'; tum annuens
centurioni 'testis' inquit ceris uno me antecedere.' Lusisse tu Canum
illa tabula 8 putas? inlusit. Tristes erant amici talem amissuri uirum:
'quid maesti' inquit 'estis? Vos quaeritis an inniortales animac sint:
ego iam sciam.' Nec desiit ucritatem in ipso 9 fine scrutari et ex
morte sua quaestionern habere. Prosequebatur illum philosophus
suus nec iam procul erat tumulus in quo Caesari deo nostro fiebat
cotidianum sacrum: is 'quid,' inquit 'Cane, nunc cogitas? aut quae
tibi mens est?' 'Obscruare' inquit Canus 'proposui illo uelocissimo
momento an sensurus sit animus exire se', promisitque, si quid
explorasset, circumiturum amicos et indicaturum io quis esset
animarum status. Ecce in media temPestate
tranquillitas, ecce animus aeternitate dignus, qui fatum suum in
argumentum ueri uocat, qui in ultimo illo gradu positus exeuntem
animam percontatur nec usque ad mortem tantum sed aliquid
etiam ex ipsa morte discit: nemo diutius philosophatus est. Non
raptim relinquetur magnus uir et cum cura dicendus: dabimus te
in onmem memoriam, clarissimum caput, Gaianae cladis magna
portio.
15 Sed nihil prodest priuatae tristitiac causas abiecisse;
occupat enim nonnumquam odium generis humani. Cum
cogitaucris quam sit rara simplicitas et quam ignota in
nocentia et uix umquam nisi cum expedit fides et occurrit
tot scelerum felicium turba et libidinis lucra danmaque
pariter inuisa et ambitio usque eo iam se suis non continens

126

re quell'uomo, che cosa riusc a fare, quanto tranquillamente sia


vissuto. Giocava a dama, mentre il centurione che trascinava la
schiera dei condannati a morte gli ordin di seguirlo. Chiamato,
cont i sassolini e al suo compagno disse: Bada dopo la mia
morte di non mentire, dicendo che hai vinto; poi, facendo
segno al centurione, disse: Sarai testimone che vincevo io di
una mossa. Pensi tu che Cano con quella scacchiera abbia
davvero giocato? Si prese gioco. Erano tristi gli amici che
sapevano di perdere un tale amico: Perch siete tristi? disse.
Voi vi chiedete se le anime siano immortali: io lo sapr tra
poco. E non smise di scrutare la verit nemmeno alla fine e di
fare della sua morte un argomento di discussione. Lo
accompagnava il suo filosofo e ormai non era lontano il tumulo
sul quale tutti i giorni si svolgeva un sacrificio in onore del
nostro dio Cesare: egli disse: Che pensi ora, Cano? o che
intenzione hai? Mi sono proposto, disse Cano, di osservare
in quel momento fuggevole se l'animo avr la sensazione di
uscir fuori e promise, se avesse sperimentato qualcosa, che
avrebbe fatto il giro degli amici e avrebbe loro indicato quale
fosse lo stato delle anime. Ecco la tranquillit nel mezzo della
tempesta, ecco l'animo degno dell'etemit, che chiama la sua
morte a testimonianza del vero, che collocato su quell'ultimo
fatale gradino interroga la sua anima mentre questa esce dal
corpo e si mette a imparare non solo fino alla morte ma
qualcosa anche dalla stessa morte: nessuno ha filosofato pi a
lungo. Non dimenticheremo frettolosamente un grand'uomo e
ne dovremo parlare con cura: ti consegneremo alla memoria di
tutti i tempi, o uomo insigne, tu parte cos importante della
strage di Gaio.
[15] Ma non giova per nulla rimuovere le cause del dolore
privato; infatti ci prende talvolta l'odio per il genere umano.
Quando avrai pensato quanto sia rara la franchezza e quanto
sconosciuta l'innocenza e come la 1 ealt non si trovi se non
quando conviene, e vengono in mente la massa di tanti crimini
felici e guadagni e perdite derivanti dal piacere parimenti
insopportabili, e l'ambizione che ormai fino a tal punto non si
127

terminis ut per turpitudinem. splendeat, agitur animus in noctem


et uclut cuersis uirtutibus, quas nec sperare licet
2 nec habere prodest, tenebrae oboriuntur. In hoc itaque flectendi
sumus, ut omnia uulgi uitia non inuisa nobis sed ridicula
uideantur et Democritum potius imitemur quam Heracltum. Hic
enim, quotiens in publicum processerat, flebat, ille ridebat, huic
omnia quae agimus miseriae, illi ineptiae udebantur. Elcuanda
ergo omnia et facili animo ferenda: humanius est deridere uitam
quam deplorare.
3 Adice quod de humano quoque genere melius meretur qui ridet
illud quam qui luget: ille ci spei bonae aliquid relinquit, hic
autem stulte deflet quae corrigi posse desperat; et uniuersa
contemplanti maioris animi est qui risum non tenet quam qui
lacrimas, quando lenissimurn adfectum animi mouet et nihil
magnum, nihil seuerum, ne miserum
4 quidem ex tanto paratu putat. Singula propter quae laeti ac tristes
sumus sibi quisque proponat et sciet uerum esse quod Bion dixit,
omnia hominum. negotia simillima initiis esse nec uitam illoruin
magis sanctani aut seucrain esse
5 quam conceptum, <in nihilum redigi ex> nihilo natos. Sed satius
est publicos mores et humana uitia placide accipere nec in risum
nec in lacrimas excidentem; nain alienis malis torqueri aeterna
miseria est, alienis delectari malis uoluptas inhumana, sicut illa
inutilis humanitas fiere, quia aliquis
6 filium. efferat, et frontem. suam fingere. In suis quoque malis ita
gerere se oportet ut dolori tantum des quantum <natura>

contiene nei suoi limiti che splende attraverso la vergogna,


l'animo spinto nella notte e come fossero stati sconvolti i
valori, che n lecito sperare n conviene avere, spuntano le
tenebre. A questo dunque dobbiamo rivolgerci, a che tutti i vizi
della gente ci sembrino non odiosi ma ridicoli ed ad imitare
piuttosto Democrito che Eraclito. Costui infatti, ogni volta che
era stato in pubblico piangeva, quello invece rideva, a costui
tutto ci che facciamo sembravano disgrazie, a quello
sciocchezze. Occorre dunque saper sdrammatizzare ogni cosa e
sopportarla con animo indulgente: pi degno di un uomo
ridere della vita che piangeme. Aggiungi che acquista meriti
maggiori per il genere umano chi ride piuttosto che chi piange:
quello lascia ad esso una qualche speranza, costui invece
piange stoltamente delle cose che dispera possano essere
corrette; e per chi contempla le cose nel loro insieme di
animo pi forte chi non trattiene il riso di chi non trattiene le
lacrime, dal momento che suscita un'emozione piacevolissima
e in mezzo a tanto apparato non ritiene nulla grande, nulla
serio, nemmeno misero. Ciascuno si ponga davanti agli occhi
ad una ad una le cose per le quali siamo lieti e tristi e sapr che
vero ci che disse Bione~78 che tutte le cose che riguardano
gli uomini sono del tutto simili a inizi e che la loro vita non e
pi sacra o seria del loro concepimento, e che nati dal nulla sono
ricondotti al nulla.79 Ma meglio accettare le abitudini
comuni e i difetti umani serenamente senza cadere n nel riso
n nelle lacrime; infatti tormentarsi per le disgrazie altrui
significa infelicit infinita, provar piacere delle disgrazie altrui
un piacere disumano, cos come quell'inutile atto di
compassione che piangere perch qualcuno porta a seppellire
il figlio, e adattare a questa circostanza la propria espressione.
Anche nelle proprie disgrazie occorre comportarsi in modo da
concedere al dolore solo quanto la natura ri-

78 Su Bione cfr. sopra, n. 42: di questo detto non abbiamo


altre testimonianze. 79 Il testo del codice A (conceptum.

variamente emendato dagli editori: contro la linea di chi


espunge del tutto le parole nichilo natus, come
interpolazione, Reynolds segue la via dell'integrazione.

nichilo natus. sed.) corrotto ed stato

128

129

poscit, non quantum consuetudo; plerique enim lacrimas fundunt


ut ostendant et totiens siccos oculos habent quotiens spectator
defuit, turpe iudicantes non fiere cum omnes faciant: adeo penitus
hoc se malum fixit, ex aliena opinione pendere, ut in
simulationent etiam res simplicissima, dolor, ueniat.
16 Sequitur pars quae solet non innierito contristare et in
sollicitudinem adducere. Vbi bonorum exitus mali sunt, ubi Socrates
cogitur in carcere mori, Rutilius in exilio uiuere. Pompeius et Cicero
clientibus suis praebere ceruicem, Cato ille, uirtutiurn uiua imago,
incumbens gladio simul de se ac de re publica palam facere, necesse
est torqueri tam iniqua praemia fortunam persoluere; et quid sibi
quisque tunc speret, cum uideat pessima optimos pati? 2 Quid ergo
est? Vide quomodo quisque illorum tulerit et,
si fortes ferunt, ipsorum illos animo desidera, si muliebriter et
ignaue perierunt, nihil perit: aut digni sunt quorum uirtus tibi
placeat, aut indigni quon= desideretur ignauia. Quid enim est turpius
quani si maximi uiri 3 timidos fortiter moriendo faciunt? Laudemus
totiens dignum laudibus et dicamus: 'tanto fortior, tanto felicior! Omnes
effugisti casus, liuorem, morbum; existi ex custodia; non tu dignus
mala fortuna dis uisus es, sed indignus in queni iam aliquid fortuna
posset.' Subducentibus uero se et in ipsa morte ad uitam
respectantibus manus inicen4 dae sunt. Neminem flebo laetum,
neminem fientem: We

80 Il personaggio di Flublio Rutilio Rufo, politico e filosofo

stoico, presen
te varie volte nelle opere di Seneca, come modello romano di
virt e di eroi
130

chiede, non quanto le convenzioni; molti infatti versano lacrime


per ostentazione e hanno gli occhi asciutti ogni volta che manca
il pubblico, poich giudicano vergognoso non piangere quando
lo fanno tutti: tanto profondamente si consolidato questo
vizio, quello di dipendere dall'opinione altrui, che diventa
finzione anche un sentimento tra i pi naturali, il dolore.
[16] Segue la parte che non senza motivo suole rattristare e
mettere in ansia. Laddove la sorte dei buoni cattiva, laddove
Socrate viene costretto a morire in carcere, Rutili080 a vivere
in esilio, Pompeo e Cicerone a offrire il collo ai loro clienti, e
proprio Catone, ritratto vivente della virt, gettandosi sulla
spada, a rendere chiaro il destino suo e della repubblica,
inevitabile tormentarsi per il fatto che la sorte paga compensi
tanto iniqui; e allora che cosa potrebbe sperare ognuno per s,
vedendo che i migliori subiscono il peggio? Che significa
dunque? Guarda come ciascuno di loro abbia saputo sopportare
e, se furono forti, impara a rimpiangerli con il loro stesso
animo, se morirono con la debolezza di una donna, non and
perso nulla: o sono degni della tua ammirazione per la loro
virt, o sono indegni del tuo rimpianto per la loro ignavia. Che
c' infatti di pi vergognoso che se gli uomini pi grandi
morendo con coraggio rendono gli altri vili? Lodiamo chi
degno tante volte di lodi e diciamo: Tanto pi sei forte, tanto
pi sei felice! Sei scampato a ogni disgrazia, all'invidia, alla
malattia; sei uscito di prigione; tu non sei apparso agli dei
degno di una cattiva sorte, ma indegno di essere ormai soggetto
a un qualche colpo della sorte. Bisogna invece costringere
coloro che cercano di sottrarsi e in punto di morte si voltano a
guardare la vita. Non pianger nessuno che lieto, nessuno che
piange: quello mi ha terso di sua iniziati-

arrimmistrazione dei cavalieri durante il proconsolato in


Asia Minore gli cost un processo nel 93 a.C. e la pena
dell'esilio, sotto l'accusa falsa di aver commesso intrighi
politici. Richiamato in patria da Silla, rifiut il ritorno, e a
Smime, dove da ultimo si era ritirato, scrisse una
131

lacrimas meas ipse abstersit, hic suis lacrimis effecit ne ullis


dignus sit. Ego Herculem fleam quod uiuus uritur, aut Reguluni
quod tot clauis configitur, aut Catonern quod uulnera <uuInerat>
sua? Omnes isti leui temporis inpensa inuenerunt quomodo
aeterni flerent, et ad inniortalitateni moriendo uenerunt.
17 Est et illa sollicitudinum non mediocris materia, si te
anxie componas nec ullis simpliciter ostendas, qualis multorum uita
est, ficta, ostentationi parata; torquet enirn adsidua obseruatio sui et
deprendi aliter ac solet metuit. Nec umquam cura soluimur, ubi
totiens nos aestimari putamus quotiens aspici; nam et multa incidunt
quae inuitos denudent et, ut bene cedat tanta sui diligentia, non
tamen iucunda uita aut secura est semper sub persona uiuentium. 2
At ffia quantum habet uoluptatis sincera et per se inornata
simplicitas, nihil obtendens moribus suis! Subit tamen et haec
uita contemptus periculum, si omnia omnibus patent; sunt enim
qui fastidiant quidquid propius adicrunt. Sed nec uirtuti
periculum est ne admota oculis reuilescat et satius est
simplicitate contemni quam perpetua simulatione torqueri.
Modum tamen rei adhibeamus: multum interest, simpliciter uiuas
an neglegenter.
3 Multuin et in se recedendum est; conuersatio enim dis
similium bene composita disturbat et renouat adfectus et

va le lacrime, questo con le sue lacrime si reso indegno di


alcuna altra. lo dovrei piangere Ercole, per il fatto che viene
bruciato vivo, o Regolo perch trafitto da tanti chiodi, o Catone, perch ferisce81 le sue ferite? Tutti costoro trovarono col
sacrificio di un breve spazio di tempo in che modo diventare
eterni, e con la morte pervennero all'immortalit.
[17] Anche quella materia non trascurabile di inquietudini,
se tu ti affatichi a darti una posa e non ti mostri a nessuno nella
tua schiettezza, cos come fanno molti, la cui vita finta e
costruita per l'esibizione; infatti fonte di tormento la continua
osservazione di se stessi, e alimenta il timore di essere scoperti
diversi da come si soliti presentarsi. N mai ci liberiamo
dall'ansiet, se pensiamo di essere giudicati ogni volta che
siamo guardati; infatti, da una parte accadono molte cose che
contro la nostra volont ci mettono a nudo, dall'altra, per
quanto abbia successo tanta cura di s, tuttavia non piacevole
o sicura una vita che si nasconde sempre sotto la maschera. Al
contrario, quanto piacere possiede quella schiettezza sincera e
di per s priva di ornamenti, che non si serve di nulla per
coprire la propria indole! Tuttavia, anche questa vita va
incontro al pericolo del disprezzo, se tutto scoperto a tutti; ci
sono infatti persone che provano fastidio per tutto ci a cui si
sono potute accostare troppo da vicino. Ma per la virt non c'
il pericolo di avvilirsi se posta sotto gli occhi ed meglio
essere disprezzati per la schiettezza che tormentati da una
continua finzione. Usiamo tuttavia misura nella cosa: c' molta
differenza tra il vivere con semplicit o con trascuratezza.
OccorTe sapersi ritirare molto anche in s; infatti la frequentazione di persone dissimili turba il buon equilibrio raggiunto, rinnova le emozioni ed esaspera ci che nell'animo

Leggendo vulnerat, l'assenza nel codice A del verbo necessario alla


frase si spiegherebbe bene come caduta per aplografia, dopo vulnera:
c' chi preferisce iterat, rinnova (sostenuto dalla lezione di un
manoscritto poco autorevole).
81

132

133

quidquid inbecillum in animo nec percuraturn est exulcerat.


Miscenda tamen ista et alternanda sunt, solitudo et frequentia: illa
nobis faciet hominum desiderium, haec nostri, et erit altera
alterius remedium; odium turbae sanabit solitudo, taedium
solitudinis turba.
4 Nec in eadern intentione aequaliter retinenda mens est,
sed ad iocos deuocanda. Cum puerulis Socrates ludere non
erubescebat et Cato uino laxabat animum curis publicis fatigaturn
et Scipio triumphale illud ac militare corpus mouebat ad numeros,
non molliter se infringens, ut minc mos est etiam incessu ipso ultra
muliebrem. mollitiarn fluentibus, sed ut antiqui illi uiri solebant
inter lusurn ac festa tempora uirilem. in modum tripudiare, non
facturi detri5 mentum, etiam si ab hostibus suis spectarentur. Danda
cst animis remissio: meliores acrioresquc requicti surgent. Vt
fertilibus agris non est impcrandum--cito enim illos exhauriet
numquam intermissa fecunditas-ita animorum. impetus adsiduus
labor franget, uires recipient paulum resoluti ct remissi; nascitur ex
adsiduitate laborum. animorurn 6 licbetatio quaedam ct languor.
Nec ad hoc tanta hominum.
cupiditas tenderet, nisi naturalern quandam uoluptatern haberet
lusus iocusque; quorum frequens usus omne animis pondus
onmenique uim eripict; nam et sommis rcfectioni necessarius est,
hunc tamen semper si them noctemque continues, mors erit.
Multum interest, remittas aliquid an 7 soluas. Legum conditores
festos instituerunt dies, ut ad

Lo testimonia anche Orazio, Carm. 3, 21, Il sg. narratur et prisci Ca


tonis 1 saepe mero caluisse virtus (si narra che anche la virt del vecchio
Catone spesso si riscaldasse col vino).
83 L esempio del grande vincitore di Annibale permette a Seneca di introdur92

134

ancora debole e non pienamente guarito. Tuttavia queste condizioni vanno mescolate e alternate, la solitudine e la compagnia: quella generer in noi nostalgia degli uomini, questa di
noi stessi, e l'una sar rimedio dell'altra; la solitudine guarir
l'insofferenza della folla, la folla la noia della solitudine.
Nemmeno bisogna tenere la mente uniformemente nella
stessa applicazione, ma occorre richiamarla agli svaghi. Socrate
non si vergognava di giocare coi fanciulli, Catone rilassava col
vino l'animo provato dalle fatiche politiche" e Scipione 83
muoveva a tempo di musica quel corpo avvezzo ai trionfi e alle
fatiche di guerra, non snervandosi in mollezze, come ora
abitudine di quanti ondeggiano persino nell'andatura superando
la mollezza fermiiinca, ma come quegli antichi uomini erano
soliti tra lo svago e i giorni di festa danzare in modo virile, non
andando incontro a una perdita di dignit, anche qualora
venissero guardati dai loro nemici. Occorre concedere una
pausa agli animi: riposati, rinasceranno migliori e pi
combattivi. Come non si deve essere impositivi coi campi fertili
- infatti una produttivit mai interrotta li esaurir in fretta - cosi
una fatica continua indebolir gli slanci degli animi, e questi
riacquisteranno le forze se per un po' risparmiati e lasciati a
riposo; dal protrarsi delle fatiche nascono un certo qual torpore
e un infiacchimento degli animi. E a ci non tenderebbe un
tanto grande desiderio degli uomini, se lo svago e il gioco non
possedessero un certo naturale piacere; per il ricorso frequente
a questi toglier ogni gravit e ogni forza dagli animi; infatti,
anche il sonno necessario a ridare forze, tuttavia qualora tu lo
continui giorno e notte, diventer la morte. C' molta differenza
tra l'allentare una tensione e dissolverla del tutto. 1 legislatori
istituirono i giorni festivi, perch gli uon-ni fossero costretti
pubblica-

re una nota moralistico-polemica contro l'effeminatezza dei costumi suoi


contemporanei, non rara nei suoi scritti e ben inserita nel filone moralistico della cultura
antica che aveva un bersaglio d'elezione nella vita dedita al lusso e alle mollezze.
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hilaritatem homines publice cogerentur, tamquam necessarium


laboribus interponentes temperamentum; et magni,' ut dixi, uiri
quidam sibi menstruas certis diebus ferias dabant, quidam nullum
non diem inter otium et curas diuidebant. Qualem Pollionem
Asinium oratorem magnum meminimus, quem nulla res ultra
decumam retinuit; ne epistulas quidem post cam horam legebat,
ne quid nouae curae nasceretur, sed totius diei lassitudinem
duabus illis horis ponebat. Quidam medio die interiunxerunt et in
postmeridianas horas aliquid leuioris operae distulerunt. Maiores
quoque nostri nouam relationein post horam decumam in senatu
fieri uetabant. Miles uigilias diuidit, et nox
8 immunis est ab expeditione redeuntium. Indulgendum est animo
danduinque subinde otium quod alimenti ac uirium loco sit. Et in
ambulationibus apertis uagandum, ut caelo libero et multo spiritu
augeat attollatque se animus; aliquando uectatio iterque et mutata
regio uigorem dabunt conuictusque et liberalior potio. Non
numquam et usque ad ebrietatent ueniendum, non ut mergat nos
sed ut deprimat; eluit enim curas et ab imo animum mouet et ut
morbis quibusdam ita tristitiae medetur, Liberque non ob
licentiam linguae dictus est [inuentor uini] sed quia liberat
seruitio curarum animum et adserit uegetatque et auda9 ciorem. in omnis conatus facit. Sed ut libertatis ita uini salubris
moderatio est. Solonem Arcesilanque indulsisse

2 il celebre intellettuale e uomo politico di et augustea,


noto come oratore, storico, poeta, nonch amico e raffinato
critico letterario di Virgilio. Fond la prima biblioteca
pubblica di Roma nel 40 a.C. Uaneddotica lo ricordava
come un uomo morigerato e temperante. 85 Secondo il
computo degli antichi, le quattro del pomeriggio.
136
84

mente a divertirsi, come interponendo la necessaria moderazione alle fatiche; e come ho detto alcuni grandi uomini si
concedevano in determinati giorni feste mensili, alcuni non
c'era giorno che non dividessero tra l'ozio e gli impegni. Tra
questi ricordiamo il grande oratore Asinio Pollione~84 che soleva non farsi trattenere da nessuna occupazione oltre l'ora
decima;81 non leggeva nemmeno le lettere dopo quell'ora,
perch non gliene derivasse una qualche nuova preoccupazione, ma si liberava della stanchezza di tutta una giornata in
quelle due ore. Alcuni sogliono fare pausa a met della giornata e rimandare alle ore pomeridiane una qualche occupazione pi leggera. Anche i nostri antenati vietavano che in see

nato ci fosse una nuova mozione oltre l'ora decima. I soldati si


dividono i tumi di guardia, e la notte libera dalla ronda per
coloro che ritornano da una spedizione. Bisogna essere
indulgenti con l'animo e concedergli ripetutamente il riposo
che funga da alimento e forze. Bisogna fare anche passeggiate
all'aperto, affinch l'animo si arricchisca e si innalzi grazie
all'apertura degli orizzonti e all'abbondanza di aria pura da
inspirare; talvolta un viaggio o un cammino e il cambiare luoghi e le cene e le bevute pi generose daranno energia. Talvolta
opportuno arrivare anche fino all'ebbrezza, non perch ci
sommerga, ma perch abbia effetto tranquillante; infatti
dissolve gli affanni e muove l'animo dal profondo e come cura
alcune malattie cos anche la tristezza, e Libero non detto
cos per la libert di parola ma perch libera l'animo dalla
schiavit delle preoccupazioni86 e gli d indipendenza e forza
e lo rende pi audace verso ogni impresa. Ma nella libert
come nel vino salutare la moderazione. Si crede che Solone e
Arcesilaoll abbiano accondisceso al vino, a Catone
1Jetimologia qui proposta non ha valore scientifico, ma
quella che pi si attaglia alle necessit del contesto:
insomma un esempio di paraetimologia, secondo
un'abitudine degli stoici.
87 Il fondatore della Nuova Accadernia, vissuto all'incirca
tra il 315 e il 241/40 a.C. Sostenne una linea di pensiero
polenticamente diretta contro la teoria dogmatica della
137
conoscenza sostenuta dagli stoici.
86

uino credunt, Catoni ebrietas obiecta est: facilius efficiet, quisquis


obiecit [et], crimen honestum quain turpern Catonem. Sed nec saepe
faciendum est, ne animus malam consuetudineni ducat, et aliquando
tamen in exultationem libertatenique extraliendus tristisque
sobrietas remouenda io paulisper. Nam siue Graeco poetae credimus
'aliquando et
insanire iucundum est', siue Platoni Trustra poeticas fores compos
sui pepulit', siue Aristoteli 'nullum magnuin ingenium sine mixtura
dementiae fuit': non potest grande i i aliquid et super ceteros loqui
nisi mota mens. Cum uulgaria
et solita contempsit instinctuque sacro surrexit excelsior, tunc
demum aliquid cecinit grandius ore mortali. Non potest sublime
quicquain et in arduo positum contingere quam diu apud se est:
desciscat oportet a solito et efferatur et mordeat frenos et
rectorem rapiat suurn eoque ferat quo per se timuisset escendere.
12 Habes, Serene carissime, quae possint tranquillitatem
tueri, quae restituere, quae subrepentibus uitiis resistant; illud
tamen scito, nihil horum satis esse ualidum rem inbecillam
seruantibus, nisi intenta et adsidua cura circumit ammum
labentem.

fu rinfacciata l'ebbrezza: chiunque gliela rinfacci, potr rendere


pi facilmente onesto un vizio che turpe Catone. Ma non
bisogna farlo nemmeno spesso, in modo che l'animo non
prenda una cattiva abitudine, e tuttavia talvolta occorre spingerlo all'esultanza e alla libert, e la triste sobriet va per un po'
abbandonata. Infatti sia che diamo retta al poeta greco:"
Talvolta piacevole anche fare follie, sia a Platone: Invano
chi padrone di s bussa alla porta della poesia, sia ad Ari
stotele: Non ci fu nessun grande ingegno senza un pizzico di
follia: non pu esprimere qualcosa di grande e superiore agli
altri se non una mente eccitata. Una volta che ha disprezzato le
cose usuali e comuni e per divina ispirazione si elevata pi in
alto, allora infine suole cantare qualcosa di pi grande delle
capacit umane. Non pu attingere qualcosa di sublime e di
elevato finch rimane in s:" necessario si stacchi dal
consueto e scarti verso l'alto e morda i freni e trascini il suo
auriga e lo conduca l dove da solo avrebbe avuto paura di
salire.
Tu hai, carissimo Sereno, i mezzi che possono difendere la
tranquillit, che possono restituirla, che resistono ai mali striscianti; sappi tuttavia che nessuno di loro sufficientemente
efficace per coloro che salvaguardano una situazione di debolezza, a meno che una cura sollecita e assidua non circondi
l'animo vacillante.

U identificazione incerta: si pensato ad Omero, ai poeti lirici Alceo o


Anacreonte, all'autore di commedie Cratino. t probabile che Seneca attingesse le sentenze che riporta in sequenza a qualche florilegio.
89 Tutto il pensiero si avvicina a una concezione dell'arte come prodotto dell'

entusiasmo dell'animo, una concezione piuttosto lontana dal razionalismo


stoico: ma probabile che ci rappresenti un ampliamento della citazione di
Platone ed Aristotele, pi che testimoniare un'adesione diretta di Seneca a
teorie irrazionalistiche.

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