INTRODUZIONE
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uesto saggio raccoglie una serie di riflessioni sul problema dello sviluppo
storico in Occidente.
Parto da quel momento che a me pare fondamentale in questo tema esami-
nato, ossia l’arrivo dell’umanità sulla Terra.
Espongo infatti l’ipotesi di una comparsa aliena degli esseri umani nel no-
stro pianeta.
Affronto aspetti della problematica irrazionalistica, la quale dà il titolo alla
monografia, attraversando diversi argomenti, senza pretesa di esaustività, ma col
proposito principale di offrire un modello di analisi storica.
In tale quadro concettuale ho inserito studi che non perciò risulterebbero
secondari, avendo accanto al primo punto programmatico solo secondarietà pro-
cedurale.
Mi è parso opportuno collegare l’irrazionalismo occidentale degli ambiti
sociologico, storico, intellettuale, alle opere non solo letterarie di carattere distopi-
co, le quali ben rendono la preoccupazione degli effetti negativi di impostazioni a
inclinazione irrazionalistica nella società.
Pertanto ho concluso il progetto espositivo di questo lavoro parlando di
due distopie cinematografiche.
L’insieme generale ha la pretesa di fornire una piccola fenomenologia
dell’irrazionalismo nella cultura occidentale, il quale, naturalmente, richiede mol-
to più spazio e molto più tempo di analisi e di approfondimenti.
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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itengo che come il genere umano si sia distribuito sul globo terrestre par-
tendo da un epicentro nell’area del Vicino Oriente asiatico e dintorni africa-
no ed europeo, così esso sia potuto provenire sulla Terra dallo spazio in
maniera simile alle iniziative di espansione di conoscenza territoriale degli Euro-
pei. A mio avviso, in parole povere, gli alieni siamo noi.
Non do credito all’idea secondo cui intelligenze extraterrestri abbiano con-
dotto un’opera di perfezionamento genetico sugli ominidi trovati qui; anzi non
credo proprio che ci fosse qualcuno di paragonabile all’essere umano su questo
pianeta prima dell’arrivo di uomini da altri mondi. A primo impatto, il tema che
mi prefiggo di spiegare potrà apparire a una mentalità ordinaria e comune “fanta-
scientifico”. Ma da studioso mi ripropongo l’obiettivo di illustrare un’“ipotesi” in
maniera scientifica, senza poter tuttavia dire di avere prove valide al 100%, però
avente la sua cittadinanza nell’ambito di un ragionamento serio e non fantasioso.
Debbo perciò puntualizzare a monte di non dar fiducia alla teoria evolutiva
darwiniana. Esiste una cesura troppo forte tra il sistema preistorico e quello attua-
le: si parla di un evento catastrofico che fece scomparire i dinosauri e l’ambiente
che li circondava. Non so se gli esseri umani fossero già arrivati sul nostro pianeta
in epoca preistorica, se ci fosse un avamposto coloniale, se la catastrofe producen-
te l’era glaciale abbia avuto una causa accidentale (l’impatto di un asteroide?) o
una causa umana (militare?). Sono del parere che nelle testimonianze umane più
antiche si possa trovare memoria della traccia di questo fenomeno di colonizza-
zione aliena della Terra: nello stesso modo in cui Platone dice nel “Cratilo” che il
linguaggio più vecchio mantiene un segno dell’essere, giudico possibile individu-
are prove di quei presunti fatti nell’opera intellettuale umana arcaica.
Cosicché, ad esempio, nella mitologia, nei poemi, nella letteratura in gene-
rale (e non solo), è data facoltà di vedere a un’analisi attenta la memoria di qualco-
sa meno circoscrivibile all’ambito della fantasia. Ho riflettuto sul famoso mito di
Atlantide, ricordato da Platone: se supponiamo si tratti di storia di un altro mon-
do, forse siamo in grado di cogliere l’aspetto extraterrestre di questa civiltà. La flo-
rida Atlantide la quale va prima in rovina e poi alla ricerca di nuovi spazi vitali.
Qui posso aggiungere che un mito come quello dell’arca di Noè sembra ce-
lare, in una cultura su larga scala ripartita da zero sulla Terra, l’arrivo degli esseri
umani, i quali portarono esemplari per ricreare il loro habitat. La mia impressione
è che queste astronavi spaziali abbiano lasciato un gruppo composito di colonizza-
tori: fra di loro reputo la maggioranza fosse gente semplice, quella che ha poi cau-
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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non accumulare tesori sulla Terra, potrebbero fare la fine di Atlantide. Il futuro
dell’umanità è quello di lasciare questo sistema solare: cosa ci impedisce di pensa-
re che una cosa del genere sia già accaduta? Alla maggioranza delle persone il
turbamento radicale che rovescerebbe le plausibili fiabesche personali credenze
sulla presenza umana in questo pianeta. Non sarebbe facile dire a un senso comu-
ne, abituato da secoli a vivere a guisa di un neonato in una culla (secondo
un’azzeccata immagine kantiana), ipotesi (o verità?) più scientifiche: crollerebbe
davvero il vecchio mondo conosciuto. Se in pieno giorno un’astronave spaziale
aliena sostasse o viaggiasse nei cieli, la gente sarebbe presa sicuramente da paura.
Pochissimi sarebbero quelli inclini a prestarsi in direzione di una riflessione obiet-
tiva. La quale potrebbe ulteriormente prolungarsi, e ipotizzare la ragione dei di-
versi tipi somatici umani nella provenienza da differenti pianeti: i biondi di pelle
chiara da qualcuno meno caldo, i neri da qualche altro meno freddo. Poi sul globo
terrestre si sarebbero distribuiti per attrazione ambientale.
Il fatto di parlare, tra l’altro, di sistemi solari abitati da persone ha compor-
tato la condanna capitale di Giordano Bruno (Roma, Campo dei fiori, 17 febbraio
1600) da parte dell’Inquisizione cattolica. Ricordo di aver sentito in televisione,
anni fa, un sacerdote di Santa Romana Chiesa dichiarare la validità della Rivela-
zione pure nei riguardi di eventuali alieni: non penso si sarebbe espresso in questi
toni a proposito dei Puffi; può darsi la materia discussa sia più seria di quanto si
lasci a intendere di solito. Dmitrij Medvedev (stretto collaboratore del Presidente
russo Vladimir Putin, Primo ministro ed ex Presidente della Federazione russa),
sempre tempo addietro, confermò l’esistenza di extraterrestri.
Voglio concludere quest’enunciazione del tema, non di uno svolgimento (il
quale potrà avere luogo presso altri spazi o altri autori), con quelle belle, e famose,
parole di Immanuel Kant tratte dalla “Critica della ragion pratica”: «Due cose
riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quan-
to più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di
me, e la legge morale in me».
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arl Marx ha il grande merito di aver analizzato il sistema capitalistico di
produzione e la società che lo esprime, nel modo più consono all’oggetto
d’analisi. Egli ha sondato il campo con un occhio omogeneo alla materia,
poiché ha applicato la medesima forma mentis operante nel capitalismo. La cosa è
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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complicata a proposito della testa del pensatore di Treviri. Non posso sbilanciarmi
sulle sue misure di consapevolezza.
La certezza, secondo il mio modo di vedere, è che la formula sociale capita-
lista e il marxismo analitico hanno una comune radice nel lontano Ebraismo anti-
co. L’attivismo-volontarismo giudaico attraverso il Cristianesimo (soprattutto pro-
testante) giunse a gettare le basi da un lato (Calvinismo inglese) del capitalismo
odierno, e dall’altro (Luteranesimo tedesco) di una tradizione volontaristica ger-
manica, entrambe di connotazione irrazionale. Si tratta di due canali sorti da iden-
tica sorgente, entrati in conflitto a causa del più intenso tentativo di sopraffazione
del secondo a partire dall’Ottocento.
Marx è un Tedesco di origine ebraica: ecco il problema su citato della com-
prensione delle parti di influenze tradite dal pensiero marxiano e della loro co-
scienza da parte dell’autore. Costui si contrappone al liberal-capitalismo inglese in
nome della superiorità di una scienza tedesca. A prescindere da cosa si riferisse, ciò
di per sé inserisce Marx a titolo pieno nell’irrazionalismo volontaristico germanico
che da Lutero, passando da lui, tocca Nietzsche e Heidegger. Tale corrente contie-
ne nel suo intimo l’attivismo giudaico, cui Lutero ha dato abito tedesco.
Adesso, dire quanto l’origine familiare ebraica di Marx incida nella giovani-
le fermentazione delle sue idee non è facile. Giudico detti due aspetti testé indicati
imprescindibili, e a ognuno darei un salomonico 50% di presa. Il primo campione
del liberalismo inglese, John Locke, condivide con Karl Marx la centralità conferita
al lavoro umano, inserita in un contesto di esso il quale definirei di res extensa
(empirismo lockiano e materialismo marxiano).
L’autore de “Il capitale” nella sua celeberrima opera, in virtù della sua sin-
tonia analitica col tema che discute, è scientifico. Il filosofo di Treviri, nell’ottica
d’esame da me assunta, rielabora l’ontologia veterotestamentaria. Quando Marx
parla dell’attività lavorativa dà l’impressione di avere in mente l’agire produttivo
del Dio del Tanak. Quest’ultimo non crea ex nihilo (come molti credono in disac-
cordo col testo biblico originale), trasforma, plasma la materia che si trova davanti
uscita dal caos (apertura dell’acqua, imago di Grande madre, da Lui indipenden-
te). L’uomo nella concezione marxiana, il lavoratore, è un trasformatore di una re-
altà atomica.
Nella visione del filosofo di Treviri esiste un lavoro astratto, una prassi sce-
vra di connotazione specialistica (la quale però può determinare d’altro canto
l’essere strumento di benessere del prodotto). Il Dio del Tanak nella produzione
(non creazione) dell’universo svolge un’azione lavorativa in un arco temporale defini-
to. Nell’Antico Testamento tutto cammina a ridosso di una linea cronologica pro-
gressiva; non esiste una prospettiva metafisica, né immortalità di alcunché.
Un’attività particolare di Dio è quella dove modella una tselem (immagine, nella
fattispecie statua di terra) di Adamo a cui soffia la ruach (spirito) a conclusione del
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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sto a tanti padroni imprenditori, noi rimproveriamo ciò a Marx nel caso dello Sta-
to socialista (unico padrone e persistente dominus alienante). Antonio Gramsci
parla del partito comunista come di un moderno principe machiavellico, trasforma-
tore della realtà storica: il difetto sta sempre nell’imporre all’umanità concreta
(composta di interrelazioni) una cappa oppressiva e omologante. Non esisterebbe
libertà: una necessità, in fin dei conti irrazionale, dovrebbe guidare il mondo.
Marx non ha la luce della razionalità hegeliana, assume una necessità spinoziana (fato
stoico). Egli si traveste da profeta estremista, contestatore di chi ha tradito il Dio-
umanità (una sorta di Giovanni Battista). Non è affatto disprezzabile la rivendica-
zione di giustizia sociale, tuttavia quello che c’è dietro il capital-marxismo è roba
da mettere sul lettino dello psicologo, non alimento di esagitate, innaturali, disu-
mane riflessioni, proposte, azioni. Non si può distruggere la Civiltà occidentale
allo scopo di risolvere i suoi mali.
Una casta teocratico-sacerdotale e una di profeti (Marx ne è capostipite in
un Nuovo Testamento socialistico scientifico) emergono nella proposta marxista
di risoluzione della questione sociale. Anche qua la cosa non è disprezzabile nella
sua forma alfieriana: discriminanti nella determinazione di bontà di un compor-
tamento sono però le sostanze di cui si informa. Rimediare a un male con miglio-
ramenti per poi passare a un peggioramento superiore al male di partenza non è
buon acquisto, né un parto di sana ragione.
I lavoratori sono nello Stato socialista e in quello liberale (senza vincoli a-
deguati) pezzi di una scacchiera: buttarla in aria e proclamare “scacco matto” è
una proposta insensata. Gli uomini sono legati fra loro da un logos in maniera
singolare immanente, l’ulteriore insieme di collegamento intersoggettivo ha lì la
sua base. Esiste un inconscio collettivo junghiano, non una ragione universale au-
tonoma hegeliana, vera realtà di cui il resto è dispiegamento a tappe. Queste figu-
re o figurazioni sono figlie dell’intersoggettività.
In tal senso, Marx ha preso Hegel e Spinoza riportandoli alla Ionia di Anas-
simandro ed Eraclito. Il materialismo atomistico rende degno l’autore de “Il capi-
tale” dello spirito positivistico ottocentesco, e la filosofia ellenistica epicurea gli
consente di fare un piccolo salto in avanti: di piacere (libido), soddisfazione di bi-
sogni discuterà Freud. Il valore d’uso guarda alla soddisfazione di un bisogno. Il
lavoratore è una macchina particolare. Un aggregato atomico informato dalla ne-
fesh fisiologica, equivalente allo schiavo aristotelico giudicato privo di anima ra-
zionale: il capitano d’impresa o il partito comunista pensano in suo luogo poiché
costui non è all’altezza. Il Tanak non condanna la schiavitù. L’essere servo di un
padrone capitalista appare destino di subordinazione a un eletto da Dio (la storia
di Israele è altresì storia di imprese belliche).
Lo schiavo aristotelico collocato nella res extensa capitalistica è un animale
che cartesianamente si tramuta in macchina animata: siffatto è, o ritenuto se ci fos-
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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sero casi d’eccezione, il lavoratore al servizio del capitale. Pertanto gli investimenti
di capitale variabile e costante non fanno differenza ontologica: si comprano mac-
chine moventi altre macchine e materie. Ecco la reificazione del lavoratore.
Se poi vogliamo vedere l’argomento con lo sguardo di Freud possiamo par-
lare di sfruttamento della prostituzione. Il capitalista acquisisce libido deviata mi-
rando alla sua soddisfazione mediante l’affitto di corpi. Quote di tempo-libido
vengono sacrificate da (complemento di origine, non d’agente) quell’ente che le
possiede al fine di produrre idoli (compare il carattere marxiano della merce come
feticcio). La merce è al pari di un’ostia consacrata.
Il filosofo di Treviri lo afferma a chiare lettere argomentando della forma re-
lativa di valore (l’exemplum lega una certa quantità di tela e un abito): «La forma di
abito dunque, nel rapporto di valore in cui l’abito è equivalente della tela, conta
come forma di valore. Il valore della merce tela è allora espresso nel corpo della
merce abito, il valore di una merce è espresso nel valore d’uso dell’altra merce.
Come valore d’uso la tela è un oggetto sensibile e diverso dall’abito, come valore è
“uguale ad abito”, perciò ha aspetto di abito. In tal maniera assume una forma di
valore diversa dalla sua forma naturale. Il suo essere valore si manifesta nella sua
uguaglianza con l’abito, come la natura pecorina del cristiano nella sua ugua-
glianza con l’agnello divino».
Egli, nel distinguere tra valore d’uso e valore di scambio delle merci, riela-
bora la dottrina della consustanziazione eucaristica di Lutero («I due fattori della
merce»): simile prospettiva ci ricongiunge alle anteriori radici concettuali giudai-
che e pure alla cornice weberiana protestante. L’idolo-merce ha reale valore nello
scambio sennò il gioco non sarebbe valido, e siamo in linea con Marx.
L’imprenditore vende l’idolo di sé o del Dio in qualità di feticcio (valore di
scambio) per ottenere denaro (sangue, vita, tempo). Se l’idolo non contenesse il
frutto del lavoro astratto non avrebbe quel valore cui la nevrosi mira. Il lavoro sa-
lariato è olocausto che trasferisce la nefesh al prodotto idolo, cosicché questo di-
venta magico. I proventi della sua vendita sono denaro, il quale quel potere magi-
co rileva nell’accumulo di capitale. Il mercato capitalistico è un grande gioco ne-
vrotico di società: il gioco degli Elohiym in guerra inter se (personalmente o per
mezzo di loro rappresentanti sacerdotali). Vince il vampiro più abile. Comunque,
non tutti i concorrenti sono ascrivibili a suddetta categoria di vampirismo, e fra chi
vi è incluso non ciascuno si comporta in modo esagerato.
Non mancano filantropi tra gli imprenditori che considerano l’umanità un
fine in sé e non un ingrediente di magia. La vendita procura piacere dal feticcio
(valore di scambio, soddisfazione libidica dalla prostituzione) all’imprenditore ce-
lebrante un’apoteosi nel ciclo produttivo: olocausto del lavoratore che produce i-
doli la cui vendita fa ottenere il tempo-vita-denaro-nevrotico-simbolico. In effetti
chi ha denaro può disporre di trattamenti migliori i quali possono allungare la vi-
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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caso padre e figlio hanno avuto l’occasione di andare d’accordo un po’ meglio che
non nello schema della prima circostanza.
La filosofia heideggeriana critica il progresso della tecnica quale barriera a
un senso pieno della vita umana. Marx e Heidegger sono nemici della capitalistica
distopia alienante/velante. Tuttavia ad avviso dell’ultimo il rimedio al problema
spettava alla razza tedesca eletta all’uopo (a proposito di questo non possiamo ac-
cettare né principi, né mezzi, né tanto meno azioni); ad avviso dell’altro a una di-
versa razza eletta, quella dei lavoratori (organizzati dopo la rivoluzione nello Stato
socialista). Sebbene viviamo «nel tempo de li dei falsi e bugiardi» a cui una man-
dria di pecore viene sacrificata, di Karl Marx possiamo solo apprezzare la bontà
della parte critica del suo sistema. Quanto di lui diventa proposta di aperta sov-
versione, di azione violenta al di fuori di legittima difesa dell’ordine e della giusti-
zia, non può essere accolto nella dialettica sociale e politica. Questione cruciale è
comprendere e stabilire il margine di razionalità.
A ciò serve lo studio della storia, la quale i più non conoscono. L’archetipo
junghiano del capitalismo è negativo, come quello dell’antisemitismo: essi gravi-
tano in un’area psichica estroverso-irrazionale. Il denaro è un simbolo correlato al
primo. Compare nelle posizioni iniziale e finale del ciclo capitalistico nella espres-
sione marxiana D-M-D': il denaro (valore di scambio) è l’obiettivo, la merce si ap-
piattisce agli occhi del capitalista al grado generico di idolo e di mezzo in relazio-
ne al suo scopo.
Questo è un modello produttivo malato, giacché il valore d’uso mostra la
sua facciata soltanto al consumatore, il quale cerca strumenti di benessere (non
trascuriamo che alcuni potrebbero essere finti e indotti nell’uso da strategie mani-
polatorie: Epicuro muove tale appunto ai piaceri in modo chiaro). La sequenza
marxiana M-D-M indica un’economia di sussistenza, che è quella sana: dove de
facto conta il valore d’uso.
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ntercorre uno strano rapporto tra Locke e Marx, un legame lungo una scala di
pensiero, il quale usando figura metaforica definirei di sangue filosofico: Marx
è figlio illegittimo di Locke. L’autore de “Il capitale” viene di solito posto sulla
scia di Hegel a proposito della paternità concettuale, ma nel cuore di Marx giace
un DNA lockiano. L’empirista inglese e il filosofo tedesco hanno al centro delle
loro costruzione il primato del momento pratico-empirico, che ognuno sviluppa
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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secondo uno specifico punto di vista, il quale tuttavia rimane innestato sullo stes-
so tratto di considerazione della realtà. Sotto simile profilo più autentico e saliente
rispetto all’altro che sosterrebbe l’inesistenza del Marxismo al di là di Hegel, Marx
è un figlio, non riconosciuto come tale, dell’ideologia liberale e liberista inglese. In
questa relazione l’effetto non è accostabile alla causa, giacché il rapporto è appun-
to dialettico (in senso hegeliano). Prevale l’alterità marxista sull’omogeneità ideale
di fondo. Spinoza asserisce che la causa e l’effetto devono avere un quid di sinto-
nia il quale non li renda perfettamente estranei.
Detta lezione supporta Hegel nell’elaborazione della sua dialettica: ogni
tappa dell’essere fenomenico è attraversata da un filo motore di vitalità, confronto
rispetto alla precedente; il susseguirsi non è una dinamica illogica di pezzi scon-
nessi, bensì qualcosa di paragonabile a un legame padre-figlio. Sia in Locke che in
Marx la menzionata primazia esteriore al soggetto di un’attività produttiva li ren-
de consanguinei riguardo all’attribuzione di paternità. Hegel è un padre putativo
senza di cui ci sarebbe stato forse comunque un Marxismo: diverso, magari cata-
logato in seguito dagli storici nel novero dei socialismi utopici.
Il fascino ideologico di Marx sta nella denunzia dell’ingiustizia sociale, nel
mettere sul banco degli imputati colpevoli con precise accuse. Egli reagisce allo
schema liberal-capitalista borghese a mo’ di un figlio di fronte a un padre tradi-
zionalista autoritario. Locke considera l’uomo una sorta di surrogato davanti alla
Natura mediata dall’empirico (alquanto hegeliana questa alienazione da sanare):
da un castello esterno, e non immanente, gli esseri umani troverebbero il lume a
guida del loro agire (l’esperienza informerebbe tutto l’uomo).
La postulazione lockiana di un’idea di Dio così evidente al pari di tutte le
altre, nell’ottica del suo empirismo, appare contraddittoria: è un concetto metana-
turale che è un empirista coerente non può sostenere in tal guisa. Il Dio lockiano
non rientra in un margine di riflessione empiristica: è un postulato, è una proie-
zione nevrotica. È un garante ontologico della bontà dell’ordine e dei principi libe-
rali (i quali considerati in assoluto e delineati in modo lucido non sono un parto
d’insania: da premesse false possiamo dedurre affermazioni vere). Siffatto Dio
lockiano regredirà poi allo stadio di mano invisibile. In Marx, rivoltatosi contro
l’ordine liberale costituito, l’umanità recita il ruolo di un’altra specie di vittima
dell’attività esterna da essa promanante.
La prassi empirica sebbene sia frutto umano diventa la nuova prigione, e
ad avviso dell’autore de “Il capitale” dovrebbe divenire lo specchio in cui ricono-
scersi. Su di essa egli cala la dialettica hegeliana, rimuovendo che l’uomo è in pri-
mis un essere spirituale e che il suo baricentro è nella psiche e non nella produzio-
ne. Locke e Marx hanno alienato l’uomo ponendo al di fuori il faro. La tradizione
razionalistica francese, da Cartesio culminata nel Tedesco Kant, resisterà al tenta-
tivo di sopravvento della res extensa. Locke e Marx deducono l’uomo da questa. Il
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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Questo è il discutibile Dio di Locke, garante del sistema liberale, il quale si rivela
alla fine un modello teocratico in incognito, copiato dai fisiocratici francesi alla ri-
cerca di giustificazioni borghesi in economia.
Puntualizzo in maniera inequivocabile che le mie parole cercano di indaga-
re con obiettività, e che non hanno niente a che spartire con punti di vista antise-
miti. Le dinamiche psicologiche messe in evidenza piuttosto che prestarmi a esse-
re frainteso serviranno a far capire la genesi di luoghi comuni (simboli) antiebraici,
i quali inquadrati in un impianto analitico anche junghiano indicano la loro sor-
gente in un archetipo dell’antisemitismo (il cui avvicinarsi alla coscienza è da ri-
fiutare). Mai e in nessun posto può sussistere un diritto a uccidere esseri umani a
causa di nevrotici pregiudizi discriminatori. Se vogliamo sul serio combattere la
violenza e la discriminazione di irrazionalista nascita dobbiamo comprendere i
fatti storici, e inoltre quelli psicologici, dal loro intimo. Certificare la verità e avve-
rare il certo sono le mire di uno storico. L’irrazionalismo volontaristico tedesco,
uscito fuori dal Luteranesimo, e molto tragicamente manifestatosi durante l’era di
governo nazista, ha la sua provenienza dall’Ebraismo. Può sembrare un’assurdità,
e io ne resto turbato, però è un dato evidente che la teoria del popolo eletto (da
Dio) stia nel Tanak. L’irrazionale presunzione tedesca, resasi visibile in intellettua-
li di vaglia, ha bevuto l’acqua versata nel suo canale in principio da Lutero, il qua-
le fu il promotore dell’assunzione della dottrina del popolo eletto da parte dei Te-
deschi. Dall’Editto di Costantino la crisi spirituale della Civiltà occidentale si è a-
cuita: una dialettica fra la razionalità grecoromana e l’irrazionalità giudaicocristia-
na ha caratterizzato la storia successiva dell’Occidente.
Quando ha prevalso l’irrazionalismo, il Cristianesimo ha provocato mali: la
caduta dell’Impero romano, la morte di milioni di persone, il trasferimento di al-
cuni difetti dell’Ebraismo al di fuori del suo contesto originario (misoginia, omo-
fobia, teocrazia, attivismo irrazionale). Di per sé l’attivismo non è un male; e il
modo in cui si sostanzia a rendere negativa una condotta. Il mondo medievale vis-
se un’esperienza imprenditoriale avanzata con l’attività dei Templari, i quali die-
dero vita a un giro d’affari internazionale legato a una visione, per allora, di inu-
suale sincretismo religioso nel panorama monoteista.
L’arricchimento dei ceti intraprendenti cominciò a prevalere su tutto il re-
sto. I Templari fecero le spese della loro abilità davanti ai vecchi padroni, e furono
distrutti rinascendo in Scozia dietro alta veste dentro all’origine templare della
Massoneria. Qui ritorniamo da Locke e dal liberismo inglese. Scoprire il Giudai-
smo antico la radice dell’irrazionalità occidentale che si misura con la razionalità
grecoromana, è una cosa da esaminare con la massima attenzione e la dovuta ac-
cortezza. Non si rileva nell’analisi storica e filosofica siffatta analogia di vedute
rispetto a sbagliate e riprovevoli concezioni delle quali un exemplum può essere
quella del nazista Rosenberg. Rispetto gli Ebrei, mi addoloro pensando alla Shoah
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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eputo che Hegel sia stato prima che filosofo un raffinatissimo psicologo e
sociologo. Nelle sue riflessioni ha raccolto molte dinamiche dell’azione u-
mana, le quali montate assieme offrono la Verità cui mirava il suo sistema
idealistico. Non si tratta di contenuti fissati né tanto meno di figure (hegeliane)
stabilite definitivamente. La storia va avanti, e nel pensiero di ogni epoca c’è una
sorta di psicoterapia accanto alla ricerca scientifica, la quale dà risposta alle esi-
genze spirituali del momento. In questo senso la conoscenza della Verità è un sa-
pere di tipo storico, poiché avviene tramite una conoscenza che si prolunga nel
tempo. Ma dietro questo palcoscenico della temporalità si celano dinamiche sog-
gettive e intersoggettive (psicologiche e sociologiche) che ci conducono alla volta
di un piano d’analisi astrattivo dove il mero fluire del giorno si scioglie a guisa di
neve al sole. Il mondo della psiche, dell’inconscio (individuale e collettivo) apre le
porte a una magmatica verità atemporale di raccolta e di elaborazione immensa di
dati di coscienza. È lo junghiano inconscio collettivo, dove abitano gli archetipi, i
quali sono risultati di quest’attività di sottofondo psichico, i prodotti di mediazio-
ne tra tensioni.
Essi affiorano alla coscienza come simboli miranti all’addomesticamento e
alla stabilizzazione di agitati e irrequieti contenuti sedimentati dietro all’archetipo
che funge per noi da mediatore formale, e a cui la fantasia appiccica una facciata
di sicurezza (il simbolo appunto).
L’archetipo appare prodotto sintetico alla maniera hegeliana (risultato di
una dialettica di contrapposizione): è un razionale positivo il simbolo nel suo ruolo
di guida verso l’equilibrio. L’elemento simbolico in mano alla coscienza diventa
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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fantasia) ed età degli eroi (valore, intraprendenza, senso dell’onore), e una bella
fetta di razionalità (età degli uomini), dato che aveva la capacità di far sospendere
un conflitto in nome di qualcosa di ideale superiore all’ombra junghiana. Oggi
rischia di succedere il contrario. Hegel dice che la religione è un fuori-di-sé, che è
un quid intersoggettivo, liturgia sociale: ciò era l’Olimpiade antica. Una religiosità
che perde tale ethos e si trasforma in nevrosi, impantanandosi davanti al sagrato
della razionalità, senza entrare nel razionale positivo hegeliano e nell’età degli uomini
vichiana, contempla un io in balia di pericolosissimi complessi. Le religioni ven-
gono costruite di miti, i quali ripropongono simboli rievocanti archetipi.
Laddove ci sono modelli comportamentali giudicabili illeciti c’è una reli-
giosità malata: pensiamo alla caccia e all’uccisione delle streghe. Le religioni sono
favole per adulti. Come le fiabe, relegate però all’età infantile, rispondono col loro
linguaggio simbolico a bisogni della psiche individuale o del corpus sociale. Co-
sicché, ad esempio, nei contesti in cui prevale letale misoginia è lecito – in senso
relativo contingente – al nevrotico adottare tutta quella impalcatura concettuale
autorizzante e legittimante il disprezzo. Una lucreziana religio è disturbo mentale.
Certe forme (pseudo)religiose sono rappresentazioni di disagio interiore.
L’essere umano, la società che si elevano all’età degli uomini, al terzo gradino del-
lo Spirito Assoluto (la filosofia) hanno la possibilità di osservare il mondo dall’alto
(in basso). Tutto ciò non equivale ad abolire la religione in senso marxista. Marx
faceva notare cose in gran parte sensate. Le religioni sono le filosofie degli igno-
ranti: di chi su larga scala, purtroppo, è stato costretto a rimanere nell’ignoranza, e
di a chi piace questo huxleyano soma (rassicurante sin quando il negativo della
dialettica hegeliana in generale non si presenterà sotto il suo naso). In relazione a
elaborati come le favole Jung distingue uno spirito del tempo e uno spirito del profon-
do. Quest’ultimo fornisce il senso di una fiaba elaborato nel sostrato inconscio col-
lettivo: l’allegoria autentica di cui lo spirito del tempo vede quanto gli occorre e
quanto la sua abilità di lettura gli consente.
Riguardo allo spirito del tempo gli uomini differiscono: ognuno vive secondo
le sue abilità, e la più diffusa connota l’epoca. La nostra era è quella di nevrotici di
acculturazione scadente: la perfetta irrazionalità sottratta di quel che basta al prin-
cipio di realtà (vale a dire alla conservazione di una società bestiale nella sostanza e
ipocrita nell’apparenza di ordine controllato). Uno spirito del tempo legato a dei
soggetti da educare meglio, da curare, va a pescare simboli negativi, comporta-
menti distruttivi, in qualsiasi stagione.
Lo scontro violento cui assistiamo oggi vede contendenti due modelli di ir-
razionalità: quella capitalistica occidentale e quella antipauperistica filoterzomon-
dista. Solo la ragione può salvare il mondo. La ratio non può essere offesa dal suo
interno: viene attaccata, limitata, isolata da fuori. Una qualsivoglia condotta ne-
vrotica, anche la meno percettibile, è il frutto di una privazione di razionalità.
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Caruso
Proviene dall’investire libido male nell’età degli eroi, nel fuori-di-sé dove si intrec-
cia l’intersoggettività mitico-liturgica. In un telaio di fili nevrotici in modo molto
difficile si possono tessere fili buoni. Ci vuole l’intervento di una vis sana a sup-
porto della ratio. Pensiamo al mito della biga alata del “Fedro” platonico: la com-
ponente razionale umana (auriga) ha bisogno del cavallo bianco (componente e-
motiva) allo scopo di dominare il cavallo nero (la parte passionale, torbida, l’ombra
junghiana). La vichiana età degli uomini prospetta il punto di sanità nella vita
dell’uomo e dell’umanità: è costituito dal vertice della filosofia nell’hegeliano Spiri-
to Assoluto, dall’archetipo dell’individuazione nella psicologia junghiana.
La libido (materia) si coniuga con la ragione (forma) in un sapere liberatorio
e in un libero agire creativo: essere e non avere, per dirla con Fromm. Si comprende
che alcuni esseri umani, disponendo della forza opportuna, possono migliorare la
realtà. Basta mettere ognuno al proprio posto come nella repubblica platonica, do-
ve la milizia a tutela dell’ordine e del benessere è il braccio al servizio di
un’aristocrazia intellettuale.
I
l mondo attuale sta vivendo la crisi finale di una vichiana “età degli uomini”.
La razionalità che connota simile fase storica nel pensiero di Vico è nel nostro
tempo ormai in uno stadio involutivo che ha lasciato margine a una malsana
“età degli dei”. L’irrazionalità supporta comportamenti violenti sotto pretesti
pseudoreligiosi. Non c’è armonia tra gli esseri umani e dentro di loro. La fantasia
che dipinge i simboli degli archetipi junghiani è stata sopravanzata da un’azione
di morte. La comprensione di questo negativo agire ci fa comprendere una pato-
logia mentale della civiltà umana d’oggi. Agisce male chi si sacrifica in un atto o-
micida o combatte – pensando di essere un eroe – a danno di chiunque; sbaglia, e
pertanto è ingiustificabile sul piano pratico.
Le cause che ne condizionano il comportamento non rientrano però tutte
nel suo campo di controllo: disagio e ingiustizia sociale, anche se egli non ne è toc-
cato, possono spingere l’asse di equilibrio della ragione umana alla deriva, e la-
sciare quei sentimenti di aspirazione alla giustizia in preda a modelli comporta-
mentali conducenti alla volta di disastrose conseguenze. La forza e la ragione sono
due dei tre tratti distintivi dell’essenza umana: la garanzia dell’ordine e della sicu-
rezza, il mantenimento del benessere, la conservazione della civiltà e del diritto, la
difesa della creatività (altra, terza, grande componente) in positivi prodotti, non
possono fare a meno di questi due fattori. Bisogna tenerli uniti. Una vis svincolata
da una lucida ratio è deleteria nei confronti del consorzio sociale. Uno spazio di
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
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liceità nel passato è stato il duello d’onore. “Onore” è quello che manca oggi, ossia
la coscienza di sé come essere superiore alle bestie. L’eccellenza umana, in qua-
lunque settore, è onorevole, è motivo di nobiltà. La mancanza di riguardo verso
gli eccellenti crea attrito, contrasto tra due ordini dell’esistenza: uno è superiore
per la sua natura, l’altro prossimo alla condizione animale si è degradato. Tutto
ciò configura una ripresentazione della hegeliana dialettica servo-padrone davanti
al nostro cammino. La maturazione della vichiana “età degli eroi” lascia presume-
re il recupero di questa in funzione catartica: una nuova mentalità operativa spar-
tana può sorgere nell’avvenire. Un’individualità umana cosciente di sé esige il ri-
conoscimento di tale sua dignità da un simile che come lui riferisca le sue perce-
zioni a un io. In questo reciproco confronto, l’io si riflette e si ritrova nell’altro per
quanto concerne una comune capacità di tale operazione. Il suo obiettivo è di can-
cellare questa proiezione vicendevole nell’altro, frutto però dell’azione più effi-
ciente di uno solo il quale tuttavia spezza la reciproca relazione iniziale.
L’indipendenza iniziale dei due soggetti connota la dinamica che mira a far
riconoscere una parte nel suo essere cosciente a svantaggio dell’altra che in par-
tenza ha status di soggetto e non di oggetto. L’interrelazione iniziale è uno spec-
chiarsi vicendevole e statico, animato da reciproca imitazione (ma ognuno partiva
col fare quello che avrebbe voluto vedere nell’altro: c’è un primo riconoscimento
inter se contemporaneo di soggetti che stanno di fronte). Questa situazione è però
destinata a modificarsi perché nel duello tra i due io solo uno può ottenere la meta
in palio dell’altrui pieno riconoscimento. Ciascun soggetto polarizza il suo sé con
un segno positivo, e tutto il resto assume connotazione negativa (in pratica ogget-
to). Oggetto dunque sono l’un per l’altro i due soggetti che non vedono nell’altro
un io munito di coscienza di sé. La qual cosa richiederebbe un salto di qualità nel-
la capacità di comprendere la propria azione e quella dell’altro in una forma di e-
levazione astrattiva.
Il che vuol dire nelle parole di Hegel «dimostrare di non tenere alla vita».
Ma ciò non equivale ad affermare una vocazione scadente nell’autolesionismo:
«ciascuno tende dunque alla morte dell’altro». «Il fare dell’altro comporta la mes-
sa a rischio della propria vita. Il rapporto tra le due autocoscienze, dunque, si de-
termina come un dar prova di sé, a se stesso e all’altro, mediante la lotta per la vita
e la morte. La necessità di questa lotta risiede nel fatto che ciascuna autocoscienza
deve elevare a verità, nell’altra e in se stessa, la propria certezza di essere per sé.
Ed è soltanto rischiando la vita che si metta alla prova la libertà… L’individuo che
non ha messo a rischio la propria vita potrà pure essere riconosciuto come perso-
na, ma non avrà raggiunto la verità di questo riconoscimento, non verrà cioè rico-
nosciuto come un’autocoscienza autonoma. Parallelamente, quando mette a ri-
schio la propria vita, ogni individuo deve tendere alla morte dell’altro proprio
perché ritiene di non valere meno dell’altro». Questo atteggiamento descritto, se-
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ne: affitta corpi di cui sfruttare la libido investita nel campo della produzione in-
dustriale. La dimensione della religio, d’altro canto, esercita un potere di deter-
renza sull’autonomia della volontà per mezzo di spettri che impediscono alla libi-
do un libero armonioso sviluppo.
L’unica «attività formatrice» che in tali prigioni può liberare la coscienza
asservita è quella intellettuale, giacché il capitalismo ha neutralizzato il vecchio
hegeliano potere formativo del lavoro e le religioni imbrigliano ad hoc disagi e de-
sideri. Dice Hegel che «se la coscienza non ha sofferto la paura assoluta, ma solo
qualche angoscia particolare, allora l’essenza negativa le è rimasta solo esteriore e
non ha pervaso intimamente la sua sostanza. Se non viene fatto vacillare ogni e-
lemento che riempie la coscienza naturale, allora questa coscienza appartiene an-
cora, in sé, all’essere determinato, e il senso proprio è ostinazione, cioè libertà an-
cora irretita nella servitù. Nel caso dell’ostinazione, la forma pura non può diveni-
re essenza, né tanto meno, considerata come espansione che oltrepassa la singola-
rità, può essere formazione universale, Concetto assoluto; nell’ostinazione, la for-
ma è al massimo un’abilità particolare su qualcosa di singolare, ma non sulla po-
tenza universale e sull’intera essenza oggettiva». In parole povere se l’uomo non si
apre all’universo, non prende coscienza di sé; resta un oggetto, un pezzo della
scacchiera sopra la quale si gioca il suo destino.
“M
onitor” è un film italiano del 2015, una distopia tutto sommato legge-
ra. La rappresentazione imperniata sulla funzione sociale svolta dai
centri di ascolto mi ha rammentato le mie riflessioni sull’orwelliano
telescreen di “1984”2.
Il mondo distopico del film (abitato da impiegati, dipendenti d’imprese, so-
cietà) offre l’opportunità a chiunque di uno pseudosostegno psicologico. Ognuno
può esporre le sue preoccupazioni e/o vicissitudini in una stanzetta, dove si trova
solo davanti a un monitor: una sorta di confessionale.
Costui/costei vomita tutto quello che la sua anima non ha digerito a un o-
peratore (uomo o donna) che l’ascolta da un altro posto.
L’ascoltatore non conosce il nome del suo assistito (non può vederlo, e di-
spone solo di un codice d’identificazione); chi parla invece di là non sa niente del
suo interlocutore, di cui legge messaggi scritti sullo schermo di fronte. Questo te-
lescreen è un epigono di quello di “1984”. Nella mia monografia sul romanzo ho
2 Esposte nel mio saggio “Il Medioevo futuro di George Orwell (2015)”.
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“T
he lobster” è un film del genere distopico uscito nel 2015, e non trae le
sue vicende da uno specifico racconto letterario preesistente. Si tratta in-
fatti di un’originale creazione del regista e di un suo collaboratore. No-
nostante ciò si rivela chiaro, nell’ideazione della trama, l’omaggio a due grandi
scrittori: Evgenij Zamjatin e George Orwell. La società distopica rappresentata in
“The lobster [lett.: l’aragosta]” ha maturato un radicale orizzonte reichiano. Wil-
helm Reich è stato uno studioso di psicoanalisi, il quale ha elaborato e proposto un
modello di approccio alla psiche umana a metà strada tra Sigmund Freud e Carl
Gustav Jung. Reich ha ipotizzato un’energia cosmica (paragonabile nell’aspetto
formale all’inconscio collettivo junghiano), limitandone però la connotazione a
una libido freudiana (cioè di esclusivo carattere sessuale): l’“orgone” reichiano
opera nello spazio psichico umano, e l’astinenza dalla soddisfazione sessuale è
causa quantomeno di disturbi mentali. Idee improntate a riflessioni simili, ma in
salsa freudiana, si trovano nel pensiero di Herbert Marcuse che parlò in due di-
stinti momenti successivi di “repressione addizionale della libido” e di “di desu-
blimazione in funzione repressiva” (sempre della libido) in favore del manteni-
mento del sistema politico dominante.
Questi concetti marcusiani ritornano all’interno di due miei saggi critici 4
sopra i romanzi “Noi” e “1984”, rispettivamente di Zamjatin e Orwell. Gli spunti
da tali due lavori narrativi animano le due dimensioni sociali del mondo di “The
lobster”: la città e la foresta (la dicotomia è di ascendenza zamjatiniana). Gli abi-
tanti della città vivono in un clima reichiano che non tollera la presenza di singles.
Tant’è che chi resta da solo ha, portato in un albergo, un mese e mezzo per trovare
un/una partner tra gli altri ospiti. Trascorso infruttuosamente il tempo concesso
3 Due romanzi cui ho dedicato altri due saggi: “L’antipanlogismo di Evgenij Zam-
jatin (2015)” e “Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015)”.
4 Vedi le note 2 e 3.
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CRITICA DELL’IRRAZIONALISMO OCCIDENTALE Danilo
Caruso
alla ricerca di una sincera costituzione di coppia (fondata sulle affinità) il/la single
viene trasformato/a in un animale di sua scelta. Evidente il sovvertimento di un
regime più equilibrato, dove l’animalità è un eccesso reichiano, che qui invece è
regola e riserva una paradossale punizione, la quale fa apparire persino lo Stato
unico zamjatiniano più illuminato (dove la sessualità è liberalizzata, sulla falsariga
marxista, e non materia d’obbligo periodico in prospettiva della tutela personale
della salute secondo quanto insegnato da Reich). Al protagonista del film, David
(che aveva scelto il possibile destino di aragosta), non va in porto il machiavellico
progetto di costituire una coppia con una donna insensibile e violenta: da lei sco-
perto, egli se ne sbarazza con l’aiuto di una cameriera infiltrata dei singles, i quali
vivono rifugiati nella foresta. A costoro viene data la caccia dagli omologhi citta-
dini ospitati nell’albergo, che possono beneficiare di giorni supplementari di sog-
giorno coatto grazie a eventuali catture. David scappa proprio nella foresta (divie-
ne un perseguitato), e trova un mondo simmetrico.
Ai solitari è proibita qualsiasi attività erotica interrelata. In confronto a ciò
l’agostiniano matrimonio di “1984” è meno repressivo: la sessuofobia oceaniana
nel gruppo dei singles viene elevata a un livello distopico elevatissimo (sono pre-
viste cruente punizione a carico dei trasgressori). Di ulteriore reminiscenza orwel-
liana era stata la stanza 101 dell’albergo dove alloggiava David. Costui instaura
una relazione clandestina con una donna miope come lui (il quale porta gli occhia-
li). Tale legame rievoca quello di Winston e Giulia (Julia) nell’intollerante Oceania.
In entrambi i casi il finale è distopico. La leader dei singles li scopre, e fa accecare
lei. David per giustizia si adopera affinché ella sia catturata dai reichiani della cit-
tà, luogo in cui fugge assieme alla sua compagna. Qua si acceca pure lui allo scopo
di creare quel meccanismo di affinità previsto nei sistemi di coppia. La conclusio-
ne concettuale, sul piano psicologico, è che il principio di realtà si è spinto oltre il
lecito, sino a esplodere in due assurdi modelli. Due antinomie della nevrosi, che
non consente facilmente il guadagno di un’aristotelica medietà.
Perciò i protagonisti rimangono schiacciati da un mondo immaginario che
ha smarrito il buon senso a vantaggio di deliranti impostazioni della società e a
scapito della sanità mentale. Questa, in contesti ritenuti normali, non può tuttavia
essere rilevata in forme di esistenza più animali che umane: l’uomo elettroaddome-
sticato, asciutto di umanesimo, analfabeta funzionale, è equivalente allo schiavo
nella concezione di Aristotele il quale vede l’umanità nell’anima razionale, non in
quelle vegetativa e sensitiva. Mangiare, muoversi non fanno un essere “umano”:
la visione minimalista restituisce una fattoria dove «tutti gli animali sono uguali,
ma alcuni sono più uguali di altri».
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Indice
Introduzione pag. 1
La citazione di Kant proviene dalla “Critica della ragion pratica” edita da Laterza nel
1997; i brani di Marx sono tratti da un’edizione de “Il capitale” pubblicata da Newton
nel 1996; quelli di Hegel sono provenienti dalla “Fenomenologia dello Spirito” edita
da Rusconi Libri nel 1995; il brano di Jung è preso da “La libido, simboli e trasforma-
zioni”, testo pubblicato da Newton nel 1993.
Palermo
ottobre 2016