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Martina Pinna

MAT: 60368

Teoria dei Linguaggi


Lingue e Comunicazione II anno

La scoperta dell'identit di s attraverso le emozioni e gli altri


In questo testo ci occuperemo di capire se la nostra identit si forma in base a processi interni
oppure si consolida in base alla presenza costante di chi ci sta intorno. Partiremo dalla definizione
del s e da chi stata formulata per avere una visione chiara di come la nostra parte pi intima e
caratterizzante sia formata; poi passeremo alle emozioni, parte integrante del nostro comportamento
e ne daremo una definizione che in realt si discosta dal sapere comune, per poi tornare al modo in
cui ci interfacciamo con l'altro, e se questo ci influenza. Scopriremo che l'individualismo non la
carta da giocare se si vuole spiegare ci che in realt ci definisce.
Il S: staticit o entit dinamica?
In questa prima parte la nostra intenzione di spiegare il concetto di S; una definizione precisa e
diretta non si pu dare se si ignora quella di coscienza. Basandoci su autori come Cartesio, veniamo
in contatto con un'idea di coscienza, e quindi consapevolezza di noi, unita e indivisibile, una massa
distinta e facilmente comprensibile. Egli sostiene che a differenza del suo corpo, facilmente
divisibile e catalogabile in pezzi, impossibile che la coscienza, e quindi il S, sia costituito da
sottolivelli di diversa percezione. La visione di Cartesio interessante ma non possiamo utilizzarla
come base per fondare la nostra tesi. Se infatti il s fosse uno e indivisibile e lo percepissimo come
tale, l'influenza degli altri non scalfirebbe la nostra percezione, essendo essa compatta e salda su
unico punto. Dobbiamo fare un salto nel tempo e arrivare al 1890, l'anno in cui fu pubblicata
Principles of Psychology (un'opera di filosofia e psicologia) scritta da William James, per trovare
una tesi differente e che potrebbe aiutarci nella nostra intenzione. Nonostante la sua riflessione sulla
natura della coscienza e dell'Io sia di stampo Cartesiano, ovvero James vede la coscienza come un
flusso e la identifica con il pensiero stesso, sull'indivisibilit dell'Io che se ne differenzia.
Sostenendo lo scorrere del pensiero e dell'esperienza egli teorizza un'identit personale dinamica,
che si contrappone alla staticit del pensiero Cartesiano, aggiungendo stratificazione e divisione al
S. La divisione che opera James si dirama in tre dimensioni di personalit: il S (Self), il Me (Me o
anche S empirico) e l'Io (I o Io puro). Il S si pu presentare in due modi, come il Me oppure
come l'Io.
Operando un ulteriore spiegazione possiamo specificare che il Me il s oggetto di introspezione,
(ci che troviamo osservando noi stessi) mentre l'Io il s soggetto di introspezione, il s

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conoscente (colui che si guarda dentro e incontra me). Come spiega lo schema nell'immagine
seguente il S

empirico si divide in S materiale, S sociale, S spirituale. Ai fini della nostra argomentazione


utile dare una spiegazione pi approfondita. Il S materiale ha una vasta gamma di applicazione, ma
ci che comprende tutto accomunato dalla sensazione del calore e dell'intimit che prova il nostro
corpo in presenza di determinati stimoli. In altre parole consideriamo nostro, e quindi facente parte
di noi stessi (del s materiale) tutto ci la cui vicinanza o il cui possesso ci d un'intensa emozione.
Come riprenderemo pi avanti, parlando delle emozioni, ci che fa parte del s sono quegli
elementi che ci emozionano, e che quindi sentiamo fisicamente nel nostro corpo. Il s spirituale
altro non che la dimensione che l'individuo avverte mediante caratteristiche fisiologiche, il luogo
in cui trovano posto i sentimenti primitivi, i sentimenti delle attivit del corpo e non le riflessioni
coscienti e ragionate. L'individuo quando riflette sul s spirituale trova il nucleo dell'identit
personale. Ed ecco che arriviamo ad uno dei punti a sostegno della nostra tesi: il S sociale. Se con
il s materiale le persone che ci circondano contribuiscono a costruire la nostra identit materiale,
con il s sociale arriviamo alla scoperta che esistono quanti s sociali quante sono le persone che
ne portano un'immagine nella loro mente (James, 1890, p.294). Cercando di esemplificare questa
affermazione, possiamo enunciare che il modo in cui ci vedono gli altri, con particolari peculiarit o
competenze, contribuisce a collezionare tante parti che ci compongono. Fingendo che l'identit sia

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un puzzle possiamo affermare che le credenze che hanno gli altri della nostra personalit sono tante
piccole tessere che unite tra di loro formano noi stessi. C' per da applicare una distinzione.
Sebbene abbiamo appena asserito che le relazioni sociali definiscono l'identit del singolo,
dobbiamo doverosamente specificare che l'individuo non influenzato in modo equo da tutti; ma le
relazioni che pi lo definiscono sono quelle strette e importanti, quelle caratterizzate da calore e
intimit. Possiamo giustamente capire che se cos non fosse saremo perpetuamente definiti in modo
diverso da chiunque entrasse in contatto con noi, fino ad arrivare ad una mescolanza di tratti non pi
distinguibile e che ci spersonalizzerebbe.
Una volta assunto questa prima di parte di tesi ci chiediamo ora se le emozioni, alla base dei
comportamenti, che proviamo per gli altri possano in qualche modo influenzare la nostra identit.

Emozioni: a cosa servono in realt?


Se provassimo a fare un esperimento chiedendo a chi ci sta intorno di definire un'emozione,
probabilmente tutti, o quasi, ci risponderebbero indicandola come un processo irrazionale e
incontrollabile che ci colpisce in determinate occasioni. Le emozioni essendo simili ai riflessi e agli
istinti portano molto spesso a pensare che esse siano meri aspetti incontrollabili della nostra vita e
che non influenzino in modo cos tanto profondo le nostre scelte. Antonio R. Damasio (noto
neurologo, psicologo, neuroscienziato e saggista portoghese) sostiene che le emozioni abbiano un
ruolo nel processo

decisionale perch fungono da dispositivi che attribuiscono un segno

(Damasio, 1994, pag. 246) ovvero selezionano fra gli esiti futuri delle alternative che abbiamo a
disposizione (MariaGrazia Rossi, 2013, pag. 19). Praticamente le emozioni funzionano come delle
macchine che avvisano quando un qualcosa pu andare bene e quando invece un'altra no, per cui
non sono solo irrazionali, ma sono in realt utili nel processo decisionale, che si pensa sempre
debba essere logico e quindi intoccato dalle emozioni. Partendo quindi da questa convinzione, per
cui le emozioni influenzano i processi decisionali, spieghiamo ora come arriviamo a provare
un'emozione. Esistono sei tipi di emozioni prototipiche (o primarie, o base), Paul Ekman le ha cos
classificate: rabbia, disgusto, tristezza, piacere, paura e sorpresa.

Queste emozioni sono cos

speciali poich condividono ciascuna un'espressione specifica e riconoscibile universalmente (la


tesi sull'universalit umana delle emozioni stata elaborata da Charles Darwin) e ognuna di essa
provoca reazioni corporee ben precise.

Ma sono le emozioni che provocano queste reazioni


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corporee? In realt sarebbe meglio dire che le emozioni vengono generate una volta che il nostro
corpo-ricettore sta avvertendo stimoli dall'ambiente esterno; infatti le emozioni reagiscono da
regolatore e processatore di informazioni e hanno una funzione omeostatica. Semplificando
ulteriormente si potrebbe dire che un individuo provi rabbia non perch avverte l'emozione della
rabbia, ma perch il suo corpo-ricettore percepisce sensazioni di tremore e rigidit delle membra
che corrispondono alla sensazione-emozione della rabbia.
Utilizzando queste nozioni possiamo azzardare che le emozioni che proviamo per chi ci sta intorno
influiscano su di noi, sulle nostre decisioni e quindi sulla nostra identit? A questa domanda, che
alla base della tesi che vogliamo portare avanti, cercheremo di rispondere ora.

Conclusioni
Abbiamo visto che, sia con l'io che con le emozioni, una delle parti fondamentali per aiutarci a
capire meglio noi stessi il corpo, o meglio le sensazioni corporee. Esse infatti rappresentano una
porta fra la dimensione esterna e quella interna, il corpo ci divide ma non funge da barriera. Le
nostre sensazioni corporee ci permettono di inquadrare o meno gli altri fra i nostri affetti,
definendoli come parte di noi e quindi parte della nostra Identit; le sensazioni corporee degli altri
definiscono a loro volta ci che noi rappresentiamo ai loro occhi, offrendoci quindi altre tessere
della nostra identit-puzzle. Avere accanto le persone a noi care, le persone che consideriamo
nostre, genera sensazioni corporee che danno input alle emozioni. Le emozioni stanno alla base
dei nostri processi decisionali; per cui possiamo timidamente affermare che possibile che gli altri,
influenzando le nostre emozioni, ci portino a prendere decisioni che, una volta perseguite, daranno
una nuova definizione identitaria di noi sia agli altri che a Noi stessi.

FONTI:
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Lingue e Comunicazione II anno

Fuori di Testa, le basi sociali dell'io- Meini Cristina

Il Giudizio del Sentimento, emozioni, giudizi morali, natura umana- Maria Grazia Rossi

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