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Rottamare il verbo euro liberista
Dopo gli interventi di Brancaccio [http://temi.repubblica.it/micromegaonline/brancaccio-unione-non-e-piu-riformabile-va-fermata-la-circolazioneindiscriminata-dei-capitali/], Iodice [http://temi.repubblica.it/micromegaonline/l%e2%80%99impossibile-uscita-%e2%80%9cda-sinistra%e2%80%9ddall%e2%80%99euro/], Fazi [http://temi.repubblica.it/micromega-online/lasinistra-puo-esistere-dentro-leuro/] e Grazzini
[http://temi.repubblica.it/micromega-online/per-uscire-dalla-crisi-appelloa-renzi-al-governo-e-alle-forze-politiche-e-sociali-per-introdurre-la-monetafiscale/] proseguiamo il nostro dibattito sull'Europa pubblicando la
recensione di Carlo Formenti al volume "Rottamare Maastricht. Questione
tedesca, Brexit e crisi della democrazia in Europa" con saggi di Aldo Barba,
Massimo DAngelillo, Steffen Lehndorff, Leonardo Paggi e Alessandro
Somma, appena uscito da DeriveApprodi. A seguire anticipiamo il testo
dell'introduzione che apre il volume.
di Carlo Formenti

Agli osservatori pi attenti non devessere sfuggito


che linopinata conversione del Presidente del consiglio Renzi al partito dei
critici dellEuropa contiene una buona dose di messa in scena (attaccare
lausterit, se nel contempo si ribadisce limpegno a rispettare i vincoli Ue in
materia, suona poco credibile).
Pur subodorando la teatralizzazione che mira a captare il consenso di un
elettorato irritato con le oligarchie europee i media, i quali non cessano di
diffondere il verbo euro liberista, si sono premurati di invitare alla prudenza,
celebrando le virt del modello tedesco e invitando a non mollare la presa
sulla barra del timone, onde non perdere la scia della nave ammiraglia
pilotata da Frau Merkel. Ma quali sarebbero le virt in questione? Assai
meglio dei media, ce lo spiega un libro a pi mani (scrivono Aldo Barba,

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Massimo DAngelillo, Steffen Lehndorff, Leonardo Paggi e Alessandro


Somma) appena uscito da DeriveApprodi: Rottamare Maastricht. Questione
tedesca, Brexit e crisi della democrazia in Europa.
Il modello tedesco, imposto a tutti gli stati membri della Ue con le buone o
con le cattive (per le cattive vedi il caso greco), si fonda sullassoluta priorit
attribuita alla lotta allinflazione e allequilibrio di bilancio (lultimo obiettivo,
sancito dai trattati, stato perfino integrato in alcuni ordinamenti
costituzionali, fra cui il nostro).
Dal punto di vista filosofico, ci trova fondamento nelle teorie ordoliberiste
nate fra le due Guerre mondiali che elevano la concorrenza a principio
supremo delleconomia di mercato: un mercato concepito come costruzione
politica da difendere e proteggere sulla base di un ferreo sistema di regole.
Ecco perch, nel libro di cui stiamo parlando, sinsiste giustamente sulla scia
delle tesi di Pierre Dardot e Christian Laval sul fatto che lordoliberismo non
vuole "indebolire" lo stato, ma gli affida, al contrario, il compito decisivo di
promuovere e garantire la concorrenza.
Al principio filosofico corrisponde, sul piano pratico, lobiettivo di aumentare
la competitivit del sistema in modo da favorire le esportazioni, che vengono a
occupare il posto della domanda interna come principale fattore di crescita.
Peccato che la crescita tedesca sia significativamente inferiore a quella
americana, e che il tanto celebrato modello tedesco contribuisca ancor pi a
rallentare la crescita dei partner europei. Ci avviene per varie ragioni. In
primo luogo, perch non tutti i paesi possono avere esportazioni nette
positive: gli avanzi permanenti degli uni generano i disavanzi permanenti
degli altri. Poi perch laltra faccia degli aumenti di competitivit lattacco a
salari e welfare, attacco che, riducendo i redditi dei lavoratori, contrae la
domanda interna. In Germania limpatto di tale politica si fatto sentire con
la proliferazione di mini-jobs, working poor e disuguaglianze, mentre negli
altri paesi europei ha provocato effetti ancora pi tragici, dovuti al divieto ai
finanziamenti monetari dei deficit per i debiti pubblici, e alla concorrenza fra
stati, che offrono profitti pi elevati alle imprese abbassando i salari,
flessibilizzando la forza lavoro, riducendo la pressione fiscale grazie ai tagli
alla spesa sociale, privatizzando tutto il privatizzabile, ecc.
Tuttavia non siamo di fronte a errori, e neppure allincapacit di riconoscerli
(bench i loro effetti negativi siano ormai evidenti): il punto che il modello
tedesco non mira alla crescita, bens a ottenere una ridistribuzione dei redditi
a favore del capitale e a danno del lavoro, perch i capitalisti preferiscono
meno crescita e pi profitti, piuttosto del contrario. Il che evidente anche nel
caso degli Stati Uniti, dove si ugualmente tentato di far convivere la crescita
con tassi crescenti di disuguaglianza, con la differenza che non si puntato
sulle esportazioni ma sullaumento dellindebitamento. Risultato: la crescita
c stata, ma poi puntualmente arrivato il contraccolpo della crisi finanziaria.
Insomma: il modello liberista genera disastri in entrambe le varianti.
Funziona solo per spostare ricchezza dal basso verso lalto, ma al prezzo di
instaurare un ordine oligarchico che distrugge democrazia e diritti del lavoro,
e che fa lievitare la tensione sociale fino a livelli di rottura, come ha certificato
il voto del popolo inglese contro lEuropa. Si pu spezzare il circolo vizioso e
riattivare il binomio crescita-equit sociale? Per farlo, argomentano alcuni
coautori del libro, occorrerebbe riformare lEuropa dal basso e da sinistra.
Personalmente, ritengo che tale prospettiva sia del tutto irrealistica, mentre
condivido lidea che (cito dalla Introduzione): una ripresa del potere
democratico si pu determinare, anzitutto, solo ritornando dallatmosfera
rarefatta e irrespirabile della governance al terreno corposo e vitale della

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sovranit nazionale. Rottamare Maastricht appunto. Una tesi che sostengo a


mia volta in un saggio che approder in libreria il prossimo 13 ottobre (La
variante populista, DeriveApprodi).
***

Introduzione a "Rottamare Maastricht. Questione


tedesca, Brexit e crisi della democrazia in
Europa" (DeriveApprodi)
di Leonardo Paggi
La proposta di rottamare Maastricht con cui abbiamo scelto di riassumere il
senso del volume, nata dalla convinzione che il grande sogno dellunit
europea ha finito per legittimare un ordine oligarchico frontalmente
contrapposto alla democrazia e ai diritti del lavoro. Senza il potere delle
istituzioni sovranazionali oggi esistenti mai sarebbe stato possibile originare
la regressione politica, economica e sociale in cui sta vivendo lEuropa di oggi.
1. La creazione della moneta unica ha fatto s che si sia a lungo guardato a
Maastricht come allinizio, alla prima tappa, della costituzione di un Europa
federale. In realt a quella scelta si giunge attraverso una esplicita involuzione
programmatica, ricostruita nei dettagli da Alessandro Somma, che
approdata a una netta dissociazione tra moneta e stato considerati, ancora
negli anni Settanta, come assolutamente inscindibili.
Una vasta esperienza storica sta a testimoniare che solo la creazione di un
potere politico fondato sulla unificazione del debito e delle bilance dei
pagamenti pu portare alla creazione di mercati in espansione. Parla in questo
senso, anche se in modi tra loro molto diversi, lesperienza degli Stati uniti,
dellItalia e della Germania nella seconda met del xix secolo. In tutti questi
casi lunificazione politica premessa indispensabile di un pi lungo processo
di unificazione economica che si traduce nella costituzione ed espansione del
mercato interno. Maastricht capovolge, mette scientemente sulla testa, questo
rapporto tra politica ed economia. Lobiettivo dichiarato del mercato unico
non in questo caso quello di creare pi sviluppo, bens, nelle parole di Padoa
Schioppa, membro autorevole del comitato Delors, di abbandonare
definitivamente il modello di stato centralizzato forgiato dalle grandi
monarchie europee [2].
Lattacco alla sovranit dello stato perseguito a vantaggio della libert delle
grandi masse di capitale finanziario si traduce in unopera di contenimento e
di disciplinamento di tutti i fattori che precedentemente hanno reso possibile
la crescita. Il processo di integrazione fornisce dividendi ai paesi europei che
ne fanno parte solo fino a quando rimane nei limiti di una unione doganale e
di una politica agricola comune. Leliminazione delle barriere tariffarie
infatti un utile incentivo addizionale per uno sviluppo che ha solide radici
nelle politiche keynesiane attivamente perseguite dallo stato nazione europeo
che si rilegittima per questa via, dopo la pesante sconfitta subita nella Seconda
guerra mondiale.
Lunificazione monetaria si accompagna alla ufficializzazione di una cultura
della stabilit che mette in primo piano la lotta allinflazione e lequilibrio di
bilancio. Lunificazione monetaria entra per questa via in aperta
contraddizione con lunificazione economica, rovesciandosi addirittura in una

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esasperazione delle distanze e delle differenze tra i paesi componenti lUe. La


interpretazione che del trattato danno a caldo le figure pi rappresentative di
Bankitalia, su cui si sofferma diffusamente Leonardo Paggi, esprime
compiutamente, ben oltre il caso italiano, il significato coscientemente
restauratore del trattato che formalizza e mette in costituzione labbandono
delle politiche di sviluppo, a partire dalla sconfitta che il movimento operaio
ha gi subito nel decennio precedente nei pi importanti paesi europei.
E tuttavia sarebbe sbagliato rappresentare Maastricht come un processo
senza soggetto, condiscendendo in qualche modo alla sua auto
rappresentazione ideologica. La cultura della stabilit, come si annuncia gi
con la creazione nel 1979 di un sistema monetario europeo, ha il suo punto di
riferimento e il suo sostegno nel modello economico tedesco, uscito dalla crisi
degli anni Settanta come lunico capace di affrontare la nuova divisione
internazionale del lavoro profondamente modificata dallingresso dei paesi in
via di sviluppo. Caratteristica fondamentale di questo modello, analizzato con
approcci diversi da Aldo Barba e Massimo Dangelillo, la ricerca continua di
aumenti di competitivit volti a incrementare indefinitamente il volume delle
esportazioni, che finiscono per sostituire la crescita della domanda interna.
La raffigurazione della Germania come egemone riluttante su cui tornato
di recente anche Jurgen Habermas [3] appare per pi aspetti fuorviante. La
storia dello sviluppo capitalistico ha esibito compiutamente i tratti di un
modello di egemonia contrassegnato dalla funzione di traino che il mercato
americano svolge, fino alla met degli anni Settanta, per lintero sistema
occidentale. Il modello tedesco basato sul contenimento della domanda
interna non solo non offre alcuna possibilit di crescita al resto dei paesi
europei, ma chiede anzi loro di perseguire lo stesso obiettivo della
competitivit con labbassamento dei salari e lo smantellamento dei sistemi
previdenziali e pensionistici. La Germania tornata a contendere per un
primato europeo sulla base di un modello di relazioni economico-politiche
fondato ancora una volta sulla gerarchia, la coercizione e la violenza, come la
vicenda greca ha messo definitivamente in luce.
Ma fino a quando pu durare lordine di Maastricht ?
2. Nel corso degli ultimi tre decenni si prodotto un cambiamento strutturale
nella geografia politica dellEuropa in virt del quale, per riprendere la
terminologia di Albert O. Hirschmann, la protesta sociale in continua crescita
tende ad assumere la forma tendenzialmente catastrofica dellexit invece di
quella ritualmente democratica del voice. In precisa corrispondenza con la
sparizione della sinistra storica, prendono piedi movimenti che riformulano in
chiave neonazionalista e xenofoba il bisogno di protezione sociale degli strati
popolari pi colpiti dalle politiche di austerit. Negli anni Novanta, infatti,
sono proprio i partiti della tradizione socialista che traducono in
provvedimenti di governo la nuova filosofia del trattato.
Si tratta di un fenomeno complesso per cui non facile trovare una
spiegazione plausibile. Da una comparazione con precedenti storici non meno
significativi sembra si possa dedurre che nel corso del Novecento il socialismo
europeo viene puntualmente travolto dalle profonde cesure che scandiscono
la storia del capitalismo internazionale. A onta della fratellanza tra i popoli,
proclamata negli anni di sviluppo e di pace dei primi anni del secolo, il 4
agosto del 1914 il socialismo europeo blocca i feroci nazionalismi che
organizzano la mattanza della prima guerra mondiale. Negli anni Venti il
laburismo inglese e la socialdemocrazia tedesca appoggiano la deflazione
richiesta dalla politica di ritorno alloro, considerata da Michael Polanyi come
fattore cruciale dellavanzata del fascismo.

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Dopo il 1945 il movimento operaio conosce in Europa occidentale il periodo


pi fruttuoso della sua storia. La socialdemocrazia (ma anche il Partito
comunista italiano) si inserisce come fattore propulsivo e moltiplicativo in
una fase di eccezionale sviluppo che prende tuttavia corpo per il concorso di
fattori esogeni alla sua volont e alla sua capacit di influenza.
La tragedia della Seconda guerra mondiale, con i suoi 55 milioni di morti, ha
posto un problema del tutto nuovo di difesa e di promozione della vita che
trova nel Piano Beveridge, del dicembre 1942, la sua pi solenne
formulazione. Si realizza negli stessi anni la definitiva legittimazione della
economia di piano, che ha messo in campo una produzione di massa di armi
sofisticate decisive per la sconfitta del nazismo. una sfida possente alla
cultura del capitalismo che gli Usa raccolgono esportando nel vecchio
continente il mercato di massa dei beni di consumo durevoli, che hanno gi
promosso nel corso degli anni Venti.
Il repentino cambiamento del modello di sviluppo che si apre nei primi anni
Settanta, a partire dalla fluttuazione e poi dalla inconvertibilit del dollaro,
disarma per la terza volta la sinistra europea. Alla fine del decennio arrivano
puntuali le sconfitte strategiche del movimento operaio italiano e inglese, e, a
ruota, quella dellunit delle sinistre in Francia. Dopo il crollo inaspettato
dellUnione sovietica la sinistra europea formalizza negli anni Novanta il suo
passaggio dalla giustizia sociale al dinamismo economico.
Il consolidamento nel decennio successivo del trend rappresentato dalla
disintegrazione della sinistra e dallavanzamento del populismo di destra
scava lentamente una voragine politica sotto i piedi dellordine di Maastricht.
Si profilano allorizzonte anche vere e proprie crisi di rigetto del processo di
integrazione. Dopo la bocciatura che il trattato costituzionale conosce nel
2005 sia in Olanda che in Francia, oggi un intero paese, lInghilterra, che
denuncia i contratti sottoscritti.
La spiegazione di Brexit come voto dei vecchi contro i giovani ha inteso
ridicolizzare il significato di un voto di altissima complessit politica. Esce il
paese che in ragione del controllo della propria moneta ha avuto negli ultimi
tre anni uno sviluppo superiore non solo a quello della media europea, ma
della stessa Germania. Ma ancora: leconomia inglese caratterizzata dai servizi
finanziari particolarmente interessata al mantenimento di integrazioni
sovranazionali. Le piazze finanziarie di Londra e Francoforte lavorano insieme
da anni. Insomma esce il paese che pi di ogni altro godeva i vantaggi della
sua presenza in Ue senza dover sopportare il peso della politica di austerit.
Solo sul medio e lungo periodo sar possibile valutare le conseguenze di
questa scelta per leconomia inglese. Il significato politico invece
immediatamente valutabile. la prima grande delegittimazione di Maastricht
in quanto ordine che consacra il potere tedesco attraverso una finta
universalit delle regole. Certo ha pesato enormemente, come Teresa May ha
riconosciuto nel suo discorso di investitura a Brighton, il voto dei lavoratori
meno qualificati, delle imprese meno competitive, dei territori pi periferici
(anche se il s e il no si distribuiscono in modo uniforme nel sud e nel nord del
paese). Ma sarebbe errato non vedere in quel voto anche un grande problema
di identit. Brexit chiama in causa i limiti non solo di uno sviluppo che non
cessa di dividere e polarizzare, ma anche di una cultura neoliberista
astrattamente cosmopolita che pensava di aver cancellato nello spazio di un
ventennio le differenze prodotte da secoli di storia.

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Emmanuel Todd ha proposto di leggere Brexit in unottica di longue dure, e


certo in modo provocatorio ha detto che lEuropa di oggi assomiglia
stranamente a quella del 1941, con il continente sotto il tallone tedesco e la
Gran Bretagna che resiste in solitudine4. Forse non si sta tornando, come egli
sostiene, all Europa delle nazioni, che non stata poi propriamente un
paradiso terrestre, ma dallintreccio sempre pi stretto tra questione sociale e
questione democratica che sta alla base di Brexit esce la voce forte di
unEuropa che non si lascia uniformare dalla governance del terzetto
Merkel/Schuble/Weidmann, che intende mantenersi plurale e cerca ununit
da perseguire nella diversit, fatta, questultima, non solo di livelli di sviluppo
difformi ma anche di tradizioni e di storia non facilmente omologabili. in
questo senso complesso che Brexit ripropone alla Ue la centralit della
questione democratica. Il messaggio forte mi pare quello di unEuropa che
non vuole cancellare il suo pluralismo e che del sistema delle sue differenze
intende fare una ragione non di debolezza, ma di forza.
Seppure con logiche del tutte diverse la crisi di Maastricht matura
pericolosamente anche in Francia. Dietro la stretta terroristica in cui si sta
avvitando il paese c londa lunga della storia nazionale la cui lettura in
questi mesi oggetto di dibattito serrato. Alla interpretazione del terrorismo
come risultato di una radicalizzazione dellIslam, cui si dovrebbe rispondere
con la intensificazione della laicit (Jill Kepel), si risponde affermando la
islamizzazione di un radicalismo connesso a una svolta generazionale che ha
nel disagio delle periferie il suo luogo di origine(Olivier Roy). Altri, forse con
ancor pi ragione, parlano di una sofferenza post coloniale. Si ha talvolta
limpressione di assistere a una guerra di Algeria che non riesce a trovare la
sua conclusione, e la cui memoria si trasmette, forse inconsciamente,
attraverso le generazioni.
Lo spostamento a est dellasse geopolitico della Ue, supinamente accettato
dalla classe dirigente francese, ha imposto al paese labbandono di ogni
strategia di dialogo mediterraneo, favorendo le forze che al suo interno
cercano visibilit e consenso nella moltiplicazione sempre pi insensata e
autolesionista delle avventure neocoloniali. Ma ancora: nel momento in cui il
terrorismo porta alla luce tutti i limiti delle strategie di integrazione fino a
oggi seguite, i governi in carica assistono impotenti al moltiplicarsi della
disoccupazione, tagliano i livelli del welfare, aggrediscono i diritti consolidati
del popolo lavoratore. Tutti i democratici europei guardano con profonda
apprensione alle prossime elezioni della primavera del 2017. Saranno i valori
della rivoluzione francese a essere messi ai voti!
La radicale incapacit di Maastricht di dare risposte, non solo malthusiane e
repressive, alle sfide della globalizzazione stata tuttavia definitivamente
messa in luce dal salto improvviso dei flussi migratori. Dinanzi a una
emergenza che richiede se non progetti comuni almeno coordinamento
organizzativo degli sforzi balzata in primo piano tutta la miseria culturale di
quella che Steffen Lehndorff chiama la integrazione che divide, ossia un
congegno di governo tutto rivolto a isolare e contrapporre le economie e gli
Stati, a impedire qualsiasi sinergia che travalichi la soglia del rispetto dei
parametri di stabilit. Dopo nove anni di crisi le lite europee non danno
alcun segno di ripensamento.
3. In effetti, che la Germania svolga un ruolo di architrave nellordine di
Maastricht non autorizza a mettere sullo sfondo lapporto decisivo di quella
che ancora Steffen Lehndorff chiama la coalizione dei non volenterosi, ossia
lappoggio che i governi degli altri paesi europei (democraticamente eletti, si

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sottolinea talvolta polemicamente, ma non a torto) danno a politiche Ue che


negano sistematicamente qualsiasi principio di collaborazione e di solidariet.
La ricerca di una alternativa non pu non prendere le mosse che dalla
identificazione del consenso, del blocco sociale, che si saldato intorno alle
politiche vigenti. Una distinzione necessaria tra la Germania e gli altri paesi
europei.
Sono elementi portanti del consenso tedesco al modello economico nazionale:
a) Una forte saldatura di interessi tra imprese e sindacati nei settori trainanti
delle esportazioni (in primo luogo il settore automobilistico) dove la
riforme di Schroeder non hanno intaccato il tradizionale regime di alti
salari.
b) Il conservatorismo patrimoniale, dice Massimo DAngelillo, ossia la difesa
del risparmio e del potere dacquisto delle pensioni in un paese con un tasso di
natalit fortemente decrescente. Significativi i continui attacchi della stampa
tedesca a Draghi per la sua persistente politica di sempre pi bassi tassi
dinteresse.
c) I surplus commerciali, provenienti dalle esportazioni, che ammontano al
50% del Pil,e che consentono di integrare i bassi salari del secondo settore di
un mercato del lavoro apertamente duale (8 milioni di minijobs), e di
garantire nello stesso tempo il mantenimento di buoni livelli di welfare.
d) Infine con la riunificazione la Germania si sbarazzata del senso di colpa
per il passato nazista e ha inaugurato una politica di monumentalizzazione
della memoria che toglie dallarmadio tutti gli scheletri. Il ritrovato senso di
autostima nazionale, sottolinea Leonardo Paggi, produce consenso a un
modello economico che mostra la sua superiorit non tanto nella capacit di
promuovere gli altri, quanto al contrario in quella di bloccare e reprimere le
loro possibilit di sviluppo. Non sorprende dunque che nella conduzione di
questo tipo di politica europea, sostenuta da una grande coalizione che
cancella ogni distinzione tra destra e sinistra, si determini un progressivo
spostamento dellasse ideologico e politico del paese in senso sempre pi
marcatamente conservativo. Ci che peraltro rende sempre pi difficile
limportazione di mano dopera straniera di cui leconomia tedesca ha un
crescente bisogno, visto il trend demografico in atto.
Tratti solo in parte analoghi tornano nella struttura del consenso di cui
Maastricht si avvale negli altri paesi europei:
a) Lindustria trainante in Europa quella pi fortemente internazionalizzata
(questo vale anche per la parte pi competitiva dei nostri distretti), che
condivide pertanto la priorit accordata dalla Germania alle esportazioni.
b) Nelle imprese pi dinamiche una parte crescente dei profitti realizzata
tramite la presenza sul mercato azionario e comunque sempre pi diffusa la
logica di share holder che ha trasformato e americanizzato dallinterno il
tradizionale modello produzionista tedesco.

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c) Stabilit dei prezzi e assenza di inflazione garantiscano ovunque non solo i


creditori, ma anche una popolazione fortemente invecchiata che fa delle
pensioni una quota crescente del reddito nazionale.
d) Una volta creatasi la figura dello stato debitore la sua permanente
esposizione alla speculazione internazionale, esplicitamente prevista e voluta
dal trattato, impone consenso attorno a politiche di pareggio del bilancio
come mezzo per evitare mali peggiori. Esemplare in questo senso la
formazione del governo Monti, che ha ben dimostrato come il consenso si
possa estorcere anche con la forza del ricatto e della coercizione.
e) Dato lo stato dei rapporti di forza, anche in presenza di una crescita
bloccata, limpresa pu appropriarsi di una parte crescente della torta senza
correre il rischio di una ripresa del conflitto redistributivo quale si avrebbe in
un quadro di sviluppo. Non insomma un caso che le Confindustrie di tutta
Europa accettino senza protestare le politiche di austerit.
f) La cultura dellindividualismo darwiniano, che trasuda da tutti i pori del
trattato, tanto pi vincente quanto pi forte la stagnazione. Solo con una
crescita ritrovata si potrebbe rigenerare il senso della solidariet e apprezzare
il valore dei dividendi provenienti da uno sforzo comune.
Se questi sono alcuni fattori che spiegano almeno in parte lo stato di passivit
esistente, dove sono le forze motrici che possono spingere verso la
riapertura di quel circuito tra crescita e eguaglianza che Aldo Barba pone a
fondamento della sua analisi critica?
Poich la dimensione europea stata messa in sicurezza e quasi sigillata nei
confronti dei rischi della politica, una ripresa di potere democratico si pu
determinare, anzitutto, solo ritornando dallatmosfera rarefatta e irrespirabile
della governance al terreno corposo e vitale della sovranit nazionale.
Di questo concetto si pu avere una accezione ideologica e subalterna che
tende a sottovalutare o a mettere tra parentesi i livelli di
internazionalizzazione e di globalit raggiunti dallo sviluppo capitalistico. Ma
della sovranit esiste anche una visione funzionale, realistica, che mette in
valore la riconquista dello spazio politicodemocratico, distrutto dalla astratta
dimensione sovranazionale della moneta unica. Solo sui terreni nazionali,
ossia a contatto con la realt immediata e tangibile della vita quotidiana,
possibile provocare la crisi del mondo capovolto della moneta unica. Con il
noto adagio ce lo chiede lEuropa stato proposta e purtroppo accolta dalle
lite europee una totale dismissione della responsabilit politica nazionale. La
precedenza dellEuropa si trasformata in un vero proprio alibi per
abbandonare il rapporto con i bisogni, con i territori, con le specificit della
storia.
Il processo non stato tuttavia indolore.
Lordine di Maastricht oggi vittima del suo stesso successo. La crisi dei
partiti democratici, che corrisponde al crescente potere di decisione dei
mercati, ha fatto s che lo abbiamo gi ricordato la protesta sociale
generata dalla austerit e dalla globalizzazione ha alimentato un populismo
sempre pi eversivo. Il terrorismo, come fattore potenzialmente endemico,
moltiplica ora a vista docchio la forza persuasiva della ragione populista.
Tornano alla mente le analisi di Franz Neumann sul nesso tra angoscia e
politica come fattore propulsivo dello stato autoritario. Ancora una volta la

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crescente alienazione economica e sociale di massa alimenta una visione


cospirativa della storia che compatta il popolo contro un nemico esterno.
Questa emergenza impone lobbligo di lavorare, qui e ora, per un
allentamento e una rottura dei vincoli esistenti sul filo di un netto
spostamento di ottica e di enfasi dal tema della disciplina a quello delle
possibilit. Gli autori di questo volume non credono che il problema sia quello
di rinegoziare questo o quel parametro del trattato. in fondo una riprova di
questa loro convinzione anche lassai scarso successo con cui il nostro
Presidente del consiglio cerca in Europa inesistenti spazi di autonomia, con la
richiesta di questa o quella flessibilit, se non addirittura con le invocazioni
ad unEuropa pi umana! Siamo dinanzi a un sistema coerentemente e
conseguentemente oligarchico, in cui la negazione dello sviluppo fa tuttuno
con la messa in mora della democrazia.
E tuttavia stiamo vivendo un paradosso che non pu essere ignorato. Il
monopolio che il populismo detiene della critica della situazione esistente fa s
che il sistema consegua nuova legittimazione, proprio agli occhi di una
opinione pubblica democratica, come lunico possibile depositario del
progetto europeo. Se non si spezza la tenaglia che si creata, con l austerit
da un lato e il populismo dallaltra, qualsiasi nuova opportunit creata dalla
crisi andr perduta. Per questo ci pare essenziale lapertura di un dibattito sui
principi (non sulle misure specifiche) di una agenda di stabilizzazione
democratica della situazione italiana e europea, che favorisca la costruzione di
un movimento anti-Maastricht diverso da quello populista.
Fino a oggi la critica della moneta unica non andato oltre la proposta
astrattamente taumaturgica di uscita dalleuro o la previsione irrealistica di un
suo inevitabile crollo. Leuro ha dimostrato di saper reggere, forse anche in
ragione delluso repressivo che di esso hanno fatto e continuano a fare i
mercati finanziari. Sono la societ, la politica, le identit democratiche che
deperiscono. Non sembra saggio aspettare che il cadavere passi lungo il fiume.
Le crisi economiche producono una degenerazione del capitalismo (fino al
nazismo), mai il suo crollo. Maastricht del resto non solo una moneta unica,
anche una cultura, una concezione del mondo, una proposta di civilt. Per
questo morir, se morir, solo di una morte politica. per la costruzione di un
movimento ancora inesistente che occorre mettere sul tappeto il problema di
una filosofia di governo alternativa e di un programma che indichi, in primo
luogo sotto il profilo concettuale, alcuni punti di scorrimento verso unEuropa
politica della crescita.
4. La vera scommessa quella di trasformare la protesta sociale in conflitto
redistributivo e in alternativa politica. In questa prospettiva ci sembra utile
sottolineare limportanza di alcuni ordini di problemi, con particolare
riferimento alla situazione specifica del nostro paese.
Il recupero del rapporto tra democrazia e sovranit. Premessa essenziale di
qualsiasi evoluzione positiva la condanna e il rigetto aperti della governance
che configura la Ue come uno stato di polizia economica, secondo la
definizione di Alessandro Somma. Contro la imposizione di regole punitive e
uguali per tutti essenziale ritrovare lo spazio e il metodo della discrezionalit
e della responsabilit politica, aperto a ragionamenti e negoziati capaci di
interpretare i bisogni specifici di situazione specifiche. I dadi del resto sono
truccati. Le regole sono pensate e scritte in piena conformit
alleccezionalismo tedesco, ossia per una economia che ha impostato la
crescita sulla leva del surplus commerciale piuttosto che sui consumi e gli
investimenti. in accordo a questa logica che sono nati i parametri del 60%
del pil per il debito e del 3% per il deficit, i quali pertanto non sono da

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rinegoziare ma da respingere in via di principio. Il culto delle regole ha


trasformato la Ue in un intollerabile spazio gerarchizzato in cui i
Peripherielaender pagano un prezzo crescente in termine di autonomia delle
scelte di politica economica, di disoccupazione rampante, di perdita di pezzi di
apparato produttivo, quasi sempre a favore di gruppi industriali tedeschi che
amano comprare a prezzi stracciati.
La difesa del salario. Una delle misure prese da Frank D. Roosevelt nei suoi
primi cento giorni fu la messa sotto protezione del sindacato uscito
massacrato dalla rivoluzione tecnologica e dagli attacchi conservatori degli
anni Venti. La misura era intesa come passaggio obbligato per ricreare il
potere dacquisto necessario a interrompere la morsa deflattiva in cui era
caduta leconomia americana. Per una situazione analoga abbiamo gi visto
che il quantitative easing non basta. La stagnazione italiana data dalla
seconda met degli anni Novanta e ha la sua prima ragione nellarresto della
domanda interna provocata, in primo luogo, dal blocco della contrattazione
salariale. Nelle condizioni di estrema debolezza in cui si trova il sindacato, la
difesa della contrattazione collettiva oggi una misura di governo
indispensabile. Si tratta di rovesciare la logica che presiede alle svalutazioni
interne volute da Maastricht secondo cui in un regime di cambi fissi la
competitivit e il pareggio di bilancio devono essere assicurati comprimendo i
livelli di vita della popolazione.
La ripresa della produttivit. questa la via maestra per la indispensabile
ripresa di competitivit della nostra economia. I dati che la Banca dItalia
fornisce in proposito parlano di una catastrofe nazionale. Leconomia italiana
sta perdendo ogni capacit di produrre e distribuire ricchezza. La medicina
nota. Investimenti in capitale umano volti a elevare il livello della formazione
professionale, investimenti in ricerca e sviluppo che lo stesso trattato di
Lisbona aveva proclamato indispensabili, e che il patto di stabilit vieta
perentoriamente, innovazione e internazionalizzazione del sistema delle
imprese, innalzamento del livello di efficienza della pubblica
amministrazione. Laccettazione passiva dei parametri di Maastricht significa
complicit attiva nel processo di distruzione dei livelli di civilt conseguiti dal
nostro paese. Perch il governatore Ignazio Visco non sottomette alla pi
ampia opinione pubblica del paese i dati di cui a conoscenza? [5]
Emergenza migrazioni. La fedelt al principio dellaccoglienza in assenza di
qualsiasi programma di gestione della forza lavoro immigrata destinata sul
medio periodo ad accumulare degrado e contraddizioni sociali e politiche
sempre pi insostenibili. proprio il Sud a darci lesempio di due esiti
possibili. Il campo di concentramento di Rosano consegna al caporalato la
nuova forza lavoro. Il caso di Riace indica quanto la rete dei comuni potrebbe
fare in termini di allocazione sensata delle risorse, se convocata, organizzata e
diretta dai poteri centrali del governo.
La pace e la guerra. Da tempo l Europa ha cessato di essere forza di pace.
Maastricht nasce contestualmente allinizio di una politica di esportazione
della democrazia, resa possibile dalla fine degli equilibri della guerra fredda.
Si rivelata nei fatti lesistenza di una correlazione strettissima tra il
conferimento ai mercati di una piena e totale libert di movimento e lidea che
i confini degli stati siano modificabili ad libitum con lausilio delle armi.
LEuropa stata pienamente coinvolta nelleffetto domino che linvasione
dellIraq del 2003 ha scatenato in Medio Oriente, nel Mediterraneo e nei
rapporti con la Russia. Nel permanere di questo quadro le stesse relazioni
intra europee sono destinate a deteriorarsi, come la crisi di Schengen ha gi
abbondantemente dimostrato.

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Con lindicazione di questi temi, ma molti altri se ne potrebbe aggiungere, si


voluto esprimere la convinzione che unopposizione politica di governo pu
nascere solo con un programma che assuma senza mezze misure la profondit
dei guasti provocati da Maastricht. Qualcosa si pu e si deve fare. Niente di
quello che accaduto deve essere dato per scontato e irreversibile. In
definitiva, venticinque anni sono solo un soffio se commisurati ai tempi della
storia europea.
NOTE
1. Il testo dellintroduzione stato redatto da Leonardo Paggi che si avvalso
dei contributi di discussione di Aldo Barba, Massimo DAngelillo e Alessandro
Somma.
2. Cfr. Infra, p. 32.
3. Intervista a Die Zeit, 7 luglio 2016.
4. Intervista pubblicata su Atlantico.fr il 3 luglio 2016.
5. Mi riferisco in particolare allintervento pronunciato dal Governatore della
Banca dItalia a Bari il 29 marzo 2014 al Convegno Biennale Centro Studi
Confindustria su Il capitale sociale e la forza del paese.
(30 settembre 2016)

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