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Istituzioni di
Diritto del Lavoro e
Sindacale
(Vol. I e II)
Volume I
INTRODUZIONE
CAPITOLO I
I MODELLI DEL DIRITTO DEL LAVORO ITALIANO
Il Diritto del Lavoro quel complesso di regole giuridiche destinate a regolare il mondo del lavoro;
esso si ripartisce tradizionalmente fra un Diritto del Lavoro in senso stretto (il diritto del rapporto
individuale di lavoro subordinato) e il Diritto Sindacale (il diritto dei rapporti collettivi, che regola i
sindacati, il contratto collettivo, lo sciopero, le rappresentanze dei lavoratori in azienda).
Risale ad epoca pi recente un ulteriore ampliamento dellambito della materia, acquisendo una
crescente importanza, in seno ad essa, la normativa del mercato del lavoro, ossia di quello spazio ove
si incontrano, o dovrebbero incontrarsi (in un mercato ben funzionante), domanda e offerta di lavoro.
Siffatto allargamento dipende dalla maggiore attenzione riservata ai meccanismi di funzionamento del
mercato del lavoro, anche e soprattutto in vista di una pi efficace protezione dei cittadini disoccupati,
nonch di coloro che neppure tentano di inserirsi nel mercato del lavoro.
Il Diritto del Lavoro che studiamo quello Industriale, che si sviluppato per regolare e attenuare i
problemi sociali provocati dalla Rivoluzione Industriale del XVIII secolo.
Le relative regole sono dunque nate a tutela della parte debole del rapporto di lavoro e, pi
precisamente, a tutela del lavoratore dipendente.
questo il motivo per il quale quando si paria di diritto del lavoro si fa riferimento a quel complesso
di regole riguardanti il lavoro dipendente e, innanzitutto, il lavoro dipendente nell'industria (Lavoro
Subordinato).
Per converso, il Diritto del Lavoro non riguarda il Lavoro autonomo.
Col tempo, per, accaduto che anche alcune figure di lavoratori autonomi, ritenute deboli e
meritevoli di protezione (come gli agenti di commercio), abbiano beneficiato dellapplicazione mirata
di alcune norme lavoristiche, o comunque a contenuto protettivo.
In sostanza, lambito soggettivo del diritto del lavoro, pur rimanendo concentrato sul lavoro
subordinato, ha comunque teso ad allargarsi, attraendo alcune categorie di lavoratori non subordinati.
uno di quei rami del diritto che pi direttamente risente dellinfluenza della situazione economica
generale; in particolare, nel nostro Paese, ha vissuto diverse fasi, in gran parte dipendenti dai differenti
assetti produttivi, politici e ideologici.
Ognuno di questi momenti ha visto sviluppare un proprio modello di diritto del lavoro; perci
opportuno esaminare brevemente tale modellistica.
Dal punto di vista sociale ed economico, tale relazione era grandemente squilibrata a vantaggio di chi
offriva il posto di lavoro, mentre chi Io cercava, essendo facilmente rimpiazzabile, doveva
necessariamente sottostare alte condizioni imposte dal primo.
Dal punto di vista giuridico, invece, tale relazione veniva calata, appunto, nei postulati liberali del
diritto privato, cosi come espressi dal codice civile del 1865.
Il
codice
poco
attento
un
fenomeno
sostanzialmente
nuovo
quale
il
lavoro,
non conteneva nulla di specifico al riguardo, se non il divieto di stipulare vincoli lavorativi a tempo
indeterminato, nel timore della riproposizione di rapporti servili a vita, considerati un disprezzabile
retaggio feudale.
Il vero perno della disciplina lavoristica fu, allora, costituito dal Contratto, che in questo primo
modello venne improntato al liberiamo pi puro: si presupponeva, cio, che ognuna delle due parti
del rapporto di lavoro potesse in tutta libert regolare come meglio credeva tale relazione.
Ovviamente, questa situazione formalmente paritaria ma sostanzialmente squilibrata produsse spesso
conseguenze aberranti: in nome della libert contrattuale pura, ci si accordava per lavorare anche 18
ore al giorno in condizioni disumane, in cambio di un salario da fame; al pari di ogni altro vincolo
contrattuale, poi, il rapporto di lavoro era risolvibile in ogni momento senza necessit di addurre
alcuna giustificazione.
Il lavoratore era si formalmente libero di sottoscrivere o meno un tale contratto, ma la sua libert
finiva l, cio nellaccettare di non lavorare (perch il datore avrebbe di sicuro trovato altre persone
disposte ad accettare le sue condizioni).
Lunico modo, per i lavoratori, di non sottostare a ricatti del genere, era quello di non presentarsi
davanti al datore di lavoro come singoli, ma come coalizione.
Senonch tale modello respingeva anche un tentativo del genere, poich, applicando fedelmente il
divieto di costituire entit intermedie tra lindividuo e lo Stato, esso proibiva l formazione di intese tra
gli operai: e stavolta non era pi Il diritto privato ad intervenire, ma il diritto penale, trattandosi di un
vero e proprio reato, punito con pesanti sanzioni anche detentive (art. 386 c.p. sardo).
tutele; oppure quella che sembrava in quegli anni creare pi timori, perch stava iniziando a coalizzarsi
e a ribellarsi
A fine Ottocento, infatti, vennero meno i precedenti divieti di coalizione ormai anacronistici, e i
lavoratori poterono liberamente dar vita a varie forme di associazionismo.
Il codice penale entrato in vigore nel 1889 (codice Zanardelli) liberalizz la costituzione di tali
associazioni, consentendo loro di stipulare coi datori di lavoro dei contratti collettivi che
regolassero in maniera pi equa le condizioni lavorative, i primo luogo lammontare dei salari; libera,
poi, anche se soggetta allordinaria sanzione civilistica del risarcimento dei danni, era considerata
lastensione coIlettiva dal lavoro, cio lo sciopero, purch condotto in maniera pacifica.
Ogni norma sociale, infine, era caratterizzata da un requisito che da allora in avanti sarebbe diventato
uno dei punti fermi del diritto del lavoro, cio linderogabilit, nel senso che una disposizione
destinata a limitare il potere con contrattuale della parte forte del rapporto non poteva poi essere
annullata in tutto o in parte, in senso peggiorativo per il lavoratore, da una pattuizione individuale
(ovviamente, squilibrata) tra questi e limprenditore.
In questo fondamentale momento genetico del diritto del lavoro, un ruolo importante fu giocato, da
un lato, da una magistratura non togata, i collegi dei probiviri, che, istituiti nel 1893 per dirimere
equitativamente le controversie di lavoro nellindustria, finirono col creare molte regole innovative,
che a sarebbero poi imposte in futuro come vere e proprie norme di legge; dallaltro lato, dalla prima
dottrina che cominci ad occuparsi della nuova materia: in particolare, Lodovico Barassi fu autore nel
1901 di una monumentale opera nella quale sistemava civilisticamente il diritto del rapporto di lavoro,
imperniandolo sulla categoria del lavoro subordinato.
Nei primi due decenni dei Novecento, anche in Italia accanto al prevalente lavoro in agricoltura - si
afferm unindustria pi matura, segnata dalle strategie dellorganizzazione scientifica del lavoro, Il
taylorismo.
In questo contesto, il diritto del lavoro era ormai diventato un settore importante e autonomo.
MODELLO CORPORATIVO
Nel 1922 lItalia divenne fascista, e il nuovo governo mostr presto i tratti autoritari che i lavoratori gi
conoscevano, poich lo squadrismo fascista si era gi da anni distinto nella repressione, spesso
brutale, dellassociazionismo sindacale.
Poco dopo la presa del potere, il governo intervenne con decisione, progettando una complessiva
rimodulazione degli assetti. economici e sociali del paese, che incideva perci anche sul diritto del
lavoro.
Il fascismo impose una modellistica diversa da quella liberale precedente, incentrandola sul
corporativismo: questo era un sistema nel quale non doveva pi rilevare un interesse del capitale
antagonista rispetto allinteresse dei lavoratori; lunico interesse meritevole di essere preso in
considerazione era, invece, quello superiore dello Stato, della produzione nazionale, che doveva
scavalcare ogni residua contrapposizione dl classe.
Lenunciazione
pi
solenne
di
questi
principi
si
ebbe
con
la
Carta
del
lavoro
del
1927.
Le corporazioni, destinate ad aggregare materialmente datori di lavoro e lavoratori di uno stesso
settore produttivo, in realt videro la luce tardivamente e mai ne furono definiti con precisione i
compiti, sicch pu dirsi che il corporativismo rest per molti versi solo sulla carta, svolgendo quindi
un ruolo meramente propagandistico.
Il nuovo autoritarismo del governo incise, per, comunque sul modello delle relazioni di lavoro,
accentuando in qualche modo la bipartizione della materia.
Il rapporto individuale conserv praticamente inalterati i suoi tatti privatistici, vedendo semmai
rafforzati i poteri datoriali nella gestione del rapporto di lavoro, gi presenti nel vecchio modello (in
primo luogo, lassoluta libert di licenziamento).
Il legislatore dellepoca intervenne molte volte in materia dl tutela del lavoro, sia migliorando e
sistematizzando discipline preesistenti, sia con interventi di politica sociale.
Particolarmente importante fu la legge che nel 1924 disciplin il rapporto dl lavoro degli impiegati
delle aziende private (anche stavolta una minoranza della popolazione lavoratrice, ma rappresentante
di quei ceti medi verso cui il regime voleva avere un occhio particolare, espettandosene un
tornaconto).
Del tutto particolare si rivel, invece, il modello fascista del diritto del lavoro collettivo, nel quale si
esercit a pieno la vocazione autoritaria del regime.
Infatti, la libert di organizzazione sindacale venne di fatto abolita.
Ogni categoria produttiva esprimeva un unico sindacato, nominato dai vertici fascisti, ed esso
rappresentava obbligatoriamente tutti i lavoratori della categoria, a prescindere dalla loro effettiva
adesione allorganizzazione.
Tale sindacato, ente di diritto pubblico, stipulava contratti collettivi che in realt erano delle vere e
proprie leggi, essendo applicati automaticamente a tutti i Soggetti interessati.
Si impose, quindi, un modello dalle forti valenze pubblicistiche, nel anche il diritto penale
riprendeva la parola (il codice Rocco del 1930 sanzionava pesantemente Io sciopero), rigidamente
sottomesso al volere di un governo, e del suo capo, mai cos forte come allora.
Nel 1942, in piena seconda guerra mondiale, entr in vigore il nuovo codice civile, che ricomprendeva
le (molte) norme che regolavano limpresa e le (poche) norme che regolavano il lavoro nello stesso
libro, intitolato Del lavoro.
Ma, essendo la parte lavoristica quasi tutta incentrata sulla regolazione del rapporto individuale, il
codice si rivelava sostanzianzialmente molto pi aderente allideologia liberale che non a quella
corporativa, tant che costituisce ancora oggi, a parte qualche ritocco, lossatura della materia.
Sullaltro versante dei rapporti collettivi di lavoro, la rovinosa caduta del regime fascista produsse
limmediata abrogazione dellordinamento corporativo e il ripristino della libert sindacale.
Da quel momento, e per quasi 20 anni, il. diritto del lavoro si svilupp, per, secondo 2 distinti
modelli, uno ideale lalto reale, spesso in stridente conflitto tra loro.
Il modello ideale era quello, delineato dalla Costituzione, di una struttura politica e sociale fondata
sul lavoro (art. 1), in cui questo costituiva addirittura un diritto riconosciuto, promosso e tutelato
(art. 4), in cui cera libert di espressione e manifestazione delle proprie opinioni (art. 21), in cui si era
preso
atto
che
leguaglianza
formale
in
realt
non
esisteva
che
era
quindi
compito dello Stato rimuovere le diseguaglianze di fatto e promuovere tutte le condizioni perch si
realizzasse una vera eguaglianza sostanziale (artt. 3 c. 2).
Un modello nel quale veniva approntata tutta una serie di diritti a favore del lavoratore in qualche
modo dipendente da altri: retribuzione adeguata, tutela del lavoro femminile e minorile, assistenza e
previdenza sociale, organizzazione sindacale e diritto (non pi mera libert) di sciopero (artt. 35-40).
Il diritto del lavoro, quindi, veniva riconosciuto dalla Costituzione come fondamentale strumento
antagonista di riscatto sociale e di promozione delleguaglianza sostanziale delle classi fino ad allora
escluse.
Ma questo modello ideale non attecch quasi per niente nellItalia degli anni Cinquanta, che prefer
orientarsi verso un modello molto diverso; il modello fu ancora quello saldamente privatistico, e
certo non solo per reazione al precedente modello corporativo, ampiamente pubblicistico.
I rapporti di lavoro crebbero, pertanto, in un contesto nel quale il datore di lavoro conservava intatte
tutte le sue prerogative di carattere direttivo, tra cui principalmente li potere di licenziare liberamente
il dipendente; a questi, peraltro, veniva negata ogni libert di espressione allinterno del luogo di
lavoro, mentre laggregazione sindacale e le manifestazioni di autotutela venivano troppo spesso
osteggiate e punite.
A questo risultato contribu massicciamente il clima di guerra fredda di quegli anni, col mondo diviso
nettamente tra il blocco capitalistico occidentale e quello comunista sovietico.
Il sindacato stesso, appena riconquistata la libert, perse subito la propria unitariet, scindendosi in
vari tronconi, a seconda delle differenti scelte politiche di campo.
La Costituzione, insomma, difficilmente varc i cancelli delle fabbriche in quegli anni segnati, nel
nostro paese, da forti flussi migratori interni dal sud verso il cosiddetto triangolo industriale.
Negli anni Sessanta, il paese aveva superato la fase della ricostruzione e si era trasformato nel paese
del boom e del miracola economico.
In questa vera e propria mutazione, un ruolo fu giocato anche dalla disapplicazione dei diritti dei
lavoratori lungo tutto il decennio precedente.
MODELLO GARANTISTA
I tempi cambiarono profondamente verso la met degli anni Sessanta, quando il mondo intero fu
attraversato da una ventata di contestazione globale, che mise in discussione radicalmente i rapporti
di forza esistenti allinterno della societ, della famiglia, della scuola e del mondo del lavoro.
Qui vennero confutati i postulati del modello che stava reggendo ormai da tempo le relazioni
giuridiche di lavoro, negando lunilateralit dei poteri privati e chiedendo con forza la
democratizzazione e la costituzionalizzazione di tali relazioni.
Grazie, quindi, anche ad una situazione politica nazionale favorevole, dopo lingresso al governo di un
partito tradizionalmente filo-operaio come quello socialista e alla spinta di larghe masse di lavoratori,
che fecero sentire in piazza la propria voce (nel cosiddetto autunno caldo del 1969), si poterono
attuare le riforme che imposero un modello garantista dei rapporti di lavoro.
Preceduto dallimportante legge che nel 1966 richiese finalmente la sussistenza di un valido motivo
per poter licenziare il dipendente, nel 1970 giunse lo statuto dei lavoratori, un provvedimento
organico che incarnava una sorta di Costituzione del mondo del lavoro.
Lo statuto provvedeva a limitare e disciplinare i poteri del datore di lavoro e nel contempo fungeva da
sostegno allazione dei sindacati maggiormente rappresentativi, cio delle grandi confederazioni,
che, superati i dissapori passati, vivevano una (effimera) stagione di unitariet.
Un altro importante provvedimento di quegli anni fu la legge sul nuovo processo del lavoro (1973),
ora, pi informale e veloce; condizione indispensabile per garantire effettivit ai diritti dei lavoratori.
In realt, buona parte della nuova normativa di tutela trovava applicazione ai soli lavoratori delle
imprese dl medie e grandi dimensioni, continuando a lasciare privi di tutela, o scarsamente tutelati, i
dipendenti delle piccole imprese.
In ogni caso, si afferm in quegli anni una cultura delle garanzie, che sarebbe da allora rimasta
impressa nelle menti di lavoratori e sindacati.
MODELLO EMERGENZIALE
Il complessivo ridimensionamento della struttura autoritaria del rapporto di lavoro operato dal
modello garantista sub un brusco rallentamento dopo il 1973, quando si fecero sentire in Italia gli
effetti di una potente crisi economica.
Essa giustific la marcia indietro rispetto a molte delle conquiste appena ottenute, allo scopo di
arginare la crescente disoccupazione, soprattutto giovanile, e la sempre pi difficile sostenibilit da
parte delle imprese dei costi salariali e normativi fino ad allora garantiti.
Questo diritto del lavoro dellemergenza, fu incentrato sulla flessibilizzazione dei rapporti di lavoro,
che cominciarono sempre pi a divergere dal prototipo del rapporto a tempo pieno e indeterminato.
Le caratteristiche principali del modello emergenziale furono, nel quadro complessivo del
ridimensionamento dalle tutele dei lavoratori, una grande attenzione agli ammortizzatori sociali, in
primo luogo la cassa integrazione, e, per la prima volta, un abbassamento del principio assoluto di
inderogabilit della norma lavoristica di tutela.
Dal cauto suo, il sindacato, appena uscito trionfatore dalle lotte degli anni Sessanta, dovette
abbandonare strategie troppo rivendicative e vide, anche per questo, ridimensionare repentinamente
Il suo ruolo, vivendo una profonda crisi di adesioni, nonch una nuova rottura dellunit faticosamente
riconquistata.
Il nuovo modello di sviluppo delle relazioni di lavoro si cal, in quegli anni Settanta, in un contesto
generale non a caso definito degli anni di piombo, segnati dal terrorismo, che proprio nei dirigenti
delle fabbriche, e poi anche nei sindacalisti, individu bersagli da colpire.
MODELLO CONCERTATIVO
Nel 1983, compreso che la crisi era diventata ormai endemica, si speriment un nuovo modello di
gestione delle relazioni di lavoro, anzi dellintera politica del lavoro italiana.
Esso era fondato sulla prassi della concertazione, cio su incontri periodici trilaterali tra governo,
sindacati e rappresentanti delle imprese, al fine di delineare concordemente gli assetti delle strategie
da assumere in materia di lavoro.
Gli accordi conclusi a questi tavoli vincolavano ognuna delle tre parti a comportamenti
corrispondenti agli impegni presi.
Il modello, essendo fondato sulla circostanza che i rappresentanti di imprenditori e lavoratori,
accantonati i propri interessi di parte, decidevano di collaborare nellinteresse del paese, fu definito
neo-corporativo.
I sindacati maggioritari videro riconoscersi una sorta di ruolo istituzionale, ma continuarono a
perdere scritti, sia in favore del sindacalismo autonomo, monocategoriale e perci pi combattivo, sia
sotto le critiche di lavoratori delusi, che lo accusavano di essersi burocratizzato e imborghesito.
Il modello concertativo delle relazioni di lavoro resse a lungo, anche oltre la fine del secolo scorso, tra
alti e bassi, adattandosi di volta in volta alle esigenze di tempi in rapida trasformazione.
Dagli anni Ottanta, infatti, iniziarono importanti fenomeni che ancora oggi fanno sentire i propri
effetti.
Fu in quegli anni, ad esempio, che scoppi la rivoluzione tecnologica, cio lirrompere
dellelettronica e dellinformatica nei processi produttivi; inizi la globalizzazione, cio lallargamento
dei mercati compreso, quindi, quello del lavoro alla concorrenza mondiale, anche dl paesi, una
volta definiti in via di sviluppo, aggressivi e meno garantisti sul piano delle tutele normative del
lavoro; si impose la progressiva europeizzazione delle singole politiche nazionali.
Alla fine del XX secolo, il modello concertativo, che pure non riscuoteva le simpatie del centrodestra
destinato a governare a lungo il paese allinizio del decennio successivo, si arricch quindi di nuovi
profili, per far fronte alle esigenze appena segnalate.
La dose di flessibilit immessa nel mercato del lavoro fu ancora pi cospicua, ed essa divent poco alla
volta una sorta di sinonimo di precariet; contemporaneamente, ad agevolare questo obiettivo, si
fecero strada sempre pi prepotentemente ideologie e neoliberiste, spesso molto radicali, esaltanti i
valori della libert dimpresa e la necessit di un forte ridimensionamento delle garanzie del lavoratore
dipendente.
Improvvisamente, tra li 1999 e il 2002, il diritto del lavoro italiano fu funestato dallassassinio da parte
delle ricostituite Brigate rosse di Massimo DAntona e di Marco Biagi, giuslavoristi, colpiti proprio
perch entrambi, come rappresentanti del governo (rispettivamente di centrosinistra e di
centrodestra), erano stati le menti della concertazione.
A cavallo dei due secoli, il dir itto dei lavoro si macchiava di sangue.
Prima ancora che per il contrasto con il modello costituzionale, esse sono spiazzate dai fatti,
dalleconomia che racconta altro, che ha svelato da tempo che quella del mercato libero da qualsiasi
interferenza sia soltanto unicona, una falsa rappresentazione della realt, come il mito della caverna di
Platone; senza tener conto poi dei forti conflitti sociali.
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CAPITOLO II
LE FONTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
FONTI
A) FONTI STATUALI o LEGISLATIVE
Costituzione
Leggi Ordinarie e Atti aventi forza di Legge (d.l e d.lgs.)
Sezione 1: La Costituzione
La Costituzione repubblicana, in vigore dal primo Gennaio 1948, costituisce le fondamenta del nostro
ordinamento giuridico.; infatti essa portatrice dei principi generali cui l'ordinamento deve
costantemente ispirarsi.
I Principi Fondamentali posti dalla Costituzione in tema di lavoro sono i seguenti:
Art. 1: LItalia una Repubblica Democratica, fondata sul lavoro
Art. 2: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalit, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidariet politica, economica e sociale.
Per formazioni sociali devono intendersi tutti i contesti tipici della nostra societ quali, anche, il
mondo del lavoro.
Oltre a sancire diritti, lart. 2 richiede l'adempimento "dei doveri inderogabili di solidariet politica,
economica e sociale".
Al dovere di solidariet pu essere ricondotto il dovere dell'imprenditore di occuparsi, della
condizione dei propri dipendenti, nonch quello di finanziare, attraverso il pagamento dei
contributi obbligatori, i trattamenti previdenziali destinati ai lavoratori.
11
Art. 3: Tutti i cittadini hanno pari dignit sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
Al II comma finalizza il lavoro non solo al sostentamento del lavoratore e della sua famiglia,
ma anche al progresso materiale e spirituale della societ.
12
Non pu svolgersi in contrasto con la utilit sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libert, alla dignit umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perch l'attivit economica pubblica e
privata possa essere indirizzata e coordinata a firn sociali.
Tale disposizione sancisce la LIBERT DI INIZIATIVA ECONOMICA.
Dunque, essa riferita al lavoro imprenditoriale (autonomo), e, prevedendo restrizioni (II co.),
lo pone in posizione subordinata rispetto alle altre espressioni del mondo del lavoro, confermando
cos l'orientamento del costituente a favore del lavoro subordinato.
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2. La legge statale.
Non esiste alcuna differenza tra la procedura di formazione delle leggi "lavoristiche" e quella valevole
in via generale.
Esiste peraltro una forte tendenza all'impiego di strumenti alternativi alla legge, quali:
a) decreti legge: a causa delle risicate maggioranze parlamentari che imperavano nella Prima
repubblica, e della conseguente difficolt dei governi di allora di far passare leggi in materia
economico-sociale, si instaur la prassi di normare attraverso decreti legge che, non essendo poi
convertiti dal Parlamento, venivano continuamente reiterati.
Tale prassi fu bocciata dalla Corte Costituzionale che sanc, in via di principio, il divieto di
reiterazione dei decreti legge;
b) decreti legislativi: a seguito dello stop ai decreti legge, la prassi si evoluta nella direzione di
un rinnovato utilizzo dei decreti legislativi, facendosi approvare dal Parlamento da parte dei
governi leggi delega molto ampie, spesso ai limiti del contrasto con l'art. 76 Cost., in quanto
carenti di principi e criteri direttivi sufficientemente specifici.
Tutte i principali provvedimenti in materia di lavoro degli ultimi dieci anni sono state elaborate
con questa tecnica (da ultimo, il d.lgs. n.66 del 2003, di riforma della disciplina dell'orario di
lavoro, e il d.lgs. n. 276 del 2003, di riforma del mercato del lavoro).
Il grave rischio che il baricentro del potere legislativo ne risulti squilibrato, e in particolare che il
governo si appropri. indebitamente, di prerogative spettanti al Parlamento.
concernenti i diritti civili e sociali, nei quali ultimi rientrano oltre al Diritto alla Salute e allIstruzione,
anche i Diritti nei confronti di soggetti pubblici o privati che si legano alla condizione di lavoratore.
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4. Il regolamento.
Il peso dei regolamenti governativi in materia di diritto del lavoro sempre statoassai scarso.
Esso cresciuto soltanto in epoca recente, in funzione di esecuzione e specificazione della normativa
legale: accaduto, infatti, che le leggi abbiano spesso fatto rinvio a regolamenti, la cui adozione
prevista, da parte o del governo nella sua collegialit (d.P.R.), o del Presidente del Consiglio dei
Ministri (d.P.C.M.), o di singoli ministri (d.m.).
Un recente esempio rinvenibile, ancora una volta, nel d.lgs. n. 276 del 2003.
La crescente produzione regolamentare degli ultimi anni ha accentuato, pertanto, il gi rilevato (e
denunciato) spostamento del baricentro normativo dal Parlamento al governo. Non sempre, fra l'altro,
i margini lasciati al regolamento riguardano aspetti di mero dettaglio.
5. Le Autorit indipendenti.
Trattasi di organismi istituiti nella legislazione recente, onde assolvere varie funzioni di regolazione e
controllo di interessi pubblici di particolare rilevanza; si pensi alle Authority per le telecomunicazioni, o
quella per la privacy.
Quest'ultima, in particolare, ha una notevole importanza nel campo del diritto del lavoro, in quanto i
provvedimenti dell'Autorit garante concernono spesso problemi legati alla tutela della privacy dei
lavoratori subordinati.
Peraltro, tra le Autorit indipendenti merita una segnalazione particolare la "Commissione di
garanzia per l'attuazione della legge 12 giugno 1990 n. 146" , istituita dalla legge omonima, con
l'attribuzione di un'importante serie di compiti afferenti alla disciplina ed alla gestione degli scioperi
nei servizi pubblici essenziali.
6. Il Contratto Collettivo
Nel diritto italiano, il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) il contratto stipulato a livello
nazionale con cui le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e le associazioni dei datori di lavoro
(o un singolo datore) predeterminano congiuntamente la disciplina dei rapporti individuali di lavoro
(cosiddetta parte normativa) e alcuni aspetti dei loro rapporti reciproci (cosiddetta parte
obbligatoria).
Nel settore del pubblico impiego stipulato tra le rappresentanze sindacali dei lavoratori e l'Agenzia
per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), che rappresenta per legge
l'Amministrazione Pubblica nella contrattazione collettiva. La banca dati ufficiale tenuta dal Consiglio
Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), che gestisce tra l'altro un archivio elettronico di tutti i
CCNL (correnti e passati) liberamente scaricabili.
La Contrattazione Collettiva, pur non potendosi considerare fonte normativa, ha, non di meno,
unessenziale funzione normativa in senso materiale e, pertanto, verr trattata separatamente.
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A tale carenza per certi versi sopperisce la Carta dei diritti fondamentali di Nizza del 7.12.2000 che, pur
essendo una semplice dichiarazione, ritenuta vincolante dalla Corte di giustizia europea.
La Carta proclama i diritti di uguaglianza e di tutela dei soggetti in posizione di svantaggio ed
ritenuta vincolante per effetto del rinvio di cui all'art. 134 del Trattato CE; la norma comunitaria, infatti,
obbliga gli stati mmbri ad attenersi ai principi inerenti ai diritti sociali fondamentali, di tal che dritti
proclamati dalla Carta di Nizza vengono in tutti rilievo pur essendo contenuti in una mera
dichiarazione.
V', dunque, un rinvio che rende operativa la Carta di Nizza pur in assenza di una costituzione che la
faccia diventare norma a tutti gli effetti.
Dal canto suo la Costituzione europea, al di l della sua mancata approvazione, non stata esente da
critiche anche da parte di quelli che l'avrebbero voluta.
E infatti taluni l'avrebbero voluta pi incisiva, con ci ignorando le diversit esistenti tra gli stati e la
conseguente necessit di attestarsi a livelli, pi bassi, compatibili con tali diversit; altri l'hanno invece
vista come una caparbia conservazione di valori tutti europei.
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4. Le norme comunitarie
La prima fonte comunitaria Fatto costitutivo della stessa Comunit Europea, ossia il Trattato di Roma
del 1957.
Una volta ratificato il trattato, gli stati mmbri sono immediatamente soggetti alle norme ivi previste e,
per l'effetto, sono altres soggetti ai regolamenti comunitari che hanno efficacia immediata rispetto al
diritto interno, in quanto entrano immediatamente a far parte dell'ordinamento interno degli stati
mmbri e prevalgono sulle leggi ordinarie degli stessi.
Ci non avviene per le direttive comunitarie, comunque vincolanti, cui, non di meno si riconosce in
taluni casi un'efficacia immediata, che richiedono uno specifico provvedimento di attuazione, anche
amministrativo, che inserisca la norma comunitaria nel diritto interno.
La direttiva latto pi frequentemente adottato dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata od
anche all'unanimit, su proposta dalla Commissione e previa consultazione del Parlamento.
Tale atto normativo non immediatamente efficace ma e vincolante per gli stati mmbri, cui assegna i
fini da conseguire con i provvedimenti attuativi di essa ed il termine entro il quale tali provvedimento
devono essere adottati.
Prima dell'adozione del provvedimento attuativo della direttiva ad essa comunque riconosciuta una
immediata efficacia verticale, nel senso che il soggetto destinatario della norma comunitaria pu agire
contro lo stato inadempiente pretendendo lapplicazione della direttiva e con diritto anche al
risarcimento del relativo danno, purch la direttiva sia chiara e precisa nelle sue finalit, ossia purch
essa abbia i requisiti della normainternazionale di tipo self-executing.
Con l'Accordo di Maastricht sulla politica sociale stata altres istituzionalizzata la partecipazione
sindacale al processo di formazione delle direttive, a tal fine stabilendo che il Consiglio, prima di
adottare direttive inerenti a materie di diritto sociale comunitario, deve consultare le associazioni
sindacali al livello europeo con le quali pu stipulare accordi collettivi che, tuttavia, non sono
vincolanti.
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Volume II
ORGANIZZAZIONE
E
ATTIVIT SINDACALE
20
CAPITOLO I
EVOLUZIONE DEL DIRITTO SINDACALE
Il Diritto Sindacale quella parte del Diritto del Lavoro che disciplina le Relazioni Sindacali, la
Contrattazione Collettiva e lo Sciopero.
un diritto moderno che nasce con la rivoluzione industriale (XVIII sec.): le peculiari caratteristiche del
lavoro in fabbrica (caratterizzato dalla necessaria condivisione di tempo, luogo e modalit di
svolgimento della prestazione e dunque, da una omogenea condizione sociale ed economica),
spingono i lavoratori ad organizzarsi in gruppi professionali al fine di autotutelarsi contro lo strapotere
del datore.
Le prime organizzazioni sindacali si costituirono nella clandestinit, in quanto la libert di associazione
sindacale fu inizialmente vietata, in quanto considerata in contrasto con la libert economica.
In Italia, infatti, il codice penale sardo del 1859, che dopo lunificazione (1861), era stato esteso a tutto
il Regno, vietava ogni concerto tra operai.
Gli strumenti di autotutela dei gruppi professionali organizzati sono fin dall origine:
Il contratto collettivo: la prima forma di contratto collettivo il concordato di tariffa, in
quanto il fine primario per il quale i lavoratori si organizzavano era quello di determinare le tariffe
salariali.
Lo sciopero (= astensione collettiva dal lavoro), il quale veniva utilizzato per costringere il datore
di lavoro ad accettare la rideterminazione tariffaria.
Anche lo sciopero era previsto come reato dal codice penale sardo (nonostante lo Statuto
Albertino del 1848 riconoscesse il diritto di adunarsi pacificamente e senz armi).
Soltanto in Toscana continuava a vigere il pi liberale codice leopoldino del 1853, il quale
sanzionava lo sciopero solo se violento.
Le cose cambiarono con il Codice (penale) Zanardelli del 1889, il quale mostrava un approccio pi
tollerante nei confronti del fenomeno sindacale: quest ultimo infatti, non viene pi vietato a priori e
viene ricondotto al diritto privato.
In questo frangente:
Il contratto collettivo (di tariffa) viene inquadrato nell ambito del diritto privato, con la
conseguenza che la sua violazione dev essere ritenuta produttiva di effetti meramente
obbligatori e non reali(ossia, pu portare solo al risarcimento del danno e non alla sostituzione
della clausola individuale difforme da quella collettiva).
Lo sciopero fu ricostruito giuridicamente nei termini di libert, con la conseguenza che
integrava comunque un inadempimento contrattuale col conseguente obbligo di risarcimento dei
danni alla controparte.
Inoltre, continuava ad essere vietato se condotto con violenza o minaccia, requisiti che la
giurisprudenza interpret spessa in maniera tanto ampia da vanificare del tutto il liberalismo del
codice.
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Con l avvento del fascismo (1922), il quale propugnava la prevalenza dell interesse superiore della
22
CAPITOLO II
LE RELAZIONI SINDACALI
Per Relazioni Sindacali si intende linsieme dei rapporti giuridici intercorrenti tra il datore di lavoro e i
lavoratori subordinati intesi come collettivit allinterno dei luoghi di lavoro, allorquando queste
relazioni vengano a realizzarsi tramite un soggetto intermedio, ovvero il Sindacato, rappresentante
delle istanze e degli interessi dei dipendenti.
1. Organizzazioni Sindacali
Il Sindacato quellassociazione finalizzata a tutelare i lavoratori ad esso aderenti, dei quali assume la
rappresentativit in sede contrattuale.
Il sindacato si forma nell ambito di unaffinit di interessi che si identifica con la categoria
professionale.
Tale affinit di interessi un fatto ontologico (in rerum natura) tuttavia, senza una norma che la
riconosca, priva di rilevanza giuridica: mentre nel sistema corporativo richiesto che il
riconoscimento avvenisse con legge (norma eteronoma), oggi la determinazione della categoria
professionale avviene con l atto costitutivo e lo statuto dell associazione sindacale (ovvero con atto di
autonomia).
I sindacati in concreto si distinguono a seconda:
a) Dei criteri di aggregazione seguiti dai lavoratori (per individuare le categorie al fine della
formazione di un organizzazione sindacale), i quali principalmente sono: 1. mestiere; 2. struttura
aziendale di appartenenza; 3. attivit professionale svolta dai lavoratori; 4. settore economico in
cui opera l imprenditore.
b) Dellampiezza della tutela: alcuni sindacati focalizzano la tutela dei soli iscritti mentre altri
ambiscono a porsi quali rappresentanti di tutti i lavoratori, anche non iscritti;
c) Della relazione che il sindacato instaura col potere politico.
Il modello sindacale pi diffuso in Italia quello confederale, caratterizzato dalla confluenza delle
strutture rappresentative di categoria (quelle cio che rappresentano i lavoratori di singoli settori
produttivi: chimici, tessili, metalmeccanici; ecc.) in strutture intercategoriali, le quali , comprendendo
pi categorie al loro interno, sono almeno in teoria idonee a risolvere gli eventuali conflitti tra
categorie e ad assicurare un coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali.
Le strutture intercategoriali pi importanti sono:
GCIL (Confederazione generale italiana del lavoro) la quale raccoglie al suo interno (ai vari
livelli territoriali) federazioni di categoria che ne condividono lispirazione politica: Fiom
(federazione italiana operai metalmeccanici), Filt (federazione italiana lavoratori dei trasporti), Flc
(federazione italiana lavoratori della conoscenza: cio della scuola e dell universit), ecc.
CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori), la quale raccoglie: Fim (federazione
italiana metalmeccanici), Fai (federazione agricola industriale), Filca (federazione italiana
lavoratori costruzioni), ecc.
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24
2. LAzione Sindacale
Il Sindacato esercita la sua azione in rappresentanza del lavoratore e a tutela del rapporto di lavoro
dello stesso.
L'azione sindacale, ovvero la partecipazione del sindacato alla formazione delle norme in materia di
rapporto di lavoro si svolge secondo i modelli delle cosiddette relazioni sindacali e, principalmente,
attraverso la concertazione e la contrattazione.
La concertazione presuppone una partecipazione del sindacato alle scelte del governo o, comunque,
della parte datoriale, ed finalizzata a raggiungere il pi ampio consenso ma non obbliga l'altra parte
ad assecondare le eventuali istanze sindacali.
La contrattazione si svolge invece sulle materie ad essa demandate, con l'obiettivo di raggiungere un
accordo, ed ha nello sciopero l'unico mezzo di pressione.
Importante poi la partecipazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti alla gestione delle
imprese, la quale pu realizzarsi tramite una gamma di istituti, accomunati dal fatto di comportare un
coinvolgimento dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti in alcuni processi decisionali delle imprese
(Diritto di Informazione e Diritto di Consultazione).
25
Innanzitutto, sia libert positiva (= di organizzarsi in sindacato senza subire per ci stesso
conseguenze negative ovvero discriminatorie in ambito lavorativo) sia libert negativa (= di
non aderire ad un organizzazione sindacale ovvero, se iscritto, di dimettersi).
In proposito vanno richiamati gli artt. 14 e 15 dello Statuto dei lavoratori: a) l art. 14 sancisce
il diritto di tutti i lavoratori di costituire sui luoghi di lavoro associazioni sindacali, di aderirvi
e di svolgere attivit sindacali; b) l art. 15 prevede la nullit degli atti o patti diretti a
subordinare l occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o meno ad un
sindacato (sono quindi vietate in Italia le clausole di closed shop, che subordinano
loccupazione di un lavoratore alla sua affiliazione sindacale).
Inoltre, libert dallo Stato, in quanto a quest ultimo precluso invadere la sfera di libert
dei gruppi organizzati; in particolare si identifica nella libert da qualsiasi norma che
autorizzi la formazione di organizzazioni sindacali o che autorizzi l'esercizio della relativa
attivit, in tal modo superando il corporativismo del previgente regime fascista secondo il
quale era il governo a decidere con quale sindacato intrattenere relazioni, delegittimando, in
tal modo, i sindacati non graditi.
Ne deriva quindi, per l organizzazione sindacale, la libert nell individuazione delle proprie
finalit e delle strategie di azione.
Secondo la Corte Costituzionale (sentenze n. 697/1988 e 124/1991) limitazioni legali
allautonomia sindacale sono giustificabili solo in presenza di situazioni eccezionali e a
salvaguardia di superiori interessi generali e, comunque, hanno carattere di transitoriet nel
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senso che, una volta cessata l emergenza che lo legittimava, l intervento limitativo del
legislatore si pone in contrasto con gli artt. 39 e 36 Cost.
Nella tutela delle libert sindacali una pietra miliare stata posta dalla legge 20 maggio 1970, n. 300
(Statuto dei diritti dei lavoratori), il cui art. 14 ha rafforzato il principio costituzionale della libert di
associazione e di attivit sindacale gi previsto dallart. 39 I co. Cost., stabilendone l'esercizio anche
nei luoghi di lavoro (cos ripristinando le commissioni sindacali interne abolite in epoca fascista).
Il successivo art. 15 pone il divieto di atti discriminatori sanzionando con la nullit ogni atto che
condizioni l'assunzione di un lavoratore o ne determini il mutamento di mansioni o la modifica della
posizione di lavoro od anche il licenziamento in relazione alla sua affiliazione o meno ad un sindacato
oppure alla sua partecipazione ad attivit sindacali.
A tal fine lart. 28 dello stesso Statuto introduce un procedimento giudiziario speciale per la
repressione della condotta antisindacale, fermo l'onere della prova a carico dell'attore, col quale viene
annullato ogni atto o patto discriminatorio.
Gli atti discriminatori sanzionabili ai sensi dell'art. 15 non sono soltanto gli atti diretti a colpire un
soggetto, in relazione alla sua posizione sindacale, o intesi a precludere l'esercizio delle libert
sindacali bens anche quelli che conferiscono privilegi a favore di quelli che non aderiscono ad
associazioni sindacali o alle relative iniziative (Trattamenti Economici Collettivi discriminatori).
A tale norma collegata la previsione dell'art. 17 che vieta la costituzione di sindacati di comodo,
ossia di sindacati sostenuti o addirittura finanziati dalla parte datoriale e ad essa pi vicini al fine di
concludere con essi trattative sostanzialmente unilaterali in tal modo aggirando l'obbligo del
confronto con i sindacati realmente rappresentativi.
La libert di organizzazione sindacale trova per significative limitazioni per alcune categorie di
lavoratori:
a) agli appartenenti alle forze armate fatto divieto di esercitare il diritto di sciopero nonch di
costituire o aderire ad associazioni professionali a carattere sindacale;
b) il personale dei corpi di polizia non militari (e quello del Corpo forestale dello Stato) pu aderire
a sindacati che siano formati, diretti e rappresentati esclusivamente da appartenenti alla Polizia di
Stato.
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Unica condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno
a base democratica; la conseguenza di tale sistema che i sindacati registrati, rappresentati
unitariamente in proporzione ai propri iscritti possono stipulare contratti collettivi con efficacia
generale.
L art. 39, co. 2-4 tuttavia non ha mai trovato attuazione sia per ragioni di carattere politico (ossia, per
la diffidenza di tutti i sindacati verso qualsiasi forma di intervento dello Stato, che visto come
limitativo della libert di organizzazione) sia per ragioni di carattere tecnico (consistenti nella difficolt
sia nello stabilire in concreto quando uno statuto si possa definire a base democratica sia nell
accertamento del numero degli iscritti, che si conosce solo approssimativamente).
Linattuazione dellart. 39 Cost. ha comportato due importanti conseguenze:
Dal punto di vista dei sindacati, questi assumono oggi la qualificazione di associazione non
riconosciuta, nei cui confronti trova quindi applicazione la (scarna) disciplina degli artt. 36 e 38
c.c., in virt della quale essi godono solo di parziale autonomia patrimoniale, nel senso che delle
obbligazioni assunte risponde innanzitutto il fondo sociale e, dopo lescussione dello stesso,
coloro i quali hanno agito in nome e per conto dell associazioni.
Tale normativa, essendo stata elaborata sul modello delle piccole associazioni, risulta
palesemente inadeguata a disciplinare gli aspetti pi complessi dell associazionismo sindacale.
Dal punto di vista dei contratti collettivi: a causa della mancata attuazione della seconda parte
dell'art. 39 il sindacato non legittimato a stipulare contratti collettivi validi erga omnes, ossia
verso tutti gli appartenenti alla categoria di riferimento e col carattere di unicit tipico degli atti
normativi; dall altro, lanomia (ossia l assenza di regole ad hoc che disciplinino il potere di
stipulare il contratto collettivo) ancora ad oggi regola la materia, con la conseguenza che oggi la
regolazione della contrattazione sindacale costituita da un quadro composto di elementi di
varia natura e di diverso peso (complesso che oggi, a seguito del caso Fiat, vacilla fortemente):
1. Ricorso norme e categorie di diritto privato: lo schema giuridico di fondo del contratto
collettivo ancora costituito dal diritto privato; si discorre, in particolare di contratto collettivo cd
di diritto comune (contratto atipico pienamente ammissibile ai sensi dell art. 1322 c.c.).
Si cercato per col tempo di superare l impostazione individualistica, che vede cio il contratto
collettivo come espressione di autonomia individuale, introducendo il concetto di autonomia
collettiva, inteso come potere dell aggregazione di tutelare e regolare il proprio interesse, il quale
appunto collettivo e in quanto tale, superiore ai singoli interessi individuali (tale orientamento
riconducibile innanzitutto a Santoro Passarelli).
I limiti di questa ricostruzione (diritto privato temperato dall autonomia collettiva) sono per
evidenti e risiedono sostanzialmente nel suo radicamento in istituti, comunque, pensati in un ottica
individuale:
a) il potere del sindacato di stipulare il contratto collettivo viene fondato sulla rappresentanza
volontaria (il singolo, iscrivendosi al sindacato gli conferisce il mandato a compiere atti per
proprio conto) con la conseguenza che si limita l efficacia soggettiva del contratto collettivo ai
solo lavoratori iscritti ai sindacati;
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b) l unica sanzione per l inosservanza del contratto rimane quella meramente obbligatoriarisarcitoria, la quale senz altro inadeguata per le esigenze di tutela del lavoro proprie del
fenomeno sindacale che richiede la sostituzione automatica di quanto previsto dal contratto
collettivo.
2. Teoria dell ordinamento intersindacale di Giugni. Giugni innanzitutto procede ad un cambio di
prospettiva metodologica: egli, giovandosi della teoria della pluralit degli ordinamenti giuridici di
Santi Romano, si sgancia dalla classica identificazione del diritto nella legge e si concentra
piuttosto sull osservazione della realt dei fatti.
Ebbene, Giugni rileva come i protagonisti di quegli anni (Confindustria da un lato e CGIL, CISL e UIL
dall altro, che all epoca di Giugni, erano ancora caratterizzate da un unit di azione) abbiano
dato vita, nella prassi, ad un vero e proprio sistema di produzione di norme (per la loro
amministrazione nonch per la risoluzione extragiudiziale delle relative controversie), finalizzato a
garantire un equilibrio dinamico tra gli interessi delle parti, il quale si configura come autonomo
ordinamento, cd. intersidacale, indipendente da quello statuale (a suo avviso anche originario, ossia
non derivato dall ordinamento statale).
Leffettivit di questo sistema (ossia la sua capacit autoregolativa) dimostrata e rilevabile e il suo
architrave costituito dal reciproco riconoscimento delle parti, ciascuna delle quali legittima l
altra nella veste di portavoce dell intero ambito di riferimento.
quindi alle regole proprie dell ordinamento intersindacale che bisogna rifarsi in seguito all
inattuazione dell art. 39 Cost.
Le ripercussioni di tale teoria sul contratto collettivo sono diverse:
a) innanzitutto, il criterio di selezione del soggetto con cui ciascuna parte sceglie di stipulare il
contratto collettivo dato dalla rappresentativit (effettiva forza del sindacato nel generare e
acquisire consenso): intuitivo infatti che, in tanto la controparte riconosce nell altra il
proprio interlocutore, in quanto certa che essa sia in grado di far garantire il rispetto delle
regole pattuite;
b) il fondamento del potere di stipulare il contratto collettivo non va fatto pi risiedere nella
rappresentanza ma nella rappresentativit, ossia nel potere sociale del sindacato;
c) il contratto assume, in concreto, un efficacia soggettiva tendenzialmente generale, estesa a
tutto l ambito di riferimento.
In questo senso, lo sciopero, da diritto individuale del lavoratore, diventa un rimedio
autosanzionatorio, una sorta di garanzia sociale degli equilibri definiti dalle parti collettive.
Tale teoria ha retto fino al caso FIAT, iniziato nel 2009, il quale ha condotto ad una implosione del
sistema sindacale di fatto.
3. Sostegni da parte dell ordinamento statale. Questi sono di due generi:
a) Legislativi:
-
Il primo sostegno risale alla legge Vigorelli (741/1959) con la quale si delegava il governo
ad emanare decreti legislativi con cui determinare minimi di trattamento economiconormativo per ciascuna categoria di lavoratore subordinato, col vincolo, per il governo
stesso, di recepire i contratti collettivi, nazionali e provinciali, stipulati antecedentemente.
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Altro sostegno importante al contratto collettivo si avuto con l originario art. 19 St. lav., il
quale riconosce particolari diritti sindacali alle rappresentanze sindacali aziendali costituite
nell ambito della associazioni sindacali aderenti alle confederazioni maggiormente
rappresentative.
b) Giurisprudenziali:
Alcuni contributi sono di stampo individuale, come l orientamento (oramai pacifico) che
afferma che qualora nel contratto individuale le parti abbiano operato un rinvio al contratto
collettivo, quest ultimo da intendersi recepito per relationem, di guisa che il datore non vi
si pu sottrarre, ovvero quello secondo il quale il datore di lavoro aderente all associazione
stipulante tenuto ad applicare il contratto collettivo nei confronti di tutti i propri
dipendenti, a prescindere dalla loro iscrizione al sindacato firmatario del contratto.
Altri (e pi importanti) sono di carattere collettivo: ad esempio, per l individuazione del
contratto applicabile la giurisprudenza ha fatto a lungo ricorso all art. 2070 c.c. (concernente
il criterio di applicazione del contratto collettivo di diritto corporativo e sancente che:
L'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione del contratto collettivo,
si determina secondo l'attivit effettivamente esercitata dall'imprenditore./ Se l'imprenditore
esercita distinte attivit aventi carattere autonomo, si applicano ai rispettivi rapporti di lavoro
le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attivit./ Quando il datore di
lavoro esercita non professionalmente un'attivit organizzata, si applica il contratto collettivo
che regola i rapporti di lavoro relativi alle imprese che esercitano la stessa attivit) in virt
del quale sarebbe necessariamente da applicare quello della categoria corrispondente
allattivit effettivamente esercitata dall imprenditore; tale orientamento stato superato da
una pi recente giurisprudenza, ad avviso della quale il criterio indicato contrasta col
principio della libert sindacale, per cui all art. 2070 c.c. andrebbe riservato un ambito un
ruolo solo residuale, potendo lo stesso trovare applicazione solo quando l intento delle parti
non chiaro ai fini dell applicazione delle norme legali.
Ma sicuramente, i pi importanti contributi sono quelli che riguardano il problema dell
efficacia soggettiva e oggettiva del contratto di lavoro, che vedremo pi avanti.
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Si delineato quindi un quadro ibrido retto da tre fondamentali poteri: 1. L autonomia individuale
(potere giuridico); 2. La fonte del diritto (potere giuridico); 3. Potere espresso dalla rappresentativit
sindacale (potere sociale), ibrido che non riesce a tenere testa agli oramai pressanti problemi
economici, come dimostra il caso FIAT.
Nel sistema corporativo l organizzazione sindacale a livello aziendale era di fatto scomparsa: con
Patto di Palazzo Vidoni del 1925 le commissioni interne furono abolite e la legislazione successiva
introdurr la figura del fiduciario di azienda, che per in pratica non aveva quasi alcun potere.
Dopo la caduta del fascismo, il Patto Buozzi Mazzini del 1943 reintrodusse le commissioni interne,
configurandole come organi di rappresentanza unitaria ed elettiva di tutti i lavoratori, impiegati e
operai e attribuendo alle stesse anche poteri contrattuali anche a livello aziendale, poteri che per
vennero eliminati gi con l accordo interconfederale del 1947 e col successivo del 1953, i quali
attribuirono alla commissioni interne una funzione generale di collaborazione con l azienda (anche se
poi in concreto spesso si poneva in conflitto con l imprenditore) e compiti specifici, quali, in
particolare quelli: a) deliberativi in materia di assistenza in azienda; b) di consultazione nei confronti
dell imprenditore nell emanazione del regolamento di azienda; c) di risoluzione delle controversie
individuali di lavoro.
Nonostante le limitazioni sul piano dei poteri negoziali, le commissioni interne hanno rappresentato l
architrave del sistema delle relazioni sindacali per almeno un ventennio.
Con la stipulazione dell accordo del 1966, cominciarono ad affermarsi altri organismi sindacali che
gradualmente eliminarono dalla scena le commissioni interne.
Questi organismi durarono ben poco in quanto travolti dal sindacalismo spontaneo che esplose
negli anni della contestazione studentesca e operaia, esplosa a partire dal 1968: in questi anni infatti,
assunsero particolare importanza, tra gli altri, le figure del delegato (eletto direttamente dai lavoratori
appartenenti ad un gruppo omogeneo e a prescindere da una necessaria appartenenza sindacale) e
dei i consigli di fabbrica, che raccoglieva tutti i delegati di un azienda, figure che si ponevano in una
posizione di contestazione rispetto ai sindacati confederali, accusati di verticismo (ossia di distaccarsi
dagli effettivi interessi dei lavoratori).
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Delegati e Consigli furono per ben presto ridimensionati, a seguito di due interventi:
1. lo Statuto dei lavoratori (l. 300/1970), la quale introduce all art. 19 una specifica forma di
rappresentanza dei lavoratori in azienda (RSA);
2. il Patto federativo del 3 luglio 1972 (che porta alla nascita della Federazione CGIL, CISL e UIL), col
quale si individuava nel Consiglio dei delegati l istanza sindacale di base con poteri di contrattazione
sui posti di lavoro ma al tempo stesso si assicurava un collegamento organizzativo e di indirizzo tra
sindacato esterno e rappresentanza in azienda.
Con gli accordi interconfederali del 1993, poi, stata regolamentata listituzione delle
rappresentanze sindacali unitarie (RSU), alle quali possono essere estese le prerogative dello statuto
dei lavoratori in quanto i criteri di formazione non sono in contrasto con quelli previsti dall art. 19 st.
lav.
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33
ma in quanto, pur essendo rappresentative, abbiano liberamente deciso di non sottoscrivere laccordo.
Ebbene, la Corte Costituzionale con sentenza (additiva) del 3 luglio 2013, n. 231, ha accolto il ricorso,
dichiarando lillegittimit costituzionale dellart. 19 nella parte in cui non prevede che la
Rappresentanza Sindacale Aziendale sia costituita anche da associazioni sindacali che, pur non
firmatarie dei contratti collettivi applicati nellazienda, abbiano partecipato alla trattativa.
Resta per ancora indefinito il livello di partecipazione richiesto per superare la soglia di accesso all
art. 19, essendo stato individuato genericamente dalla Corte nei termini di partecipazione attiva.
RAPPRESENTANZE SINDACALI UNITARIE (RSU)
L accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 tra Confindustria e organizzazioni sindacali ha
previsto l introduzione, nelle unit produttive con pi di 15 dipendenti, delle RSU.
Tuttavia, la possibilit di costituire RSA permane in capo ad associazioni sindacali che non abbiano
preso parte alla RSU, purch siano dotate del requisito di rappresentativit previsto dallart. 19 St.lav.
In tale caso, in un'unit produttiva potrebbe aversi la contemporanea presenza d una o pi RSA e
della RSU.
In virt dellAccordo del 1993:
La caratteristica essenziale delle RSU che i componenti della struttura rappresentativa sono eletti
da tutti i lavoratori, sulla base di liste presentate dalle associazioni sindacali formalmente
strutturate (non estemporanee o occasionali). Il sistema elettorale di tipo proporzionale (come
quello previsto dall art. 39 Cost.) ma solo per i 2/3 dei seggi, in quanto questi seggi vengono
distribuiti in rapporto al numero di voti; il 1/3 residuo viene riservato a rappresentanti dei sindacati
firmatari del ccnl applicato all unit produttiva.
Le RSU subentrano alle RSA nella titolarit dei diritti, dei permessi e delle libert sindacali previste
dal titolo III dello Statuto nonch nella titolarit dei poteri e nell esercizio delle funzioni attribuite
dalla legge; ne deriva che le RSA mantengono un residuo spazio funzionale (in particolare,
laccordo fa salvi: a) il diritto di indire l assemblea dei lavoratori durante l orario di lavoro; b) il
diritto ai permessi non retribuiti; c) il diritto di affissione.
Alle RSU riconosciuto il potere di stipulare il contratto collettivo aziendale di lavoro nelle materie,
con le procedure, modalit e nei limiti stabiliti dal ccnl applicato nell unit produttiva.
La disciplina delle RSU stata parzialmente modificata dal Protocollo del 31 maggio 2013, il quale ha:
confermato il principio secondo cui le organizzazioni sindacali, partecipando alla procedura di
elezione delle RSU rinunciano formalmente ed espressamente a costituire RSA;
previsto che le RSU saranno elette con voto proporzionale (= sembrerebbe estendere il sistema
proporzionale anche al 1/3 riservato ai sindacati firmatari del ccnl; ma tale soluzione non da
tutti condivisa);
introdotto la regola per cui il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente
la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della
lista di originaria appartenenza del sostituto.
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inerenti all'attivit sindacale (= piano pi ristretto rispetto al diritto di assemblea) indetti da tutte le
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rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori
appartenenti alla unit produttiva e alla categoria particolarmente interessata.
Ai sensi dell art. 22 st. lav., il trasferimento dall'unit produttiva (= trasferimento in senso
tecnico, inteso cio come spostamento e inserimento stabile del dirigente in un articolazione
organizzativa dellimpresa diversa da quella originaria di appartenenza) dei dirigenti delle
rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di
commissione interna pu essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di
appartenenza: si tratta di una garanzia che riguarda il dirigente della RSA, ossia colui che,
designato da parte del sindacato ad iniziativa dei lavoratori, svolga concretamente ed
effettivamente attivit sindacale nell unit produttiva di appartenenza.
La giurisprudenza ha precisato che: a) la norma deve interpretarsi nel senso che riguarda tutti quei
lavoratori
che,
prescindere
dalla
qualificazione
formalistica
della
loro
posizione
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Ai sensi dell art. 26 st. lav., i lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera
di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all'interno dei luoghi di lavoro, senza
pregiudizio del normale svolgimento dell'attivit aziendale (es: diffondendo stampati nell
ambiente di lavoro): si tutela, cio, la libera manifestazione del pensiero sindacale.
Tale diritto ovviamente devessere esercitato nel rispetto dei consueti canoni di legittimit,
sostanzialmente riconducibili a : I. continenza (linguaggio appropriato); II. pertinenza (esistenza di
un pubblico interesse alla conoscenza e alla divulgazione del fatto e dell opinione); III. veridicit
(corrispondenza tra i fatti riferiti e accaduti).
Ai sensi dell art. 27 st. lav., infine, il datore di lavoro nelle unit produttive con almeno 200
dipendenti pone (= ha l obbligo di porre) permanentemente a disposizione delle rappresentanze
sindacali aziendali, per l'esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all'interno dell'unit
produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
Nelle unit produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali
hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.
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Direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (11 marzo 2002) la quale
evidenzia la carenza dei quadri giuridici esistenti a livello comunitario e nazionale circa il
coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni che li riguardano e, conseguentemente, la
necessit di intensificare il dialogo sociale e le relazioni di fiducia nell ambito dell impresa.
In particolare, la direttiva dispone che all informazione sulla probabile evoluzione dell attivit
d impresa nella data situazione economica devessere affiancata anche la consultazione sulla
possibile evoluzione dell occupazione e, pi in generale, su tutte le decisioni suscettibili di
comportare cambiamenti di rilievo in materia di organizzazione del lavoro e di contratti di
lavoro.
Tale direttiva stata attuata in Italia dal d. lgs. 25/2007, il quale ha affidato alla contrattazione
collettiva il compito di definire le modalit di informazione e consultazione in modo da
garantire il contemperamento degli interessi dell impresa con quelli dei lavoratori.
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lavoratori per Stato membro in almeno 2 Stati membri). In tali ipotesi , cio, si prevede l
istituzione di un comitato aziendale europeo (CAE) e comunque la definizione di altre
procedure adeguate per l informazione e la consultazione transnazionale dei lavoratori.
In Italia, tale direttiva ha ricevuto attuazione prima col d.lgs. 74/2002, recentemente sostituito
dal d.lgs. 113/2012 il quale prevede che i componenti italiani del CAE sono designati per 1/3
dalle organizzazioni sindacali che abbiano stipulato il ccnl applicato nell impresa o gruppo di
imprese interessate e per 2/3 dalle RSU dell impresa ovvero del gruppo di imprese.
-
Infine, la Direttiva 2001/86/CE del Consiglio, la quale completa la disciplina dello statuto della
Societ europea (prevista dal Regolamento CE n. 2157/2001 del Consiglio) per quanto riguarda
il coinvolgimento dei lavoratori. La direttiva fornisce una specifica definizione di consultazione:
apertura di un dialogo e d uno scambio di opinioni tra l organo di rappresentanza dei
lavoratori e l organo competente della SE e di partecipazione: influenza dell organo di
rappresentanza dei lavoratori nelle attivit di una societ mediante o il diritto di eleggere o
designare alcuni membri dell organo di vigilanza o di amministrazione della societ o il diritto
di raccomandare la designazione di alcuni o tutti i membri dell organo di vigilanza o di
amministrazione della societ ovvero di opporvisi.
Tale direttiva stata attuata dal d. lgs.188/2005 che prevede l istituzione di un organo di
rappresentanza che sar interlocutore degli organi competenti della SE.
2) il diritto di negoziazione e di azione collettiva (art. 28) ai sensi del quale, i lavoratori e i datori di
lavoro e le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni
e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di
ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa di loro interessi, compreso
lo sciopero.
In realt anche l art. 46 della nostra Cost. riconosce il diritto di lavoratori a collaborare, nei modi e nei
limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende.
Tale norma, tuttavia, non stata attuata formalmente.
Si pu per oggi affermare una tendenziale linea evolutiva volta a valorizzare processi autonomi a
impronta partecipativa; si pensi, ad esempio alla istituzione, effettuata dalle parte sociali tramite
accordi, degli enti bilaterali, (ossia di enti privati che si costituiti liberamente dalle associazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro in una determinata categoria professionale), riconosciuti
espressamente dall art. 2 d. lgs. 276/2003.
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efficaci per tutto il personale e vincolano tutte le associazioni sindacali firmatarie di questo accordo
interconfederale che operano all interno dell azienda.
Inoltre, per il caso di assenza di RSU, l accordo riconosce medesima efficacia al contratto
approvato dalla RSA costituita nell ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o
insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi
sindacali conferite dai lavoratori dell azienda nell anno precedente a quello in cui avviene la
stipulazione.
40
CAPITOLO III
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA
1. Definizione e Funzioni
Il contratto collettivo un contratto stipulato tra soggetti collettivi, ossia tra soggetti rappresentativi di
categorie contrapposte; il contratto collettivo di lavoro il contratto stipulato tra sindacati,
rappresentanti dei lavoratori di quella determinata categoria o azienda, e sindacati o altri organismi
(come l'ARAN, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle amministrazioni pubbliche)
rappresentanti degli imprenditori o, comunque, della parte datoriale.
Nel sistema delle relazioni industriali (cio delle relazioni tra i soggetti collettivi rappresentativi degli
interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro), il metodo principalmente utilizzato per la creazione di
sistemi normativi validi stato sempre quello della contrattazione collettiva.
Il contratto collettivo di lavoro pu essere stipulato a livello nazionale od anche a livello di azienda,
ove ci sia previsto.
Il Contratto Collettivo un Contratto Nominato dallOrdinamento Giuridico, ma privo di una Tipicit
Giuridica a livello di Disciplina.
La Funzione generale del Contratto Collettivo quella di tutelare gli interessi dei lavoratori
rappresentati; tale funzione si articola in alcune Funzioni pi specifiche (Funzione Normativa e
Funzione Obbligatoria).
Funzione Normativa: tale funzione fa riferimento al fatto che il contratto collettivo ha l'obiettivo
di dettare le "norme" che dovranno valere per una serie indeterminata di contratti individuali di
lavoro subordinato.
In questo modo, il contratto collettivo si inserisce dall'esterno, come fonte eteronoma (al pari della
legge), nel contenuto dei singoli contratti di lavoro rientranti nell'ambito di efficacia del contratto
collettivo.
Cos, quando il contratto collettivo determina il regime dell'orario di lavoro, l'ammontare dei riposi,
la misura della retribuzione spettante ad un lavoratore adibito a determinate mansioni ecc., il
contenuto delle previsioni collettive in questione, vale per le parti individuali.
Funzione Obbligatoria: ad essa assolvono quelle previsioni del Contratto Collettivo (Clausole
Obbligatorie) che istituiscono diritti e obblighi valevoli per e tra gli stessi soggetti collettivi.
Le Clausole Obbligatorie sorgono sia dal lato degli Imprenditori, sia da quello dei Lavoratori.
Come esempio di Obblighi "imprenditoriali", vale menzionare le varie tipologie di obblighi di
informazione, in virt dei quali i sindacati degli imprenditori, o le stesse imprese, si impegnano ad
informare i sindacati dei lavoratori circa una serie di questioni concernenti le condizioni del
mercato,
le
strategie
d'impresa,
le
eventuali
ristrutturazioni
in
programma,
etc.
Come es. di Obblighi dei Lavoratori sono evocabili le clausole di "pace sindacale", grazie alle
quali un sindacato si impegna a non proclamare scioperi in un determinato periodo.
41
2. Livelli Contrattuali
In base al livello organizzativo, distinguiamo tra:
accordo interconfederale, il quale ha ad oggetto una regolazione unica per pi comparti o
categorie o settori produttivi e pone le regole generali delle relazioni sindacali;
contratto di categoria o comparto, il cd. contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl), il
quale mira alla regolamentazione dei rapporti di lavoro in un determinato settore produttivo;
contratto geograficamente delimitato (a livello regionale, provinciale o territoriale) che
riguarda imprese appartenenti al medesimo settore produttivo ma operanti in una determinata
realt geografica che va tenuta in considerazione;
contratto aziendale, ossia applicato alla sola azienda presso cui stato stipulato;
contratto di unit produttiva, ossia applicato ad una articolazione interna di una pi grande
azienda.
Il ccnl definito contratto di primo livello mentre gli altri sono definiti contratti decentrati o di
secondo livello.
NB: le PA sono accorpate in settori omogenei definiti comparti; per ogni comparto previsto un livello
nazionale di contrattazione .
Problema: quali sono i rapporti tra i vari livelli contrattuali?
Per quanto riguarda la giurisprudenza:
Inizialmente la giurisprudenza, applicava (come al rapporto contratto collettivo-contratto
individuale), l art. 2077 c.c., ritenendo quindi inderogabile in peius il contratto collettivo
nazionale da parte di quello inferiore.
In un secondo momento, giungeva allo stesso risultato ma attraverso la cd tesi del mandato
ascendente, ossia in virt della posizione gerarchicamente subordinata delle associazioni di
livello inferiore.
A partire dagli anni 80 si avuto un radicale cambio di orientamento: la giurisprudenza, infatti,
ha iniziato a fare ricorso al criterio della successione temporale, considerando tutti i contratti su
uno stesso piano , in tal modo ammettendo deroghe, anche peggiorative, del contratto
aziendale rispetto a quello nazionale.
Per quanto riguarda le scelte dei sindacati:
La disciplina dei rapporti tra i vari livelli contrattuali, in assenza di interventi legislativi e stante il
limite negativo costituito dall art. 39, co. 2-4 Cost, discende principalmente dalla regolazione
contrattuale che di fatto i sindacati si sono dati: si tratta quindi di un sistema molto fragile che ha
retto durante le fasi caratterizzate da un unit di azione sindacale ma che mostra tutta la sua
debolezza nei momenti (come quello attuale) in cui questa unit viene meno.
I rapporti tra i diversi livelli contrattuali (di gerarchia o di coordinamento) sono storicamente mutevoli
e dipendono dalle scelte autonome delle parti contraenti. Vediamone brevemente le principali tappe:
Negli anni della ricostruzione post bellica, prende piede il sistema sindacale di fatto (che trova il
suo asse portante sul piano dell effettivit) la tendenza era quella dell accentramento del sistema
contrattuale nelle mani delle 3 grandi confederazioni , contraddistinte all epoca da un unita di
42
azione, agevolata dalla grande fase di sviluppo socio-economico che il nostro Paese stava
attraversando
Nei primi anni sessanta, si introdusse un articolazione controllata e governata dei rapporti tra i due
livelli, caratterizzata dal meccanismo della delega (la contrattazione aziendale pu intervenire solo
sulle materie ad essa affidate dal contratto nazionale)
Gi verso la fine degli anni 60 tale criterio entra in crisi in correlazione con le dinamiche del cd
autunno caldo e con una disarticolazione del sistema, occupando spesso la contrattazione di
secondo livello uno spazio autonomo e non vincolato alle prescrizioni del contratto nazionale
Con la crisi petrolifera degli anni 70 si torn ad assegnare centralit al sistema e a valorizzare gli
accordi interconfederali
Nella prima met degli anni 80, si mut nuovamente rotta con l introduzione delle pratiche
concertative o neocorporative, caratterizzate dalla presenza dello Stato quale parte negoziale, allo
scopo di contenere l inflazione.
La stagione neocorporativa fu per presto abbandonata ma una prima vera disciplina del sistema
contrattuale e del sistema della concertazione si avuta solo col Protocollo del 23 luglio 1993, il
quale riaffermava il ruolo centrale del livello nazionale e la competenza delegata del livello
decentrato.
Gi a partire dagli inizi dello scorso decennio si registrano divergenze tra le grandi confederazioni,
le quali hanno condotto alla stipula di cd accordi separati, separati in quanto firmati solo da CISL
e UIL: si registra quindi (e permane ancora oggi) la rottura dell unit di azione.
L intero sistema negoziale stato per ridefinito con l accordo interconfederale del 22 gennaio
2009 (anch esso non sottoscritto dalla CGIL), il quale ha:
- da un lato, ribadito la subordinazione della contrattazione a livello decentrato alle materie
delegate da quello nazionale di categoria o dalla legge e il principio di irripetibilit (ne bis in
idem), in virt del quale fatto divieto di intervenire su materie gi negoziate ad altro livello
contrattuale, il quale per stato ora esteso a tutte le materie (non soltanto a quelle
retributive);
- dall altro, introdotto la possibilit di stipulare intese derogatorie per il governo delle situazioni
di crisi e per lo sviluppo economico e occupazionale: per tali ipotesi, cio, si prevede che i ccnl
di categoria possano consentire che in sede territoriale siano raggiunte intese per modificare,
in tutto o in parte, anche in via sperimentale o temporanea, singoli istituti economici o
normativi disciplinati dal ccnl di categoria sulla base di parametri oggettivi individuati nel
contratto nazionale medesimo (es: andamento del mercato del lavoro, tasso di produttivit,
ecc.); l efficacia di tali intese subordinata alla preventiva approvazione delle parti che hanno
stipulato il contratto collettivo nazionale di lavoro alla categoria interessata.
Complessivamente si pu rinvenire una tensione verso una maggiore valorizzazione del livello
decentrato (soprattutto aziendale), espressa dall affiancamento del tradizionale meccanismo di
coordinamento basato sulla delega al diverso modello della deroga.
Tuttavia, tale dinamismo evolutivo non legittima una marginalizzazione del livello nazionale; esso
impone soltanto di ripensarne la funzione in una prospettiva coerente col principio di sussidiariet.
43
Negli ultimi anni per questo dinamismo evolutivo verso una maggiore centralit regolativa del
livello aziendale stata spinta allo stremo, provocando una significativa torsione del sistema
contrattuale e la definitiva presa di coscienza che il sistema sindacale non pi in grado di reggersi
sull unit di azione.
Ci riferiamo, in particolare:
a) Al caso FIAT. Caso: nei primi mesi del 2009 si stipulano accordi separati (ancora senza il
consenso della CGIL): in particolare, vengono stipulati l accordo quadro sulla struttura della
contrattazione collettiva, il conseguente accordo interconfederale per l industria e il rinnovo
ccnl metalmeccanici del 2008.
La FIAT per, dinanzi alla pressante concorrenza derivante dalla globalizzazione dei mercati,
inizia a chiedere cambiamenti delle condizioni di lavoro minacciando altrimenti di dislocare gli
impianti in altri Paesi. Per questo motivo vengono stipulati contratti aziendali derogativi rispetto
al ccnl del 2008 (che la Fiom- CGIL si rifiuta di firmare) e, nel 2010, Confindustria recede dal
precedente ccnl del 2008 cos da venire incontro alle richieste della FIAT, la quale preme per
avere maggiore libert contrattuale a livello aziendale.
Ma a questo punto la FIAT rompe gli indugi e decide di uscire dal sistema contrattuale. Per far
ci opera su due fronti:
-
Da un lato, (con il contratto aziendale del 13 dicembre 2011, rinnovato l 8 marzo 2013)
crea nuove societ, introducendo per ciascuna di esse un sistema contrattuale totalmente
interno alla realt aziendale (il quale prevede la stipula, in ciascuna societ, di un nuovo
contratto, qualificato come contratto collettivo specifico di lavoro di primo livello) e
prevedendo la possibilit di una contrattazione di secondo livello, svolta, in via esclusiva
o concorrente, per le materie delegate dal contratto specifico di primo livello.
Dall altro, nel gennaio del 2012 fuoriesce da Confindustria (al fine dichiarato di escludere l
assoggettamento all applicazione del ccnl di categoria, altrimenti vincolante).
Il caso Fiat mette quindi palesemente in luce le carenze derivanti dall anomia del nostro diritto
sindacale, prima fra tutte l assenza di regole sull efficacia soggettiva del contratto collettivo
dinanzi al dissenso individuale collettivo dei lavoratori, costretti oggi, per l aggravarsi della
condizione economica, sempre pi spesso a sacrifici.
b) All introduzione, strettamente legata al caso FIAT, da parte dell art. 8 d.l. 138/2011 (convertito
nella l. 148/2011), della cd contrattazione di prossimit, in virt della quale, i contratti
collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori
comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale o territoriale possono realizzare
specifiche intese (finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualit dei contratti di lavoro,
allemersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitivit e di salario, alla gestione
delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimento e all avvio di nuove attivit) che hanno
efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati ( efficacia ultra partes), a condizione di
essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario (non meglio precisato) relativo alle
predette rappresentante sindacali.
Ma la cosa che pi preoccupa che la norma prevede che dette intese possono operare anche
in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate (le quali di fatto
44
comprendono buona parte del diritto del lavoro) ed alle relative regolamentazioni contenute
nei contratti collettivi nazionali di lavoro, sebbene sempre nel rispetto della Costituzione e dei
vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convezioni internazionali.
La norma solleva quindi molti dubbi di legittimit costituzionale; in particolare, si sono avanzati
dubbi in relazione agli artt.:
-
3 Cost. in quanto l art. 8 consente un aprioristica diversificazione delle regole dei rapporti
di lavoro da azienda ad azienda e da territorio a territorio, cos violando il principio di
eguaglianza;
39 Cost., sia in quanto si viola il principio di libert sindacale (co. 1) sia per la difformit
della disciplina di attribuzione dell efficacia ultra partes al contratto di prossimit rispetto a
quella contemplata dai commi 2-4 della norma;
117, co. 2, lett. m Cost., ai sensi del quale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti
diritti [] sociali devono essere garantiti sul tutto il territorio nazionale.
bene sottolineare comunque che, in attesa di una pronuncia della Corte Costituzionale, le parti
sociali abbiano congelato l art. 8 con una postilla inserita nell accordo interconfederale del
2011 la quale ribadisce che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione sono
affidate all autonoma determinazione delle parti (in pratica, le parti sociali si sono impegnate a
non derogare sotto questi punti di vista all accordo interconfederale).
Per superare questa fase di crisi dell unit di azione sindacale, sono stati due accordi, firmati anche
dalla CGIL, che, per la prima volta regolano (essi stessi) il potere di stipulare il contratto collettivo:
a) L accordo interconfederale del 28 giugno 2011, concernente la stipulazione del contratto
collettivo aziendale, il quale prevede che:
-
legittimati alla stipulazione sono le rappresentanze sindacali unitarie (RSU) elette secondo
le regole interconfederali vigenti o le rappresentanze sindacali aziendali (RSA) costituite
ex art. 19 st. lav.;
l efficacia riguarda tutto il personale in forza e tutte le associazioni sindacali firmatarie del
presente accordo interconfederale operanti all interno dell azienda se: (I) in caso di
stipulazione da parte delle RSU, il contratto aziendale approvato dalla maggioranza dei
componenti della stessa RSU; (II) in caso di stipulazione da parte di RSA, queste siano
costituite nell ambito delle associazioni sindacali che (singolarmente o con altre) risultino
destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai
lavoratori dell azienda.
45
In sostanza laccordo del 2011 e il protocollo del 2013 delineano un unit procedurale per
compensare il venir meno dell unit di azione.
Il problema di fondo, per, rimane il fatto che questi accordi hanno pur sempre natura contrattuale
e, come tali, anche se prevedono la possibilit di esplicare un efficacia generale, tale previsione
irrilevante in quanto rimangono in grado di produrre un efficacia sempre e soltanto relativa.
Appare quindi ineludibile un intervento di stampo legislativo.
46
giudice se ne voglia discostare, dovr adeguatamente motivare la propria decisione. In altre parole, la
giurisprudenza riuscita ad attribuire (indirettamente) efficacia generale alla parte del contratto
collettivo che riguarda i minimi retributivi.
NB: Diverso il problema dell efficacia soggettiva del contratto collettivo con funzioni diverse da
quella tradizionale, es:
1. contratto collettivo gestionale, il quale regolamenta lesercizio dei poteri imprenditoriali
nell'ambito di alcune procedure previste per legge, come ad esempio per scelta dei lavoratori in
una procedura di licenziamento collettivo;
2. contratto collettivo che, in virt della delega contenuta nella l. 146/1990, determina le prestazioni
indispensabili in caso di sciopero nei servizi essenziali;
3. contratto collettivo che attua l ipotesi prevista dall art. 153, co 3, TFUE, ossia che lo Stato affidi
alle parti sociali, a loro richiesta congiunta, il compito di mettere in atto le direttive).
Si cercato di riconoscere a tali figure efficacia soggettiva ultra partes in vario modo (ma si tratta, a
ben vedere, di fragili escamotages):
Con riferimento ai contratti 1 e 2 vi sono due orientamenti:
a) L orientamento pi ricorrente fa perno sul potere del contratto collettivo, al quale in questi casi,
andrebbe riconosciuta la stessa efficacia della norma delegante (legge o TFUE), sfuggendo lo
stesso dall ambito applicativo dell art. 39, co. 2-4 Cost (in questi termini, ad esempio, si
espressa la Corte Cost. nella sent. 344/1996, quando chiamata a sindacare sulla legittimit
costituzionale dei contratti collettivi concernenti rapporti di lavoro flessibile, come il part-time o
il lavoro a termine).
Critica: parte della dottrina osserva che in realt non vi sia alcuna ragione che consenta di
sottrarre il potere esercitato dai contratti collettivi, pur nelle ipotesi di rinvio legislativo, dalle
indicazioni dell art. 39 Cost.
b) Un altro orientamento (sempre della Corte Costituzionale) fa perno sulla centralit del potere
datoriale: in pratica si sostiene che in queste due ipotesi il contratto collettivo regola
direttamente solo il potere datoriale e riguarda solo indirettamente i lavoratori, di modo che ci
si troverebbe fuori dall ambito di applicazione dell art. 39, co. 2-4 Cost.
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In sostanza, quindi, possiamo sottolineare che l efficacia generale di questi contratti collettivi con
funzioni diverse da quella tradizionale finisce per reggersi su escamotages anzich su una convincente
e solida legittimazione democratica.
B) possibile (ed eventualmente in che misura?) che i contratti individuali deroghino a quanto
disposto dal contratto collettivo (qual l EFFICACIA OGGETTIVA: reale o obbligatoria)?
1 possibilit) Anche in questo caso, se aderiamo all impostazione privatistica, dovremmo
concludere che il singolo, come pu dare avvio all aggregazione che ha portato al contratto collettivo,
cos possa rivedere, con un nuovo accordo individuale, quanto dal medesimo contratto determinato.
Anche in questo caso l impostazione risulta insoddisfacente con riguardo alle esigenze di tutela del
lavoro subordinato, le quali impongono proprio di evitare negoziazioni individuali, dato il differente
potere di cui godono le parti del rapporto di lavoro. Inoltre, l unica possibile conseguenza in caso di
inadempimento delle obbligazioni contratte, sarebbe di carattere obbligatorio-risarcitorio, a titolo di
responsabilit contrattuale.
2 possibilit) Occorrerebbe invece introdurre il divieto per il contratto individuale di prevedere
regole difformi da quelle del contratto collettivo con l automatica sostituzione delle seconde alle
prime nell ipotesi di inosservanza (efficacia reale o normativa del contratto collettivo).
Anche tale soluzione ha il suo prezzo da pagare in termini di libert, il quale consiste ora nell
impossibilit, per il singolo, di tornare sui propri passi.
Per venire incontro a quest altra esigenza, la giurisprudenza ha, fin dall inizio degli anni 50,
recuperato, sganciandolo dall ordinamento corporativo, l art. 2077 c.c. (che in teoria dovrebbe
considerarsi abrogato per effetto della soppressione dell ordinamento corporativo nel 1943), che
espressamente prevede detta efficacia per il contratto collettivo di diritto corporativo (I contratti
individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo
devono uniformarsi alle disposizioni di questo./Le clausole difformi dei contratti individuali
preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto
collettivo, salvo che contengano speciali condizioni pi favorevoli ai prestatori di lavoro).
In tal modo, la giurisprudenza ha aperto le porte del nostro ordinamento all inderogabilit in peius
del contratto collettivo di carattere reale (affermando, all inverso, la derogabilit in melius, ossia la
possibilit di pattuizioni individuali pi favorevoli per il prestatore di lavoro, addirittura senza necessit
delle speciali condizioni richieste dalla norma).
La dottrina ha sempre criticato tale impostazione in quanto avversa all estensione dell art. 2077 c.c. in
quanto espressione di un precisa e oramai anacronistica concezione sindacale (quella fascista).
Per cui oggi preferisce rinvenire il carattere inderogabile della natura reale del contratto collettivo in
una nuova e diversa norma: l art. 2113 c.c., il quale a seguito della l. 533/1973, ( Le rinunzie e le
transazioni (1966), che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni
inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c.,
non sono valide) definisce direttamente come inderogabili (non pi le norme corporative ma) i
contratti o accordi collettivi.
In ogni caso, l efficacia reale del contratto collettivo pu considerarsi ormai diritto vivente.
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C) Pu il contratto collettivo produrre effetti anche dopo la sua scadenza ovvero pu avere efficacia
retroattiva?
Se applicassimo pedissequamente il diritto privato dovremmo escludere tale possibilit e quindi
ritenere che, a partire dalla scadenza, si determini un vuoto nella disciplina dei rapporti individuali
di lavoro.
La giurisprudenza invero avalla questa soluzione in quanto non ritiene applicabile al contratto
collettivo l art. 2074, co. 1, c.c. (anch esso riferito al contratto di diritto corporativo) il quale
prevede che il contratto collettivo, anche quando denunziato, continua a produrre i suoi effetti
dopo la scadenza, fino a che sia intervenuto un nuovo regolamento collettivo.
Nei fatti, per, il problema viene risolto alla base, in quanto sono gli stessi contratti collettivi
normalmente a contemplare al proprio interno espresse clausole di ultrattivit, secondo le quali il
contratto produce effetti sino a quello successivo che lo sostituisce.
Per quanto riguarda l efficacia retroattiva del contratto, la giurisprudenza, escludendo
lapplicabilit anche del comma 2 dell art. 2074 c.c. (che vieta l efficacia retroattiva), la ammette (=
il contratto collettivo pu produrre effetti pure per il periodo antecedente alla propria stipulazione
e non soltanto in relazione a trattamenti migliorativi), col limite per dei diritti quesiti, ossia dei
diritti maturati in relazione a prestazioni gi svolte e oramai parte del patrimonio del lavoratore.
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Tuttavia, in questo caso, ha cercato di raggiungere tale risultato per via indiretta: innanzitutto,
conferendo (per legge) il potere negoziale in capo all Aran, in tal modo vincolando tutte le PA; in
secondo luogo, imponendo gli specifici obblighi sub b) alle stesse PA.
Per quanto riguarda poi l efficacia oggettiva, ferma restando l inderogabilit in pejus del contratto
collettivo da parte del contratto individuale, dal principio della parit di trattamento si pu dedurre
che eventuali trattamenti pi favorevoli per il lavoratore dovranno trovare origine in ragione di
carattere sostanziale e, in quanto tali, essere provvisti di motivazione.
50
CAPITOLO IV
LO SCIOPERO
1. Definizione
Lo sciopero la principale arma nelle mani dei lavoratori e delle loro organizzazioni rappresentative
per sostenere le proprie rivendicazioni.
Quando gli interessi non coincidono, la parte dei lavoratori ha a disposizione questo strumento per
convincere la controparte della giustezza delle proprie posizioni, astenendosi dal lavoro e perci
procurando ad essa un danno.
SI tratta, non tanto di uno strumento dl aggressione, quanto di un mezzo di autotutela che i
lavoratori esercitano collettivamente contro potenziali vessazioni da parte del soggetto forte del
rapporto.
Nel nostro ordinamento, non esiste alcuna definizione giuridica di sciopero; la fonte principale, lart.
40 Cost., recita infatti: Il diritto di sciopero si esercita nellambito delle leggi che lo regolano , senza
spiegare cosa si intende per esso.
Ogni definizione lasciata quindi alla comune percezione sociale del fenomeno.
Tradizionalmente per sciopero si intende l'astensione collettiva dal lavoro e, tuttavia, l'aspetto
collettivo deve intendersi soddisfatto pur in presenza di due soli scioperanti.
Il concetto di Astensione dal lavoro comprende anche quei comportamenti positivi che l'esperienza
ha dimostrato essere strettamente collegati con l'effettiva possibilit di esercizio del diritto (attivit di
propaganda e proselitismo, cortei interni, pubbliche manifestazioni, picchettaggio), e a condizione che
essi non travalichino in altri illeciti, come spesso accaduto, ad esempio, in relazione a episodi di
"blocchi stradali".
civile
che
penale
ed
erano
punibili
sia
gli
scioperanti
sia
gli
stessi
sindacati.
Col codice Zanardelli del 1889 lo sciopero non fu pi considerato un reato ma rimaneva un illecito
sotto il profilo civilistico in termini di inadempimento contrattuale dell'obbligo di prestare attivit
lavorativa.
Durante il regime fascista lo sciopero, col codice Rocco, assunse nuovamente rilievo penale; infatti
lart. 502 prevedeva il reato di sciopero (e di serrata) per fini contrattuali, cio effettuato al fine di
ottenere migliori condizioni di lavoro, e lart. 503 prevedeva la pena detentiva per lo sciopero politico,
cio per fini non contrattuali.
Con la caduta del Fascismo, il nuovo ordine democratico propose una lettura diametralmente opposta
dello sciopero, che nella Costituzione del 1948 assurse, appunto, alla dignit di un diritto (art. 40
Cost.).
51
In particolare, con la Costituzione emerse in primo piano la prospettiva dello Stato Sociale, nel quale
lo sciopero unarma posta nelle mani della parte debole del rapporto, per favorirne la parit
sostanziale di cui allart. 3 co. 2; di conseguenza, non c alcuno spazio per forme di responsabilit
civile, rimanendo la perdita della retribuzione lunica conseguenza negativa per i lavoratori che
esercitano un proprio diritto.
Dunque, nel corso degli anni, lo Sciopero stato qualificato in 3 modi:
Sciopero Reato: lo sciopero era considerato un illecito punito sia penalmente che civilmente.
Tale concezione si avuta al tempo dellUnit dItalia col Codice Sardo, e si poi riproposta
allepoca del Fascismo col Codice Rocco.
era
considerato
come
inadempimento
in
seno
al
rapporto
di
lavoro.
Sciopero Diritto: lo Sciopero costituiva un diritto nel rapporto di lavoro, quindi non costituiva
illecito ne penale e ne civile.
Tuttavia, in un dato Ordinamento, lo sciopero non riceve necessariamente ununica qualificazione
giuridica; ci accade anche in Italia, dove anche se la concezione predominante quella di Sciopero
Diritto, sopravvivono nicchie di Sciopero Libert e persino di Sciopero Reato.
nell'ambito delle leggi che lo regolano, di per s sufficiente a qualificare lo sciopero come un diritto
anche in assenza di una disciplina di legge.
Lo Sciopero si pone come:
Diritto di Libert nei confronti dello Stato, vietando a questultimo di reprimerlo penalmente
con iniziative legislative (salvo casi eccezionali);
Diritto Soggettivo nei confronti del datore di lavoro, vietando a questultimo ogni azione
risarcitoria per inadempimento contrattuale.
Altri orientamenti hanno qualificato il diritto allo sciopero come:
Diritto Fondamentale della persona; infatti lo sciopero costituisce uno dei principali strumenti
di emancipazione dei lavoratori dallo stato di disuguaglianza sociale in cui essi versano, e,
conseguentemente, di sviluppo della loro personalit.
52
Le teorie del primo periodo, immediatamente successivo alla Costituzione, erano incentrate sulla
titolarit collettiva del diritto di sciopero, e furono volte ad enfatizzare il ruolo del sindacato;
dunque, titolare del diritto era l'associazione sindacale sul presupposto che, essendo il sindacato
preposto alla tutela degli interessi di lavoratori, ad esso spetterebbe il diritto di azionare lo
sciopero nell'esercizio delle sue funzioni.
del tutto evidente che resi di questo tipo, le quali, in modo pi o meno penetrarne, ancoravano
lesercizio dello sciopero alla proclamazione da parte sindacale, di fatto colpivano essenzialmente
lo sciopero spontaneo, cio quello che gruppi di lavoratori attuavano indipendentemente dalla, o
magari contro la, volont e linea strategica dei sindacati cui aderivano, o comunque pi
rappresentativi.
Perci, queste teorie come maliziosamente not Giovanni Tarello erano molto bene accette
ai maggiori sindacati del tempo, alla ricerca di un ruolo df primo piano nelle ritrovate relazioni
industriali italiane.
La proclamazione dello sciopero risultava momento ineliminabile dellesercizio del diritto, con
la conseguenza di respingere la legittimit di scioperi organizzati da agenti non legittimati (il
lavoratore iscritto allassociazione deliberante avrebbe avuto addirittura un vero e proprio
obbligo a scioperare, mentre solo i non iscritti avrebbero potuto decidere liberamente se aderire).
Dalla met degli anni Cinquanta, quando sempre pi frequenti andavano facendosi le forme di
sciopero non legate al sindacato istituzionale, si fecero strada le teorie del diritto individuale
ad esercizio collettivo, che incontrarono negli anni successivi un favore quasi incontrastato.
In questo contesto, la teoria della titolarit individuale costitu il naturale portato teorico di una
strategia di legittimazione e sostegno di sindacati deboli.
In tali ricostruzioni, il momento della proclamazione dallo sciopero venne progressivamente
svalutato: non avrebbe costituito requisito di legittimit dellesercizio del diritto dl sciopero, ma
avrebbe assunto il semplice valore di un invito a scioperare, ossia una mera funzione
propagandistica tra i lavoratori interessati.
Le teorie della titolarit individuale andarono bene anche negli anni Sessanta.
Una forte ripresa delle teorie della titolarit collettiva del diritto di sciopero si ebbe verso la fine
degli anni Ottanta, quando dal lato delle relazioni industriali lo sciopero stava sempre pi spesso
sfuggendo di mano al sindacato ed era talvolta in balia di lavoratori che vi ricorrevano con
qualche leggerezza, mentre dal lato normativo stava per entrare in vigore una legge, quella che
nel 1990 regolava Io sciopero nei servizi pubblici, che affidava allorganizzazione sindacale un
ruolo fondamentale (ad esempio, nellindividuazione dei servizi minimi); come, del resto, Io stesso
statuto dei lavoratori prevedeva la legittimazione del solo sindacato (nazionale) contro
comportamenti datoriali lesivi, tra laltro, del diritto di sciopero (art 28).
53
Cominci a primeggiare la tesi della titolarit collettiva ad esercizio individuale, nei senso che
la decisione sindacale coesisteva con la libert del lavoratore di aderire o meno allo sciopero.
Dopo di allora, il dibattito si divise tra chi continu a sostenere la titolarit collettiva in capo a un
sindacato sempre pi istituzionalmente coinvolto nei meccanismi della legge, e chi invece,
partendo da un esame pi complessivo dellintera figura del diritto di sciopero, rielabor la tesi
della titolarit individuale ad esercizio collettivo.
Questa ricostruzione si impose come maggioritaria: del diritto di sciopero era titolare il singolo
lavoratore, mentre il suo esercizio doveva necessariamente essere collettivo, rispecchiando un
interesse altrettanto collettivo dei soggetti interessati.
Ci comport alcune conseguenze, quanto meno al di fuori dei servizi essenziali regolati dalle
leggi del 1990 e del 2000: innanzitutto, non era indispensabile alcuna proclamazione dello
sciopero, che poteva essere anche spontaneo o a sorpresa; poi, non contava li numero dei
lavoratori coinvolti, che poteva anche essere esiguo, purch s muovesse per tutelare un interesse
collettivo; infine, gli atti coi quali un sindacato avesse eventualmente disposto del diritto di
sciopero erano validi solo per il sindacato firmatario e non per i singoli lavoratori.
Lesempio pi importante quello delle clausole dette di tregua o di pace sindacale
contenute in alcuni contratti collettivi, in virt delle quali ci si impegna a non scioperare prima
della scadenza del contratto o ad esperire tentativi di conciliazione.
Ritenute meramente obbligatorie per i soli stipulanti e non normative peri lavoratori, sono
state riproposte di recente nei contratti collettivi Fiat seguiti alluscita da Confindustria della
fabbrica torinese: i sindacati firmatari si impegnano a non proclamare scioperi durante la vigenza
del contratto collettivo.
Dal canto suo, laccordo interconfederale 28 giugno 2011 consente ai contratti aziendali di
includere clausole di questo tipo, volte anche a promuovere procedure di raffreddamento del
conflitto: quanto alla loro efficacia giuridica, laccordo ha esplicitamente ribadito che tali clausole
vincolano solo i sindacati firmatari e non i singoli lavoratori.
Dunque, in generale il Diritto di Sciopero spetta a tutti i soggetti qualificabili come lavoratori
subordinati; tuttavia ci sono particolari categorie di lavoratori subordinati, che vedono limitato
lesercizio di tale diritto.
In particolare, i dipendenti che non possono scioperare sono sostanzialmente i militari, ai quali la
L. 382/1978 attribuisce il solo diritto sindacale di rappresentanza, e gli appartenenti alla polizia
giudiziaria, ai quali la L. 121/191 vieta espressamente lesercizio dello sciopero.
Salve, quindi, queste due categorie, ogni lavoratore dipendente gode del diritto costituzionale di
astenersi dal lavoro.
Di recente la nozione di sciopero, si andata allargando fino a ricomprendere soggetti sicuramente
non qualificabili come subordinati; in particolare, la L. 83/2000 ha riconosciuto tale diritto anche ai
lavoratori autonomi.
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5. Modalit
Lo sciopero pu essere attuato in vari modi.
A) La forma classica quella della semplice astensione dal lavoro continuativa, concertata e
completa a tutela di un interesse professionale collettivo, da cui deriva pari danno per il
lavoratore, che perde la retribuzione, e per limprenditore che perde la produzione.
B) Nell'esperienza italiana sono state invece organizzate forme di sciopero (Anomale) tali da
arrecare un maggior danno all'imprenditore e un minor sacrificio per il lavoratore, quali:
sciopero a singhiozzo: cio quello caratterizzato da interruzioni brevi (10 minuti per ogni
ora);
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Dunque, sono del tutto leciti anche gli scioperi anomali, purch non vadano a danneggiare la
capacit produttiva dellazienda, e cio la possibilit per limprenditore di continuare a svolgere la
sua iniziativa economica.
C) Lo sciopero non stato utilizzato per soli fini contrattuali (economici) e cio in vista di un interesse
di tipo economico attinente al rapporto di lavoro; infatti, via via sono state riconosciute anche
forme di sciopero per fini non economici, quindi non dirette contro il datore di lavoro per il
soddisfacimento di richieste che questi fosse in grado di appagare.
In particolare ci riferiamo allo:
Inizialmente solo questi ultimi furono dichiarati legittimi; ma poi la Corte Costituzionale con
sent. 290/1974 e poi con sent. 165/1983 afferm la piena legittimit dello Sciopero Politico, a
meno che esso non fosse diretto a sovvertire lOrdinamento Costituzionale oppure a impedire
o ostacolare il regolare funzionamento delle istituzioni democratiche.
In sostanza la Corte ha distinto il fine politico illecito (quello diretto a sovvertire lordinamento
o a limitare lesercizio dei poteri) dal fine politico lecito (quello diretto a tutelare valori base
della Costituzione, soddisfacibili con atti di governo o con atti legislativi).
Sciopero di Solidariet: inizialmente previsto come reato dallart. 505 c.p., ricorre quando
alcuni
lavoratori si
pongono
in sciopero
allo
scopo
di
sostenere
rivendicazioni,
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Sciopero del cottimo o del rendimento: i lavoratori rallentano i ritmi produttivi richiesti
Sciopero pignolo: viene effettuato continuando il lavoro ma rallentando notevolmente
lattivit, in conseguenza dellapplicazione rigidissima di disposizioni legislative, regolamentari
e contrattuali (ad esempio, il doganiere che controlla scrupolosamente tutti i bagagli, ecc.)
Sciopero alla rovescia: si ha quando i dipendenti svolgono lavori non richiesti; si pensi ai
casi, non infrequenti, di datori di lavoro che, per vari motivi, non proseguono lattivit, mentre
i lavoratori continuano a presidiare il loro posto, svolgendo le normali mansioni
Sciopero bianco: caso in cui i dipendenti si astengono dal lavoro ma non lasciano limpresa,
sostanzialmente allo scopo di scongiurare il crumiraggio e di compattare, anche solo
psicologicamente, gli scioperanti.
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Il Boicottaggio, effettuato dai lavoratori, consiste nella propaganda volta ad indurre terzi a
non fornire allimpresa materie o strumenti ovvero a non acquistarne i prodotti.
Lipotesi viene punita dalIart. 507 c.p.
Il danneggiamento dei locali dellazienda o dei tuoi strumenti o macchinari integra invece
lipotesi del Sabotaggio una delle forme pi esasperate di lotta sindacale.
Il reato contemplato dallart. 508 co. 2 c.p., ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Corte
con la stessa sentenza gi vista in tema di occupazione dazienda.
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Un altro strumento nelle mani del datore di lavoro volto ad attenuare le conseguenze di uno sciopero
il crumiraggio, comportamento anchesso ai limiti della condotta antisindacale, ai sensi dellart. 28
st. lav.
In particolare possiamo avere:
a) crumiraggio diretto: quello realizzato dal lavoratore (crumiro) che non intende aderire allo
sciopero e che, quindi, vuole recarsi normalmente al lavoro.
Tale comportamento, di per s perfettamente lecito alla luce della libert sindacale negativa,
potr semmai essere oggetto di conflitto da parte dei lavoratori scioperanti sul piano dei rapporti
dialettici tra diverse opinioni
b) crumiraggio indiretto: quello realizzato dal datore di lavoro con la sostituzione dei dipendenti
in sciopero, attuata spostando temporaneamente propri dipendenti da un reparto a quello in
sciopero oppure addirittura reclutando lavoratori esterni, servendosi magari di contratti di
somministrazione.
In relazione a questultimo caso, detto di crumiraggio esterno, esistono espliciti divieti legislativi
di ricorrere a determinati istituti (somministrazione, lavoro a termine, lavoro intermittente) per
sostituire lavoratori In sciopero; e ci rende obsoleta la giurisprudenza che in passato autorizz
queste prassi.
Nel caso di crumiraggio interno, c chi sostiene che una volta rispettati i precetti dellart. 13
st. lav. riguardo al divieto di adibizione a mansioni inferiori, il datore ben potrebbe rispondere
allo sciopero con provvedimenti di tipo sostitutivo.
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8. La dimensione europea
A livello europeo, solo di recente c stato un importante riconoscimento del diritto di sciopero: ora
lart. 28 della Carta dei diritti fondamentali dellUnione europea attribuisce ai lavoratori (ma anche ai
datori di lavoro) il diritto di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa
dei loro interessi, compreso lo sciopero.
Ma a livello europeo lo sciopero non ha mai rivestito quel ruolo che ha nel nostro ordinamento
nazionale; anzi, latteggiamento complessivo degli organi sovranazionali tende a subordinarne la
legittimit a prevalenti logiche dimpresa.
Particolarmente importanti sono due pronunce rese nel 2007 dalla Corte, la Viking e la Laval; in
entrambi i casi, il sindacato aveva dato vita ad una serie di azioni collettive per impedire la
delocalizzazione dalle attivit dellimpresa verso altri paesi dellUnione europea, dove vigevano
condizioni lavorative meno favorevoli per i dipendenti (dumping sociale).
La Corte ha riconosciuto limportanza dellazione collettiva di autotutela come valore fondante
dellordinamento europeo, ma lha messa sullo stesso piano della libert dimpresa, ritenendo
necessario operare un bilanciamento tra opposti diritti, ritenuti dello stesso rango.
Su queste basi la Cotte ha concluso nel senso che lazione collettiva possa essere ritenuta prevalente
solo, ed eccezionalmente, qualora essa incarni interessi generali di tutela dei lavoratori e sia
proporzionata rispetto al fine perseguito, che devessere compatibile con le fonti del diritto
comunitario.
Come si vede, In prospettiva molto distante da quella sviluppatasi in Italia, pur tra molte
contraddizioni, nel corso degli anni successivi alla Costituzione, dove il diritto di sciopero visto come
fondamentale strumento di realizzazione della eguaglianza sostanziale, che costituisce Il principale
obiettivo da realizzare ex art. 3 co. 2.
Le decisioni della Corte sono indice di un complessivo atteggiamento di scetticismo, se non di aperto
sfavore, dellordinamento europeo nei confronti dellazione collettiva.
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sua prima applicazione; in particolare tale legge ha esteso lambito applicativo della l. 146/1990 anche
ai lavoratori autonomi (vedi paragr. 10).
DISCIPLINA
La legge n. 146 procedimentalizza lo sciopero stabilendo un previo tentativo di soluzione bonaria
del conflitto, fallito il quale lo sciopero pu essere proclamato col preavviso di almeno 10 giorni,
salvo non si tratti di azioni a difesa dell'ordine costituzionale o di azioni di protesta per gravi eventi
lesivi dell'incolumit e della salute dei lavoratori, ossia in presenza di circostanze nelle quali l'efficacia
della protesta direttamente collegata alla sua immediatezza.
Lo scopo di tale obbligo di preavviso quello di consentire allamministrazione o allimpresa
erogatrice del servizio di predisporre le misure indispensabili, di favorire lo svolgimento di eventuali
tentativi di composizione del conflitto e di consentire allutenza di usufruire di servizi alternativi.
Nel medesimo lasso temporale, inoltre, i soggetti proclamanti lastensione devono comunicarne per
iscritto la durata, le modalit di attuazione nonch le motivazioni, sia alle amministrazioni o imprese
che erogano il servizio, sia allautorit competente per la precettazione.
compito di questultima curarne quindi limmediata trasmissione alla Commissione di garanzia.
Le stesse amministrazioni o imprese eroganti il servizio interessato dallo sciopero intervengono nella
pubblicizzazione dello stesso: incombe, infatti, su di esse lobbligo di dare comunicazione agli utenti
nelle forme adeguate, almeno 5 giorni prima dellinizio dello sciopero, dei modi e dei tempi di
erogazione dei servizi nel corso dello sciopero e delle misure per la riattivazione degli stessi.
Anche i media, in particolare il servizio pubblico radiotelevisivo, nonch i quotidiani e le emittenti
radiotelevisive che si avvalgano di finanziamenti o, comunque, di agevolazioni tariffarie, creditizie o
fiscali previste da leggi dello Stato sono tenuti a dare tempestiva diffusione a tali comunicazioni,
fornendo informazioni complete sullinizio, la durata, le misure alternative, e le modalit dello sciopero
nel corso di tutti i telegiornali e giornali radio.
Una delle caratteristiche peculiari dello sciopero nei servizi pubblici essenziali consiste nel fatto che lo
stesso semplice annuncio dellastensione pu essere di per s sufficiente a realizzare (indirettamente)
lo scopo perseguito dai lavoratori, che poi potrebbero anche revocare lo sciopero, evitando cos la
perdita della retribuzione.
La sola diffusione della notizia dellagitazione provoca, infatti, disagi per gli utenti del servizio
interessato e determina quindi una forte pressione nel confronti della controparte datoriale,
inducendola ad accogliere le rivendicazioni avanzate.
Di qui la scelta del legislatore del 2000 di vietare espressamente il cd. effetto annuncio,
prevedendo che la revoca spontanea dello sciopero proclamato, dopo che stata data informazione
allutenza, costituisca forma sleale di azione sindacale, che legittima peraltro lintervento sanzionatorio
della Commissione di garanzia.
Unica eccezione si ha qualora sia intervenuto un accordo tra le parti o vi sia stata una richiesta di
revoca da parte della Commissione di garanzia o dellautorit competente per la precettazione.
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Con la novella del 2000 stato inoltre introdotto il cd. Obbligo di rarefazione, che si traduce nella
previsione, da parte dei contratti o accordi collettivi e dei codici di autoregolamentazione, di:
Periodi di franchigia: ossia lassi temporali in cui di fatto proibita lastensione, ad esempio in
coincidenza con le festivit o le tornate elettorali
Intervalli minimi tra unagitazione e laltra:
LE PRESTAZIONI MINIME
Al fine di contemperare lesercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona
costituzionalmente tutelati di cui allart. 1 co. 1, i lavoratori, coloro che hanno proclamato lo sciopero e
le amministrazioni ed imprese che erogano il servizio pubblico devono comunque garantire la
fornitura delle prestazioni minime durante lastensione.
Per il legislatore del 1990, il compito di determinare e regolare tali prestazioni era rimesso
sostanzialmente ai contratti collettivi stipulati tra le organizzazioni sindacali e le amministrazioni o
imprese che erogano il servizio, nonch ai codici di autoregolamentazione per quanto concerne
lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori.
Lago della bilancia si spostato a seguito della novella del 2000; ma la contrattazione collettiva e
lautoregolamentazione continuano a svolgere comunque un compito propulsivo indispensabile.
Tali accordi e codici devono specificare le prestazioni indispensabili, le modalit e le procedure di
erogazione e le altre misure dirette a salvaguardare i diritti costituzionalmente tutelati.
Le previsioni relative alle prestazioni minime, per poter assolvere la loro funzione garantista, devono
necessariamente avere efficacia generale, ovvero essere vincolanti anche per i lavoratori non iscritti
alle sigle sindacali stipulanti, non solo nelle a amministrazioni pubbliche, ma anche nelle Imprese
private che erogano servizi pubblici.
Si pone, tuttavia, per il settore privato lannosa questione della estensione dellefficacia soggettiva
degli accordi collettivi, trattandosi di contratti di diritto comune.
La tesi dellefficacia generale degli accordi di cui alla l. 146/1990 si fonda in primo luogo su di un dato
letterale: lo stesso art. 2 co. 3 testualmente dispone che sindacati, lavoratori e amministrazioni o
imprese erogatrici dei servizi siano tenuti alleffettuazione delle prestazioni indispensabili, senza
operare alcuna distinzione tra soggetti aderenti e non aderenti alle organizzazioni stipulanti, n tra
soggetti firmatari e non firmatari dellaccordo.
Sul punto stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale (sent. 344/1996), la quale ha escluso
che la norma possa essere ritenuta in contrasto con gli arti. 39 co. 4 e 40 Cost.
Non sussisterebbe violazione dellart. 39 perch oggetto della contrattazione collettiva non sarebbe, in
tal caso, un conflitto di interessi tra imprenditori e lavoratori incidente sullassetto generale del
mercato del lavoro, bens il conflitto tra i lavoratori addetti ai servizi pubblici essenziali e gli utenti;
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inoltre, dal punto di vista formale, fonte diretta dellobbligo dei lavoratori di effettuare le prestazioni
indispensabili non sarebbe il contratto collettivo . ma il regolamento di servizio datoriale.
La norma e stata ritenuta conforme anche allart 40, perch la riserva di legge ivi contenuta non
escluderebbe che la determinazione di certi limiti o modalit di esercizio del diritto di sciopero possa
essere rimessa alla contrattazione collettiva, purch vengano garantire le finalit per le quali la riserva
stata disposta.
Gli accordi o contratti collettivi e i codici dl autoregolamentazione devono essere sottoposti alla
valutazione
di
idoneit
della
Commissione
di
garanzia,
alla
quale
vengono
comunicati
LA COMMISSIONE DI GARANZIA
Una delle novit pi importanti introdotte dalla l. 146/1990 listituzione di una Commissione di
Garanzia, autorit amministrativa indipendente composta da 5 membri scelti tra esperti in diritto
costituzionale, diritto del lavoro e relazioni industriali, designati dai Presidenti della Camera e del
Senato e nominati dal Presidente della Repubblica.
Essa svolge importanti compiti di vigilanza, di coordinamento ed anche sostitutivi delle parti
inadempienti.
La Commissione, infatti, promuove l'adozione di codici di autoregolamentazione e di regole
contrattuali attuative delle disposizioni della stessa legge; ma nel caso in cui reputi laccordo o il
codice di autoregolamentazione non idoneo a garantire il richiesto bilanciamento tra esercizio del
diritto di sciopero e tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, con provvedimento motivato,
sottopone alle parti una proposta sullinsieme delle prestazioni, procedure e misure da considerarsi
indispensabili.
Le parti devono quindi pronunciarsi entro 15 giorni dalla notifica della proposta.
In caso di silenzio, la Commissione procede a verificare comunque la possibilit di raggiungere un
accordo nei successivi 20 giorni.
Qualora tale tentativo abbia esito negativo, la medesima autorit di garanzia che provvede a
formulare la regolamentazione delle prestazioni indispensabili, delle procedure di raffreddamento e
conciliazione e delle altre misure, comunicandola alle parti interessate.
Mentre la proposta iniziale non ha carattere vincolante per le parti, la regolamentazione lo per le
parti medesime, nonch per lautorit precettante e per i giudici, sino a quando non venga adottato
un accordo o codice di autoregolamentazione ritenuto idoneo.
La Commissione promuove, inoltre, il componimento bonario delle situazioni conflittuali per evitare,
ove possibile, l'effettuazione degli scioperi e vigila sull'osservanza della relative regole.
La Commissione, infine, comunica ai competenti organi amministrativi situazioni di assenza della
garanzia dei servizi pubblici essenziali affinch questi, ove non lo facciano di propria iniziativa,
adottino provvedimenti impositivi dell'osservanza delle misure necessarie per la salvaguardia di diritti
costituzionalmente garantiti, ivi compreso il differimento o lastensione dalleffettuazione degli
scioperi.
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LAPPARATO SANZIONATORIO
La l. 83/2000 ha attribuito alla Commissione di Garanzia il potere di irrogare sanzioni nel caso in cui
abbia rilevato l'inosservanza delle regole riguardanti la proclamazione degli scioperi, l'effettuazione
degli stessi e l'organizzazione della garanzia dei servizi pubblici essenziali.
Il potere sanzionatorio dellautorit tuttavia sottoposto a vincoli procedurali.
Lapertura del Procedimento pu avvenire, oltre che ad iniziativa della stessa Commissione, anche su
richiesta delle parti interessate, delle associazioni rappresentative degli utenti, delle autorit nazionali
o locali che vi abbiano interesse.
Lavvio della procedura viene notificato alle parti, che hanno 30 giorni per presentare osservazioni e
per chiedere di essere sentite.
Decorso tale termine e comunque non oltre 60 giorni dallapertura del procedimento, la Commissione
formula la propria valutazione e, se valuta negativamente il comportamento, tenuto conto anche delle
cause di insorgenza del conflitto, delibera le sanzioni, indicando il termine entro il quale la
disposizione deve essere eseguita, con lavvertenza che dellavvenuta esecuzione deve essere data
comunicazione alla stessa Commissione nei 30 giorni successivi.
Le delibere della Commissione, sono impugnabili dinanzi al giudice del lavoro.
importante notare il ruolo che la novella del 2000 ha accordato alle associazioni rappresentative
degli utenti, che, oltre alla appena menzionata legittimazione ad avviare il procedimento di
irrogazione di sanzioni disciplinari, devono essere sentite dalla Commissione di garanzia prima della
valutazione di idoneit delle prestazioni minime e sono legittimare ad agire in giudizio contro i
sindacati che revocano uno sciopero dopo averlo proclamato o che disattendano linvito della
Commissione a differirlo, nonch nei confronti degli erogatori dei servizi che non forniscano adeguate
informazioni agli utenti.
Lapparato sanzionatorio delineato dallart. 4 e contempla 3 tipi di sanzioni:
a) Sanzioni collettive: comminate alle associazioni sindacali che abbiano proclamato o solo aderito
ad uno sciopero in violazione delle disposizioni su preavviso, comunicazione scritta, prestazioni
minime ed esperimento delle procedure di raffreddamento e conciliazione; consistono, in via
graduale, nella sospensione dei permessi sindacali, nella sospensione dell'erogazione dei
contributi sindacali mediante prelievo dalle buste paga e nella esclusione dalla trattative per un
lasso di tempo non inferiore a 2 mesi.
b) Sanzioni amministrative: sono comminate ai dirigenti responsabili delle amministrazioni
pubbliche e ai legali rappresentanti delle imprese e degli enti che erogano i servizi, laddove non
garantiscano le prestazioni indispensabili, non prestino correttamente linformazione agli utenti o
non adempiano gli obblighi comunque derivanti dagli accordi collettivi o dalla regolamentazione
provvisoria della Commissione; consiste in una sanzione amministrativa pecuniaria da 2500 a
50000 .
Lo stesso vale per le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi,
professionisti a piccoli imprenditori, in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti o
piccoli imprenditori, che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni (vedi paragr. 10).
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c) Sanzioni individuali: sono adottate nei confronti dei lavoratori che si astengono dal lavoro
bench inseriti nei turni di lavoro attraverso i quali deve essere garantita la continuit del servizio
pubblico ritenuto essenziale.
La sanzione di natura disciplinare (multa, sospensione dal servizio) e viene comminata all'esito
del relativo procedimento e in nessun caso pu comportare il licenziamento.
Tuttavia tali sanzioni non possono essere considerate disciplinari in senso tecnico; infatti una
sanzione riveste natura disciplinare sul presupposto che essa sia irrogata dal datore di lavoro per
reagire ad un comportamento lesivo del proprio interesse come creditore della prestazione
lavorativa.
La l. 146/1990, invece, configura tali sanzioni come strumenti per reprimere la violazione di norme
a tutela di interessi di carattere generale.
La loro qualificazione come disciplinare quindi utilizzata dal legislatore in senso atecnico e va
riferita, pi che alla natura della sanzione, al procedimento che il datore deve rispettare nella sua
applicazione, che in ogni caso quello di cui allart. 7 st. lav.
L'apparato sanzionatorio completato dalla cosiddetta Precettazione, attuata col provvedimento
amministrativo adottato dal Presidente del consiglio dei ministri o dal ministro, per le questioni di
livello nazionale, ovvero dal Prefetto, per le questioni di rilevanza territoriale; col Provvedimento di
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