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UNIVERSIT

DEGLI STUDI G. dANNUNZIO


CHIETI PESCARA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE FILOSOFICHE, PEDAGOGICHE ED


ECONOMICO-QUANTITATIVE
Corso di laurea in FILOSOFIA



TESI DI LAUREA

Sul criterio del giusto nella Repubblica di Platone.


Una polemica fondativa.

Laureando

Relatore

Alex Secone

Ch.mo Prof. Giulio LUCCHETTA

ANNO ACCADEMICO 2014/15

INDICE

INTRODUZIONE: le ragioni di una polemica.

I. SOCRATE: LA QUESTIONE TEORETICA DELLA GIUSTIZIA POLITICA

1. Lanello di Gige e le tesi relativistiche.


2. La tesi essenzialistica di Socrate.
3. Come si diventa cittadini di una giusta citt.
4. La crematistica come metafora.
II. TRASIMACO: LA VOCE DEL GLORIOSO IMPERO COLONIALE

1. La consapevolezza di Trasimaco.
2. Il confronto Vegetti Migliori su Trasimaco.
3. Gli dei amano lingiusto?
III. LA COMPLEMENTARIT TRA LE TESI DI SOCRATE E TRASIMACO

1. Sulla diversit e compatibilit dei ruoli.


2. Un linguaggio che faccia giustizia.

CONCLUSIONE: il ruolo della cultura.

BIBLIOGRAFIA

INTRODUZIONE

Le ragioni di una polemica.


A casa di Polemarco, sintrattiene Socrate che torna dalle feste del Pireo
Panatenee per conversare con l'anziano Cefalo, che ha appena finito di celebrare un
sacrificio. Cefalo dice di apprezzare molto la compagnia di Socrate perch quanto pi i
piaceri del corpo appassiscono, tanto pi aumentano il desiderio e il piacere
dei discorsi (Resp.328d). E in quel contesto, stato osservato1, Socrate avvia un
confronto dialogico su una trattazione classica del problema, guidato dallinterrogativo
ti legeis: Che cosa dici che sia la Giustizia?. Nel conversare tra amici, almeno in un
primo tempo non si toccano livelli e profondit essenziali, che si schiuderanno soltanto
in seguito, ma sembra tuttavia accendersi una polemica fra il filosofo e il suo
interlocutore pi agguerrito, Trasimaco, che anzi eleva sensibilmente il livello della
discussione rispetto alle fasi immediatamente precedenti, regalando anche un certo
dinamismo alla scena.
Limpaziente sofista, che assisteva senza interloquire a dispetto della sua
impazienza: di fatto i presenti, interessati al colloquio in corso, lo avevano trattenuto
dallintervenire. Ma non appena la conversazione ebbe una pausa, non pot pi
restarsene quieto, ma, rannicchiatosi come una belva, si avvent su di noi quasi volesse
sbranarci. (Resp.336b); cos Trasimaco attacca Socrate urlando, e tale manifestazione
violenta sorprende il lettore, ma forse non gli astanti. Infatti, come si vedr le tesi
presentate dal sofista scorrono gi da tempo nel sangue degli operatori politici e militari
di Atene e semmai fa sorpresa che Socrate faccia mostra di ignorarle.
In realt in questa sala dellaccogliente casa di Cefalo da un piacevole discorso
tra amici su come condurre una vita giusta fino alla resa dei conti della propria morte si
giunti a vagliare loperato di una citt come Atene per valutare secondo quali principi
possa essere definito o meno giusto. Quel che grave che il tono raggiunto potrebbe
essere quello di una revisione storica e critica dellidelogia che ha guidato per secoli la

M. Vegetti, Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Laterza, Roma-Bari 2004, p. 38.
3

prassi2 imperialistica di Atene se non di tutta la civilt ellenica, e sullo sviluppo della
quale risulta organica tutta una schiera di intellettuali: i Sofisti.
Su questo taglio polemico contro le chiacchiere aleatorie di Socrate e sul
fondamento forte che sta alla base della reazione di Trasimaco in difesa della prassi da
sempre adottata da Atene, perch vincente, si focalizza la mia analisi, lasciandomi
guidare dal dibattito che mi sembrato di poter cogliere da due autorevoli studiosi
contemporanei di Platone, quali sono Mario Vegetti e Maurizio Migliori.

Per un approfondimento del concetto di prassi, e di come esso, nel mondo greco, sia strettamente

legato a quello di teoria, Cfr. B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Traduzioni di
Vera Degli Alberti e Anna Solmi Marietti, Einaudi, Torino 1963, soprattutto il Cap. 17 intitolato Teoria
e prassi.

4

I. SOCRATE
ovvero
LA QUESTIONE TEORETICA DELLA GIUSTIZIA POLITICA

1. Lanello di Gige e le tesi relativistiche.


solo nel libro II della Repubblica che Platone congeda definitivamente
lingenuit socratica con la quale finora veniva pensata e praticata una ricomposizione
tra polis e psiche; il rapporto tra i due non cesser mai di essere problematico e tale
unione che continua per Platone ad essere il solo nesso istitutivo di una morale viene
messa in difficolt dal congiunto attacco dei fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto,
che riprendono e radicalizzano le precedenti critiche di Trasimaco.
Lidea socratica, che la privata serenit dellanima possa bastare al giusto, viene
cos abbandonata come troppo debole e comunque non universalizzabile3. Quindi, il
problema rimane: perch la giustizia meglio dellingiustizia? Glaucone, che non n
sofista n filosofo, riformula il problema proponendo a Socrate una classificazione dei
beni, fondata sui motivi per i quali vale la pena sceglierli (Resp. 357b): beni che
accetteremmo di avere di per s stessi e non per quel che ne segue, beni che amiamo sia
per s stessi, sia per quel che ne deriva, beni che vorremmo non per s stessi, ma solo
per il vantaggio che arrecano. La giustizia, per Socrate, dovrebbe appartenere alla
seconda categoria: chi aspira ad essere felice, dovrebbe amarla di per se stessa, oltre che
per i vantaggi che essa comporta. Glaucone gli fa osservare che, per la maggioranza
delle persone, la giustizia appartiene tuttal pi alla terza categoria: viene perseguita per
le mercedi e la buona reputazione che ne derivano, ma in se stessa viene considerata
difficile e gravosa (Resp. 357d), e gli chiede di dimostrare che vale la pena perseguirla
anche di per s, in quanto appartiene allambito delle cose che hanno davvero valore e si
fanno volentieri senza che nessuna necessit lo imponga.
Lopinione comune sulla giustizia, dice Glaucone, si basa sullidea che
commettere ingiustizia sia un bene e subirla un male. Ma le persone che non hanno la
forza di prevalere sugli altri e temono che gli altri possano a loro volta sopraffarle,

3

M. Vegetti, Letica degli antichi, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 105.


5

trovano vantaggioso mettersi daccordo per non farsi ingiustizia a vicenda. cos che
hanno cominciato a porre leggi e a far patti fra loro.
Questa la genesi e la sostanza della giustizia: un modus vivendi stipulato fra
persone che non hanno la forza di sopraffarsi a vicenda. Si tratta, per, di una via di
mezzo tra una opzione migliore, ma impraticabile, commettere ingiustizia senza pagarne
la pena, e una opzione peggiore, da evitare: subire ingiustizia senza avere la forza di
vendicarsi. Ma se fosse possibile mettere in pratica lopzione migliore, nessuno
sceglierebbe la giustizia. A tal proposito, emblematica la posizione che appare gi
esposta da Tucidide nel supporre un dialogo4 fra lo Stato Maggiore del corpo darmata
degli Ateniesi e i delegati dei Melii che si dovrebbe essere sviluppato nei seguenti
termini:
La valutazione fondata sul diritto si pratica, nel ragionamento umano,
solo quando si su di una base di parit, mentre, se vi disparit di forze,
i pi forti esigono quanto possibile ed i pi deboli approvano. (V, 89)
La giustizia, dunque, non qualcosa che abitualmente viene cercata, pensata e
considerata come principio autonomo, in s stesso, come fonte di libert umana, ma
come una techne atta a legittimare la sottomissione dei pi deboli da parte dei pi forti.
Un altro esempio, che fa Glaucone stesso, quello del mito dellanello di Gige: se una
persona giusta e una ingiusta fossero invisibili, e quindi al riparo dalla vista e dalla
punizione degli altri, ne approfitterebbero per comportarsi secondo i loro
capricci, come un dio fra gli uomini. Questo dimostra che si giusti solo se si
costretti, e privatamente tutti giudicano pi vantaggiosa lingiustizia, piuttosto che la
giustizia (Resp. 359c).
Quasi un Hobbes ante litteram, Glaucone, con il suo convenzionalismo, pone
laccento sulla presunzione di naturalit per una giustizia falsa, ipocrita. Luomo
giusto solo quando questo gli arreca vantaggi, siano essi vantaggi pratici o per la propria
reputazione. In realt, secondo questa visione, nel caso non fosse visto da nessuno,
luomo si comporterebbe sempre come un sopraffattore, un soverchiatore; contro gli
altri per il proprio vantaggio.

4

Tucidide, Il dialogo dei Melii e degli Ateniesi, a cura di L. Canfora, Marsilio, Venezia 1991.
6

Glaucone usa il mito dellanello di Gige per illustrare le conseguenze etiche del
suo scetticismo etico-politico: se lunico motivo per essere giusti dato dalle
convenzioni sociali, allora ha senso comportarsi giustamente soltanto in pubblico,
quando non possiamo farne a meno, se non a rischio di perdere la faccia. Al contrario
chi invisibile pu comportarsi come vuole indipendentemente dal giudizio della
comunit. Glaucone inconsapevolmente apre la possibilit a Socrate di far vedere che il
giusto colui che, visto o non visto, crede in piena autonomia che la giustizia sia, di per
s, la scelta migliore. Linvisibilit lo libera dalla necessit di conformarsi alle
convinzioni altrui e per perseguire una giustizia che sia in contrasto con le sue
convinzioni personali: cos lunica giustizia politica appetibile quella insintonia con il
senso di giustizia interiore.
questo il senso, indicato da Platone, di unetica comunitaria autentica per una
citt che ordini queste giustizie individuali. Se luomo sceglie di essere giusto a
prescindere dalla propria convenienza, perch crede davvero che sia la scelta migliore
possibile, allora questo produrr anche una comunit utile a tutti i cittadini, una citt
armoniosa e giusta. Il racconto esemplare di Glaucone propone il problema generale
della preferibilit della giustizia indipendentemente dal controllo sociale.
La questione cos posta dal lato dei governati e non da quello dei governanti:
dal loro punto di vista la giustizia pu affidarsi nella realt quotidiana al controllo
sociale poich la conoscenza distribuita in modo incompleto e disuguale. Di qui il
paradosso: se la conoscenza fosse distribuita e controllata in modo completo e uguale,
cio se tutti avessero un anello di Gige al dito, che giustizia sarebbe possibile? Lamara
convinzione di Glaucone che se una persona giusta e una persona ingiusta potessero
fare tutto quello che vogliono, senza controllo, entrambi cercherebbero di soverchiarsi a
vicenda, perch secondo natura, questo il bene, il proprio bene, e solo il nomos, cio la
convenzione o la legge, costringe a rispettare luguaglianza. Infatti in privato ogni uomo
pensa che lingiustizia sia molto pi utile della giustizia, e a ragione, come direbbe chi
avesse il coraggio di sollevare simile problema. Se, invece, qualcuno, venuto in
possesso di una tale facolt, non volesse mai fare ingiustizia n arraffare cose altrui, a
quelli che se ne accorgono sembrerebbe disgraziatissimo e dissennatissimo, anche se
dinanzi agli altri non potrebbero che lodarlo, ipocritamente e ingannandosi a vicenda
per paura di subire ingiustizia (Resp.360c-d).
7

Appare evidente che nel mondo di Glaucone c una sfera privata fatta di
sopraffazione e disordine, e una sfera pubblica fondata su timore e menzogna. La
divaricazione fra pubblico e privato dovuta anche ad una differente libert della
conoscenza: quello che si dice e si pensa in privato si tiene per s, e in pubblico il flusso
di quello che si sa e si pensa tenuto sotto controllo per paura. Una giustizia fondata
sulla paura e sul controllo della conoscenza tiene insieme la sregolatezza della vita
privata e la sorveglianza della sfera pubblica. La sfera pubblica, oltre ad essere il luogo
della sorveglianza, anche il luogo della manipolazione: se abbiamo i mezzi per farlo,
ci conviene essere ingiusti e farsi passare per giusti, piuttosto che essere giusti ma avere
la reputazione di ingiusti (Resp.361b). Il quadro prospettato da Glaucone si riferisce
alle conseguenze estreme e pericolose delle nuove concezioni di vita, cio le
conseguenze sul piano politico della degenerata sofistica e al contrasto, sempre vivo e
attuale, tra natura e legge, messo gi in evidenza negli altri dialoghi platonici5.
Adimanto, a sostegno del fratello, aggiunge che queste convinzioni sulla
giustizia sono dovute all'educazione tradizionale. La giustizia viene di solito elogiata
solo per la buona reputazione che ne deriva e per i vantaggi ad essa connessi. Anche la
religione, promettendo ricompense ai giusti e supplizi eterni agli ingiusti, nellAde,
tratta la giustizia solo come un bene non di per s, ma per qualcosaltro (Resp.363a).
Discorsi del genere sono fatti dalla gente comune e dai poeti, che raccontano che
lautocontrollo (sophrosyne) e la giustizia sono gravose, e buone solo per la doxa,
lopinione, e il nomos, la legge o convenzione; che insegnano a rispettare i potenti
ingiusti e a disprezzare i deboli e i poveri, anche se migliori di loro; che fanno credere
che il favore degli dei, ammesso che esistano e pensino alle cose umane, si possa
comprare con preghiere e sacrifici (Resp.364b). Stando cos le cose, conclude
Adimanto, nessuno giusto semplicemente perch vuole essere tale, ad eccezione di
chi, per sua divina natura, prova ripugnanza a commettere ingiustizia, o se ne astiene
perch riuscito ad afferrare la scienza (epistme) (Resp.366c-d).
Questa situazione, prosegue Adimanto, dovuta al tipo di argomentazioni che
sono state usate per educare alla giustizia:

F. Catenaro, Il pensiero politico in Platone. La vita politica come scelta di vita morale, pref. di M.
Vegetti, Ricerche & Redazioni, Teramo 2013, p. 87.
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[] nessuno mai biasim lingiustizia n lod la giustizia altrimenti che


per la reputazione, gli onori e i doni che ne derivano. Ma a proposito di
che cosa faccia ciascuna di per s, per propria capacit, entro lanima di
chi la possiede, nascosta agli dei e agli uomini, mai nessuno, n in poesia
n in prosa, ha adeguatamente argomentato col discorso che lingiustizia
il maggiore di tutti i mali che lanima tiene in s e che la giustizia il
bene pi grande. Infatti, se aveste tutti parlato cos dallinizio e ci aveste
persuasi fin da giovani, per evitare lingiustizia non ci saremmo guardati
lun laltro, ma ciascuno sarebbe stato il miglior custode di s, per timore
di trovarsi, a causa dellingiustizia propria, a coabitare con il peggiore dei
mali (Resp.366e 367a)6.
Nel libro I, Polemarco aveva definito la giustizia come un'arte della custodia di
oggetti materiali; lipotesi contrattualistica o convenzionalistica di Glaucone fonda la
giustizia su una sorveglianza dallesterno degli esseri umani, della quale Platone
propone il superamento, affinch ciascuno diventi custode di se stesso.
opportuno notare, a questo punto, come loperazione filosofica di Platone, gi
in questi primi capitoli, sia profondamente anticonvenzionale e vada decisamente contro
la tradizione: se da un lato la generazione dei giovani Adimanto, Glaucone e Trasimaco
affermano lo status quo, e cio che la giustizia in sostanza equivale allutile del pi
forte, come un diritto confezionato a vantaggio di chi detiene il potere per consolidati
privilegi e altres ben accettato dalla maggioranza perch da sempre ha portato i suoi
frutti ad Atene, dallaltro Platone rifiuta categoricamente questa posizione e tramite la
voce del suo maestro ribalta completamente tale paradigma; tocca ora a Socrate
rispondere ai giovani sofisti, a cercare, cio, di definire la giustizia e lingiustizia non in
forza delle conseguenze pi o meno convenienti o in ragione della stima che ne
consegue, ma in ci che il giusto e la giustizia rappresentano per s stessi, nella loro
essenza, prima nella citt e poi nel singolo individuo.

Per la traduzione della Repubblica, si fa sempre riferimento a quella curata da F. Gabrieli, Rizzoli,
Milano 1981.
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2. La tesi essenzialistica di Socrate.


Socrate accetta la sfida di Glaucone e Adimanto, e cerca di dimostrare perch la
giustizia , in se stessa, un bene. L'ipotesi convenzionalistica trattava la giustizia come
una funzione delle organizzazioni politiche, che gli individui accettano come contratto
solo per evitare mali peggiori. La giustizia contrattuale, in altri termini, un modus
vivendi e non una virt personale: i singoli, se ne avessero la forza, preferirebbero
dominare sugli altri, anzich sottoporsi a regole comuni. L'argomentazione di Socrate
prende le mosse da un celebre paragone, il quale, a prima vista, sembra dare per assunto
ci che si dovrebbe dimostrare, e cio che la giustizia non solo una virt esteriore
delle organizzazioni collettive, ma anche una virt interiore degli individui:
La ricerca a cui ci accingiamo non poca cosa, ma degna, a quanto mi
pare, di chi abbia unacuta vista. Ora dato che noi non siamo troppo forti,
direi di fare questa ricerca in questo modo, come nel caso di uno che
ordinasse a gente di vista non molto acuta di leggere da lontano delle
lettere piccole, e uno riflettesse che quelle stesse lettere sono anche
altrove, maggiori e in campo pi ampio, e allora penso sembrerebbe una
buona trovata di leggere prima quelle, e poi considerare le pi piccole,
posto che siano le stesse (Resp.368c-d).
I bisogni si soddisfano nel modo pi efficiente con la divisione tecnica del
lavoro, cio con una divisione dei mestieri: a un agricoltore, per esempio, conviene
specializzarsi nella coltivazione di grano, e ricevere scarpe, vestiti e abitazioni da altri
specialisti. Queste produzioni fondamentali richiederanno a loro volta attrezzi, e dunque
artigiani che li fabbricano. E siccome nessun territorio pu essere economicamente
autosufficiente, occorreranno commercianti che si occupino delle importazioni e delle
esportazioni, nonch un mercato per fare scambi. La divisione tecnica del lavoro
dovuta anche al fatto che ciascuno di noi non nasce uguale all'altro, ma ciascuno
portato a differenti attivit (Resp.370b-c). Ebbene, chiede Socrate, dove si trover, e da
dove nascer la giustizia e lingiustizia, in una citt cos delineata? (Resp.371e)
Glaucone obietta che la situazione presentata da Socrate troppo semplice: finch ci si
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limita ai bisogni elementari, propri di una comunit primitiva che Glaucone


chiama citt di porci (Resp.372d), i problemi connessi alla giustizia e allingiustizia
non sono ancora evidenti. Socrate, allora, introduce nella citt che va costruendo nel
discorso il lusso, ossia la moltiplicazione e il raffinamento dei bisogni, e lo sviluppo di
quello che oggi chiameremmo settore terziario. Questa moltiplicazione dei bisogni
conduce ai conflitti e alle guerre: a differenza di quanto avveniva nella citt dei porci,
nella citt lussuosa ci si abbandona ad un desiderio indefinito di ricchezza, che supera il
limite del necessario (Resp.373c-d).
La costruzione di Socrate indica che la pleonexia o smodatezza non si pu
trattare come un carattere naturale delluomo, che si pu dare per scontato, alla
maniera dell'antropologia presupposta da Trasimaco e da Glaucone. Essa nasce dalla
vita sociale, che conduce a sviluppare un desiderio di acquisizione indefinito, in
corrispondenza di una quantit di bisogni altrettanto indefinita. Niente, infatti, ci
assicura che la citt lussuosa, dai bisogni indefiniti, sia un destino inevitabile: alcuni
potrebbero preferire una citt di porci in cui si vive in modo frugale, soddisfacendo
solo alcuni bisogni definiti, in cambio di una conflittualit inferiore.
Il problema della giustizia nasce solo quando la moltiplicazione e il raffinamento
dei bisogni conduce al di l del determinismo dei bisogni primari: si pone, allora, il
problema di scegliere fra un numero indefinito di elementi, e di rendere compatibili fra
loro indefinite scelte possibili. La giustizia non nasce dalla natura e dallindigenza, ma
dalla libert e dalla storia. La citt dei porci era ancora al di qua della giustizia perch
si basava sugli automatismi dei bisogni elementari, e non ancora su uno spazio pubblico
consapevolmente costruito e pensato in comune, la polis ideale.
Cos la giustizia si presenta in situazioni di conflittualit potenziale. La citt
lussuosa avr dunque bisogno di un esercito e di una polizia, e, pertanto, di una classe di
specialisti, detti phylakes, i custodi della polis. La loro specializzazione giustificata,
come per gli altri mestieri, sulla base del principio della divisione tecnica del lavoro. La
giustizia sar, proprio per la loro professione, uno dei loro problemi pi importanti.
Come facile notare, questo punto verr amplificato e approfondito nei successivi libri
da Platone, e costituir uno degli aspetti pi controversi e ancora oggi discussi della sua
filosofia politica: lassetto militare e le modalit giuridico-politiche con cui mantenere
lordine allinterno della polis. Ma, in luogo della soluzione contrattualistica di
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Glaucone, precedentemente identificata come la tesi da superare, Socrate introduce una


diversa

prospettiva,

non

giuridico-politica,

bens

politico-culturale:

quella

delleducazione, che viene affrontata sotto la forma di un problema di selezione


personale e di comunicazione del sapere perch il potere politico correttamente inteso
non si deve fondare su una convenzione, bens su una precisa competenza tecnica.
Sar dunque nostro compito selezionare quali nature, e di qual genere, siano adatte alla
custodia della citt (Resp.374e).
Per fare bene il loro lavoro, i custodi dovranno essere dotati di vigore fisico,
di thymos, nonch della capacit di comportarsi gentilmente con chi conoscono e
aggressivamente con gli sconosciuti. Socrate dice che in questo senso devono avere uno
spirito filosofico: la loro caratteristica essere amici di quello che conoscono, nel senso
di amarlo disinteressatamente, e nemici di ci che ignorano (Resp.375e). Questo fa s
che siano amici dellapprendere e dunque filosofi (Resp.376b).

3. Come si diventa cittadini di una giusta citt.


Il carattere di esperimento ideale proprio della citt impedisce di fare appello
alla realt effettuale. Questo sembra un limite, se si intende la Repubblica come un
progetto politico immediatamente realizzabile, ma diventa un punto di forza, se
la Repubblica vista come un progetto culturale.
Il nostro modo di essere non dato, come assumeva acriticamente Trasimaco,
contraddicendo la sua stessa professione, ma viene costruito da quello che sappiamo,
dal modo in cui veniamo a conoscerlo e dal modo in cui lo condividiamo o lo teniamo
per noi.
L'educazione, ancor prima della ginnastica per il corpo, comincia con
la mousik. Per mousik si intende il complesso delle arti presiedute dalle Muse che
comprende la poesia, la letteratura, la musica in senso stretto, il teatro, il canto, la danza;
comprende, in particolare, la poesia come veniva rappresentata nel mondo greco, ossia
per mezzo del canto accompagnato da uno strumento musicale. Questo progetto non si
discosta dalla tradizione. La novit consiste in una precisazione di Socrate, secondo la

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quale bisogna educare sia al discorso vero, sia al discorso falso7 (Resp.376e 377a). I
miti sono la prima cosa che raccontiamo ai bambini: sono, in senso letterale, falsi
cosa, questa, che la tradizione dava per scontata ma contengono anche qualcosa di
vero. I miti, infatti, imprimono nelle menti dei giovani dei modelli e sono tanto pi
efficaci in quanto queste impressioni vengono recepite prima di ogni consapevolezza
razionale (Resp.377b). Questo passo pone al centro una questione fondamentale per
leducazione nellantichit, e non solo nellantichit: i poeti, con i loro miti
conclamatamente falsi, pongono gli uomini in una posizione ambigua, insicura.
meglio conoscere la verit anche tramite le opere mitiche, consapevoli del fatto che
esse, tramite immagini, spiegano meglio di mille discorsi le verit della condizione
umana o restare alloscuro di tutto questo, inconsapevoli nella propria ignoranza? In
sintesi, il mito legittimato ad essere un veicolo della conoscenza funzionale anche al
potere o, al contrario, pericoloso per leducazione e le coscienze dei giovani?
Nel libro II si allude, inoltre, alla selezione da parte delle autorit nei confronti
delle opere teatrali proposte per la rappresentazione, che avveniva tramite la scelta o
meno di finanziarle; tale selezione, come ricorda Canfora, costituiva, ad Atene, un
potente filtro politico.
Il progetto platonico richiede che lintero patrimonio della tradizione culturale
greca, a partire da Omero ed Esiodo, vada sottoposto a una rigorosa selezione, se deve
essere messo a contatto con i giovani: esso presenta infatti delle divinit amorali, assai
peggiori degli uomini, e in competizione fra loro. Questa teologia forma i bambini
secondo letica competitiva caratteristica della morale aristocratica: ma il fatto che una
simile etica sia condivisa non questione di natura, bens soltanto di educazione
(Resp.378c). La mousik nelle parole di Socrate uno strumento essenziale per
l'educazione dei cittadini, perch, fin da bambini, li guida senza che se ne accorgano
all'apprezzamento disinteressato e alla consonanza (symphonia) con la bella ragione
(kalos logos) (Resp.401d). Mentre i bambini vengono indirizzati alla virt senza che se
ne rendano conto, chi li educa deve avere presenti le forme della sophrosyne, del

7

A tal proposito interessante far notare come Socrate viene trattato da Aristofane ne Le nuvole: il
filosofo uno che insegna a far vincere il discorso peggiore, a rendere pi forte il ragionamento pi
debole. Naturalmente Aristofane ne coglie le implicazioni morali negative, nel senso che il discorso pi
debole il discorso ingiusto; il discorso pi forte il discorso giusto, e, quindi il discorso ingiusto, quello
che contiene la negazione di tutti i valori morali, finisce per prevalere sul discorso che invece difende i
valori morali. Insomma Aristofane fa di Socrate la sintesi di tutta la cultura nuova che avversa, ne fa il
pensatore fondamentalmente ateo, e quindi in conflitto con la polis, con la citt.
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coraggio, della generosit, della magnanimit e delle altre virt sorelle (Resp.402c).
Si rivela qui unasimmetria nelle strutture della comunicazione del sapere: gli educatori
detengono il logos, ma agli educandi si rivolgono col mito. Gli educatori sono gi adulti
e ricchi di sapere, mentre gli educati sono bambini e giovani vulnerabili ad ogni
influenza. Il mezzo usato, il mito, si avvale della sua autorit tradizionale e del suo
fascino per imprimere in menti vulnerabili i suoi clichs. Gli educatori sono in una
posizione che permette loro di fungere da filtro culturale, col compito di selezionare e
permettere la diffusione delle produzioni dei miti. Per parlare chiaramente: questo
progetto un disegno di manipolazione e di controllo della conoscenza, finalizzato ad
educare il giovane Gige in modo tale che lidea di usare lanello per i suoi interessi
non possa neppure venirgli in mente.
Il controllo tecnologico del discorso mette in una posizione di potere coloro che
lo detengono, nei confronti di coloro che non lo detengono, per una disparit di et, di
cultura o di tecnologia. Sarebbe dunque ingannevole appellarsi, alla libert della
conoscenza in una simile situazione, perch questa libert si risolverebbe nel potere di
chi si trova nella situazione mediaticamente e tecnologicamente pi forte.
particolarmente interessante il passo in cui Socrate cerca di spiegare ad Adimanto
perch la divinit, nei miti usati a scopo educativo, non dovrebbe essere rappresentata
come mentitrice: nessuno desidera essere ingannato; nessuno vuole avere lanima
occupata da una illusione di conoscenza, che veramente falsit. Nessuno accetta
volontariamente e consapevolmente di essere indottrinato. Per questo, un progetto sulla
giustizia deve cominciare mettendo in luce le problematiche connesse al controllo della
conoscenza e della costruzione del consenso.

4. La crematistica come metafora.


Ora torniamo allinizio del dialogo, quando Socrate entra nella casa di
Polemarco e comincia a conversare con il di lui padre, lanziano Cefalo. Interrogato da
Socrate, costui aggiunge che la vecchiaia non gli pesa perch, liberandolo dai desideri,
lo libera dalla schiavit di molti e pazzi padroni (Resp.329d). Cefalo, come
Polemarco, un homo oeconomicus, condannato a vivere nel regno della necessit e
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delle pulsioni. Ma perfino lui sperimenta l'interesse per i "discorsi" come una
liberazione, di cui, tuttavia, non autore egli stesso, bens il corso della natura. La
vecchiaia, con il suo tempo libero, offre una forma di libert negativa nel suo senso pi
puro: il padrone ha mollato la presa e ha lasciato un vuoto da riempire.
Discutere un intrattenimento piacevole, quando null'altro ci costringe. Il tempo
libero dell'uomo economico, tuttavia, soltanto uno spazio residuale, una tregua: il
mondo morale e religioso di Cefalo rimane interamente dominato dalla logica
economica e dalle sue certezze e incertezze. In vecchiaia, per il timore delle cose che si
narrano sull'aldil, la ricchezza aiuta a comprarsi la pace, perch permette di pagare i
debiti di sacrifici agli dei e di denaro agli uomini (Resp.331b).
Socrate prende spunto dalla narrazione di Cefalo per chiedere se la dikaiosyn,
cio la giustizia come virt personale, si possa delimitare o definire correttamente
identificandola con il dire la verit e il restituire le cose ricevute: sarebbe giusto, per
esempio, restituire un coltello a un amico impazzito ed essere completamente sinceri
con lui (Resp.331c)? Cefalo, in difficolt, lascia la discussione per proseguire con i suoi
sacrifici. Nel suo mondo, che quello della cultura tradizionale, le regole non sono
frutto di autodeterminazione, ma necessit cieche, nei cui confronti si deve agire nel
modo pi conveniente dal punto di vista individuale, senza preoccuparsi d'altro.
A Cefalo subentra, come suo erede anche nella discussione, il figlio Polemarco, il quale
si appoggia ad una autorit della cultura tradizionale, il poeta Simonide, per definire la
giustizia come ridare a ciascuno quello che gli dovuto. Per parare l'obiezione che
Socrate aveva fatto al padre, il figlio chiarisce la definizione per mezzo di un'altra
massima tradizionale: giustizia ridare a ciascuno il dovuto nel senso di fare del bene
agli amici e del male ai nemici (Resp.332a). Non dunque giusto rendere il coltello a un
amico impazzito, se ci lo danneggia.
Socrate precisa che allora, dal punto di vista della giustizia, ci che dovuto non
propriamente ci di cui siamo debitori, ma ci che spetta o si addice a ciascuno. Egli,
sulla base di questa definizione, applica alla giustizia la struttura di una techne.
Una techne come la medicina, per esempio, d a ciascuno ci che gli si addice nel senso
che prescrive ai corpi farmaci e diete quando sono malati. Che cosa d la giustizia, e
quando serve?

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Se la giustizia fosse la techne di fare del bene agli amici e del male ai nemici,
essa sarebbe utile solo in guerra, visto che per tutte le altre necessit per esempio la
salute o la navigazione esistono arti specifiche (Resp.332c).
Polemarco aggiunge che essa serve anche in pace, nei contratti commerciali e
nelle altre imprese comuni: ma anche in questo caso, quando essi riguardano prestazioni
particolari, sono pi utili le competenze specifiche. Alla fine, una persona giusta si
riduce a una persona cui si pu affidare denaro per conservarlo. Ma, se di tecnica si
tratta, un abile custode sar anche un esperto nell'arte del furto, proprio come un
medico, come tale, ha sia le competenze per guarire, sia quelle per avvelenare
(Resp.333a 334a). Pare dunque che la giustizia, per te, per Omero o per Simonide sia
qualcosa di ladresco, a vantaggio per degli amici e a danno dei nemici (Resp.334b).
Socrate guida quindi Polemarco a chiarire che cosa si intenda per amico, in modo tale
che la giustizia non si riduca a fare del bene a chi viene percepito come amico e del
male a chi viene percepito come nemico, cio del bene e del male a chi ci pare.
Giustizia, dunque, l'arte di fare del bene all'amico che giusto e del male al nemico
che ingiusto (Resp.335a-b).
Una volta riconosciuto che l'uomo giusto dannegger l'ingiusto, Socrate induce
Polemarco ad ammettere che danneggiare una creatura significa renderla peggiore, ossia
lederla nel tipo di aret, cio di eccellenza o funzione esercitata al meglio, che gli
propria. Per esempio, danneggiare un cavallo significa azzopparlo. Questo discorso vale
anche per l'uomo? Ossia: l'uomo danneggiato leso nella aret che propria degli
uomini?
Ora, la giustizia virt umana. Pertanto, se danneggiare significa ledere una
creatura nella virt che gli propria, danneggiare un uomo significa renderlo ingiusto.
La giustizia, se dobbiamo intenderla come arte di danneggiare i nemici e di far del bene
agli amici, dunque la techne di rendere ingiusti gli uomini. Questa definizione, per, si
addice di pi all'ingiustizia che alla giustizia: come l'equitazione una techne che
comporta il rendere gli uomini abili cavalieri, cos la giustizia dovrebbe saper rendere
gli uomini giusti, e non ingiusti. Non si rendono gli uomini giusti facendo loro del
male (Resp.335e).
La tesi che la giustizia non abbia nulla a che vedere col danneggiare nemici,
anche ingiusti, tipicamente socratica: in un ambiente etico competitivo la guerra o il
16

mercato non c' giustizia, perch la "giustizia" della guerra e del mercato non ha a che
vedere con l'effetto delle proprie azioni sugli altri, ma solo con l'efficacia delle proprie
azioni rispetto ai propri interessi. Per questo, il fare del bene agli amici e del male ai
nemici pu essere solo la giustizia degli imprenditori e dei tiranni, perch riguarda
esclusivamente chi agisce e i suoi interessi, e non invece il rapporto con chi subisce
l'azione. Non regola le relazioni fra gli uomini, ma solo le relazioni fra un uomo
potente, i suoi interessi e le sue azioni.
Socrate, significativamente, sottopone allo stesso criterio di giudizio sia il potere
politico, sia il potere economico: la discussione con Polemarco, il quale pensava alla
giustizia degli uomini d'affari l'unica di cui aveva esperienza viene sviluppata in
modo da produrre una valutazione morale che coinvolge sia l'ambito pubblico, sia
quello privato.

17

II. TRASIMACO
Ovvero
LA VOCE DEL GLORIOSO IMPERO COLONIALE

1. La consapevolezza di Trasimaco.
Perch Trasimaco trascende presto detto: egli avverte che stanno per essere
messe alla berlina le fondamenta della prassi polica ateniese, consolidata nei secoli e
confermata dai continui successi, solo attraverso laggraziato eloquio di un Socrate
qualsiasi che si limita a riservare per s stesso il facile ruolo dell'interrogante, quando si
sa che replicare molto pi difficile, simulando espedienti per non rispondere alle
domande dirette (Resp.337a).

Per sostenere che Socrate rubi le idee degli altri,

necessario essere convinti che le domande abbiano un valore conoscitivo nullo. Per i
sofisti, infatti, la conoscenza si suddivide in unit discrete, di produzione individuale, e
pu essere trasmessa meccanicamente. Trasimaco, evidentemente, non si accorto che
Socrate, esercitando con abilit l'arte del domandare, ha condotto per mano Polemarco
il quale inizialmente ragionava come Cefalo da una concezione della giustizia arcaica,
fondata sulle sentenze dei poeti, a una pi moderna visione della giustizia come techne,
e finalmente all'idea della giustizia stessa come virt personale, individuale.
Trasimaco che crede che la conoscenza sia fatta di risposte e non anche di
domande convinto di avere un responso ottimo sulla giustizia, molto migliore degli
altri, e muore dalla voglia di esibirlo al pubblico, per fare bella figura. Ma vorrebbe
anche essere pagato. Le pretese economiche di Trasimaco non sono un elemento di
colore: il sofista pu chiedere soldi e rivendicare la propriet intellettuale sulle sue idee
solo col presupposto, come gi detto, di una concezione patrimoniale della conoscenza.
La giustizia rivela finalmente Trasimaco l'utile del pi forte. Questa definizione,
tramite le domande di Socrate, viene politicamente chiarita cos:
Ciascun governo istituisce leggi per il proprio utile; la democrazia fa
leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri
governi. E una volta che hanno fatto le leggi, proclamano che il giusto
18

per i governati ci che invece il loro proprio utile, e chi se ne


allontana lo puniscono come trasgressore della legge ed ingiusto. Questo,
mio ottimo amico, quello che dico giusto, il medesimo in tutte quante
le polis, l'utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere
detiene la forza. Cos ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni
caso il giusto sempre identico all'utile del pi forte. (Resp.338e 339a)
Per Trasimaco la giustizia si riduce in tutti i casi a uno strumento del potere
costituito sia esso democratico, aristocratico o tirannico finalizzato al suo utile.

2. Il confronto Vegetti Migliori su Trasimaco.


Per Vegetti8 per, il senso pi vero della tesi di Trasimaco non questo, e
neppure pu essere ridotto ad unaffermazione del diritto naturale del pi forte,
dellagaths, al potere. Trasimaco svela piuttosto al di l dellideologia della
neutralit della politica, della legge e della sua giustizia la natura inevitabilmente di
parte del potere, di qualsiasi potere, e dunque il suo carattere comunque oppressivo. Se
tale il potere, se esso non sta in alcun luogo medio, la legge e la giustizia che la
legge sancisce non saranno altro che strumentali alloppressione. Se non hanno altro
fondamento, nomos e dikaion sono solo prolungamenti e maschere del potere e della
forza, di arche e kratos. inoltre significativo che Trasimaco consideri la propria
definizione della giustizia come interamente originale, dal momento che essa stessa
deriva direttamente dal patrimonio collettivo dell'etica tradizionale come invece era
risultato molto chiaro a Socrate, nella parte finale della sua conversazione con
Polemarco.
Come per ricorda Vegetti9, la posizione di Trasimaco non riflette opinioni di
una morale condivisa da tutti, ma tesi intellettualmente molto elaborate proprie di
gruppi di punta dellintelligentsia critica dellepoca. Giusto ci che risulta conforme
alla norma sanzionata dalla legge (dik, il termine greco per giustizia vale anche
tribunale).

8
9

Vegetti, Letica degli antichi, p. 64.


Vegetti, Guida, pp. 41-42.
19

Socrate inoltre, dice di essere d'accordo che il giusto sia qualcosa di utile, ma di non
aver chiaro il senso dell'aggiunta "del pi forte". In questo modo comincia a interrogare
Trasimaco: se il giusto l'utile del pi forte, e questi, ingannandosi, ordina ci che gli
sembra utile, ma non lo , i deboli che gli ubbidiscono non fanno in realt l'utile del pi
forte. Forse si dovrebbe dire, suggerisce un altro dei presenti, Clitofonte, che Trasimaco
identifica col giusto ci che il pi forte stima tale (Resp.340a).
Trasimaco pensa che Socrate voglia tendergli una trappola e la evita, precisando
che per pi forte, intende colui che pi competente e che non sbaglia a scegliere le
proprie azioni: il governante, in quanto al governo e fin tanto che riesce a rimanerci,
non sbaglia, e stabilisce il giusto come suo utile (Resp.341a).
Questa precisazione connette strettamente potere e conoscenza: chi al potere,
lo perch ha una competenza tale da permettergli di mantenere la sua posizione.
Socrate, allora, passa ad esaminare quale sia il contenuto di questa competenza.
L'esperto di una techne si qualifica come tale non tanto perch sa badare al proprio
interesse economico ma perch sa fare l'utile di ci di cui la techne stessa oggetto: un
bravo medico, per esempio, non in primo luogo un abile uomo d'affari, ma uno che sa
curare i malati. Analogamente, un buon governante non si occupa tanto del proprio
utile, quanto di quello dei suoi sudditi (Resp.342e).
A questo punto, come fa notare Migliori10, Trasimaco con modi insultanti d
unulteriore impulso alla discussione ricordando che i pastori non lavorano a vantaggio
del gregge ma di se stessi, proprio come fanno coloro che detengono il potere:
La giustizia e il giusto sono in realt un bene altrui, un utile di chi pi
forte e governa, ma un danno proprio di chi ubbidisce e serve; e
l'ingiustizia l'opposto e comanda a quelli veramente ingenui e giusti; e i
sudditi fanno l'utile di chi pi forte e lo rendono felice servendolo,
mentre non riescono assolutamente a rendere felici se stessi. (Resp.343c)
Un esempio, questo, sottolinea Migliori, retoricamente efficace ma teoricamente
sbagliato, che permette a Socrate di chiarire subito al suo interlocutore che proprio lui,
che ha proposto il tema del tecnico in senso pieno, del vero tecnico ora non vuole

10

M. Migliori, Il Disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone. II Dallanima alla prassi etica e
politica, Morcelliana, Brescia 2013, p. 1086.
20

applicarlo al pastore, che non si occuperebbe del gregge ma di se stesso (Resp.345b-c)11.


A questo punto interessante mettere in luce, tra le numerose interpretazioni di questo
passo, la differenza di lettura che ne viene data da due autorevoli studiosi come Migliori
e Vegetti.
Il primo ritiene lobiezione socratica ineccepibile12: su un piano puramente
formale, sottolinea Migliori, se si vuol parlare in senso stretto e rigoroso del tecnico in
quanto tecnico, cio in quanto svolge pienamente la sua funzione, non si possono
mettere in gioco altri dati ulteriori e diversi; un soggetto, insomma, pu essere buono o
cattivo come pastore e buono o cattivo come affarista, ma ci non d luogo a problemi,
se si tengono separate e diverse le due funzioni.
Al contrario Vegetti13, ritiene Socrate perdente nella sfida con Trasimaco, e
successivamente con i due fratelli Glaucone e Adimanto, almeno in questa fase iniziale
del dialogo: egli sottolinea come la risposta di Socrate alla tesi trasimachea, sia debole e
manchi sostanzialmente il segno, nonostante il tentativo, a sua volta sofistico, di
trasformare la polarit potenti-sudditi in quella ingiusti-giusti, con le aporie che ne
conseguono. Il fallimento doppio: da un lato, sulla questione del potere, lanalogia
delle tecniche, che gli cara, non ha pi senso. Alla tesi socratica di un potere di
servizio, che i governanti svolgono nel vantaggio dei sudditi, Trasimaco replica in
maniera conclusiva che il pastore non mira al bene del gregge ma al proprio. Dallaltro,
ugualmente fallace il tentativo di ricorso al divino, che ricorda quello dei Meli di
fronte agli Ateniesi: lingiusto sar nemico degli di, e il giusto loro amico (Resp.
352b).

3. Gli dei amano lingiusto?


A questo argomento non replica Trasimaco, che lascia Socrate alle sue belle
parole, ma lo stesso Adimanto. possibile che gli di non esistano, o che comunque
non si curino affatto degli uomini. Se per bisogna crederci, deve essere fatto fino in
fondo, e pensare che sacrifici, iniziazioni e preghiere in cui lingiusto ricco e potente

11

Ivi, I.
Migliori, Il Disordine, p. 1086.
13
Vegetti, Letica degli antichi, pp. 112-113.
12

21

supera comunque il giusto povero e debole servano a propiziarsene la benevolenza


(Resp. 365d). Una volta individuata la funzione e l'origine politica della giustizia, ci si
deve domandare perch il singolo dovrebbe essere giusto, cio data la definizione
precedente perch dovrebbe adeguarsi a una giustizia imposta dallalto, nell'interesse
del potere costituito?
I giusti, dice Trasimaco, nelle relazioni con gli ingiusti perdono sempre, sia nei
contratti d'affari, sia quando si tratta di pagare le tasse, sia quando si tratta di ricoprire
una carica pubblica. L'ingiusto, che sa soverchiare gli altri, invece felice: e la massima
felicit si realizza con l'ingiustizia perfetta, cio con la tirannide (Resp.344a).
Infatti, chi viene sorpreso a commettere ingiustizia in un ambito parziale viene
punito e ricoperto di biasimo. Ma se realizza l'ingiustizia perfetta, divenendo tiranno,
viene detto da tutti felice e beato. Chi biasima l'ingiustizia lo fa solo perch teme di
subirla. Ma se realizzata in modo adeguato, l'ingiustizia pi forte, pi da uomo libero e
pi da signore della giustizia (Resp.344c).
Sul piano morale, dunque, non solo dannoso rispettare la "giustizia" del potere
costituito, ma la cosa migliore rovesciarla per crearsene a proprio vantaggio, ma ad
uso degli altri, come fa il tiranno, che privatizza e concentra nelle sue mani tutto il
potere.
Sul piano politico, la giustizia una convenzione imposta da chi governa; sul
piano morale, pu essere veramente felice solo chi ha la forza di imporne una propria
sui sudditi pi deboli. Questa imposizione, per Trasimaco, deve essere fatta agli altri ma
non a se stesso perch il potere pu essere tale solo se non ha vincoli (Resp.341a).
La tesi di Trasimaco non riguarda i contenuti della giustizia, ma solo la sua
funzione, nella prospettiva di un soggetto morale assunto acriticamente che molto
simile all'agaths dell'etica aristocratica omerica. Chi vuol essere giusto, anche solo
parzialmente, si fa asservire dal potere costituito; il perfetto ingiusto, cio il tiranno,
l'unico in grado di smascherare il potere che sta dietro l'inganno della giustizia. Ma
questo smascheramento pu aver luogo solo sostituendo potere a potere: anche il
tiranno, divenuto tale, imporr a proprio vantaggio l'inganno della sua giustizia.
Trasimaco, avendo profuso la sua sapienza, vuole lasciare la compagnia. Socrate
lo trattiene per ottenere chiarimenti. Per il sofista, il processo della conoscenza si

22

conclude con la consegna all'acquirente della merce che ha pagato; per Socrate, di
contro, questo soltanto un inizio.
Socrate cerca di distinguere fra gli effetti e le motivazioni di una techne per chi
la esercita, e il suo oggetto, che consiste in una facolt particolare e distinta. Questa
dynamis finalizzata a particolari vantaggi: l'arte medica si occupa della salute, per
esempio, mentre l'arte del pilota procura una navigazione sicura. L'oggetto proprio
dell'arte va distinto dagli effetti dell'arte su chi la esercita: il pilota, andando per mare,
migliora la sua salute, ma non per questo diventa medico. Il medico guadagna il suo
onorario, ma non per questo diventa quello che oggi chiameremmo un esperto di
marketing. La gente si rivolge al medico o al pilota non perch sono bravi a farsi pagare,
ma perch le loro technai procurano loro dei vantaggi; tanto vero che la capacit di
arrecare vantaggi propria del medico e del pilota non verrebbe sminuita se essi
lavorassero gratis. Il vantaggio che l'esercizio di un arte arreca a chi la esercita
qualcosa di esterno all'arte, e dunque non pu servire a definirla (Resp.345e). Pertanto,
se la giustizia deve essere una techne, essa deve avere un oggetto suo proprio, vale a
dire l'utile dei governati. Socrate arriva a dire che se esistesse una citt di uomini buoni,
nessuno competerebbe per governare, come avviene invece ora, considerando questo
compito un onere e non un onore (Resp.347d).
Socrate non dimostra questa tesi, che pure contrasta nettamente con
l'antropologia di Trasimaco, rinviandone la discussione. In questo momento gli preme,
piuttosto, di confutare l'affermazione del sofista secondo cui la vita dell'ingiusto
preferibile a quella del giusto. Egli, infatti, nel suo dialogo con Trasimaco, ha convenuto
almeno con una tesi di quest'ultimo, e cio con l'idea che la giustizia sia un "bene
altrui". Trasimaco sosteneva questa posizione dal punto di vista dei governati; Socrate la
afferma dal punto di vista dei governanti. Un governante giusto non fa il suo interesse,
ma quello dei suoi sudditi. Perch, allora, essere giusti?
Nella sua lode dellingiustizia, sostenuta con abbondanti esempi di buon
senso, Trasimaco giunge alla sua forma estrema incarnata dal tiranno, che commette
delitti per i quali chiunque altro viene punito e disonorato mentre lui riceve lodi persino
da coloro che riconoscono che egli ha realizzato la pi terribile forma di ingiustizia. In
questo modo si apre lo scontro tra due modelli di vita tematizzato da Socrate stesso

23

(Resp.344e), che si contrappone duramente e totalmente a Trasimaco: in qualunque


situazione egli ritiene che lingiustizia non sia pi vantaggiosa della giustizia.
Trasimaco per rifiuta i giudizi tradizionali sulla base della coppia virt-vizio e
definisce la giustizia una nobilissima ingenuit (Resp.348c) e lingiustizia un giudizio
avveduto14.
Socrate pone il problema delle relazioni della persona giusta e della persona
ingiusta con gli altri, fermo restando che, come afferma il suo interlocutore, sono gli
ingiusti ad essere intelligenti e virtuosi. I giusti vogliono soverchiare solo gli ingiusti;
gli ingiusti, di contro, vogliono soverchiare su tutti (Resp.349c-d).
In ambito scientifico, lo scienziato non vuole prevalere su chi altrettanto
esperto: in questo caso, infatti, converr con lui. Un medico non prescrive una terapia
differente da quella prescritta da un collega di cui riconosce la competenza solo perch
vuole prevalere. Questa volont di prevalere si manifesta solo nel caso abbia a che fare
con un incompetente. Di contro, una persona ignorante non sar in grado di distinguere
l'esperto dall'inesperto e cercher di primeggiare su tutti, esattamente come fa
l'ingiusto (Resp.350a). Il giusto, come l'esperto in una qualche arte o scienza, ha dei
criteri, diversi dall'ansia di primeggiare, per governare le proprie relazioni con gli altri;
l'ingiusto, invece, guidato solo dalla sua ansia di primeggiare. L'ingiustizia, dunque,
ignoranza: l'ingiusto uno che non ha la volont di imparare. Una morale
dell'ingiustizia una morale che non pu essere argomentata intersoggettivamente,
perch non offre nessun criterio di discussione comune a tutti.
Trasimaco, che gi era incredibilmente sudato, arrossisce. Socrate riuscito
nell'impresa di condurlo a riconoscere che stava esaltando l'ignoranza cosa, questa,
che un sofista non pu permettersi. Se un esperto cerca di prevalere sugli altri
indifferentemente, senza un criterio comune che legittimi la sua conoscenza, nessuno
pu ambire al titolo di esperto: perfino la sofistica ha bisogno di una comunit di
conoscenza. Se questa mancasse, perfino il mercato sofistico dell'informazione sarebbe
impossibile, o, meglio, dovrebbe riconoscere se stesso come inganno, imposizione e
imbroglio.
A parte l'acredine di Trasimaco e lo smacco subito, il suo lungo discorso vuole
porre il dito sulla piaga del tempo, sulla corruzione e sul caos morale che imperavano in

14

Migliori, Il Disordine, p. 936.


24

Atene15. La situazione veramente cos drastica: i valori morali sono sovvertiti


dall'egoismo e dal profitto personali.
A Socrate non dispiace che Trasimaco dica le cose realmente come stanno,
perch solo cos si pu sentire l'esigenza di porre dei rimedi. In fondo la sofistica della
prima generazione e Socrate sono d'accordo sulla necessit di un rinnovamento, anche
se poi i metodi e i mezzi suggeriti non coincidono.
La sofistica sappiamo che riponeva la virt dell'uomo nella capacit che egli
aveva di dominare con la parola gli altri. Mentre Socrate, la stessa virt, la riponeva
nella capacit dell'uomo di riconoscersi come uomo, cio come essere pensante e
cosciente delle proprie funzioni. Le concezioni sono nettamente diverse, ma la
posizione di partenza identica. Per cui Socrate non che disdegni la cruda realt posta
da Trasimaco, ma vuole a tutti i costi andare all'origine dei mali della societ ateniese,
perch si possano conoscere le cause e quindi proporre i rimedi.
Egli pienamente d'accordo con Trasimaco sui mali che rodono la societ
ateniese, ma non pu convenire con quelle che sono le sue convinzioni sulla giustizia.


15

Catenaro, Il pensiero, p. 77.


25

III. LA COMPLEMENTARIT TRA LE TESI DI SOCRATE E TRASIMACO

1. Sulla diversit e compatibilit dei ruoli.


Il problema per Socrate di fondamentale importanza; non si tratta di definire
una cosa da nulla, ma la stessa norma della vita, quella norma che ciascuno di noi deve
seguire per attuare nel modo migliore la propria esistenza.
La visione della conoscenza presupposta da Socrate lascia per aperto un
problema: se Trasimaco vuole essere un maestro di sapienza, non pu confutare Socrate
saltandogli addosso; e non pu neppure affermare che una vittoriosa strategia
di marketing sia una confutazione. La volont di potenza non si addice alla filosofia.
Questo, per, non impedisce che la volont di potenza possa addirsi alla politica: che la
tesi di Trasimaco, in altri termini, non possa coerentemente dare origine ad una
filosofia, ma possa fondare senza difficolt una scienza politica. E per questo Socrate,
alla fine del libro I, si dice insoddisfatto, perch il confronto con Trasimaco gli ha fatto
perdere di vista la questione pi importante, quella della definizione della
giustizia (Resp.354a).
Secondo te, una polis o un esercito o una banda di predoni o di ladri, o
qualsiasi altro gruppo di persone che tenti qualche azione ingiusta in
comune, potrebbero concludere qualcosa se si facessero reciprocamente
ingiustizia? (Resp.351c-d)
Socrate cerca di mostrare a Trasimaco che la giustizia una questione
politicamente essenziale, perch essa rende possibile lazione in comune; e, dal
momento che la vita teoretica non una scelta meramente dottrinaria, ma esistenziale e
comunitaria, anchessa ha bisogno della giustizia. Lingiustizia fonte di discordia e
rende impossibile agire in comune. Ovunque sorga ingiustizia in una polis, in un clan,
in un esercito, e perfino in una banda di ladri lunit che ne colpita diventa incapace
di agire e nemica di se stessa e dei giusti. E lo stesso fenomeno si verificher nella
singola persona ingiusta. Ordine politico e ordine interiore sono garantiti da una stessa
26

virt, la giustizia, che organizza correttamente una pluralit di agenti entro un intero,
tale che esso operi in armonia (Resp.352a).
Funzione degli occhi il vedere, funzione di una roncola, fabbricata apposta per
quello scopo, potare (Resp.352e). Laret leccellenza di una cosa nello svolgere la
propria funzione. Funzione dellanima amministrare, governare e deliberare
(Resp.353d); e la sua aret, cio leccellenza nello svolgimento di questa funzione, la
giustizia. Un'anima giusta semplicemente un'anima che svolge al meglio la sua
funzione, ed per questo felice.
Trasimaco aveva proposto una definizione della giustizia soltanto politica ed
esteriore; Socrate allude a una giustizia che regola allo stesso modo il governo della
citt e il governo di s. La giustizia politica di Trasimaco, in quanto mera funzione della
forza esteriore, non poteva diventare morale; la giustizia di Socrate, al contrario, ha
l'onere di dimostrare in che modo possa diventare politica. Egli entra nel dialogo legato
ai suoi principi di morale individuale, a sfondo anche religioso, per confrontarsi con la
formidabile sfida della cultura etico-politica della citt, rappresentata tanto dai Sofisti
quanto dagli stessi fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto, uscendone alla fine
radicalmente trasformato, cio provvisto di unetica, una politica, unontologia e
unepistemologia filosoficamente agguerrite16.
Il discorso sulla fondazione della citt nel libro II, non ha per ancora detto nulla
su dove possano essere la giustizia e l'ingiustizia, su quale differenza intercorra fra loro,
e su quale delle due debba possedere chi voglia essere felice, di nascosto o no dagli dei
e dagli uomini. Socrate fa questa osservazione rivolgendosi a Glaucone con l'appellativo
figlio di Aristone un appellativo che si sarebbe potuto usare per Platone stesso e
parlando della citt cos costruita come della sua polis. Glaucone replica osservando che
Socrate stesso aveva promesso di impegnarsi in quest'indagine, e non pu tirarsi indietro
(Resp.427d).
La nostra citt prosegue Socrate se stata correttamente fondata,
completamente buona (Resp.428e). Essendo tale, avr le virt della sapienza, del
coraggio, della temperanza o sophrosyne, e, finalmente, della giustizia.
Nella distribuzione gerarchicamente articolata delle funzioni sociali e nella
comune accettazione di questa diversit di ruoli, Platone individua comunque la risposta

16

M. Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Einaudi, Torino 2003, p. 79.


27

al problema di stabilire che cos' la giustizia nella citt. Essa consiste in sostanza, come
stato detto17, nella costruzione di un potere giusto, e nel consenso tributatogli da tutte
le componenti del corpo sociale. Ne una premessa la sophrosyne, la saggia
moderazione, che fa cantare all'unisono la stessa canzone ai pi deboli, ai pi forti e a
quelli di mezzo, diversi per intelligenza, se vuoi, o se vuoi per forza o per numero o per
ricchezza o per qualsiasi altra simile qualit, che garantisce cio un accordo secondo
natura di chi inferiore e di chi superiore su chi di loro debba avere il comando nella
citt (Resp.432a). Su questa base, la giustizia politica consiste allora nella distribuzione
gerarchizzata e consensuale delle diverse funzioni sociali:
Il rispetto del proprio ruolo da parte del gruppo addetto alle mansioni
economiche, di quello incaricato dei compiti militari e di quello di
governo in base al quale ognuno di essi svolge nella citt le funzioni
che gli sono proprie non costituir la giustizia e non render giusta la
citt? (Resp.434c)
Se le doti intellettuali e morali degli uomini sono diverse per natura ed
educazione, la citt giusta sar quella in cui ognuno svolge il ruolo per il quale meglio
attrezzato psicologicamente, e inoltre comprende che questa distribuzione gerarchica
delle funzioni la sola che pu garantire il vantaggio comune; l'ingiustizia, al contrario,
consiste nel tentativo di sovversione dei ruoli ad esempio, la pretesa al comando da
parte dei detentori della ricchezza o della forza militare.
La giustizia cos concepita garantisce, secondo Platone, la salute della citt e
analogamente quella dell'anima individuale.
Produrre salute nel corpo significa istituire fra i suoi elementi un rapporto
di potere secondo natura; al contrario, la malattia consiste nel fatto che
essi esercitino il comando o gli siano sottoposti contro la norma naturale.
(Resp.444d)


17

Vegetti, Quindici lezioni, p. 99.


28

Similmente, la corretta distribuzione dei ruoli di potere e di subordinazione costituisce,


nella citt e nell'anima, la salute/giustizia18. Cio, in ultima istanza, il benessere, la
felicit collettiva e individuale. Platone risponde cosi alla domanda cruciale formulata
da Glaucone e da suo fratello Adimanto: perch essere "giusti", perch rispettare, in altri
termini, le regole di una convivenza sociale pacificata e collaborativa, rinunciando ai
vantaggi offerti dalla pleonexia: ricchezza, potere, sopraffazione? La risposta platonica
che solo la giustizia assicura il conseguimento dello stesso fine cui mira anche, bench
vanamente, la pleonexia: la felicit. Si pu essere personalmente felici solo vivendo in
una comunit felice, e una comunit felice solo una comunit sana, cio giusta. Il
sacrificio della pulsione primaria della sopraffazione reciproca viene allora compensato
con la promessa di un benessere pi solido, duraturo, armonico, non minacciato dai mali
altrimenti inevitabili della paura universale e della insaziabilit individuale.
Socrate dice (Resp.432d-e) che, in effetti finora, hanno sempre avuto tra le mani
quello che andavano cercando: infatti, la citt stata costruita sulla base dellipotesi
della divisione tecnica del lavoro. Se vale questa ipotesi, la giustizia non pu che essere
il criterio che assegna a ciascuno il suo ruolo. La citt stata costruita per rispondere a
tutti i bisogni; la divisione tecnica del lavoro stata introdotta allo scopo di soddisfare i
bisogni di tutti nel modo pi efficiente. Sulla base di questo presupposto, si pu stabilire
anche una gerarchia fra le diverse funzioni: se vero che nessuno desidera essere
indottrinato, dare il primato alla conoscenza e al suo interesse non economico e non
competitivo una garanzia di autonomia e di trasparenza delle scelte politiche, rispetto
al rischio grave ai tempi di Platone come ora del conflitto di interessi in chi governa
e della conseguente manipolazione dei governati, da parte del pi forte, per il proprio
utile.

Se nella polis un gruppo di cittadini fosse giusto per motivi esclusivamente

esteriori per evitare danni o per ottenere vantaggi , lintero progetto politico
platonico sarebbe in pericolo. La giustizia viene perseguita per motivi unicamente
esteriori soltanto se essa separata, oggettivamente o soggettivamente, dal suo nesso
con la conoscenza. Gli editori di Platone della tarda antichit avevano realizzato che il
filosofo aveva composto diversi dialoghi ciascuno dei quali era dedicato a una singola
virt. La giustizia l'unica virt che abbia avuto l'onore di essere trattata in dieci libri19.

18

Per il rapporto reciproco tra questa coppia di concetti, centrale nella filosofia politica di Platone, e del
relativo parallelismo tra i due, Cfr. E. Voegelin, Ordine e storia, Il Mulino, Bologna 1986, p. 119-127.
19
E. A. Havelock, Dike. La nascita della coscienza (1978), Laterza, Roma-Bari 1981, p. 379.
29

vero che la Repubblica viene letta anche per altre ragioni: essa infatti tratta argomenti
assai diversi quali la politica, l'economia, l'educazione, l'epistemologia, la teoria delle
forme, la natura della poesia e l'immortalit dell'anima. Ma le discussioni su questi
argomenti sono inserite entro una struttura testuale assai chiara. Il primo libro contiene
il dialogo che presenta l'argomento: cosa la giustizia? possibile definirla?
Non viene data una risposta chiara; la discussione si conclude senza conclusioni, nello
stesso modo in cui si concludono gli altri dialoghi morali. Ma questa volta il dilemma
deve essere risolto. stato proposto per dar vita alla sfida del secondo libro: la giustizia,
la virt suprema, deve esser definita in se stessa e per se stessa. Il resto del trattato
dedicato alla meticolosa enunciazione della definizione e al suo completamento.
A met del libro IV della Repubblica vengono fatti dei preparativi per collocare la
giustizia entro la citt (432b) e l'anima (442d), e in ognuno dei due casi questa virt
controbilanciata da una definizione del vizio a lei opposto. Una ulteriore dimostrazione
della sua utilit alla fine del libro IV (444e) ha l'effetto di produrre una seconda ed
estesa definizione, ripresa nel libro IX (588b), che si conclude formalmente dopo la
dimostrazione della miseria del vizio corrispondente (576b); viene perfino stabilito un
rapporto matematico tra i due (587b).
La dottrina dell'immortalit e del destino dell'anima che conclude l'opera usata
come conclusione della trattazione della giustizia perch ne descrive i premi in questo
mondo e nel prossimo (Resp.608c 612b). L'intenzione di dedicare unopera cos
importante e impegnativa alla celebrazione solo ed esclusivamente della giustizia pi
che evidente. L'argomento introdotto in modo problematico quando al vecchio Cefalo
viene domandato se si pu dire che la giustizia sia semplicemente e soltanto verit e la
restituzione di qualsiasi cosa che si sia presa da un altro. Il motivo per l'introduzione
del termine stato giustificato dal passo immediatamente precedente: a Cefalo, uomo
ricco, stato chiesto quale secondo lui il maggior vantaggio della sua ricchezza. La
risposta geniale ma leggermente evasiva: Cefalo risponde che motivo di gran
conforto per chi si avvicina alla fine della vita, pensare che non ha fatto torti a nessuno;
egli pu guardare a un'esistenza futura, se esiste, senza paura di punizioni. Questa non
una risposta alla domanda, almeno fino a quando non aggiunge che, se si ricchi, ci si
pu assicurare di morire senza il timore di aver imbrogliato qualcuno o di essere
debitori di qualcosa. A quanto pare egli vuol dire che con i soldi si possono pareggiare i
30

bilanci e ripagare i debiti prima di andarsene. La risposta pratica, ma formulata in


modo tale da inserire ci che detto nel contesto del termine giustizia inteso in modo
tradizionale20: ci si ricorda, egli dice (Resp.330d) dei mythoi riguardanti gli abitanti
dell'Ade, di come chi compie lingiustizia qui, paga la giustizia, l... e si riflette: io, ho
fatto ingiustizia a qualcuno? Scoprendo molte ingiustizie nel proprio passato, uno si
impaurisce; ma chi conscio di niente di ingiusto pu attendere una gradevole
compagnia. La menzione dei mythoi riguardanti l'Ade una reminiscenza della
descrizione, nellOdissea, degli spiriti che appaiono davanti a Minosse. Come fa notare
Havelock, dik viene intesa, come in Erodoto, nell'accezione ristretta di pena; anche il
sostantivo a-dikma tipico di Erodoto. chiaro che Cefalo sta pensando alla
giustizia nell'ambito del suo significato tradizionale che indica la regola d
reciprocit, in particolare come essa viene applicata all'obbligo della restituzione del
denaro, obbligo che viene descritto in due delle storie di Erodoto, e nel senso pi
ristretto di multa o pena in cui si pu incorrere.
Socrate, elogiando questa affermazione e mantenendo la stessa ampiezza nel
significato del termine, domanda: Dunque, a proposito di questa stessa cosa,
dikaiosyn, diremo che rappresenta la verit e la restituzione di ci che si riceve?
La domanda formulata in modo da suggerire che un tema gi menzionato viene
risollevato.
Man mano che il dialogo avanza, consentendo a Polemarco di assumere il ruolo
di interlocutore, vengono proposte le seguenti definizioni del termine: 1) significa
dire [cose] vere e restituire ci che si preso (Resp.331d); 2) quella tecnica che
restituisce benefici e offese agli amici e ai nemici (Resp.332d); 3) utile ai contratti
(Resp.333a); 4) utile nel caso particolare in cui del denaro deve essere dato in
deposito e tenuto sicuro (Resp.333c); 5) e infine (questa volta Socrate a parlare,
(Resp.335d-336a) significa la proibizione di offendere chiunque, i nemici inclusi, il che
corrisponde a un rifiuto della massima citata prima. Queste cinque definizioni di
giustizia sono in linea con la sua tradizionale funzione procedurale21; essa costituisce
una direttiva che prescrive delle regole che controllano le azioni degli individui e dei
gruppi nelle loro interrelazioni; in genere si pensa che queste regole abbiano valore di
reciprocit. La quinta definizione non prescrive la reciprocit e quindi, in termini

20
21

Havelock, Dike, p. 380.


Havelock, Dike, p. 382.
31

tradizionali, un paradosso; tuttavia anch'essa formulata come una regola di


comportamento a carattere sociale.
Tutto ci non cambia nemmeno quando Trasimaco prende il sopravvento nel
dialogo e propone l'ipotesi altrettanto paradossale che dikaiosyn rappresenti gli
interessi del pi forte.
Per quanto i tradizionali dik e dikaion, nella loro accezione comune, non
avrebbero compreso un tale cinismo, il significato del termine rimane sempre
procedurale ed esteriore, riferito questa volta alle regole del potere politico e del suo
esercizio, come abbondantemente chiarito nel corso del discorso. la giustizia
proposta da Trasimaco davvero cos diversa dalla dik che Agamennone impone a
Troia, e Clitennestra ad Agamennone22?

2. Un linguaggio che faccia giustizia.


Eppure, nel mentre che il dialogo si avvia al suo apice, il termine assume una
nuova coloratura. Un'ingiustizia teoricamente totale e una giustizia teoricamente totale
sono state poste in antitesi l'una di fronte all'altra, con la prima che viene definita pi
conveniente; al che Socrate dice: C' un'altra cosa che vorrei mi diceste su di loro. Voi
chiamate l'una virt (aret) e l'altra vizio (kakia)? (Resp.348c). Ci cambia il campo di
riferimento; una virt, comunque venga interpretata, si riferisce a qualcosa di
personale pi che a qualcosa di interpersonale; essa pu essere posseduta
indipendentemente dalle relazioni con gli altri. Questo significato viene messo a fuoco
quando vengono prese in considerazione le conseguenze del suo termine opposto che
avvengono all'interno di un individuo (Resp.351e). Queste (in analogia con la
comunit presa in considerazione precedentemente) assumono il significato di
fazione (stasis) e di mancanza di concordia con se stesso di un uomo; quest'uomo
diviene nemico sia di se stesso che della gente giusta (Resp.352a); l'ultima clausola
unisce le nozioni di una condizione interna e di relazione esteriore. Poi, per ribadire
questa interiorizzazione di dikaiosyn, viene proposto che essa sia in realt una
funzione della psych (Resp.353d 353e). Per quanto la discussione si chiuda senza

22

E. A. Havelock, Dike, p. 383.


32

una conclusione, Platone ha affermato che la giustizia deve assumere un significato,


precedentemente non stabilito dalla tradizione, che le dar per sempre una doppia
funzione: la giustizia della comunit, cio una moralit sociale, e la giustizia dell'anima,
e cio una moralit individuale23.
Il termine diviene sia pi ricco che pi complesso, in quanto include un doppio
riferimento tanto alla polis che all'individuo. La giustizia rimane il simbolo di una
relazione sociale come sempre stato ma ora ne assume un altro che si riferisce alla
personalit umana; vi probabilmente un'identit di qualche tipo tra i due che giustifica
l'uso di un termine comune. Nel libro II della Repubblica, Platone riprende il suo
compito mettendo insieme un secondo raggruppamento di tali enunciati che tuttavia,
come descrizioni del loro soggetto, vengono successivamente proposti, respinti ed
alterati.
Nella sua puntuale analisi semantica, Havelock evidenzia il modo in cui il
simbolo viene adesso presentato come una costante linguistica, una cosa singola e
soltanto una cosa, mai usata al plurale. In secondo luogo viene spesso contrapposto al
suo termine negativo, adikia, anzich al simbolo di un'altra cosa come hybris o bia. In
terzo luogo vengono impiegate certe tecniche verbali che hanno lo scopo di
sottolinearne l'isolamento, si potrebbe dire la sua solidit, come elemento con una sua
identit autosufficiente, che quasi un'entit.
Quando la ricerca di una definizione viene, nel libro II, ripresa e intensificata, il
linguaggio viene rafforzato: ci che vuole sentire il primo interlocutore cos
espressamente dichiarato
Che cosa ciascuna della coppia (cio della coppia costituita dalla
giustizia e dall'ingiustizia) , e che forza ha quando presente in s e per
s nell'anima. (Resp.358b)
Il secondo interlocutore ripete la sfida intellettuale:
Dimostraci ci che ciascun termine della coppia in s e per s fa a chi lo
possiede cosicch uno una cosa buona e l'altro una cattiva. (Resp.367b)

23

E. A. Havelock, Dike, p. 383.


33

Quindi
Sancisci la tua approvazione su questa cosa a proposito della giustizia e
solo su questa, cio cosa la giustizia in s e per s fa per beneficare chi la
possiede. (Resp.367d)
Questo tipo di linguaggio pu essere interpretato come una risposta e una
correzione alla sintassi della descrizione in forma narrativa tipica della tradizione
precedente che aveva posto simboli come dik in contesti cos diversi e contraddittori, e
gli aveva imposto di portare abiti cos diversi e di ricoprire cos tanti ruoli, in Eschilo
non meno che in Esiodo; Platone vuole che il campo di significazione venga ridotto24.
Non basta che la giustizia diventi un tema; il tema deve diventare un concetto stabile,
affermato con coerenza. Per diventare un concetto, la giustizia deve soddisfare anche un
altro requisito; il significato dei suoi predicati deve essere astratto come il suo, cos da
lasciare aperta la possibilit di essere definita tramite delle propriet e degli attributi,
delle categorie e delle relazioni che sono permanenti, e scarsamente soggetti a
cambiamenti occasionali quanto la giustizia stessa.
Ben equipaggiato con queste tecniche linguistiche, nel libro II il trattato pronto
a proporre la sfida concettuale: che cos la giustizia? La risposta data alla sfida rispetta
la natura ambivalente di dikaiosyn che stata adesso affermata. Essa viene proposta
all'esame cos come viene concepita nella citt che il suo habitat tradizionale , e
poi nell'anima. Dopo che stata trovata una citt adatta, il libro IV del dialogo segna
finalmente il punto in cui la formale descrizione di cosa sia la giustizia pu cominciare.
Il tema proposto nel libro I viene messo a fuoco e la sfida del libro II deve essere
affrontata. La giustizia deve essere trattata come il simbolo di un'identit totale nel suo
genere, forse di un'identit metafisica avente un termine assolutamente antitetico nel suo
termine negativo. Spiegare ed esporre questa entit un compito che deve essere
intrapreso sistematicamente: un compito concettuale25.
Socrate ha dimenticato cosa aveva promesso, e gli deve essere ricordato. Dopo
averlo brevemente sollecitato fino al punto in cui Socrate dice: io presumo la nostra

24
25

Havelock, Dike, p. 385.


Havelock, Dike, p. 387.
34

citt essere totalmente buona, Platone permette al discorso analitico di prendere il


sopravvento su quello narrativo.
Coerentemente con questa revisione del linguaggio prefilosofico, le operazioni
della conoscenza sono rappresentate come esperienze visive su oggetti materiali. La
citt (la cui esistenza reale risiede sulla carta o nel pensiero) deve essere ispezionata con
l'aiuto di una luce per vedere dove la giustizia ha la sua residenza. Quattro virt
vengono scoperte nella citt. Poi il linguaggio della conoscenza a prendere il
sopravvento: tre di esse possono essere riconosciute, e cio conosciute, e cos anche
la quarta.
Avendo proposto il metodo dell'eliminazione come quello adatto a raggiungere
una definizione della giustizia, si passa ad applicarlo. La saggezza, il coraggio e la
temperanza vengono successivamente localizzati nella citt (Resp.428a 432b).
La giustizia sar ci che rimane: che un modo abbastanza curioso per
presentare la virt suprema. Oltre a stabilire una stretta relazione con le altre tre, dovr
essere identificata indipendentemente.
Eppure, a parte il bisogno di concettualizzare, bisogno mitigato dalla sintassi
narrativa, qual infine la definizione che viene raggiunta? Fare la propria cosa; la
formula sembra moralmente meschina, sorprendentemente meschina26.
Deriva certamente, come Platone fa notare, dalle regole che stabiliscono la
divisione del lavoro tra gli artigiani che furono prescritte mentre la citt veniva fondata
e colonizzata. Fare la propria cosa viene fatta sembrare soltanto l'ingegnosa
estensione al campo della politica di un principio che governa la tecnologia. Ma qual
la sua fonte? Affermare che il principio giustifica la tripartizione platonica delle classi e
la proibizione della loro mescolanza significa spiegarne l'applicazione ma non
l'ispirazione. Che cosa dunque la propria cosa? Nessuna spiegazione operativa
sembra possibile; non sembra possibile spiegare la formula se non in virt dei suoi
stessi termini. Molto semplicemente essa sottolinea il fatto che il cittadino deve fare
correttamente cosa sta facendo, che deve accettare, diremmo noi, il ruolo che gli stato
assegnato. Chi, o che cosa, pu averglielo assegnato se non lo stile di vita stabilito dal
contesto sociale nel quale vive? E che cosa questo se non la descrizione di una
maniera di essere che corrisponde alla tradizionale regola di buon comportamento che

26

Havelock, Dike, p. 393.


35

ha conservato e protetto gli esistenti nomos ed ethos della societ greca? Il significato di
dikaiosyn forse molto diverso, ora che stato concettualizzato, da quel significato di
dik come norma della regolarit, che prescrive di non varcare i limiti assegnati, di
evitare azioni stravaganti ed eccessive, significato che aveva tormentato dik in tutti i
suoi impieghi da Omero a Eschilo?
D'altra parte gli effetti provocati dall'apparato crescente di una democrazia in
stato di letterariet furono sconcertanti e sconvolgenti: ruoli civici accettati venivano
alterati; e tuttavia pu valere la pena domandarsi se queste conseguenze fossero
veramente profonde.
Un contesto tradizionale per la giustizia emerge di nuovo nella conclusione: la
citt avr dei governanti il cui compito sar quello di giudicare le giustizie. Quali
saranno gli obiettivi di un tale esercizio giudiziario? Altrove nella Repubblica, Platone
nega il principio che nella sua utopia vi sia alcun bisogno di liti. Qui egli non sta
tuttavia pensando a delle liti ma alla conservazione dell'esistente distribuzione della
propriet e del potere, che pu essere definito come status quo. Quando, nello stadio
successivo del discorso, viene a sua volta formulata la giustizia dell'individuo giusto,
essa viene descritta negli stessi termini tradizionali: l'uomo giusto, dopo aver ricevuto
un deposito, non desiderer privarne il legittimo proprietario; egli si guarder dal
sacrilegio del furto e del tradimento; i suoi giuramenti e i suoi contratti saranno
totalmente fidati; l'adulterio e la negligenza dei parenti e dei servizi del culto non si
adattano a questo tipo di persona; tale il tipo di citt e di uomo creati da dikaiosyn
(Resp.442e 443b).
In realt tali regole di comportamento non hanno alcun debito storico nei
confronti della definizione platonica della nuova moralit. Esse erano direttive
tradizionali contenute nei mythoi e nelle massime di un Omero, di un Esiodo, un Solone,
un Eschilo e, pi recentemente, applicate alle regole del commercio da Erodoto. Vi
tuttavia una differenza. Ci che Platone non vuole conservare l'aspetto puramente
procedurale di dik. Egli la accoglie come prassi ma preferisce una societ in cui il
bisogno di un sistema di rettifiche per conservare e restaurare la propriet non esiste.
Egli restio ad accettare quel principio di individuazione, il quale spingeva
istintivamente anche le societ orali a formulare ed adottare direttive di natura correttiva
la dik greca ne un chiaro esempio che, una volta applicate, sono in grado di
36

restaurare la struttura temporaneamente sconvolta del nomos e dell'ethos. La giustizia di


Platone, che viene scritta a grandi lettere nella citt, diviene il simbolo di una stabilit
immutabile. Perfino il trasferimento dei figli da una classe all'altra viene permesso solo
per impedire che la stabilit venga sconvolta.
Questa esigenza concettuale, che coinvolge l'unione di soggetti e predicati in
proposizioni permanenti, egli voleva applicarla anche alla sfera delle azioni umane.
Vi sono dei paradossi nella giustizia di Platone; probabilmente nessun tentativo di
esporre questo concetto pu loro sfuggire. Tali paradossi chiariscono il ruolo intermedio
di Platone nella storia della cultura greca, e la sua capacit di mediazione, situato come
egli tra una cultura orale che sta velocemente scomparendo e una coscienza letteraria
che sta prendendo il sopravvento. Ci particolarmente vero riguardo alla giustizia
politica. E tuttavia, quando procede a situare la giustizia nell'anima umana, egli si lascia
la tradizione chiaramente alle spalle27. Il movimento intellettuale diretto verso la
concezione della personalit umana come la fonte della motivazione e dell'intelligenza
individuali era andato avanzando, nella seconda met del quinto secolo, insieme alla
concettualizzazione della giustizia. Per concludere la definizione della giustizia politica
(e anche del suo contrario, l'ingiustizia, Resp.434a-d), Platone passa a studiare la
proposizione, che d per accettata da tutti, secondo la quale questa forma vale
individualmente per ogni essere umano; anche l dove la giustizia presente
(Resp.434d). La definizione di questo tipo di giustizia richieder prima una descrizione
del luogo dove abita, e cio dell'anima. La regola della simmetria richieder che l'entit,
come la polis, sia tripartita (Resp.434d 441c). Una volta che questa struttura stata
descritta, essa pronta a ricevere le quattro virt individuali che corrispondono alle
quattro virt politiche.
La giustizia non riguarda le azioni esterne compiute per i propri affari, ma
l'interno, ci che veramente appartiene a se stessi e agli affari dell'io; l'individuo
impedisce che gli elementi dell'animo si occupino gli uni degli affari degli altri e che si
mischino gli uni con gli altri. Le energie della psiche devono essere organizzate in modo
tale da poter fornire la stessa inamovibile e immutabile stabilit che prerogativa della
citt grazie alle tre classi di cittadini.


27

Havelock, Dike, p. 396.


37

A questa analisi manca totalmente una logica dialettica. Tuttavia essa stabilisce
con chiarezza una solida concezione della giustizia come simbolo di una moralit
puramente individuale.
Se la giustizia non si riferisce alle azioni esteriori essa diventa una condizione
interna e privata, una moralit dell'io ma non della societ. Mentre la definizione
platonica della giustizia politica conservatrice, la sua psicologia tanto radicale
quanto il linguaggio che desidera impiegare; egli vuole dare vita ad ambedue. Negli
autori preplatonici difficile trovare espressioni che descrivono una pura e semplice
moralit individuale della coscienza interiore; in Platone ci diviene pi facile. Ma
mentre noi oggi diamo per scontata una simile visione della filosofia morale, Platone
non poteva fare lo stesso. Egli doveva imprimerla nella coscienza greca, fino a farle
assumere una posizione di rilievo. Perch, come sar chiarito pi avanti nella
Repubblica, l'anima individuale anche la sede di quell'intelligenza che la sola in
grado di comprendere le forme del suo sistema filosofico.

38

CONCLUSIONE

Il ruolo della cultura.


A questo proposito, utile spiegare il ruolo che la parola scritta ha avuto nella
formazione di Platone e i motivi della sua aspra critica nei confronti dei poeti.
Con risultati proficui si pu fare un confronto col ruolo che l'iscrizione deve aver
ricoperto nella formazione e razionalizzazione di un crescente corpo di leggi. Ma di
sicuro il linguaggio greco era stato documentato per due secoli sotto forma di poesia
senza produrre un Platone. Perch dunque il ruolo della parola scritta divenne
d'improvviso cos importante, anche se si riconosce che alcuni dei suoi sintomi si erano
manifestati prima di Platone, nelle opere dei presocratici, degli storici e dei Sofisti del
quinto secolo? Si pu rispondere soltanto che la documentazione precedente, per quanto
riguarda la terraferma (perch Erodoto non era ateniese), era in realt rimasta poetica.
Se, come ha ben spiegato Havelock, i ritmi della poesia avevano la funzione originaria
di rendere memorizzabili enunciati importanti, che la prova di questa funzione deve
essere trovata nei primi testi greci che ci rimangono, che questi con tutta probabilit non
furono scritti prima della met del settimo secolo e forse anche pi tardi, si tentati di
concludere che gli autori successivi continuarono a usare la documentazione
esclusivamente al servizio della poesia, che stavano componendo principalmente per
ascoltatori e memorizzatori, e solo secondariamente per lettori. Le loro opere, per
quanto scritte, continuarono a essere recitazioni che rispondevano al controllo del
pubblico. L'opera di Platone come quella di Tucidide fu realizzata quando questo
controllo venne drasticamente ridotto, per quanto non sia mai scomparso in tutta
l'antichit.
Ci significa dunque che, indipendentemente dagli sforzi di Esiodo, la sintassi
della letteratura greca rimase fedele per la maggior parte alle regole orali dell'azione
narrata e non dell'analisi, della descrizione di atti nel loro accadere e non della
definizione causale, della personificazione e non dell'astrazione. In queste condizioni
non potevano esser creati dei coerenti sistemi simbolici. Cosa significa la giustizia?
Punizione o buon comportamento? una dea o una regola procedurale? Viene detto che
39

essa rappresenta cosa giusto che Agamennone faccia a Troia, cosa giusto che
Clitennestra ed Egisto facciano ad Agamennone, Oreste a Clitennestra e a Egisto e le
Furie a Oreste. Essa rappresenta le contrapposte pretese di parti contendenti, pretese che
non possono essere riconciliate, e che si contrappongono di continuo. Ovviamente, ci
rappresenta la condizione di confusione morale che affligge molte tragedie greche. Zeus
e Prometeo, Antigone e Creonte (per fare due esempi noti), manifestano ognuno le
proprie pretese sulla giustizia mentre condannano l'ingiustizia dell'oppositore.
Queste contraddizioni potevano avere efficacia drammatica e pu darsi che il
pubblico contemporaneo le accettasse volentieri. La funzione del coro, infatti, era
proprio quella di ricordare e confermare ad esso le nozioni accettate per la stabilit
sociale.
Tuttavia, possibile notare come le trame della tragedia greca vengono costruite
nell'ambito delle regole di un sistema culturale accettato, che uno degli scopi della
tragedia quello di proseguire il compito omerico di raccomandare queste regole
tramite la descrizione di cosa succede a chi le sfida, che la funzione primaria del coro
quella di sottolineare la lezione ripetendo quali sono le regole, che i simboli della
giustizia e delle altre virt vengono presentati come parte dell'azione allo scopo di
accentuare la tensione tragica tra pretese morali contrapposte; se, infine, si considera
che al tempo di Platone la lingua greca era pronta a definire cosa in realt la giustizia
per sempre allora facile comprendere il probabile motivo della sorprendente ostilit
platonica nei confronti della poesia, nei confronti di Omero, e in particolare nei
confronti della tragedia greca. A parte le sue obiezioni contro i negativi effetti emotivi
della poesia, il suo rifiuto vero e proprio di carattere epistemologico. Definendo la
giustizia come una condizione della psych, egli aveva detto che essa non si occupa
dellazione esteriore. Nel libro X della Repubblica, egli aggiunge:
La mimetica imita esseri umani che compiono azioni imposte o
volontarie, che pensano che sia l'azione che porta al loro benessere o il
suo opposto; loro piangono, loro gioiscono solo entro questi limiti.
(Resp.603c)

40

In questo modo egli descrive il carattere della poesia orale; deve avere forma
narrativa, deve somigliare a un panorama di attori e di atti, mai a delle relazioni
concettuali. Per lui tutta la poesia in quanto poesia ha questa caratteristica senza
possibilit di eccezioni. Infatti essa sempre una mimesi. Ci che viene detto tramite la
mimesi, cos egli aveva appena sostenuto (Resp.596d), pu esser confrontato a degli
oggetti fisici riflessi a caso in uno specchio girevole in grado di dare un'illusione ottica
che produce immagini deformanti e contraddittorie degli stessi oggetti; al contrario,
l'elemento di calcolo contenuto nell'anima corregge, tramite la misura e il numero,
queste distorsioni e quindi evita il verificarsi di contraddizioni nei medesimi oggetti.
uno sbaglio pensare che il bersaglio di Platone sia limitato a un qualche
gruppo di professionisti come i Sofisti. Coloro che vedono sono gi stati identificati
come il pubblico delle rappresentazioni drammatiche (Resp.475d 476b). Egli sta
considerando tutta la precedente tradizione poetica greca che aveva fino allora dato vita
e conservato il nomos e l'ethos della sua societ. Egli vi applica dei parametri filosofici
e alla luce di questi la giudica difettosa. Infatti la giustizia di Agamennone non era la
giustizia di Clitennestra, n la giustizia di Oreste quella delle Furie che lo
perseguitarono; in termini platonici, la dik sia ci che che ci che non .
Platone, aveva perfettamente inteso la funzione storica della poesia, derivata
dalla condizione orale della societ greca, che era prevalentemente educativa, funzione
che egli pens, giustamente, stesse divenendo un anacronismo.
Oltre alla funzione educativa, Platone vede per nella poesia, e soprattutto nella
tragedia, un grande pericolo. Nel Minosse, personaggio mitico evocato nellincontro con
Cefalo nella Repubblica, Socrate, esorta il suo Amico a non inimicarsi mai nessun
poeta, in quanto ai poeti egli attribuisce grande influenza sulla fama delle persone a
seconda del giudizio che essi esprimono nelle loro opere.
Per lo stesso errore da cui anche tu, carissimo, se sei saggio e tutti gli altri
uomini che vogliano essere tenuti in pregio da qualcuno, devono stare in
guardia: non inimicarsi mai nessun poeta. I poeti infatti hanno grande
influenza sulla fama delle persone a seconda che nei loro poemi ne
parlino male o bene. Proprio in questo Minosse sbagli, poich combatt

41

contro questa citt in cui vi sono ogni forma di sapienza e vari poeti di
ogni genere letterario, compreso quello tragico. (Minos. 320e)28
Bisogna per precisare che Platone, pur ritenendo la filosofia la disciplina
principe in grado di condurre sicuramente luomo alla verit poich solo essa accede al
mondo delle idee, esige dalla poesia, come da tutte le arti, un sostegno forte e costante
alla formazione morale dei giovani. Il rapporto con la poesia tuttavia problematico.
Quanto appena detto farebbe pensare ad un vero e proprio assoggettamento della poesia
alla morale; per questo motivo importante osservare, ma a volte anche controllare,
limpatto che hanno i poeti e le loro opere. Platone non propone mai che la repubblica
ideale faccia a meno della poesia; egli invoca piuttosto la presenza di un poeta austero e
impegnato, pronto a scegliere come oggetti da imitare quelli che possono contribuire
alla formazione morale dei futuri custodi della citt.
Ne deriva che la poesia, nel contesto della formazione dei custodi della citt,
convocata a servire la morale. Visto il ruolo chiave che spetta a tali guardiani e
considerando il fatto che lorganizzazione sociale, a cui fa riferimento qui Platone,
corrisponde a quella dellessere umano nel quale lelemento razionale ha il compito di
dominare linsieme delle forze presenti, inevitabile constatare il carattere strumentale
della poesia29.
Lappello a collaborare alla formazione morale dei giovani non si limita solo alla
poesia drammatica, ma si rivolge anche ai pittori, agli architetti e ai musicisti. A tutti
coloro che, in breve, influiscono sulla vita dei giovani, al fine di circondarli di opere
belle, poich la bellezza conduce, attraverso la ragione, al Bene Supremo.


28

Trad. di S. Rubatto, Newton Compton, Roma 1977


J. Bessire, E. Kushner, R. Mortier, J. Weisgerberger (a cura di), Storia delle poetiche occidentali
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