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Della difficolt di tradurre e del modo da doversi tenere pi che si pu Michele Colombo1

Nel suo saggio sulla traduzione 2 Colombo sinterroga sulleffettiva traducibilit delle opere letterarie.
Riconoscendo alle traduzioni la necessaria prerogativa della fedelt, immagina un traduttore che scompaia
davanti al lettore dellopera tradotta, fornendo cos limpressione che questi stia intrattenendosi
direttamente con lautore originario. Una traduzione perfetta sarebbe, scrive Colombo, impossibile da
ottenere, in considerazione degli ostacoli insormontabili che andrebbero superati, soprattutto quando si
traduca poesia e letteratura.
Tra le difficolt maggiori, oltre alla differenze proprie del carattere di ciascuna lingua, si aggiungerebbero
limpossibilit per il traduttore di possedere le due lingue in tutta la loro estensione e di riuscire,
spogliando s medesimo della maniera sua di vedere e di esprimersi a vestirsi di quella dellautore suo.
Le differenze climatiche, che avrebbero influito significativamente sulla differenziazione delle lingue, e le
diverse vicende che avrebbero contribuito a formare il carattere delle diverse nazioni, rappresenterebbero la
causa della inconciliabile distanza tra lingue differenti.
Colombo prende le distanze dai diversi approcci alla traduzione che nel corso dei secoli sono stati di volta in
volta proposti. Egli infatti non concorda con i promotori delle traduzioni libere (essendo convinto
dellimprescindibile legame che sussiste tra espressione e pensiero), critica anche i fautori di traduzioni che
hanno la pretesa di perfezionare loriginale (si tratterebbe infatti di rifacimenti e travisamenti, non di
traduzioni). Nella pressoch impossibile prospettiva di giungere ad una traduzione che sia degna di essere
definita come tale, Colombo considera anche i lettori, e dunque le tendenze della ricezione dellopera
tradotta, che possono influenzare indirettamente la forma e lo stile delle traduzioni. In tal senso, pur
ammettendo la possibile via della leggibilit della traduzione e della sua scorrevolezza, Colombo conclude
che ripetendo quanto affermato in apertura di riflessione, affermando che se ad una traduzione le manca la
fedelt essa sar sempre difettosa, e, come traduzione, da farsene poco conto.

1 Michele Colombo (Campo di Pietra 1747 - Parma 1838), sacerdote, letterato ed erudito, inizi presto lattivit di precettore che lo
accompagn per molti anni. Scrisse opere di vario genere. Nel 1812 pubblic Lezioni di una culta favella, quella che considerata la
sua opera principale, sulla quale torner durante larco di tutta la vita integrandola e pubblicandola in successive edizioni . Lopera,
confluir poi nel 1824 nel primo volume degli Opuscoli, lultimo volume dei quali sar pubblicato nel 1837.Tra le sue opere pi
importanti della seconda fase della carriera di Colombo vanno ricordate anche il Catalogo di alcune opere attinenti alle scienze, alle
arti ed ad altri bisogni delluomo, le quali quantunque non citate nel vocabolario della Crusca, meritano per conto della lingua
qualche considerazione (Mussi, Milano 1812) e unedizione curata e annotata del Decameron (Blanchon, Parma 1812-1814).
Qualche anno pi tardi collabor alla pubblicazione di unedizione della Gerusalemme liberata (Firenze 1824) per la quale propose
uno studio delle varianti delle precedenti edizioni. Nel 1825 pubblica la lezione Sopra di ci che compete allintelletto e alla
immaginativa (Paganino, Parma). Bibliografia sullautore: F. Tateo, Michele Colombo, Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 27,
Treccani, Roma 1982, pp. 238-241; R. Terracciano, Michele Colombo editore del Decameron, in Misure Critiche, 2/2013-1/2014,
pp. 287-317; G. Zagonel, Michele Colombo. Bibliografia, Dario De Bastiani Editore, Vittorio Veneto 2002.

2 Pubblicato nel volume Opuscoli, 1932, Tipi della Minerva, Padova, pp. 211-217.

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