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Il difficile equilibrio tra uomo e ambiente

Saggio breve

Oggi sembra sempre pi difficile riferirsi allambiente naturale nel senso classico del termine; lambiente infatti, nel
corso dei secoli, andato mutando, perdendo le caratteristiche naturali per acquistare quelle di un ambiente
progressivamente umanizzato, in cui cio appaiono sempre pi visibili le impronte e i segni dellintervento umano.
Premesso che per ambiente naturale si intende quello costituito dai tre elementi suolo, aria ed acqua, nel tempo stesso
ha subito profonde modificazioni che hanno portato allaggiunta da parte delluomo di altri elementi come edifici per
abitazioni o per altri usi, strade, fabbriche, campi coltivati.. Lumanit infatti, in continua espansione e sempre alla
ricerca di nuovi spazi e risorse, costruisce per rendere pi comodo e pi ospitale (o meno ostile) lambiente in cui
vive. Nel tentativo, vecchio quanto la storia, di superare o di rendere meno insormontabili i limiti posti da condizioni
naturali avverse, luomo ha svolto tutta la sua azione trasformatrice, e spesso purtroppo anche distruttrice, della natura:
unazione sempre pi intensa e vistosa, via via che i suoi mezzi tecnici si sono evoluti e perfezionati, finalizzata a
rendere il proprio habitat pi confortevole, ma spesso con leffetto indesiderato di modificarne e stravolgerne alcune
delle peculiarit essenziali per lequilibrio uomo-ambiente. Fin dallantichit, infatti, luomo ha plasmato luniverso che
lo circonda per farne il suo ambiente di vita, ma solo di recente si avuta la chiara percezione di quanto sia delicato il
rapporto tra uomo e ambiente e di come esso sia in pericolo serio. Le grosse concentrazioni industriali che rischiano di
compromettere irreversibilmente le condizioni bio-ecologiche, le aree di insediamento, la crescita smisurata degli
agglomerati urbani che rompe i tradizionali legami sociali, lincontrollato boom demografico, specialmente nei paesi
sottosviluppati o in via di sviluppo, lagitazione frenetica e il vuoto psicologico della societ dei consumi, costituiscono
delle minacce reali per il suo equilibrio. Mentre inizialmente, nel lunghissimo arco di tempo che va dal neolitico ai
primi anni dell800, il rapporto uomo-ambiente stato caratterizzato da una situazione omeostatica, in quanto non era
ancora predominante il concetto che la natura fosse esclusivamente una riserva inesauribile di risorse, successivamente
luomo ha perfezionato la sua capacit di intervento sulla natura, facendo prevalere la concezione utilitaristica del
mondo. Con questa affermazione, non si vuole implicitamente dare un giudizio di qualit, dal momento che non
possibile affermare che lera antica fosse una specie di paradiso terrestre e che ogni intervento sullambiente naturale sia
da considerare un fatto negativo. Tuttavia non si pu negare che, se lumanit non fosse esistita, la vita animale e
vegetale sulla Terra avrebbe seguito un ritmo molto diverso e che il paesaggio, nel senso pi ampio del termine,
avrebbe una fisionomia completamente diversa. La pratica della deforestazione, spesso effetuata mediante lincendio
della macchia o della foresta, stato uno dei primi esempi di modificazione del paesaggio; altrettanto si pu dire delle
savane che, se per alcuni studiosi sono da considerare formazioni naturali, per molti altri sono il frutto per lappunto
dellazione umana. Unazione umana devastatrice. Le zone in cui originariamente esistevano foreste erano infatti
moltissime sulla Terra ma luomo con costanza e regolarit e con mezzi prima rudimentali e poi sempre pi sofisticati,
si sostituito a quelle foreste, modificando profondamente quellambiente e quel paesaggio. Infatti basti pensare che
solo nellultimo anno se ne andato un pezzo grande quasi come la Sicilia (25.476 km, solo nella foresta amazzonica di
cui adesso tratteremo). I dati sulla distruzione della foresta amazzonica diffusi dallinpe, un istituto brasiliano che si
occupa dei rilevamenti satellitari e che ogni anno di questi tempi pubblica il suo dossier, riaccendendo il grave allarme
sul futuro del pi grande polmone verde del mondo. Nel giro di un anno, dal 2001 al 2002, il disboscamento di questa
zona aumentato del quasi 40 %. Ma ci che dovrebbe preoccupare di pi quello che le organizzazioni ecologiste
brasiliane indicano come la ragione principale che sta dietro a il velocissimo aumento della distruzione della foresta:
lagricoltura. Secondo gli amici della terra una delle maggiori associazioni brasiliane ambientalistiche, ammette che
la maggio parte della foresta che viene disboscata viene poi coltivata con piantagioni di soia e altro. Un aspetto che
non tarder a complicare la vita al governo brasiliano. Infatti se le cose stanno cos non si tratta di prendersela solo con i
latifondisti o le multinazionali del commercio del legno e della soia, che comunque un prodotto che offre un buon
guadagno per lagricoltura e poi, visto che viene esportato migliora pure i conti del brasile. Cos se combattere per la
difesa dellamazzonia significher anche battersi contro lespansione delle aree coltivabili, e dunque, contro una nuova
opportunit di occupazione-produzione-esportazione, la contraddizione allinterno del governo potrebbe avere effetti
distruttivi. Nel corso degli ultimi 15 anni sono stati cancellati 243 mila chilometri quadrati di foresta amazzonica che
equivale al 5% del totale di tutta la selva vergine che appartiene al brasile. E laccelerazione registrata negli ultimi 2
anni rende meno fantascientifiche quelle previsioni che sostenevano che la foresta amazzoni in 20 anni rischier di
sparire. Questa situazione non solo presente in amazzonia ma in tutti paesi del mondo, tutto per lasciare spazio
allumanizzazione del ambiente. Questo mutamento globale in termini di umanizzazione del amviente, in realt ha
cominciato a manifestarsi diecimila anni fa con la nascita dellagricoltura e della pastorizia. In un primo tempo il
campo ha convissuto con la foresta, poi luomo ha cominciato ad alterare il manto forestale per fare posto a nuova
terra coltivabile. Successivamente, in quella che il sociologo urbano Lewis Mumford ha definito periodo eotecnico
(circa dal 1000 al 1700), i primi sviluppi della tecnologia hanno consentito di utilizzare lacqua ed il legno (sempre
ricavato a spese delle risorse forestali) quali fonti di energia. Con il disboscamento la terra stata convogliata alle
pianure ed al mare dai monti non pi protetti dalla vegetazione; i rilievi ne sono risultati impoveriti; si sono avuti i primi
fenomeni di dissesto idrogeologico e, a lungo andare, si sono verificate profonde ed irreversibili alterazioni anche nella
composizione della fauna e nello sviluppo delle popolazioni. Si giunti cos al paradosso che luomo, sempre alla

spasmodica ricerca di nuovi spazi e nuove risorse per fronteggiare il continuo accrescimento demografico, ha provocato
e provoca la diminuzione della produttivit della terra abbandonando i terreni ai danni dellerosione. E noto infatti che
la copertura vegetale protegge il suolo e regola le acque; dove questo manto protettivo non esiste pi, il suolo viene
eroso, asportato e reso sterile sino a giungere alla roccia nuda ed improduttiva. Le acque, il cui flusso non pi
trattenuto e regolato, defluiscono tumultuosamente provocando alluvioni ed altre rovine: lItalia ha, in proposito, una
lunga e dolorosa esperienza e si calcola che circa 50.000 chilometri quadrati di territorio, in buona parte
nellAppennino, siano preda dellerosione. I disastri correlati alle recenti alluvioni in tutta la penisola sono una
conferma della drammaticit di questa situazione. Infatti solo in italia ci sono 3671 comuni a rischio, 4016 eventi negli
ultimi 100 anni, milioni di chilometri quadrati distrutti, 12.614 fra morti,dispersi e feriti. Non sono cifre di una guerra,
ma quelle delle alluvioni dal 1950 al 2000. Da qualche anno a questa parte, molti dei territori pi popolosi del nostro
paese sono colpiti da vere e proprie catastrofi. Quanto queste distruzioni siano naturali, ormai molto dubbio. Se sino a
ventenni fa le colpe erano sempre date alla natura, si va facendo strada una consapevolezza diversa, cio che abbiamo
un certo impatto sullambiente, e in questo caso specifico sui fiumi, sulla natura idrogeologica del nostro territorio,
riconosciuto da tutti. Al che sorge un quesito: perch le alluvioni hanno devastato litalia dal dopoguerra in poi?? Le
responsabilit sono suddivise imparzialmente tra le precipitazioni e la mal gestione del territorio. Se per le prime non vi
ancora una soluzione, per la mal gestione del territorio via sarebbero molte soluzioni. Infatti tuttora in tutta italia si
possono facilmente trovare: costruzioni in aree golenali, argini inutili, fiumi stretti in pochi metri e con il letto ricoperto
di cemento, boschi abbandonati o peggio ancora bruciati o scomparsi x colpa del disboscamento negli ultimi anni si
visto che una pioggia simile a quella che avvenuta decenni prima sullo stesso territori risponde con una piena e
maggior distruttivit. Si pu rimediare, o dovremmo abituarci a convivere con le alluvioni?? Lintenso ed irrazionale
disboscamento dei secoli scorsi, ma anche di tempi recenti, ha provocato danni incalcolabili, danni che, anche
nellipotesi di porre rimedio a questa situazione, dovremo subire per anni, dal momento che la ricostituzione di
condizioni di equilibrio unoperazione lunga e molto difficile: basta pensare al fatto che, per riportare lItalia a
condizioni forestali di equilibrio, continuando con lattuale ritmo di rimboschimento, occorrerebbero almeno 300 anni.
E noto, poi, come anche lindustrializzazione, che domina il processo evolutivo delle societ contemporanee, abbia
modificato vistosamente lambiente, sia quello cosiddetto socioeconomico, sia quello pi propriamente naturale. E
proprio su questultimo che le modificazioni risultano pi vistose perch lindustria (specialmente alcuni settori come la
siderurgia, la petrolchimica, la cementiera) si progressivamente insediata e si insedia tuttora nel paesaggio, ne diventa
una componente, trasformandolo sino a dargli una sua impronta. Anche il processo di industrializzazione, quindi,
modella uno specifico paesaggio agendo, pi o meno in profondit, sullutilizzazione del suolo, sul popolamento e sulla
fisionomia dei corsi dacqua e, addirittura, sul clima delle zone di insediamento. Attraverso questi correttivi e
modificazioni apportati allambiente, luomo ha esercitato il suo impatto sulla natura, con unazione che andata via via
aumentando con le continue tecnologie messe a disposizione da un processo tecnico sempre pi sofisticato e
perfezionato. Da queste azioni perpetrate dalluomo sulla natura derivano per delle conseguenze sulluomo stesso,
sulla sua fisiologia e sul suo comportamento: il clima dei grossi agglomerati urbani ormai ben diverso da quello delle
campagne, lelevato tasso di rumore, laria e lacqua inquinate contribuiscono a formare una sorta di patologia degli
abitanti delle grandi citt. Per questi motivi, per unanalisi ed una riflessione sulla relazione tra luomo e lambiente,
indispensabile prendere in considerazione il ruolo estremamente importante e complesso giocato nel mutamento
ambientale dalle societ nei confronti della societ stessa e degli individui che la compongono. Le attivit umane
risultano essere una piccola, ma importante, e soprattutto pericolosa, componente di un insieme complessivo di
ecosistemi globali e processi ecologici che includono per esempio i processi biologici, fisici e chimici. Limpatto
delluomo sullambiente naturale, come abbiamo visto, si rivelato nei secoli sconvolgente; in particolare con lavvento
della rivoluzione industriale luomo ha ampliato a dismisura il cosiddetto ecumene, ovvero quellambiente
umanizzato che diventato spazio a sua disposizione. Con la seconda met del XVIII secolo i mezzi tecnici a
disposizione per intervenire e addomesticare ambienti ostili, diventano pi sofisticati e lurbanizzazione comincia a
crescere con ritmi rapidissimi, segnando linizio del processo di inquinamento, processo che si protrarr a lungo. Queste
osservazioni potrebbero condurre, come si gi osservato, ad un frettoloso giudizio, fortemente negativo, sullimpatto
ambientale della rivoluzione industriale ed alla criminalizzazione dellindustria nei suoi rapporti con lambiente; in
realt, bench sia difficile contestare che il rapporto tra impresa ed ambiente sia stato sempre complicato, bisognerebbe
sottolineare che nel comportamento sostanzialmente inquinante dellindustria non vi nulla di ineluttabile, immanente
ed inevitabile. Piuttosto pi corretto affermare che non lindustria ad essere necessariamente inquinante, bens modi
di produzione suggeriti dal desiderio di realizzare il massimo profitto nel minor tempo possibile Oggi tutti questi aspetti
vengono in parte trascurati per dare maggiore risalto alle magnifiche e progressive sorti che certamente ha portato la
rivoluzione industriale. Se questo vero, altrettanto sicuro che essa ha provocato un impatto brusco ed evidente
sullambiente in termini di occupazione del suolo, di inquinamento dellacqua, dellaria, del suolo e delludito, di
produzione di rifiuti, spesso anche tossici e nocivi. In pratica agli effetti positivi se ne aggiungono altri, decisamente
negativi. Esiste per oggi la possibilit che le industrie sporche producano in modo pulito (ancorch pi costoso) ed
esistono le industrie pulite che consentono di realizzare un migliore rapporto industria/ambiente capace di non
incidere negativamente sulla qualit dellambiente e sulla estensione dello spazio umanizzato.

Pertanto il problema non risiede tanto nellindustria come entit astratta o nella rivoluzione industriale che lha prodotta,
ma va pi correttamente ricercato nei metodi di produzione i quali, pur potendo essere, specialmente oggi, pi puliti e
rispettosi dellambiente, continuano ad avere su questultimo un impatto negativo perch produrre sporco costa meno
e fa realizzare maggiori profitti. E proprio a causa di motivi come questo che la biosfera ha subito da parte delluomo,
negli ultimi cinquantanni, danni di notevole entit, tanto che si parla di degrado ambientale in senso generalizzato e ci
si interroga sia sulla capacit della natura di sopportare il peso delleconomia globale sia sullo stato e sul futuro della
biosfera stessa. La prima proposta formale per la riduzione delle emissioni pervenuta da parte dei paesi dellUnione
Europea che hanno indicato una riduzione entro il 2010 del 15% del livello delle emissioni del 1990 di tre gas, il
diossido di carbonio, il metano e lossido di azoto. In seguito, anche il Giappone e gli Stati Uniti hanno stilato dei piani
di intervento volti alla restrizione delle emissioni non solo dei tre principali ma anche degli altri gas responsabili
delleffetto serra. Anche in questo caso emerge tragicamente la differenza tra i paesi ricchi ed i paesi poveri. Sono i
paesi industrializzati, infatti, a portare le maggiori responsabilit della situazione attuale ed quindi naturale che siano
proprio questi a dover intervenire in maniera pi radicale per porvi rimedio. I leader dei paesi in via di sviluppo, dal
canto loro, portano avanti la propria richiesta affinch le nazioni industrializzate decidano responsabilmente gli
interventi necessari prima che venga a degenerasi ancora di pi questo instabile equilibrio tra uomo ed ambiente. A
livello di prevenzione occorre ridurre il versamento di prodotti chimici oltre i limiti di autodepurabilit propria di
ciascun corpo regolatore ed eliminare limpiego sul territorio di sostanze tossiche persistenti e bioaccumulabili nella
catena alimentare. Unaltra delle principali problematiche legate allaumento dellattivit industriale , come gi
accennato precedentemente, la distruzione delle ricchezze del suolo, delle foreste, paludi e praterie. Ad esempio, la
deforestazione, in tutto il mondo ha portato alla perdita di pi di tre milioni di miglia quadrate di foresta con gravi
conseguenze come lerosione dei terreni, la mancata ossigenazione ed umidificazione dellatmosfera, il notevole
aumento della concentrazione di anidride carbonica, in seguito al ridotto processo della fotosintesi clorofilliana che ne
consente la fissazione e la trasformazione in presenza di luce e di acqua in materiale organico per laccrescimento delle
piante. Unaltra fonte di inquinamento certamente costituita dalla problematica relativa al trattamento dei rifiuti,
intendendo per rifiuto un prodotto di scarto che rimane come avanzo, non solo dai consumi domestici, ma anche e
soprattutto dalla produzione industriale sotto forma di materia prima in eccesso, intermedio di lavorazione e scarti di
lavorazione nel processo di trasformazione di una risorsa in bene materiale, in accordo con il ciclo di produzione. I
rifiuti rappresentano infatti un problema molto rilevante per la societ moderna sia per laspetto dei quantitativi da
smaltire, sia per il corretto smaltimento, sia, ancora, per gli aspetti economici e sociali connessi. La gestione dei rifiuti,
in primo luogo, implica un impegno da parte della pubblica amministrazione la quale deve al momento attuale superare
numerosi ostacoli tra cui: una scarsa capacit decisionale, lindeterminatezza e la mancata coerenza delle scelte di
pianificazione e di programmazione, limpossibilit di ricorrere a meccanismi economici capaci di promuovere
soluzioni avanzate, anche se costose, come sono i sistemi di raccolta differenziata integrati con impianti a tecnologia
complessa, che hanno finito per premiare sistemi di smaltimento pi semplici e meno dispendiosi, ma, come le
discariche, assai pi dannosi per lambiente. Da quanto precede, emerge chiaramente come la protezione dellambiente
debba ormai diventare un imperativo per tutto il sistema industriale: la sempre maggiore consapevolezza della criticit
del fattore ambientale sta determinando una pressione crescente sia esogena, in quanto proveniente dallopinione
pubblica, sia endogena al sistema industriale stesso. Sotto la spinta ambientale, infatti, tutto cambia o destinato a
cambiare: dai prodotti ai processi, dal rapporto con i consumatori finali alle relazioni intersettoriali e interaziendali,
dallorientamento della ricerca alle scelte di localizzazione e via dicendo. In altre parole per le imprese non si tratta
solamente di elaborare ed attuare doverose strategie sociali, si tratta altres di cominciare a considerare lambiente un
elemento chiave delle proprie strategie di sviluppo: non bisogna avviarsi con ritardo su un sentiero di sviluppo di lungo
periodo, quale quello dello sviluppo compatibile, destinato ad essere intrapreso da tutti i settori e, dunque da tutte le
imprese. Limpresa non deve quindi porsi di fronte al problema ambientale con un atteggiamento passivo o di semplice
adeguamento allevoluzione della normativa; il problema ambientale deve, vista la sua criticit, essere risolto
indipendentemente dal comportamento del legislatore. Lattivit produttiva deve cominciare necessariamente a basarsi
esclusivamente su tecnologie intrinsecamente pulite dando luogo a prodotti compatibili con lambiente; se questa
impostazione non viene tempestivamente adottata, le imprese devono essere messe di fronte alle proprie responsabilit e
deve iniziare un processo legislativo teso a far si che esse siano costrette ad affrontare il problema ambientale non come
un vincolo n tantomeno come opportunit di espansione dellattivit industriale ma come uno dei fattori che rientrano
nel quadro gestionale della loro attivit, nel rispetto dellambiente e della collettivit, sancendo il principio del diritto di
questultima a rivendicare il potere di controllo sui cicli produttivi e sui loro esiti. In altre parole, necessario che le
imprese riducano laccumulo del capitale investendo invece i profitti nella salvaguardia del territorio e dei beni
ambientali, nella ricerca e nelladozione di tecnologie innovative ed appropriate alle diverse situazioni socioeconomiche-ambientali, al fine di massimizzare limpiego delle risorse rinnovabili attraverso il riciclo ed il recupero di
prodotti e minimizzare per contro quello delle risorse non rinnovabili. Questi presupposti possono cos consentire alle
imprese di continuare a produrre legittimando la propria attivit di fronte allopinione pubblica. A tal fine, deve risultare
prioritario che le imprese modifichino anzitutto il proprio atteggiamento nei confronti dei problemi ambientali e, di
conseguenza, diano il via a modificazioni strutturali e funzionali della propria attivit nel senso di organizzarsi verso
nuovi cicli produttivi e nuovi prodotti.

Si tratta per le imprese di essere messe di fronte alla necessit di sviluppare un concetto nuovo di management
ambientale che dia meno spazio alle logiche dimpresa tradizionali, basate su un capitalismo sfrenato, fallimentare e
cieco di fronte a qualunque problematica sociale e ambientale, a favore delle aspettative della popolazione, fissando
strategie per raggiungere tali obiettivi nel rispetto della collettivit; in tal modo limpresa viene a sviluppare strumenti
validi di gestione ambientale facendo affidamento sulle proprie capacit tecniche oltre che sui propri mezzi finanziari,
cosciente della necessit di gestire un sistema complesso comprendente componenti dellambiente fisico (risorse) e
dellambiente sociale (comunit, istituzioni, etc.). In pratica, per raggiungere nel lungo periodo una maggiore
compatibilit ambientale, le imprese, avvalendosi dellanalisi ambientale attraverso la valutazione di impatto
ambientale, devono sviluppare una nuova strategia perseguendo il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
La riduzione degli input di produzione, attraverso la semplificazione dei processi e lintroduzione di nuove
tecnologie comportanti risparmi, recuperi ed aumenti delle rese al fine di ridurre per unit di prodotto la
quantit di energia, di materie prime, prodotti ausiliari, acqua e quantaltro rientra nel processo produttivo.
La riconversione e riqualificazione degli input, vale a dire la sostituzione degli input di origine fossile con
materie prime e fonti di energia rinnovabili e la modificazione degli input di materie prime e prodotti ausiliari
in funzione del riutilizzo o del riciclo dei residui e degli scarti di lavorazione.
La riduzione dellimpatto ambientale attraverso la minimizzazione delle emissioni liquide e gassose e dei
rifiuti solidi derivanti dai processi industriali e la realizzazione di prodotti con elevate caratteristiche di
accettabilit ambientale sia nella fase della loro vita utile che in quella della loro dismissione.
La scelta di siti appropriati per la collocazione degli impianti produttivi, attraverso la razionalizzazione della
localizzazione dei siti industriali sulla base di nuovi criteri che tengano conto delle caratteristiche socioeconomiche e di sviluppo insediativo, dei valori naturali, paesaggistici e turistici, nonch dei rischi per la salute
umana e di compromissione ambientale del territorio.
Alcuni esempi concreti, peraltro gi attuati da alcune imprese e in fase di studio da parte di altre, per ottenere una
maggiore compatibilit ambientale ad esempio nel settore chimico, vedono limpiego di risorse vegetali al posto di
risorse fossili (petrolio, carbone e metano) come materie prime per lindustria chimica e lo sfruttamento di processi
biotecnologici, ossia dei processi di sintesi che imitano la natura. Lutilizzo di materie prime vegetali e lo sfruttamento
delle biotecnologie per produzioni di tipo chimico appare oggi tanto pi interessante se si tiene conto sia delle sempre
maggiori disponibilit di prodotti agricoli, che si stanno verificando in pi parti del globo, sia dei risultati ottenuti con le
tecniche tradizionali di selezione genetica delle piante e, soprattutto, di quelli conseguiti con lausilio delle
biotecnologie avanzate: ingegneria genetica e coltivazione di cellule di piante. Laffermarsi su larga scala di unindustria
chimica del tipo di quella qui delineata, avrebbe diverse conseguenze positive, con implicazioni di notevole rilevanza
socioeconomica anche su scala mondiale. Lo sviluppo di questo tipo di chimica porterebbe infatti ad una migliore
integrazione delle attivit di tipo chimico nel contesto produttivo-ambientale, ad un miglior utilizzo del territorio, ad un
incremento dellimpiego di sostanze chimiche (naturali) non nocive e alla realizzazione in diversi casi di processi pi
puliti, essendo i prodotti naturali pi facilmente biodegradabili. Alcuni tra gli esempi pi noti di derivati della cosiddetta
chimica verde sono:
Le materie plastiche biodegradabili (che possono essere attaccate e demolite fino ai componenti elementari
dai microrganismi naturalmente presenti nel terreno e nelle acque) e fotodegradabili (plastiche degradate sotto
lazione della luce)
I tensioattivi sintetici prodotti mediante oli vegetali
I carburanti vegetali.
Infine, per effettuare un pi efficace controllo sulle emissioni di agenti inquinanti, e quindi un controllo del loro impatto
ambientale, sarebbe auspicabile intervenire sul settore energetico, caratterizzato da sempre maggiori fabbisogni sia dei
Pesi industrializzati che di quelli in via di sviluppo, dalla ridotta disponibilit delle materie prime tradizionali e
dallaumento dei costi e delle difficolt per una corretta gestione degli impianti. Si potrebbe ad esempio pensare di
sostituire progressivamente limpiego delle fonti energetiche di origine fossile (petrolio, metano e carbone fossile),
incrementando luso delle cosiddette fonti rinnovabili, ovvero di quelle fonti le cui risorse non sono esauribili ma
vengono prodotte a ciclo continuo (acqua, sole, vento, geotermia, biomasse) ma che, nel fabbisogno mondiale
energetico, concorrono attualmente solo per una piccola percentuale

E quindi indubbio che i mercati si devono orientare verso materiali e prodotti che abbiano un basso rischio di
inquinamento in tutto il loro ciclo vitale, dalla scelta della materia prima Prodotti facilmente riciclabili, convertibili in
energia o smaltibili senza conseguenze dannose per lambiente, costituiscono certamente una soluzione da seguire per
molte aziende, ma risulta altrettanto vero che, se non ci si oppone efficacemente allidea che il consumismo sia lunico
modello economico possibile, anche nei paesi in via di sviluppo cresceranno quelle richieste che nel mondo occidentale
si sono a poco a poco trasformate in esigenze inderogabili e allo stesso tempo hanno determinato un forte e negativo
impatto ambientale e allo stesso tempo hanno acutizzato le tensioni sociali accrescendo, ad esempio, il divario NordSud.

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