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Testo a fronte, n. 39, Marcos Y Marcos, 2008, pp.

118-121
Valerio Cuccaroni

Sogn vero sortisce


La riscrittura erotica del Roman de la rose
Che nessuno sia profeta in patria la ragione per la quale gli
scrittori intelligenti evitano cos spesso di avere una patria nel
campo delle arti e delle scienze. Essi si affidano pi volentieri
ai viaggi, o alla lettura e alla traduzione dei viaggi, e in tal
modo si procurano la lode di universalit.
Friedrich Schlegel, Athenaeum 323

Dopo aver pubblicato tre raccolte di poesie in dialetto (E per un frutto piace tutto un orto, Edizioni
LAstrogallo, Ancona, 1973; So rimaso la spina, ivi, 1977; Carta laniena, Residenza, Ancona,
1982) e la silloge antologica Rimario agontano (1968 - 1986) (a cura di Franco Brevini,
Scheiwiller, Milano, 1987), Franco Scataglini si dedicato, quando era ormai considerato da molti
uno dei maggiori poeti dialettali del secondo Novecento, ad unimpresa coraggiosa e non priva di
rischi, per altro a lui stesso, come vedremo, ben presenti: la riscrittura del classico medievale Le
roman de la rose, pubblicata nel 1992, con introduzione di Cesare Segre, da Einaudi, con il titolo
La rosa.
Di questa riscrittura vorremmo parlare nelle pagine che seguono, cominciando con lanalizzare
parte di una lettera inedita del 1 luglio 1988, scritta da Franco Scataglini a poche settimane
dallinizio della stesura de La rosa e inviata da Ancona a Massimo Raffaeli, che in quel momento si
trovava a Ravenna1.
Parte della lettera in questione verr omessa per i suoi contenuti strettamente personali, legati
esclusivamente alla sfera degli affetti familiari.
Ancona, 1-7-988
Caro Massimo,
[].
Le roman de la rose fermo al verso 100: esattamente nel punto in cui mi sono
detto, disanimato: ma cosa sto facendo? mi comporto come quegli sciagurati incalliti
dialettali capaci di tradurre tutta la Divina Commedia in spilimberghese? In realt,
Massimo, ho visto che senza la forza delle emozioni la mia lingua ritorna nel cascame da
cui lho tratta. Se provo a tradurre in italiano, mi accorgo che qui il verso mi negato,
oramai per sempre. Ci che giustifica linvenzione del mio linguaggio unesigenza
oscura ed intrinseca alla qualit (o disqualit) delle mie sensazioni e delle mie emozio
[sic]. Sono i miei sensi cos patinati, come di una fuliggine antica. Ma se la materia di
altri, non mia, la lingua toppa[il corsivo sempre nostro]. Si fa inerte. Una sciatta
guaina.
Appena ho smesso come se fossi uscito da un incubo. Stavo male, credimi: ogni
giorno riscrivevo tutto daccapo: sei sette versioni. Roba da matti. Accanito, incazzato,
dolente. Niente, avevo preso un corridoio sbagliato. Continuer a leggermi in originale il

La lettera stata pubblicata una prima volta nella nostra tesi di laurea, intitolata Un poeta neovolgare. Franco
Scataglini nella poesia italiana del secondo Novecento (relatore: Guido Guglielmi; Premio Internazionale Eugenio
Montale per Tesi di laurea 2002).
1

poema. Ma quanto a tradurlo niente, a meno di folgorazioni mie, manipolazioni mie. E


da scrivere sul margine della pagina.
[]
Massimo, devo rassegnarmi ad aspettare una poesia che ha deciso di scendere al di l
dei monti, come una luna trafelata. Torner, non torner? Che importa! Cerco di
camminar, di respirare, di guardare le cose dei paesi e dei campi, lungo le camminate,
quando il mondo, tutto il mondo che vedo e che non vedo, mi pare un avanzo di
qualcosa, un pezzo di cosa disintegrata che continua a starsene per conto suo, a durare,
con gli ultimi sopravvissuti, museali cani, uccelli, serpentelli, pagliai, paesi, campanili,
corriere gialle e turchine, e io col mio berrettino da sole calato fin sopra gli occhiali.
Cos mascherato davanti a dio, se esiste, pi che davanti agli uomini.
[]
Siamo coscienti della dimensione epistolare del documento, della sua ambiguit, della sua opacit,
tipica fra laltro del genere e delle confessioni che vi sono contenute, ma cercheremo di analizzare
queste poche righe da un punto di vista critico-estetico, come una dichiarazione poetica, e non da un
punto di vista retorico, di genere.
Esse illuminano, e a noi ci interessa, alcuni nodi cruciali del fare poetico dellautore, legato alla
dimensione erotica e sessuale dellesistenza e del versificare, e dellopera del traduttore in generale
e in particolare del traduttore da un lingua morta (il francese antico) ad una subalterna (il dialetto
anconetano), anchessa non aliena alla sfera erotica. Non forse la traduzione una forma di atto
erotico, come sembrerebbe suggerire la paronomasia traduttore-traditore? Ma andiamo per gradi.
Tutto ci che riguarda il fare poetico di Scataglini, gli aspetti fondamentali del suo procedere,
perlomeno quelli messi in luce dallepistola, sono gi noti al suo esegeta, perch contenuti anche in
altri scritti2. Ma proprio per questa ragione, le dichiarazioni contenute in essa sono interessanti.
Innanzitutto perch confermano in un contesto intimo e familiare quanto enunciato da Scataglini in
sedi ufficiali e, in secondo luogo, perch sono riferite a La rosa.
Per ci che riguarda il secondo aspetto della questione messa in luce dallepistola ovvero il
problema della traduzione in generale, siamo coscienti di trovarci di fronte a una delle
problematiche pi dibattute e controverse della storia della letteratura. Ed per questo che ci
limiteremo a trattare largomento dalla nostra ristretta prospettiva danalisi, evitando quanto pi
possibile di cadere in facili stereotipi.
Per ci che riguarda il fare poetico di Scataglini ci tornano in mente alcune affermazioni del poeta,
relative alla sua chiara coscienza della specificit del dialetto anconetano e della propria identit
linguistica: Io dimoro una sottigliezza. Sono in bilico su quellinafferrabile che costituisce il luogo
precario ed astratto della differenza. per questo che la mia identit linguistica [il corsivo nostro]
talora scompare sotto i miei stessi occhi. Sono i momenti in cui la poesia non c pi nel mio
orizzonte. Come una luna tramontata3.
Lanalogia fra quanto viene qui affermato e quanto si ritrova nella lettera evidente. Nella lettera
troviamo scritto: Massimo, devo rassegnarmi ad aspettare una poesia che ha deciso di scendere al
di l dei monti, come un luna trafelata; nel Questionario: la mia identit linguistica talora
scompare sotto i miei stessi occhi. Sono i momenti in cui la poesia non c pi nel mio orizzonte.
2

Cfr. Franco Scataglini, La cerimoniosa mascherata (Appunti per una teoria della poesia dialettale), su Poesia
marginale e marginalit della poesia, supplemento di Marche oggi, numero unico, Ancona-Urbino, pp. 32-35; poi in
Diverse lingue, anno I, n. 2, 1986, pp. 123-128: Questionario per i poeti in dialetto (Franco Scataglini), in Diverse
lingue 5, anno III, n. 1, pp. 27-35; Franco Scataglini La nuance dialettale, in Aa.Vv., La traduzione del testo
poetico, Milano, Edizioni Guerini e Ass.ti, pp. 77-79; Id., Che cosa stato il dialetto nella tradizione italiana, in
Aa.Vv., Atti del convegno su Lingua e dialetto oggi in Italia, anno 1990, Palermo, Renzo e Rean editori, pp. 67-75;
La pianta della poesia (Conversazione con Franco Scataglini), in ClanDestino, anno V, n. 4, pp. 10-16; Gli incontri
di Poesia (Franco Scataglini e Marco Ceriani), in Poesia, anno II, n. 2, pp. 13-15.
3
Questionario per i poeti in dialetto (Franco Scataglini), cit.

Come una luna tramontata. Si ritrovano quasi gli stessi vocabili, e i due scritti sono pressoch
coevi.
La poesia per Scataglini, come dimostrano queste ripetute affermazioni, strettamente legata alla
lingua in cui si manifesta, come normale per il versificatore non sprovveduto. E a questo proposito
ricordiamo la poetica di Pound, la cui raccolta di saggi del 1910 sulla poesia delle origini, The
Spirit of Romance (Lo Spirito romanzo, trad. di Sergio Baldi, Milano, SE, 1991), ha rappresentato
uno dei principali testi di riferimento per gran parte dei poeti neodialettali e per lo stesso Scataglini,
sebbene le tesi in esso contenute siano discutibili da un punto di vista storico e filologico.
Da Pound Scataglini ricava lidea oraziana che il ruolo del poeta sia quello di dimorare la
sottigliezza, di dare conto dello scarto nelle sfumature dellespressione verbale
(Questionario, cit.). Nel capitolo dedicato alla psicologia dei trovatori de Lo Spirito romanzo
Pound, riferendosi alla missione del poeta, scrive che per conquistare limmortalit egli deve
trovare lespressione il pi possibile precisa di qualsivoglia tema, cosa che non si trova tanto
nelle parole [] quanto invece nelle sottili giunture, o venature, che solo chi sia dellarte sa
percepire.
Il fattore sentimentale, prima ancora che razionale, che spinge Scataglini al verso, deve poter quindi
trovare la giusta, anzi perfetta espressione. Per cui se mancano le emozioni o se esse non riescono a
trovare espressione adeguata, la poesia tramonta come una luna trafelata e lidentit linguistica
scompare sotto gli stessi occhi attoniti del poeta. A tal proposito rinviamo al significato del simbolo
lunare e alle sue possibili interpretazioni, legate alla sfera della libido, del femminile e del sasso
impassibile a cui si chiede conto della propria impotenza. Sar bene tenerne conto per quanto verr
detto in seguito.
La dimensione erotica, con i suoi slanci, le sue cadute, le sua ferocia e la sua inanit, nella poesia di
Scataglini e soprattutto ne Le rosa centrale, quanto la sua aspirazione allimmortalit poetica. Nel
caso specifico delle dichiarazioni epistolari, egli confessa che la mancanza di emozioni - pur
essendo la propria sensibilit, per sua stessa ammissione, predisposta allantico perch rivestitane -,
se la materia di altri, per quanto appunto antica possa essere (non scordiamoci che si sta
parlando de Le roman de la rose, opera del XIII secolo), fa inerte la lingua, la fa diventare sciatta
guaina, la fa ritorna[re] nel cascame da cui [il poeta] lh[a] tratta.
Sono molteplici gli aspetti cruciali del fare poetico di Scataglini illuminati dalle dichiarazioni in
questione: la sua poesia cos come la sua lingua sono legate indissolubilmente alla forza delle
emozioni, alla carica libidica; la sua sensibilit predisposta allantico, in quanto ricoperta
(patinata) di una fuliggine antica appunto, allimpotenza quindi; se la materia di altri la sua
lingua (la sua poesia) toppa, diviene inerte, si fa sciatta guaina, ritorna nel cascame da cui
egli stesso lha tratta.
La matrice erotica di questi ultimi vocaboli evidente: per Scataglini la lingua sembra assimilabile
al sesso femminile in una prospettiva cortese, in cui se non vi sottomissione non pu esservi
amore. Scataglini, come vedremo, trover la via per continuare la sua riscrittura, solo quando
prender coscienza della necessit di questa sottomissione, alla poesia, alla lingua, al sogno.
Cercheremo di verificare sul testo quanto emerso finora, ma prima sar bene notare come lultimo
aspetto da noi indicato sia connesso direttamente con laltro corno della questione: lopera del
traduttore in generale e in particolare del traduttore da un lingua morta (il francese antico) ad una
subalterna (il dialetto anconetano).
Scataglini sta traducendo dal francese antico il Roman de la rose. Siamo nel 1988, loperazione
agli inizi, bench gi dagli anni 70 il poeta andasse raccogliendo e metabolizzando il materiale. E
sappiamo che non si interromper al verso 100, come invece ad un certo punto egli dichiara in
maniera patetica e maliconica, anzi proceder per altri due anni, fino al 1990, quando le bozze
verranno consegnate alla casa editrice Einaudi, per la stampa definitiva.
La rosa vedr la luce nel 1991 e lintroduzione, dopo un primo interessamento di Mario Lavagetto,
risulter curata, come abbiamo gi visto, da Cesare Segre.

Le dichiarazioni contenute nella lettera citata ci dicono che nel luglio del 1988 La rosa ferma al
verso 100: esattamente nel punto in cui mi sono detto, disanimato: ma cosa sto facendo? mi
comporto come quegli sciagurati incalliti dialettali capaci di tradurre tutta la Divina Commedia in
spilimberghese?.
Se vogliamo far cenno alla dimensione erotica e se si considera il corpo della lingua come quello di
una donna, nella prospettiva di Scataglini i suoi tentennamenti potrebbero far pensare alla canzone
Madonna, dir vo voglio di Giacomo da Lentini4, uno dei massimi esempi di amore cortese:
Madonna, dir vo voglio/ como lamor m priso/ inver lo grande orgoglio/ che voi bella mostrate e
no maita/ Oi lasso, lo meo core, che n tante pene miso. La sconforto dellamante deluso e il suo
paragonarsi ai suoi simili, pu far pensare al patetismo e al rispecchiamento di gruppo, tipico dei
poeti del Duecento.
Per mantenere per il principio di analisi enunciato in precedenza e trattare il problema della
traduzione dalla nostra ristretta prospettiva, ci limiteremo a far notare da subito come Scataglini si
dimostri cosciente ancora una volta della dimensione angusta in cui costretto a muoversi il suo
verso. Nello specifico si tratta della sciagurata pratica di quegli incalliti dialettali che ignari del
ridicolo5, approntano traduzioni dei classici nella parlata del loro borgo nato e selvaggio, ad uso e
consumo degli amanti del vernacolo locale6.
Apparentemente potrebbe sembrare la canonica ironia del colto poeta autodidatta, alle prese con la
secolare questione della lingua italiana. Ma in questo caso non si tratta di scegliere tra lingua parlata
e lingua scritta, tra lingua del volgo e lingua dei poeti, bens tra dialetto parlato e lutopia linguistica
a cui mira Scataglini, una sorta di variante preziosa e sperimentale, pigmentata, della lingua
letteraria (Mengaldo). In altri termini si tratta di nobilitare, sublimare, un prodotto di scarto, o, se si
vuole, far uscire dal limbo letterario degli esclusi uno spettro poetico e linguistico, dargli corpo e
avviarlo sul proscenio del divino, parafrasando lo stesso Scataglini.
Abbiamo a che fare forse con unaccezione inedita della questione della lingua, per lo meno in
ambito novecentesco. A prima vista, loperazione di Scataglini, allinterno del sistema letterario
novecentesco, si riallaccia a quella di Pasolini, il quale tradusse i poeti provenzali nel dialetto di
Casarsa. Pasolini per decise di abbandonare il volgare sublimato del suo borgo, la mallarmeana
lingua privata della poesia, e applicare il suo nuovo sperimentalismo allitaliano standard, nel
segno dellutopia realista, seguendo la sua ideologia passionale o passione ideologica, cio, in
altri termini le esigenze del pubblico e del mercato, quando si rese conto del divario esistente tra la
lingua della sua poesia e quella italiana (toscano e friuliano appartengono a due aree linguistiche
distinte, a differenza dellanconetano, dialetto centro-italico come il toscano).
Tra la sua lingua materna parlata e la lingua italiana scritta, che la lingua della tradizione poetica
dai Siciliani a Montale con in pi le distorsioni dovute alla diffusione postunitaria, Pasolini sceglie
la seconda, con tutte le varianti autoriali del caso. Scataglini invece lavora una lingua che per
elezione storica si vuole non molto distante dal cosiddetto italiano, al confine dunque tra la sua
lingua materna parlata e la lingua italiana scritta.
Per si tratta pur sempre di una lingua subalterna, su cui pesa il destino di emarginazione che la
accomuna ai suoi parlanti, i muti a cui Scataglini vorrebbe invece dar voce.
A questo punto apriamo una parentesi: da sempre il problema della traduzione, nei casi in cui le
traduzioni siano destinate a rimanere, essenzialmente un problema di trasferimento di patrimonio
culturale, estetico, linguistico e sapienziale, da una cultura relativamente pi avanzata ad unaltra
Ricordiamo che il titolo della prima raccolta dialettale di Scataglini, in cui per altro sono presenti versi damore
sessuale, tratto da un verso di Giacomo da Lentini: E per un frutto piace tutto un orto.
5
In un saggio del 1980, La cerimoniosa mascherata, Scataglini definisce la pratica di tutti quei poeti dialettali, che a
partire dallinterdetto bembiano del Cinquecento, usano laspetto carnale della materia dialettale in maniera
ingenuamente mimetica, un raddoppio simbolico della rozzezza (Poesia marginale e marginalit della poesia,
supplemento di Marche oggi, numero unico, Ancona-Urbino, pp. 32-35; poi in Diverse lingue, anno I, n. 2, 1986,
pp. 123-128).
6
Spilimbergo si trova in provincia di Pordenone ed legata a doppio filo con lAcademiuta de lengua furlana, di cui
fece parte in un primo tempo anche Pasolini, il quale se ne distacc poi per leccessivo conservatorismo del gruppo.
4

(dallOdissea in saturni di Livio Andronico gi gi fino alla recente traduzione francese dello
Zibaldone, a cura della casa editrice Allia di Parigi), avente come risultato oggettivo, anche se non
esclusivo, quello di accrescere il bagaglio della lingua e della letteratura inferiore.
La rosa di Scataglini in questo senso rappresenta uneccezione. Essa non si pone come ponte tra una
cultura pi forte e una pi debole che deve rafforzarsi, tra una lingua ricca e una povera di
tradizione ma destinata ad imporsi. Come per la poesia neodialettale in genere, si potrebbe
addirittura parlare di un ultimo sussulto estetizzante di una lingua destinata a scomparire per
elezione storica (gi oggi i giovani anconetani stanno dimenticando la lingua dei loro nonni, i quali
sono in procinto anchessi per scomparire). La riscrittura di Scataglini potrebbe apparire una
trasposizione di patrimonio da una lingua morta ad una quasi morta.
Eppure la lingua in cui Scataglini traduce il Roman de la rose, non si esaurisce nella trasposizione
del francese antico nel vernacolo anconitano, ma una lingua che con le vestigia di un
mendicante, di un guitto, cerca di imitare un dio, una lingua mascherata che sulla corda tesa dei
versi fa i salti mortali per star dietro al ben pi esperto toscano parlar celeste.
[]
e te, dialeto caro
che da linfanzia sorti,
tha cinguetato i morti
su lalto colombaro
e te, arboro mio,
carfoi a tute le lune,
nte le tue fieze brune
io so pedochio e dio7.
Chi non in grado di comprendere questi versi? Qui sta la novit di una traduzione compiuta da un
cosiddetto dialettale: aver tradotto unopera scritta in una lingua diversa dallitaliano (toscano) non
in unaltra lingua ancora (come di solito avviene nelle traduzioni redatte nei dialetti pi marcati),
ma in una variante preziosa e pigmentata della lingua letteraria, a dar retta a Mengaldo.
Comprendere questi versi potrebbe significare per anche constatare come in essi sia contenuto il
senso della traduzione da una lingua morta (o parlata dai morti) ad una lingua subalterna (o parlata
dai subalterni), come un tentativo erotico e alchemico, o se si vuole tragicocomico, di ridare vita ai
defunti e di innalzare gli esclusi.
Come si capisce, riportando i versi citati alla nostra problematica, luna o laltra delle propriet
indicate, lesser morti e lesser subalterni, possono essere attribuite ad entrambe le lingue, da un
punto di vista sincronico. Il francese antico, cio, fu anchesso, a suo tempo, un dialeto caro []
cinguetato dai morti e una lingua che fu subalterna rispetto al latino.
Lintercambiabilit strutturale che abbiamo detto essere propria del francese antico e
dellanconetano ci pu anche far pensare al fatto che se la traduzione avviene da una lingua ad
unaltra, cio su una superficie linguistica piana, essa avviene anche da un punto spazio-temporale
ad un altro dello stesso quanto di senso, cio su un terzo piano.
In altre parole, essenziale il mezzo in una traduzione, la lingua, ma lopera del traduttore non si
esaurisce nel lavoro di trasposizione da una lingua allaltra: il traduttore deve scoprire un senso
comune, come si cerca di fare quando si traducono le incomprensibili parole damore. Qui per
siamo caduti nella trappola che avevamo con tanta cura cercato di evitare. Definire ci che la
traduzione. Torniamo dunque al libro di Scataglini.
Stando alle dichiarazioni contenute nella lettera, il senso scoperto da Scataglini sembra legato alla
dimensione erotica, di subalternit, morte, amore, metamorfosi ed elevazione, topico e centrale nel
Roman de la rose.
7

Da Tuto corpo damore, in Franco Scataglini, Tuto corpo d'amore, in Id., Rimario agontano, cit., pp. 78-80.

giunto il tempo di verificare sul testo le nostre riflessioni. Le roman de la rose un libro
misterico8. La traduzione dei primi cento versi evidentemente non era riuscita a trasmettere il senso
del proprio fare a Scataglini, tanto che se ne voleva staccare, stanco, depresso e timoroso, in altre
parole disanimato, preoccupato comera di questioni retoriche: i generi, la lingua, ecc.
Paradossalmente il libro inizia proprio con versi che avrebbero dovuto dargli la carica, la certezza
che il suo trascrivere avesse una ragione recondita e profonda:
Tuto quel che se sogna
fola detto e menzogna
ma tanti i sogni certi
che poi se vede operti
come se sogna e vole
soto al lume del sole.9
curioso infatti constatare come questa profezia ( tanti i sogni certi/ che poi se vede operti) si
sia realizzata a livello del testo, e sia stata cos fornita ai lettori la possibilit di portarne alla luce
tale oggettiva realizzazione10.
La rosa, infatti, la trascrizione di un sogno, anzi il sogno dun sogno, a cui Scataglini stesso
aveva attribuito la propriet di esser fola11 (mi sono detto disanimato: ma cosa sto facendo?) e
menzogna (mi comporto ecc.)12, e che poi invece si visto operto (verificato) come se sogna
e vole/ soto al lume del sole (in questo caso il lume rischiaratore della filologia). Il poeta, il primo
luglio del 1988, per non se ne era ancora reso conto.
Non si tratta di una intuizione legata a questioni esclusivamente psicologiche: La rosa veramente
un sogno che si visto operto, un dialogo damore, fra il classico medievale e lautore e fra questi e
il critico, che ha generato un testo.
Come opera darte esser un sogno realizzato significa che altri hanno la possibilit di risognarlo.
Scataglini mentre trascriveva Le roman de la rose sognava ad occhi aperti:
io che traduco el sogno
de un poema e risogno
da desto quel sogn
espono qualit
velate daparenza.
Questi versi rappresentano parte di uno dei frammenti aggiunti da Scataglini alla vera e propria
traduzione del poema francese, da lui condotta se non alla lettera, almeno seguendone con fedelt
il discorso (Segre, op. cit., p. VII) e sono precisamente i versi 151-155. Non li abbiamo citati a
caso. Fino al verso 149 non si hanno esempi di frammenti di questo tipo. I versi trascritti
rappresentano un termine ante quem, almeno per ci che riguarda il testo: Scataglini fino al verso
150, a maggior ragione fino al verso 100, si limita a tradurre, pur con tutta la libert che un poeta
pu concedersi nei confronti del modello.

Per la sua appartenenza al livello dellimmaginazione onirica, si veda la suddivisione dellesperienza amorosa
compiuta da Leslie T. Topsfield, Troubadours and Love, Cambridge 1975, di cui alcune pagine sono state riprodotte in
Mario Mancini, Il punto su: i trovatori, Laterza, Roma-Bari, 1991.
9
La rosa, vv. 1-6, op. cit.
10
Segre, nella sua introduzione a La rosa, argomenta con puntigliosit filologica questa scoperta.
11
Cos Scataglini traduce il francese antico fables, con unaccezione che fa pensare alla concezione leopardiana delle
favole e in genere delle fantasie.
12
evidente che il tono sprezzante con cui Scataglini bolla i dialettali friulani implica un giudizio di inautenticit da
lui pronunciato tacitamente nei loro confronti.
8

Poi invece prende consapevolezza della peculiarit della propria operazione, grazie ai consigli del
sodale Raffaeli, e ne d testimonianza in questi inserti che rappresentano delle vere e proprie
dichiarazioni di poetica.
Il proemio, fino al verso 20, cos come la proposizione (vv. 21- 30), la dedica (vv. 31-39),
linvocazione (vv. 40-44), esemplare:
Tuto quel che se sogna/ []/ soto al lume del sole./ Macrobio el garantisce,/ sogn vero
sortisce:/ el prova la visione/ successa al re Scipione.// Per comune sentenza/
stramberia e demenza/ crede che el sogno avenga:/ me tale me se tenga/ pel mio operto
av fede/ del vago dato a vede/ dal sonno, con propizio/ o con funesto indizio,/ che dice
lacadr,/ de notte, in scurit.// Quando paga gabella/ damore let bella,/ a ventanni, io
soletto/ come solevo, in letto,/ una notte, a dorm,/ un sogno compar/ moltissimo
piacente,/ venuto a levidente/ dopo del certo stato,/ conforme al suo dettato.// Ai
desianti in dono/ rimato el sogno espono:/ Amore mel comanda./ Lopera comincianda,/
che cela un senso raro/ soto al suo motto chiaro,/ sintitola: La rosa,/ larte dam c
implosa,/ materia nova e bella./ Favore dio de quella/ macordi a cui lho impresa,/ tanto
de pregio acesa/ e degna desse amata/ che rosa va chiamata.
Esemplare per le rime, in cui il legame non solo fonico: sogna-menzogna, certi-operti,
sentenza-demenza, fede-vede, dorm-compar, piacente-evidente, raro-chiaro, ecc.; per le
figure retoriche abilmente dissimulate e alternate: inversioni, enjambements, ellissi del verbo ed
iperbati Quando paga gabella/ damore let bella,/ a ventanni, io soletto/ come solevo, in letto,/
una notte, a dorm,/ un sogno compar/ moltissimo piacente [] (vv. 21-27); e per altri
accorgimenti propri dellarte poetica, ampiamente illustrati da Segre nella sua introduzione.
Ci che a noi preme far notare che dopo questo incipit elaborato ed ispirato, perch intimamente
legato al senso generale dellopera e del fare poetico (Ai desianti in dono/ rimato il sogno espono:/
Amore mel comanda/ ecc., vv. 31 sgg.) il poeta sia costretto ad entrare subito nei rigidi schemi
dellallegorismo medievale e a trascrivere le indicazioni cronologiche e topografiche, e dal v. 87
lazione vera e propria: Era matina presto/ nel mio mondo non desto/ su dal mio letto alorquando/
io me levai insugnando, vv. 87 sgg.
Qui il testo comincia a dare i primi segni di cedimento: Non c siepe o arborello/ de tenero
ramello// che amantasse non voia/ de novelleta foia (vv. 49-52). Rispetto alloriginale la traduzione
quasi letterale (len ne voit buisson ne haie/ qui en may parer ne se veille/ et covrir de novele
fuelle)13, ma presenta nei diminutivi (arborello, ramello, novelleta), nel sintagma aggiunto ex novo
de tenero ramello e nella stessa rima arborello-ramello una leziosit estranea ai versi del poeta
medievale.
E questo ci porta a rilevare unartificiosit che sembra confermare quanto confessato nella lettera
dal poeta stesso: se la materia di altri, non mia, la lingua toppa. Si fa inerte. Una sciatta guaina.
Trattandosi di una descrizione paesaggistica topica, lartificiosit potrebbe essere letta come un
tentativo di compensare la mancanza di unesigenza oscura e intrinseca alla qualit (o disqualit)
delle mie sensazioni e delle mie emozioni: nella poesia di Scataglini, per sua stessa ammissione, la
realt sempre filtrata dal suo immaginario (cfr. La cerimoniosa mascherata, op. cit.). E il suo un
immaginario fatto di simboli disolamento e di abbandono [] desclusione, in cui le immagini
di ricomposizione sono s legate quasi sempre al giardino, di cui La rosa d la massima
rappresentazione (se non altro in termini di estensione figurativa), ma non si presentano quasi mai
con questo grado di leziosit e artificio.
chiaro per altro che una volta avvertita la distanza fra limmaginario cortese e il proprio, da fine
versificatore qual era, Scataglini non si sia lasciato andare a facili deliqui estetizzanti, ma anzi abbia
cercato di far cogliere tale distanza attraverso costrutti in cui sospettabile anche un certo intento
parodico e grottesco.
13

Pressappoco: Non si vede cespuglio n siepe/ che in maggio ornarsi non voglia/ e coprirsi di novella foglia.

Sebbene nel resto dei 100 versi in questione non siano ravvisabili altri vistosi cedimenti stilistici,
permane un tono lezioso, legato anche allatmosfera estenuata del sogno, che rende ancora una volta
palese la distanza del poeta moderno rispetto alla materia trattata nelloriginale. Basti controllare il
gioco delle rime: brina-rifina, picca-ricca, cocoriti-divertiti, ansioso-diletoso, gentile-sutile.
Certo, la sensibilit di Scataglini chiaramente predisposta allantico, alloggetto morto e si vede
proprio nella patina di fuliggine antica che ricopre, oltre al suo animo, i suoi versi, ma il fatto che
il poeta sia estraneo a questo mondo lo si pu cogliere in tutta la sua evidenza confrontando i versi
75-80:
El musico usignolo
prova e riprova in brolo,
calandre e cocoriti
svariane divertiti
perch questo l momento
dav dolce contento.
con lincipit del poemetto omonimo di Carta laniena, esemplare per tensione etica e fromale:
No brolo per me fiolo
El musico usignolo de La rosa chiaramente il poeta che prova e riprova il proprio verso nel
giardino della lingua, tra gli altri suoi compagni altrettanto belli quanto esotici, quindi a lui estranei,
perch questo l momento/ dav dolce contento.
Risognare un sogno, come Scataglini definisce la sua operazione di traduzione del poema
medievale, chiaramente un momento in cui av dolce contento, un atto erotico. Nonostante tutto
per lanimo del poeta moderno non riesce mai completamente ad abbandonarsi a questo svariare
divertito ed ha anzi sempre di fronte lorizzonte ristretto della sua poesia e il suo passato di
emarginato, il male del giardino di Leopardi e dei fiori di Baudelaire, tanto che ironizzando sugli
incalliti dialettali suoi inevitabili compagni, sembra voler esorcizzare lo scherno che il futuro
potrebbe riservare alla sua riscrittura.
Il poeta anche fanciullino, soprattutto se si identifica - anche solo per gioco - col musico usignolo:
la sua la dimensione dellautoerotismo. Ma non c stato brolo (cio giardino) per Scataglini.
Allora ecco da dove viene il senso di estraniamento e di estraneit che dice di provare il poeta e che
non pu fare quindi a meno di far avvertire ai suoi uditori. Ecco perch a volte la lingua de La rosa
potr sembrare una sciatta guaina, al poeta.
Ma questaria di falso antico, di kitsch esibito e sbeffeggiato, che emana da ogni singolo passo del
poema, si trova infine ad essere paradossalmente riscattata. Ne sa qualcosa Cesare Segre, che ha
potuto dire de La rosa: Che lincontro di Scataglini col Roman de la Rose fosse predestinato, lo
dice anche la bellezza del nuovo testo, romanico e moderno, intenso e malizioso, che ha saputo
trarne.
Scataglini, nellestate del 1988, non si era ancora reso conto di cosa stava compiendo e il senso di
alienazione, provato lavorando alla rifigurazione di un mondo a lui estraneo, lo aveva
completamente disanimato.
Presa consapevolezza del senso del proprio fare e impossessatosi ( evidente grazie allaiuto di chi,
conoscendo il destinatario della lettera disperata) degli strumenti filologico-critici necessari,
Scataglini riuscito a trovare le tanto desiderate folgorazioni e a compiere quelle mirabili
manipolazioni, che lo hanno portato a ridar vita allo spettro di salvazione contenuto nel Roman de
la rose, il quale rischiava invece di restar imprigionato dentro un anonimo cassetto, o se si vuole
canulo.
La vitalit, la modernit, la novit delloperazione, per la prospettiva angusta da cui Scataglini lha
condotta, quella dialettale del poeta minore ed isolato, pu sembrare ridotta. La sua importanza,

allinterno del panorama letterario del secondo novecento, pu risultare anchessa ridotta, se si
pensa anche alla scarsa divulgazione a cui condannata la poesia e la lingua dautore.
Tuttavia le tensioni interne ed esterne che si sono manifestate nellelaborazione del testo, e di cui
abbiamo cercato di dare conto, ne fanno unopera che se sembra a tratti zoppicare a livello
linguistico e stilistico, ha saputo tradurre la dimensione erotica e misterica del poema medievale,
legata al rifiuto, allesclusione, alla morte, alla vanit, al sogno e allaspirazione alla resurrezione.
Tutto ci si realizzato grazie, oltre che alle doti dellautore, al sodalizio intellettuale - altra forma
di eros - tra il poeta e il critico, tra Franco Scataglini e Massimo Raffaeli.

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