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Luglio/Agosto 2016 Anno XXXIII - N. 7/8 6,00

LIBRO DEL MESE: Bren, la disgregazione dellUnione Sovietica


Franco MATTICCHIO e Mr Jones che non un gatto
Il CAPITALISMO mimetico di Silicon Valley
Il patto del lettore con il BUGIARDO autore
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N. 7

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Le guerre, il cancro
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N. 7

SommariO

Librerie
2 Il nuovo bando del Premio Calvino
Segnali
5 Capitalismo+liberismo=Facebook, di Gabriele Balbi
6 Linsostenibile leggerezza dellecologia,

7
8
9

10

11
12

13

14
15
16

di Federico Paolini
Siamo infatuati della bellezza artificiale. Intervista a
Michael Cunningham e Michael Cunningham Un
cigno selvatico, di Tiziana Merani
Le ibridazioni del giardinaggio, di Luca Terzolo
Lezioni americane per europei distratti,
di Gian Giacomo Migone
Leggere senza libro, editore, critico e libraio,
di Massimo Castiglioni
Oh, Che Bella Guerra, di Franco Pezzini
Lumorismo spiazzante di Alan Bennett,
di Luca Glebb Miroglio
Tra i cespugli, di Paolo Bertinetti
Pascal Quignard, lascoltatore dissidente,
di Liana Pschel
Una nuova generazione di amministratori penitenziari,
di Elisabetta Grande
Harry G. Frankfurt: meglio avere tutti abbastanza che
essere uguali?, di Adelino Zanini
Europa e Germania: analogie col passato e diffidenze
reciproche, di Alessandro Cavalli

Libro del mese


17 Irena Bren Le lupe di Sernovodsk,

di Marco Buttino e Massimo Maurizio

Primo piano
19

Franco Matticchio, Jones e altri sogni e Animali


sbagliati, di Tiziana Magone, Andrea Pagliardi e mc

Fumetti
22 Daniel Clowes Patience, di Chiara Bongiovanni
Reinhard Kleist, Cash: I see a darkness,
di Maurizio Amendola
Davide Reviati, Sputa tre volte,
di Emiliano Fasano

Fotografia
23

Marina Miraglia e Massimo Osanna Pompei,


di Andrea Milanese
August Sander Uomini del ventesimo secolo,
di Andrea Casalegno

Arte
24 Francesca

Rossi E Agostino Cont Umberto


Boccioni, di Virginia Baradel
Giovanni Testori Il gran teatro montano,
di Francesco Frangi

Musica

25 Marcus Odair Different every time,



di Franco Fabbri
Simona Caputo E Alessandro Maras Who can
turn the skies back and begin again?,

di Marco Emanuele

di Claudio Sarzotti

Dario Ippolito Lo spirito del garantismo,


di Livio Pepino

Storia
36 Peter Brown Il riscatto dellanima,

Scienze
26 Alok Jha, Il libro dellacqua, di Davide Lovisolo

Federico Laudisa Albert Einstein e limmagine


scientifica del mondo, di Marco Ferraro

Diritto
35 Elvio Fassone Fine pena: ora,

di Giovanni Filoramo

Haim Burstin Rivoluzionari,


di Daniele di Bartolomeo

Letterature
37
27 Helen Oyeyemi Boy, snow, bird, di Andrea Carosso
Chigozie Obioma I pescatori, di Pietro Deandrea

38
28 Hans Magnus Enzensberger Tumulto,

di Anna Chiarloni
Edna Obrien Oggetto damore,
di Elisabetta dErme
29 Peter Matthiessen In paradiso, di Alice Balestrino
Nathalie Sarraute Let del sospetto,


di Roberta Sapino

Narratori italiani

30

Pia Pera Al giardino ancora non lho detto,



di Benedetta Centovalli

Marilena Renda Arrenditi Dorothy!,

di Alfredo Nicotra
31 Antonio Pascale Le aggravanti sentimentali,

di Luca Simonetti

Tiziano Scarpa Il brevetto del geco,

di Alessandro Cinquegrani

Vanna Loiudice Cosce dure, di Luisa Ricaldone

Emilio Gentile Il capo e la folla,


di Anna Tonelli

Politica
39 Donatella Campus Lo stile del leader,

di Cristopher Cepernich

Mauro Calise La democrazia del leader,

di Valentina Paz

di Francesco Permunian

Fabio M. Franceschelli Italia,


di Marco Magini

Quaderni
41 Ragionar teatrando, 11: Il teatro di Lucia Calamaro e


di Marianna Comitangelo
Sonia Gentili Viaggio mentre morivo,

di Francesco Fiorentini
Marco Pelliti Dal corpo abitato, di Luca Lenzini
Brovia (a cura
Lessico critico petrarchesco, di Emilia Di Rocco
Mirko Tavoni Qualche idea su Dante,

di Antonio Cicchella
Laura Pasquini Diavoli e inferni nel medioevo,

di Giuseppe Frasso
34 Tiziano Zanato Boiardo, di Gabriele Bucchi
Alessandro Baldacci Giorgio Caproni,

di Miriam Begliuomini
Aldo Nemesio Il lettore vagante,

di Izabela Napirkowska

Mimmo Franzinelli Disertori,


di Daniele Rocca

Pagina a cura del premio Calvino


40 Daniel Di Schler UnOdissea minuta,

Poesia
32 Matteo Marchesini Cronaca senza storia,

Saggistica letteraria
33 Luca Marcozzi e Romana

Adriano Prosperi La vocazione,


di Franco Motta

di)

43
44

gli spazi autogestiti, di Gabriele Sofia

Effetto film: La fille inconnue di Jean-Pierre e Luc


Dardenne, di Grazia Paganelli
La traduzione: Leggere e tradurre Moll Flanders,
di Antonio Bibb

Schede
45 Infanzia

di Fernando Rotondo, Sofia Gallo e Sara Marconi

Narratori italiani
di Massimo Tallone, Mauro Maraschi, Maria Vittoria
Vittori, Santina Mobiglia e Luisa Ricaldone

46
47

Letterature
di Virginia Pignagnoli e Sara Moni

Storia
di Maurizio Griffo e Roberto Barzanti

Le immagini di questo numero sono di ALE GIORGINI che ringraziamo per la gentile concessione.
Ale Giorgini ha iniziato a disegnare da bambino e non ha
pi smesso. Nel corso degli anni ha lavorato per clienti
come Jeep, Puma, Warner Bros, Boom Studios, Kinder
Ferrero, Disney Entertainment, Foot Loc-ker, Fandango, Faber-Castell, Sony Pictures, Emirates, Mtv, Wired
UK, LEspresso, Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera. Ha partecipato a mostre ed eventi in tutto il
mondo (New York, Zurigo, Sidney, Vienna, Parigi, San
Francisco, Los Angeles, Melbourne). I suoi disegni sono
stati esposti in varie gallerie: Hero Complex Gallery (Los
Angeles), Gallery 1988 (Los Angeles), Bottleneck Gallery (New York), Nucleus Gallery (Alhambra - CA), Improper Walls (Wien), Art by Friends Gallery (Annecy) e
Sakura Gallery (Parigi). stato selezionato per far parte della 58 mostra e annual della Society of Illustrators
New York. direttore artistico di illustri festival e del
Berga Urban Museum ed insegnante di illustrazione
alla Scuola internazionale di comics.

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PALAZZO DUCALE_GENOVA

Gramsci

I quaderni del carcere


ed echi in Guttuso
29 luglio_11 settembre

Flashback

Fotografia italiana
1960 - 2016
15 luglio_28 agosto

Lultimo spenga
la luce

Bassorilievi e installazioni
di Maurizio Nazzaretto
21 luglio_28 agosto

www.palazzoducale.genova.it

Segnali

N. 7

Gabriele Balbi
Capitalismo+liberismo=Facebook
Federico Paolini
Linsostenibile leggerezza dellecologia
Tiziana Merani
Intervista a Michael Cunningham
Luca Terzolo
Le ibridazioni del giardinaggio
Gian Giacomo Migone
Lezioni americane per europei distratti
Massimo Castiglioni
Leggere senza libro, editore,
critico e libraio
Franco Pezzini
Oh, Che bella guerra
Luca Glebb Miroglio
Lumorismo spiazzante di Alan Bennet
Paolo Bertinetti
Tra i cespugli
Liana Pschel
Pascal Quignard, lascoltatore dissidente
Elisabetta Grande
Nuovi amministratori penitenziari
Adelino Zanini
Harry G. Frankfurt e le disuguaglianze?
Alessandro Cavalli
Germania e Europa

Linfluenza politica della Silicon Valley secondo Evgeny Morozov


Capitalismo + neoliberismo = Facebook
di Gabriele Balbi
era una volta lintelligenza collettiC
va distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo

reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze (Pierre Levy,
Lintelligenza collettiva. Per unantropologia del cyberspazio, Feltrinelli, 1996).
Cera una volta la rete vista come laboratorio sociale entro cui esplorare,
estendere e migliorare i confini delle nostre identit (Sherry Turkle, La vita sullo
schermo, Frassinelli, 1997). Cera una
volta (a Davos, nel 1996) la Dichiarazione dindipendenza del cyberspazio in cui
John Perry Barlow, rivolgendosi online
ai governi mondiali, scrisse: Non siete
graditi fra di noi (). Non
avete alcun diritto morale
di governarci e non siete
in possesso di alcun metodo di costrizione che noi
ragionevolmente possiamo
temere. (). Il cyberspazio
non si trova allinterno dei
vostri confini. Non pensate
che esso si possa costruire
come se fosse il progetto di
un edifico pubblico. Non
potete.
La visione ottimista e
utopica del sublime digitale (Vincent Mosco, The
Digital Sublime. Myth, Power and Cyberspace, The
Mit Press 2004), almeno
a partire dalla met degli
anni Duemila stata progressivamente
offuscata
da una visione della digitalizzazione pi cupa e a
tratti apocalittica. Uno dei
pensatori pi influenti del
nuovo paradigma senza
dubbio Evgeny Morozov,
scrittore e accademico
bielorusso che oggi lavora
negli Stati Uniti e che si
pu gi definire un classico vista la centralit sia dei
suoi libri, tradotti anche in
italiano (Lingenuit della
rete, Codice, 2011, Contro
Steve Jobs, Codice, 2012,
Internet non salver il mondo, Codice, 2014), sia di articoli apparsi sui periodici
pi influenti del mondo, spesso tradotti
in Italia da Internazionale.
Lultimo agile volume pubblicato
questanno da Codice raccoglie proprio
alcuni articoli di Morozov apparsi sulla stampa internazionale nel 2013 e nel
2014, e sintitola Silicon Valley: i signori del silicio (trad. dallinglese di Fabio
Chiusi, Torino, 2016, pp.151, 13).
La tesi principale che la rivoluzione
digitale non faccia altro che portare
allestremo lo spirito e le logiche del capitalismo, proponendo unideologia neoliberista che incarnata alla perfezione
dalle aziende americane della Silicon
Valley quali Google, Facebook, Amazon, Apple e molte altre.
Secondo Morozov, questo processo
ha conseguenze politiche, economiche
e socio-culturali. Dal punto di vista politico, il neoliberismo digitale nasconde
alcune contraddizioni e difficolt manifestate dai governi nazionali negli ultimi
decenni. Se Facebook si d il compito
di connettere a internet paesi svantaggiati in America Latina, Asia o Africa,
come prevede il progetto internet.org

ribattezzato in Free Basics, di fatto svolge unattivit politica che consiste nel
fornire un bene ormai primario (al pari
di luce, acqua, strade) ai cittadini. Cosa
c di male in tutto ci? Da un lato, il
fatto che Facebook offra una versione
limitata del web, di cui naturalmente
lazienda di Menlo Park punto di partenza e centro. Dallaltro, il fine a rappresentare un problema. Se i governi si
danno un obiettivo dinclusione sociale,
Facebook o gli altri signori del silicio in
cambio della connessione pretendono i
dati personali di unaltra fetta di popolazione mondiale. Dati che possono essere agevolmente trasformati in preziose

informazioni da vendere agli erogatori


di servizi di base (istruzione e sanit su
tutti) e agli inserzionisti pubblicitari. In
sostanza, scrive Morozov, Facebook
fornisce la connessione a quei paesi in
cambio del diritto di monetizzare le vite
dei loro cittadini una volta che guadagneranno abbastanza soldi.
I signori del silicio stanno poi cambiando anche il modo di fare impresa
di compagnie private che allapparenza
operano in altri settori. Per esempio, le
aziende di trasporto al tempo di Uber o
gli editori al cospetto di Amazon si trovano schiacciati da nuovi modelli di business che si basano sullarchitettura di
poche e potenti piattaforme, sulla cosiddetta economia della condivisione (meglio conosciuta come sharing economy)
e della valutazione dei prodotti, sulla
quantificazione degli utenti stessi. Sono
proprio aziende come Uber o Amazon
a imporre nuove regole del gioco cui
altre compagnie devono sottostare per
non soccombere che passano attraverso le loro piattaforme. In questo modo
si concentrano ingenti quantit di ca-

pitali e si creano strutture difficilmente


sostituibili: la Silicon Valley, insomma, si
prepara a sopravvivere a se stessa.
C infine una dimensione socio-culturale in cui lo strapotere dei signori del
silicio si manifesta e condiziona la vita
di tutti noi. Morozov la riassume nella
monetizzazione e mercificazione delle
pi banali attivit quotidiane. Facciamo
qualche esempio. FitCoin unapp che
tiene traccia dellattivit fisica e consente agli utenti di ricevere offerte ad
hoc da aziende sportive oppure servizi
sanitari specifici in base alla condizione atletica. MonkeyParking condivide,
anzi mette allasta, parcheggi pubblici:
alcuni autisti girano per
le citt al solo scopo di
trovare un parcheggio,
occuparlo e venderlo al
miglior offerente che sta
appunto cercando un posto auto. Shout unaltra
app che prenota tavoli nei
ristoranti alla moda e poi li
vende al miglior offerente.
Allapparenza non sembrerebbe esserci niente di
male, anzi tutti sembrano
democraticamente partire
dallo stesso livello e vince il pi rapido e chi pu
offrire pi denaro. Ma in
realt, dice Morozov, in
queste piccole soluzioni
quotidiane si annida lestrema radicalizzazione del
capitalismo. Nel capitalismo 1.0 cera qualcosa di
confortante nel sapere che
il manager di hedge fund
doveva cercare parcheggio esattamente come doveva cercarlo un bidello.
Il capitalismo digitale 2.0
elimina gli ultimi spazi che
non si piegavano ai ritmi
della globalizzazione, ci
rassicuravano con lidea
che lautonomia personale
al di fuori della bolla del
mercato fosse un obiettivo
tutto sommato raggiungibile. Senza contare un
ulteriore aspetto legato
alla privacy: pi scegliamo
di condividere i nostri dati, pi questi
sistemi ci profilano in maniera efficiente. una forma di mercificazione del s,
perch siamo disposti a cedere dati sensibili in cambio di servizi pi efficienti,
economici e tagliati sui nostri desideri.
Il libro di Morozov ci invita insomma a fare un passo indietro: la costante
connessione, la condivisione del nostro
privato (e dei nostri dati), le offerte che
non possiamo rifiutare non fanno
altro che arricchire le aziende della Silicon Valley e perpetrare la loro logica
di sfruttamento. Altro che intelligenza
collettiva, altro che potenziamento della socialit, altro che cyberspazio come
luogo altro dai classici stati nazionali.
Il vento della rivoluzione digitale spira
da luoghi precisi (la Silicon Valley americana), ingrossa specifici conti correnti
(in dollari) e indirizza verso le logiche
della pi classica invenzione dellOttoNovecento: il capitalismo.
n
gabriele.balbi@usi.ch
G. Balbi insegna media studies presso
lUniversit della Svizzera italiana

N. 7

Come liberarsi di ideologia, teleologia e apprendisti stregoni?


Linsostenibile leggerezza dellecologia
di Federico Paolini

Segnali

- Ambiente

na recente indagine dellistituto di ricerca


U
Demos & Pi (3 giugno 2016) ha chiesto agli
intervistati di esprimere il grado di approvazione

(o di dissociazione) rispetto ad una lista di parole


selezionate, di uso frequente nella comunicazione mediale e nel linguaggio comune: le maggiori
preferenze sono andate alle locuzioni ambiente
ed energie rinnovabili (81 per cento) e Internet
(81 per cento), seguite da combattere la disoccupazione (76 per cento) e sicurezza alimentare
(74 per cento).
La questione ambientale, dunque, sembrerebbe
occupare un posto sempre pi preminente allinterno del discorso pubblico. Tutto bene, allora. Insomma Il problema che, spesso, i toni emotivi
e ideologici prevalgono sugli aspetti scientifici. Vediamo come possibile utilizzare alcuni argomenti
apparentemente unanimitari per sostenere una lettura ideologica (e, non di rado, faziosa) delle questioni ecologiche.
Recentemente, su Internazionale (20/26 maggio 2016), un editoriale di Giovanni De Mauro ha
ricordato come gli effetti catastrofici del cambiamento climatico stiano cominciando a superare i
limiti oltre i quali ogni intervento richia di arrivare
troppo tardi. Citando il documentario Cowspiracy, i numeri della Fao e un rapporto del 2009
del Worldwatch institute condotto da due studiosi
legati alla Banca Mondiale, De Mauro ha puntato
lindice contro una causa del cambiamento climatico (nonch del degrado ambientale e del consumo
di risorse) di cui si parla poco: lallevamento di
animali. Oltre allapprossimazione dei contenuti
scientifici, ci che fa sobbalzare il dato ricavato
dal rapporto del Worldwatch institute secondo il
quale il 51 per cento delle emissioni di gas serra
deriverebbe dagli allevamenti. Stando al quinto
rapporto (Fifth Assessment) del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), il 25
per cento delle emissioni globali di gas serra deriva
dai combustibili fossili impiegati per la produzione di elettricit ed energia termica; il 24 per cento
dallagricoltura, dalle attivit forestali (inclusa la
deforestazione) e da altri usi del suolo (other land
use, nelloriginale inglese); il 21 per cento dalle attivit industriali; il 14 per cento dai trasporti; l11
per cento dalle emissioni del settore energetico non
direttamente associabili alla produzione di elettricit e di energia termica; il 6 per cento dalle attivit
domestiche (burning fuels for heat in buildings or
cooking in homes, nelloriginale inglese).
Negli Stati Uniti (https://www3.epa.gov/climatechange/ghgemissions/sources.html), le emissioni
di gas serra delle attivit agricole sono il 9 per cento
precedute da quelle del settore energetico (30 per
cento), dei trasporti (26 per cento), dellindustria
(21 per cento), delle attivit commerciali e residenziali (12 per cento). NellUnione Europea, le stime circa le emissioni di gas serra sono le seguenti
(Eurostat, Statistics Explained, marzo 2016): produzione di energia 26,6 per cento; attivit manifatturiere ed estrattive 20,6 per cento; attivit domestiche 19,6 per cento; agricoltura, attivit forestali
e pesca 11,5 per cento; trasporti 10,9 per cento; altri servizi, fornitura di acqua, costruzioni 10,9 per
cento.
Insomma, il dato principale utilizzato da De Mauro (quello del Worldwatch institute) si discosta significativamente dalle stime diffuse dalle principali
istituzioni. Leggendo la conclusione dellarticolo
si comprende il motivo della selezione delle fonti
operata dallautore: il punto che mentre intervenire sulle altre forme di inquinamento (trasporti,
industria, produzione di energia, edilizia) richiede
molto tempo ed enormi sforzi congiunti di governi
ed aziende, ridurre significativamente il consumo
di carne, pesce, latte e uova non solo avrebbe un effetto rilevante e immediato sul cambiamento climatico ma soprattutto una decisione che pu prendere chiunque, in ogni momento. una scelta che
pensavamo di poter rimandare ai nostri figli. Forse
non pi cos. De Mauro utilizza largomento del
cambiamento climatico certamente il pi cono-

sciuto anche dai meno informati per focalizzare


lattenzione del lettore su quello che il vero oggetto dellarticolo: la promozione del regime alimentare vegetariano/vegano (ovvero, uno dei concetti
chiave dellambientalismo radicale) presentato non
solo come un comportamento eticamente corretto
(lautore ricorda i dubbi etici legati alluccidere e
al mangiare animali), ma, addirittura, in grado di
risolvere il problema del cambiamento climatico.
Marco Armiero, uno storico dellambiente, nella
sua postfazione ad un libro di Ramachandra Guha,
Ambientalismi. Una storia globale dei movimenti,
offre uninterpretazione dellambientalismo italiano in modo particolare dei movimenti di base
contro gli usi localmente indesiderati del territorio,
spesso indicati con gli acronimi Lulu o Nimby
utilizzando la categoria dellenvironmental justice
movement, che lo porta a scrivere come in queste lotte socio-ambientali la difesa della natura ha
coinciso con la difesa della salute o della stessa
sopravvivenza dei soggetti interessati, dando vita

I libri
Ramachandra Guha, Ambientalismi. Una
storia globale dei movimenti, Linaria, Roma
2016
Gabriella Corona, Breve storia dellambiente
in Italia, Il Mulino, Bologna 2015
Stephen Mosley, Storia globale dellambiente,
il Mulino, Bologna 2013
Jean Paul Fitoussi, loi Laurent, La nuova
ecologia politica. Economia e sviluppo umano,
Feltrinelli, Milano 2009
P. Michael Saint, Robert J. Flavell, Patrick
F. Fox, Nimby wars. The Politics of Land Use,
Saint University Press, Hingham Mass. 2009
Laura Scichilone, LEuropa e la sfida ecologica. Storia della politica ambientale europea
(1969-1998), Il Mulino, Bologna 2008
Pascal Acot, Catastrofi climatiche e disastri sociali, Donzelli, Roma 2007
Piero Bevilacqua, La Terra finita. Breve storia dellambiente, Laterza, Roma-Bari 2006
Donella e Dennis Meadows, Jorgen Randers,
I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori, Milano 2006
Simone Neri Serneri, Incorporare la natura.
Storie ambientali del Novecento, Carocci, Roma
2005
Alessandro Vercelli, Simone Borghesi, La sostenibilit dello sviluppo globale, Carocci, Roma
2005
John R. McNeill, Qualcosa di nuovo sotto il
sole. Storia dellambiente nel XX secolo, Einaudi, Torino 2002

ad un ambientalismo originale che spesso non si


definisce tale. In questottica, ad esempio, Armiero definisce il movimento No Tav della Val di Susa
espressione di una identit montanara ribelle e
comunitaria che si costruisce nel conflitto contrapponendo la propria marginalit al potere invasivo
e coloniale dei centri metropolitani, siano essi
Roma, Torino o Parigi. Sembra quasi che lautore stia parlando di una qualche sperduta comunit
nativa amazzonica non a caso Armiero muove il
suo discorso a partire dallambientalismo dei poveri e non di un movimento di base costituitosi
in unarea i cui comuni si collocano nella parte alta
della classifica nazionale del reddito imponibile
medio (solo per citare i principali: Avigliana 495,
Bardonecchia 708, Bussoleno 1617, Susa 2001;
i dati sono verificabili su www.infodata.ilsole24ore.
com). Inoltre, Armiero sorvola sul fatto che, in Italia, la maggioranza dei movimenti di base contro gli
usi localmente indesiderati del territorio si oppone
agli impianti per la produzione di energia elettrica
da fonti rinnovabili (45,64 per cento degli episodi
totali di contestazione nel 2011; 37,20 per cento nel
2014), proprio quelli che rientrano nella locuzione
al primo posto (ambiente ed energie rinnovabili)
per preferenze espresse secondo la ricerca Demos
& Pi. Evidentemente, la questione molto pi
complessa di come la scioglie Armiero adottando
categorie interpretative che al netto di forzature
ideologiche come quella proposta dallautore mal
si adattano alle dinamiche storiche e alla realt sociale dellItalia. Le stesse categorie, per, risultano
funzionali ad unanalisi che si sovrappone ai fondamenti teorici in cui si riconosce larea pi radicale del movimento ambientalista, con lobiettivo di
contribuire ad elaborare una legittimazione storica
di questo approccio.
Uscendo dallattualit, non difficile individuare
un esempio che dimostri come, parlando di questioni ecologiche, si possa incorrere in valutazioni errate,
nonostante la capacit di formulare argomentazioni
complesse e raffinate. Nel 1993, allalba della diffusione di massa del personal computer e di Internet,
Hans Jonas un filosofo tedesco autore di opere
essenziali sulla natura e sulla civilt tecnologica affermava che i computer, per quanto posso valutare,
non hanno delle conseguenze negative per lecologia
del nostro pianeta. Anzi, con il loro ausilio sono in
grado di mettere in guardia da possibili catastrofi
ecologiche (Sullorlo dellabisso. Conversazioni sul
rapporto tra uomo e natura, Einaudi 2000). Ventitr
anni dopo, i dispositivi elettronici sono considerati
una rilevante causa di gravi problemi ambientali:
consumano ingenti quantit di energia; rappresentano una tipologia pericolosa di rifiuti speciali poich
contengono numerose sostanze tossiche; alimentano
un ingente commercio illegale verso i paesi in via di
sviluppo (Cina, India e Africa), dove vengono smaltiti a basso costo mediante procedure artigianali pericolose per la salute dei lavoratori. Greenpeace, ad
esempio, stima che nella sola New Delhi i lavoratori
impiegati nel riciclo della spazzatura elettronica siano circa 25.000. In meno di un quarto di secolo,
quindi, una tecnologia considerata (non solo da Jonas) una probabile soluzione ha originato nuovi problemi ambientali.
Concludendo: per diffondere una consapevolezza realmente informata circa i molteplici aspetti
che compongono la questione ambientale, appare
sempre pi necessario depurare il dibattito sia dalle
narrazioni ideologiche e strumentali, sia da quelle teleologiche. Nel quadro odierno caratterizzato dalla
progressiva affermazione dellambientalismo radicale e dalla moltiplicazione, favorita dalle nuove forme
di comunicazione (social network), di apprendisti
stregoni che diffondono informazione a-scientifica
o, peggio, anti-scientifica il raggiungimento di quen
sto obiettivo non si prospetta agevole.
federico.paolini@unina2.it
F. Paolini insegna storia globale del mondo contemporaneo
alla Seconda Universit di Napoli

N. 7

Riscrittura di fiabe e sopravvivenza della letteratura


Siamo infatuati della bellezza artificiale
Intervista a Michael Cunningham di Tiziana Merani
ancora visti.
Potremmo dire che le fiabe mi hanno dato
quel senso di irrealt necessario a fare di me
uno scrittore. Per la raccolta Un cigno selvatico ho scelto semplicemente le storie che ho
amato di pi nellinfanzia. Le fiabe, daltronde, sono caratterizzate dallimprovvisazione,
cambiano a seconda di chi le racconta. Sono
divertenti, intrattengono il lettore e non devono per forza implicare ragionamenti e quesiti. E credo che scegliere le fiabe secondo uno
schema, riferendole a un tema specifico, o
usarle per illustrare certi punti di vista, snaturi
la fiaba stessa.

Una fiaba un tipo di storia che prevede magia e meraviglia. Allinizio del libro, il titolo
delle sue note iniziali Dis. Enchant. La sua
intenzione era riscrivere racconti del folklore
che non avessero elementi di incanto?
No, anzi, la mia versione di queste fiabe
ricca di magia. Questo fraintendimento pu
nascere dal fatto che nello slang americano dis
una parola che traduce mancanza di rispetto,
un insulto. Il titolo fa riferimento al fatto che
nei racconti fantastici, le persone vittime di incantesimi, perseguitate da demoni o rinchiuse
da streghe, sono generalmente giovani e belle.
La maggior parte della gente, per, non appartenendo a questa categoria, non corre il rischio
di malefici da parte di forze oscure. Forse una
considerazione un po cinica: in sostanza un
commento sul fatto che le riviste di moda, il
cinema e i media perpetuino una lunga tradizione di infatuazione nei confronti della bellezza superficiale. Non ci sono racconti fiabeschi
che abbiano come protagonisti eroi coraggiosi,
intelligenti e generosi ma brutti. E nemmeno
riviste di moda con fotomodelli poco attraenti.

Oggi molti autori scrivono mescolando


temi ed elementi di generi diversi. Si pu ancora parlare di generi letterari?
Uno dei pi interessanti movimenti della
letteratura contemporanea, a mio parere,
labbandono di quelli che abbiamo sempre
definito generi. La fantascienza di qualit,
ad esempio, tanto complessa e profonda
quanto alcuni dei romanzi considerati letterari. Stiamo allargando il nostro senso di ci
che intendiamo per letteratura seria, fatto che
apprezzo molto. Se la letteratura intende sopravvivere, dovr farlo rivolgendosi alla fascia
pi ampia possibile di lettori.

I racconti di folklore, non sempre ma spesso, terminano in modo lieto: e vissero per
sempre felici e contenti. Il lettore non sa ci
che accadr dopo, ma soddisfatto di leggere
questa formula finale. I suoi racconti proseguono oltre quel finale, imboccano una nuova
via, forse meno spensierata.

Una domanda sul film The Hours. Il ritratto che ne uscito di Virginia Woolf non le
sembrato un pochino ingiusto? Si evidenziato solo il lato nevrotico della scrittrice, ma
Virginia Woolf era molto, molto di pi.

Trovo la frase vissero felici per sempre un


po vaga, irreale. Molti di noi, se sono fortusuoi dieci racconti ci sono quelle storie, Jack e il
nati, riescono a essere a volte felici, altre volte in- fagiolo magico, I Sei Cigni, Raperonzolo e le altre?
Ritengo che lattrice che ha interpretato la verfelici. Fa parte della gioia, del cambiamento, della vita. Freud diceva che se fossimo sempre felici
I miei genitori hanno iniziato a leggermi fiabe sin sione cinematografica di Le ore abbia fatto un lanon riconosceremmo la felicit perch sarebbe la da quando ero molto piccolo e io immaginavo che voro eccellente. Molte persone si sono lamentate
nostra condizione costante. Per sperimentare la quei racconti fossero veri. Da bambino, sino a una del fatto che Virginia Woolf sia stata ritratta come
vera felicit, abbiamo bisogno di conoscere anche certa et, per me cera il mondo della mia famiglia una persona nevrotica, ma dobbiamo ricordare che
i sentimenti pi bui. Tra laltro quel finale sembra e della nostra casa, e poi cera il mondo dei princi- Nicole Kidman, nel ruolo di Woolf, rimasta sullo
un espediente per non raccontare ci che accadr pi, degli orchi, delle matrigne, degli incantesimi e schermo per soli 22 minuti e che il film sarebbe stadopo. Prendiamo Biancaneve, ad esempio. Un dei malefici. Erano l fuori, anche se non li avevo to visto da un gran numero di persone che a malapena sapevano chi fosse Virginia
principe che passeggia nel bosco
Woolf. S, Woolf era molto pi
simbatte in una bellissima ragazza
di una persona malata di nervi,
morta, adagiata in una bara di vetro.
ma non cera tempo per inclu cos colpito dalla bellezza della
dere le parti in cui, ad esempio,
fanciulla che la bacia e la riporta in
partecipava alle feste. Inoltre bivita. Insieme vanno a vivere al caoggetti in modo maldestro, che oggetMichael Cunningham
to di scherno, diventa la misura delluosogna considerare che certe sue
stello. Quella non la fine, linizio
Un cigno SELVATICO
mo, una maledizione perenne e al tempo
nevrosi (le sue ossessioni, le sue
della storia
ed. orig. 2015, trad. dallinglese di Carlo Prostesso un conforto con cui farsi scudo dal
paure) sono state essenziali per il
speri,
mondo. Con un frusciare di piume ancora
suo genio.
Chi leroe dei suoi racconti?
in testa, il lettore volta pagina e incontra
pp. 150, 15, La nave di Teseo, Milano 2016
Possono essere persone comuni
una vecchia malandata, unadescatrice
Quale la sua opinione sulla
che accettano il loro destino senza
ra i titoli con cui La Nave di Teseo ossessionata dal sesso, che fatica a riconoletteratura dei giorni nostri?
ribellarsi?
ha fatto il suo ingresso nel mondo scere. Ah, quindi lei, la strega di Hnsel
degli
editori italiani, occupa un posto e Gretel, uno dei personaggi pi temuti
Ci sono grandi scrittori allopeMolte fiabe parlano di persone
bene
illuminato
Un cigno selvatico, lul- della letteratura fiabesca? Nella nuova
ra, oggi, da Don DeLillo a Zadie
comuni, ma che difficilmente actimo lavoro dellautore Premio Pulitzer versione, triste e sfortunata, il carnefice,
Smith, Pter Esterhzy o Maylis
cettano in modo tranquillo il loro
di Le ore, Michael Cunningham.Tradotto tuttavia, finisce per essere vittima dei due
de Kerangal, solo per nominardestino: quelle che non si ribellano
fluidamente da Carlo Prosperi, il libro ospiti giovani e psicopatici. Al terzo racne alcuni. Forse ci sono meno
non entrano nelle storie, di nessun
accompagnato dalle illustrazioni dellar- conto ormai chiaro. Che sia la storia di
lettori che in passato, ma ce ne
tipo, perch sono passive. Nel ractista giapponese Yuko Shimizu, che usa il Jack che uccide il gigante e assicura alla
sono ancora e fin quando ci sono
conto di Jack e lalbero di fagioli un
bianco e nero per sottolineare lorrido e il madre un futuro pieno di costose borse
i libri, la letteratura sopravvive.
ragazzino vende la mucca di sua
griffate,
o
il
principe
di
Biancaneve,
che
si
deforme, il sublime e il bizzarro, dei dieci
Credo che ogni generazione si
madre per una manciata di fagioli,
racconti di folklore di cui si impossessa- eccita quando riesce a far tornare, seppur
preoccupi che la letteratura sia
con la speranza che la magia camper pochi istanti, la sua amata nella bara,
ta la fervida immaginazione dellautore.
in declino, ma credo anche che
bier le loro vite. Mentre nella fiale
storie
di
Michael
Cunningham
non
ci
La raccolta si apre con la fiaba ispirata
ogni generazione si sbagli.
ba del Nano Tremotino un mugnaio
trasporteranno
in
un
mondo
dorato
dove
ai Sei Cigni, racconto di origine popolacerca di far sposare la propria figlia
fate
dal
sorriso
pi
dolce
della
glassa
trare riscritto dai fratelli Grimm e ripreso
Cosa ci pu anticipare del suo
al re, raccontando che la ragazza sa
in seguito da Hans Christian Andersen. sformeranno le zucche in cocchi splendenti.
Ma
proseguire
nella
lettura
dona
prossimo
libro?
mutare la paglia in oro. Se Jack e il
Siamo nel momento che precede il lieto
lo
stesso
brivido
di
timore
e
inconsapemugnaio avessero quietamente acfine, quando lincantesimo viene spezzato
Tutto quello che posso dire
cettato la loro sorte, non ci sarebbee i cigni tornano nelle loro fattezze uma- volezza che da bambini sperimentavamo,
che per ora ho scritto cento paro state le loro storie. No, i racconti
ne. Tutti, tranne uno, compiono la meta- quando, nella penombra della sera, con
una voce resa bassa dalla stanchezza, uno
gine. Non per fare il misterioso,
riguardano persone che cercano di
morfosi completa. Allultimo resta unala
dei nostri cari iniziava il racconto. Cera
ma ho imparato che non mai
cambiare il loro destino.
al posto del braccio destro. Che ne sar
una volta
una buona idea parlare in anticipo
di lui, adesso? Quellala indisciplinata,
di ci che non ho ancora finito di
Leggeva fiabe da bambino? Le
T. M.
ingombrante, che sventola e colpisce gli
scrivere.
amava? C una ragione per cui nei
n

Favole nere

Segnali

- Letterature

N. 7

Tra davidie, tarassachi e malvoni: le ibridazioni del giardinaggio


Insalata mista
di Luca Terzolo

Segnali

- Giardini

aolo Pejrone, nel suo nuovo libro intitolato Un


P
giardino semplice, impreziosito dalle splendide
tavole di Anna Regge (penalizzate dalla sconsiderata

impaginazione), va precisando con la consueta nonchalance una sua estetica, che anche etica, del giardinaggio. O meglio del vivere nel e per il giardino.
Nulla di strutturalmente sistematico e di dogmatico
ma tanti tasselli accostati quasi casualmente che vanno a comporre un discorso molto ben leggibile. La
classica e in fondo banale organizzazione per stagioni non riesce infatti a dissimulare come alcuni temi
ricorrano costanti: la raffinatezza e lesotismo (la
Magnolia delavayi, la Davidia involucrata sulla quale
torneremo pi avanti) devono poter coesistere con
la semplicit e la tradizione (il malvone, le giuseppine, le monete del papa, i mughetti). Pejrone in
sostanza caldeggia un giardino fusion (siamo sicuri che il termine gli farebbe orrore), lontano
da omologazioni internazionali, non fondato
sullapartheid ma sullarmoniosa convivenza.
Un esempio illuminante nella sua definizione
del prato vivo: Un prato con trifogli, margheritine, tarassachi, ecc. un prato allitaliana:
sopporta il secco, robusto alle malattie e, a
mio giudizio, ha pure unaria casuale, decisamente gradevole, casereccia e nostrana. Anche linfestante tarassaco vi accettato.
Bene ha fatto la Elliot a stupirci ripubblicando due celebri libri di Gertrude Jekyll: Il
giardino dei colori e Bambini e giardini. a
questultimo che ci dedicheremo: lo merita per
un approccio pedagogico assai libertario per
lepoca in cui stato scritto. Lautrice (18431932), mitica esperta di giardinaggio citata con
altissimo rispetto da Pejrone e da chiunque
scriva seriamente di giardini, vera e propria
autrice di centinaia di parchi e giardini, nata
in una famiglia altolocata (Stevenson era un
amico di famiglia: pare che il nome del celebre
dottor Jekyll venga di qui) ha scritto un libro
in cui parla ai bambini invitandoli allosservazione naturalistica (geniale il capitolo in cui
propone una sorta di leggibilissima tassonomia
botanica semplificata) e al giardinaggio giocoso
ma serio. Interessante e divertente notare come
alla pedagogia davanguardia (via calze e scarpe e tutti a sguazzare nello stagno; bellissima e
commuovente una delle fotografie dellautrice
che costellano il testo: una panchetta di legno
su cui sono orgogliosamente buttate calze e
scarpe) faccia da controcanto una assoluta e feroce ottocentesca rigidit nei confronti delle erbacce
infestanti del prato. Per la Jekyll per esempio il tarassaco un nemico e va estirpato senza piet: Se
non riuscite a estrarre la radice del tarassaco dovrete
grattare via un po di terra () e tagliare la radice
pi in profondit possibile con la lama del coltello.
Non lecito sapere se nei prati dei giardini allinglese amati da Rousseau e da George Sand fossero
presenti molte infestanti. velyne Bloch-Dano nel
suo Giardini di carta (bel titolo, con sottotitolo Da
Rousseau a Modiano) ci dice molto, forse troppo, sul
rapporto dei letterati francesi coi giardini, ma ovviamente non questo. E non si pu nemmeno imputarglielo a colpa. Non questo. Il suo libro ben scritto,
abbastanza ben documentato, ma alla lettura d una
sensazione di futilit.
In totale franchezza: leggere che Simone de Beauvoir amava il parco del nonno nel Limousin (Cedri,
wellingtonie, faggi violacei, alberi nani del Giappone, salici piangenti, araucarie) mentre per Sartre
lunica natura accettabile era quella dei Giardini
del Luxembourg fa sbottare in un franco e sonoro
Chissenefrega. Forse non un caso ma un segno
di totale assenza di ironia, il fatto che Flaubert venga
citato con Madame Bovary nel capitolo intitolato Lamore in giardino e mai con Bouvard et Pcuchet che
sul mito tutto urbano dei giardini e degli orti molto
avrebbero ancora da dire e insegnare.
Quello che certo che sul tema dei praticelli e
della loro manutenzione il meglio lo dice Michael
Pollan in Una seconda natura. Lo dice applicando

ovviamente la sua analisi al contesto americano, ma


considerata la potentissima influenza visiva (si pensi
anche solo a Paperino alle prese con la falciatrice)
del colonialismo culturale statunitense, il discorso
assume un valore quasi universale; certo molto pi
ampio di un qualunque approccio strettamente antropologico-culturale.
Pollan scrive: Il manto erboso ha un grande fascino, soprattutto per gli americani. Ha unaria pi
o meno naturale verde; cresce ma di fatto rappresenta un assoggettamento totale e completo della
foresta, alla pari di un parcheggio. Tutte le specie ne
sono escluse a viva forza: tutte tranne una, e anche a
questa vietato diventare pi lunga del dito mignolo
del proprietario. Questa la natura sotto un regime
totalitario. Pollan poi racconta esilaranti aneddoti
su proprietari trascurati redarguiti dai vicini (Siete

pregati di falciare il prato scritto su un biglietto).


O addirittura su vicini che intervengono di persona
con la falciatrice (il reprobo si vide costretto a piantare un cartello che diceva: Questo prato non un
esempio di indolenza. un prato naturale che cresce nel modo inteso da Dio). Esilarante. Lapproccio di Pollan, sempre molto leggero e spiritoso anche quando tocca temi che non sarebbe fuori luogo
considerare filosofici (e il richiamo a Thoreau ne
un segno), d unottima prova quando tocca il tema
dellinverno. quasi una tradizione per i libri sul

I libri
velyne Bloch-Dano, Giardini di carta, ed.
orig. 2015, trad. dal francese di Sara Prencipe,
pp. 222, 16, Add, Torino 2016
Gertrude Jekyll, Bambini e giardini, trad.
dallinglese di Chiara Rea, pp. 187, 17,50, Elliot, Roma 2016
Paolo Pejrone, Un giardino semplice, pp. 193,
16, Einaudi, Torino 2016
Michael Pollan, Una seconda natura, ed. orig.
1991, trad. dallinglese di Isabella C. Blum, pp.
309, 22, Adelphi, Milano 2016
Michael Tyler Whittle, I cacciatori di piante,
ed. orig. 1970, trad. dallinglese di Benedetta
Bini, pp. 328, 18, DeriveApprodi, Roma 2015

giardinaggio articolarsi seguendo il fluire delle stagioni (cos anche il libro di Pejrone). Pollan invece di
diffondersi sulle rare e preziose fioriture invernali o
sui lavori tipici dei mesi freddi (manutenzione degli
attrezzi ecc.) descrive con grande realismo e acume
la principale attivit invernale del giardiniere dilettante: la lettura dei cataloghi di florovivaistica. E il
successivo inevitabile acquisto di piante da mettere
a dimora nella primavera veniente. Il titolo del capitolo non a caso Perdere la testa per i pretenziosi
cataloghi. Forse un po troppo aderente alla sola
realt americana, lanalisi minuziosa del diverso stile
dei cataloghi presi in esame, da quello estremamente
snob a quello pi concreto, ma facilmente traducibile in analoghe italianissime tipologie.
Daltra parte, a dimostrazione che anche nel mondo del giardinaggio la globalizzazione esistita da
sempre (da ben prima che esistesse la parola),
basta aprire I cacciatori di piante di Michael
Tyler Whittle, un libro formidabile, che DeriveApprodi molto opportunamente ripesca
dalla collana Rizzoli diretta negli anni settanta
dal grande Ippolito Pizzetti. Cronologicamente strutturato inizia raccontando dellantichit
e poi del medioevo e del Rinascimento. Ma il
massimo di interesse e di fascino lo raggiunge
quando si avvicina al diciottesimo secolo, alla
grande epoca del colonialismo (e del collezionismo) inglese. La Royal Horticultural Society,
i Kew Gardens, il grandissimo Banks, inesausto
organizzatore di spedizioni mirate alla ricerca
di piante ancora sconosciute, il geniale e modesto dottor Ward inventore delle omonime
cassette (prima attrezzatura atta a portare in
Inghilterra piante esotiche riducendone laltissima mortalit: si ricorda che il famoso ammutinamento del Bounty avvenne su una nave
carica di alberi del pane: lacqua veniva lesinata
ai marinai per tenere in vita le piante). Whittle,
con quello che si usa definire umorismo inglese, scrive che Ward, un naturalista dilettante,
medico di professione, trattandosi di una
persona che si divertiva a studiare i bruchi e
a metterli in bottiglia, doveva essere con ogni
probabilit scapolo o vedovo.
Pejrone descrive con amore le sue davidie: la
storia dellarrivo in Occidente del meraviglioso
albero dei fazzoletti unepopea rappresentativa di tante altre che videro allopera botanici, avventurieri, dilettanti, missionari, affaristi
(limportazione, lacclimatazione, la riproduzione e la vendita di piante rare ed esotiche si pensi alle orchidee o ancor prima ai tulipani era una
fiorente industria). Il primo a identificare e a descrivere questo meraviglioso albero fu Armand David
(da lui il nome: Davidia involucrata), un missionario
francese con una particolare vocazione per gli studi
naturalistici. Ma il primo a portarne i semi in Inghilterra fu, anni dopo, Ernest H. Wilson. Rischi la vita
arrampicandosi fra le gole dello Yunnan, fu travolto da torrenti in piena, affront pericoli imprevisti
(molti di questi avventurosi cercatori non tornarono
in patria) ma ce la fece. Da allora le davidie sono anche nostre e campeggiano nei pi raffinati giardini.
Tra tutti, in quello piemontese di Paolo Pejrone.
Nessuna pretesa di esaustivit in questa piccola
rassegna. Solo il tentativo un po impressionistico
di mostrare come si stia sviluppando una sorta di
subcategoria merceologica nellambito delleditoria
di giardinaggio: quella che evade dalle costrizioni
del tecnicismo esasperato per tentare, con risultati
quasi sempre pi che convincenti, di ibridarsi con
altre discipline: dalla ecologia e gastronomia (ed
facile) alla storia, dalla letteratura alla pedagogia,
dalla sociologia alla filosofia.
Il tutto in perfetta e pacifica convivenza con gli
svariati ottimi manuali presenti anche in edicola (soprattutto nella bella stagione) o coi lussuosi libri fotografici e le preziose ristampe anastatiche di antichi
erbari (ideali come coffee table books).
n
luca.terzolo@alice.it
L.Terzolo lessicografo

N. 7

Scenari euroatlantici di contestazione e difesa delle disuguaglianze consolidate


Lezioni americane per europei distratti

armadio, prima durante e dopo le convention, ad oggi


le elezioni presidenziali in corso hanno confermato la
vitalit delle istituzioni americane e la conseguente
capacit di accogliere e incanalare novit politiche di
grande rilievo. Malgrado gli sforzi titanici di occultarli, per manipolazione, falsa coscienza o semplice
ignoranza, dei principali media, non soltanto italiani.
Prima di prendercela con i media, rendiamo conto
di quanto stato pubblicato in forma di libri, com
nostro compito. Innanzitutto, Massimo Teodori, collaudato esperto ed insegnante di politica
americana in Italia, ha fornito un agile libretto
il cui contenuto corrisponde al titolo: Obama il
grande, con una guida essenziale alle presidenziali
2016 (pp. 110, 10, Marsilio, Venezia 2016). Si
tratta di una sommaria difesa delloperato del
presidente uscente che ne mette in luce alcuni
risultati acquisiti (tra cui il consolidamento dello status degli afro-americani nelle istituzioni,
lestensione della tutela della salute a circa due
terzi della popolazione, una maggiore cautela
nellimpegno militare statunitense in giro per il
mondo). Tuttavia, lautore non identifica nella
lettura multipolare di quel mondo uno dei meriti principali della presidenza di Obama; forse
per la preoccupazione, pi dellautore che dell oggetto della sua indagine, di riaffermare un
primato egemonico degli Stati Uniti rispetto ad
altri stati emergenti. Lautore attribuisce esclusivamente a una destra che lo vorrebbe riscattare,
la tesi di un declino del potere americano, sempre in termini relativi rispetto al resto del mondo. Forse anche per il carattere sintetico e divulgativo del volume, lautore sceglie di ignorare il
dibattito, di ampio respiro storiografico, che si
sviluppato per anni su questo argomento. Mentre David P. Calleo, Paul Kennedy, Prem Shankar Jha e altri hanno impostato e alimentato
questo dibattito, individuando nella guerra del
Vietnam una svolta nel senso del declino, altri
,Niall Ferguson, non a caso evocato da Teodori,
e Norman Kagan, per non citare lormai pentito
Fukuyama, si sono schierati sul fronte opposto,
fino a comprendere Victoria de Grazia e David
Ellwood, che individuano le rinnovate potenzialit egemoniche americane soprattutto nel soft
power derivante dalle innovazioni tecnologiche.
Teodori non coglie, o sceglie di non cogliere, la
sfida non solo da destra (Trump e i suoi precursori europei), ma anche da sinistra (Sanders,
Corbyn, che hanno dato forma politica pi compiuta a movimenti popolari come quello spagnolo e
greco) che si profila contro uno stato di ineguaglianza crescente nelle societ occidentali, tale da
averne indebolito le istituzioni politiche, compresa
quella rappresentata dalla stessa presidenza Obama.
Questo compito stato, invece, assolto da un altro volumetto di Bernie Sanders, Quando troppo
troppo! Contro Wall Street, per cambiare lAmerica,
(a cura di Rosa Fioravante, pp. 187, 15, Castelvecchi, Roma 2016) a cui lo stesso editore ha fatto
opportunamente seguito con un libro dedicato a un
fenomeno politico, per molti aspetti analogo a quello
di Sanders, che ha portato Jeremy Corbyn alla guida
del partito laborista britannico (Jeremy Corbyn, La
rivoluzione gentile, a cura di Domenico Cerabona
Ferrari, pp. 95, 12,50, Castelvecchi, Roma 2016).
I media tacevano, o liquidavano come marginali e
antiquati questi nuovi protagonisti, fino al momento
in cui Corbyn non super la prima prova elettorale
delle elezioni amministrative (con risultati negativi
soltanto in Scozia, per opera del partito indipendentista) e Sanders non vinse, poco alla volta, le primarie
in ben ventitr stati.
Da questi modesti libretti, praticamente introvabili
sui banchi delle librerie (e questo un altro problema), emerge una nuova realt politica. Che il dominio di una finanza irresponsabile, capace di comprare la politica di cui ostenta e alimenta il disprezzo,
peraltro spesso giustificato, di provocare una crisi

economica mondiale lucrandoci sopra, ormai sfidato da una nuova modernit politica, che crede in
diritti e libert democratiche, strumentalmente usati
dalla politica vecchia, dei Clinton, dei Blair, persino
dal piccolo Renzi. questo il senso profondo e duraturo della candidatura di Bernie Sanders, non a caso
sostenuta da giovani di tutte le razze e da quei lavoratori disoccupati e precari che respingono linvito di
Trump a rivolgere la loro rabbia contro nuovi immigrati, in fuga da guerre, malattie, corruzione, droga
in larga parte importati dai loro paesi dal pi ricco
Occidente. Il senatore del Vermont non diventer

candidato del partito democratico alla presidenza


degli Stati Uniti, ma gi larbitro del destino di una
candidata assai pi vulnerabile; la quale ha disperato bisogno, per sconfiggere Trump, almeno di una
parte dei voti conquistati dal suo rivale democratico
nel corso delle primarie. Infatti, ci che non stato
spiegato ai pi, il mutamento strutturale subito dal
sistema politico americano.
Se fino allelezione di Reagan, con una partecipazione stabile al voto di poco superiore al 50 per cento, vinceva il candidato, democratico o repubblicano
che fosse, in grado di conquistare gli elettori moderati di centro, da quando cresciuta la partecipazione
al voto (fino a raggiungere la punta del 64 per cento
nella prima elezione di Obama), non pi cos. Vince chi convince il maggior numero di elettori, rispettivamente alla propria destra e alla propria sinistra,
ad andare alle urne, con leffetto inevitabile di radicalizzare lo scontro che diventa competizione allinterno delle istituzioni, come da noi (sar una coincidenza?). Da questo punto di vista Hillary Clinton una
candidata assai vulnerabile, al punto che ci potrebbe
essere qualche colpo di scena dellultima ora, in occasione della convention di Philadelphia. Per quanto
Hillary possa mobilitare Obama, Elizabeth Warren
(particolarmente preziosa perch con Sanders la
principale critica di Wall Street), pi difficilmente
lo stesso Sanders, come pu non essere identificata
come la principale rappresentante di una classe dirigente non soltanto politica, sempre pi odiata? O

liberarsi di un passato tuttora incombente? Non un


caso se la candidata in pectore si sempre rifiutata di
rendere pubblici i discorsi a pagamento di fronte alla
banca Goldman Sachs per oltre 600.000 dollari e i
contenuti delle mail che non avrebbe dovuto gestire
dal suo server privato quando guidava il Dipartimento di stato (suscitano sospetti diffusi i finanziamenti
della Fondazione Clinton, provenienti dallArabia
Saudita, paese accusato di sostenere il terrorismo
islamico di marca wahabita e sunnita).
Persino Ernesto Galli della Loggia in un editoriale di prima pagina del Corriere della sera del 4
giugno, ha dovuto prendere atto che negli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna, in atto
una grande ribellione, soprattutto giovanile,
che coinvolge un numero crescente di persone. Essa si fonda su una presa di coscienza che,
dalla scintilla di Occupy Wall Street, si diffonde
nellintero paese, con un tema dominante: combattere una diseguaglianza che dagli anni ottanta, senza correttivi rilevanti, rende pochi ricchi
sempre pi ricchi a scapito di tutti gli altri, dalla
borghesia medio-alta in gi. Ne consegue che la
ribellione ha spazi potenziali di crescita pressoch illimitati e che, soltanto per i meccanismi di
controllo tecnico delle primarie statunitensi (per
tacere delle continue contestazioni della regolarit del voto), non ha assunto una dimensione
ancora pi dirompente nei confronti del sistema
politico nel suo insieme.
Senza spiegarne le origini e le ragioni economico-sociali, in un primo tempo i cos detti
mainstream media hanno liquidato il fenomeno
sottolineando gli aspetti grotteschi della candidatura di Donald Trump come un sintomo di
malessere che spinge soprattutto allestrema
destra larghi strati di popolazione nei principali stati occidentali. diffusa la consapevolezza
di connotati razzisti accentuati dai flussi immigratori, ulteriormente esasperati da una lettura
etnico-religiosa di attentati come quello di Orlando, mentre qualche commentatore si spinge
fino a evocare gli effetti, storicamente verificati,
che pu avere una diffusa proletarizzazione dei
ceti medi. Per mesi la ribellione narrata stata
quella allestrema destra, allinterno del partito
repubblicano, mentre i suoi effetti sul partito
democratico sono stati lungamente ignorati o
minimizzati. I Farage, Le Pen, Salvini in Europa, ora Trump negli Stati Uniti, sono stati pi
pronti a tradurre in politica questo malessere.
Ma quali lezioni ne derivano per i vari Clinton,
Hollande e Renzi?
Coloro che oggi sono al comando, i cavalieri
della finanza e delle multinazionali dominanti, quelli che appaiono sullo schermo, dietro al tavolo dei
ministri al G8, nello straordinario film di Roberto
And Le confessioni non certo disponibili a cedere
potere a chi potrebbe seriamente intaccare lassetto vigente sarebbero capaci di cavalcare la nuova
destra, anzich continuare a illudersi che si tratta
di un avversario di comodo? Per poi considerarlo
un male minore in qualche modo addomesticabile,
come in altri frangenti di una storia non lontanissima. quello che il partito repubblicano sta facendo
nei confronti di Trump, con i rischi del caso. Oppure
preferiranno, costoro, sostenere Clinton, la democratica, perch compatibile? UnEuropa ancora alla
ricerca di se stessa far bene a prestare attenzione. Il
problema si pone se la stessa Banca Morgan che
contribu in maniera rilevante a consolidare il regime
di Mussolini nella seconda met degli anni venti
sente il bisogno di raccomandare la revisione di carte
costituzionali prodighe di diritti come quella italiana
e tedesca, pur di non mettere in discussione una virgola del suo pensiero unico (cfr. J. P. Morgan and
Co., The Euro area adjustment: about halfway there,
in Europe Economic Research, 28 maggio 2013).
n

g.gmigone@libero.it
G.G. Migone ha insegnato storia del Nord America
e delle relazioni euro-atlantiche per oltre quarantacinque anni

Segnali

uali che siano gli attentati, i colpi di scena, gli


Q
scheletri che i due principali candidati Hillary
Clinton e Donald Trump tireranno fuori dallaltrui

-Internazionale

di Gian Giacomo Migone

N. 7

10

I cambiamenti delleditoria attraverso romanzi distopici e saggi


Leggere senza libro, editore, critico e libraio
di Massimo Castiglioni

Segnali

- Editoria

i parla spesso di editoria, in questo mondo di liSle case


bri e librerie, e non potrebbe essere altrimenti:
editrici sono le principali responsabili della

realizzazione materiale dei libri, e, visto il loro ruolo, un confronto diretto con le dinamiche e le contraddizioni che le caratterizzano risulta quasi ovvio,
scontato e assolutamente necessario. Specie in un
momento storico sconvolto dal terremoto Mondazzoli, che stravolge gli equilibri e riconfigura il modo
di intendere lindustria editoriale nel nostro paese,
sempre pi concentrata in un unico blocco.
Come se fosse gi pronto a una simile evenienza,
Antonio Manzini ha risposto a Mondazzoli con
un breve romanzo edito da Sellerio: Sullorlo del precipizio (pp. 128, 8, Sellerio, Palermo 2015). Protagonista di questa nerissima distopia un romanziere
fittizio, Giorgio Volpe, tra i pi letti e apprezzati in
Italia, in procinto di terminare il suo capolavoro: unepica narrazione della storia
della sua famiglia sullo sfondo degli snodi pi importanti dellItalia novecentesca.
Unopera costata pi di due anni di fatica
ma che finalmente pu essere consegnata
alla Gozzi, la pi grande casa editrice del
paese. Titolo del romanzo: Sullorlo del
precipizio. Proprio nel giorno in cui invia
il libro alla sua editor, Fiorella, un evento incredibile scuote il mercato editoriale:
Le tre maggiori case editrici, la Gozzi, la
Bardi e la Malossi, si univano per diventare il pi importante polo editoriale di tutti
i tempi. Un gigante che avrebbe spazzato
via la concorrenza, con un controllo del
mercato quasi totale.
Passano ancora alcuni giorni, gli ultimi
della Gozzi e dei suoi operatori. C un
certo entusiasmo per la prova creativa
di Giorgio, a cui bisogna apportare solo
qualche leggero ritocco prima di procedere alla stampa. Peccato che la mattina
in cui questo lavoro dovrebbe iniziare, al
posto dellattesa Fiorella si presentano due
uomini mai visti, vestiti di nero e dallaria
inquietante, come se provenissero direttamente dal Processo di Kafka. Uno si chiama Aldo, laltro Sergej, ed russo: sono le
persone chiamate a fare lediting per conto
della Sigma, il nuovo gigantesco marchio
editoriale. La sequenza dellincontro,
dannatamente tragicomica, rivela quali saranno i cambiamenti imposti allindustria
del libro. Alle lamentele di Giorgio, comprensibilmente spiazzato, i due rispondono millantando una grande esperienza nel
settore. Sergej un vero professionista,
addirittura il correttore di bozze di Tolstoj,
del quale si stanno ripubblicando i maggiori successi con qualche miglioramento: Guerra e pace stato ridotto a trecento pagine,
ed solo Pace, perch non si pu angosciare il lettore. Guerra, odio, morte, malattie, romanzi distopici e senza futuro, basta! Pace, amore, ottimismo
e fratellanza, ecco le nuove direttive Sigma. Aldo
non da meno del collega: sta traducendo lintera
letteratura italiana in vero italiano, perch lo scopo avvicinare i ragazzi alla letteratura e usare una
lingua che gli faccia amare i libri. La prosa deve
essere semplice, senza troppi appesantimenti stilistici e in grado di dare informazioni utili come se
fosse una pagina web. Pertanto necessario riscrivere i romanzi meno accessibili (su tutti, I promessi
sposi). Se questo il trattamento riservato a Tolstoj
e Manzoni, i contemporanei non se la passano di
certo meglio. A Giorgio viene chiesto di riscrivere
abbondantemente il suo romanzo, tagliando le parti
sul fascismo (tanto ai giovani cosa importa del fascismo?) e dando maggiore spazio alle scene damore e
dazione per scongiurare il rischio noia (il risultato
una banalit degna del peggior feuilleton).
Il successivo incontro con la responsabile della Sigma, Federica Celletti, non migliora affatto la
situazione. La dirigente dichiara che le cose ormai
sono cambiate, che la realizzazione di un libro un

impegno collettivo a cui lo scrittore partecipa dando solo unimpronta di massima, che bisogna tenere
sempre sotto controllo i movimenti della borsa, che
lunico scopo soddisfare le attese del pubblico:
Noi guardiamo solo ai gusti del pubblico, questo
facciamo. E lei far lo stesso. Sinceramente, Volpe, a
noi della sua etica, della sua poetica, della sua narrativa, del suo stile, dei suoi aggettivi e dei suoi avverbi
non interessa. A noi interessa lei, se e fino a quando
riesce a carpire lattenzione di un pubblico.
Una situazione insostenibile e apocalittica, trionfo assoluto della ricerca del profitto. Non a caso
vengono esplicitamente evocati i romanzi distopici
e in particolare Orwell. Rispetto ai testi canonici
della distopia, lambientazione non futuristica (o
addirittura fantascientifica); siamo praticamente nel
presente (lazione comincia a ottobre 2015) e non ci

sono elementi fantascientifici di nessun tipo. Della


distopia recuperato il principio di base, vale a dire
liperbolizzazione di unattuale situazione di crisi
per denunciarne la pericolosit e le eventuali conseguenze catastrofiche.
Il tema della decadenza dei libri trattato (in una
prospettiva diversa) anche da Panorama di Tommaso Pincio (pp. 200, 13, Enne Enne, Milano 2015),
vincitore del premio Sinbad. Attraverso la vicenda
di Ottavio Tondi, lettore di professione e consulente
per una nota casa editrice, si assiste allirreversibile
caduta di quelluniverso cartaceo al quale il protagonista ha dedicato tutta la sua vita. Da una situazione
di grande successo da parte di Ottavio, si passa a
una crisi devastante che, andando di pari passo ai
problemi personali di lui, colpisce e abbatte silenziosamente lambiente letterario. Ottavio subisce
un pestaggio mentre cammina per strada leggendo
un libro. un punto di non ritorno che lo allontana
dalla sua professione. Curiosamente, nello stesso periodo si verificano altri episodi violenti quali stupri
e omicidi, ognuno dei quali vede come vittima un
lettore, ma questa particolarit sembra incontrare
lindifferenza della popolazione, sempre pi assuefatta alla tecnologia e sempre pi responsabile della

morte dei libri. Dopo lincidente Ottavio smette di


lavorare, anche perch il suo settore non esiste pi,
trovando una temporanea fonte di guadagno nella
vendita della propria collezione di libri al mercato
nero. in un momento del genere che viene a sapere
dellesistenza del social network Panorama, una sostituzione digitale della vita quotidiana in cui lidea
di privacy praticamente abolita e in cui ogni utente
deve obbligatoriamente rendere disponibile alla vista degli altri iscritti una zona della propria casa. Osservando Panorama dallinterno (ed entrando in una
specie di dipendenza a seguito di un incontro importante), Ottavio giunge a una lucida e penosa conclusione: Non era morta la letteratura, erano morti
loro, i letterati. La letteratura esisteva ancora, ma in
una forma nuova, non pi cartacea, non pi scritta
per essere letta. (). Le parole e le cose che vedeva
scorrere su Panorama non erano forse un
racconto in continuo rifacimento? In quel
piacere spasmodico di osservare le vite degli altri non si realizzava forse la sua idea di
letteratura, origliare e sbirciare?.
Letteratura come voyeurismo, ma soprattutto come superamento delloggetto libro e dellapparato che gli sta dietro.
Niente pi editori, critici, librai ecc. Gli
scrittori ormai sono i fruitori dei social network, e cos anche i lettori. Unipotesi forse non cos lontana dalla nostra realt (in
cui i libri certamente resistono, per quanto vilipesi) se si pensa a una piattaforma
digitale come Wattpad, in cui ognuno dei
membri pu pubblicare libri o racconti,
praticamente senza limiti, nella speranza
di farsi notare dalle grandi case editrici
(disponibili a cavalcare il nuovo).
Potrebbe essere utile tornare un istante
al passato e rivolgersi a figure che ormai
non ci sono pi, non per chiudersi nella
torre davorio del ricordo di un tempo
perduto ma per osservare quegli aspetti
fondamentali in cui si intravede un segno
dei nostri tempi. Un libro di Gian Carlo
Ferretti dedicato a Niccol Gallo (1912 1971) fa al caso nostro (Storia di un editor.
Niccol Gallo, pp. 151, 16, Il Saggiatore,
Milano 2015). Gallo un personaggio ingiustamente relegato nelloblio, nonostante il suo spessore intellettuale. Si impone
come critico e militante comunista partecipando attivamente al dibattito intellettuale nel secondo dopoguerra, ma alla fine
degli anni cinquanta, complice una certa
delusione politica, chiude definitivamente
con la critica per andare a ricoprire il ruolo
di direttore delle collane di narrativa italiana presso Mondadori. Questo passaggio implica un modo diverso di intendere
il proprio impiego, ora costretto allinterno di una
normativa editoriale. Ogni scelta, per quanto sperimentale, passa comunque allinterno della strategia
mondadoriana; strategia che negli anni andr mutando radicalmente: tra il 1967 e il 1971 scompaiono
molte collane di narrativa per essere racchiuse nella
pi eterogenea Scrittori italiani e stranieri, una
decisione importante e indicativa, segnale di un
cambiamento pi generale nelleditoria italiana, per
laccostamento indifferenziato di valori diversissimi
allinterno di ununica e prevalente, seppur articolata, logica commerciale. Gallo vive questa situazione
in maniera forse meno sofferta del suo amico e collega Vittorio Sereni, ma non per questo meno problematica. Se da un lato ancora possibile scommettere
sulla ricerca e sullo sperimentalismo (in quegli anni
Gallo vive personalmente la travagliatissima realizzazione di Horcynus Orca di Stefano DArrigo),
dallaltro gi iniziata una tendenza che arriva fino
ai giorni nostri e con cui la letteratura si confronta
quotidianamente.
n
massimo1812@gmail.com
M. Castiglioni critico letterario

N. 7

11

Controcelebrazioni dellanniversario 1915 e resistenza allorrore


Oh, Che Bella Guerra!

sono sentito pi carezzare dalle dolci parole che


elevano gli uomini in pace, ma dalla forza prepotente del mostro: il militarismo. Ho visto lumana
strage (). Al povero soldato fu apprestato lodioso teatro della guerra con tutti i suoi episodi di feroce contesa. Cos, con qualche ingenuit stilistica
ma tanta sincerit, parla della Grande Guerra dalla
prigione di Firenze Primo Menichetti, uno dei ribelli maremmani della cosiddetta Banda del Prete,
composta da disertori latitanti votati agli espropri
di agiati proprietari. Ed interessante sentire qualche controlettura dopo tante celebrazioni eroicistiche, nellItalia che lascia posti vuoti ai due mar
nella platea di spettacoli popolari, che riscopre un certo tipo di retorica (con pi di un
occhio agli affari) sugli odierni fronti di polizia internazionale e depreca le letture poco
militariste di quel conflitto lontano dimenticando lentit dello scarto tra quellesperienza spaventosa e la situazione tranquilla di chi,
dal salotto, oggi affetta distinguo.
Di Menichetti e tante altre figure di una turbolenta Maremma antimilitarista, antifascista,
spesso antistalinista, racconta in un vorticoso
itinerario tra fonti di polizia, giornali e ovviamente saggi specializzati, con gusto sapido da
narratore e intensa partecipazione, Alberto
Prunetti in PCSP (Piccola Controstoria Popolare) (pp. 127, 13, Alegre, Roma 2015),
riscrittura pi tornita della sua prima prova
letteraria Potassa (Stampa Alternativa, 2003).
Di una vera e propria controstoria si tratta,
perch gli eroi popolari che ritrae non sono
macchiette buonistiche, ma ribelli sanguigni
allergici alla mediazione, pronti a verseggiare
con ruspante vena lirica ma anche a menare
le mani e uccidere (come in fondo gli antichi
personaggi da ballata): figure impresentabili per un certo antifascismo pubblico oggi
peraltro sempre pi timido che li archivierebbe quali fenomeni residuali di devianza,
bizzarrie della storia o casi da repertorio lombrosiano. Mentre Prunetti, indagando alla ricerca delle loro ragioni, mostra le forti radici
nella cultura di un territorio e la continuit
nel tempo delle loro esperienze.
Nei confronti della realt strumentalizzante, nullificante del grande conflitto, quella degli eroi popolari maremmani di PCSP una
strategia di resistenza: e su tale tema si incentra, in chiave di controcelebrazione dellanniversario 1915 e prima tappa di un itinerario
verso il 18, un altro oggetto letterario non
identificato, il grande polittico Linvisibile
ovunque dei Wu Ming (pp. 201 pi cinque
non numm., 17,50, Einaudi, Torino 2015). Grande non per le dimensioni, sicuramente inferiori al
numero di pagine spesso presentate dalle opere del
collettivo, ma per la scintillante, vorticosa intensit
di suggestioni rimbalzanti tra luno e laltro dei testi
di cui composto, e insieme per la forza delle provocazioni che attiva: una macchina per pensare che
non si esaurisce nelle storie offerte e incalza i lettori
a seguirne i fili nellattualit.
Linvisibile ovunque si presenta come un quartetto di racconti di resistenza individuale talora in
forme equivoche, politicamente o psicologicamente problematiche e fuga dallorrore di una guerra che ha assunto nuovi connotati rispetto a tutte
quelle precedenti a memoria duomo. Una guerra
invisibile, multiforme e ubiqua, da cui impossibile sfuggire col mettersi al sicuro lontani da un fronte, ma che si estende in tutto il paese in forma di
spionaggio per conto degli organi militari, di legge
marziale o stato dassedio; una guerra che dilaga
dentro le persone anche tramite il martellare della
propaganda. Di qui la ricerca degli autori, nellevocare drammi, idiozie e ipocrisie del teatro bellico,
di una forma narrativa diversa da quelle classiche

del peraltro splendido Uomini contro di Francesco Rosi (1970) o dal romanzo storico da essi stessi finora proposto; e gi il soggetto di copertina
emblematico. La foto (autentica) di due militari
tedeschi con strani copricapi come orecchie di Topolino un modello indossabile 1917 di localizzatori acustici pre-radar, auricolari a trombetta per
individuare velivoli e prenderli di mira grazie a un
binocolo-maschera evoca la necessit depoca di
neutralizzare linvisibile ovunque che pu piombare addosso allimprovviso.
Ma invisibili si rendono in qualche modo gli
stessi protagonisti dei quattro movimenti musicali dellopera, sparigliati su registri differenti tra il
fronte italiano e quello francese. A partire da Primo
sulla terribile storia di Adelmo, di famiglia conta-

dina dellAppennino bolognese, che vediamo sfuggire con larruolamento una situazione di depressa
marginalit a casa (un mondo mitico-magico in cui
i nessi causa/effetto si dipanano sghembi, il femminile ispira paura e rabbia, e si cerca un riconoscimento a un ruolo predatorio); e poi nuovamente
sfuggire la realt della trincea, ancora legata alla
terra e a una forma di fragile marginalit. Mentre i
compagni muoiono come mosche in assalti suicidi
o facendosi saltare le cervella, Adelmo trova modo
di evadere proprio cavalcando lorrore e disumanizzandosi: entrata negli Arditi, azioni da killer
(appunto) invisibile, un linguaggio che prelude a
quello di un fascismo in cova, lautoconsegna alla
logica di un potere senza faccia. Tornato a casa
con uno status, nessun padre/padrone imporr pi
alluomo-pugnale di badare alla terra e interrompere la caccia. Questo primo testo segue la forma
dalla narrazione classica, cruda e asciutta, anche se
spalancata a una realt allucinata che Adelmo impara a fissare senza emozioni.
La fuga in scena in Secondo completamente diversa. la storia grottesca e tragica, pirandelliana
di Giovanni, che per fuggire la guerra sceglie di

fingersi pazzo come Ulisse giocando di furbizia


con gli psichiatri del governo e le orecchie nei muri
di un paese militarizzato: salvo precipitare infine,
attraverso gelosie, mimesi, finzioni e ossessioni,
proprio lungo quella china di sragione. In questo
caso il racconto condotto attraverso linnervamento nel testo di autentici documenti depoca (lettere, memorie, rapporti psichiatrici) e spostamenti
stranianti dei punti di vista: grande il ritratto della
moglie Lisa, una Penelope ambigua e umanissima
in un contesto dove un po tutto si svela equivoco.
Mentre le reazioni dei soldati in crisi non fanno che
rinviare a una follia istituzionale dei sani, vertici
dellesercito e quadri sanitari compresi.
Ma il tema dellinternamento traghetta a Terzo,
testo ancora pi complesso che accosta le vicende manicomiali alla base del Nadja di Andr
Breton, 1928, alla storia di Jacques Vach,
scrittore e dandy soggetto a damnatio memoriae familiare dopo una morte scandalosa, ma
santo martire del surrealismo: e proprio
alla ricerca del fratello rimosso, nel 49 MarieLouise Vach incontra Breton. Se la guerra
una bestia che si mimetizza leccandosi, pi
si leccava pi si confondeva col mondo intorno o, per antonomasia, con Alfred Jarry, la
macchina decervellante, ci che emerge tra
ricordi, allusioni e sospetti la storia di chi
sceglie di resistervi con le risorse della mente, con lironia e il paradosso e il gioco con i
limiti del linguaggio. In questo terzo, labirintico movimento che erutta suggestioni surrealiste, il testo (con alcuni disegni della figlia
di Wu Ming 1 che rendono perfettamente il
sapore di un certo immaginario) si presenta
formalmente come ancora pi frantumato, in
un continuo rimando da ci che avviene nel
corso del dialogo tra Marie-Louise e Breton,
ai pensieri della ragazza interdetta (quale il
rapporto con Nadja?), a perplessit e turbamenti dellintellettuale.
Fino a Quarto, pi ampio degli altri movimenti e ammiccante a Bolao e Cortzar: un
beffardo mockumentary borgesiano su un presunto pittore surrealista italiano, Francesco
Bonamore, che tra il fronte patrio e il francese
studia proprio il modo di confondere i soldati
con lambiente attorno per salvare vite. Unarte peculiare di mimesi/resistenza in campo che
si scontrer con la logica dei vertici militari,
molto pi interessati allostentazione sacrificale dellelemento umano in attacchi assurdi, e
piuttosto alla mimetizzazione delle attrezzature. La descrizione degli artifici visivi messi in
pista nei laboratori di camuffamento italiani e
francesi (con scene godibilissime e ironiche di
uomini e panorami che metamorfizzano in dipinti), le suggestioni patafisiche dellorizzonte
di Bonamore gestite attraverso un uso brillante
del raccontare la pittura, reale o fasulla e i deliri
simbolici di una gerarchia delle armi, evocati con
libert di paradosso ma su basi desolatamente reali,
compongono un affresco che indubbiamente gronda il piacere di narrare. E daltra parte, se quella su
Bonamore ovviamente finzione, la provocazione
di una resistenza allorrore e ai dettami del potere
attraverso forme di sopravvivenza (artistica-)mimetica che consentano di modificare non notati la realt svela unaffascinante potenza allusiva. Il gioco
col virtuale spinge dunque il lettore a immaginarne
gli sviluppi (impossibile non pensare al ruolo della scrittura), a valutarne la consistenza politica e il
senso etico nelloggi.
Linvisibile ovunque dedicato a Luca Rastello
(1961-2015), che i fronti di guerra li conosceva
bene, e maestro nellindividuare vie di fuga e spazi
di resistenza allorrore con la forza dellintelligenza, della parola e dellironia.
n
franco.pezzini1@tin.it
F. Pezzini saggista

Segnali

on ti fo scuse sul mio perpetuo silenzio. Da


N
che caddi nel cratere del vulcano umano,
gettatovi dalla follia bestiale della guerra, non mi

- Narratori italiani

di Franco Pezzini

12

N. 7

Il genio di Alan Bennett tra letteratura, cinema, radio e televisione


Lumorismo che spiazza
di Luca Glebb Miroglio
lan Bennett uomo di teatro ma anche di cinema,
A
radio e televisione. Scrive e ha scritto opere per
il palcoscenico che sono state trasposte in molti casi

per i due schermi. Ha interpretato se stesso e parti


scritte su di s e ultimamente stato interpretato
sdoppiato nella versione cinematografica di uno dei
suoi racconti pi celebri. Scritte per la Bbc le due serie di Talking Heads furono messe in onda nel 1988 e
nel 1998, il testo della seconda delle quali, intitolata Il
gioco del panino nelle librerie italiane nella traduzione di Mariagrazia Gini per Adelphi.
Il punto di vista di Alan Bennett quello del confessore, del giornalista, del confidente ma anche dellinvestigatore. I monologhi presentano personaggi che
raccontano o, meglio, rivelano segreti imbarazzanti
celati dietro il perbenismo e in alcuni casi il risentimento. C, in questi testi, tutta la classica letteratura
inglese, dal romanzo sociale a quello poliziesco, con
il gusto dellintrusione nella vita quotidiana borghese, nella banalit colma di pudore, per portare a galla
vizi e delitti con lausilio, anche questo tipicamente
britannico, dello humour che spiazza. Dietro la risata
del lettore o dello spettatore, si sente il sogghigno pi
crudele di Bennett, che ci ha abituati alle figurine tragicomiche di negozianti, casalinghe, vicari anglicani e
loro mogli, attricette, donne anziane abbandonate dai
figli, vicine di casa spione e zitelle isteriche, con una
prevalenza di quelle femminili su quelle maschili. Il
catalogo di unumanit che sotto lapparente normalit nasconde orrori inconfessabili, sessualit represse,
perversioni pericolose, invidie e ambizioni di ricchezza.
Marjory una casalinga puntigliosa e fanatica delligiene che non si accorge di avere un marito assassino.
Celia unantiquaria che si infila nelle case di anziani
malati per ottenere a buon prezzo vecchi oggetti alla
loro morte e un giorno vende per poche sterline un
disegno incorniciato che in seguito scoprir da un
articolo sul giornale essere attribuibile a Michelangelo. Wilfred accusato in passato di pedofilia lavora al
parco sotto falso nome e viene scoperto da un solerte
superiore. Miss Fozzard cliente di un podologo feticista (ovviamente del piede e della scarpa) che la paga
in cambio di alcune prestazioni particolari facendole
scoprire il piacere della trasgressione. Rosemary fa
amicizia con la vicina di casa quando questa viene

arrestata per lomicidio del proprio marito e scopre


la bellezza dei rapporti umani cui non pi abituata.
E infine Violet, anziana donna confusa nel presente
ma presa dai tristi ricordi del passato, perde lunico
amico, linfermiere della casa di riposo in cui si trova. Tutti sono presentati da Bennett con una scrittura
asciutta e diretta ben resa dalla traduzione italiana.
I monologhi sono grandi esercizi di stile per interpreti di razza e non stupisce che la Bbc avesse affidato
allora le parti ad attori del calibro di Patricia Routledge, Eileen Atkins, Penelope Wilton, Thora Hird, David Haig o Julie Walters, come era gi accaduto nella
prima serie con le parti affidate oltre ad alcuni di loro
anche a Maggie Smith, Stephanie Cole e allo stesso
Alan Bennett.
Per chi volesse gustarli esiste un cofanetto con tre
dvd in vendita anche online (The complete Talking
Heads, Bbc), che contiene tutte le registrazioni delle
due serie con laggiunta della serie Telling Tales interpretata da Bennett: un gioiello da non perdere per
ritrovare, nelloriginale, anche le intonazioni e gli accenti di queste figurine nascoste nel profondo della
provincia inglese ma cos universali. Bennett ha spes-

so interpretato ruoli da lui scritti e ha registrato in video e audio molti dei suoi racconti. Per questo motivo
non sembrata azzardata la scelta del regista Nicholas
Hytner di affidare nel suo ultimo film il ruolo sdoppiato dello scrittore e delluomo ad Alex Jennings
che gli assomiglia non solo fisicamente. Il film tratto
da uno dei racconti pi noti di Bennett, La signora
nel furgone (Adelphi 2003), e deve ancora uscire nelle
sale italiane ma gi disponibile nella versione originale in dvd acquistandolo online (The lady in the van,
Sony Pictures). Qui regna sovrana linterpretazione
nel ruolo principale della lady del cinema britannico,
Maggie Smith.
Ispirato ad una vicenda vera, capitata allautore
in un arco di 15 anni a partire dagli anni settanta,
quando viveva nel quartiere londinese di Camden.
In modo del tutto casuale, una signora senza fissa dimora venne a stabilirsi nel cortile della sua casa abitando in un furgone e rimanendoci sino alla morte.
Miss Shepherd, si scopr molto tempo dopo, era in
realt Margaret Fairchild, da giovane una dotata pianista allieva di Alfred Cortot, successivamente fattasi
suora, che un giorno guidando un furgone si convinse
erroneamente di avere provocato un incidente e cadde nellangoscia di essere scoperta scegliendo cos la
vita da vagabonda. In fondo una storia amara non a
lieto fine, ma trattata con il solito sguardo ironico e
critico dallautore, combattuto egli stesso tra la partecipazione, la curiosit umana e il fastidio per una
presenza ingombrante e invasiva. Da qui la scelta di
Hytner di sdoppiare Jennings nel ruolo di Bennett
luomo che scrive e di Bennett luomo che vive. La
grandezza interpretativa della Smith qui assoluta.
Dalla contessa madre della serie televisiva Downton
Abbey a Miss Shepherd c un abisso storico, sociale e psicologico e lanziana attrice ha registrato i due
ruoli nello stesso periodo caratterizzando ambedue
a tal punto da esserne linterprete assoluta e ideale.
La fine della vecchia barbona seguita da una scena
surreale di ascensione, diventa nel film un momento
di altissima commozione e civile compostezza. Quasi
un addio alle scene di una grande attrice che per locn
casione sceglie un pezzo di bravura.
lucaglebb@glebb-metzger.it
L. G. Miroglio saggista

Tra i cespugli
di Paolo Bertinetti

Segnali

- Letteratura

lan Bennett un genio della parola. Apprezzatissimo in Inghilterra lo assai meno


da noi, nonostante qualche riuscita messinscena, perch troppo inglese nei suoi
personaggi, nelle situazioni su cui esercita il suo humour, nelle parole con cui lo esprime. Le caratteristiche di questa sua squisita ironia sono evidenti sin dal lavoro desordio, che risale allormai remoto 1960, Beyond the Fringe, uno spettacolo di cabaret
che offriva una delle invenzioni linguisticamente pi incisive della cultura britannica
degli anni sessanta. La materia su cui Bennett lavora sono le convenzioni linguistiche:
partendo da queste, Bennett, nei suoi primi lavori, si lanciava in una scatenata presa
in giro dei valori e delle virt inglesi, che per lasciava trasparire il rispetto per ci che
di positivo, al di l dei ricami retorici e sciovinisti, restava racchiuso in essi. In modo
simile, sia nella prima produzione, sia, e ancor pi, nei testi successivi, toni comici
e toni quasi elegiaci si mescolano sottilmente nella presentazione ironica del declino
dellInghilterra, uno dei temi su cui meglio si esercita il talento umoristico di Bennett.
Esemplare, in tal senso, una commedia del 1977 ispirata al caso Philby (e delle altre
spie inglesi che per anni avevano passato preziose informazioni allUnione Sovietica).
La commedia, intitolata The Old Country (cio La vecchia Inghilterra) rinnova ed
esalta la capacit stupefacente di Bennett nello svelare un mondo attraverso i manierismi della parola, qui genialmente sfruttati per delineare il ritratto dellimmaginaria
spia inglese che ha ricostruito, nella sua casa nella campagna russa, un simulacro della
vecchia Inghilterra. Il fascino per la figura dellintellettuale-spia e la convinzione che,
al di l dellideologia, resti nel suo animo un invincibile rimpianto per le manie e le
abitudini quotidiane di un gentiluomo inglese ritorna nellatto unico An Englishman
Abroad (Un inglese allestero, 1988), un gioiellino che dallunderstatement ricava
bagliori straordinari.
In effetti sugli intellettuali inglesi, in particolare, che Bennett esercita con pi gusto
la sua verve umoristica. Che poi per applica con altrettanta genialit a figure di piccolo borghesi e di popolani, come avviene nei monologhi televisivi scritti e registrati
dalla Bbc negli anni ottanta, che sono stati raccolti nel volume intitolato Signori e signore. Quelli scritti negli anni novanta si trovano nel libro appena uscito e intitolato
Il gioco del panino (ed. orig. 1998, trad. dallinglese di Mariagrazia Gini, pp. 132,

15, Adelphi, Milano 2016). Questi sei monologhi, rispetto a quelli precedenti, sono
meno allegri, a volte percorsi da una sottile vena di malinconia. Forse perch il mondo
che vi ritrae, il nord piccolo-borghese da cui Bennett stesso proviene, con quei suoi
personaggi cos provinciali, cos convinti delleternit delle regole e delle convenzioni
che dettano non solo i loro comportamenti quotidiani ma la loro stessa esistenza, un
mondo che andava scomparendo (e che oggi quasi del tutto scomparso). Bennett era
ovviamente lontanissimo dalla loro mentalit e dai loro patetici valori e com ovvio li
metteva in ridicolo; ma forse trovava in essi il segno di unidentit che, per altri aspetti,
non gli sembrava affatto negativa. In particolare quella capacit di riuscire ad affrontare le difficolt, il dramma stesso, con uno spirito e una forza danimo che in quei discutibili valori, in quellinsulare idea di inglesit, trovava la sua fonte. Naturalmente
con il distacco che discende dallesercizio di quello humour che, come ha fatto dire al
personaggio di una sua commedia, il liquido amniotico in cui gli inglesi sono stati
formati nel ventre materno.
In cinque dei sei monologhi chi parla una donna. Sono figure probabilmente simili
a quelle conosciute da Bennett da ragazzo, negli anni in cui viveva a Leeds prima di
andare alluniversit: la madre, le zie, le vicine di casa, magari anche la moglie di un
macellaio meno inquietante di quello che compare nel quarto monologo, la Marjory
fissata con la pulizia.
Il monologo pi bello per quello che ha come personaggio un uomo (fu lo stesso
Bennett a dargli volto e voce per la Bbc), Il gioco del panino. Mr Paterson un uomo
socievole, relativamente scevro da pregiudizi razziali e coscienzioso nel proprio lavoro
(fa lo spazzino in un parco pubblico). Innocuo. Nelle prime inquadrature lo vediamo
davanti a uno sfondo di interni o di angoli del parco. Poi lo sfondo quello di un
carcere. Paterson un pedofilo: era andato tra i cespugli con una bambina. Per
lei voleva, la sua laida difesa. Anche in questo monologo ci sono momenti di humour illuminante, in un contesto, per, ovviamente drammatico. Abbiamo imparato
a interrogarci sulla banalit del male; qui sulla mitezza del male che siamo invitati a
riflettere.

N. 7

13

Musica, inganno e assoggettamento negli studi di Pascal Quignard


Lascoltatore dissidente

apprensione un accampamento di personaggi


dallaspetto diabolico. Il fedele compagno davventure del Chisciotte, che spesso si mostra cos prudente da sembrare un pavido, in questa occasione
non teme quelle strane creature perch suonano
una musica soave e armoniosa e, secondo il suo
parere, la musica sempre indizio di gioia e di festa. Lopinione dello scudiero ancora molto diffusa, come dimostrano esperienze che si possono
fare ogni giorno: da Tokyo a Buenos Aires i negozi
pi diversi tengono radio e stereo accesi per accogliere i loro clienti in unatmosfera amichevole e invitante. Anche ascoltatori meno ingenui
di Sancho dunque sottoscriverebbero volentieri le sue parole, affermando che la
musica un linguaggio universale capace
di parlare direttamente al cuore umano.
Per restare in ambito iberico, si pu citare la definizione che il pi prestigioso
dizionario della lingua spagnola, quello
della Real Academia, d della musica:
Arte di combinare i suoni della voce
umana o degli strumenti, o di entrambi
allo stesso tempo, in modo che producano piacere commovendo la sensibilit, sia
in modo allegro sia in modo triste.
Naturalmente nel corso della storia diversi intellettuali si sono ribellati a questa
concezione benevola dellarte dei suoni.
Nel secolo dei lumi, il filosofo Bernard
Le Bovier de Fontenelle con un interrogativo divenuto famoso (Sonate, que me
veux-tu?) dava voce a coloro che pensavano che la musica strumentale non solo
non esprimesse lineffabile, ma addirittura non avesse niente da dire. Nello stesso
periodo Kant, nella Critica del giudizio,
scriveva: Bisogna rimproverare [alla
musica] una certa mancanza di urbanit, per la propriet dei suoi strumenti di
spandere il proprio influsso al di l del
richiesto () imponendosi e violando la
libert di quanti non partecipano al trattenimento musicale. Centanni dopo,
nella musicale Parigi del tempo perduto
di Proust, Jules Renard, il creatore di Pel
di carota, si ribellava allidea che ogni
musicista fosse una persona di eccezionale sensibilit: Confronto tra la musica e la letteratura. I musicisti vorrebbero
farci credere che le loro emozioni sono
pi complete delle nostre. Noi proviamo
tutto ci che voi provate, pi Pi cosa? Un piccolo piacere sensuale, lesaltazione che donerebbe
un bicchiere dalcol.
Forse lattacco pi virulento per Lodio della musica, un libro di Pascal Quignard del 1996,
tradotto da poco in italiano (trad. dal francese di
Marella Nappi, pp. 209, 18, Edt, Torino 2015).
Quignard discende da unantica famiglia di organisti ed egli stesso musicista; nella sua copiosa produzione letteraria e filosofica la musica un tema
ricorrente: la protagonista del suo romanzo pi
celebre, Tutte le mattine del mondo, ed una compagna immancabile durante le sue letture pubbliche. Allora, da dove trae spunto Lodio della musica? Dallidea che lodio possa far parte della musica,
che lessenza di questarte possa essere la violenza e
il dolore, a dispetto di chi la ama ritenendola fonte
di consolazione, di divertimento, di evasione.
Nelle sue pagine Quignard affastella miti, racconti, testimonianze di svariate provenienze per
dimostrare lassociazione della musica con la sofferenza e la prevaricazione sul pi debole. Lo scrittore suggerisce che lorigine della musica si trovi
nei richiami da caccia, come fischietti e corni, che
luomo primitivo usava per attirare le sue prede: la
musica sarebbe dunque nata dallistinto predatorio
e bestiale delluomo, con lobiettivo di ingannare,
attirare in trappola e uccidere. La violenza di que-

sto gesto primigenio si estende allinvenzione degli strumenti musicali: lautore ricorda che Ermes
cre la cetra con i cadaveri di una tartaruga, di una
mucca e di una pecora e che lelegante quartetto
darchi europeo suonava su strumenti fatti di crine
di cavallo e di budella di pecora. Tutto ricoperto del sangue legato al suono e tale sangue non
solo animale, ma anche umano, come dimostra la
pratica dellevirazione, guidata dalla ricerca di una
voce meravigliosa.
La musica, nata quindi secondo Quignard dai
richiami venatori, conserva come suo potere pi
tipico e pericoloso la capacit di attirare a s chi
lascolta e di addomesticarlo, poich impone il suo
ritmo sui ritmi biologici (il respiro e il battito car-

diaco) e sui movimenti. Per il filosofo francese tale


potere non solo manca di urbanit, come riteneva Kant, ma addirittura iniquo perch di fronte
al suono lorecchio, privo di palpebre, indifeso
e quindi costretto a subire il suo incantesimo involontariamente. Proprio per la sua facolt di imporre lordine, assoggettare e aggregare, questarte
una preziosa alleata di ogni forma di potere; cos
si spiega il suo uso nella quotidianit dei campi di
concentramento nazisti: essa non serviva a rendere
la sofferenza dei prigionieri meno insostenibile, ma
ad aumentarne lubbidienza, scandendo i loro passi
verso il lavoro o verso la morte.
Quignard, con la sua singolare erudizione, dissemina lungo il libro ogni sorta di aneddoti per respingere lidea che un uomo sensibile alla musica
sia incapace di ferocia. Egli evoca la storia dellabate di Baign, convinto difensore della natura dolce
della musica, che fu capace di ottenere unarmonia
incantevole dalle grida di dolore dei maiali; del re
Falaride, che con un ingegnoso strumento trasformava le urla dei giovani torturati in squilli di tromba; dei soldati nazisti, che organizzarono la musica
nei campi per il piacere di veder muovere come
burattini i loro prigionieri.
Lodio della musica un libro frammentario che
procede con una logica non lineare. Alcuni dei
dieci trattati in cui si articola il volume, infatti, potrebbero essere letti partendo da un punto a caso,

perch non c una consequenzialit precisa tra i


pensieri esposti bens una raffinata rete di rimandi
che si espande in tutte le direzioni. Io non penso per argomenti: penso sempre per immagini,
per brandelli di sogno, per mozioni, per emozioni,
partenze, fughe, estasi, scene romanzesche afferma Quignard nel libro Sullidea di una comunit di
solitari (ed. orig. 2015, trad dal francese di Angela
Peduto, pp. 93, 13, Analogon, Asti 2016) in cui
torna a denunciare il potere che uniforma e che
reprime il dissenso, ricordando alcuni personaggi
vissuti allombra di Port-Royal des Champs, prima
che il monastero fosse raso al suolo da Luigi XIV.
Anche questo volume segue sentieri che di continuo si biforcano e si ricongiungono, tracciati con
un criterio fondato sulle analogie. La
storia del liutista Blancrocher che cade
e trova la morte, ad esempio, evoca limmagine di un tuffatore che si butta nel
mar Tirreno e conduce ad associare il
tuffatore alle improvvisazioni di Froberger, autore del Tombeau di Blancrocher,
che sfuggono ai pentagrammi e fluttuano
in campo aperto. La prosa di Quignard
densa, a tratti estenuante, perch ogni
parola riverbera di echi imprevedibili: la
musica di Froberger abbandona il pentagramma, come i solitari abbandonano
la compagnia degli altri uomini, come il
tuffatore Bute abbandona la fila dei rematori.
Bute uno dei cinquanta argonauti
che partirono alla ricerca del vello doro. Mentre la sua nave passava nei pressi
dellisola delle sirene, Orfeo riusc a coprire il canto micidiale di quegli esseri
alati con il suono della cetra, costringendo i suoi compagni a remare al ritmo del
suo plettro; Bute fu lunico a rimanere
sordo allo strumento e si alz dal suo
posto per tuffarsi in mare verso la riva
incantata. Nella storia, Orfeo salva gli argonauti addomesticandoli, perch riesce
ad annientare la loro volont e a dettare
i loro movimenti; Bute, invece, segue un
canto primordiale che potrebbe condurlo
alla morte. Il gesto del personaggio ricorda quello dei deportati nei lager, descritti
da Quignard nel libro Lodio della musica, mentre si alzano loro malgrado appena ascoltano la musica che li trasciner
verso la morte. La musica nei campi di
concentramento, come quella delle sirene, conduce verso labisso, e, come quella
di Orfeo, sottomette e costringe al movimento. In Bute (ed. orig. 2008, trad. dal francese di
Angela Peduto, pp. 97, 15, Analogon, Asti 2014)
il canto indeterminato delle sirene fatale e al tempo stesso associato alla nostalgia, alla passivit e
al senso di insicurezza del momento della nascita:
seguire il suo incantesimo significa dare ascolto al
desiderio di partire senza indugio per raggiungere
il fondo della vita.
difficile cercare di sbrogliare la matassa che nelle
prose di Quignard intreccia la musica al suo potere
di soggiogare e assillare; con attenzione si pu tirare
un filo che conduce allimmagine di Bute nellattimo in cui si alza e diventa un ascoltatore dissidente,
un solitario che compie una scelta, per tornare al capitolo XXXIV della seconda parte del Chisciotte, l
dove Sancho afferma: Dove c musica non ci pu
essere cosa cattiva. Lo scudiero, incarnazione del
buon senso popolare, attende fiducioso lo svolgersi
degli eventi poich quei suoni armoniosi lo rasserenano, ma Don Chisciotte, il lettore di romanzi
che ricusa di rinsavire, avendo ascoltato tutto dice:
Staremo a vedere. Anche il cavaliere un ascoltatore dissidente e ha ragione di esserlo, perch quella
n
musica prelude a nuovi inganni.
lianapuschel@yahoo.it
L. Pschel dottore di ricerca in culture classiche
e moderne allUniversit di Torino

Segnali

ove c musica non ci pu essere cosa catD


tiva. Con queste parole Sancho Panza
rassicura la Duchessa, sua ospite, che osserva con

- Musica

di Liana Pschel

14

N. 7

Una nuova generazione di amministratori pemitenziari contro il degrado carcerario


Qualcosa si muove
di Elisabetta Grande

Segnali

- Diritto

i volevano le umilianti condanne della Corte euC


ropea dei diritti delluomo del 2009 (Sulejmanovic) e del 2013 (Torreggiani) perch in Italia si

riaprisse un dibattito che sembrava ormai destinato


a essere sepolto dai dilaganti e retrivi sentimenti di
insicurezza e vendetta collettivi, alimentati giorno
dopo giorno da politici e mass media alla ricerca di
una comunicazione di pancia con i propri interlocutori.
Si tratta del dibattito intorno alla pena detentiva,
alla sua utilit, alla sua crudelt, alla sua disumanit,
al senso ultimo del suo persistere come sanzione penale a distanza di due secoli dalla sua nascita. Non
forse il carcere, con il suo insopportabile carico di
sofferenza fisica e psicologica (per chi sta dentro e
per chi sta fuori, per chi stato condannato e per
coloro che gli o le vogliono bene) una pena ormai
obsoleta? ancora possibile immaginare un carcere
capace di rieducare, che al momento del fine pena
sappia restituire alla societ una persona migliore, o
almeno non peggiore, di quella che vi aveva fatto ingresso? Oppure al contrario la rieducazione carceraria un puro ossimoro (nothing works osservava gi nel 1974 Robert Martinson, in What Works:
Questions and Answers About Prison Reform, Public Interest n. 35 ), buono solo a lavare le coscienze di chi non voglia vedere come le prigioni siano
vere e proprie discariche sociali, in cui viene sottoposto a pena chi gi penalizzato dalla vita, la cui
rieducazione potrebbe dunque passare a monte
solo attraverso un miglioramento delle sue condizioni economiche, sociali (e quindi psicologiche) di
cui viceversa lo stato si fa sempre meno carico (secondo lormai noto passaggio dallo stato sociale allo
stato penale, su cui Loc Wacquant, Parola dordine:
tolleranza zero. La trasformazione dello stato penale
nella societ neoliberale, Feltrinelli, 2000)? possibile, invece, che il progressivo sentimento di paura
collettivo renda la nostra societ liquida, incapace
ormai di coesione sociale e quindi di empatia e di
riconoscimento del e nellaltro, irrimediabilmente
desiderosa di una prigione la cui cifra sia proprio
il degrado e la sofferenza psichica e fisica dei detenuti, al di l di ogni costo collettivo e di ogni limite
etico? La ricerca di una pena che non sia lesiva della
dignit umana dovrebbe allora cedere il passo alla
brutalit di una repressione figlia della sindrome securitaria? E, poi, esiste davvero qualcosa di meglio
del carcere?
Sono questi i termini di una finalmente ritrovata
discussione sulla pena detentiva, innescata dalle decisioni della Corte di Strasburgo, che per ben due
volte ha condannato lItalia per aver trattato in maniera inumana e degradante gli uomini e le donne
ristretti nelle sue carceri. la riapertura di un filone
di pensieri al contempo insperata e produttiva di
risultati. Insperata perch il trend della carcerazione di massa, novella espressione di un diritto delle
pene al servizio del capitale privato (su cui gi Nils
Christie, Il business penitenziario. La via occidentale al gulag, Eluthera, 1996), che negli ultimi due
decenni si affermata con forza anche in Europa
(portando per esempio il numero dei detenuti italiani dai 29.000 del 1990 ai quasi 68.000 del 2010),
sembrava aver eliminato alla radice ogni possibilit
di critica al carcere, quale valido e unico strumento di pena. Produttiva perch, combinata con una
crisi economica che toglie spazio al trasferimento
di denaro dalle tasche dei contribuenti a quelle dei
privati che col carcere fanno affari, ha dato luogo
in Italia a una stagione di riforme che hanno consentito non solo di invertire la rotta dellaumento
del numero dei detenuti, ma anche di tornare a
immaginare che possa esistere qualcosa di meglio
del carcere o almeno qualcosa di meglio del carcere cos come lo abbiamo conosciuto fino a oggi in
Italia. La convocazione dei cosiddetti stati generali
dellesecuzione penale, voluta dal ministro Orlando, che ha di recente coinvolto tutti gli operatori del
sistema in una proposta per la prima volta polifona
di cambiamento dellordinamento penitenziario, ne
costituisce una prova.
Si tratta della vittoria del diritto sulla politica, del

sentimento di umanit sul degrado morale dettato


dallegoismo della paura? certamente esagerato e
prematuro sostenerlo, purtuttavia qualcosa si muove e i tre libri di cui si vuole in questa sede dare
conto testimoniano, ciascuno a modo proprio, il
rinnovato spirito con cui dopo le condanne di Strasburgo ci si avvicina in Italia al tema del carcere,
ma anche i fallimenti di ogni tentativo di riforma
della pena detentiva e le enormi difficolt che un
vero cambiamento di rotta comporta. Sono voci
molto diverse fra loro, rappresentative di sensibilit
e prospettive differenti, perch diversi sono i ruoli
giocati dentro e fuori dal carcere da chi ce ne parla.
Dopo Strasburgo, questa la vera novit, la chiave
di lettura della pena non pu pi prescindere dal
concetto di dignit della persona, che rappresenta il limite invalicabile di ogni reazione dello stato
nei confronti di chi viola le sue regole. La dignit
per un concetto ambiguo, che ben si presta a
essere svuotato di sostanza se non se ne fa valere
una nozione rigida, che lo faccia coincidere con un
nucleo di diritti incomprimibili e mai negoziabili.
Lindividuazione di quei diritti proprio ci che si
propone di fare Pietro Buffa, provveditore regiona-

I libri
Carmelo Musumeci e Andrea Pugiotto, Gli
ergastolani senza scampo. Fenomenologia e criticit costituzionali dellergastolo ostativo, con
prefazione di Gaetano Silvestri e unappendice
di Davide Galliani, pp. 216, 16, 50, Editoriale
scientifica, Napoli 2016
Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, a cura di Grazia Mannozzi e
Giovanni Angelo Lodigiani, pp. 244, 22, Il
Mulino, Bologna 2016
Pietro Buffa, Umanizzare il carcere. Diritti, resistenze, contraddizioni e opportunit di un percorso finalizzato alla restituzione della dignit ai
detenuti, pp. 243, 22, Laurus Robuffo, Roma
2015
le dellamministrazione penitenziaria in Emilia Romagna fino al gennaio 2016 e oggi direttore generale del personale e delle risorse del Dipartimento
dellamministrazione penitenziaria, nel suo libro dal
titolo significativamente programmatico Umanizzare il carcere. Pietro Buffa, cos come i direttori del
Dap che recentemente si sono avvicendati in quella
carica, incarna la visione illuminata di una nuova
generazione di amministratori delle pene, consapevoli che il carcere strutturalmente un luogo di
violenza, di conflitti, di sofferenza e di diminuzione
di status, purtuttavia non rassegnati a governarlo
seguendo unidea di ineluttabile irriformabilit.
La riforma possibile viene dal basso, ci dice Buffa, da un lavoro quotidiano di trasformazione di un
contesto, che significativamente egli paragona a un
contesto di guerra, in cui si realizza quella crudele metamorfosi che il famoso esperimento di Philip Zimbardo aveva gi portato drammaticamente
alla luce nel 1971. Studenti di Stanford, ragazzi
per bene, sensibili ed educati, diventati in un gioco
sperimentale alcuni guardie e altri detenuti, si erano di colpo tramutati in nemici e, immedesimandosi nel nuovo ruolo sociale, gli studenti-guardie
non avevano potuto fare a meno di usare metodi
arbitrari e violenti nei confronti dei loro compagni,
che ormai percepivano come detenuti. La realt
carceraria necessariamente conflittuale, ma un
approccio pi dialogante che prospetti un nuovo
modo di relazionarsi con il nemico, nellottica di
Buffa, pu aspirare a sradicare quei meccanismi di
anestetizzazione alla sofferenza altrui che portano
alla sua normalizzazione. Si tratta di mettere in atto
dei piccoli accorgimenti capillari, di attenzione e di
ascolto per i bisogni quotidiani, tanto dei detenuti
che delle guardie carcerarie, che allenti le tensioni

e gli odi che si generano nei contesti chiusi. Lelenco che Buffa propone lungo, ma le molte piccole
rivoluzioni di banali modalit gestionali del carcere da lui indicate possono senzaltro determinare
unenorme trasformazione della qualit della vita
di ciascuno e in definitiva un grande cambiamento
culturale nella percezione del proprio ruolo rispetto
allaltro. questa la via per una concreta umanizzazione del carcere, che al di l degli enunciati di
astratti principi di dignit da rispettare o di rieducazione da effettuare, sappia per esempio farsi carico
di abolire le domandine che i detenuti debbono
compilare per ogni loro necessit e che, per quanto
impellente essa sia, non prevedono un termine di
risposta. O consenta ai detenuti e ai loro familiari
di parlarsi di pi delle attualmente concesse quattro
volte al mese, o di intrattenere rapporti sessuali con
i partners, o permetta ai poliziotti penitenziari di alleviare il fardello emotivo che portano sulle spalle
attraverso incontri a ci mirati o ancora affidi loro
una maggiore partecipazione nelle scelte gestionali.
Da un lato il superamento dellinfantilizzazione del
detenuto, portato di unidea di rieducazione che
ha finito per fare dei diritti uno strumento di premialit da accordare solo se meritato, dallaltro la
responsabilizzazione degli agenti in relazione a un
progetto maggiormente condiviso, porterebbero,
infatti, del tutto naturalmente a un abbattimento
della carica di tensione che produce violenza. Sono
trasformazioni che dopo le condanne di Strasburgo
hanno cominciato piano piano a essere discusse e
implementate. Si pensi alla sorveglianza dinamica,
ossia alle celle aperte, imposta da pi di una circolare del Dap, o alle cosiddette stanze dellamore che
dovrebbero finalmente vedere la luce anche nelle
prigioni italiane.
Sar tutto ci sufficiente a restituire un senso
alla pena detentiva e dignit ai ristretti? Le pagine
strazianti del bel libro di Carmelo Musumeci e Andrea Pugiotto Gli ergastolani senza scampo. in cui
il primo condannato allergastolo ostativo (ossia
a una pena detentiva perpetua, cui si pu ovviare
solo scambiando la propria libert con quella degli
altri, ossia collaborando utilmente con la giustizia), racconta la sua lenta agonia dietro le sbarre, ci
fanno propendere per una risposta negativa. Lurlo
della sua sofferenza, pur ritenuta compatibile con
il rispetto della dignit umana dalla nostra corte
costituzionale, ci riporta alla mobilit dei confini di
quel concetto e alla disillusione circa la possibilit
che esso sia in grado di costituire davvero la via di
uscita dalla disumanit del carcere. N i segnali di
una resipiscenza legislativa, registrati da Andrea
Pugiotto nel decreto legge a modifica dellergastolo
ostativo, scritto a ridosso della sentenza Torreggiani, ci possono dare maggior fiducia sul punto.
Ma esiste qualcosa di meglio del carcere? La risposta positiva proviene dal lavoro a cura di Grazia
Mannozzi e Giovanni Angelo Lodigiani Giustizia
riparatia, che, nel raccogliere le riflessioni del mondo (non solo) accademico, indicano la strada della
giustizia riparativa quale valida alternativa a una
giustizia retributiva e al suo carico di desiderio di
vendetta. Mediazione penale, ricostruzione dei legami fra vittima e reo, scardinamento dellidea di
pena come raddoppio del male e ricomposizione
del tessuto sociale costituiscono il nuovo linguaggio
di un filone di pensiero che allesclusione in carcere
del reo sostituisce la sua inclusione sociale accompagnata dal riconoscimento della persona offesa.
la giustizia tipica delle societ a potere diffuso,
che a una impossibile imposizione di una sanzione
dallalto sostituisce la ricomposizione dei rapporti
fra gruppi dal basso. Anche in questo caso Torreggiani ha funzionato da spartiacque e nel 2014 il legislatore italiano ha aperto qualche porta in pi alla
mediazione penale e alle sue alternative al carcere.
Siamo dunque sulla buona strada? presto per dirn
lo, ma certamente qualcosa si muove.
elisabetta.grande@uniupo.it
E. Grande insegna sistemi giuridici comparati
allUniversit del Piemonte Orientale

N. 7

15

Le tesi di Harry G. Frankfurt e i suoi critici: unanalisi serrata


Meglio avere tutti abbastanza che essere uguali?

(Guanda, 2015), ricavato da due saggi pubblicati,


rispettivamente, nel 1987 e nel 1997, non abbia
quale suo primo obiettivo quello di pater le bourgeois. Del resto, lautore non nuovo a questo tipo
di legittime operazioni: si pensi al suo fortunatissimo On Bullshit (2005), anchesso uscito dapprima
su rivista nel 1986 e poi come pamphlet. Va peraltro detto che le obiezioni questa volta sollevate
sono state, in pi di un caso, particolarmente severe. Ad esempio, il cenno, episodico, al monumentale lavoro di Thomas Piketty da parte di Frankfurt,
stato lappiglio che ha permesso a Matthew Walther (The Spectator) di lanciare uninvettiva che
nulla ha risparmiato: n loperazione editoriale, n la riproposizione di testi molto vecchi
e ben poco mutati, n la scarsa dimestichezza
dellautore con la teoria economica. stata poi
la pretestuosit del bersaglio a essere oggetto
della critica. Walther lha notato con enfasi ironica; Daniel Hirschman (Los Angeles Review
of Book) si espresso con pi rispetto, ma
il punto resta il medesimo: leguaglianza economica di per s, oggi, una formula astratta
e, quindi, un obiettivo polemico scontato ma
fuorviante. Certamente, la questione stata di
recente riproposta con grande determinazione:
oltre al gi citato lavoro di Piketty (LIndice,
2015, n. 6), basti pensare a quello di Angus Deaton (LIndice, 2015, n. 10). Luno e laltro,
tuttavia, ancorch sostenitori di interpretazioni
tra loro molto differenti, hanno sapientemente
evitato di costruirsi un bersaglio a propria misura.
La tesi di Frankfurt netta e ruota attorno
al principio secondo cui, per quanto indesi
derabile possa sembrare la disuguaglianza
economica, non vi ragione per considerarla
moralmente deprecabile. Deprecabili possono essere le diseguaglianze di altro genere ad
essa conseguenti e tali da richiedere appositi monitoraggi legislativi, normativi, giudiziari
e amministrativi. Ci non pu tuttavia porre
in discussione lintrinseca innocenza della disuguaglianza economica e, dunque, non pu
condurre a propugnare legualitarismo economico come autentico ideale morale. Il problema non la disuguaglianza, bens la povert, il
non avere abbastanza da parte di molti (ove
lavverbio indica uno standard, pi che un limite
da raggiungere). Lobiettivo di fondo dovrebbe
certamente essere quello di ridurre sia la povert
sia leccessiva ricchezza, anche per contenere gli ef
fetti potenzialmente antidemocratici che di norma
le accompagnano. Questo pu benissimo comportare una riduzione della disuguaglianza, ma di per
s tale riduzione non pu costituire la nostra ambizione primaria. Luguaglianza economica non un
ideale moralmente prioritario.
Non perci importante che tutti abbiano le
stesse quantit di denaro, ma che ciascuno ne abbia abbastanza. Allegualitarismo, Frankfurt contrappone la dottrina della sufficienza. Egli ben
consapevole della scarsa autoevidenza di tale dottrina, ma ci non gli sembra un motivo bastevole
per adottare unalternativa non corretta. Peraltro,
non intende affatto negare che leguaglianza economica possa avere un importante valore politico
e sociale. Dunque, impegnarsi ad attuare una politica economica egualitaria potrebbe rivelarsi indispensabile per promuovere la realizzazione di vari
obiettivi auspicabili in ambito sociale e politico. A
ci non corrisponde, tuttavia, una cogenza morale,
poich la quantit di denaro disponibile ad altri
non ha a che fare, direttamente, con ci che occorre
per il genere di vita a cui sarebbe pi ragionevole e
appropriato che una persona aspirasse. Non solo:
il preoccuparsi della condizione altrui potrebbe
distoglierci dal perseguire i nostri interessi e ambizioni: in altre parole, potrebbe risultare addirittura
dannoso e alienante.

Sin qui, per cos dire, largomentazione ha carattere assiomatico. Lautore cerca perci di trarne
le deduzioni conseguenti, muovendo dalla critica
al principio di utilit marginale decrescente che,
nella formulazione datane ad esempio da Abba
Lerner, implica che unuguale distribuzione di denaro massimizzi lutilit aggregata, ovvero le soddi
sfazioni aggregate dei membri della societ. Pi
semplicemente, se si ammette esista anche per il
denaro unutilit marginale decrescente (al pari di
qualunque altro bene) e, con riferimento al denaro
stesso o alle cose che esso permette di acquistare,
che le funzioni di utilit di tutti gli individui siano
identiche, si finir con il concludere che un dollaro
marginale procura in ogni caso meno utilit a una
persona ricca di quanto ne procuri a una meno ric-

Altri libri di Harry G. Frankfurt


Catturati dallamore, Diabasis, 2009
Prendersi sul serio, Rizzoli, 2008
Il piccolo libro della verit, Rizzoli, 2007
Le ragioni dellamore, Donzelli, 2005
Stronzate. Un saggio filosofico, Rizzoli, 2005
ca. Un paperone che ricevesse un ulteriore dollaro
ne ricaverebbe unutilit inferiore a quella che ne
trarrebbero coloro che avessero solo abbastanza denaro. Dunque, lutilit aggregata diminuirebbe nel
primo caso e aumenterebbe nel secondo, perch i
meno abbienti ricaverebbero lutilit che il paperone disperderebbe. Ma cos non , dice Frankfurt.
Ebbene, che anche per la moneta valga il principio dellutilit marginale decrescente questione
ampiamente discussa e gi da Keynes respinta, prefigurando, addirittura, la cosiddetta trappola della
liquidit. Lobiettivo di Frankfurt per un altro,
molto meno tecnico, seppur, proprio per questo,
esposto a numerose obiezioni tecnicamente fondate. Egli osserva infatti che la redistribuzione del
reddito a danno dei ricchi e a vantaggio dei poveri
farebbe aumentare la domanda, non lofferta (ma
questo potrebbe essere in realt sostenibile solo nel
breve periodo e solo in presenza di drastiche e irrealistiche semplificazioni). Ci darebbe luogo a una
dinamica inflazionistica, che colpirebbe poco i pi

ricchi, impoverendo, invece, la classe media, che


pagherebbe i miglioramenti realizzati dai pi poveri. Perci, lutilit aggregata non crescerebbe affatto. Non dunque possibile aumentare questultima in modo affidabile prendendo denaro ai ricchi
per darlo ai poveri. In breve, quanto innumerevoli
studi empirici hanno dimostrato circa gli effetti positivi conseguiti alla redistribuzione del reddito durante e dopo i gloriosi trenta, per Frankfurt non
avrebbe dovuto aver luogo, a dispetto di Piketty e
della montagna di dati analizzati; e a dispetto, anche, di intere scuole di sociologia, preoccupatesi di
ragionare su societ e consumi di massa, di white
collar e via discorrendo.
La dottrina della sufficienza sembra abbisognare quindi di qualcosa daltro. Dalla messa in
discussione non certo innovativa dellutilit decrescente del denaro, lautore ricava per
unovviet ancor meno stringente. Dal presupposto secondo cui un individuo tende a perdere interesse in ci che consuma allaumentare
della quantit consumata scrive Frankfurt
non si pu dedurre che debba tendere a perdere interesse anche nei confronti del consumo
stesso o del denaro che rende possibile il consumo. Non solo perch, soddisfatti al margine, dopo i cioccolatini si potranno comprare
pasticcini, ma anche perch potr subentrare il
risparmio, che Frankfurt interpreta, ignorando
Keynes, come consumo differito. Ed qui dove
lautore cerca di attenuare lindeterminatezza
che accompagna la dottrina della sufficienza
e il concetto di abbastanza.
Lo fa introducendo quelle che definisce soglie di utilit. Ossia, a fronte di un bene non
fungibile e troppo costoso, lutilit di un dollaro risparmiato al fine di acquistare proprio
quel determinato bene non si limiterebbe ad
aggiungere una nuova unit di utilit alle precedenti. Potrebbe infatti creare unutilit che
le abbraccerebbe tutte e che sarebbe superiore
alla loro somma. Succederebbe quello che accade con le collezioni, in cui il pezzo mancante,
agli occhi del collezionista, varr, in termini di
soddisfazione, pi di ogni altro (e della totalit
dei pezzi meno uno). Insomma, in virt delle
soglie di utilit, un dollaro marginale o incrementale pu avere unutilit enormemente
maggiore rispetto ai dollari che non consentono di variare quella soglia. Non c perci
ragione di considerare sazio colui che pi ha.
E si potrebbe dimostrare, addirittura, che in certe
condizioni una distribuzione egualitaria minimizza
di fatto lutilit aggregata.
Lassioma sarebbe cos confermato. Basterebbe che chi meno ha avesse comunque abbastanza.
Dopo tutto afferma lautore la disuguaglianza
una caratteristica puramente formale, e una caratteristica formale, relativa al rapporto fra due elementi, non pu implicare niente riguardo alla desiderabilit o al valore di uno di essi, o alla relazione
che sussiste fra i due. Ci regge, per, sino a che
si trascurino tutti i problemi connessi alla misurabilit dei criteri di soddisfazione, ai confronti interpersonali di utilit, etc. E, soprattutto, ci regge
sino a che si ragioni in termini di singoli individui.
Quando invece si pretenda di fondare microeconomicamente unargomentazione macroeconomica,
ci si accorge che gli effetti interattivi tra risorse,
bisogni individuali e sociali, rispondono a unaltra logica, del tutto differente. Alla quale lautore
si sottrae, attribuendo la tendenza a sovrastimare
limportanza morale dellegualitarismo alla mancata distinzione nei confronti del rispetto, che non ha
a vedere con ci che gli altri hanno, ma con ci che
si . Distinzione su cui essere daccordo alquanto
facile, ma che non basta per intonare un peana a
favore dellineguaglianza. Ancorch, forse, un po
studiato.
a.zanini@univpm.it
A. Zanini insegna filosofia politica allUniversit politecnica delle Marche

Segnali

isulta difficile pensare che il breve testo di HarR


ry G. Frankfurt Sulla disuguaglianza. Perch luguaglianza economica non un ideale da perseguire

- Economia

di Adelino Zanini

16

N. 7

Europa e Germania: analogie col passato e diffidenze reciproche


Vergogne, egemonie e rinascite
di Alessandro Cavalli

Segnali

- Politica

ochi hanno avuto loccasione di vedere le metaP


morfosi di Berlino nellarco di quasi settantanni.
Entrato giovanissimo nella Resistenza, inquadrato

al primo gennaio 1945 nel rinato esercito francese,


Edgar Morin arriv a Berlino l11 luglio dello stesso anno, poche settimane dopo la capitolazione.
Racconta in Mes Berlin che si trovava tra le macerie della citt nei pressi della Porta di Brandeburgo
quando ud, in unatmosfera surreale, da un altoparlante collocato dalle truppe sovietiche, la voce di un
violino che sonava La primavera di Beethoven. Fu
il suo primo incontro con la citt, allinsegna della
distruzione, ma anche della rinascita. Da allora ha
avuto tante altre occasioni di vivere Berlino, prima e
dopo la costruzione del muro, prima e dopo la sua
demolizione, fino a tre anni fa, quando, gi ultranovantenne, la visit per lultima volta. Berlino una citt che morta e ha saputo rinascere,
cancellando e nello stesso tempo custodendo la
memoria del suo passato. Per questo, secondo
Morin, Berlino ha un valore simbolico per tutta lEuropa e non solo per la Germania, ancora
una volta, la sorte dellEuropa si gioca a Berlino. Lo stesso tema ripreso da Beda e Sergio
Romano in Berlino Capitale: Berlino la capitale
della Germania riunificata, ma anche una citt
europea. Non si sa bene quanti siano gli abitanti non tedeschi di Berlino perch molti vanno e
vengono e non sono registrati, ma la stima che
siano circa il 20 per cento dei 3,5 milioni di abitanti non deve essere lontana dal vero e di questi
tre su quattro sono europei. Ma la storia, pi
che la demografia, a fare di Berlino la pi europea delle citt tedesche, anche perch nel secolo
breve le tragedie tedesche sono state tutte anche
tragedie europee.
Le distruzioni belliche e le azioni intenzionali dei governi e dei regimi che si sono succeduti
nel tempo hanno cancellato molte, ma non tutte, le tracce del passato e rinnovato pi volte il
volto della citt. Ma sono proprio queste ripetute alternanze tra demolizioni, ricostruzioni e
nuove costruzioni che fanno di Berlino un luogo
del tutto singolare dove il passato resta simbolicamente presente in mezzo alla modernit pi
spinta. Basti pensare, come sottolineano i Romano, alla Wilhelm-Gedchtniskirche col suo campanile diroccato ben visibile in mezzo ai nuovi
grattacieli, alla sofferta decisione di ricostruire il
Palazzo reale (su progetto dellarchitetto Franco
Stella) nellarea dove la Ddr aveva costruito il Palazzo della Repubblica, al parco dove conservato un
pezzo del muro che ha diviso la citt, ai monumenti
che ricordano le vittime del nazismo, in particolare,
il memoriale alle vittime della Shoah. La Germania
il paese, e Berlino la citt, che hanno eretto monumenti per ricordare le proprie vergogne. In questo
senso Berlino il simbolo di una Germania che, facendo i conti col suo passato, vuole diventare pienamente europea. Ma i pregiudizi nei confronti della
Germania e i sentimenti antitedeschi covano sottotraccia nella memoria di molti europei e non aspettano altro che trovare occasione per manifestarsi.
Gi un paio di anni fa, Luigi Reitani aveva scritto:
Limmagine di s che la Germania propone oggi
a un mondo che continua a guardarla con sospetto quella di un paese cosmopolita, multiculturale,
aperto alla critica, pronto a rivedere le sue colpe e
scettico verso la sua stessa tradizione, molto spesso
irrisa o liquidata. Un paese la cui identit paradossalmente anti-nazionale. Ma molti europei stentano a riconoscere questa immagine della Germania
e vedono nella politica della Repubblica Federale e
nellinfluenza che questa esercita sullUe il pericolo
di una rinnovata egemonia tedesca. Questo il tema
affrontato, in chiavi diverse, da altre due recenti
riflessioni sulla questione tedesca. In un saggio recente per Il Mulino Rusconi non parla di egemonia
riluttante, la Germania ha una posizione egemonica di fatto che lo voglia o meno, ma si tratta di unegemonia vulnerabile, incapace di mobilitare i propri
partner intorno ad una politica europea comune, ad

esempio nei confronti dei profughi, della questione


energetica, della questione ucraina, della Russia di
Putin, dei rapporti euro-atlantici. Questa impasse lascia aperta la possibilit, e la tentazione, che il paese
debba e possa cavarsela orgogliosamente da solo. La
Germania ha sviluppato consistenti anticorpi contro
il risveglio del nazionalismo, ma nessuno pu dire
quanto, e per quanto a lungo, possano essere sufficienti.
Molti si sono chiesti, in Germania e fuori, se ci
sono delle analogie a un secolo e mezzo di distanza
tra la situazione di oggi e la Germania bismarckiana.
chiaro che non si pu confrontare la monarchia
costituzionale dellimpero guglielmino con la democrazia della Bundesrepublick, le analogie caso mai si

possono trovare in chiave geopolitica. Al di l delle differenze, che Rusconi mette bene a fuoco sulla
scorta di una vita di studio sulla questione tedesca, il
senso del confronto da ricercare nel fatto che oggi
si ritorna a parlare della Germania come potenza
centrale. Allora, Bismarck era riuscito a far crescere la Germania unificata come potenza di centro,
cercando di evitare la suscettibilit delle potenze laterali del Regno Unito e della Russia zarista; la Germania repubblicana deve fare i conti con unEuropa
sfilacciata che non riesce a definire n i suoi assetti
interni, n la sua posizione nel mondo globalizzato.
Oggi, la Germania pu contare nello scacchiere internazionale se in grado di parlare a nome

I libri
Francesco Cancellato, Fattore G. Perch i tedeschi hanno ragione, pp. 128, 14,50, Universit
Bocconi, Milano 2016
Beda Romano e Sergio Romano, Berlino capitale. Storie e luoghi di una citt europea, pp. 204,
15, Il Mulino, Bologna 2016
Gian Enrico Rusconi, Egemonia vulnerabile. La
Germania e la sindrome Bismarck, pp. 171, 14,
Il Mulino, Bologna 2016
Luigi Reitani, Germania europea Europa tedesca, pp. 87, 7,90, Salerno, Roma 2014
Edgar Morin, Mes Berlin 1945-2013, pp. 91,
12, Le Cherche Midi, Parigi 2013

dellEuropa cio se, come ha detto anche linfluente ministro delle finanze Schuble, non conduce
una politica tedesca, ma una politica europea. Ma
proprio questo il problema: lEuropa degli stati nazionali, debolmente integrati in una sorta di
confederazione di fatto, cio nellUe, non pu accettare legemonia tedesca, soprattutto quando vuol
dire rigore nelle finanze pubbliche, ma evita pure
di inquadrare la Germania in ununit pi stretta.
Rusconi giustamente sottolinea che il nocciolo della
questione sta nel rapporto problematico tra egemonia politica ed egemonia economica e che la mancata
soluzione di questo problema fa s che molti paesi
membri, soprattutto dellEuropa del sud, vedono
sempre pi nella Germania un rivale piuttosto che
un partner.
Anche Fattore G di Francesco Cancellato, direttore del quotidiano on-line Linkiesta, affronta
il tema delle responsabilit tedesche per le contraddizioni interne allUnione europea e allarea
euro. La versione corrente (e forse dominante)
nei paesi mediterranei che attribuisce alla politica di rigore imposta dalla Germania la causa del
mancato sviluppo dopo la crisi del primo decennio del secolo, non del tutto convincente. La
Germania ha saputo approfittare meglio degli
altri dei vantaggi di operare nellarea euro, ma
questo merito tra laltro dellinnovativit delle
sue industrie e anche della moderazione dei suoi
sindacati che ha consentito di tenere controllati
i costi del lavoro. Se lItalia, e lEuropa del sud,
non crescono, un problema anche per la Germania che non pu tranquillamente rinunciare
al nostro mercato. Ci che in Italia si fa fatica a
comprendere che () le difficolt della nostra
economia dipendono pi da fattori strutturali
interni che dalle politiche di austerit, siano esse
autoimposte o prescritte dallesterno. I problemi di fondo sono solo in parte imputabili alleuro. Bisognerebbe invece guardare ai rapporti
con Stati Uniti, Cina, Russia, allindustria militare, alla dipendenza energetica, agli sviluppi futuri delleconomia digitale (economia 4.0), alla
sicurezza, allesercito europeo, alla questione
ambientale, allafflusso e allintegrazione di profughi e migranti, ecc. Per Cancellato, la Germania non un problema per i partner dellUe, ma
la chiave che pu contribuire alla soluzione dei
problemi comuni a tutti. La paura dellegemonia tedesca che paralizza i partner e li fa esitare
di fronte alla prospettiva di portare avanti il progetto
europeo straordinariamente miope, non vede che
il paese demograficamente pi grande e economicamente pi forte destinato comunque, lo voglia o
meno, ad esercitare qualche forma di egemonia in
unEuropa retta semplicemente da accordi intergovernativi, mentre il rafforzamento democratico
dellUnione sarebbe lunico modo per incanalare la
potenza della Germania a beneficio di tutti.
Quando Schuble, poco meno di un anno fa, ha
manifestato lesigenza di un esercito europeo poich
le risorse che spendiamo per i nostri ventotto eserciti nazionali potrebbero essere usate molto meglio
se le spendessimo insieme, i partner non hanno
fatto a gara per prenderlo in parola e verificare leffettiva volont di passare dalle intenzioni allazione.
Lautore sostiene che solo la Germania pu far nascere lEuropa e che il vero problema lo stallo, il
congelamento, che caratterizza oggi il processo di
integrazione sia dellUe che del sottoinsieme della
zona euro. Se nel frattempo la Germania dovesse indebolirsi, se non potesse contare sulla solidariet dei
partner per assorbire la grande massa dei profughi
che sono affluiti e continueranno ad affluire, sarebbe una sciagura per tutti. La Germania deve fidarsi
dei partner europei, ma questi devono dimostrare di
meritarsi la fiducia, alla fine tutto un problema di
fiducia reciproca. Come fare a ricostituirla, ora che
n
si logorata, un altro problema.
aless_cavalli@hotmail.com
A. Cavalli saggista e ha insegnato sociologia allUniversit di Pavia

17

N. 7

Un mondo andato in pezzi


di Marco Buttino
Irena Bren
Le lupe di Sernovodsk
Reportage sulla Cecenia
ed. orig 2014, trad. dal tedesco
di Alice. Rampinelli,
pp. 224, 16,
Keller, Rovereto 2016

reportage di Irena Bren ci


Iclusalriportano
ad una guerra conda tempo. Il conflitto cece-

no inizi nel 1994 e dur circa un


decennio. In quegli stessi anni vi
furono guerre in altre repubbliche ex-sovietiche (in Azerbaijan,
in Tajikistan, in Kyrgyzstan, in
Moldova e in Georgia), in Jugoslavia e anche in tanti paesi lontani dallAsia allAfrica. Queste
guerre hanno accompagnato una
trasformazione epocale, fatta di
globalizzazione, crescita vertiginosa della popolazione urbana,
migrazioni di massa. LUnhcr
oggi denuncia 60 milioni di profughi. Alla luce del grande disastro in cui stiamo vivendo, perch
ritornare a pensare alla Cecenia?
Una ragione esiste ed importante: la guerra in Cecenia segn
il definitivo disgregarsi dellordine sovietico e la rinascita di un
nuovo ordine. Riguarda la Russia
al suo interno, ma anche lordine,
o il disordine, mondiale in cui
viviamo. Proviamo dunque a riprendere le fila di questa vicenda.
La guerra fu la spia di un mondo non pi governato che andava
a pezzi. La Cecenia, che era parte
del territorio della Russia, dopo
il crollo dellUrss era diventata
fuori del controllo di Mosca. I
leaders politici locali forti di retoriche nazionaliste chiedevano
autonomia. Esprimevano sentimenti diffusi tra una popolazione
che era stata deportata ai tempi di
Stalin, era rientrata nella regione
di origine soltanto da pochi anni
e si era trovata in conflitto con i
russi. Dopo qualche periodo di
incertezza il Presidente russo
Elcin, con leggerezza, ordin
di risolvere la questione con la
forza. Lesercito russo non diede
per una gran prova di s: era disorganizzato, corrotto e allo sbaraglio quanto era allora tutta la
Russia. I ceceni, si organizzarono
militarmente, riconquistarono la
capitale, vinsero. Si trov poi un
compromesso che salvava la faccia ai dirigenti russi e concedeva
di fatto autonomia ai nazionalisti
ceceni. Dopo qualche anno di
caos, ma di relativa pace, di nuovo arriv lesercito russo. Putin,
alla vigilia della campagna elettorale che lo avrebbe portato a diventare presidente, aveva lanciato
una campagna contro il terrorismo islamico e mandato lesercito a riconquistare Groznyj. La
sua iniziativa era presentata come
risposta ad un atto grave di terrorismo che aveva colpito Mosca e
ucciso molti civili. In realt non si
seppe mai chi aveva messo quelle
bombe, certo fu unottima occasione per scoprire che lautorit
dello stato russo andava riaffermata e che doveva basarsi sulla
forza.
La guerra gi nel 2000, pochi
mesi dopo lelezione trionfale di
Putin, venne ufficialmente dichiarata finita. Nei discorsi del

governo non era stata del resto


mai una guerra, ma semplicemente un intervento per riportare lordine e combattere il terrorismo. Per vincerla si trasform
lintervento, mettendo progressivamente i reparti russi in secondo
piano e lasciando a reparti ceceni
il ruolo pi attivo di aggressione
e violenza. Si era deciso di cecenizzare il conflitto, quasi fosse
una faccenda interna al popolo
ceceno. Intanto Putin affidava il
potere locale a una famiglia autorevole del posto, i Kadyrov. Una
guardia presidenziale e altre bande armate locali iniziavano a seminare il terrore: villaggi distrutti
e uccisioni di massa, rapimenti e
assassini per rappresaglia, incursioni nelle case, torture. Si afferm cos un potere spietato che
agiva contro la legge, ma in nome
dei Kadyrov, della Russia e del
presidente Putin.
Poi inizi la ricostruzione.
Le macerie di Groznyj furono
portate via e, nel giro di pochi
anni, sorse una citt nuova con
grandi vie (tra le quali il corso
Vladimir Putin), pacifici giardini,
grattacieli, palazzi imponenti e
una moschea gigantesca. I segni
della guerra erano cancellati.
Possiamo seguire cosa accadde
dallinizio della guerra ad oggi
per trarne qualche insegnamento
sul putinismo, se si pu dir cos,
e anche su altro. Nella vicenda
cecena abbiamo un esempio di
come si pu creare e sconfiggere
il terrorismo islamico, di come si
possono governare periferie attratte dalla secessione, di come si
pu imporre un governo centrale
forte e nello stesso tempo dare di
fatto autonomia ai poteri locali.
saminiamo, nei tratti essenE
ziali, la sorte dellestremismo
islamico. La famiglia Kadyrov

aveva un padre, Akhmad, che


era mutfi, massima autorit religiosa dellislam ufficiale, ed era
strettamente legato alla pi autorevole tariqat del nord Caucaso
che esprimeva un islam popolare
diffuso. Tratt con i russi, ottenne potere, ma venne ucciso in un
attentato. Suo figlio Ramzan prese il suo posto. Ci avveniva dieci
anni fa. Le violenze crebbero, gli
uomini di Ramzan e i reparti militari russi stavano combattendo
lestremismo islamico. Gli autonomisti ceceni in realt erano divisi, vi era una parte organizzata
militarmente in gruppi islamisti,
altri moderati che chiedevano
alla Russia di trattare e di trovare una via pacifica per uscire dal
conflitto. La Russia non tratt.
Lestremismo islamico divenne
pi aggressivo, vi furono attentati anche a Mosca. La repressione
fu capillare quanto arbitraria. Gli
estremisti, i loro parenti e i loro
conoscenti erano presi, torturati,
uccisi.
Pacificata con la forza la Cecenia, Ramzan aveva bisogno di affiancare al terrore la costruzione
di consenso. Us laiuto di Mosca
e il riferimento allislam rendendoli compatibili. Si cre cos una
situazione anomala. La Cecenia
parte della Russia, ma ha un
presidente eletto a suffragio popolare (ma ben controllato), una

Libro del mese


sua costituzione, una religione di
stato diversa da quella ortodossa.
Si direbbe che lautonomia, tanto
richiesta dai ceceni e tanto repressa da Mosca, sia arrivata. Il patto
su cui oggi si basa questo potere
ha due assi portanti: i grandi investimenti russi per la ricostruzione
e una grande autonomia nella
gestione di questo denaro, che
stato una manna per creare clientele politiche e per distribuire
opportunit a un paese distrutto.
Il ritorno alla normalit costato
molto a Mosca. La forza del Presidente Kadyrov e del suo clan, il
loro disprezzo per ogni dissenso,
la violenza e larbitrio dominano
la Cecenia, ma allo stesso tempo,
e qui il miracolo di
Ramzan, la sua dittatura si trasformata
in un regime di massa.
La Cecenia diventata
cos parte effettiva della nuova Russia, i due
Presidenti si elogiano,
si dicono fratelli, ma il
pi piccolo guarda al
fratello maggiore russo con ammirazione e
rispetto. Uno non pu
fare a meno dellaltro,
almeno fino ad oggi.
La vicenda cecena attuale
non soltanto perch il modello
di ordine affermato da Putin e
condiviso da Kadyrov, ma perch riguarda anche altri. Il crollo
dellUrss ha portato allanacronismo della nascita di stati nazionali
in un mondo in cui evidente che
gli stati nazionali non sono adatti
a governare economie, migrazioni e sicurezza, che sono per loro
natura transnazionali. Cos la rivoluzione nazionale cecena aveva
ragioni forti, ma prospettava uno
stato nazionale che era senza prospettive sia nella versione islamica, sia in quella laica. Le politiche
neo-imperiali russe hanno vinto,
ma hanno creato in Cecenia un
sistema violento e sostanzialmente mafioso e una risposta islamica
sovranazionale e radicale.

La Cina ha avuto politiche non


sostanzialmente diverse verso le
proprie regioni potenzialmente
secessioniste. Repressione delle
istanze autonomiste e volont
espansiva guidano anche la politica della Turchia. LIsis di per s
un progetto transnazionale. Vi
uno spazio gigantesco per nostalgie imperiali. LEuropa, di fronte
a queste nuove configurazione
aggressive debole, vorrebbe essere realmente unentit sovranazionale ma divisa.
n
marco.buttino@unito.it
M. Buttino insegna storia dellEuropa
orientale allUniversit di Torino

Oltre i confini dellumanit


di Massimo Maurizio
uesto reportage sulla CeQ
cenia una raccolta di testimonianze giornalistiche, ma

anche un doloroso colloquio con


Zajnap Gaaeva, premio Lev Kopelev per la pace e i diritti umani (2005). I quindici articoli che
compongono questo volume ruotano per lo pi attorno a figure
di donne come Gaaeva o Anna
Politkovskaja (autrice anche della prefazione), ma soprattutto di
altre, quasi anonime, attive sullo
sfondo delle due campagne russe in Cecenia; esse sono le lupe
del titolo, animali
sofferenti, deprivate
delle qualit umane.
Limmagine delle lupe
parrebbe smentire lallusione alle cerbiatte
del toponimo contenuto nel titolo (serna
in russo , appunto,
cervo),
ipostasi
prebellica delle lupe,
trasformate dalla violenza e dallassurdo
imperante,
dallannullamento della volont, della
cultura, del rispetto di se stesse.
La distruzione del villaggio di
Sernovodsk richiama lannichilimento dellimmagine di donnamadre, moglie e custode della
cultura tradizionale.
Una delle prime scene del libro
descrive lautrice che, insieme a
alcune donne cecene, travestita
lei stessa da cecena, passa un posto di blocco russo ed entra nel
villaggio per documentarne la
distruzione. La volont di confondersi, di prestare la propria
voce, di assumere un proprio
punto di vista altro, differente da
quello colpevolmente occidentale e privilegiato, ritorna costantemente, come anche la volont
di accogliere la tragedia intima e
personale di ogni vittima del conflitto. Il coinvolgimento in prima
persona porta necessariamente a

una visione parziale, antirussa,


almeno per ci che attiene i fatti descritti, in relazione ai quali i
kamikaze sono il risultato delle
umiliazioni ricevute, delle violenze. Mi sembra che questa faziosit sia voluta, ricercata come
contraltare al silenzio e alle simpatie dellOccidente nei confronti della Russia in guerra (almeno
nel periodo dei fatti narrati). Se
la scrittura documentalistica e il
giornalismo hanno un senso, allora lempatia con il tema trattato, la presa di una posizione anticonformista e il coinvolgimento
del lettore si muovono nella direzione della definizione di quel
senso.

Hai detto che laccaduto ha


avuto luogo il 2 luglio del 2001
durante unepurazione del villaggio di Sernovodsk. Ma Sernovodsk solo un nome, indicativo
della Cecenia intera, che lesercito russo tratta come un luogo oltre i confini dellumanit () Alcune vittime, hai detto, sono poi
diventate kamikaze, portatori di
una bomba di cui volevano condividere lesplosione. Dopo che
lanima era esplosa, doveva farlo
anche il corpo. () I violentati
non vogliono pi vivere, e come
potrebbero, marchiati per sempre con la vergogna pi grande,
commenti tu con rammarico.
(Al di l del corpo, lettera aperta allattivista cecena per i diritti
umani Zajnap Gaaeva). Lo scopo di Bren non per quello
di demonizzare i russi: essa mette anzi in evidenza diverse iniziative, come quella di portare i
bambini ceceni ospiti di famiglie
russe, dove gli orfani di guerra
hanno imparato che non tutti
i russi sono gli assassini dei loro
genitori. Il responsabile della
tragedia dellannullamento della
volont e della personalit, oltre
che ovviamente della distruzione
del paese caucasico, il potere in
quanto tale, non soltanto quello
di Putin, ma anche di Ramzan
Kadyrov, e di amil Basaev, terrorista ed eroe nazionale per un
certo periodo. Il potere in quanto tale e da entrambe le parti.
La non comprensione, il non
rispetto della cultura e delle
usanze cecene, il tentativo di russificazione forzata la violenza
prima, la miccia di tutte le altre
forme di violenza, che priva loccupante di umanit e che lo porta
a umiliare loccupato, a privarlo
della sua veste umana. La stessa non volont di comprendere
il paese e la situazione riguarda
per, come si accennato, anche
il potere dellEuropa occidentale, che usa due pesi e due misure per le violenze perpetrate in
Cecenia dai russi e per quelle in
Russia operate dai ribelli ceceni.
Le tre lingue dellautrice (slovacco, tedesco e russo) vengono
impiegate in contesti diversi e
implicano tre visioni diverse, di
se stessa, ma anche e soprattutto del luogo, in cui quelle lingue
operano per decodificare la realt circostante; non un caso
che raccontando dellorrore del
conflitto in Cecenia agli svizzeri, e quindi in tedesco, spesso
manchino le parole; in realt
non sono le parole a mancare,
ma i concetti, i realija, che rendono una cultura esotica, se vista
con interesse e rispetto, ma che
ne fanno un qualcosa di estraneo
e pauroso, se non si in grado
di rinunciare alla propria visione personale, univoca e assolutizzante, alla visione del soldato
che viene mandato a sparare a un
nemico che il potere e la propaganda disumanizzano, rendono
fantoccio, e in quanto tale pi
facile da umiliare e uccidere. n
massimo.maurizio@unito.it
M. Maurizio insegna letteratura tedesca
allUniversit di Torino

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19

N. 7

Qui sta succedendo qualcosa


al dromedario
di Andrea Paglardi e Tiziana Magone
Franco Matticchio
Jones e altri sogni
pp. 256, 25,
Rizzoli Lizard, Milano 2016

Animali sbagliati
pp. 32, 17,
Vanvere, Roma 2016

er noi dellIndice non mai


P
semplice recensire in modo
obiettivo un libro di Matticchio

e risalire alle sue fonti ispiratrici,


individuando un bandolo nellintricata matassa della sua personalissima visione del mondo. Matticchio illustra questo giornale fin
dai suoi esordi e la timida e svagata perentoriet del suo estro ci
ormai talmente familiare da essere
parte integrante del nostro vivere
quotidiano. Da tre anni, inoltre,
i suoi lavori campeggiano a tutta
pagina in copertina e sono diventati il nuovo volto della rivista.
Qualche lettore, nel corso degli
anni, ha protestato per una donnina nuda con la testa nel water o si
scandalizzato per un sedere femminile morbidamente appoggiato
sulla tastiera di un computer; noi
ci siamo stupiti ogni volta perch
trovare della volgarit nei nudi di
Matticchio e nelle sue minuscole
femmes fatales con i tacchi a spillo sarebbe come pretendere una
salda logica narrativa e un finale
scontato nelle sue strisce a fumetti.
Al pari di quanto avviene nelle sue
illustrazioni, nelle brevi folgoranti
short stories di Matticchio, pubblicate per la prima volta su Linus
tra 1985 e il 1992 e ora finalmente
riunite in questo volume, non siamo nel mondo della logica e della
morale, ma in quellassurda terra
oltre lo specchio di carta dove i
topi tirano mattoni in testa ai gatti
e salami con i piedi si rincorrono
tra le gambe dei pistoleros. Erede in primis di Roland Topor e
del suo tardo surrealismo greve e
temporalesco, Matticchio si ricollega distinto e in modo spontaneo
e naturale a una tradizione ben
pi antica, fatta di margini, filastrocche, allucinazioni che dalle
drleries di un medioevo fantastico portano al Book of nonsense di
Edward Lear, per poi risalire la
china del fumetto. Nellopera di
Matticchio il disarmante candore del Tenero Giacomo di Hans
Jrgen incontra limmaginario
paradossale di Jacovitti e arriva a
lambire le sponde del comic americano, da Winsor McCay a Robert Crumb, da George Herriman
a Art Spiegelman.
Protagonista di questa raccolta
di storie brevi Mr. Jones, omonimo del fantomatico e misterioso
individuo cantato da Bob Dylan in
The Ballad of a Thin Man. Jones
un gatto antropomorfo in camicia,
pantaloni e bretelle con una benda
sullocchio sinistro. A dirla tutta
nel dizionarietto in appendice al
volume, prezioso e spassoso vademecum per entrare nel mondo di
Matticchio, lautore specifica con
magrittiana ironia che Jones NON
un gatto. Se nelle fattezze Jones
ricorda Fritz the cat di Crumb la
sua essenza richiama piuttosto

la purezza soprannaturale di Mr.


Natural, altra geniale creazione
del fumettista americano. Con le
mani in tasca e una smorfia sul volto che va dallo stupore al rassegnato disincanto, Mr. Jones legge libri
e giornali, fa il bagno, passeggia fischiettando, dorme, sonnecchia in
un prato, gioca a scacchi; si ostina,
insomma, a condurre la pi ordinaria e riservata delle esistenze. Il
mondo che lo circonda, invece,
gremito di oggetti animati e ribelli,
creature improbabili (memorabile
la giraffa che col complesso di Eta
Beta rovista tra i rifiuti) e animali
realistici, fantastici o antropomorfi che, lungi dal creare lordinata
struttura sociale di Topolinia o la
variopinta e organica complessit
del regno di Oz, ostentano uninsopprimibile vocazione al disordine. Mr. Jones diventa preda di un
universo assurdo dove i cuscini
fuggono dai letti nel pieno della notte in cerca di libert, il sole
sorge rumorosamente, le camicie
a fiori germogliano e diventano
pericolose strangolatrici, i cavalli
impazziscono (ma se perdono la
testa gliela si pu sempre riattaccare con la colla) e le donne amate
si dissolvono in un istante in una
miniera di polvere. Mr. Jones
affronta ogni cosa con incredulit:
locchio (quello non coperto dalla
benda) sgranato e la bocca leggermente aperta in un perenne o di
meraviglia denunciano lo sbalordimento sincero del protagonista
e diventano lo sguardo divertito e
sorpreso del lettore, mentre sullo
sfondo riecheggiano parole e note
del ritornello di Dylan: Because
something is happening here / But
you dont know what it is / Do you,
Mister Jones? (Perch qui sta
succedendo qualcosa / Ma non sai
cos / Vero, mister Jones?).
alle origini di Matticchio, disegnatore di strisce in bianco
D
e nero, si pu passare agilmente a

godersi le sue ultime fatiche, con


un libricino diversissimo, ma sempre fresco di stampa, fatto di soli
disegni di animali, che in realt,
pur essendo quasi privo di testo,
gioca con le parole, le storpia e le
raffigura: una contorsione di senso
che si materializza in un disegno.
Questi sono per lo pi disegni recenti a colori, tavole uniche che
dialogano con il titolo creando
un effetto spiazzante e divertente. Matticchio disegna animali da
sempre, di alcuni ne ha fatto dei
personaggi come Jones, altri (lamico Bull Dog) nel tempo sono
scomparsi, altri ancora ritornano
in contesti diversi come il bull
terrier bianco con locchio nero
(che gi ha animato i titoli di testa
di Il mostro di Roberto Benigni),
o il gufo disincantato col cartello
Vietato sognare (che inconsapevolmente potrebbe essere il manifesto di una generazione). Matticchio intuisce disegnando, indaga,
scava nei ricordi, nellimmaginario
pubblico e in quello suo privato,
infantile e domestico, ma la solitudine nella quale disegna non
autoreferenziale perch sa creare
raccordi con gli immaginari di chi
lo guarda e legge. Questo raccordo
un legame, una corrispondenza

Primo piano
di amorosi sensi, una richiesta
implicita di complicit: per divertirsi bisogna sempre essere almeno in due a giocare. Gli Animali
sbagliati vanno guardati con attenzione, capiti, goduti nella loro
stranezza sbagliata e a quel punto
non potranno mai pi ritornare
ad essere animali giusti e normali.
Dopo aver visto il dormedario che
piega il suo collo come un cigno
per appoggiarlo sul cuscino adagiato sulla gobba (e cos dormire
beato) nessun dromedario, visto
o pensato, sar pi lo stesso. E
senza svelarne la soluzione, quasi
fossero degli enigmi da risolvere
non con la logica dei rebus o degli
indovinelli, bens con limmaginazione al timone (se non proprio
al potere), Matticchio
anticipa, a modo suo, la
prossima serie animalesca nella quarta di copertina. Cos, dopo la
vacca da bagno, il martin cacciatore, larpadillo
e lacciugamano non ci
resta che aspettare con
trepidazione (oppure
provare a nostra volta
a immaginare) il coccobrillo, il pinosauro,
il 45 ghiri o lo stankoala. Animali
che ritornano e che la fantasia del
loro creatore ibrida e trasfigura,
reinventandoli nel tempo, animali sempre strani che continuano a
spiazzare e rafforzare quel legame di sensi e rimandi che lopera
multiforme di Matticchio fa rimbalzare di disegno in disegno. Si
prenda la donnola, per esempio.
Nel libro di Jones
c una storia (tra
le pi geniali) intitolata Il parco naturale di Sasso-Giallo
in cui, in una delle
sei tavole compare
lorso Yoghi che
piange a dirotto
emettendo gemiti
(buuu buuuu buuu). La spiegazione della sua disperazione affidata
a una didascalia: Bubu scappato con una donnola. La donnola
non si vede, ma quel riferimento
da solo lascia intuire un mondo
delineando un improbabile triangolo amoroso tra orsi e mustelidi
(Yoghi, Bubu, e la donnola). Donnola, questa volta disegnata, che
ritorna, qualche decennio dopo,
elegante e mesta negli Animali
sbagliati con un secchio, un mocio
e un pavimento da spazzare. diventata una donnola delle pulizie e
chiss se quel lavoro lo fa per arrotondare lo stipendio di Bubu che
lontano da Yellowstone non pi
riuscito a trovare una soddisfacente collocazione professionale. n

E non finita
di mc
entre langoscia di un futuro
M
possibile aggredisce lanimo
di molti di noi spingendolo dentro

orizzonti apocalittici, come se il diluvio nucleare e il terrorismo cieco


fossero gi pronti a consumare ogni
loro conseguenza, Franco Matticchio colloca i suoi personaggi dentro il paesaggio di un universo che
pare aver gi scontato quella desolazione, e la vive ora con lindifferenza di una condizione naturale.
Il tratteggio delle sue storie sempre fitto, segnato da un ombreggio
inquietante, come se una nuvola
gigantesca offuscasse
ogni luce, perfino dentro casa, non solo negli
esterni, e i personaggi si
muovono con una lentezza che metafisica,
segnata da una sorta di
immodificabile destino
di sconfitta interiorizzata.
per difficile pensare che questa ambientazione si offra come la
catarsi obbligata duna
crisi che oggi va travolgendo ogni
nostra sicurezza, tanto pi che luniverso di Matticchio non ha la sua
genesi in questi nostri anni amari,
ma si radica dentro un tempo nel
quale le profezie di sventura avevano ancora ben poca udienza. La sua
apparizione pubblica, su Linus
gi del 1985, collocava le storie in
unepoca dove certamente tensioni
e umori contaminavano limmaginario degli autori
e, tuttavia, non
tanto da proporgli
di perdersi dentro
orizzonti angosciosi. Allora, il mondo
di Matticchio richiede una lettura
diversa, dove la storicizzazione dei
suoi personaggi e delle sue storie
va mitigata con una connotazione rivolta pi apertamente allio
dellautore, al suo carattere mite e
quieto, alla sua ritrosia a proporsi
su qualsiasi palcoscenico, fino alla
sua dolcezza timida e muta, dove le
parole sono spesso sostituite da un
sorriso che tace impacciato.
In questa diversa ambientazione,
langoscia del tratteggio fitto, ossessivo, ombroso, diventa una sorta di
velatura usata per dare piuttosto
indeterminatezza esistenziale ai
personaggi, ai loro gesti che misurano lapparente quotidianit in
una dimensione invece stralunata,
dove il nonsense affiora lentamente
e diventa per, alla fine, la moda-

lit pi corretta e aderente dellinterpretazione. Infatti, al di l delle


storie che si narrano in una serie di
fotogrammi che avanzano come se
lo slow-motion fosse una condizione naturale, il nonsense domina,
in unultimativa sineddoche, quei
suoi straordinari quadri di vita
dove una folla di figure, oggetti,
particelle incoerenti, situazioni
impossibili, trasporta senza fatica
elementi di vissuto verso una dimensione irreale, affascinante, che
incanta per la libert della fantasia
che li ha creati.
Sparisce dunque linquietudine
che sembrava dover dominare il
flusso narrativo delle mini-stories, e
Matticchio si disvela in una cornice
dove lironia e il divertissement si
mostrano come la proposta reale,
autentica, del suo universo iconico, aprendo la rappresentazione a
una sorta di sfida quieta lungo assi
interpretativi che richiedono disponibilit a lasciarsi coinvolgere,
prima con qualche impuntatura
di sorprese temute e di incertezze
timorose ma poi, alla fine, in una
risata felicemente liberatoria.
Per chi ha seguito negli anni la
storia dei nostri artisti del disegno
narrativo, e le connessioni e le contaminazioni con quanto si andava
producendo nel resto del mondo,
echi e legami intrecciano il lavoro
di Matticchio con le biografie di
molti nomi noti, gi di Linus e
di Alter ma non soltanto in quegli album; da Topor, anzitutto, a
Crumb, a Copi, al vecchio Pogo,
e naturalmente al gioioso universo
di Jacovitti, con i suoi salami a due
zampe, e le caotiche, affollate, intricate, scene collettive dove ogni pur
piccolo spazio andava letto e gustato con il piacere felice di una scoperta comunque inimmaginabile.
In questi grandi autori e tra
loro il Matticchio che ormai accompagna sottobraccio la storia di
questa rivista il disegno si libera
dalle strettoie obbligate delle due
dimensioni, e va felicemente verso
la terza dimensione, costruita interamente con i valori simbolici che
impongono ai nostri occhi il suo
gatto che non gatto, e il suo cane
che non cane, e le sue ragazze
che non sono ragazze, e il suo King
Kong che non King Kong (perch
lo scimmione del nostro orrore non
pu avere la dentiera, e soprattutto
non pu perderla). Valga per tutti,
il Mr. Jones in bretelle e benda nera
su un occhio, che un gatto-uomo
che non mangia il topo-topo ma lo
deposita con grazia nel suo lettino
di piccolo ratto, trasportandoci in
un mondo dove il reale si frantuma
e la dimensione surreale si sostituisce senza traumi alla legge scontata
della natura.
La sorpresa accompagna ogni
progetto narrativo: la mazza del
baseball si trasforma in racchetta
da tennis, lhot dog si scioglie nel
gocciolio di un gelato, i grattacieli
di Saul Steinberg si ritirano dietro
una siepe indifferente, Bob Dylan
diventa ladagio di Bach, luccellaccio pelato e in smoking fa pip
sotto un lampione come un qualsiasi ubriacone dopo una notte di
baldorie, e non finita commenta con una promessa ricca di chiss
quali nuove invenzioni il suo gatto
che non un gatto. E che anche
per questo si chiama Mr. Jones. n

N. 7

20

Franco Matticchio

N. 7

21

Franco Matticchio

Tratto da Franco Matticchio, Jones e altri sogni, Rizzoli Lizard (vedi pag. 19)

22

N. 7

Fumetti

Fantascienza per amore

But I remember everything

di Chiara Bongiovanni
Daniel Clowes
Patience

ed. orig. 2016, trad. dallamericano


di Michele Foschini,
pp. 178, 25,
Bao, Milano 2016
l McSweeneys Quarterly
Imolti
Concern considerato da
il New Yorker degli anni

2000, un lussuoso trampolino per


lOlimpo delle tendenze, fondato
da Dave Eggers nel 1998, che ha
ospitato da Jonathan Franzen a
Joyce Carol Oates e ha contribuito a lanciare giovani autori
e illustratori di tutto rispetto.
Quando, nel 2004, uscito il
tredicesimo numero,
interamente dedicato
al fumetto, sulla vetta si sono ritrovati in
tre: due quarantenni
e un veterano. A Chris
Ware, geometrico e
gelido miniaturista di
design che con Jimmy
Corrigan ha rivoluzionato la struttura stessa
del graphic novel,
stata affidata la cura
del numero, e lui, a
sua volta, ha scelto di coinvolgere Robert Crumb, padre nobile
dellunderground americano e
Daniel Clowes, il pi inquietante
e cerebrale tra gli indipendenti
dal fantagraphics. Nel 2004 Clowes aveva appena abbandonato
la sua rivista antologica Eightball, dove per quindici anni si
erano susseguiti racconti brevi e
romanzi grafici, per dedicarsi alle
nuove opere in volume: Wilson
(2010), Mister Wonderful (2011),
The Death Ray (2011) e dopo ben
cinque anni di si-lenziosa preparazione questultimo Patience,
pubblicato da Bao in sincronia
con ledizione sta-tunitense.
Patience una storia damore,
o meglio di fantascienza per amore. Una giovane coppia, chiusa
al mondo in un microcosmo di
passione nevrotica e rancorosa,
in attesa di un figlio quando lei
viene uccisa in quello che pare
un incomprensibile tentativo di
rapina. Per diciassette anni, senza mai rassegnarsi, Jack invecchia
solo e cattivo alla disperata ricerca del colpevole; poi il tempo
esce dai cardini e Clowes si lancia in una memorabile riscrittura

noir dei temi cari a Philip Dick.


Jack si trasforma in un tossico
duro e violento che assume come
forma di devianza il viaggio nel
tempo alla disperata ricerca
delluomo che nel 2012 ha ucciso
il suo amore. Infrangendo a cazzotti i paradossi temporali, Jack
si apre una strada verso Patience
per salvarla dal suo destino. Fantascienza per amore, quindi, ma
anche fantascienza senza ombra
di epica. Il tempo in cui si viaggia
ristretto alla vita di un uomo,
dal 1985 al 2012, un viaggio pop
e schizofrenico intorno a una camera in cui il traguardo maggiore
non la vita di Patien-ce, ma fare
due lanci a rugby con un se stesso bambino.
Nel corso degli anni
Clowes stato spesso accostato a David
Lynch come fotografo
dellincubo in grado di
rappresentare le ossessioni pi distruttive,
di inventariare il male
con allucinato nitore,
lasciando che siano le
pulsioni a tracciare le
storie senza esserne
dominate. Il confronto con Lynch non deve per far
pensare a un rapporto di fascinazione o sudditanza; Clowes ha
amato i primi lavori di Lynch, in
particolare Eraserhead, un intimo
e disturbante nonsense in bianco
e nero del 1977, come sempre ha
amato per autentica comunanza
quellesile linea di sperimentatori
per necessit che potrebbe andare da Buuel a Stan Brakhage
toccando Lynch poco pi che di
striscio. Limpido e caricaturale
al contempo, Clowes attinge con
rara sintesi e pulizia alle anime
pi estreme dei comics americani, dai candidi e folli supereroi
del dopoguerra alle icone raggelate di Roy Lichtenstein, dalle
deformazioni lisergiche di Fritz
il gatto al gioioso e sincretistico
pullulare di alternative formali
dei primi anni ottanta. Il risultato un libro bello, coloratissimo
e struggente in cui grafica e narrazione riescono a mantenere un
pari livello di lineare complessit
senza abbandonarsi al vecchio
n
gioco della sopraffazione.
chiarabong@gmail.com
C. Bongiovanni insegnante e traduttrice

di Maurizio Amendola
Reinhard Kleist
Cash: I see a darkness
pp.223, 19
Bao, Milano 2016

ick Rubin (produttore, tra gli altri, di BeaR


stie Boys e Rage Against the Machine) ha
appena mostrato allottantenne Johnny Cash il

testo di Hurt, traccia composta dal frontman


dei Nine Inch Nails, Trent Reznor. Mi ricorda gli anni sessanta, le ferite che provochi a te
e agli altri quando consumi droghe. Il bisogno
di trovare un conforto, la solitudine vorrei
avere scritto io questa canzone. Hurt solo
una delle indimenticabili cover registrate dal
folksinger di Kingsman, Arkansas. Come lo
I see a Darkness, canzone di Will Oldham che
Cash ha inserito nella raccolta Solitary man,
e che d il titolo al graphic novel di Reinhard
Kleist.
Pare che Reinhard Kleist fosse preoccupato
di non arrivare allo stesso grado di autenticit
raggiunta dal film Walk the line di James Mangold. Se la pellicola trova spina dorsale e risoluzione nellamore tra Johnny e la moglie June
Carter, il fumetto trova luce nella messa a fuoco
dellinsicurezza di un ragazzo contadino che affronta fama e ricchezza grazie alla musica in un
mondo pi grande di lui, senza esservi pronto.
In pi, la capacit di Johnny di delineare la vita
dei protagonisti delle sue canzoni a chi ascolta,
Kleist ce la fa rivivere con le sue vignette.
A Reno, un uomo si immerge negli schiamazzi della citt dove sceglie un riccone in completo da sera da seguire dietro un vicolo; gli
spara addosso, solo per vederlo morire. Billy
Joe avverte sua madre che stufo di raccogliere
cotone, ora di andare via. La madre lo avverte: non portare le pistole con te in citt. Queste
parole sono le ultime che Billy Joe ripeter, pri-

ma del suo ultimo respiro. Un giovane trasandato combatte ogni giorno contro la condanna
di avere un nome da donna: Sue. Potrebbero
non aver senso queste canzoni per uno come
Bob Dylan, abituato a metaforizzare anche se
stesso, ma a Johnny piace troppo raccontare la
realt, e queste storie la rappresentano. La realt continua a essere di pi o di meno di quello che vogliamo. E quando comincia a essere
troppo, per Johnny, tutto sembra crollare: qui
arriva June Carter, la musa armata di autoharp
che aiuta il Cash uomo a raccogliere le macerie
dentro di s. Il Cash cantastorie trova la forza
di ricominciare nel luogo dove la societ rinchiude le sue macerie umane: il carcere di Folsom. l che recluso Glen Sherley, luomo da
cui parte la storia. Passa le notti a scrivere la
canzone che Johnny Cash canter nello storico
concerto tenuto nella prigione di Folsom, il 13
gennaio 1968. Reinhard Kleist ci racconta una
fotografia passata alla storia: Johnny, dal palco, d la mano a Glen che ancora non riesce
a credere che il suo eroe abbia appena cantato
la canzone da lui composta sulla brandina, di
notte, in cella: I muri che mi circondano ogni
attimo della vita per alcuni secondi sembrano
dissolver-si come un miraggio.
Pi di trentanni dopo: una casa isolata, un
produttore di hip hop trasandato e loscurit
nascosta tra gli alberi. Il vento dautunno fa scivolare le foglie addosso al cappotto scuro dentro cui si stringe uno squalo che non smetter
di cantare le sue storie e quelle degli altri fino
al giorno della sua morte, il 12 settembre 2003.
Dopo una vita che gli ha messo una corona
di spine sulla fronte e la capacit di ricordare
ogni cosa, fino allultimo attimo. Mancano pochi mesi. Non resta che guardare negli occhi la
morte. Seduto su una sedia sistemata sul prato,
in una porzione di bosco dove gli alberi non
coprono il cielo bianco.

Tra pregiudizi e divoramento


di Emiliano Fasano
Davide Reviati
Sputa tre volte
pp. 562, 25,
Coconino, Roma 2016

ono passati sette anni dal capolavoro desordio Morti di sonno


e Davide Reviati ci regala unaltra
opera di grande intensit. Sputa tre
volte conferma linteresse dellartista ravennate per le vite degli
adolescenti ai margini,
ma se nel suo primo
fumetto il racconto si
snodava attraverso le
giornate dei figli della
periferia
industriale,
ora linteresse si sposta verso i ragazzi della
campagna emiliana tra
le disillusioni degli istituti tecnici e lineludibile approdo a unincerta
et adulta. Il protagonista Guido: attraverso
il suo sguardo veniamo immersi
nelleterno presente della provincia tra paura del diverso, fatica
di crescere e vuoti da riempire. Il
bianco e nero scelto da Reviati ha
tutte le gradazione del grigio che la
storia richiede ma, a differenza del
suo lavoro precedente dove il segno era pi netto e la storia esigeva

un maggior dinamismo grafico, qui


le ombre sono protagoniste della
pagina e le sfumature sporcano il
quadro. Non si arriva alla densit
del nero neppure nel momento
in cui la storia vira in tragedia tra
vicende personali e storia del Novecento. Ai margini del racconto
e delle giornate dei ragazzi scorre
infatti la vita degli Stani, famiglia
di sinti di origine slava. Tra loro
Loretta, ragazza selvatica dai molti
chiaroscuri e il vecchio
Stani. In qualche
modo sono loro che
diventano i motori del
racconto. La zingara,
nella genesi dellidea
riferita dallo stesso Reviati, il personaggio su
cui si attorciglia la trama. Il vecchio invece
il raccordo tra il presente e la storia; tra i pregiudizi delle periferie
e lo sterminio del Novecento. I Rom, derisi e cacciati,
non hanno posto n qui n ora
tanto che, come riporta lautore in
una digressione storica, non ebbero posto neppure al processo di
Norimberga. Lo stesso Porrajmos
divoramento in lingua roman ovvero lOlocausto sofferto
parallelamente a quello degli ebrei

dai popoli di etnia rom durante la


se-conda guerra mondiale, coperto da un doloroso e colpevole
silenzio. Lautore evidente si
documentato, ha incontrato antropologi come Leonardo Piasere
o Carlotta Saletti Salza, ha scavato
dentro ai suoi pregiudizi e assecondato la sua curiosit. In appendice,
riporta la storia vera di una zingara
vissuta nel secolo scorso: Papusza,
rom polacca che non solo sapeva
leggere e scrivere ma componeva
poesie. Nel secondo dopoguerra
uno studioso la scopr e pubblic
i suoi versi, esponendola ai rancori
della sua gente e alle ire del regime
sovietico. Dunque Sputa tre volte,
sia sul piano della novella che del
suo riferimento storico, una spirale di messe al bando, indifferenze, marginalit. Forse la grande ricchezza dei piani di questo graphic
novel anche la sua debolezza.
Lintreccio tra vicenda e storia non
sempre fluido e il racconto sembra soffrire di una certa frammentazione dovuta probabilmente al
lungo percorso di lavorazione che
ha impegnato lautore per molti
anni. La frenesia di Morti di sonno che, oltre che nel segno, fu
anche realizzativa ha lasciato il
posto allapprofondimento e a un
certo approccio di-dascalico con
qualche inevitabile cedimento sul
flusso narrativo.
n
emiliano.fasano@gmail.com
E. Fasano il segretario generale di Asifa Italia

23

N. 7

Pompei, non solo Alinari


di Andrea Milanese
Marina Miraglia
e Massimo Osanna
Pompei
La fotografia

pp. 165, 56 ill.,


130 tavole fuori testo, 40,
Electa, Milano 2015

a recente mostra Pompei e


lEuropa, 1748-1943 (Napoli,
Museo Archeologico Nazionale)
ha avuto il merito di dare un significativo spazio alla fotografia.
Lo ha fatto in sede espositiva, ma
ancor pi con la pubblicazione
parallela a quella del vero e proprio catalogo di questimportante volume di Marina Miraglia
e Massimo Osanna,
interamente dedicato
alla storia della fotografia di soggetto pompeiano. Una monografia aggiornata su
questargomento che
fosse anche unampia
rassegna dei fotografi
presenti nel tempo a
Pompei mancava, di
fatto, agli studi. Lultimo volume dedicato a
queste tematiche, con
un taglio peraltro pi ristretto,
infatti di venticinque anni fa
(Fotografi a Pompei nell800 dalle
collezioni del Museo Alinari, Alinari, Firenze, 1990). Un quarto di
secolo, dunque, durante il quale,
da un lato gli studi di storia della
fotografia hanno fatto notevoli
passi in avanti, e dallaltro Pompei nella storia della sua riscoperta e della sua fortuna, visiva o
meno apparsa sempre pi per
quello che pure : uno specchio
imprescindibile della cultura moderna.
Il volume, dalla curata veste
editoriale, si compone di due
saggi, complementari tra loro, e
di un Album di 130, ben stampate, tavole a piena pagina (tutte
fotografie a eccezione di undici
lavori grafici).
Il testo di Massimo Osanna
prende in esame, restituendogli
finalmente un posto nella storia
della fotografia, il ricchissimo
fondo fotografico della Soprintendenza speciale di Pompei, un
patrimonio dimmagini su supporti diversi ancora poco noto
agli studi e al grande pubblico,
di cui in corso una meritoria
campagna di digitalizzazione. Si
tratta di scatti eseguiti in larga
misura tra linizio e la met del
Novecento, con finalit per lo
pi connesse allattivit di scavo
e di tutela e dunque essenzialmente documentarie. Ma Osanna giustamente riflette, fin nei
presupposti teorici, sul valore
sia documentario che estetico di
queste foto, ricordandoci quanto
labile, in campo fotografico, sia
lo scarto tra questi due aspetti
a lungo ritenuti distanti, se non
contraddittori. Come lautore a
ragione sottolinea, queste immagini raccontano molto della vita
moderna di Pompei: delle tante
vite incrociatesi allinterno degli
scavi, quelle del personale che vi
era addetto ma anche di viaggiatori, artisti e studiosi; cos come
di luoghi e paesaggi mutati nel
corso del tempo, a causa degli

stessi scavi e delle attivit di tutela (non sembri un paradosso)


e, ben meno giustificatamente,
per la scandalosa speculazione edilizia dei decenni a noi pi
vicini. Il saggio anche loccasione per seguire la ben poco nota
storia della documentazione fotografica a Pompei, vale a dire
dellutilizzo della fotografia da
parte dellamministrazione degli
scavi, prima borbonica poi del
Regno dItalia. Notevole la proposta avanzata gi nel 1853 per
la formazione, a Pompei, duno
Stabilimento Fotografico che,
nelle lucide intenzioni dei suoi
ideatori, avrebbe migliorato la
qualit della documentazione di
scavo e della ricerca, non senza
rappresentare unattivit imprenditoriale
potenzialmente
remunerativa per lamministrazione,
viste
le ampie possibilit
commerciali di queste
fotografie. Una proposta senza dubbio antesignana, come lautore
sottolinea, ma anche,
io credo, unoccasione
perduta, una delle tante nella storia degli scavi di Pompei, la cui conduzione,
soprattutto nellOttocento borbonico, si conferma piena di luci
e di ombre, come era daltronde
forse inevitabile, vista lenormit,
da ogni punto di vista, della posta
in gioco.
Il secondo saggio del volume
firmato da Marina Miraglia, che
cura anche la scelta delle 130
tavole e il relativo, impeccabile, apparato di didascalie,
quasi delle schede di catalogo. Lautrice, nome illustre
nel campo degli studi sulla
fotografia, ci consegna un
testo di ampio respiro, denso, ricco di nomi e di riferimenti storici e teorici, dove
le vicende della storia della
fotografia
pompeiana
sono analizzate allinterno
della fitta trama di fenomeni
che le sono connessi: dalle
altre forme darte ai mutamenti politici e sociali, dalla
storia delle tecniche fino a
quella dei musei e della tutela. Un testo anche questo
che mancava alla storia della
fotografia. Miraglia inizia il
suo racconto coi dagherrotipi di Alexander John Ellis
(1841), di cui sottolinea la continuit con gli schemi visivi tradizionali, ma anche gli elementi
di novit (una certa libert, e
una maggiore attenzione alla topografia dei luoghi); lo prosegue
coi nomi di Richard Calvert Jones, George Wilson Bridges e di
Stefano Lecchi, autore del primo
reportage della storia della fotografia (sulla caduta della Repubblica romana nel 1849), fino ad
arrivare ad Alfred-Nicolas Normand. Questultimo, architetto e
decoratore, usa la fotografia anche per costituire un ricco repertorio di forme utile alle sue attivit professionali, e in ci forse
il vero iniziatore di quel cortocircuito che viene a crearsi grazie
al continuo e fruttuoso scambio
fra fotografia, pittura, scultura,

Fotografia
architettura e decorazione, un
cortocircuito che dalla fine degli
anni cinquanta diventa peculiare
del gusto neopompeiano fino alla
fine del secolo. Questo intreccio
strettissimo tra la fotografia e la
pittura, tra la storia della fortuna
di Pompei (e del Museo di Napoli) e quella del turismo e del
mercato artistico, resta dunque
per lautrice il modo migliore per
inquadrare e analizzare lattivit
della numerosa schiera di fotografi attivi a Pompei negli anni sessanta e settanta del secolo. I nomi
sono quelli di Alphonse Bernoud,
Robert Rive, Giorgio Sommer,
Michele Amodio, ma anche quello meno noto di Cesare Vasari,
fino ai celebri e appena pi tardi
Alinari, Brogi e Chauffourier. Di
Sommer vengono sottolineati il
ruolo di promotore duna documentazione capillare e democratica di Pompei (e del Museo) e
il suo impegno imprenditoriale, e
neopompeiano, a tutto tondo,
che lo porta a essere uno dei migliori fonditori di copie di sculture, mobilia e oggetti duso quotidiano del Museo di Napoli.
A parte uninteressante incursione nella fotografia novecentesca e contemporanea, quasi
unappendice al testo, il saggio si
chiude con i fotografi pittorialisti
Guido Rey, Guglielmo Plschow
e Wilhelm von Gloeden. A proposito di Rey profondamente
ispirato, com noto, da un pittore come Lawrence Alma-Tadema
lautrice sottolinea ancora una
volta il continuo rispecchiamento tra pittura e fotografia: se il
pittore anglo-olandese aveva
largamente utilizzato limmagine
meccanica per i suoi quadri, con
Rey questa volta un fotografo
che quasi in un refrain e in un

cerchio che non ha fine, guarda


alla pittura per appagare la propria sensibilit estetica.
Marina Miraglia purtroppo
scomparsa proprio alla fine del
2015, mentre era impegnata a
riscrivere, a quarantanni di distanza, il suo Michetti fotografo. A me sembra che il saggio
che qui ci lascia, sulla fotografia
a Pompei, sia non solo un contributo prezioso e un modello di
ricerca, ma anche di fatto, pi o
meno consapevole che ne sia stata, un progetto di mostra. Che
sarebbe auspicabile realizzare,
magari dedicandola alla memoria
di questimportante studiosa. n
ami75020@gmail.com
A. Milanese storico dellartal Museo
archeologico di Napoli

Colonia comera
di Andrea Casalegno
August Sander
Uomini
del ventesimo secolo
con uno scritto di Alfred Doeblin,
pp. 222, 38,
Abscondita, Milano 2016

150 magnifici ritratti in


Smenoono
bianco e nero (pi uno non
bello dellautore, il foto-

grafo August Sander, 1925), scattati tra il 1902 (Anna, la moglie di


Sander, a Linz) e il 1945 (un giovane soldato della Wehrmacht),
riuniti sotto il titolo programmatico: Uomini del ventesimo secolo. Li pubblica Abscondita in
grande formato, introdotti da sei
pagine di un grande
scrittore, Alfred Doeblin, come avvenne
nella prima edizione
tedesca del 1929, qui
nella versione di Angelica Tizzo.
August Sander un
caso singolare tra i
grandi fotografi della
prima met del Novecento. Nato in una
cittadina austriaca nel
1876 da una solida
famiglia di tradizione contadinoartigiana, dopo aver faticosamente conquistato il successo come
ritrattista della buona societ a
Linz e raffinato interprete dello
stile pittorico allora in voga,
premiato in esposizioni nazionali e internazionali (due medaglie
doro solo nel 1904, di cui una a
Parigi), quellaffermato fotografo darte va incontro, a cavallo
della Grande guerra, a
uninaspettata conversione, ripudia lo stile elegante
che lha caratterizzato fino
a quel momento e si converte allindagine sociologica e al suo strumento:
una fotografia oggettiva
che sembra ispirarsi alla
principale corrente letteraria del dopoguerra, la Neue
Sachlichkeit, o Nuova oggettivit.
Le tappe di questo cambiamento sono graduali.
Nel 1909 Sander si trasferisce in Germania, nei
pressi di Colonia, dove in
parte modifica la sua clientela. Senza rinunciare alla
committenza borghese cittadina, sempre fedele alla
foto elegante, comincia
a ritrarre i personaggi di una societ contadina che gli particolarmente cara perch gli ricorda
linfanzia. Poi, dopo la guerra, e
soprattutto a partire dal 1921, ripudia sempre pi nettamente lo
stile pittorico per accostarsi a
quello oggettivo, che aborrisce
ogni forma di ritocco e di effetto
flou, e finir per condannare duramente le caratteristiche peculiari della prima parte della sua
vita professionale.
Sander si vota alla fotografia
documentaria, a unesattezza
che testimonianza di un impegno anche politico. Sostenitore
della Repubblica di Weimar e
del partito socialdemocratico tedesco, a partire dal 1924 coltiva
un progetto ambizioso. Professionista ormai celebre, non di-

pende pi dalla committenza e


pu dedicarsi al compito di documentare la struttura della societ tedesca attraverso una serie
di volti non pi identificati come
individui ma come tipi sociali: il
contadino, il manovale, il maniscalco, il pasticciere, lingegnere,
lindustriale, il notaio, lattore,
larchitetto. E come tali compaiono questi ritratti, accompagnati da didascalie di genere, quasi
sempre prive di nome proprio,
nel volume del 1929 prefato da
Doeblin: Antlitz der Zeit (Volto
del tempo).
Quel volume per non vuol
essere che un assaggio. Lintento
di Sander comporre una vera
e propria mappa della societ,
che si dovr chiamare
Uomini del ventesimo
secolo. Lopera completa, che non vedr
mai la luce, doveva essere divisa, come risulta da un appunto del
1924, in sette sezioni,
dalle quali emerge con
chiarezza lambizione
di una vera e propria
indagine sociologica:
il mondo contadino,
i lavoratori manuali,
la donna, le posizioni sociali (lo
studente, il funzionario, il professionista, il commerciante, il
politico, e cos via), gli artisti, la
grande citt, gli ultimi (idioti,
malati, dementi).
Una serie di conferenze radiofoniche del 1931 segna lapice
del successo di Sander. Ma le sue
convinzioni, e gi semplicemente
la sua passione per la verit, non
possono non metterlo in contrasto con le autorit naziste, che
lo mettono al bando, sequestrano le copie invendute di Antlitz
der Zeit, ne fanno distruggere i
clichs. Suo figlio Erich, attivista
del partito comunista, morir in
prigione nel 1944. Tra il 1934 e il
1945 la sua attivit di fotografo
semiclandestina: la sua camera si
limita alla luce del sole a unattivit neutra (documenta Colonia
comera), mentre in segreto fotografa gli oppositori del regime
e gli ebrei perseguitati. Egli fa
parte, insomma, di quell emigrazione interna alla quale lemigrato Thomas Mann riserver
parole dure, ma che fu pur sempre unopposizione al periodo
pi buio della storia tedesca.
Il secondo dopoguerra non
riporta Sander alla fama. Muore
nel 1964 a Colonia e deve attendere pi di dieci anni il riconoscimento postumo che merita. Questo splendido volume antologico
(che riduce unanaloga pubblicazione tedesca del 1980) ne fa
parte. Le fotografie sono di qualit eccezionale. Non altrettanto
pu dirsi dellambizioso scritto
iniziale di Doeblin, che filosofeggia su una duplice forma di livellamento degli esseri umani:
la tipicit sociale (qui documentata) e la morte. Ed la morte a
chiudere il volume con il volto di
donna anziana sul suo catafalco.
Siamo nel 1927. Una profezia del
destino della Germania?
n
casalegno.salvatorelli@gmail.com
A. Casalegno giornalista

24

N. 7

Alle radici del futurismo


di Virginia Baradel
Umberto Boccioni
(1882-1916)
Genio e memoria
a cura di Francesca Rossi
con Agostino Cont,
pp. 307, 34,
Electa, Milano 2016

occioni 1882-1916. Genio e


B
memoria in corso a Milano a
Palazzo Reale sino al 10 luglio, ap-

pare come una mostra del centenario niente affatto celebrativa ma


al contrario felicemente di studio.
Lavverbio giustificato sia da un
piccolo giacimento di prove
che stazionavano silenti da mezzo
secolo nei depositi della biblioteca di Verona, sia dallapproccio
scientifico animato da
unappassionata volont di ricerca che Francesca Rossi ha posto in
essere nellottenere da
quei documenti, dopo
il lungo silenzio, il massimo di eloquenza. Il
risultato una copiosa messe di rinnovate
riflessioni sul maestro
del futurismo. Linsieme delle immagini
ritagliate e composte
dallartista e la rassegna stampa
sul futurismo, portati alla luce e
studiati sin dal 2013 da Francesca Rossi e Agostino Cont della
Biblioteca di Verona, si compone
di due distinte raccolte: latlante
della memoria, ovvero un corpus
di 22 fogli di cartoncino su cui
Boccioni incollava ritagli di opere darte o di decorazioni di vario
genere ed epoca, e una raccolta
di articoli di quotidiani e riviste
che riguardavano mostre, sortite,
iniziative futuriste, probabilmente realizzata in collaborazione
con Marinetti. Questa duplice e
inedita riserva di indizi sulla formazione e sullattivit futurista,
consente altres di ricostruire una
costellazione di riferimenti, di
confronti, di riscontri che emoziona e stimola laddetto ai lavori, ma cattura anche il visitatore
perch comprende che vi stato
un tempo in cui il feroce fustigatore del passatismo sincantava
di fronte a Drer e a Giovanni
Bellini, alla linea sbalzata e allalta
definizione figurativa. E sappiamo come il tempo nella vita
di Boccioni sia stato cos breve e
tumultuoso che dallinfatuazione
per la Piet di Brera a La citt sale
passano poco meno di due anni.
Laltro giacimento noto, ma ora
esposto per intero e valorizzato
nella nuova disamina scientifica,
costituito dai sessanta disegni di
Boccioni conservati al Gabinetto
del Castello Sforzesco. Di massimo interesse sono i disegni destinati ad accompagnare le sculture
nelle mostre itineranti del 19131914: si comprende laccanimento sperimentale e didattico con
cui Boccioni perseguiva limplacabile intenzionalit, anche dimostrativa, di restituire la compenetrazione plastico-dinamica dei
corpi come se fosse una questione
non di rappresentazione ma di verit. Un tratto di personalit, questo, che ha sempre caratterizzato
la sua attivit artistica, sin dagli
esordi. Emerge dallinsieme della

mostra e dal catalogo limportanza assoluta del disegno nellopera


di Boccioni quale fondamento
per ogni impresa e variazione
espressiva. La mostra dunque
si presenta come un organismo
pulsante che procede sia per cronologia che per nuclei tematici
variamente intestati e dunque richiede una certa elasticit, unattenzione mobile sia al corpo e allo
sguardo del visitatore, sia alla sua
mente: non solo contemplazione
delle opere ma riflessione attiva,
poich ogni opera corredata da
una singolare variet di spunti di
approfondimento. Sintrecciano
dipinti e sculture, disegni, incisioni, fotografie, cartoline, manifesti.
Il catalogo concepito come
uno strumento fedele
al disegno curatoriale
e al percorso espositivo. Impresa non facile, che poteva indurre
una certa artificiosit
nel trasferimento della stimolante variet
dellallestimento alla
rigidit dellimpaginato, con la sequenza di
contributi e immagini.
La perfetta aderenza
chiara sin dallinizio
con la riproduzione anastatica
delle tavole dellatlante, tale da far
apprezzare demble il fascino di
quei reperti e lappetito di studio
che sprigionano. Opere e documenti esposti in mostra, in totale
280 pezzi, sono distribuiti lungo
i testi, ribadendo in tal modo il
carattere di ricerca delloperazione nel suo complesso, di potenziamento della comprensione dellopera di Boccioni sin dagli esordi.
In questo percorso i Diari, arrivati
dal Getty Research Institute di
Los Angeles, rappresentano il
vero laboratorio mentale di tor-

menti e aspirazioni dellinquieto


giovane, che dichiara la netta volont di sacrificare tutto se stesso
sullaltare di unarte che ancora
attende il suo vate. LAtlante
a essi coevo e presenta riproduzioni di opere antiche e moderne, prelievi da riviste o prove di
stampa provenienti soprattutto
da Emporium tramite lamico Gabriele Chiattone. Le opere
vanno dal marmoreo corteo delle
Muse del Rilievo Chini a sculture
di Vincenzo Vela, Leonardo Bistolfi e Medardo Rosso; dalle grafiche di Albrecht Drer a quelle
di Flicien Rops, Joseph Sattler
e Odilon Redon; dai dipinti di

Arte
Giovanni Ambrogio de Predis a
quelli di Jaques mile Blanche,
Richard Edward Miller, Anders
Zorn, Frank Brangwyn, Giovanni Segantini, Gaetano Previati e
Pablo Picasso. La variet delle
opere dimostra il vorace desiderio di modelli: lo scarto tra limmensit del compito di rifondare
larte in linea con la scienza e la
filosofia e le sue risorse (tecniche,
economiche, culturali) alimenta
la drammaticit di quel tratto di
biografia (1906-1909) in cui compone la raccolta dei ritagli che, al
fine, rappresentano una specie di
ancora nella ricerca spasmodica
di verificare tracciati, informazioni e riferimenti per una personale
enciclopedia artistica. Su questo
inedito e formidabile repertorio
si sofferma in catalogo Francesca Rossi elaborandone la consistenza in funzione della capacit
di costituirsi come fonti. Aurora
Scotti prende in esame i ritratti
e gli autoritratti dipinti di quegli
stessi anni, basati su variazioni di
stile che oscillano tra la pennellata
veloce e sintetica della pittura moderna parigina e il divisionismo di
Balla. Antonello Negri approfondisce il ruolo della scena urbana
che scorre lungo tutta la ricerca
di Boccioni, mentre Sergio Rebora si sofferma sul rapporto con
Alberto Grubicy e la galleria che
aveva fatto la fortuna del divisionismo. Nella prima sezione del
catalogo, dedicata alla formazione
e alle fonti, un ruolo significativo
attribuito alla grafica, oggetto
dellanalisi critica di Giovanna
Mori e Claudio Salsi. Infine Nicol
M. Mocchi entra nel merito della
consultazione da parte di Boccioni dei periodici illustrati dellepoca. La sezione Pratica e teoria
affronta linee di analisi relative
allapprodo futurista. Alessandro
Del Puppo affronta il tema della
sintesi del dinamismo nel passaggio dalla pittura alla scultura;
mentre di dinamismo tout court
parla Ester Coen: entrambi offrono un prezioso aggiornamento
dei loro studi sul futurismo boccioniano che si dispiega specularmente nella sperimentazione
artistica e nella riflessione teorica.
Si spinge verso la cinematica Denis Viva, che mette in relazione
moto assoluto e moto relativo nel
dinamismo plastico teorizzato e
praticato dallartista. Rosalind
McKever tratta della fortuna delle sculture di Boccioni negli Stati
Uniti mentre, a conclusione di
questa sezione, Francesca Rovati
approfondisce lorientamento di
ricerca dellultimo Boccioni tra
citazioni picassiane e riscoperta czanniana. La seconda parte
del catalogo prende in esame
gli apparati di documentazione.
Agostino Cont rende conto del
fondo Callegari-Boccioni donato
nel 1955 dallamata sorella Amelia alla Biblioteca veronese; Margherita dAyala Valva della tecnica pittorica quale si evince dagli
scritti di Boccioni; Danka Giacon
dei materiali dellArchivio Bisi
Crotti al Museo del Novecento.
Lultima parte dedicata ai disegni del Castello Sforzesco ed
affidata alla penna di Francesca
Rossi, Silvia Vacca, Letizia Monn
talbano e Mattia Patti.
vbaradel@alice.it
V. Baradel critica
e storica darte del Novecento

Indagando Gaudenzio
di Francesco Frangi
Giovanni Testori
Il gran teatro
montano
pp. 302, 30,
Feltrinelli, Milano 2016

opo
esattamente
cinD
quantanni, torna in scena,
in una nuova edizione a cura di

Giovanni Agosti, sempre da Feltrinelli, il Gran teatro montano,


la raccolta di scritti dedicati da
Giovanni Testori a uno dei suoi
beniamini: il pittore e scultore
vercellese del Cinquecento Gaudenzio Ferrari. Frutto di una felice intuizione dellautore, il titolo
evoca il luogo nel quale pi che
altrove si condensa lo spirito della poetica gaudenziana, il Sacro Monte di
Varallo, vero epicentro
fisico e sentimentale del libro, che nella
sua versione originale (1965) raccoglieva
cinque testi redatti nel
decennio precedente
e aveva come decisivo
propellente la grande
mostra sullartista tenutasi al Museo Borgogna di Vercelli nel
1956.
Con una scelta intelligente, la
nuova edizione curata da Giovanni Agosti propone per di
affiancare a questo nucleo altri
scritti coevi e successivi dedicati
al medesimo tema da Testori, tra
i quali spicca limportante Promemoria gaudenziano pubblicato nel
1957: una sorta di consuntivo, a
sale appena chiuse, della mostra
vercellese. Il libro diventa cos
loccasione per ripercorrere nella
sua interezza, fino alla met degli
anni ottanta del Novecento, la
passione di Testori per Gaudenzio, avendo come affidabile viatico due densi saggi dello stesso
Agosti. Mentre il primo definisce
la cornice culturale e il momento
della storia di Testori entro cui
prese forma il volume del 1965,
il secondo fornisce tutti gli strumenti per calare gli studi di Testori entro la pi vasta parabola
della fortuna di Gaudenzio negli
ultimi sei decenni e per cogliere
la diversificata ricezione delle sue
proposte. Ne scaturisce un prezioso repertorio della storiografia
moderna sullartista, che nella
ricchezza dei riferimenti bibliografici chiamati in causa e nella
complessit dei problemi filologici evocati lascia intendere quanto
siano mutate le consuetudini della storia dellarte rispetto ai tempi
dei primi scritti di Testori. Quando cio la produzione scientifica
su una vicenda come quella di
Gaudenzio poteva essere padroneggiata con una certa disinvoltura e senza correre il rischio di
restarne sovrastati.
Ma la densit di quellapparato di note e di precisazioni ci
dice anche altro. Ci fa cio capire
come, tra tutte le avventure dello scrittore lombardo nel campo della storia dellarte, quella
degli studi su Gaudenzio sia da
riconoscere come lesperienza
maggiormente scandita da una
costante, battagliera propensione
per la ricerca, intesa in ogni sua

implicazione. Ricerche territoriali, innanzitutto, attestate dalle


ripetute ricognizioni tra Valsesia,
vercellese e novarese, sollecitate in particolare dal desiderio di
arricchire una delle fondamentali acquisizioni delle indagini di
Testori, e cio la ricostruzione
dellattivit di Gaudenzio come
scultore. Ma anche ricerche, per
quanto non sempre impeccabili,
sulle fonti documentarie e letterarie; e poi riscontri finalizzati a
recuperare la destinazione originaria delle opere: come nel caso
delle tavole gaudenziane della
Galleria Sabauda di Torino e della National Gallery di Londra,
individuate quali scomparti del
polittico commissionato allartista nel 1508 dalla confraternita di SantAnna
a Vercelli. E infine accertamenti e scoperte
da vero conoscitore,
in grado ad esempio
di comprendere lautografia delle grandi tele
con gli Evangelisti della chiesa di San Cristoforo a Vercelli, rifiutate
alla mostra del 1956 in
quanto ritenute di qualit inadeguata rispetto
allo standard di Gaudenzio.
Non sempre, ovviamente, gli
esiti si rivelano cos fortunati. Ci
nulla toglie, in ogni caso, allimpegno di questo approccio, che
trova forse la sua applicazione
pi esplicita nel gi ricordato Promemoria gaudenziano del 1957,
nel quale il susseguirsi delle riflessioni filologiche assume quasi
un tono da storico dellarte professionale. Quanto basta per
mettere in discussione il clich
di Testori solo scrittore darte
e solo interprete appassionato,
a tratti impareggiabile, dei fatti
figurativi.
bene per non equivocare

sulla questione; e per evitare


sbandamenti sul versante op-

posto rispetto a quel clich non


c che leggere, dopo quelle del
Promemoria, le pagine scritte nel
1961 a commento della cappella della Crocefissione del Sacro
Monte, il capolavoro cui Gaudenzio diede vita poco prima del
1520, mettendo in campo il meglio del suo magistero di pittore
e scultore. Nel descrivere (ma il
verbo inadeguato) la calca attorno al Calvario di donne angosciate, soldati, bambini e angeli
in lacrime dalle carni di un rosa
indicibile, ogni argomentazione specialistica spazzata via.
E ci che potentemente affiora
lunica vera ragione dellinteresse di Testori per Gaudenzio:
la capacit dellartista di mettere
in scena il gran teatro degli uomini, con una verit e una trepidazione nelle quali lo scrittore si
riconosce e identifica totalmente. Come a dire che la ricerca
necessaria, ma che a darle senso
solo la possibilit di trovare,
nelle opere che ne sono oggetto,
qualcosa del proprio modo di inn
tendere la vita.
ffrangi@unipv.it
F. Frangi insegna storia dellarte moderna
alluniversit di Pavia

25

N. 7

Ogni volta diverso


di Franco Fabbri
Marcus ODair
Different Every Time:
la biografia autorizzata
di Robert Wyatt

ed. orig. 2014, trad. dallinglese di


Alessandro Achilli,
pp. 445, 29,
Giunti, Firenze 2015
molto da imparare, a legC
gere una biografia di Robert
Wyatt, specialmente questa, scrit-

ta dal critico, docente universitario di popular music e musicista


Marcus ODair. Estimatori di
Wyatt e anche amici personali
hanno confessato, dopo averla letta, di aver fatto pi di una
scoperta, nelle pieghe
dellattivit
davvero
multiforme del compositore, autore, cantante, polistrumentista
e agitatore inglese. Ma
sarebbe davvero desiderabile che una volta
tanto un libro come
questo
raggiungesse
anche un altro pubblico, diverso e pi ampio rispetto a quello
degli appassionati di
rock progressivo, jazz, impegno
militante, che comunque riconoscono in Wyatt una figura-guida
da pi di quarantanni. Lettori
interessati alle cose musicali in
generale troverebbero spunti per
falsificare i luoghi comuni pi
triti intorno alla popular music; appassionati della canzone
dautore riconoscerebbero modi
differenti per essere un cantautore, fuori dai modelli schematici
dellauteur-compositeur-interprte
francese o del singer-songwriter
angloamericano (un Premio Tenco per Wyatt, magari?); chi ama
il cinema indipendente inglese e
non si perde un film di Ken Loach potrebbe cogliere aspetti non
marginali di quella scena; e chi
non ha ben capito come mai una
figura poco patinata come Jeremy
Corbyn abbia potuto diventare
segretario del Labour Party, mobilitando energie giovanili insospettate, forse scoverebbe qui le
tracce di un fiume sotterraneo di
resistenza che si farebbe troppo
presto a dichiarare fuori moda.
Wyatt stato il fondatore dei
Soft Machine, un gruppo importante della popular music inglese
(dico inglese e non britannica
perch non risultano tracce di gallesi, scozzesi o irlandesi), e di un
altro gruppo meno noto, se non
ai fan, i Matching Mole (letteralmente, la talpa in tono, ma un
gioco di parole, perch in Francia
i Soft Machine erano chiamati la
machine molle). Entrambi, insieme allo stesso Wyatt, sono ascritti
da decenni a un sottogenere del
rock progressivo, detto scuola di
Canterbury, o Canterbury scene.
Wyatt ha sempre sostenuto (e il
suo biografo riporta e, pare, asseconda) che quella scuola non
sia mai esistita. Cos come, del
resto, sono ben poco fondate le
attribuzioni di scuola romana o
scuola genovese per alcuni cantautori italiani. Il fatto che Wyatt
e alcuni suoi amici musicisti sono
vissuti per un certo periodo a

Canterbury e l hanno cominciato


a frequentarsi, ma il grosso della
loro attivit si svolto a Londra:
non esistono, dunque, nemmeno
le condizioni di base per usare
tecnicamente il concetto di scena (piuttosto fortunato negli studi sulla popular music da un po
di tempo), e quanto alla scuola
quello che forse conta davvero
che i musicisti coinvolti appartenevano (a differenza di altri protagonisti del rock degli anni intorno al 1970) alla media borghesia
intellettuale, ed erano pi colti e
sofisticati. Tutto qui. Ci sono, comunque, ragioni per mettere insieme i Soft Machine e i Matching
Mole, i Gong e gli Hatfield and
the North, e la vasta produzione
di Robert Wyatt come
responsabile di lavori
intestati a lui solo: ma
dalla lettura di Different Every Time si ha
la conferma che nella
tassonomia del rock
inglese lo stesso spazio semantico dovrebbe essere occupato da
molti altri, vicini per
interessi, formazione,
poetiche, inclinazioni
politiche, e che in effetti hanno collaborato e continuano
a collaborare con Wyatt e i suoi
amici delladolescenza, ma che
impossibile localizzare a Canterbury. Peccato. Del resto, il mondo chiama con fiducia musica
barocca la musica composta nel
periodo intermedio fra lepoca rinascimentale e quella classica, anche se lipotetico barocco musicale (un concetto proposto da Curt
Sachs nel 1919) ha ben poco a che
fare con quello architettonico e
pittorico, e musicologi autorevoli

negano recisamente che la musica


barocca sia mai esistita. Pace per
la scuola di Canterbury.
Chi non conoscesse Wyatt potrebbe compiere un primo passo
ascoltando Sea Song, dal suo secondo album da solo (il primo
dopo lincidente che lo rese paraplegico), Rock Bottom (1974).
Il primo verso, You look different
every time, ha suggerito il titolo
della biografia: la voce di Wyatt,
antiretorica, quasi incorporea,
si sovrappone a un tappeto di
tastiere ugualmente non pretenziose, quasi da organo giocattolo, con piccole, timide escursioni
politonali (siamo nellepoca del

Musica
progressive rock pi intricato o
di album magniloquenti come
The Dark Side of the Moon, che
dellanno prima). Quella voce
la costante, la cifra inconfondibile
dello stile di Wyatt, che percorre
tutta la sua storia dai Soft Machine (o, volendo, dai precursori
Wilde Flowers) ai tempi pi recenti (lultimo album, Comicopera, del 2007). Il libro di ODair
ci guida in un percorso molto pi
accidentato e tortuoso di quello
che la voce malinconica di Wyatt
(anche quando canta LInternazionale) parrebbe suggerire, ma
la narrazione altrettanto understated: perfino lincidente (una
caduta dal terzo piano) che nel
1973 ridusse Wyatt in fin di vita e
lo costrinse per sempre alla sedia
a rotelle, passa non dico inosservato, ma come uno dei tanti avvenimenti che in ogni caso segnano
indelebilmente una storia. In
quella storia ha un ruolo importantissimo, da un certo momento
in poi, Alfreda Benge, la seconda
moglie di Wyatt, il cui contributo
al lavoro del marito riceve giustizia ben al di l del politicamente
corretto: anche solo per questo
Different Every Time meriterebbe
attenzione, e qualche riflessione
sulle mancanze di altre biografie
di grandi uomini che hanno
avuto la fortuna di avere al fianco
donne indubbiamente ma discretamente grandi. Molti altri personaggi in penombra compaiono
in continuazione nel racconto di
ODair, in un moto browniano
di menti lucide e artigiani dingegno nel quale emergono nomi
che ci aspetteremmo (i membri
dei gruppi di Wyatt, e poi Chris
Cutler, Fred Frith, gli sfortunati
Gary Windo e Mongezi Feza, Julie Driscoll, Mike Oldfield) e altri
che aprono spiragli meno prevedibili, come Phil Manzanera (ex
Roxy Music, la cui immagine
difficile collegare allo stile visuale
e musicale sottotono di Wyatt). E
poi c la sorpresa (almeno per il
recensore): Julie Christie, Oscar
per Darling nel 1965, Lara nel
Dottor Zivago (1965), animatrice
della scena londinese degli anni
sessanta, vicina alle idee di Wyatt
e di altri protagonisti delle avanguardie (come Sally Potter, per
la quale recit in un film narrativamente molto ardito, The Gold
Diggers, 1983, con musiche di
Lindsay Cooper). Dopo lincidente che paralizz Wyatt alle gambe,
Julie Christie gli regal la propria
casa, permettendogli di evadere
dalla prigionia di un grattacielo popolare dove aveva abitato
per un po. Una curiosit, s: ma
quanto sappiamo, allora, di quel
mondo, di quegli anni?
Il libro stato tradotto da Alessandro Achilli, grande conoscitore (e, fra i conoscitori, il meno
mitizzante) di quelle musiche: traduzione ottima, che non incappa
mai nei pericolosi falsi amici della
terminologia musicale. C qualche piccola, perdonabile, svista di
impaginazione. Ottimi, indispensabili (anche in tempi di Internet),
gli apparati. Purtroppo manca un
indice dei nomi, che in un libro
cos ci vorrebbe, ma il volume
corposo e si comprende la preoccupazione delleditore di non
n
eccedere.
www.francofabbri.net
F. Fabbri insegna storia della popular music
al Conservatorio di Parma

Per Dallapiccola
il Grimes era fregno
di Marco Emanuele
Simona Caputo e Alessandro Maras
Who can turn
the skies back
and begin again?
Nove studi su Benjamin Britten
pp. 200, 30, LIM, Lucca 2015

e opere di Britten sono state


L
spesso rappresentate in Italia:
la prima di The Turn of the Screw

(1954) avvenne a Venezia, citt alla


quale il compositore era legato e
nella quale trascorse intensi periodi di vacanza-lavoro. Eppure fino
a pochi anni fa il lettore italiano
disponeva quasi solo della monografia di Barbara Diana dedicata a
Death in Venice (Il sapore della conoscenza, Paravia-De Sono, 1993).
Oggi il panorama pi
ricco: ci sono la monografia di Alessandro
Macchia (si legga Carlo
Migliaccio, LIndice
2013, n. 6) e lo studio di
Chiara Garzo sulla produzione da camera (In a
garden shady, dellOrso,
2012). Ben venga quindi una raccolta simile
alle numerose pubblicazioni inglesi, utili per tastare il polso alla musicologia attuale: da The Cambridge
Companion to Benjamin Britten (a
cura di Mervin Cooke, Cambridge
University Press, 1999) a Benjamin Britten. New Perspectives on
his Life and Work (a cura di Lucy
Walker, The Boydell Press, 2009)
e a Rethinking Britten (a cura di
Philip Rupprecht, Oxford University Press, 2013). C da chiedersi,
per, se non sia il caso di offrire in
traduzione parte della ricerca maggiore e dei documenti disponibili
in originale: lo sterminato e affascinante epistolario, in sei volumi; gli
studi che Philip Brett ha dedicato a
Britten nel corso di una vita di studioso gay militante.
Ampiamente presente in terre
anglofone, una ricerca che intrecci sessualit, identit di genere,
scelte poetiche e drammaturgiche
ci sembra il punto di partenza per
questo e altri compositori. Tutto
ci assente nel panorama italiano.
Del resto la lettura queer di Britten,
iniziata da Brett e proseguita da
Lloyd Whitesell e Ruth Longobardi, bollata come generation old
da J. P. E. Harper Scott in un saggio sul Grimes: lomosessualit del
compositore affare noto, non il
caso di tirarla in ballo ogni volta.
Solo che, in un contesto in cui gli
studi queer non hanno attecchito,
la rimozione sospetta.
Nella raccolta curata da Caputo e Maras non c rimozione, per
fortuna: si parla un po di tutto,
con metodologie e linguaggi diversi per ogni contributo. Cos la
questione del rapporto tra omosessualit e creazione artistica affiora timidamente. Lantologia non
segue un criterio omogeneo, se
non quello di essere composta da
studi recenti. Confluiscono lavori
di provenienza diversa, di cui due
disponibili in rete: quello, lungo e
contorto, di Christopher Chowrimootoo, Lopera borghese: Death
in Venice e lestetica della sublimazione, e quello di Davide Daolmi,
Niente sesso, siamo Inglesi, tratto
da un programma di sala. Oltre al

contributo di Heather Wiebe sulla


prima opera di Britten, Paul Bunyan, su libretto di W. H. Auden
(Scoprire lAmerica) e alla lettura
musicale di The Turn of the Screw
offerta da Alessandro Cecchi con
linguaggio chiaro, ma non superficiale (Contatti scabrosi), quattro
saggi provengono dalle Giornate
di studio organizzate a Roma nel
2014 dallassociazione Assonanze
e dalla Sapienza. Oltre a quello di
Cecchi, sono questi i saggi pi utili
e accessibili al non specialista. Caputo dedica osservazioni alla Passacaglia nel primo Novecento, in
particolare alla funzione di quella
che taglia in due il Grimes, suggerendo un paragone
con la Lady Macbeth di
Shostakovich; Federica
Marsico, sulla scorta di
Brett, offre una lettura queer della Phaedra,
canto del cigno del
compositore e punto
di partenza per un confronto con altre Fedre
di compositori gay contemporanei, Bussotti e
Henze; Maras presenta
la Sinfonia da Requiem
commissionata dal governo giapponese e rifiutata durante la Seconda guerra mondiale;
Eugenio Refini indaga le scelte poetiche di Britten nel caso emblematico dei Sette sonetti di Michelangelo, in cui vita e creazione artistica si
intrecciano in modo indiscutibile,
giusta la mediazione di John Addington Symonds, una delle prime
voci dellomosessualit maschile
nel contesto culturale sessuofobico
dellInghilterra vittoriana.
Limitata a quattro opere, ma interessante, la rassegna della ricezione
italiana fornita da Giuliano Danieli
e Alxandros M. Hatzikiriakos.
Oltre alla cronologia (1946-1988)
si leggono stralci di recensioni che
testimoniano
lincomprensione
della critica negli anni cinquanta.
Alcuni studiosi titolati scrivono
che nel Grimes non accade musicalmente nulla: inconsistente,
fregno e mal fatto. Lultima
voce, ci duole dirlo, di Luigi Dallapiccola. Servirebbe un intero volume per commentare laggettivo
fregno e la reazione della cultura
italiana di fronte allambiguit sessuale presente in ogni opera di Britten: la stessa cultura che giudicava
Pasolini. In The Turn of the Screw
(per La Nazione) c un che di
afoso, torbido, melmoso,
che ne fa una specie di trattato di
psicopatologia sessuale, mentre
Renzo Rossellini, fratello del regista, si chiede se lopera si rivolge
a gente normale oppure agli iniziati
di un particolare mondo di cui a
noi sfugge lintima idealit. In una
frase cos, il non detto costruisce
pi di quanto si dica: la frecciata
va a segno. A onore di pochi, ricordiamo che non tutto fu cos becero: Eugenio Montale e Massimo
Mila colgono grandezza e novit di
Britten, mentre Goffredo Petrassi,
dopo aver definito discutibile il valore del Grimes, cambia idea e ammette umilmente che in The Turn
straordinaria la perfezione della
prosodia.
n
torinomemanuele69@gmail.com
M. Emanuele dottore di ricerca in culture
classiche e moderne allUniversit di Torino

26

N. 7

Un solvente che ci parla di tutto


di Davide Lovisolo
Alok Jha
IL LIBRO DELLACQUA

La storia straordinaria della


pi ordinaria delle sostanze

ed. orig. 2015, trad. dallinglese


di Luigi Civalleri,
pp. 372, 24,
Bollati Boringhieri, Torino 2016

acqua davvero la pi familiare delle sostanze per tutti gli


umani (e non solo), e tutti credono di conoscerla: cosa c di pi
semplice che bere un bicchier
dacqua? In realt alla molecola
che sta alla base dellesistenza di
tutte le forme di vita presenti su
questo pianeta la maggioranza di
noi non presta molta attenzione, e non
ha forse mai riflettuto
molto sulle sue particolari propriet e su
quanto ogni aspetto
della nostra esistenza
ne sia condizionato.
Alok Jha, fisico di formazione e affermato
giornalista scientifico,
gi collaboratore di
The Guardian, ci
apre le porte del mondo dellacqua e ci accompagna
in un racconto piacevole ed avvincente. Parlare di acqua vuol
dire poter parlare di quasi tutto,
ed quello che lautore fa: il libro strutturato sullalternarsi
di capitoli che raccontano la sua
esperienza di partecipante a una
missione scientifica in Antartide
(lambiente pi estremo, per molti aspetti, del nostro pianeta, dove
lacqua nelle sue varie forme domina su tutto) e capitoli che trattano la natura della molecola di
acqua, i diversi stati in cui si pu
presentare, il suo rapporto con la
vita, sul pianeta terra e non solo.
Il libro molto piacevole, ricco di
documentazione ma di scorrevole
lettura, ed davvero un ottimo
esempio di giornalismo scientifico
di alto livello.
I capitoli dedicati allavventura
fra i ghiacci antartici sono un classico resoconto di viaggio, con belle e coinvolgenti descrizioni delle
difficolt di adattamento ad un
mondo selvaggio ed ostile, a cui le
varie specie rispondono con strategie differenti, dagli organismi
unicellulari (che riescono a sopravvivere nellacqua liquida dei
laghi presenti sotto il ghiaccio perenne, grazie a particolari condizioni di temperatura e pressione)
agli umani che vi si avventurano
circondati da sofisticate tecnologie e che, nonostante queste, ogni
tanto vi restano intrappolati.
Il mondo di ghiaccio loccasione per parlare delloceano
che lo circonda, con le sue dinamiche complesse, e del ruolo che
lidrosfera il mondo dellacqua
esercita sul controllo del clima
del pianeta. Qui e in altri passi del
libro forte il richiamo alle conseguenze che i cambiamenti climatici possono avere, allaccresciuta
velocit con cui variazioni della
temperatura dellacqua, della sua
salinit, delle correnti, non nuove nella storia della terra, stanno
mettendo in crisi il nostro ecosistema e la vita di intere popolazioni. Limpronta idrica globale

dellumanit, cio la quantit di


acqua necessaria ai consumi della
nostra specie, , secondo calcoli
recenti, tre volte e mezzo il contenuto di acqua dolce di tutte le
falde del mondo. Abbiamo per
lungo tempo pensato allacqua
come a un bene inesauribile: non
sar cos per sempre, ci ricorda
lautore.
Lacqua fondamentale per la
vita, e le due parole sono quasi sinonimi: a questo aspetto Jha dedica alcune delle pagine pi interessanti e utili del libro, descrivendo
le particolarissime propriet di
questa molecola, apparentemente
cos semplice: un atomo di ossigeno legato a due di idrogeno. In
realt, questa semplicit nasconde
alcune preziosissime
doti, come quella di
poter formare un particolare tipo di legame,
detto legame idrogeno con le molecole di
acqua circostanti e con
molte altre molecole
organiche e di importanza biologica, dai sali
agli acidi nucleici alle
proteine: si tratta di legami non troppo forti
(altrimenti le strutture
sarebbero troppo rigide) n troppo deboli (se no formerebbero
complessi instabili, incompatibili
con i processi del vivente). Questa
propriet fa dellacqua un solvente unico ed eccezionale, che tra
laltro presenta un punto di ebollizione e uno di congelamento abbastanza lontani fra loro, che hanno probabilmente consentito lo
sviluppo delle prime forme di vita

Scienze
nellambiente terrestre di qualche
miliardo di anni fa. E siccome il
racconto si sviluppa attorno ad
un viaggio in Antartide, accanto
allidrosfera si parla di criosfera, il
mondo di ghiaccio: anche questo
stato dellacqua presenta peculiari
propriet che spiegano ad esempio come ci possano essere laghi
(e quindi ambienti in cui la vita
si pu sviluppare) sotto i ghiacci
eterni antartici. Proprio lo studio
delle profondit del cuore freddo
del continente australe sta fornendo importanti informazioni sullevoluzione del clima su grandi scale temporali.
Lacqua non una prerogativa
del nostro pianeta: presente da
sempre nelluniverso, anzi la seconda molecola per abbondanza.
La storia della ricerca della vita
fuori dalla terra quindi la storia
della ricerca dellacqua. A questa
storia lautore dedica ben quattro
capitoli (La Luna, Marte, I satelliti
del sistema solare, Oltre il sistema
solare), pi uno in cui si presenta
il dibattito su quali altri solventi
presenti nel cosmo potrebbero
essere alternative allacqua come
base per lo sviluppo di forme di
vita. A giudizio del recensore, si
tratta per buona parte di speculazioni accademiche. Nel 1963,
Isaac Asimov, che oltre ad essere
un grandissimo scrittore di fantascienza era un bravo biochimico,
aveva gi brillantemente affrontato il problema (View from a
Height, Doubleday, 1963), concludendo che se c vita basata su
altri solventi, deve essere assolutamente incompatibile con la nostra
e quindi non avremo da litigare
n
per dividerci lo spazio.
davide.lovisolo@unito.it
D. Lovisolo ha insegnato fisiologia e biofisica
allUniversit di Torino

La filosofia del grande fisico


di Marco Ferraro
Federico Laudisa
ALBERT EINSTEIN
E LIMMAGINE
SCIENTIFICA
DEL MONDO
pp. 132, 13,
Carocci, Roma 2015

ra i testi dedicati al pensieF


ro di Albert Einstein questo
libro si distingue per essere de-

dicato allanalisi non tanto degli


aspetti scientifici della sua opera
quanto di quelli filosofici, ovvero della sua immagine scientifica
del mondo, per citare il titolo.
La tesi principale che la
grandezza di Einstein non risiede solo nel suo lavoro
scientifico ma anche
nelle sue concezioni
epistemologiche che
sono profondamente
coerenti con esso e
che, per la loro rilevanza per il pensiero
contemporaneo, dovrebbero far parte
della dotazione canonica di ogni filosofo
della scienza dei nostri
giorni.
La prima parte del libro presenta unampia analisi della formazione filosofica di Einstein: in
particolare lopera di tre filosofi
che hanno avuto un importante peso nella visione del mondo
einsteniana, cio Mach, Hume e
Duhem.

a complessa relazione di EinL


stein con Mach nota ma
qui interessante lanalisi del su-

peramento da parte di Einstein


dellempiricismo
machiano.
Meno noto, almeno per i non
specialisti, linteresse che Einstein aveva per la filosofia di
Hume (Mach certo ma ancora
di pi Hume), soprattutto per
le argomentazioni di Hume sull
impossibilit che un processo
puramente induttivo possa provare un nesso causa-effetto fra
dati empirici.
Nei capitoli successivi viene
presentata la filosofia della scienza di Einstein: lassunto di partenza che i dati sperimentali,
per s, non possono essere dirimenti nella scelta delle teorie,
che devono essere valutate anche
attraverso altri fattori.
Ancora pi rilevante la visione che una teoria scientifica
non pu essere semplicemente
un metodo per sistematizzare ed
organizzare i dati sperimentali.
In effetti, la divergenza da Mach
e dalle concezioni convenzionalistiche non tanto nel modo
in cui le teorie sono costruite,
cio attraverso la descrizione pi
completa possibile dei fenomeni
mediante il numero minimo di
concetti e di relazioni primarie,
quanto nellidea che le teorie
possano veramente rappresentare la realt e che la natura
congetturale delle teorie possa
felicemente convivere con laspirazione a costruire descrizioni
vere del mondo.
La seconda parte del libro tratta della relazione fra Einstein, la
meccanica quantistica, di cui
stato un pioniere con il famoso

articolo sulleffetto fotoelettrico,


e la sua contrapposizione con
la concezione della cosiddetta
scuola di Copenaghen, specialmente con il suo dibattito con
Niels Bohr, il principale esponente di questa scuola. Qui mi
sembra che lautore si sia fatto
influenzare dalle proprie preferenze filosofiche e che la discussione sia polarizzata in termini di
buoni e cattivi.
La ragione per cui linterpretazione della scuola di Copenaghen, almeno finora, ha prevalso
non si pu ragionevolmente attribuire solo ad un processo di
indottrinamento messo in atto
dallo spirito di Copenaghen:
si potrebbe alternativamente argomentare che questa
interpretazione offriva
un programma di ricerca pi progressivo,
nel senso introdotto
da Lakatos, in altre
parole prometteva pi
possibilit di sviluppo
rispetto alle possibili
alternative. In effetti
questo
programma
ha prodotto una serie di sviluppi fondamentali, ampiamente
confermati dallesperienza sperimentale: si pensi solo ai risultati
dellelettrodinamica quantistica oppure a quelli del modello
standard.
Non qui possibile entrare nei
dettagli del famoso paradosso di
Einstein-Poldoski-Rosen (EPR)
e delle alternative alle interpretazioni di Copenaghen (la teoria delle variabili nascoste), che
sono trattati in modo molto articolato nellultima parte del libro.
Il paradosso EPR si rivelato di
grande importanza non solo per
le implicazioni sui fondamenti
della meccanica quantistica ma
anche perch ha formato la base
per diverse applicazioni tecnologiche.
Daltra parte, una serie di
esperimenti, anche recenti, basati sulle conseguenze del teorema
di Bell, hanno dimostrato che la
teoria delle variabili nascoste, almeno nella sua forma classica, al
momento attuale non una possibile alternativa alla meccanica
quantistica.
I temi trattati offrono allautore lo spunto per una serie di
riflessioni sulla relazione fra
scienza e filosofia, che sono stimolanti anche per il lettore non
specificamente interessato alla
biografia scientifica di Einstein.
Gli argomenti sono esposti in
maniera lucida e lo stile chiaro,
tuttavia, proprio per la materia
trattata, la comprensione del testo richiede un certo sforzo, in
particolare la seconda parte.
In definitiva, anche se naturalmente si pu non essere sempre daccordo con lautore, si
tratta di un libro interessante e
utile per capire meglio i fondamenti filosofici di alcuni degli
aspetti cruciali della fisica moderna, su cui il dibattito prosegue anche oggi.
n
ferraro@ph.unito.it
M. Ferraro insegna fisica e reti neurali
allUniversit di Torino

27

N. 7

Passare per bianchi


di Andrea Carosso
Helen Oyeyemi
BOY, SNOW, BIRD

ed. orig. 2014, trad. dallinglese


di Laura Noulian, p. 261, 20,
Einaudi, Torino 2016
nfant prodige della letteratura
E
contemporanea in lingua inglese, la britannico-nigeriana (via

New York, Barcellona, Budapest


e Praga) Helen Oyeyemi ha scritto il primo romanzo a soli diciassette anni, come ha raccontato in
una recente intervista allemittente
americana Npr, invece di studiare per la maturit. Ora che ne ha
trentadue pubblica il suo quinto, il
secondo a essere tradotto anche in
Italia. I Boy, Snow e Bird del titolo
non sono nomi comuni
ma propri, quelli dei tre
personaggi femminili
al centro della vicenda,
ambientata nella bianchissima America degli
anni cinquanta prima e
sessanta poi. La storia
prende avvio nella popolare Lower East Side
di Manhattan, dove la
poco pi che adolescente e biondissima
Boy Novak cresciuta,
senza madre, a fianco di un padre
alcolista e violento, di professione
acchiapparatti, capace di mollarti
un pugno nelle reni, da dietro, oppure uno scappellotto sulla nuca
(...) sogghignando mentre strisci
sul pavimento. Boy un bel giorno fugge da quellinferno e inizia
una nuova vita in una cittadina del
Massachusetts, dove fa la libraia e
sposa Arturo Whitman, di famiglia
altolocata, recentemente vedovo e
padre di una ragazzina di nome
Snow. Boy non ama Arturo, ma
sviluppa un rapporto molto speciale con Snow, nella quale vede
in qualche modo un riflesso di se
stessa e della sua solitudine esistenziale.
Le cose si complicano quando
Arturo e Boy hanno a loro volta
una figlia, Bird, la cui nascita mina
alle fondamenta la costruzione
identitaria della cos perbene famiglia Whitman, perch espone il
segreto che Arturo e la sua famiglia preservano con tanta cura da
quando, dal Sud degli States, si
sono trasferiti nel Nord-Est. Bird
manifestamente nera, lo sono il
colore della sua pelle cos come i
tratti somatici del suo volto, e rivela agli occhi di tutti quello che
esiti genetici non poi cos inusuali
avevano permesso ai Whitman di
tenere nascosto per generazioni:
sono afro-americani, ma in virt
della tonalit relativamente chiara
della loro carnagione avevano potuto passare per bianchi e, cos
facendo, emanciparsi dal razzismo
brutale dellAmerica della prima
met del ventesimo secolo. Oyeyemi mostra dimestichezza con i dati
salienti della storia afro-americana
del Novecento: la Grande migrazione, fuga dallindigenza e dal
pregiudizio del Sud rurale nel
quale come racconta Olivia, madre di Arturo, a Boy i neri sono
lombra dei bianchi e la gente
di colore non poteva votare se non
superava un test di alfabetizzazione; e il difficile adattamento nel
Nord urbano e industriale, in cui il

razzismo solo in apparenza meno


brutale perch non ci sono i cartelli a designare la segregazione
degli spazi tra neri e bianchi, ma le
razze rimangono comunque separate e vicendevolmente aliene.
Il tema del racial passing, il
passare per bianchi, un topos
ricorrente nel dibattito razziale
negli Stati Uniti, perch esemplare
dimostrazione di come la razza sia
non un dato biologico bens una
costruzione culturale. Il romanzo
di Oyeyemi si inserisce in una polemica sulla quale si sono da sempre
cimentati i giganti della letteratura
americana, da Mark Twain in Puddinhead Wilson (1894) a William
Faulkner in Luce dagosto (1932),
da Philip Roth in La
macchia umana (2000)
fino a Toni Morrison
nel suo ultimissimo
romanzo, non ancora
uscito in traduzione
italiana, God Help the
Child (2015). Per coloro ai quali il colore
della pelle lo consente,
passare per bianchi
rappresenta una via di
fuga dalla cittadinanza subordinata a cui
la pelle nera condanna, aprendo
prospettive di integrazione diversamente inottenibili: In testa sua
Arturo non si sentiva meno bianco
di me racconta in prima persona
Boy non aveva mai conosciuto
n nonni n cugini, i suoi genitori
erano gli unici delle loro rispettive
famiglie ad avere deciso di lasciare

la Louisiana per trasferirsi al Nord


e vedere se qualcuno si metteva a
sindacare i loro antenati. Il prezzo da pagare uno solo: rinunciare, attraverso il silenzio, alla propria reale identit etnico-culturale:
Gerald (padre di Arturo) aveva
trasmesso al figlio questidea che
non ci fosse alcun bisogno di dire
niente, bastava che ognuno sapesse chi era e tanti saluti: non dire
niente era diverso da mentire.
Nella seconda parte del romanzo, ambientata negli anni sessanta,
la prospettiva pare cambiare. Con
la voce narrante che si sposta da
Boy alla figlia Bird, ora tredicenne, evidente come la stagione
dei diritti civili abbia aperto spazi
di opportunit precedentemente
inesistenti: le nerissime Supremes
che trionfano in televisione allEd
Sullivan Show simboleggiano perlomeno lillusione di unAmerica

Letterature
post-razziale e Bird cresce libera
da sensi di inferiorit, considerandosi dal punto di vista fisico e
morale non () affatto diversa da
tutte le altre ragazze che conosco
diversit che invece continua a
condizionare le generazioni precedenti, ben consapevoli che non
la bianchezza che mette Loro contro Noi, ma la sua venerazione.
In un romanzo che nel rievocare
lo spettro della segregazione novecentesca prende le distanze dagli
ottimismi dellideologia post-razziale dellAmerica contemporanea,
lidealizzazione della pelle bianca
come la neve a cui il nome della prima figlia di Arturo, Snow, fa
evidente riferimento riconduce
allaltro motivo centrale e ricorrente in tutta lopera di Oyeyemi
sino a questo momento: linteresse
per la mitologia, la fiaba, la tradizione del gotico e dal soprannaturale
in genere quali strumenti per indagare il rapporto sempre complicato tra psicologia individuale e condizionamenti culturali. Riscrittura
moderna di Biancaneve, con tanto
di matrigna (lo Boy nei confronti
di Snow), nani (in senso morale, i
Whitman) e specchi (questi ultimi
addirittura scolpiti nellincipit del
romanzo), Boy, Snow, Bird ottimamente tradotto da Laura Noulian trascende laura fantastica
della fiaba per porsi interrogativi
puntuali di natura politica e sociale sul rapporto tra apparenza e
realt, identit percepita e identit
effettiva. Il ricorso alla dimensione
mitica del racconto fiabesco non
dunque mero espediente formale,
bens strumento per amplificare,
in virt del potere di spaesamento proprio della fiaba, gli effetti di
questa riflessione sulla razza e sulla

costruzione culturale di un ideale di bellezza. Come i romanzi di


Angela Carter, a cui Oyeyemi certamente si ispira, Boy, Snow, Bird
propone, attraverso gli archetipi e
il folklore, una meditazione sullAmerica in transizione. Ma diversamente da Carter e dalle altre figure
della letteratura americana a cui
stata associata, da Toni Morrison a
Edgar Allan Poe a Emily Dickinson, Helen Oyeyemi intesse il suo
narrare da una prospettiva che
altra rispetto allAmerica di cui
ci racconta: cittadina di un universo globalizzato, Oyeyemi testimonia della dimensione sempre pi
evidentemente post-nazionale
della letteratura in questo nuovo
millennio.
n
andrea.carosso@unito.it
A. Carosso insegna letteratura americana
allUniversit di Torino

I ragni sono creature di pena


di Pietro Deandrea
Chigozie Obioma
I PESCATORI

ed. orig. 2015, trad. dallinglese di


Beatrice Masini,
pp. 300, 19,
Bompiani, Milano 2016
adre era unaquila: luccelP
lo potente che fa il nido in
alto sopra i suoi simili, che vol-

teggiando veglia i suoi aquilotti,


come un re fa la guardia al trono. Il tono oracolare e favolistico introduce ogni capitolo del
romanzo, raccontato in prima
persona da Ben, nove anni. La
Nigeria degli anni novanta un
paese dominato da dittature e
massacri, dove i ladri
colti sul fatto vengono linciati e bruciati.
Ben e i suoi tre fratelli maggiori vengono
coinvolti direttamente
in avvenimenti simili,
ma la famiglia Agwu
tutto sommato solida,
retta da genitori severi
che controllano letture
e videogiochi dei figli.
Il trasferimento di
Padre in unaltra citt
segna la fine di un eterno presente, e cambia lequilibrio delle
cose: il tempo e le stagioni e il
passato cominciarono a contare,
e noi iniziammo a desiderarlo, a
bramarlo ancor pi del presente
e del futuro. I quattro ragazzi
cominciano a pescare nel fiume
cittadino, un tempo investito di
attributi
divini
ma ormai insozzato e fonte di
cupe
dicerie,
e vengono progressivamente
contaminati dal
mondo che li circonda. Lincontro
decisivo con il
vagabondo-profeta Abulu, la cui
sporcizia si accompagna a doti
divinatorie, che
annuncia lomicidio del fratello
maggiore, Ikenna, per mano di
uno di loro. Da
quel
momento
il
malinconico
Ikenna tormentato da un pensiero che lo divora:
la paura lo derub della salute
e sediment in lui lindiscutibile ineluttabilit dei poteri preveggenti di Abulu, che facevano
sorgere fumo da cose non ancora
bruciate. linizio di una serie
di tragedie terribili, culminanti in unossessione di vendetta
contro lo stesso Abulu. Lintera
vicenda pu venir letta come la
distruzione di una famiglia travolta da un caos sociale e morale
pervasivo, dove regnano ritorsioni pubbliche e private. Ben viene
trascinato a compiere unassurda
vendetta che tutti considerano
sacrosanta: fratelli, genitori e
persino sacerdoti di quellevangelismo cristiano imperante
nellAfrica odierna. Il legame tra
contesto e personaggi evidente
nella valenza simbolica di questa
descrizione: Il pavimento era

zuppo del suo sangue: un sangue


vivo e mobile che viaggiava lento
sotto il frigo, e misteriosamente
come i fiumi Niger e Benue la cui
confluenza a Lokoja genera una
nazione spezzata e fangosa si
univa allolio di palma, formando
una pozzanghera sinistra di rosso
stinto, come quelle che si formano nelle piccole fosse delle strade
sterrate.
Nonostante gli incipit favolistici, I pescatori non unopera
dove la magia dello sguardo infantile, seppur accerchiata da
una violenza onnipresente, mantiene una sorta di purezza fiabesca. Ben racconta la storia della
sua infanzia spezzata immergendosi nelle profondit del male ad occhi
nudi, senza risparmiare le descrizioni pi
rivoltanti. uno dei
tratti pi affascinanti del libro, ma certo
non lunico. Narrato
con grande talento (e
sapientemente tradotto), questo romanzo
desordio ha convinto
critici e lettori fino ad
arrivare tra i finalisti del Man Booker Prize 2015.
Obioma ricostruisce lidentit dei due genitori attraverso i
loro gesti, dove battere le mani,
schioccare le dita, sibilare o tirarsi i lobi delle orecchie assumono
un preciso significato; e tramite
il loro linguaggio proverbiale,
densamente metaforico, tipico
della cultura tradizionale. Il lutto
di Madre, per esempio, introdotto da I ragni erano bestie di
pena: Creature che secondo gli
igbo fanno il nido nelle case degli
afflitti. Poich stai attento si
dice in igbo contati i denti sulla
lingua, mentre sgridava un figlio Padre era scoppiato a ridere vedendolo muovere la lingua
dentro la bocca, tutto accigliato
e sbavante, impegnato a cercare
di fare il censimento della propria dentatura. Proverbialit e
ricchezza dimmagini, oltre ad alcuni riferimenti espliciti, richiamano Il crollo di Chinua Achebe
(1958, Jaca Book 1976), romanzo
fondativo della letteratura africana sulla tragedia personale e collettiva indotta dal colonialismo.
Ambientato un secolo pi tardi,
I pescatori affascina anche per la
sua attenzione al multilinguismo
della Nigeria contemporanea: genitori e figli parlano igbo ma vivono nel sud-ovest yoruba, idioma parlato da Ben e i suoi fratelli
tra di loro e con gli amici; ci sono
un paio di pagine con dialoghi
in inglese pidgin, lunica parte
in cui la traduzione italiana si rivela infelice. Linglese standard,
invece, la lingua ufficiale che
aveva il potere di scavare fossati tra te e i tuoi amici o parenti
che decidevano di usarla al posto
delligbo. Quindi i nostri genitori
parlavano di rado linglese, tranne () quando le parole avevano
lo scopo di strapparci il terreno
da sotto i piedi.
n
pietro.deandrea@unito.it
P. Deandrea insegna letteratura inglese
allUniversit di Torino

28

N. 7

Un rosso miraggio
di Anna Chiarloni
Hans Magnus Enzensberger
Tumulto

ed. orig. 2014, trad. dal tedesco


di Daniela Idra, pp. 227, 19,50,
Einaudi, Torino 2016
opo il 1989 diversi scrittori
D
tedeschi nati negli anni venti
hanno sentito il bisogno di riper-

correre il Novecento con testi di


carattere autobiografico basti
citare tra i pi noti Gnter Grass
e Christa Wolf. Si aggiunge ora
Enzensberger (nato nel 1929)
con una raccolta che annunciata come messa a stampa di certi
appunti ritrovati in cantina
rimanda fin dal titolo a una giovinezza di tumultuoso impegno
politico, ben noto anche in Italia grazie a
Feltrinelli prima e a Einaudi poi. Esponente
dellopposizione di sinistra nella Germania di
Adenauer, Enzensberger era salito a suon di
versi sulla ribalta politica difendendo i lupi,
ossia le teste pensanti,
contro lottusa massa
di agnelli proni alla
destra tedesca (Verteidigung der
Wlfe, 1959). Con le due raccolte
poetiche successive si guadagna
appena trentenne il prestigioso
Georg-Bchner-Preis. Nel 1965
fonda Kursbuch, rivista di riferimento internazionale per i movimenti marxisti extraparlamentari.
Ospite nel 1968 della Wesleyan
University, tronca i rapporti per
protesta contro la politica estera
degli Stati Uniti sono gli anni del
Vietnam e si trasferisce a Cuba,
dove produce lInterrogatorio
allAvana, ampia documentazione
sul ruolo della Cia nellopposizione a Castro. Fiancheggia e sostiene
la rivolta studentesca di Berlino
tenendosi tuttavia a distanza, di
qui la polemica con Peter Weiss,
favorevole a una piena adesione
pubblica al movimento. Ma maestro del dubbio, Enzensberger,
non un tribuno da comizio. Nei
suoi saggi pende pi verso il metodo analitico di Lichtenberg che
non verso lafflato romantico di
un Rudi Dutscke. Daltra parte,
tempo qualche anno, fiutando la
deriva terrorista dellutopia rivoluzionaria, si svincola dalle battaglie
della Linke tedesca, migrando su
quel terreno pi spiccatamente letterario su cui insedier una nuova
rivista: Trans-Atlantik.
Tumulto ci restituisce gli anni
del suo impegno marxista. Come
rilegge lautore ottantacinquenne
quella sua ruggente giovent che
gli era valsa lamicizia di tanti intellettuali, tra gli altri Cesare Cases e
Franco Fortini? Apro una parentesi su una fase intermedia. Nel
2003 cera stato come dire?
uno scivolone dellamico tedesco:
a sostegno dellintervento di Bush
in Irak, Enzensberger se nera
uscito con lequivalenza Saddam =
Hitler, tirandosi addosso lo sprezzo di Habermas prima e lo stupore di noi italiani poi. Ricordo che
qualche anno dopo, presentando
lautore al Festival di Mantova, mi
affannavo a richiamare i suoi gloriosi trascorsi sessantottini di fronte ad un pubblico straripante. E la

tiravo lunga con la rivoluzione popolare e il soggiorno cubano fino a


che fu proprio Enzensberger a interrompermi infastidito. Era, quella del pugno chiuso, unepoca che
pareva sepolta per lui, approdato
ormai nonno alla fiaba matematica col Mago dei numeri (Einaudi,
2010). Oggi invece quel passato
ritorna in una sapida, accorta rivisitazione. Forza dellimpulso autobiografico che detta nuove forme
a un antico sogno? Tumulto gioca
infatti su diversi piani: la testimonianza autentica e il filtro della
riflessione odierna; gli appunti
di ieri e lo sguardo disincantato
sulle (nostre) passioni politiche
del Novecento. Diciamolo subito. Enzensberger fa e disfa la sua
biografia, duetta con
se stesso, confessa e si
sconfessa. Il tutto redatto con una scrittura
alta ma svelta, tenera e
sarcastica, ben sorretta
dalla traduzione. Frammenti, s, ma di una
grande storia dedicata
agli scomparsi.
Il libro si apre con
un resoconto che d
il la alla rievocazione
delle pagine successive.
Si tratta di un viaggio in Unione
Sovietica, anno 1963. Il poeta vola
a Leningrado nei panni di rappresentante della Germania di Bonn
a un convegno per la pace. Nel
Cremlino siede Krusciov. C un
grano di malizia aggiunta nel sorvolare i rituali ufficiali ogni tre
minuti parla un qualche presidente ignorati come inutile schiuma ideologica di un tempo che fu,
o nel liquidare i colleghi russi quali
funzionari travestiti da scrittori.
Folgorante invece il diario nel
cogliere i dettagli quotidiani della
pax sovietica: impossibile ottenere
una mappa della citt, il tappo
della vasca da bagno o una guida
telefonica; ma un microscopio costa meno di un paio di pantofole.
Questa capacit di accendere al
lettore squarci di realt si amplifica
nel secondo viaggio del 1966, attraverso la Siberia e il Kazakistan,
nei recessi arcaici e montagnosi
dellimpero, dove tra centinaia di
etnie diverse ancora resistono tratti di una cultura sciamanica. Sono
rapidi fotogrammi: si veda la folla
alla stazione di Novosibirsk: Una
ressa di contadine, veterani laceri, mercanti kirghisi,
miliziani, ufficiali con
indosso una corazza
di medaglie, venditrici
di fiori e lustrascarpe
con armi e bagagli.
Complice lamour fou
per Maa, giovane e
ardente filologa russa,
il diario si fa intimo e
il viaggio diventa un
tumulto di divorzio e
seconde nozze. Con lei
accanto, Enzensberger
sinoltra nei Ricordi
del Sessantotto berlinese inserendo, alla
maniera del venerato
Diderot, una seconda
voce: il racconto muta
in dialogo grazie a un
interlocutore anonimo
che incalza il poeta,
costringendolo a sgar-

Letterature
bugliare il Wirrwarr della memoria. Un artificio che consente un
effetto prismatico di doppia prospettiva temporale sugli eventi.
Sfilano le immagini dellalloggio di
famiglia occupato dai comunardi,
i cortei di protesta, il tanto amato coro Usa: SS e i primi arresti.
Ma da quella Berlino prende il
largo, Enzensberger, e lo racconta
col tono dellautore cosmopolita
abituato a veleggiare oltre il dato
contingente, sempre con volo pagato, si legge. Un registro mondano che serpeggia lungo tutto il
testo inanellando un autoironico
name-dropping dalto bordo
intellettuale. C un intermezzo
indiano con high tea a Nuova Delhi, linvito al campus statunitense
e quello del principe Sihanouk in
Cambogia con limousine alla
porta; ovunque di casa, a Roma
Enzensberger balla con Ingeborg
Bachmann, conversa a Tahiti con
Allende, cena a Stoccolma con
Nelly Sachs, e a Mosca accolto
da Neruda con caviale e champagne. Procede, questo intermezzo,
a morsi e strappi un racconto dadaista lo definisce Hans
Christoph Buch (Die Welt, 11
ottobre 2014). Fino al trasferimento a Cuba. Qui lanalisi politica
si fa serrata, dettagliata da cifre e
dati statistici. Un grande affresco
dellAvana di quegli anni, certo
visto nella penombra del dopostoria, ma capace di trasmettere
al lettore unesperienza autentica.
Perch ignorando liconografia
della celebrazione castrista, Enzensberger scende tra la gente nelle viscere della citt vecchia, dove
manca lacqua e nei palazzi in rovina vige una versione caraibica
della kommunalka sovietica. Incontra prostitute addette ai turisti,
combattenti rivoluzionarie, poeti
deviazionisti e possidenti espropriati, cogliendone le diverse storie
individuali, la miseria e la grandezza, le delusioni e le speranze.
Quando un anno dopo abbandona Cuba, la rivoluzione di
Castro ormai per Enzensberger
unicona pubblicitaria. Ma non sa
scrive perch gli sia cos difficile staccarsi da quella piccola, insignificante, folle isola. Nel 1990
mander a Cesare Cases una poesia per i suoi settantanni. Gli ultimi versi recitano: Pulsa azzurra
la vena / nasce un rosso miraggio
/ che noi non vivremo. La ferita /
del possibile sanguina ancora. n
anna.chiarloni@unito.it
A. Chiarloni professore emerito
di letteratura tedesca

Naufragio dietro langolo


di Elisabetta dErme
Edna OBrien
OGGETTO DAMORE

ed. orig. 2013, trad. dallinglese


di Giovanna Granato,
pp. 365, 18,50,
Einaudi, Torino 2016
Country Girl. A Memoir
Itrin(2012),
tra le centinaia dinconcon uomini famosi dei quali

stata (o meno) occasionale amante, Edna OBrien nomina anche


quello con lattore Richard Burton. La scrittrice, gi famosissima, era una protagonista della
swinging London dei roventi anni
sessanta. Certe notti bussavano alla mia porta ospiti inattesi
ricorda, e una volta
fu il turno di Burton.
Lattore amava la letteratura inglese e tra gli
scritti della OBrien, il
suo racconto preferito
era proprio The Love
Object, quello che d il
titolo a questa raccolta.
Una storia nella quale
venivano messe a nudo
le ramificazioni spirituali e carnali di una
relazione amorosa e
forse fu per quel motivo che quella sera Richard Burton saspettava
qualcosa che Edna non era disposta a concedergli. Lautobiografia
di questa scrittrice irlandese, nata
a Tuamgraney (County Clare) nel
1930, rivela il ritratto di una donna snob, insoddisfatta, supponente, arrivista, arrogante ed egoista.
Una persona con la vocazione a
ricoprire il ruolo dellamante di
uomini sposati, sempre alla ricerca di un oggetto damore, ma
lacerata dalla sua incapacit di
trovare felicit. In quel momento capii chiaramente che la mia
versione del piacere era inestricabile dal dolore e che le due cose
esistevano fianco a fianco in un
rapporto di interdipendenza simile a quello delle due forze della
corrente elettrica annota Edna
OBrien in Suor Imelda, racconto
di un suo amore adolescenziale
per una suora. Country Girl. A
Memoir rivela inoltre il carattere
essenzialmente autobiografico di
tutta la sua opera narrativa. Dato
che risulta palese alla lettura di
The Love Object. Selected Stories,
che raccoglie una selezione di diciassette racconti brevi, pubblicati tra il 1968 e il 2011,
per la quasi totalit gi
noti al pubblico italiano, ma che vengono
ora riproposti in una
nuova traduzione di
Giovanna Granato, che
appare molto corretta,
ma priva del wit che
connota loriginale. In
realt, gran parte dei
testi presenti in questa
raccolta hanno pi un
carattere di frammento autobiografico che
non di lavori di finzione
narrativa. Questa dimensione confessionale
pu rappresentare un
handicap, come pure
la ripetitivit delle tematiche, della voce narrante, delle situazioni
descritte.

Difficile quindi collocare lopera di Edna OBrien nel vasto territorio della voce che le scrittrici
irlandesi hanno pervicacemente
strappato ad un predominio maschile che ha prodotto giganti
della letteratura come Swift, Sterne, Goldsmith, Stoker, Le Fanu,
Wilde, Yeats, Joyce, Shaw e Beckett.
In un paese nato da una sanguinosa guerra civile e governato
per decenni dalla chiesa cattolica,
che esercitava una pervasiva ingerenza su tutta la societ, Edna
OBrien di fatto fu tra le casualties del Censorship of Publications Act, legge promulgata
dallIrish Free State nel 1929, che
sottoponeva tutta la produzione
letteraria ad una rigida
censura. Nel 1960 venne censurato il suo The
Country Girls e successivamente gli altri due
romanzi della trilogia,
Girl with Green Eyes e
Girls in Their Married
Bliss, che descrivevano
unalternativa al bigottismo imperante in Irlanda e dove si parlava
apertamente di sesso,
aborto e unioni extraconiugali, contribuendo cos a
decretarne un succs de scandale.
Un matrimonio fallito e il volontario esilio in Inghilterra contribuirono a cementare il mito della
bellissima, ribelle, affascinante ed
esoterica Edna OBrien, che non
cess di scrivere nemmeno durante quei difficili anni di generale stagnazione culturale e che,
come i connazionali Mary Lavin,
Maeve Brennan, Julia OFaolain,
Ita Daly, William Trevor o Frank
OConnor, trov infine particolarmente congeniale il genere della short story.
Racconti brevi che descrivono
in poche pagine lIrlanda pre-boom economico, il provincialismo
di Dublino, lo squallore della vita
rurale, piccoli cottage davanti
alloceano con le immagini del
Sacro Cuore. Ossessive analisi
degli irredimibili conflitti tra i
due sessi e soprattutto dei complessi rapporti tra madri e figlie,
in un spaventoso gioco di specchi
che sembra non lasciare scampo
a nessuna delle protagoniste. Una
visione profondamente influenzata dai dettami della religione
cattolica, che in certi momenti
prevarica lanticonformismo della scrittrice. In questo panorama,
tutti sono destinati a essere infelici, dalle giovani donne trasgressive, assetate di vita e di sesso,
alle loro madri, asservite al ruolo di mogli e di vittime. Forse
pensava che il matrimonio della
figlia dovesse rimediare al suo
pensa una madre in Una rosa nel
cuore di New York (1978), ma nel
mondo precario di Edna OBrien
il naufragio sempre dietro langolo e basta un niente per frantumare anche il pi desiderabile
degli oggetti damore, che nel
peggiore dei casi si trasforma in
una bestia, violenta e pericolosa.
Cos ieri come oggi.
n
demowitz@libero.it
E. dErme studiosa di letteratura
irlandese e tedesca

29

N. 7

La propriet del trauma


di Alice Balestrino
Peter Matthiessen
IN PARADISO

ed. orig. 2014, trad. dallingles


di Nello Giugliano,
pp. 202, 16,50,
e/o, Roma 2015
Paradiso ultimo romanzo
Isenndel(gi
poliedrico Peter Matthiesfondatore di The Pa-

ris Review, agente della Cia,


monaco buddista zen, attivista
ambientalista, tre volte vincitore
del National Book Award, non
necessariamente in questordine), si presenta al lettore con una
copertina dallaccostamento ossimorico. Dai verdi caratteri che
compongono il titolo
dalla nota celestiale, si
diramano tre grigi binari ferroviari che, facendosi strada lungo la
neve pesta e cenerina,
si congiungono in un
unico, ferrigno estuario che sfocia in fondo
alla fotografia. La narrazione che segue non
smentisce il tono della
dichiarazione dintenti
della copertina, anzi, la
cornice narrativa pu essere letta
come parafrasi di questa immagine antitetica: un ritiro spirituale
esteso a tutte le fedi organizzato
ad Auschwitz, a distanza di cinquantanni dallabbattimento dei
suoi inferi cancelli.
Da questa prospettiva inedita
rivisitazione del tropo letterario
del ritorno dei figli dei sopravvissuti alla Shoah alla madrepatria
proibita, proprio di molta della
letteratura della seconda generazione di scrittori dellOlocausto
lautore interroga i modelli letterari canonici e i dibattiti contemporanei che definiscono la
polisemia dellOlocausto ricreandoli, in piccolo, nel microcosmo
di un Auschwitz ripopolatosi, a
distanza di mezzo secolo, di un
campione di umanit varia, rappresentativa delle tensioni, spesso
di segno opposto, che innervano
gli odierni riferimenti alla Shoah.
Cifra stilistica dellautore, e tratto distintivo del romanzo, sono
proprio il confronto critico con le
norme (siano esse motivi letterari
o ortodossie di pensiero) e la narrazione per contrasti (Auschwitz

e il paradiso, appunto) che fanno


risaltare lopera, tra le tante proposte che fanno capolino sulle
mensole delle librerie in occasione della Giornata della Memoria,
come lettura provocatoria e quanto mai attuale.
La prosa si snoda attraverso il
percorso interiore del protagonista, lamericano Clements Olin,
professore universitario e poeta,
che riscopre le proprie origini e
quindi la propria identit. Le sue
riflessioni si stagliano sullo sfondo
dei rapporti dialettici tra un emigrato ebreo apolide e rancoroso;
un giovane sionista abitante di un
kibbutz; una storica israeliana;
un palestinese intimidito; unopulenta e chiassosa americana; i
tedeschi (a cui lautore non si riferisce con
nomi propri, come se
il senso di colpa li rendesse indistinti, figure
piane schiacciate dal
peso della vergogna
per le colpe della loro
nazione). Dalle dispute sulla propriet del
trauma, alla questione della complicit dei
cattolici nella persecuzione degli ebrei, alle
articolate motivazioni che inducono il pensiero contemporaneo a
riaprire continuamente il capitolo
della Shoah, spesso per interpretare le tragedie attuali allinterno
della stessa piega storica, i diverbi
inscenati esortano il lettore a confrontarsi con una narrazione memorialistica dellOlocausto, mai
univoca n doma. S, tempo
di andare avanti si risolve a un
tratto Matthiessen; eppure, proseguendo il ragionamento, lascia sospesa a mezzaria una domanda:
Tutte queste guerre e questi massacri, i genocidi, le orde di profughi che percorrono strade infinite
e immerse nella polvere, costretti
a frugare la terra in cerca di cibo e
acqua queste continue tragedie
del nostro tempo non sono di per
s abbastanza orribili senza dover
restare aggrappati alla Catastrofe
di cinquantanni fa?.
Lo stesso proposito di rileggere
lOlocausto fornendone uninterpretazione coniugata al tempo presente, la stessa necessit
di misurarsi con le pietre miliari
della sua rappresentazione, si riconoscono anche in Terra Nera:

Letterature
lOlocausto tra storia e presente di
Timothy Snyder (edito da Rizzoli, con la traduzione di Roberta
Zuppet, Milano, 2015) . Lo storico di Yale, nome prestigioso della
storiografia dellEuropa Orientale, adotta, come Matthiessen,
una prospettiva multifocale per
tentare di comprendere quanto
dellepoca di Hitler sopravviva
nel nostro modo di pensare e di
vivere la vita di tutti i giorni. Collocandosi al capo opposto rispetto alla fiction (quello del saggio
critico) nello spettro del confronto letterario con la Shoah, Snyder
propone interpretazioni coraggiose e, per certi aspetti, controverse
come notato da diversi colleghi
storici, tra cui spicca il nome di
Richard J. Evans (In difesa della
Storia, Sellerio, 2001) sulle pagine
di The Guardian del pensiero
hitleriano e delle dinamiche che
ne permisero la realizzazione concreta su scala internazionale.
I risvolti pi interessanti dellargomentazione di Snyder ricadono
nella visione della sua monografia
come ponte ideologico tra passato
e presente, un passaggio costruito
sui costanti rimandi allattualit.
Una ragione dellaggressiva politica espansionista del Fuhrer individuata nel panico ecologico: il
timore che le risorse naturali non
bastino a sfamare la popolazione
mondiale (Snyder lo traduce nelle
imprese neo-coloniali di neo-imperi asiatici, leggi Cina, intenti
a garantirsi terreni coltivabili in
Africa, anche a costo di intervenire in genocidi locali, leggi Ruanda 1994). Linvasione dei paesi
confinanti riconsiderata come
conseguenza del diniego della
sovranit dello stato-nazione, a
favore di parametri etnici per affermare la superiorit di un popolo; una condizione che lo storico
rintraccia nelloccupazione russa
della Crimea del 2014. La folle
applicazione della metodologia
scientifica alla volont deviata di
purificare la Germania dagli ebrei
interpretata come esito estremo
delle complesse implicazioni del
rapporto tra politica e scienza
(riscontrabile nel campo odierno
della bioetica, tra gli altri). Scorgendo nel passato le radici del
presente, Snyder sviluppa una
lettura della realt con il testo
nazista a fronte, riconoscendo similitudini dove avremmo voluto
n
vedere antitesi.
alice.balestrino@hotmail.it
A. Balestrino dottoranda
allUniversit di Torino

Il manifesto del Nouveau Roman


di Roberta Sapino
Nathalie Sarraute
Let del sospetto
Saggi sul romanzo

ed. orig. 1956, trad. dal francese


di Donata Meneghelli,
pp. 152, euro 17,
Nonostante, Trieste 2016
buoni libri, scrive NathaI
lie Sarraute, presentano
rispetto agli altri una differenza

che sarebbe un errore giudicare trascurabile: sopportano di


essere riletti. Alcuni libri, poi,
chiedono di essere riletti ancora e ancora, pretendono di
essere sottratti agli scaffali delle
biblioteche, alleggeriti del peso
dei discorsi critici e
cos, senza difesa alcuna, esigono di essere
gettati nel fermento
della contemporaneit
perch possano nuovamente parlare in
prima persona.
Uno di questi libri
Let del sospetto,
scelto da Nonostante
Edizioni come pietra
inaugurale della nuova
collana Menab
raccolta di strumenti di accompagnamento alla lettura della
narrativa proposta dalla casa
editrice e, pi in generale, riferimenti imprescindibili per orientarsi nella letteratura del secondo
Novecento. A sessantanni dalla
sua pubblicazione in Francia,
possiamo allora leggere quello
che generalmente considerato
il primo manifesto del nouveau
roman nella nuova traduzione
a cura di Donata Meneghelli,
autrice anche di un apparato di
note essenziale e prezioso. Un
solo antecedente: la traduzione di Giuseppe Guglielmi per i
Quaderni del Verri di Luciano
Anceschi, edita da Rusconi e Paolazzi nel 1959.
Per cogliere la portata rivoluzionaria dei quattro articoli
che compongono il volume (Da
Dostoevskij a Kafka, Let del
sospetto, Conversazione e uccelli; i primi tre gi pubblicati su
rivista a partire dal 1947), basta
affidarsi alle parole di Sarraute
stessa: Quando scrivevo il secondo saggio, Let del sospetto,
non si sentiva affatto parlare di
romanzi tradizionali o di ricerche. Simili termini, utilizzati
a proposito del romanzo, avevano unaria pretenziosa e sospetta.
I critici continuavano a giudicare
i romanzi come se niente si fosse
mosso dopo Balzac (). Dallepoca in cui ho scritto quellarticolo, non si pi parlato che di
ricerche e di tecniche. Come un
morbo inoculato nella letteratura
francese da autori stranieri come
Faulkner, Dos Passos, Kafka, e
alimentato dalle sperimentazioni
degli autori dellassurdo, il sospetto che sta distruggendo il
personaggio e tutto larmamentario desueto che ne assicurava la
potenza, una di quelle reazioni
patologiche con cui un organismo si difende e trova un nuovo
equilibrio. una forza pi di
rinnovamento che di distruzione,
ma capace di dilagare nelle fibre
del romanzo tradizionale per col-

pirlo su ogni fronte, farlo vacillare, mostrarne le debolezze senza


riserbo: ormai contagiati dal sospetto, scrive Sarraute, autore
e lettore non solo diffidano del
personaggio romanzesco ma,
per suo tramite, diffidano luno
dellaltro, entrambi hanno perso ogni fede in quella sedicente
letteratura realista o impegnata
ormai ridotta a niente pi che
un formalismo, entrambi hanno
imparato a deridere il gusto per
i recessi oscuri della psicologia
di tanti romanzieri.
Tuttavia, ci che traspare con
maggiore intensit dalle parole
di Sarraute e che forse pi di
ogni altro aspetto ne rende oggi
necessaria la lettura una volont ostinata e limpida di tendere ponti,
tessere trame, individuare legami tra autori
che la tradizione critica contrappone, tra le
scritture del passato e
le nuove sperimentazioni. Let del sospetto non ha la durezza
che si trover, qualche
anno dopo, nel Pour
un nouveau roman di
Alain Robbe-Grillet.
Al contrario, come certi personaggi di Dostoevskij, mossi da
un bisogno continuo e quasi
folle di stabilire un contatto (),
di un impossibile abbraccio che
plachi, lautrice scrive non per
prendere le distanze dai suoi predecessori, ma per trovare il suo
posto nella staffetta ininterrotta della letteratura: Sono quindi stata portata a riflettere non
fosse che per giustificarmi, per
rassicurarmi o per darmi coraggio sulle ragioni che mi hanno
spinta a certi rifiuti, che mi hanno imposto certe tecniche, che
mi hanno indotto a studiare certe
opere del passato o del presente,
a prevedere quelle del futuro, per
intuire attraverso di esse un movimento irreversibile della letteratura, nel quale inscrivere i miei
tentativi.
Rileggere Let del sospetto
oggi, sessantanni dopo, significa fare i conti con questa fiducia
nelle capacit del romanzo di
rinnovarsi senza sosta prima di
toccare il fondo del vicolo cieco
nel quale ogni tecnica va necessariamente a finire. Significa impegnarsi a tessere trame tra la letteratura contemporanea e quella
di ieri, scostarsi leggermente dal
considerare il nouveau roman
come una faglia con un prima
e un dopo e concentrarsi sul
durante infinito dellarte. Significa riscoprire che la letteratura, proprio come il dialogo rinnovato da Sarraute, ha una sua
sotto-conversazione che nasce da
moti sottili appena percettibili,
fugaci, contradditori, evanescenti, piccoli tremiti, timidi accenni
di invocazione, ritirate, ombre
leggere che scivolano via e il cui
gioco incessante costituisce la
trama invisibile di tutti i rapporti
umani e la sostanza stessa delle
nostre vite
n
robertasapino@gmail.com
R. Sapino dottoranda in letteratura francese
allUniversit di Torino e allUniversitde Nantes

30

N. 7

Per una botanica dellabbandono


di Benedetta Centovalli
Pia Pera
Al giardino ancora
non lho detto

pp. 224, 15,


Ponte alle Grazie, Milano 2016

pita che a un certo punto


della propria vita si decida
di cambiare vita, per cercare la
felicit, per appartenenza, per
maggiore fedelt e intimit con
se stessi. Cpita che quella scelta
sia una scelta di vita, ma una scelta di vita legata a un luogo della
terra, una specie di ritorno alla
natura e al giardino segreto della
nostra infanzia. Cpita che quella
scelta ci salvi due volte,
la prima dalla perdita
di s, la seconda volta
dalla paura e dalla disperazione. Cpita che
quella scelta sia la vita,
anche quando la vita si
sta indebolendo nella
malattia.
Il racconto di Pia
Pera si muove in un
presente
continuo,
chiude e riparte come
gli anelli concentrici di
un grosso albero, al cui centro si
trova il giardino-orto che da anni
coltiva e cura. Racconto sapienziale e filosofico, confessione-dialogo con il lettore, diario di bordo
di una malattia accettata come si
pu accettare una tempesta che ci
sorprende in mare aperto, lettura
sussurrata che porta in superficie
lombra che non abbiamo ancora
attraversato.
Il libro si apre su una poesia di
Emily Dickinson, I havent told
my garden yet, da cui tratto lo
splendido titolo. Il tema il giardiniere e la morte, la scomparsa di
chi ha ideato, pensato, accudito il
giardino. Il suo venir meno come
tradimento involontario, non colpevole, quando verr il giorno in
cui le sue cure non saranno pi
possibili e la natura torner ad essere lunica forza in campo. Mentre un pittore, uno scultore, un
architetto, un poeta creano qualcosa che pu vivere anche senza
di loro, il giardino opera effimera, transeunte, eppure Quando
Pia Pera riceve in eredit un podere in abbandono nella Lucchesia, alle pendici del Monte Pisano,
decide di rimetterlo in sesto e di
abitarlo in pianta stabile, insegue
cos, lei, cittadina cresciuta sui libri, una passione antica. Le
viene in soccorso linsegnamento del filosofo e botanico giapponese Masanobu
Fukuoka, maestro dellagricoltura della non-azione, sintetizzabile in quattro
principi: non lavorare il
terreno, non diserbare, non
usare concimi, non usare
pesticidi. Non sar applicabile a regola darte, ma la
filosofia di Fukuoka non
contrastare ma assecondare la natura ispira la composizione e lallestimento
del suo giardino-orto: un
giardino spettinato e in
movimento, luogo della
spensieratezza e di un certo
disordine, delle erbacce e
dei fiori spontanei, del selvatico (Gilles Clment) e

del possibile.
Dopo alcune eccellenti traduzioni di Pukin, echov e Lermontov, e dopo lesordio nella
narrativa con La bellezza dellasino (Venezia, Marsilio, 1992) e poi
con Diario di Lo (Marsilio, 1995),
originale riscrittura di Lolita dalla
parte della ragazzina, la svolta di
andare a vivere in campagna.
Riscopre la sua radice inglese
con Il giardino segreto di Frances
H. Burnett (tradotto per Salani
nel 2005): Era un libro dimenticato, divenuto inconscio. Forse
proprio per questo mi si insediato dentro come un copione interiorizzato, solo allapparenza un
istinto. E pagina dopo
pagina nel libro Lorto
di un perdigiorno (sottotitolo: Confessioni di
un apprendista ortolano, Ponte alle Grazie,
2003, poi Tea, 2015)
la scrittrice-giardiniera
indaga la sua scelta,
condivide con il lettore il suo cammino per
arrivare alla conclusione positiva che s, la
felicit possibile, e s,
anche la beatitudine.
Prende il via qui la sua scrittura
del giardino-orto nutrita di competenze botaniche che si fanno
ossatura del discorso narrativo
con una doppia funzione, quella
del racconto di unesperienza personale, e quella di fornire al lettore informazioni utili a chi volesse
iniziarsi allorticultura. Un discorso orientato alla consapevolezza
di abitare e di mettersi in ascolto
del mondo animale e delle piante,
un discorso che diventa stile, sostanza e responsabilit, etica del
paesaggio. Nascono Il giardino
che vorrei ( Electa, 2006; Ponte alle Grazie, 2015) e Contro il
giardino. Dalla parte delle piante (
Ponte alle Grazie, 2007), scambio
di lettere tra una falsa dilettante e lamico-paesaggista Antonio Perazzi. Libri incatenati uno
allaltro come una conversazione
mai interrotta, man mano che si
accrescono conoscenze, tecniche,
aggiornamenti, riflessioni e stimoli, lutopia possibile di un mondo
vegetale: Giardino & Ortoterapia.
Coltivando la terra si coltiva anche
la felicit (Salani, 2010) e Le vie
dellorto. Coltivare verdura e frutta sul balcone, sul davanzale o in
piena terra e difendere il proprio
diritto alla semplicit (Terre di

Narratori italiani
Mezzo, 2011).
Al giardino ancora non lho detto comincia con un leggero zoppicare, un difetto da niente, in questo modo Pia Pera scopre di avere
una malattia grave e incurabile, la
sclerosi laterale amiotrofica (Sla),
una malattia che si mangia pian
piano la vita normale, rendendo
i gesti quotidiani sempre pi difficili. Cosa cambia allora nel suo
rapporto con il giardino? qui
lo scatto dala di una confessione
aperta, sommessa, coraggiosa, che
trova nel dolore della separazione
una ragione ultima e illuminante
di bellezza. Non avere paura del
cambiamento, trarre sempre da
quanto si modifica una rivelazione, una visione ulteriore e diversa
che nonostante tutto ci rende capaci di lasciarci andare allo stupore, alla meraviglia che la vita riserva. Cosa cambia nel rapporto con
il giardino? Cambia tutto, ci dice
Pia Pera, non posso pi vangare,
zappare, tagliare lerba, potare,
sfoltire, fare buche, raccogliere
frutti o ortaggi, portare a passeggio il cane Macchia. Eppure dopo
il primo disorientamento, dopo la
paura, sente una sorta di estrema
serenit: cresciuta lempatia.
La consapevolezza che, non diversamente da una pianta, io pure
subisco i danni delle intemperie,
posso seccare, appassire, perdere
pezzi, e soprattutto: non muovermi come vorrei. Le cure riservate
fino allora al giardino sono adesso
destinate alla necessaria cura di s,
come se lei stessa fosse diventata il
giardino. E mentre si rincorrono
riflessioni sul fine vita, sulla libert di scegliere, fatte con gli occhi
asciutti di chi vuole fino in fondo
rendere conto di s con dignit,
la trama del racconto si nutre di
quotidianit antica e nuova (le
trasformazioni della casa fatte per
risolvere i problemi di mobilit).
Pia Pera ricorda la visita nel suo
podere di unartista scandinava
che mentre passeggiavano si fermava a raccogliere frutti secchi,
foglie accartocciate, baccelli anneriti, spazzatura insomma, gesti
che lei aveva rubricato tra le bizzarrie dartista. E adesso che anche lei si sente come uno di quegli
scarti, si domanda se quegli organismi in decadenza, in bilico tra
conservazione e distruzione, non
manifestino prima di venire meno
una loro bellezza, un pathos insospettato, una grazia inattesa.
In Giappone si chiama Kintsugi
larte di usare loro o largento al
posto della colla per riparare oggetti, una pratica che nasce proprio dallidea che una ferita possa
originare una migliore forma di
perfezione.
Sentire la leggerezza interiore che nasce dalla libert dal futuro e dal passato
(La vita non ha altro scopo
che la vita), dallimmersione piena nellattimo presente e dallimpermanenza nel
mondo fluttuante di trasformazioni continue del
giardino. Passare la porta
stretta: Le piante fanno
cos, cedono senza combattere, si piegano senza
dolore, pronte ad accogliere qualsiasi altra vita sia in
n
serbo per loro.
benedetta.centovalli@
unimi.it
B. Centovalli editor, docente
e critico letterario

Seduta in questaltro niente


di Alfredo Nicotra
Marilena Renda
Arrenditi Dorothy!
pp. 184, 16,
LOrma, Roma 2015

a lingua comincia ad emetL


tere suoni prima inauditi, la
schiena accetta di curvarsi sotto il

peso dellassurdo, la pancia si fa traghettare verso grembi stranieri, le


parole dette alla rovescia si fanno
leggere in mille direzioni, si ospitano cento altri nel proprio carapace.
Meglio essere altri, impossibile essere noi. Risiede in questo frammento della raccolta Arrenditi Dorothy!, esordio in prosa della poeta
Marilena Renda (con
prefazione di Antonella Anedda), oltre a una
riflessione sottostante a
una poetica, la densit
e il valore che assume
la parola nel lavoro di
questa scrittrice. La cui
scrittura non ripiega
mai nellostensione di
un rapporto conciliante
e pacificante tra le parole e le cose, tra il mondo
e la sua modellizzazione, ma agisce in favore
di ci che rende pericolosa la letteratura, come scrisse Blanchot,
nella possibilit di condurre il
lettore dove davvero non sei mai
stato.
Dove ci si ostina, e pi di tutto ci si spaventa, Dove niente ci
sorprende,nemmeno i cicloni, Dove
il passato si rivela piccolissimo e gigante, ci informano le tre sezioni
del libro. Pubblicato da LOrma,
nella collana fuoriformato, per
la cura di Andrea Cortellessa, Arrenditi Dorothy! si unisce a quella
nuova formazione di testi ibridi
che lasciano indecidibile la loro
collocazione nel sistema dei generi,
capaci di afferrare gli smottamenti
di un presente sempre pi fluido,
grazie alla profonda omologia tra il
mondo e la rappresentazione che
ne fanno. Opere designate altre
scritture, che eludono le categorie
ossidate del campo letterario. E si
presentano come testi-individuo
e opere-esperienza, che nel disorientare il lettore lo immettono in
un orizzonte dattesa attuale quanto spiazzante, pi vasto di quello
tipico dei testi-massa, prodotti
e confezionati dal mainstream editoriale per il consumo di un pubblico educato e normalizzato. Testi
che confermano la convinzione
che non necessariamente () la
scrittura in prosa () debba rientrare nella sagoma preformata
del romanzo tradizionale ma che
possa essere un campo privilegiato per la scrittura poetica
(Andrea Cortellessa, La terra della
prosa, LOrma, 2015).
Arrenditi Dorothy! un libro
di prose e immagini ritagliate
da film, pseudo racconti che intrecciano una relazione ipotestuale
con limmaginario cinematografico
e mediale, attraverso un doppio legame di filiazione e spossessamento, di parodia e fraintendimento.
Scaturiti da frame e da immaginiinnesco che sono parte effettiva
della scrittura, ne espandono il
senso in un processo di lettura
per cui luna sposta lenunciato
dellaltra () costringendo il let-

tore a unattivit ermeneutica, che


tende a rinnovare il testo nellimmagine e viceversa. Prose non
narrative, il cui fattore costruttivo
conserva la densit semantica del
procedimento poetico. Come Dorothy che si avventura nel mondo
surreale del Mago di Oz, Renda
esplora i luoghi del vissuto e di
una realt trasfigurata dalla memoria e dalla visione, per indagare le
scuciture e le sconnessure dellesistenza, lo spazio interstiziale del
quotidiano, da cui estrae i segni
del disastro. Tra avvenimenti ordinari vissuti in interni abitati da
presenze e animali totemici, il suo
sguardo laterale alle cose (simile
alla fotografia di Diane
Arbus, citata in esergo)
trasforma le pagine in
paesaggi inquietanti, il
domestico in perturbante, fissando sulla
carta percezioni sottili
e alterate, sensazioni
pulviscolari, paure e
perversioni cos piccole
che inquietano davvero. Ma con la grazia
di una visionariet fiabesca (molti racconti
sembrano modulare una fiaba,
osserva Anedda).
Ma sono fiabe per adulti, fiabe
nere e senza fine, dove le citt si
alzano come fondali di cartapesta
(la Vucciria di Palermo, con le
case tagliate come fette di pane)
o come linee che si deve imparare
a mettere in ordine per non smarrirsi. Nel centro in cui convergono
tutti i sentieri, c lincontro con
laltro, abbrivio di una dinamica
di relazioni che inscenano i corpi-olocausto. Come gli amanti
che diventano i duellanti di una
lotta (come se ognuno dovesse
difendere un tesoro dagli attacchi
dellaltro, o come se cercassero
reciprocamente di disarmarsi).
Campo di esplorazioni predilette,
il corpo permette il contatto tra il
s e il fuori, strumento di una conoscenza piena (adesso la tua cosa
mi parla, ho la pancia bagnata della tua cosa che parla, capisco le sue
parole selvatiche e mi piacciono.
un sollievo capirsi finalmente) e
insieme luogo inconcepibile alla
logica. E tuttavia non aggirabile
(pi di questo rimescolamento
del tempo e dei corpi non c granch al mondo), al fine di tendere
allabolizione della distanza.
Non meno fisica e tattile la
parola, che in Renda si aggiunge ai
cinque sensi, perch attraverso
le parole che si vede e si sente.
Attraverso una lingua scura e
consonantica, che lautrice usa
come un lume per illuminare il
disastro. Una lingua oscura che
non si pu smettere di toccare perch nelle sue pieghe ci sono parole
che vanno continuate a cercare.
Lungo i periodi che si ravvolgono
in perifrasi, circonlocuzioni e falsi
movimenti, la parola si lascia trasportare dalla sua stessa fabulazione, tra mulinelli e cortocircuiti
di pensieri, arresa ad equivoci
sensoriali, in una erranza del senso che la spinge verso qualcosa
che non si pu dire, ma sempre
n
sul punto di riaffiorare.
alfredonicotra@tiscali.it
A. Nicotra critico letterario

31

N. 7

Uninesauribile
curiosit
di Luca Simonetti
Antonio Pascale
Le aggravanti
sentimentali,
pp. 182 , 18,50,
Einaudi,Torino 2016

he cos la felicit? Cos la


libert del volere umano?
Sono, questi, interrogativi che ci
aspetteremmo di vedere affrontati in un saggio filosofico, pi che
in un romanzo: almeno in Italia,
dove il conte philosophique non
ha mai goduto di grande popolarit, come dimostra il fatto che,
dopo alcuni memorabili testi degli anni cinquanta, cio le novelle
di Mario Soldati (La
giacca verde, La finestra, Il vero Silvestri) e
la trilogia araldica di
Calvino, non se ne rinvengono pi esempi.
Eppure proprio a
questo genere illuministico che appartiene
il nuovo romanzo di
Pascale, seconda parte di un ciclo iniziato nel 2013 con Le attenuanti sentimentali, e che del
precedente riprende i personaggi
principali (oltre al narratore, il
regista Giacomo, il pittore Luigi,
la produttrice televisiva Paola),
lambientazione (Roma) e i temi.
Peraltro mi affretto a specificarlo ad uso di quelli che nei romanzi non amano troppa filosofia
queste incursioni speculative
sono prevalentemente opera del
protagonista, che propone continuamente ardue questioni ai suoi
interlocutori (a volte, svegliandoli
a notte alta), ma senza mai riscuotere troppo successo: la volont
intellettualizzante del narratore,
continuamente frustrata dalle
reazioni degli altri personaggi,
troppo presi da se stessi e dai loro
problemi personali per apprezzare le divagazioni del protagonista, si risolve in una sorta di controcanto ironico alle inarrestabili
e fluviali affabulazioni degli altri
personaggi, con effetti comici irresistibili.
Il romanzo, che anche in ci si
distacca nettamente dalla narrativa italiana contemporanea, per
riallacciarsi piuttosto ad esempi inglesi e francesi (vengono in
mente Ivy Compton-Burnett e
Aldous Huxley, se non addirittura Il Nipote di Rameau, anche
per via dellambientazione in
un parco cittadino), composto
prevalentemente da dialoghi, con
saltuari raccordi che si fanno pi
ampi e distesi nel terzo capitolo,
che poi quello nel quale accadono quasi tutti gli eventi. La
duttilit e variet del dialogato di
Pascale sono ammirevoli, e vanno
particolarmente sottolineate la
verosimiglianza e la fluidit con
cui i personaggi passano dalla
discussione del pensiero demaistriano alle storie di corna, dalla
microcriminalit romana alla misurazione dellenergia sprigionata
dal cibo (in joule), dai risultati
della psicologia sperimentale al
segreto per mantenere vitale un
matrimonio.

Narratori italiani
Bench i temi del libro che
pur sempre una storia di intellettuali e artisti di mezza et (senza
voler far torto a Paola e Giacomo,
che sono un po pi giovani) che
parlano dei loro problemi esistenziali e si ritrovano in cene, feste e
vernissage possano far pensare
a uno dei tanti romanzi ombelicali della contemporaneit italiana, tanto presa dalle pi minute
vibrazioni dellio del narratore
quanto disinteressata a ci che
di ben pi importante accade nel
frattempo l fuori, siamo invece
dinanzi a una vigorosa e appassionata riaffermazione dei diritti del
romanzo come indagine e scavo
del reale. Il mondo cui appartengono i personaggi studiato e descritto con ricchezza di dettagli;
la resa dei fatti limpida e a volte
vedi in particolare la
splendida scena della
premiazione arriva a
esiti di impressionante
evidenza. Incredibile
a dirsi, leggendolo si
finisce persino per imparare qualcosa, come
la tecnica casertana
dei quattro angoli
(che
personalmente
mi riprometto di usare
alla prima occasione)
o come capire meglio
Joyce, Tolstoj o Darwin.
Per gusti e attitudini Pascale
essenzialmente uno scrittore comico: non ostenta i sentimenti,
non porta allestremo le tensioni, detesta la magniloquenza e le
gradassate, e preferisce smussare,
attenuare, evitare i rischi di eccesso emotivo smorzandoli con lo
humour e i passaggi di tono. Chi
ha letto La Citt distratta ricorder la pagina finale, straordinario
esempio di prosa trattenuta e pudica, che respinge la commozione eppure la provoca; qui brani
della stessa qualit si troveranno,
non tanto nella chiusa (che come
quella delle Attenuanti brusca
e ironica, oltre a fornire la chiave
del titolo) quanto in altre pagine,
come quella che descrive la salita del narratore sullalbero del
Gianicolo, o quelle sullossessione di Giacomo dopo lincidente.

Eppure, se c una caratteristica


del libro che davvero colpisce, mi
sembra che sia unaltra ancora:
ed la sua inesauribile curiosit,
la sua intelligente simpatia per le
cose e per gli altri: in una parola,
una felicit nel raccontare quale,
nel romanzo italiano, non si vedeva almeno dai tempi di Comisso.
n
Non poco, davvero.
l.simonetti@spslex.com
L. Simonetti saggista

Un pirotecnico
cupio dissolvi

di Alessandro Cinquegrani
Tiziano Scarpa
Il brevetto del geco
pp. 328, 20,
Einaudi, Torino 2016

a letteratura di Tiziano Scarpa


L
ha sempre vissuto un profondo conflitto: quello tra introver-

sione ed estroversione del mondo,


per riutilizzare termini junghiani,
ovvero tra la percezione del mondo esterno e la sua ricreazione in
uno spazio tutto interiore, un universo onirico nel quale si muovono ectoplasmi riemersi dalla propria psiche (ricordate,
per esempio, il Canal
Grande vero-finto di
Occhi sulla graticola?).
, a ben vedere, il conflitto su cui si basa gran
parte della grande letteratura, proprio perch un modo di mettersi continuamente in
crisi. Se non zavorri la
luce vola tutto, scriveva Ermanno Krumm in
un verso memorabile.
E la luce che rischia di volatilizzarsi quel mondo interiore tradotto in parole, che richiede un
ancoramento fortissimo al mondo
reale, una zavorra che la leghi al
terreno fertile della realt.
Ora, nel suo libro pi importante, Scarpa sceglie di tematizzare
la questione, declinando questo
conflitto secondo paradigmi diversi, pronunciati da una figura
misteriosa, LInterrotto, anchessa
sospesa nel premondo della nonvita. Quella figura, che, come scopriremo alla fine, ha anche una
chiara identit narrativa, lautore fittizio dellintera vicenda. Un
autore che si rammarica di non
avere corpo, di non esistere, di restare sulla soglia del mondo reale.
Un autore costantemente sospeso
tra una prosa di parole e una di
cose: Il mondo mi manca, e non
ho altro modo di conoscerlo che
attraverso le parole. Sono parole
per conoscere il
mondo, ma sono
anche, necessariamente, parole
che creano un
mondo altro e
che perci entrano in conflitto
con quello reale:
Superarono una
piccola torre di
pietra
bianca,
esagonale, sormontata da una
specie di gazebo
rotondo, che un
tempo
doveva contenere la
fiamma di una lanterna, per emettere segnali luminosi notturni (state parlando di un faro, nientaltro
che un faro; bastava una parola,
cazzo). davvero un faro come
dice lInterrotto in una delle sue
molte incursioni nel testo? O ,
piuttosto, un cumulo di parole, un
insieme di suoni che fa eco nella
mente di chi scrive e di chi legge?
Non rischia di volare tutto?
Il punto allora la presa, la
possibilit di restare ancorati alla
realt, alla vita. Proprio come i

polpastrelli del geco: aderiscono


dappertutto, su tutte le superfici, con una qualit stupefacente.
Tutte, tranne una: il politetrafluoroetilene. Esiste perci un
luogo dove manca la presa, la
falla si apre, e pu essere una falla
metafisica. Proprio da qui parte
la storia dei cosiddetti Cristiani
Sovversivi, un gruppo di disturbo
sociale, improntato a un rispetto
rigoroso della religione cristiana,
di cui nel romanzo si racconta la
genesi, o meglio lantefatto. Se
ne accorge Adele, che da questo
momento in poi seguir una via
di conversione verso una forma
di integralismo religioso. Con la
sua storia si incrocia quella di Federico Morpio, un artista fallito al
quale si presenter loccasione di
riscatto (nellarte o nella vita).
Ma la trama un dato marginale in questo libro, come
lautore scrive chiaramente nel prologo:
contano i dettagli, dice,
ma conta soprattutto
il tema, che sovrasta la
narrazione. Il plot procede a episodi, come
un enigma da ricomporre. E tutti tornano
a quel conflitto: statue
per met a due dimensioni, per met a tre;
parole che abbandonano i protagonisti e si prendono la
libert di non guardare il mondo;
unopera darte fatta con persone
vive; unaltra che trasforma la realt in parole. A tenere insieme il
tutto, lesuberanza della scrittura,
nelle sue evoluzioni improvvise, e
linvenzione di episodi imprevisti,
imprevedibili: un cane che parla,
una donna che nessuno ricorda,
un personaggio chiamato Tiziano
Scarpa. un pirotecnico cupio
dissolvi, un fuoco dartificio lanciato prima di sparire.
Su tutto, poi, resta unipotesi di
assoluto, lassoluto della religione
e lassoluto dellarte: unipotesi
destinata a rimanere continuamente inevasa, proprio perch
astratta, assoluta, priva di una
presa sufficiente nel mondo reale.
Le parabole dei personaggi cercano di tornare a quellassoluto vivo,
calato in un mondo che ha perduto la presenza del sacro. Rileggono la Bibbia cercando un appiglio
concreto, sperando che da quelle
parole nasca una verit tangibile.
Si rivolgono con speranza al cronovisore, una sorta di macchina
del tempo che dovrebbe permettere di ritornare a vedere la vita e
la resurrezione di Cristo. Ma tutto
si basa solo sulla fede, e la fede
sulla parola che in quanto tale
evanescente.
Eppure non c nostalgia o
dolore neppure nel fallimento:
il romanzo elettrizzato da una
carica vitale, da un desiderio di
farsi corpo e materia, da unattesa
della formula chimica che crea la
scintilla di vita. Cos, il discorso
metaletterario si cala nel mondo e,
senza alcuna predica o moralismo,
disegna ci che immancabilmente
abbiamo perso, attraverso una
storia paradossale. un romanzo
ambizioso, insomma, che chiede
al lettore di smarrirsi nelle sue pagine, con la promessa di ritrovarsi
n
alla fine: ritrovarsi diversi.

Il corpo e le sue
somatizzazioni
di Luisa Ricaldone
Vanna Loiudice
Cosce dure

pp. 191, 16,


Italic Pequod, Ancona 2015
n titolo decisamente brutto,
U
e anche un po sconcertante
(tanto pi che non trova giusti-

ficazione nel corso della narrazione), per un libro, viceversa,


che ha diversi pregi. Il ritmo,
innanzitutto, incalzante e teso; il
linguaggio, rotto, aspro, spesso
brutale, specchio di una interiorit dolente e turbata; la storia.
Suddivisa in tre momenti critici
una gravidanza indesiderata, la
perdita del bambino, auspicata
ma poi fonte di disperazione, la
consapevolezza di s e della propria esistenza tre tempi che si
srotolano in una sorta di monologo, che alterna la terza alla prima persona, avvolto su se stesso,
declinato dallossessione per lo
sporco, dove il ventre con i suoi
succhi domina limmaginazione.
Accompagnano la piena delle
parole gli spostamenti, sempre
uguali a se stessi e ripetuti: il
recarsi al lavoro come donna
delle pulizie, i passaggi al bar,
gli incontri casuali, seguiti dagli
allontanamenti in macchina con
sconosciuti che avranno rapporti
con lei al limite dellabuso, le fughe. Alle spalle, il rapporto inesistente e astioso con la madre,
una nonna pi presente ma non
determinante. Un racconto di
donne, dove gli uomini a parte lavvocato Roberto, educato e
gentile sono violenti e vogliosi,
pi bravi a usare lorgano sessuale che il cervello, anaffettivi
e brutali. E lei, Fabiana, lascia
fare, priva com di capacit di
scegliere e di difendersi; sa solo
fuggire, per a volte non ha la
forza neppure per quello.
Lento il processo di consapevolezza di s e del proprio romanzo
familiare; determinante lincontro con la vecchia signora che
abita di fronte al bar che Fabiana
frequenta, che desidera adottarla per piet e anche perch teme
di morire sola. Un romanzo del
corpo e delle sue somatizzazioni, ma anche un romanzo dove il
tempo ha la sua parte, di declino
ma di progressivo riflettere su di
s e sulle cose. Vanna Loiudice,
barese classe 1962, esordisce nel
2005 con la raccolta di racconti
pubblicata da Joker, Lautostrada, storie di famiglie che vivono
in un condominio su cui incombe unautostrada; nel 2007, per
Rubbettino, cura unantologia di
racconti di donne di tutto il mondo sui quattro elementi, Storie
daria, di terra, dacqua e di fuoco;
infine, per Manni, nel 2011, esce
il diario-autobiografia Orchidee e
carri armati, nel quale in primo
piano sono le azioni e il pensiero delle donne che operano nel
Centro di Documentazione e
Cultura di Bari. Cosce dure il
suo primo romanzo.
n

cinquegrani@unive.it
A. Cinquegrani ricercatore di letteratura
comparata allUniversit Ca Foscari di Venezia

L. Ricaldone ha insegnato letteratura italiana


allUniversit di Torino

32

N. 7

Scrivere
per non illudere
di Marianna Comitangelo
Matteo Marchesini
Cronaca senza storia
pp. 137, 18,50,
Elliot, Roma 2016

unico poeta che non meL


rita indulgenza il critico, scriveva Marina Cvetaeva.

A chi emette giudizi sulle cose


altrui non si perdonano errori sulle proprie. Ma diciamolo
subito: Cronaca senza storia il
libro di un poeta, e se si noter la tendenza a sospingere le
emozioni sul filo di una tensione
analitica e speculativa costante,
non sar per linfluenza del primo mestiere la critica ma per
una disposizione, naturale e intenzionale, a capire le cose (La
tortura pi grande
non sapere / mai dove
brucia esattamente, e
cosa, / come e perch
il dolore non si posa
/ in un luogo tangibile). La poesia di Matteo Marchesini non
vuole illudere, e a
tal fine rifiuta vuote risonanze di contenuto
e di stile. Come la conoscenza non unarma sufficiente contro
il male, cos la verit affidata alla
scrittura (da adesso vivere
solo ingannare, / da adesso scrivere solo confessare) non pu
risarcire degli inganni della vita,
perch nasce da una dolorosa,
indesiderata scissione tra vita
e scrittura. Basta infatti che il
poeta tratti dialetticamente s
stesso perch vita e letteratura si
scambino le parti e il vero si riveli inesprimibile a parole: Non
essere la scimmia che trasforma
/ la materia in parole, / le parole in giudizi, ammicchi o smorfie. / Altro ti chiede la minaccia
ariosa / di quel sole, il nerofumo
sparso sulla biacca. / Il giudizio
del vero oggi prevede un piatto
unico: il suo, muto, si legge in
Bergotte, personaggio proustiano che incarna lo scrittore, che
a un tratto capisce di aver dato
incautamente (Proust) la vita
per larte e subito dopo muore.
Ma giunti a questo punto non
si pu continuare a tacere il nome
di Leopardi. Come nottola oscena, in epigrafe al libro, risale alle
origini della poesia leopardiana,
alla cantica Appressamento della
morte, nella cui malinconia il
Giordani ravvisava un veleno,
che pi o meno distrugge la possa
della mente. E anche Leopardi
sapeva in che modo il pensiero
possa cruciare e martirizzare una
persona. La poesia di Marchesini mostra il risvolto oscuro e luminoso della mente, il suo essere
sorgente dellintuizione e luogo
di demoni che trattengono luomo sul ciglio dellincubo.
Sono molte le illusioni che fanno le spese di questa fedelt al
vero. Intanto lidea che larte ripari i guasti dellesistenza; poi lamore: Ma lamore / della coppia
qui sotto ci d torto, / lo specchio
scopre quello che non sei, / tu
quello che non so e ancora: Mi
chiedo a volte se in questa igno-

Poesia

ranza / io possa mai conoscere


cos / una patria dei corpi e delle
menti / nel durare del tempo / o
se mi tocchi ripetere linganno /
breve del grande amore. Sapere, conoscere, capire, vedere, sono i verbi pi frequenti
della poesia di Marchesini, nonch i principali avversari del sogno e dellillusione. Anche la durata illusione (per me non pi
vero / lieri, e il domani non ha
immagine) esiste solo il presente, la sua cronaca, perch il quotidiano cos urgente, a volte violento, che brucia qualsiasi riserva
di energia o slancio prospettico
oltre il qui e ora. Lo iato tra Marchesini critico e Marchesini poeta
non potrebbe essere pi evidente:
se il primo con la storia, il secondo con la cronaca senza la
storia. Una storia personale, sintende, in cui gli eventi si tengono
a formare un destino. Per uno che
ama le storie lo scrittore le ama
rinunciarvi significa ammettere
un fallimento, prendere atto di un
compimento mancato. Ma la rinuncia alla
storia anche fuga per
paura di essere inchiodati a un destino che
fa orrore, come quello
descritto in un testo
struggente, Monologhetto: Perder tutto
e tutti crederanno /
che io sia il tronco che
di me rimane, / che
non capisca ogni cifrato senso / delle frasette che sussurreranno / quando
uguali verranno a visitarmi / in
qualche casa pia, monumentale.
Manca il conforto di un tempo
assoluto che trascende e riscatta
in un altrove ci che la cronaca
allinea con azione indifferente e
spietata. Che ne della poesia se
tacciono il sacro, il bello, il tempo, la poesia stessa? Parafrasando
il Pasolini recensore di luard,
Marchesini non vuol fare il Poeta sentenziando per che il poeta
non sacro. Tuttavia la negazione
del valore ontologico della poesia, di una sua idealistica nobilt,
non traghetta il poeta sulla riva
opposta dellincuria formale, di
una lingua povera, inespressiva,
che tutto include tranne i connotati pi propriamente poetici
(metrici e retorici). Un conto
negare la salvezza estetica, un
altro negare alla poesia finalit
anche estetiche.
A Marchesini non mancano
orecchio e intelligenza compositiva, ma a prevalere il bisogno di
dire con precisione ci che stato pensato con precisione, sicch
le emozioni fanno a volte la fine
della farfalla fissata con lo spillo
entomologico. per interessante notare come questa tendenza
scompaia negli splendidi testi
della Seconda attesa (ultima sezione di Marcia nuziale, Scheiwiller,
2009), con cui si chiude il libro,
dove la forma del sonetto garantisce una curvatura melodica che
allenta le fibre del ragionamento
e impone il ricorso a una sintassi
musicale, pi che grammaticale.
Una poesia senza illusioni affina
e penalizza il talento, ma lillusione senza poesia solo un danno al
lettore e alla poesia stessa. 
n
mariannacomitangelo83@gmail.com
M. Comitangelo dottoranda in italianistica
allUniversit di Roma Tor Vergata

Ci che dio
distrugge
di Francesco Fiorentini
Sonia Gentili
Viaggio mentre morivo
pp. 140, 12,
Aragno, Torino 2015

iaggio mentre morivo restituV


isce lesperienza del rapporto tra io e mondo avvalendosi

degli unici strumenti concessi al


linguaggio poetico: le immagini
fantastiche, risultato di impressioni che non si estendono, n
ambiscono a estendersi, oltre il
perimetro dei singoli fenomeni.
Il concreto tessuto di ogni poesia, scrive Sonia Gentili in un
prezioso intervento pubblicato su Il manifesto (7 gennaio
2014), il ritmo in quanto esperienza, percezione ed espressione
umana, dunque soggettiva del movimento vitale; la poesia
non astrae, ma estrae
dalla singolarit un ritmo che trascina con s
una totalit, conducendo il nesso non altrimenti sperimentabile tra oggetto e mondo
dentro il cerchio fisico
del singolo oggetto
percepito. Lelaborazione delle immagini
impresse nella fantasia tenta di
cogliere la realt nel suo divenire, ossia nellunica dimensione
passibile di essere attinta: un
ponte che lindividuo costruisce
tra esistenza e storia. Il ritmo
vitale della contingenza confina
del resto con un territorio vuoto:
la morte, loscurit che lio trova
dentro e oltre se stesso.
Ma oltre il limite del singolo
oggetto percepito dimora anche
lirrigidirsi del movimento in
convenzione astratta, in schema
universale. Sospese tra il buio
di una perdita definitiva, per sua
natura non comunicabile, e la
morte recata dalla forma, cio
dalla traduzione delle immagini
in concetti, le poesie di Gentili
abitano dunque uno spazio liminare, fatalmente esposto a un
duplice assedio. Lapprossimarsi
dellio ai contenuti estratti dal
flusso della realt implica inizialmente un crollo, o quanto meno
una forte marginalizzazione della
dimensione individuale, che si fa
presenza fragile, eco del mondo
(guardare sottomettersi, obbedire / alla lentezza delle immagini / allincompiuto staccarsi della
linea / dal bianco che ritorno /
della linea alla sua origine...); ma
tale marginalizzazione dovr essere necessariamente provvisoria
affinch sussista una possibilit
di trasmissione. Per altro verso,
inevitabile che nellelaborazione
poetica le immagini fantastiche
entrino in immediata collisione
con il loro limite naturale, la permeabilit della lingua alla forza
strutturante delle astrazioni.
Tutto si gioca perci su una
soglia, espressiva e per cos dire
esperienziale; a riscontro, le immagini che percorrono il libro si
offrono in uno stato morfologicamente fluido. A volte risultano
prossime al dominio del concetto, il quale per a sua volta tra-

dotto, poeticamente, in visione.


In Fiat lux la tradizione mitopoietica giudaico-cristiana, che
pi risolutamente di altre ha costretto il moto delle cose entro la
fissit di un simbolo, spietatamente rivitalizzata: la luce che d
vita, che cade rompendosi sul
mondo, la medesima luce che
trascina ciecamente le cose verso
la loro distruzione (vada la luce,
consumi le pianure / e vada poi
perdendosi, gi morta, / dentro
le vene aride di dio). Una delle
modulazioni pi nitide e toccanti
di questi motivi affidata alla poesia eponima: Viaggio mentre
morivo ed ero / assente o forse
solo / sola: ferma davanti allultimo ancoraggio / del mondo
come patria del presente.
Allo scontro che si riverbera
in ogni cosmogonia poetica
lopposizione tra movimento e
ordine formale sono dedicati
vari testi, soprattutto nella prima
sezione del volume. Non di rado
accade tuttavia che i termini del
conflitto, e le immagini di cui questultimo
si alimenta, espandano la propria sfera di
significazioni fino a ritrarre, con impressionante potenza, la natura mostruosamente
contraddittoria della
danza della fortuna: vivifica nel ritmo
inesauribile del suo
moto, ma distruttiva
per lindividuo, che nel volgere
cieco delle cose finir per cogliere, come in un lampo, lestinzione propria e altrui (Pi niente
seguir questa stagione / che va
consumando le suole sulla strada
/ restano sui vetri le macchie delle gocce / minuscoli fantasmi di
rugiada).
Esperienza estrema del limite,
la poesia di Sonia Gentili anche, di necessit, esperienza reiterata della morte. E se pu darsi
percezione solo di ci che dio
distrugge, proprio su ci che
dio distrugge che si depositer
ogni sentimento, compreso lamore. in effetti questultimo a
guidare i versi pi belli di Viaggio
mentre morivo, dedicati a quanto, nel torrente di rovina che
inonda la realt, viene a perdersi
(di te resta / qui qualcosa, un /
niente abbarbicato / al buio). La
visione della fine genera talvolta
un lucido desiderio di uscita dal
mondo (cos in Morfina, ispirata
da un racconto di Bulgakov).

Censiti
dallIstat
di Luca Lenzini
Matteo Pelliti
Dal corpo abitato
pp. 111, 10,
Sossella, Roma 2015

ono passati settantanni da


Sblicava
quando Vittorio Sereni pubsu Domus un artico-

sto senso potr leggersi lultima,


indimenticabile sezione del libro,
Piccolo canzoniere per un bambino non nato: vertice della raccolta, dove i contenuti emozionanti
invadono lio fino a provocarne,
delicatamente, la dissoluzione
(Il buio che ci separa illuminato / da unenorme luna, con creste / di montagne / e una torre:
una giraffa. / Sulla groppa / gialla ha te / che ridi e mi chiami /
per giocare. Finalmente / anchio
rido / e ti raggiungo).
n

lo intitolato La casa nella poesia


(riproposto nel 2005 da Ivo Iori
in un elegante libretto per i tipi
dellUniversit di Parma, con introduzione di Pier Vincenzo Mengaldo): il poeta degli Strumenti
umani puntava allora lattenzione
sullannessione alla lirica di un
genere affatto nuovo di incanti
ricavato dal mondo () in cui
pi visibile la mano delluomo, e
seguendo una linea oggettuale
si soffermava, per il Novecento, su Gozzano e soprattutto su
Montale. A una genealogia nobilmente novecentesca di questo genere appartiene Dal corpo abitato
di Matteo Pelliti (disegni di Guido Scarabottolo, voce di Simone
Cristicchi, nel cd allegato), che si
presta a una lettura narrativa ed
esistenziale non lontana dal Giovanni Giudici di La vita in versi
(con la memorabile Se sia opportuno trasferirsi in campagna, 1960)
e, pi a noi vicino, Eugenio De
Signoribus (Case perdute, 1989);
ma il tempo non passato senza
lasciar traccia nei possibili incanti
e disincanti dellabitare postmoderno, per cui quel tanto delegia
che poteva richiamarsi a Pascoli
(quello di Mera la casa avanti
/ tacita al vespro puro), con
i suoi ritorni e le sue appartenenze, ora si ritorce dolorosamente
nel grande esoscheletro / su cui
scaricare le tensioni del S (Traslochi), diventando la casa-corpo
metafora di tuttaltro segno, luogo di disunione e inappartenenza,
guscio di spossessamenti e traumi
che dialettizzano interno ed esterno, passato e presente. Il rapporto
tra casa e corpo, come annuncia
il titolo, tematico e polivalente
poich questa e quello sono abitati (haunted, allinglese) da ricordi
e ferite che disegnano una topografia sempre provvisoria, ma
proprio per questo significante, di
esistenze calate nella serialit collettiva: Vi scrivo dal continente
popolato / dai nuclei familiari,
/ gli animali a pi teste censiti
dallIstat (Dal corpo abitato); e
se Pelliti riesce meglio di tanti
epigoni tardonovecenteschi a far
partecipi i lettori del suo inquieto
abitare ed essere abitato, perch
il raziocinare e la stessa inflessione
ironica (e autoironica) che informano i suoi versi non sono affatto
la maschera per spacciare pillole
di autocompiacimento o citazioni
di citazioni, bens il prezzo di un
duro confronto che lio va conducendo con quanto allontana
giorno dopo giorno luomo da s,
dissipandone ogni sforzo di consistenza, ogni miraggio di felicit
n
condivisa.

luca.fiorentini@college-de-france.fr

luca.lenzini@unisi.it

L. Fiorentini post-doc in letterature moderne


al Collge de France di Parigi

L. Lenzini dirige la biblioteca umanistica


dellUniversit di Siena

a limpulso alla perdita di


M
s intrinseco allo sguardo
sulla fragilit delle cose. In que-

33

N. 7

Unarguta familiarit con gli antichi

Saggistica letteraria
La faccia di Lucifero

di Emilia Di Rocco
Lessico critico
petrarchesco

a cura di Luca Marcozzi


e Romana Brovia,
pp. 389, 34,
Carocci, Roma 2016
eggere Petrarca vuol dire imL
mergersi nella pi vasta biblioteca privata in Europa (Luca

Marcozzi) allepoca e vedere il


poeta insieme ai suoi compagni
di vita, nel luogo simbolo etico
del lavoro intellettuale, nonch
uno degli scopi della sua vita e
del suo progetto culturale. La biblioteca di Petrarca il centro da
cui irradia lumanesimo europeo:
grazie alla ricerca di opere rare
che egli costruisce una rete intellettuale che sar determinante per il rinnovamento culturale
dellItalia e dellEuropa nei secoli a venire.
La cura e la dedizione
profuse nellorganizzazione della biblioteca testimonia di quel
nuovo atteggiamento
di arguta familiarit del poeta verso gli
auctores e lantichit
(Lorenzo Geri), che
diventa fondamentale
per la realizzazione del
sogno dellUmanesimo di una civilt ricostruita
sulle latine litterae. Grazie alla
relazione profondamente personale che Petrarca intrattiene con
il mondo antico un rapporto da
uomo a uomo emerge lidea di
una ricerca volta a individuare
quanto c di umano e comune
a tutte le genti per definire quei
caratteri durevoli che descrivono
la condizione umana in generale. Questo uno dei vari aspetti dellumanesimo di Petrarca
(Francisco Rico) che richiama lideale di una cultura basata sullesempio dei grandi autori classici.

l poeta difende questo princiImodello


pio come forma di vita e come
educativo volto al miglioramento dell uomo, fino ad
arrivare a incarnarlo nella propria persona e porlo al centro del
suo progetto biografico. Sempre
attraverso il legame con gli antichi passa lidea della essenziale
uguaglianza dellanimo umano
nel tempo e nello spazio che Petrarca trasmette allUmanesimo e
al Rinascimento (Enrico Fenzi).
sulla certezza che i grandi uomini del passato sarebbero stati
come noi che si fonda lidea che
essi siano a noi comprensibili e
che i loro valori e i loro linguaggi
possano essere trasmessi alla modernit.
Questo discorso conduce a
uno dei nodi centrali del pensiero petrarchesco, il rapporto tra
letteratura e filosofia. Allinterno
di un campo cos vasto, il modo
in cui il poeta del Canzoniere affronta alcune questioni stato
determinante per levoluzione
della cultura europea. Emblematico, ad esempio, latteggiamento dei confronti di Platone
al quale viene riconosciuto il
primato rispetto a Aristotele,

perch pi si avvicinato alla verit rivelata del cristianesimo. Su


questo viene misurata la grandezza di Platone, in linea con la convinzione di Petrarca che il vero
sapere sia una forma di ignoranza che la dimensione propria
della vita morale perch il luogo dello spirito che infinitamente
desidera ci che gli si rivela come
mancanza. Questa idea ha implicazioni importantissime per il
nodo conoscenza-felicit intorno
al quale il poeta dei Rerum vulgarium fragmenta costruisce in
buona parte la sua riflessione sulla conoscenza (Romana Brovia),
spostando sul piano religioso un
problema filosofico fondamentale. Qui Petrarca lascia ai posteri
uno dei suoi contributi pi originali quando ribadisce la centralit dellesperienza sed placet
esperiri e collega
il valore del ragionamento alla vita umana,
mentre risolve la vera
sapientia nellamore
di Dio, cio nellaccettazione dei principi di
fede tradotti nella pratica della virt.
Queste brevi considerazioni testimoniano cosa significa avvicinarsi alluniverso del
Petrarca. unattivit
che implica da parte dello studioso unagilit mentale che gli
permetta di riflettere su questioni fondamentali come la gnoseologia, letica e lestetica, sul rapporto esemplare del poeta con il
mondo, per isolare le questioni
centrali che riguardano luomo.
Sono questi gli aspetti che Marcozzi e Brovia privilegiano nel
Lessico critico petrarchesco. Il volume ha lo scopo di introdurre o
rinnovare in Italia la tradizione
angloamericana dei companions
per completarla, sostituendo
allimpostazione storica di questi
un approccio tematico concentrato su quelle questioni che per
Petrarca sono fondamentali da
un punto di vista umano.
I pochi sondaggi qui offerti
non rendono giustizia a un volume ricco di spunti di riflessione
e di ricerca su un lessico che si
nutre della tradizione precedente, rinnovandola radicalmente
per assumere una dimensione
europea. Ciascuna delle voci che
compongono il Lessico testimonia la fertilit di una speculazione che innerva limmaginario
occidentale della poesia e di altri
campi del sapere, confermando
lafflato pedagogico di un pensiero destinato ad avere una influenza ininterrotta sulla cultura
europea. Per queste ragioni, il
Lessico critico petrarchesco costituisce uno strumento indispensabile per chiunque oggi voglia accostarsi alluniverso affascinante
dellopera di Petrarca con occhi
diversi, che fissino lo sguardo sul
modo in cui il poeta guarda al
mondo, sul rapporto tra letteratura e vita, letteratura e verit. n
emilia.dirocco@uniroma1.it
E. Di Rocco insegna letterature comparate
alla Sapienza di Roma

di Giuseppe Frasso
Laura Pasquini
Diavoli e inferni nel medioevo
Origine e sviluppo delle immagini
dal VI al XV secolo

pp. 85, con 233 ill., 28,


Il Poligrafo, Padova 2015
he aspetto ha il diavolo, com fatto il
C
suo regno? O meglio: gli uomini vissuti nel millennio tra il 500 e il 1500 come si
sono immaginati e luno e laltro? questo il
quesito al quale Laura Pasquini, avvalendosi
di unampia serie di studi, simpegna a dare
risposta con un accattivante volume (introdotto da Gian Mario Anselmi) dove parole e
immagini si armonizzano in un racconto agile
e avvincente; anzi, la narrazione si pone quasi come glossa continua alle immagini, siano
esse miniature o mosaici, affreschi o quadri,
opere di scultura o avori.
Riassumendo in modo schematico, e molto
scorciando, si pu dire che nella storia delle
immagini con le quali, tra medioevo e umanesimo, si rappresentato il principe del male
e il doloroso regno, ci sono alcuni snodi
fondamentali che hanno contribuito allo sviluppo e alla canonizzazione di tali immagini.
La rappresentazione del demonio nellarte
occidentale, salvo pochi casi, , fin quasi al IX
secolo, un fatto sporadico; proprio a quellaltezza cronologica il diavolo entra nelliconografia cristiana occidentale con una immagine
caratterizzata da tratti animaleschi e mostruosi; nellXI secolo, forse in rapporto anche a
un rafforzarsi della lotta contro le eresie
come dice Pasquini il demonio conquista
un ruolo davvero primario allinterno dei
progetti figurativi, anche proponendosi in

soluzioni()sino allora inusitate; parallelamente sempre pi chiare e frequenti divengono le immagini di esorcismo. Altro snodo
fondamentale in questa storia sono le rappresentazioni della caduta di Lucifero con la sua
schiera di angeli ribelli; ma nel XII secolo
che nella iconografia occidentale del Giudizio universale lInferno e il suo principe acquisiscono un rilievo sempre pi imponente.
Poi venne Dante. Certamente limmagine di Lucifero disegnata da Dante nel canto XXXIV dellInferno (e come radicata
nellimmaginario dei pi) si fonda su elementi dottrinali, ma Pasquini ripropone lipotesi
che anche il mosaico (ben presente al Giotto
degli Scrovegni) della cupola del battistero di
S. Giovanni, in particolare linferno realizzato
da Coppo di Marcovaldo intorno al 1260-70,
possa aver suggestionato il poeta: l la figura
del demonio si presenta enorme, con la sua
mostruosa triformit (il vultus trifrons peraltro ha origini remotissime). noto che nella
Commedia tale triformit stata e continua
a essere letta quale parodia della Trinit cristiana. La Commedia fece scuola; durante il
Trecento la prima cantica, unita al settenario
dei peccati, giov a disegnare una nuova tipologia infernale.
Nel Rinascimento italiano, la figura del diavolo passa dalle forme di ibridismo bestiale
che avevano caratterizzato la sua immagine
nel Medioevo a rappresentazioni forse pi
drammatiche e convulse in cui () lo studio
del corpo e delle sue dolorose contrazioni restituiva immagini nuovamente antropomorfiche, destinando le forme ferine semmai ai
soli volti; ma, in sostanza, Lucifero () non
appare pi, detronizzato () da una folla di
entit demoniache secondarie e tra loro comprimarie.

La rottura dellanfora
di Antonio Cicchella
Mirko Tavoni
Qualche idea su Dante
pp. 416, 32,
Il Mulino, Bologna 2015

raccolti da Mirko Tavoni


Inanosaggi
nel suo ultimo volume si dipalungo un ideale percorso

tematico che dalla Vita nuova


procede fino alla Commedia, passando per il Convivio e il De vulgari eloquentia. Da una corriva
analisi dellIndice parrebbe trasparire, in filigrana, una suggestiva marca dantesca che travalica
il contenuto per fissarsi nella sua
architettura complessiva: la raccolta infatti suddivisa in nove
capitoli, a loro volta distribuiti in
tre sezioni. Tale novero, probabilmente casuale, pu essere tuttavia letto come il riflesso del lungo studio che Tavoni ha dedicato
al poeta fiorentino nel corso della
sua attivit accademica. Lautore,
infatti, ripercorre idealmente la
vicenda bio-bibliografica di Dante, riproponendo ricerche pi o
meno recenti che hanno talvolta
segnato un significativo spartiacque negli studi danteschi.
in tal senso esemplare il pi
antico nucleo del volume, il
capitolo quinto, risalente al 1994,
relativo allinterpretazione di alcuni controversi passi di Inferno
xix, il pi famoso dei quali le-

pisodio autobiografico confessato da Dante nei vv. 16-21, in cui


il poeta ricorda, quasi a volersi
difendere, di aver dovuto rompere un battezzatoio per salvare
un pargolo che rischiava di annegarvi. Tra tutti, forse questo
lo studio, per impostazione metodologica, maggiormente paradigmatico; da esso emerge infatti
la cifra autoriale che attraversa
lintera raccolta: lintreccio, cio,
dei risultati di diverse discipline, dalla storia della religione
alla storia dellarte alla storia delle idee, passando per i progressi
linguistico-filologici, acquisiti anche grazie allausilio di strumenti
informatici come il TLIO, fino
alla storia tout court dellItalia
di Dante. Un tanto raro, quanto
prezioso mlange multidisciplinare, dunque, sostiene puntualmente le ipotesi di Tavoni, cosicch, per esempio, prendendo
le mosse dallanalisi linguisticofilologica della pericope per
loco di battezzatori (Inf. XIX,
18), con cui si esaurisce la similitudine tra i fri in cui vengono confitti i simoniaci e i fri
del Battistero fiorentino di San
Giovanni, da considerarsi come
alloggio (per loco) dei battezzatoi, e non dei preti battezzieri, lo studioso individua tali
battezzatoi in anfore puntute
alla base confitte al suolo, che

dovevano contenere lacqua per i


riti battesimali, disposte allinterno della vera e propria struttura
marmorea. Lautore giustifica in
tal modo sia la plausibilit del rischio di annegamento di un fanciullo, sia leffettiva possibilit di
rottura di una di queste anfore
da parte di Dante. A supporto
della sua tesi, Tavoni chiama in
causa la storia del profetismo biblico e quella della miniatura: a
partire dallintuizione di Rachel
Jacoff, che aveva ravvisato nella
rottura dellanfora un allegorico
richiamo alla fractio lagunculae
di Geremia (che, per volere di
Dio, aveva rotto un vaso dargilla davanti al popolo come segno del disappunto divino per
la loro empia condotta), lautore
fa seguire unaccurata indagine
iconografica, grazie alla quale
individua tre codici di origine
fiorentina, il pi antico dei quali
risalente al secondo quarto del
Trecento, caratterizzati da un
comune impianto iconografico in
cui i simoniaci sono confitti, appunto, in anfore. Alleccezionale
e costante dialogo tra le diverse
discipline, cos come emerge,
chiaro, da questo esempio, Tavoni unisce inoltre quello con i
pi recenti studi della dantistica,
aggiornando cos, ove necessario,
i risultati complessivi delle pron
prie ricerche. 
attilio.cicchella@gmail.com
A. Cicchella dottorando in filologia italiana
presso lUniversit del Piemonte Orientale

34

N. 7

Oltranzismo
espressivo
di Gabriele Bucchi
Tiziano Zanato
Boiardo

pp. 410, 21,


Salerno, Roma 2015
a collana Sestante della
L
Salerno si arricchisce di un
nuovo, prezioso volume, dedicato a Boiardo e firmato da Tiziano Zanato. Se per molti autori
della nostra letteratura i profili
complessivi abbondano, non
questo il caso del poeta scandianese, per il
quale lultima monografia generale (dovuta
a Giulio Reichenbach)
datata 1929. Quasi
novantanni di studi
incidono
inevitabilmente sulle categorie
interpretative nonch
sulla facies testuale di
qualsiasi scrittore, ma
ci tanto pi vero
per Boiardo, tornato
progressivamente a nuova vita,
soprattutto sul piano filologicoeditoriale, nel corso degli ultimi
quarantanni. grazie ai frutti di
questo nuovo corso degli studi
boiardeschi, avviato negli anni
sessanta e culminato nelledizione critica delle opere tuttora in
corso presso il Centro Studi Matteo Maria Boiardo di Scandiano,
che oggi Zanato (gi benemerito
editore degli Amorum libri tres)
ci offre un ritratto a tutto tondo
del conte Matteo Maria: non solo
del poeta cavalleresco, ma anche
di quello lirico e bucolico, del
volgarizzatore dei classici e dello
scrittore teatrale.
La produzione letteraria boiardesca viene infatti ripercorsa
nella sua interezza attraverso
unanalisi delle caratteristiche tematiche e formali di ogni opera,
dallapprendistato poetico latino
dei primi anni sessanta (i Pastoralia) allInamoramento de Orlando, il poema lasciato interrotto a
pochi mesi dalla morte, in quel
1494 che vedeva gli
eserciti di Carlo VIII
passare le Alpi per
mettere, come ricorda
lultima celebre ottava,
la Italia tutta a fiama
e foco. Uomo di studi
e di governo, potente
feudatario e capitano
di Reggio, Boiardo resta legato per tutta la
vita alla corte estense
e in particolare alla figura di Ercole I, duca
dal 1471, appassionato
e intransigente cultore di opere storiche,
romanzi e teatro, al
quale lo scandianese
dedica gran parte delle
sue fatiche di scritttore e in particolare di
traduttore. Uno dei
non pochi meriti del
volume di Zanato sta
nel coniugare la discussione dei dati filologici (problemi di
datazione,
metrica,
lingua) e lindividuazione critica di costanti stilistico-narrative

Saggistica letteraria
che ritornano nelle singole opere. Attraversando con lo sguardo
i pannelli di questo polittico in
sette capitoli (il primo dei quali
dedicato alla biografia), il lettore
invitato a riconoscere, pur nel
cambiamento di temi e modelli
di riferimento, la quidditas della
mano boiardesca. Che anzitutto come ci insegna Zanato
arte di raccontare vivacemente e di sceneggiare teatralmente
il racconto, sia esso quello delle
imprese guerriere e amorose dei
paladini nelle ottave dellInamoramento o i fatti raccontati da
Erodoto e Senofonte tradotti in
volgare dal conte di Scandiano.
Sul piano formale molte altre
sono le costanti dellarte boiardesca che il lettore pu scoprire
grazie a questo volume: dallo spiccato sperimentalismo metrico
della poesia in volgare a certo oltranzismo espressivo (in
particolare retorico e
lessicale) presente gi
nei Pastoralia latini
e destinato a tornare
nellInamoramento.
La tendenza alla mescidanza di generi e
stili si configura come
il corrispettivo formale di un libero sincretismo culturale (per
riprendere le parole dellautore)
che permette a Boiardo di accogliere senza pregiudizi le suggestioni pi diverse, umanistiche
e medievali, italiane e francesi,
classiche e bibliche, il dettato
latineggiante e ipercolto a fianco
di quello popolaresco ed espressivo. Attento alle pi importanti novit dei suoi tempi, specie
se provenienti dalla vicina e in
qualche modo rivale Toscana
(madre della nuova bucolica volgare e soprattutto del Morgante
di Pulci), Boiardo le trasforma e
le fa sue a intrattenimento e gloria del suo signore e della corte
estense, dando vita a unopera di
straordinaria variet stilistica e
narrativa che questa monografia
ci invita a ripercorrere e a riscon
prire in ogni suo aspetto.
gabriele.bucchi@unil.ch
G. Bucci insegna letteratura italiana
allUniversit di Losanna

Un io

che non c
di Miriam Begliuomini
Alessandro Baldacci
Giorgio Caproni
Linquietudine in versi
pp. 165, 16,
Cesati, Firenze 2016

Tanto a lungo ignorata o considerata fuori tempo perch non


direttamente ascrivibile al canone ermetico o avanguardista,
quanto poi apprezzata e studiata,
lopera poetica di Giorgio Caproni sembra segnata da
un destino critico paradossale: se lautore
rimasto avvolto per
tanto tempo nellombra, successive letture
ne hanno moltiplicato
allinfinito i possibili
volti. Caproni poeta
sufficientemente longevo, nella grandezza,
per non essere uno ma
molti Caproni. Il viaggio, il congedo, lesilio
e simili, suoi temi dominanti,
sono anche metafora di un io
che sempre attraversa un s che
sempre muta e perci non mai
afferrabile: lio di Caproni, in verit, o talmente presente da non
esserci, o propriamente non c
scrive Pier Vincenzo Mengaldo
(Introduzione a Lopera in versi,
Mondadori, 1998). Primo merito
del volume di Baldacci quello
di individuare uno di questi volti, il pi problematico, interrogativo, dolente, e di seguirne il fil
rouge dagli esordi giovanili fino
alla produzione della maturit.
In unopera inevitabilmente vasta e diffratta, non fosse altro che
per la sua estensione temporale
(dagli anni venti fino al limite, appena sfiorato, dei novanta) viene
cos disseppellita, pagina dopo
pagina, una traccia unitaria.
Il dato biografico e quello poetico scorrono in parallelo: la
formazione musicale da un lato
e poetica dallaltro, sotto il segno
dei siciliani e toscani delle origini,

di Carducci, Pascoli, ma anche


di Saba e Ungaretti; la giovinezza
funestata dalla morte prematura
dellamata Olga, gli anni della
guerra e della Resistenza in Val
di Trebbia; il paradiso perduto
di Livorno e Genova, il trasferimento a Roma, citt desilio,
nellalternanza di insegnamento,
traduzione, collaborazioni.
Se viaggio e musica sono le due
principali chiavi con cui tentare
di disserrare il mondo caproniano, in entrambe risuonano accenti guasti: la distonia in un caso,
la discesa agli inferi nellaltro.
Lanalogia fra parola e musica,
che Caproni scorge e sottolinea,
diventer poi nella sua opera il
costante tentativo di andare oltre
le parole, per pensare in musica
(). Quella caproniana non comunque
mai una melodia orecchiabile, una musica
facile, che si compiace
di sonorit morbide,
rotonde, distese; essa
risulta per converso
aspra, risentita, tesa
spasmodicamente sino
a sfiorare (e a tratti
toccare) una continua
lacerazione. Nel presentare allocchio del
lettore una selezionata rassegna
di testi, tutta la griglia sonora
della poesia a essere messa in
risalto, scandagliata e smontata
nelle sue diverse componenti metriche e musicali, nellalternanza
di pieno e vuoto, pulsazione e
pausa, ariosit e spigolosit.
stato rilevato come luniverso poetico caproniano sia fitto
di oggetti, soprattutto quelli di
una modernit in movimento:
treni, valigie, stazioni, biciclette,
funicolari, ascensori. Il viaggio
al contempo anabasi e catabasi verso il mondo dei morti,
verso la nebbia di latte ove si
sfa / lultima voglia di chiedere
lora (Stanze della funicolare).
Il cammino intellettuale sbarrato, specie negli anni della maturit, dal muro della terra, in
cui espressione dantesca e montaliana memoria si mescolano,
tracciando il limite dellinvalicabile per la ragione umana. La
poesia caproniana concerta con
le dissonanze eliotiane, incrocia
luniverso di Beckett, Kafka, con
voce via via pi rotta, spigolosa,
decentrata. Quella che da altri
stata letta come nichilistica abdicazione per Vittorio Coletti il
silenzio che circonda la frase di
Caproni () proprio un vuoto (). Nel vuoto, il senso non
cova la sua mistica fecondit semantica, ma denuncia la propria
impossibilit ad emergere alla
parola: il linguaggio fa i conti con
la costitutiva incapacit di afferrare le cose, Dietro la parola.
Miti e ossessioni del Novecento,
Edizioni dellOrso, 2002) viene da Baldacci interpretata come
resistenza estrema di una parola
poetica che un ponte lanciato verso laltro (incluso laltro
che ciascuno porta in s), la cui
natura dialogica, sociale, non
aristocratica, solipsistica, autoreferenziale, esigenza, in primis
civile e morale, di interrogare la
propria anima, di riflettere sulla
n
propria identit.
mbegliuomini@gmail.com
M. Begliuomini critico letterario

Ci che conta
il durante
di Izabela Napirkowska
Aldo Nemesio
Il lettore vagante
La percezione dei testi:
letteratura, cinema e web
pp. 97, 9,50
Nuova Trauben, Torino 2015

Quello di Nemesio un libro


che parla del lettore: lettore vagante, leggero, per dirla con Calvino,
lettore libero perch liberato dagli obblighi di essere unastratta
e scarna strategia testuale, troppo
perfetta per essere vera. Lo vediamo nellatto della lettura a fare
congetture e supposizioni, a ricostruire molteplici mondi possibili
popolati da Lucie manzoniane,
Fosche tarchettiane, Angeline sveviane e Carle moraviane alle quali
dar fisionomia, una delle tante,
come tante sono le concretizzazioni dello stesso testo. Il lettore
sottoscrive il patto con quel bugiardo dellautore rinunciando alle
verit inconfutabili a favore dei
quasi-giudizi. In cambio gli dato
di vivere unesperienza estetica e
provare il piacere della lettura. La
letteratura non offre certezze ()
offre ai lettori la possibilit di trovare le certezze che desiderano,
ma anzitutto rievoca le emozioni.
Le ricerche empiriche di Nemesio vanno oltre gli studi tradizionali. Il suo approccio non impone
nulla al lettore, non lo scheda, classifica n tantomeno giudica; una
volta conferitogli un ruolo attivo, lo
osserva, perch quello che conta
non il dopo (), ma il durante.
Da qui deriva una delle accuse formulate tra le righe: le difficolt nello studio e nellinsegnamento della
letteratura nascono, tra laltro, dal
fatto di trascurare linterazione col
testo con il risultato di ritrovarsi
nellarido vicolo cieco dellautoreferenzialit. Questo allontana gli
studi letterari dalla comprensione
del perch luomo legge la letteratura e la considera importante,
diagnostica Nemesio. Cosa fare,
allora? Uscire dalla prigione del
passato illustre, varcare il confine
che delimita ma al contempo
limita la disciplina, per studiare meglio la letteratura attraverso
la lettura, dove il fuggente attimo
viene catturato e studiato nelle sue
n
molteplici sfaccettature.
ignapiorkowska@uw.edu.pl
I. Napirkowska insegna letteratura italiana
allUniversit di Varsavia

35

N. 7

Che vuole che ci aspetti,


a chi nasce nel Bronx di Catania?
di Claudio Sarzotti
Elvio Fassone
Fine pena: ora
pp. 224, 14,
Sellerio, Palermo 2016

hi non conosce come si divenC


ta giuristi in Italia pu stupirsi
di quanto poco essi conoscano

del mondo carcerario. Spesso,


ancora oggi, pu accadere che lo
studente di giurisprudenza in tutto il suo corso di studi non abbia
occasione di varcare quella soglia
oltre la quale vengono
depositati i cosiddetti
criminali. Anche quando si diventa operatori
della giustizia la conoscenza di quel mondo
sovente superficiale,
sfocata, non fondata
sullesperienza umana
del contatto con custodi e custoditi, sulla percezione materiale del
sinistro suono dei chiavistelli e di quellindefinibile odore di cibo precotto che
si sente camminando nei corridoi
delle sezioni detentive. Il libro di
Elvio Fassone narra la progressiva scoperta di questo mondo da
parte di un giudice coinvolto in
un rapporto epistolare, durato pi
di venticinque anni, con un recluso che egli stesso ha condannato
allergastolo. Conoscenza, quindi,
maturata per mezzo del racconto,
prima sgrammaticato poi via via
pi articolato e maturo, formato
dalle lettere che gli giungono, con
intervalli irregolari, da una persona
che ha avuto modo di conoscere
come imputato nel maxiprocesso
di Torino ai clan della mafia catanese del biennio 1988-1989.
e prime 45 pagine del libro,
quasi interamente dedicate alla
descrizione del maxiprocesso, rappresentano un breve e penetrante
saggio di sociologia giudiziaria su
come la logica di tali processi sia
conciliabile con i parametri garantisti della giustizia penale. In un capitoletto, significativamente intitolato Venti di guerra, Fassone, dopo
aver esaminato i preparativi bellici
per garantire la sicurezza dellaula
bunker, confessa una verit impudica: questa non giurisdizione, non terziet, non olimpica
imparzialit. La parit delle armi
tra le parti del processo di cui parlano i manuali di procedura penale
diventa lotta armata, dove io
(n.d.r. giudice) posso ancora impugnare idealmente la bilancia solo
perch duecento uomini intorno
a me imbracciano fisicamente il
mitra. In questa logica di scontro
militare anche la figura dellimputato come cittadino che accetta di
sottoporsi al giudizio imparziale
dello stato diventa pura finzione:
Gli imputati, a loro volta, si sentono come serpi schiacciate contro
le pareti del loro paniere, e come
serpi sono pronte a mordere solo
che si giunga loro a tiro. Un atteggiamento di pura rivalsa e di
completo distacco dalla giustizia
statuale, e pi in generale dalla societ degli inclusi, che ritroviamo
anche nellintera vicenda di Salvatore, lergastolano protagonista del
libro. Si potrebbe aggiungere, an-

dando oltre il libro di Fassone, che


tale atteggiamento diffuso ben al
di l della cerchia della criminalit
organizzata e coinvolge gran parte
dei clienti abituali della giustizia
penale del quotidiano. La societ
dei cattivi perde ogni contatto con
quella dei buoni cittadini e il percorso criminale assume i contorni
di quello che i sociologi del crimine
hanno chiamato la profezia che si
autoadempie. Emblematiche in
tale prospettiva due frasi che Salvatore rivolge a Fassone in tempi
diversi. Ricordando la
figura del fratello Carmelo, ucciso da un clan
rivale: A noi siamo
maledetti, o la tomba o
la galera. Che vuole che
ci aspetti, a chi nasce
nel Bronx di Catania?.
In un colloquio durante il processo, quando
chiede al giudice se ha
un figlio: Perch le volevo dire che se suo figlio nasceva deve sono
nato io, adesso era lui nella gabbia;
e se io nascevo dove nato suo figlio, magari ora facevo lavvocato,
ed ero pure bravo. La maledizione sociale di essere nato in un certo
quartiere, di aver frequentato certe
compagnie, di aver intrapreso una
carriera deviante sin dalladolescenza e quindi essere entrato nel
circuito penitenziario il filo rosso
che lega tutta la vicenda del protagonista. Sembra la trama di un
gangster movie degli anni trenta: la
vittima, dibattendosi per sfuggire
alla ragnatela che lo avvolge, non
fa che avvilupparsi ancor di pi
nelle spire di un destino che non
pu che approdare ad un tragico
epilogo (in questo caso il suicidio).
questo dibattersi che ci viene
raccontato dalle lettere dellergastolano e dalla scrittura di Fassone che riesce, con acuta capacit
introspettiva, a riempire i vuoti di
una testimonianza del mondo del
carcere per certi aspetti reticente:
talvolta per il rispetto dovuto allillustre destinatario (nelle lettere
Salvatore d sempre del lei al destinatario e lo chiama Presidente),
talaltra per proteggersi dallocchiuta vigilanza dei sorveglianti,
forse pi paventata che effettiva.
Dopo lo smarrimento e la rabbia
della notizia della condanna a vita,
ecco il desiderio insopprimibile di
continuare a vivere, forse risvegliato dalla sorpresa per una lettera
e un libro sgualcito (Siddharta di
Hermann Hesse) inviati in carcere
dal giudice stesso che lo ha condannato. Sembra aprirsi un canale
di comunicazione tra due mondi
sociali che sinora si erano parlati
solo con arresti della polizia e atti
processuali (Presidente, io di libri
non ne ho letti mai, ho letto solo
atti processuali). Entriamo cos in
quellutopia carceraria che i penitenziaristi ottocenteschi avevano
vagheggiato come la finalit rieducativa della pena detentiva. Ecco il
primo colloquio col direttore: Gli
ho fatto notare che non sono pi
il Salvatore di un tempo, voglio
prendere la quinta elementare, e
voglio fare il corso per ebanista.
Imparare a leggere e scrivere; qualche corso professionale per impe-

Diritto
gnare il tempo, la galera passa
meglio se il cervello impegnato in
qualche cosa; con la benevolenza
del comandante si pu anche diventare responsabile della mensa
(Laltra settimana il comandante
ha approvato una mia idea che
la tavolata della domenica); una
ragazzina poco pi che adolescente pu decidere di passare la sua
vita di coppia tra un colloquio e
laltro, forse perch si droga mediante il sapore un po romantico
della fedelt e dellaiuto che essa
rappresenta per chi dietro le
sbarre; dopo molti anni anche
qualche permesso premio, tanto
per accorgersi che la vita di fuori
non ha certo rallentato il passo per
aspettarti ( tutto nuovo per me,
le macchine, la roba che c nei negozi, la gente come vestita ).
Si tratta di quel carcere di cui ci ha
parlato Altiero Spinelli dallisola
di Ventotene settantanni fa: Una
piccola societ cenobitica, in cui
si vive, cio si soffre e si gode, si
piange e si ride, come in tutte le societ (), una vita meschina, monotona, ripugnante a vederla dal
di fuori, ma che lunico modo
consentito per sopportare il dolore
della reclusione. Ma anche questa
forma di vita anestetizzata non risparmia dal compiersi di quello
che appare un destino inesorabile.
La ragazzina, che nel frattempo
diventata una signora un po attempata, ti dice, proprio nel giorno
del permesso premio, che deve far-

si una nuova vita, ha quarantanni


e tra un po non potr pi avere
figli. Le vecchie amicizie criminali
riemergono anche quando probabilmente non esistono pi, ma, si
sa, che dentro la piccola anomalia
sospetta, il sospetto certezza, la
certezza condanna senza appello. Cambia un direttore, scoprono un cellulare nella tua sezione, il
portavitto ti ha servito prima degli
altri tuoi compagni di cella (si potrebbe presumere che linteressato
stia cercando di acquisire una posizione di preminenza rispetto agli
altri detenuti), accoltellano nel
tuo istituto un affiliato di un clan
rivale.
ai le valigie e anni di buona conF
dotta si sciolgono come neve al
sole. Torni alla casella di partenza
in un insensato gioco delloca di
cui non riesci a capire chi sia il
conduttore. E un giorno arriva una
lettera: Sono stanco di vivere in
carcere () ho scritto al giudice di
sentirmi, se non verr a sentirmi gli
scriver una lettera e mi toglier la
vita. Sembra una minaccia come
tante altre che i detenuti fanno per
attirare lattenzione: unestrema
richiesta di ascolto. I reclusi non
sono credibili nemmeno quando
parlano della loro vita. Ma altri
segnali si aggiungono: in particolare, la rinuncia a chiedere sconti
di pena a cui si avrebbe diritto,
non serve a nulla, il mio passato
pesa sempre contro di me. Fasso-

ne sceglie un verso di una poesia


di Emily Dickinson per descrivere
lultima lettera che Salvatore non
gli ha mai scritto: E se dicessi che
non aspetto pi?. Il giudice abbatte ancora una volta il muro che
lo separa dallergastolano e ne coglie la disperazione della scelta del
darsi la morte se vuoi vivere davvero libero. Conclusione tragica e
senza appello per il carcere, e forse
per lintera giustizia umana, a cui la
razionalit del giurista sembra abbandonarsi per un istante. Ma non
che un istante. Nellappendice
Fassone, riprendendo il suo ruolo di giurista e legislatore, avanza
proposte, ragionevoli e praticabili
anche dal punto di vista politico,
per labolizione dellergastolo e,
al tempo stesso, per non dimenticare Abele, ovvero le vittime dei
reati pi efferati. Intento condivisibile, sacrosanto, forse raggiungibile anche in unepoca di imperante
populismo penale. Ma dopo aver
letto il libro non possibile reprimere una domanda: possiamo accontentarci dellabolizione dellergastolo o non dobbiamo piuttosto
ripensare il senso stesso della pena
carceraria e le modalit con cui
n
essa viene praticata?
claudio.sarzotti@unito.it
C. Sarzotti insegna filosofia del diritto
allUniversit di Torino

Il senso di una parola violata


di Livio Pepino
Dario Ippolito
Lo spirito del garantismo
Montesquieu e il potere di punire
pp. XVI-112, 16,50,
Donzelli, Roma 2016

arantismo parola svilita, deturpata dallabuso. Spesso, e comprensibilmente, suscita


sospetto, insofferenza. Comincia cos questo lavoro che esplora il passato con locchio al presente, seguendo le mosse del barone settecentesco,
dietro la cui insistita riflessione sulle tecniche
istituzionali di limitazione del potere politico, si
scorgono facilmente i segni della preoccupazione
per le derive dispotiche del governo di cui suddito. In questa operazione, la ricerca delle radici
del garantismo una necessit per restituire senso
alla parola violata.
La teoria del garantismo, nellaccezione legata
al sistema penale e al conseguente processo,
patrimonio recente, elaborato nel nostro paese a
partire dagli anni settanta del secolo scorso, soprattutto nella temperie del terrorismo interno.
Montesquieu, dunque, non ne il padre, cos
come il Settecento francese non ne la culla. Eppure il suo richiamo importante per una pluralit di ragioni. Anzitutto per segnalare che il garantismo, inteso come sistema di stretta legalit, ha
come terreno privilegiato il sistema penale per la
ragione decisiva che la conflittualit immanente
nel rapporto tra libert e potere raggiunge la sua
massima intensit proprio sul terreno della penalit ma che non si esaurisce in esso. S che non
sono ad esso riportabili le posizioni che pretendono di vincolare alle regole la sola giurisdizione,
proclamando contestualmente lonnipotenza della maggioranza, lincontrollabilit della politica,
lassenza di limiti per il mercato.
Una seconda ragione che rende attuale e stringente il riferimento a Montesquieu in tema di garanzie e garantismo laccento posto sul sistema
sostanziale, prima ancora che su quello proces-

sale. Nel pensiero del barone settecentesco una


legislazione penale garantista non pu prescindere dai principi di tassativit (nella legislazione
penale non bisogna () ricorrere a espressioni
vaghe perch lindeterminatezza semantica delle
figure di reato si traduce in accuse imprevedibili
e in giudizi arbitrari: le leggi cinesi stabiliscono
che chiunque manchi di rispetto allimperatore
debba essere punito con la morte. Siccome esse
non definiscono cosa sia mancanza di rispetto,
tutto pu fornire un pretesto per togliere la vita a
chicchessia e sterminare la famiglia che si vuole);
di materialit (le leggi scrive Montesquieu si
occupano di punire unicamente le azioni esteriori) che vale a fondare, sul terreno della giustizia,
leccezione di illegittimit dei reati dopinione; di
necessit (ogni pena che non derivi dalla necessit tirannica scrive Montesquieu la legge
non un puro atto di autorit; le cose indifferenti
per loro natura non sono di sua competenza).
C poi il profilo delle garanzie processuali. Esso
non oggetto di riflessione organica nellEsprit
des lois, tuttavia Ippolito, muovendosi tra i diversi capitoli dellopera, ne reperisce un catalogo,
anchesso di straordinaria attualit: a) le attivit
processuali devono svolgersi nelle forme previste
dal diritto; b) il giudice devessere super partes; c)
il diritto di difesa un diritto naturale che il diritto positivo deve garantire; d) limputato ha il diritto di mentire ai magistrati; e) la tortura giudiziaria
inutile e contro natura; f) il diritto al contraddittorio un corollario del diritto naturale alla
difesa; g) il collegio giudicante devessere formato
da individui della stessa condizione dellimputato; h) limputato devessere libero di esercitare il
diritto di ricusazione; i) la sentenza di condanna
non pu essere emessa sulla base di una sola testimonianza. C di che aggiornare la riflessione
sul garantismo, senza dimenticare, come segnala
Nadia Urbinati nella prefazione, che del potere
occorre sempre diffidare, anche quando impersonato da rappresentanti eletti per suffragio universale e che i cittadini sentono simpatetici o vicini
alle loro idee.

36

N. 7

Lo stretto rapporto
tra tomba e denaro
di Giovanni Filoramo
Peter Brown
IL RISCATTO DELLANIMA
Aldil e ricchezza nel primo
cristianesimo occidentale

ed. orig. 2015, trad. dallinglese


di Luigi Giacone,
pp. XV-245, 30,
Einaudi,Torino 2016
prima vista, Il riscatto dellaA
nima, uscito tre anni dopo la
poderosa monografia Per la cruna

Gli altri dovevano aspettare il giudizio finale di Dio, cos come dipendevano dal giudizio di un ricco patrono per la loro vita, in una
sorta di luogo fresco e riposante
(il refrigerium interim di Tertulliano). Con la met del settimo
secolo questo cosmo gerarchico
era crollato: lanima di un povero
o di una prostituta almeno in teoria aveva le stesse possibilit di
salvarsi di quella dellimperatore.
Tutti, se lo meritavano, potevano
avere un posto in cielo.
La ristrutturazione dellaldil
rese possibile unazione politica,
o meglio economica, da parte
dei vivi attraverso la creazione
di strutture di intercessione, che
sarebbero diventate, secoli dopo,
il bersaglio preferito dei riformatori. Dando elemosine ai poveri o
attraverso le donazioni alle chiese,
il fedele, ricco e meno ricco, poteva costruirsi un vero e proprio
tesoro in cielo per s e per i suoi.
Le anime dei trapassati, in questo
modo, non erano pi condannate ad aspettare limperscrutabile
decisione di Dio, ma potevano,
entro certi limiti, riscattare il proprio debito. La novit, pi che
in queste pratiche, sta nella loro
apertura a tutti, superando le
insormontabili divisioni della gerarchia sociale. Ne risultarono favoriti i cristiani di mezzo. Si tratt
di una rivoluzione silenziosa, ma
decisiva, che porta a guardare in
modo diverso al sorgere del medioevo. Alla fine il cerchio si chiude. Diventate istituzioni sacre in
s, ora i monasteri funzionavano
come centrali elettriche della preghiera: file sterminate di monaci
pregavano ininterrottamente per
la pace del regno franco ma prima
ancora per le anime di fondatori
e benefattori. Quando il libro si
chiude erano ormai visibili i contorni del futuro purgatorio, si era
iniziata a praticare la penitenza
attraverso il rito della confessione, si disegnavano i confini di un

nuovo mondo.
Il libro ricchissimo di spunti e
suggestioni. Il cristianesimo ricostruito da Brown non dominato
da una singola master narrative,
ma ricostruito piuttosto nei termini di una perenne controversia
tra i cristiani stessi. Esso si evolve
in luoghi differenti in modi differenti con tempi differenti: una
capacit di adattamento culturale
che ha segnato la sua storia e le
sue fortune. La particolare economia escatologica che Brown
ricostruisce e che dovrebbe dar
da pensare a tutti i sostenitori
di un ingenuo pauperismo era
profondamente radicata nella
mentalit antica, che certo non se
ne scandalizzava: in fondo, i termini stessi del linguaggio salvifico
cristiano, come economia e redenzione, hanno questa matrice.
Del resto, fu la presenza di una
crescente ricchezza allinterno
delle chiese a garantire che le concezioni cristiane dellaldil non
rimanessero vane speculazioni.
Unintera societ cristiana si trov
coinvolta in un incessante dibattito sul rapporto tra il denaro e
la tomba () La tarda antichit

avrebbe conosciuto meno bellezza se i cristiani non si fossero cos


preoccupati del legame diretto tra
questo mondo e laldil che si creava presso il sepolcro. Da questo
punto di vista forse lapporto pi
originale del libro consiste nella
sua rilettura della controversia pelagiana, quello che lautore non a
caso definisce il groud zero di una
potente detonazione spirituale di
cui lo stesso Agostino paventava
di vedere le conseguenze, dove in
gioco non erano soltanto problemi eterni come il libero arbitrio e
la predestinazione, ma problemi
pi terreni come il ruolo di collettore di ricchezza della chiesa
che, grazie al vescovo di Ippona,
si dava in questo modo una identit destinata a durare nei secoli.
A meno che papa Francesco, realizzando quanto la scelta del suo
nome sembrava promettere, non
riesca a sciogliere definitivamente
il nesso cos magistralmente ricostruito da Peter Brown: un vero
miracolo.
n
giovanni.filoramo@unito.it
G. Filoramo ha insegnato
storia del cristianesimo allUniversit di Torino

Lebrezza e il tormento di assaltare il cielo


di Daniele Di Bartolomeo
Haim Burstin
RIVOLUZIONARI

Antropologia della rivoluzione francese


pp. 334, 25, Laterza, Roma-Bari 2016

aim Burstin, professore di storia moderna


allUniversit di Milano-Bicocca, uno studioso noto nel panorama della storiografia internazionale per le sue preziose e innovative ricerche
sui luoghi (il faubourg Saint-Marcel)
e sui protagonisti (i famosi sanculotti) della Parigi rivoluzionaria. Ed
proprio sulle fondamenta di questi
monumentali studi, iniziati negli anni
settanta sotto la guida dello storico
marxista Albert Soboul, che lautore
si appoggia (qualcuno potrebbe dire,
si adagia) per proporre in questo suo
ultimo libro una rilettura ambiziosa e
suggestiva della grande rivoluzione.
davvero curiosa la sorte toccata a
questo volume, la cui prima edizione
francese risale al 2013. un libro importante, a tratti anche avvincente, concordano
i suoi recensori, ma, aggiungono subito dopo
allunisono, non affatto unantropologia della rivoluzione francese (Jean-Pierre Jessenne,
Revue dhistoire moderne et contemporaine,

2015, n. 62; Giuseppe Berta, LEspresso 25


febbraio 2016). Tuttal pi si tratterebbe di una
fenomenologia di tipi rivoluzionari scritta alla
maniera dei sociologi, hanno chiosato due esperti della rivoluzione come Francesco Benigno
(Alias, 7 febbraio 2016) e Sergio Luzzatto (Il
Sole 24 Ore-Domenica, 27 marzo 2016). Una
manchevolezza costata allautore il rimprovero
dellindomito storico marxista Claude Mazauric:
un accigliato e severo decano degli studi rivoluzionari che, tra le altre cose, accusa
apertamente Burstin di aver tradito
la vecchia causa comune (Annales
historiques de la Rvolution franaise, 2014, n. 377). Tra una recensione
e laltra, poi, emergono seri dubbi sul
fatto che lautore, in fin dei conti, sia
davvero riuscito a spiegare il fenomeno della radicalizzazione rivoluzionaria e, soprattutto, il lato oscuro della
rivoluzione, lemblema del suo fallimento: il Terrore.
Eppure, nonostante la curiosa e a
tratti imbarazzante controversia accademica sul sottotitolo e il rischio di restare insoddisfatti dalle nuove risposte fornite dallautore allenigma della violenza e dellinarrestabilit
della rivoluzione, quello di Burstin un libro in-

di un ago. La ricchezza, la caduta


di Roma e lo sviluppo del cristianesimo, 350-550 d.C. (si veda
LIndice, 2014, n. 9) potrebbe
sembrare unappendice di questo lavoro che, a partire dal famoso detto di
Ges (Matteo 19, 2324) sulla necessit per
il ricco di abbandonare
ogni ricchezza per ottenere il regno dei cieli,
ricostruisce il modo in
cui, tra IV e VI secolo,
il rapporto con la ricchezza del cristianesimo, divenuto con Teodosio religione di stato,
mut profondamente
in seguito a due cambiamenti
radicali. Il primo concerneva le
fonti della ricchezza e i suoi usi
nella societ imperiale dominati
dallamor civicus che si traduceva
nella filantropia e nellevergetismo delle classi dirigenti: la chiesa
trasform il legame civico del cittadino con la polis nel legame del
credente con i morti. Il secondo
riguardava la torsione profonda
che luso ammesso della ricchezza conobbe nel cristianesimo tardoantico, dove le donazioni e le
offerte erano una forma di transazione religiosa che si rivolgeva ai
poveri. Col tempo, queste offerte
divennero una caparra che permetteva alluomo peccatore (cio
a tutti) di costruire il suo piccolo
tesoretto in cielo: una svolta verticale che prelude al cristianesimo medievale.
l riscatto dellanima approfondisce questa tesi, muovendosi
allinterno dello stesso quadro
spazio-temporale:
laffermarsi
della cristianit occidentale tra III
e VII secolo, tra lAfrica di Cipriano e Agostino, da un lato, e la Gallia del monastero aristocratico di
Lerino, di Salviano di Marsiglia,
di Cesario di Arles, di Gregorio
di Tours, dallaltro, in un periodo che conobbe la crisi definitiva
dellimpero romano e il subentrare dei regni romano-barbarici.
Le fonti di partenza sono quelle
raccolte in un testo poco noto di
Giuliano di Toledo, il Prognosticon futuri saeculi, del 688, in cui il
vescovo raccoglie, per conforto di
un suo confratello che si appresta
a morire, gli scritti a lui noti sul
destino dellanima, a cominciare da quelli di Cipriano, morto
martire nel 258: una raccolta che
fornisce a Brown i termini fondamentali della sua inchiesta relativa
al cambiamento nel frattempo intervenuto nelle concezioni escatologiche cristiane. Identico anche
il silenzioso protagonista: la massa
dei cristiani anonimi che Agostino

distingueva dai veramente buoni,


destinati al paradiso, e dai malvagi
destinati allinferno, una massa di
mediocres che si erano convertiti
al cristianesimo per i motivi pi
diversi, portando spesso con s
inveterate abitudini e credenze
religiose pagane, e alla cui educazione e conversione in profondit
fu dedicata la cura pastorale dei
grandi vescovi dellepoca. Come
un riccio, infatti, il protagonista
di questa rivoluzione silenziosa,
il cristiano comune, era ricoperto
dalla testa ai piedi dagli aculei minuti e pungenti dei piccoli peccati
quotidiani, i peccata minutissima
di Agostino, quei peccati o debiti
che il Padre nostro invitava con
una preghiera quotidiana ad eliminare:
un linguaggio economico che si radica
dunque nel pi antico
messaggio cristiano.
Loriginalit del libro
consiste nel rileggere
il cambiamento delle
credenze
escatologiche,
normalmente
affrontato in una prospettiva di storia delle
idee, alla luce del cambiamento che stava avvenendo nel
rapporto tra chiesa e ricchezza.
Il titolo del libro rimanda a
un passo di Proverbi 13, 8 Redemptio animae viri divitiae eius
(Riscatto della vita di un uomo
la sua ricchezza). Mentre per
lautore disincantato del libro biblico che gli antichi identificavano con il re Salomone la frase
rimandava al potere terreno della ricchezza e alla possibilit che
essa offriva al titolare, in determinate circostanze, di garantirsi
la propria vita (in ebraico nefesh,
tradotto in greco con psuche o
soffio vitale, da cui lanima della
Vulgata), coi secoli, nella tradizione cristiana, sullo sfondo del prevalere della concezione platonica
dellanima, fin per sintetizzare il
modo in cui la chiesa, a partire
dallinvito gesuano, aveva invitato i ricchi a spostare le proprie
ricchezze in cielo attraverso elemosine e donazioni allo scopo di
costruirsi un capitale, il tesoro in
cielo, che garantisse loro la salvezza eterna.
Il mutamento pi significativo
studiato da Peter Brown non riguarda la concezione dellanima
ma il fatto che, nei quattro secoli
sotto esame, si passa da una concezione aristocratica dellaldil a
una democratica, in cui il singolo
individuo recita una parte centrale: in questo senso, il suo libro
pu anche essere letto come un
contributo alla storia dellindividualismo antico. La cosmologia
antica era elitaria e conservatrice.
La gente conosceva il proprio posto nelluniverso: qualunque fosse
limmagine dellaldil, esso era
immaginato, come lordine sociale sulla terra, in termini di gerarchia e status immutabili. I primi
cristiani si mossero lungo queste
linee, proponendo una forma di
aristocrazia spirituale: le anime
dei martiri andavano direttamente in cielo come premio per il loro
impegno privo di compromessi.

Storia

37

N. 7

Unattitudine disciplinante
e totalitaria
di Franco Motta
Adriano Prosperi
LA VOCAZIONE
Storie di gesuiti
tra Cinquecento e Seicento
pp. XIX 250, 30,
Torino, Einaudi 2016

chi, come lebreo GiovanC


ni Battista Eliano, promessa
dellaristocrazia rabbinica italia-

na, entra fra i gesuiti a ventanni,


non appena battezzato, e durante una missione in Egitto si salva
solo con la fuga da una condanna
a morte per apostasia. C chi,
come il francese Ren Ayrault,
vaga sotto falso nome da Parigi
a Digione, poi a Colonia, Roma e Milano per
sfuggire al padre che si
rifiuta di vederlo nella
Compagnia, e che addirittura d alle stampe un pamphlet per
avere indietro il figlio.
C chi, come Roberto
Bellarmino, cardinale,
santo e dottore della
Chiesa, sembra vocato
allabito fin dalla nascita, e non una sola volta,
raccontando la propria vita, parla
di peccati e tentazioni. C anche
chi, dopo avervi fatto ingresso,
esce dallordine, e allora ne subisce le conseguenze: Adriano Pellicano che si toglie la vita buttandosi in un pozzo, Jakob Schermer
che muore cadendo dalle scale la
notte dopo le dimissioni, Giovanni Dionisio, che finisce ucciso in
una rissa per motivi di gioco. Perch la Compagnia di Ges non
un istituto di perfezione come
gli altri, ma quello che Cristo ha

voluto affinch la sua parola arrivasse in ogni angolo del mondo;


chi lo abbandona come una
stella caduta dal cielo, scrive
Pedro Ribadeneyra, il biografo
di santIgnazio: perch i gesuiti
si considerano il cielo degli ordini religiosi, un cielo gi realizzato
in terra, e abbandonato il quale
non pu che esservi linferno. La
Compagnia ha una porta stretta,
molto stretta, e chi la prende per
uscire non pi riammesso. Cavoli riscaldati sono chiamati con
sprezzo quelli che bussano una seconda volta, e per loro luscio non
si riapre: Ippolito Guzzone, che
abbandona il noviziato per soccorrere lanziana madre senza attendere il
permesso del superiore, al ritorno se lo trova chiuso, con annesso
decreto di espulsione.
Dopo avere illuminato i rituali della pena
capitale in Europa o le
vicende dellallegoria
della giustizia attraverso i secoli, la lampada
di Adriano Prosperi
torna a oscillare verso
la microstoria, come
in Dare lanima, Einaudi, 2005,
storia di Lucia Cremonini messa a
morte per infanticidio a Bologna
nel 1709. E in un certo senso ancora di nascita si parla in questo
volume: non al mondo ma allo
spirito, nella storia delle vocazioni
di quanti entrarono nella Compagnia di Ges tra la seconda
met del Cinque e i primi anni
del Seicento. Il libro duecentocinquanta pagine che, come sempre, prendono per mano il lettore
per lasciarlo soltanto allultimo

telligente che merita di essere letto fino in fondo.


Il ragionamento dellautore parte dalla constatazione che gli eventi pi importanti della Rivoluzione hanno avuto come protagonisti personaggi
minori, la cui esperienza e il cui contributo sono
stati incredibilmente sottovaluti dalla storiografia. A Burstin non interessano le grandi figure
di rivoluzionari o contro-rivoluzionari che gi
conosciamo e neppure coloro che, incrociata la
rivoluzione, se ne sono presto allontanati o lhanno vissuta con cinico distacco, magari approfittandone. Lo storico della Bicocca appassionato
alla gente comune, a coloro che inaspettatamente diventano rivoluzionari subendo una vera e
propria mutazione antropologica. il momento
magico in cui personaggi minori vivono lebrezza e il tormento di essere rivoluzionari, insieme
lillusione e la possibilit concreta di cambiare s
stessi e il mondo. lattimo in cui gli individui
rimangono impigliati, materialmente o ideologicamente, nellevento, spesso portati da una sorta
di corrente collettiva, senza la capacit, la previdenza o anche solo la forza di disincagliarsi e
farsi da parte. La grandezza del libro di Burstin
sta proprio qui, nellessere riuscito a raccontare
questa straordinaria esperienza fatta di illusioni
e amarezze, atti eroici e meschinit, generosit e
sopraffazione, dedizione patriottica ed egoismo,
e non ultimo di intrighi e violenze.
Ma c anche unaltra ragione, se si pu ancora
pi suggestiva, per appassionarsi a Rivoluzionari.
Ogni pagina del libro, infatti, rinvia a qualcosa
di intimo, tale da farlo apparire il frutto di una

Storia
rigo ha avuto da subito ampio
riscontro dinteresse: vuoi per
la provenienza religiosa di papa
Francesco, vuoi perch in questa
contemporaneit liquida si sente
nostalgia per le lite, quelle vere,
di governo. E la suggestione la
fornisce lautore stesso, nella prefazione, ricordando essergli venuta lidea del lavoro dallo studio
sulle Autobiografie di militanti comunisti di Mauro Boarelli (Feltrinelli, 2007), dov citato un primo
parallelo fra Pci e Compagnia di
Ges abbozzato sulle pagine del
Mondo nel 1949.
Nel 1573 il quarto generale
della Compagnia, Everardo Mer-

Roma le storie di vita dei membri:


in genere stesi di persona, a volte
da confratelli (e siamo allora alle
eterobiografie), spesso con laiuto di appositi questionari, questi
racconti confluiscono in un fondo
apposito degli archivi dellordine,
etichettato come Vocationes illustres, (vocazioni illustri). In questo
fondo si immerge Prosperi, riportando in superficie storie esemplari, cio storie che il ceto dirigente della Compagnia di Ges
volle come esemplari, nel bene e
nel male. Tant che il florilegio
delle vicende di quanti seppero
superare tentazioni e ostacoli e ne
trassero in premio laccoglimento

curiano, affida a Juan de Polanco,


gi segretario personale di Ignazio
di Loyola, il compito di stendere
un Chronicon con le vicende della
vita del fondatore e dei suoi discepoli: lembrione della storiografia
gesuitica, che crescer fino allimponenza nei secoli successivi facendo di questordine quello che
senza dubbio si saputo meglio
raccontare, non di rado identificandosi con lo stesso cattolicesimo controriformista tout court,
quello del barocco e dei santi
missionari. Ai fini dellimpresa si
chiede ai superiori delle province di raccogliere e trasmettere a

in unoligarchia ecclesiastica che


pretendeva nientemeno che di
ricalcare le orme degli apostoli
seguito, proprio nella medesima
serie archivistica, da una seconda
parte, quella che lautore chiama
laltra faccia della vocazione.
Sono le storie di quanti ascoltarono la chiamata e poi, per mille
ragioni, voltarono le spalle, storie
affiancate alle prime con sottile
maestria apologetica: Come in
un dittico di chiesa, da un lato si
poteva contemplare la promessa
della salvezza per coloro che Dio
chiamava a far parte della Compagnia, dallaltro la maledizione
divina che calava sui transfughi.
Quello che ne esce, narrato con
vividezza in un continuum in cui
la voce dello storico si alterna
senza sbavature a quelle dei protagonisti, lautoritratto collettivo
della Compagnia di Ges, voluto
e disegnato dallalto nellet ferrea
della guerra confessionale, quando i gesti e le parole pesavano
come piombo sulla bilancia del
giudizio divino e dellegemonia
sulle coscienze. Viene da pensare al celebre frontespizio figurato
della prima edizione del Leviatano di Thomas Hobbes (1651),
con il corpo immane del sovrano
che prende forma dallagglomerarsi dei corpi microscopici degli
uomini che, con il patto dunione
e sottomissione, gli consegnano libert e obbedienza. Pi che
delle singole traiettorie di vita
dei suoi membri, infatti, del leviatano gesuitico che Prosperi, a
libro concluso, traccia il profilo:
la sua, malgrado il titolo, la storia dellidentit originaria della
Compagnia, un corpo organizzato e disciplinato che agli uomini
di quellepoca apparve di volta in
volta un miracolo di santit e abnegazione o una paurosa tirannia
degli spiriti, e che agli occhi contemporanei si svela per molti versi
come larchetipo di unattitudine
disciplinante e totalitaria che ha
maturato appieno i suoi frutti solo
nel Novecento.
Il filtro della distanza e dellana-

sorta di esame di coscienza che lautore ha condotto aprendo la scatola nera della sua vita professionale e privata. Limpressione che quando
racconta lesperienza sconvolgente della rivoluzione, Burstin si riferisca a qualcosa che conosce
personalmente, che gli appartiene come uomo
che ha vissuto intensamente il secolo scorso. Nel
testo c, in altre parole, unanalogia con lesperienza elettrizzante e tragica della rivoluzione nel
Novecento: il pi delle volte implicita, ma altre
volte scoperta come quando lautore definisce la
rivoluzione francese un assalto al cielo e il suo
tempo come quello in cui limmaginazione era
al potere. Ne uscito fuori un racconto certo
appassionante, ma a tratti introspettivo e verboso: una sorta di autobiografia intellettuale e
personale dal sapore autoreferenziale (tanto che
lautore non sente neppure lesigenza di aggiornare lapparato bibliografico, fermo sostanzialmente agli anni ottanta).

Morta la rivoluzione come evento necessario del divenire storico, restano i rivoluzionari,
i suoi reduci, che ne portano addosso i segni
indelebili. Tra cui, forse, si annovera anche
Burstin. La rivoluzione appare cos, ieri come
oggi, una nave che salpa per una destinazione sconosciuta ma favolosa e naufraga altrove: unesperienza amara di cui resta non gi
la soddisfazione dellapprodo ma il ricordo
insieme entusiasmante e malinconico del viaggio. E forse anche la speranza che, con tutti i
suoi difetti, alcuni terribili, un giorno questo
viaggio possa ricominciare, che la rivoluzione
possa tornare.

lisi testuale quello che permette


allautore di orientarsi nella selva di narrative intime e dolorose
senza restare impigliato nella rete
davvero molto sottile e insidiosa
dei tanti io parlanti, a volte apparentemente ingenui (i sogni e le
visioni notturne, le lacrime delle
madri che si disperano per la scelta dei figli, che pu significare rovina della casa e dei genitori), ma
sempre, in realt, diretti dallio
collettivo e intransigente dellistituzione: Prenderle come se
fossero storie di vita da leggere in
nome del patto della sincerit fra
autore e lettori significa cadere in
un anacronismo, mettersi deliberatamente sulla strada sbagliata.
Per mettersi sulla strada giusta
Adriano Prosperi va direttamente
alle fonti. Malgrado la storiografia
sullantica Compagnia di Ges si
sia ingrossata nellultimo ventennio fino a raggiungere livelli di
assoluta rilevanza disciplinare (si
contano almeno due riviste specializzate, diversi centri di ricerca,
innumerevoli convegni), il volume salta in buona parte lintermediazione della letteratura secondaria e stringe i suoi fili attorno
ai luoghi fisici ed editoriali che restituiscono le voci coeve, ben noti
a chi pratica la storia dellistituto:
lArchivum historicum Societatis
Iesu, i Monumenta historica Societatis Iesu, le storie di Ribadeneyra,
di Orlandini e le tante altre edizioni dellepoca.
Ne esce tratteggiata la precoce
modernit della Compagnia di
Ges con tutti i suoi aspetti di austerit disciplinare, di pulsionalit
al disciplinamento e al controllo
implacabile dei moti dellindividuo: la feroce, insistente ricerca
delluniformit delle coscienze, la
guerra aperta ai vincoli familiari
che stringono i novizi, i collegi
come spazi di cooptazione elitaria
e trasmissione di modelli etici e
intellettuali, lesclusione spietata
dei transfughi che hanno rotto
il patto di appartenenza, ossia il
patto implicito nella vocazione.
Non troppi hanno notato, nel
2013, che lelezione al pontificato
di Jorge Mario Bergoglio rompeva una convenzione vecchia di
secoli, secondo la quale non poteva esserci un papa gesuita perch
papa nero e papa bianco non
potevano coesistere nella stessa
persona. Fino a pochi decenni
fa una simile decisione da parte
del conclave avrebbe spezzato la
Chiesa: oggi essa passata quasi
inosservata, a testimonianza del
fatto che la storia chiede la sua
parte anche nelle stanze della
fede, apparentemente pi impenetrabili.
Nellultima pagina del volume,
Prosperi adombra una lettura
narratologica dei racconti di vocazione dei gesuiti; una suggestione
appena accennata e non proseguita: quei racconti sarebbero storie di iniziazione, pattern simili
a quelli individuati da Vladimir
Propp nella morfologia della fiaba. Un dono al lettore che avrebbe forse meritato pi spazio; esso
per basta a capire come il lavoro
dello storico, quando condotto
con il rigore e lintuitivit che vediamo allopera in questo libro,
interpella sempre il presente, che
n
lo si ascolti o meno.
franco.motta@unito.it
F. Motta insegna storia moderna
allUniversit di Torino

38

N. 7

Sdegno raziocinante
di Daniele Rocca
Mimmo Franzinelli
DISERTORI
Una storia mai
raccontata della seconda
guerra mondiale

pp. 388, 22,


Mondadori, Milano 2016

urono pi di mezzo milione


i disertori italiani durante la
prima guerra mondiale. Molti
meno nella seconda, per la spietata azione di controllo condotta
dal fascismo; lunico caso di cui
nel discorso pubblico si sia fino a
oggi parlato sembra essere stato
quello, macroscopico,
dei seimilacinquecento soldati italiani a
Cefalonia, fucilati dai
tedeschi. Resta il fatto
che in realt se ne verificarono centinaia, sui
vari fronti. Pertanto,
questultimo studio di
Mimmo Franzinelli rimedia non solo a una
mutilazione della memoria nazionale, ma
anche allautorappresentazione mendace della guerra
che da noi si impose dopo il 1945,
in parallelo allimbarazzato silenzio sui rastrellamenti nei Balcani.
Attraverso circolari, lettere, atti
processuali, viene qui ricostruito quello scenario, suddiviso per
fasi, tipologie, ambiti territoriali.
La brillante narrazione costellata di squarci biografici che dischiudono interi universi umani,
senza che mai si affievolisca la coralit del quadro. In particolare,
sono costanti i rimandi allo stato
di popolarit del regime fra soldati e civili, sempre pi precario
con lavanzare del conflitto.
Gi prima dellentrata in guerra il capo della polizia, Arturo
Bocchini, confid a Ciano che, di
fronte a uneventuale sommossa,
le forze dellordine probabilmente avrebbero appoggiato i ribelli;

nellesercito il disincanto, lamarezza, la disperazione sfociarono


presto nel disfattismo, nellautolesionismo, nella diserzione, tutti fenomeni passati al vaglio da
Franzinelli, attraverso una folta
casistica. I comandanti stentarono a debellarli, nonostante gli
informatori e la milizia. La diserzione durava mediamente un
paio di settimane; ancor meno
in terra sovietica, essendo laggi
quasi impossibile per i soldati
sfuggire alla fitta maglia dei controlli italo-tedeschi (in compenso, se ne registrarono clamorosi
casi allinterno della milizia).
Cera chi disertava per necessit
familiari, per amore o
vizio parziale di mente; numerosissime le
diserzioni di frontiera,
frutto duna licenza,
anche perch un minuto dopo le
48 ore si diveniva automaticamente
disertori
e
la condanna
in contumacia era a otto
anni. Le diserzioni sul
fronte balcanico risultarono le pi frequenti;
nel giugno 1942 dalla
caserma di Senj fuggirono in dodici; non pochi
militari italiani confluirono nella Resistenza
locale. Ed costante
lattenzione rivolta nel
volume proprio alla
lotta che gli antifascisti
portarono avanti, sia
attraverso fonti come
le memorie personali
Lussu e altri sostennero
gli Alleati per salvare
lItalia dal fascismo ,
sia dal punto di vista
dei grandi gesti di partecipazione collettiva.
Su questo versante, lultima fase
dellepopea bellica si rivel la pi
tormentata: fu allora che vennero

Storia
a delinearsi le parabole del movimento anti-arruolamento in Sicilia e della repubblica di Piana degli Albanesi, mentre da un lato il
pugno di ferro badogliano verso
i tumulti operai a Bari e Torino,
dallaltro, poco dopo, la brutale
politica di guerra della Rsi, rendevano lItalia, come secoli addietro, un cangiante mosaico di
realt sofferenti e divise. Ma tutte
in lotta per la libert. In Toscana
si present al reclutamento appena il 20 per cento dei convocati.
Le assenze arbitrarie divennero in breve una valanga inarrestabile e per molti giovani proprio
la diserzione, scrive lautore,
rappresent il decisivo tornante esistenziale per lapprodo alla
Resistenza.
Se il volume trasmette un prospetto esaustivo del fenomeno
preso in esame anche grazie a
una serie di sintetici ed esemplari
studi di caso. Oltre a quello su
Franco Monicelli (fratello del regista), che disert e fu in seguito
messo alla berlina dai neofascisti

di Almirante, possiamo trovarne


vari altri, relativi alla diserzione
di gruppo e al feroce fanatismo
di alcuni comandanti in guerra,
come il generale Luigi Chatrian
(poi sottosegretario alla difesa
nei primi governi De Gasperi),
responsabile delleccidio di Acquappesa. Sono tutti illustrati
con la consueta acribia e lo sdegno raziocinante che da sempre
contraddistinguono Franzinelli,
il quale rievoca, nellepilogo,
lamaro paradosso venuto a materializzarsi dopo la Liberazione,
quando una pioggia di processi
si rivers non sui fascisti, salvati
dallamnistia, quanto sui disertori di quella guerra che il fascismo
aveva prima scelto sconsideratamente di combattere e poi perso.
Malgrado il vero scandalo fosse
il trattamento di favore riservato
in guerra a chi aveva combattuto solo sulla carta, e bench Togliatti progettasse di amnistiare
anche i disertori, con la caduta
del governo Parri lidea fu accantonata: cos lungo larco dei decenni, mentre burocrati e prefetti
fascisti rimanevano ai loro posti,
gli unici a essere chiamati in giudizio furono loro.
n
dlink14@libero.it
D. Rocca dottore di ricerca in storia
delle dottrine politiche allUniversit di Torino

Seguir Gustave Le Bon


di Anna Tonelli
Emilio Gentile
IL CAPO E LA FOLLA
pp. 216, 19,
Laterza, Roma-Bari 2016

onoscere il comportamenC
to dei capi e delle folle nelle epoche del passato pu aiutare

a comprendere i capi e le folle


della politica di massa nel tempo
in cui viviamo. Se uno studioso
autorevole come Emilio Gentile
utilizza la storia come chiave di
lettura della societ politica contemporanea, vuol dire che scattato il campanello dallarme. Non
tanto e solo per interrogarsi sulle
probabilit di una democrazia in pericolo,
ma per rintracciare i
fili di un rapporto fra i
leader e le masse. Una
relazione che mutata
nel corso dei
secoli, ma ha
mantenuto
lobiettivo di
una
gerarchia, quando
non sudditanza, dei governati al cospetto dei
governanti, cambiando
solo i metodi per raggiungere tale fine.
Lautore non esplora
un campo a lui ignoto,
gi affrontato negli studi sul modello totalitario, che hanno prodotto saggi originali sulle
capacit del fascismo
di organizzare le masse
attraverso un sistema
di potere omologato a
una religione politica
che utilizza un apparato
di simboli, manifestazioni e slogan in grado
di entrare prepotentemente nellesistenza dei
singoli, fino a influenzarne tutti i
comportamenti, pubblici e privati. Gentile ha dimostrato come il
regime instaurato da Mussolini
abbia indotto una mobilitazione attiva che viene gestita come
una strategia oculata e moderna
che, attraverso la partecipazione,
realizza la pi potente e riuscita
operazione di irreggimentazione
delle masse.
In questo volume per lo storico, con una narrazione agile e
vivace non appesantita dallapparato di note, adatta anche a
un pubblico di non specialisti,
soprattutto giovani e studenti,
porta la clessidra indietro di secoli, partendo dagli antichi greci
per arrivare ai sistemi democratici novecenteschi. Seguendo
Erodoto e Platone, ma anche
Machiavelli e Hobbes, si arriva
alla rivoluzione francese che segna lincipit dellera delle masse,
con Robespierre a mettere in
guardia il popolo sulla pericolosit della dittatura di un unico
grande condottiero. Profezia
inascoltata allorch si afferma
Napoleone Bonaparte, il cui impero pu essere considerato la
prima esperienza di democrazia
recitativa, ovvero il governo di
un capo con consenso plebiscitario. Inizia cos la prima forma

di personalizzazione del potere


legittimato dal coinvolgimento delle masse che, in cambio,
esprimono entusiasmo e affezione. Con le emozioni a funzionare
come un traino indispensabile al
successo politico e il riconoscimento in quel sistema come un
veicolo di consenso senza pari.
Conclusa lavventura napoleonica, la societ moderna continua a
fare i conti con lo sviluppo di una
democrazia di massa che oscilla
fra la ricerca delluomo forte e
il mantenimento del governo
parlamentare rappresentativo.
Due poli che per si incontrano
nella necessit di trovare i canali
giusti per governare le
folle. Ecco che allora
diventa fondamentale linsegnamento di
Gustave Le Bon che,
a fine Ottocento, folgora teorici e strateghi
(a partire da Lenin)
con il suo famoso libro
sulla psicologie delle
folle, dove illustra metodi e tecniche di persuasione retorica per
conquistare le grandi
masse. Da questo momento in
avanti il leader politico, o meglio
il capo, non pu pi sottrarsi a
questa opera di fascinazione delle folle, utilizzando gli strumenti
della propaganda e di una moderna ed efficace comunicazione
politica. Per evitare di addentrarsi nelle categorie interpretative e
nei linguaggi della scienza politica, anche se si serve di studi e riflessioni di importanti politologi,
Gentile si sofferma sulle vicende
di due leader che, in tempi e contesti diversi, si caratterizzano per
la stessa propensione a catturare
il consenso delle masse nellopera di difesa della democrazia.
Charles de Gaulle da una parte e
John F. Kennedy dallaltra, vengono annoverati fra i governanti
democratici che hanno voluto
istituire un rapporto diretto e
costante con le folle. Ognuno a
proprio modo, ma con lidea di
governare con la partecipazione
di una folla entusiasta e plaudente, pronta poi ad accettare e ad
adagiarsi sulla mitologia dei propri capi.
arebbe troppo semplificatorio
concludere che da questo passato discende un presente ancora
pi piegato sul culto della personalizzazione del capo e sulla deriva delluomo solo al comando. E
infatti Gentile non lo fa, limitandosi ad aprire un interrogativo
sul malessere delle democrazie
rappresentative in cui i partiti
ideologici hanno lasciato il posto ai partiti pragmatici di capi,
o addirittura partiti personali di
imprenditori che si tramutano
in capi politici. La storia pu
permettere di avanzare forti dubbi sulla consistenza reale della
democrazia del nostro tempo.
Sta poi al nostro senso critico e
civile costruire gli argini, politici
e mentali, per evitare la slavina.

n
anna.tonelli@uniurb.it
A. Tonelli insegna storia dei sistemi
e dei partiti politici allUniversit di Urbino

39

N. 7

Agentici, trasformativi,
empatici o cooperativi?
di Cristopher Cepernich
Donatella Campus
LO STILE DEL LEADER
Decidere e comunicare nelle
democrazie contemporanee

pp. 224, 21,


Il Mulino, Bologna 2016.

l volume di Donatella Campus


apre finalmente anche in Italia
la riflessione sullo stile dei leader politici. In ritardo forse perch quello di stile un concetto
complesso, rischioso: difficile
da definire. Per farlo, occorrono
strumenti interpretativi nuovi davvero
interdisciplinari e
superare
diffidenze
ancora radicate nelle
comunit scientifiche.
Occorre, infatti, misurarsi con la dimensione
estetica della politica
(che comprende limmagine del leader e le
forme retoriche del discorso) cos come con
quella performativa.
Campus confeziona un libro di
sicuro interesse, denso di futuri
sviluppi. Con solido approccio
teorico, traccia il perimetro della
riflessione in modo compiuto ed
esaustivo. Lo fa, in massima parte,
muovendosi al riparo, nei porti sicuri delle sue conoscenze pi salde, ben ancorata ai capisaldi della
politologia e della comunicazione
politica.
os dunque lo stile di leadership? Lautrice lo definisce come linsieme delle modalit
con le quali il leader usa i suoi
poteri e le sue risorse. Il concetto
articolato su tre dimensioni fondamentali: in primis quella della
decisione, che chiama in causa
le modalit con le quali il leader
assume la responsabilit delle sue
scelte distinguendo tra un atteggiamento agentico e uno cooperativo.
l leader agentico orientato al
raggiungimento del risultato
e alla risoluzione del problema,
portando gli altri sulle sue posizioni; il cooperativo, invece, appare meno energetico anche se
non per questo meno impegnato
, orientato alle gestione delle
relazioni e d grande importanza
al fatto che le decisioni siano condivise e raggiunte attraverso processi negoziali in un clima collaborativo. Si diverta, qui, il lettore
a classificare gli stili di leadership
della attuale classe politica nazionale. La seconda dimensione analitica costituita dallispirazione,
che ha a che fare con la capacit
del leader di essere convincente,
di infondere fiducia e persuadere
il suo pubblico sulla bont delle
sue decisione e sulla fondatezza
della sua visione. Qui Campus
usa la dicotomia classica di James
M. Burns che distingue la leadership trasformativa da quella
transazionale. Il leader che fa
ricorso ad uno stile trasformativo
in grado di ispirare collaboratori
e seguaci, coinvolgendoli cos nel
suo progetto. Campus chiarisce
bene come la definizione di leader
trasformativo sia necessariamente
pi restrittiva di quella di leader

carismatico. Dallaltra parte, il


leader transazionale ricorre ad incentivi concreti forse addirittura
materiali per ottenere la fiducia
di collaboratori e seguaci, secondo una logica di negoziazione e
scambio, perch non in grado di
produrre nuove identit collettive
intorno alla sua persona.
Infine vi la dimensione della
comunicazione, che evidentemente cruciale nel determinare
gli stili di leadership. La strategia
comunicativa comune a tutti gli
stili si basa sul rapporto diretto
tra il leader e i cittadini. Nellera dei media
di massa ci avveniva
per lo pi attraverso
lappello al pubblico:
lo staff di Ronald Reagan praticava il ricorso
massivo alla tecnica del
going public. Oggi il
web 2.0 e le piattaforme social consentono
tecniche di disintermediazione che potenziano di molto la forza di
un messaggio politico diretto. Il
lettore avr notato limpatto della rubrica Matteo Risponde, che
Renzi realizza settimanalmente
in video conferenza live su Facebook, sfruttando al contempo il
video formato tv e linterazione
diretta con gli spettatori tipica del
web.
Sulla base di questo impianto
teorico, Campus passa ad analizzare i diversi stili di leadership,
attraverso lattenzione a variabili
salienti. La prima di queste la
psicologia del soggetto. Si discute cos di come i tratti della
personalit del singolo e le sue
motivazioni influenzino lo stile di
leadership. Oggi si sa che anche
le pi raffinate tecniche di marketing non possono costruire
limmagine di un personaggio
che sia troppo distante dalla realt: il soggetto e la sua psicologia
sono inscindibili dallimmagine
pubblica. Gli esempi discussi da
Campus, a questo proposito, inquadrano due stili di leadership di
grande fascino: quello empatico
di Bill Clinton e quello narcisista
di Silvio Berlusconi. La seconda
variabile considerata lideologia. Si distingue, allora, tra il leader che agisce in accordo ad un
sistema di valori profondamente
radicato e quello che invece agisce sulla contingenza, in risposta
alle sollecitazioni del contesto. Un
esempio di leader ideologico
dato da Ronald Reagan qui presentato come un uomo fortemente ancorato alle sue convinzioni,
soprattutto in fatto di dottrina
economica al servizio delle quali
ha dispiegato le tecniche comunicative pi avanzate come un
perfetto leader agentico, mentre
Angela Merkel, la cancelliera
che ascolta, presentata come
il leader pragmatico, cooperativo,
che insiste sulla negoziazione e ricorre solo a tecniche comunicative tradizionali.
Lessere o meno degli outsider
certamente unaltra variabile che
impatta in modo significativo sullo stile di leadership. Il concetto
stesso richiede di uscire dallam-

Politica
biguit. La definizione di cosa sia
un outsider varia a seconda del
gruppo di riferimento: pu esserlo colui che estraneo allambiente politico e che spende in politica
il capitale sociale acquisito con
lesercizio della sua professione.
Oppure il politico di professione
che sfida il mainstream, le gerarchie e gli apparati del suo partito,
come Barack Obama e Matteo
Renzi. Lautrice predilige per
due casi ripresi dalla storia meno
recente: Charles de Gaulle il militare che diventa presidente per
rappresentare la nazione contro
i partiti, tacciati di rappresentare
solo gli interessi particolari e
Margaret Thatcher, il primo leader che ha fondato la sua popolarit pi sul consenso al suo stile
di leadership (assertivo, proteso
allazione e allaffermazione dei
propri punti di vista) che sulle
sue decisioni politiche.
Infine, lanalisi degli stili di leadership di Tony Blair e di Romano
Prodi dimostra limpatto profondo del contesto politico sullo stile
personale. Il primo rappresenta
un caso compiuto di presidenzializzazione del governo, reso possibile dal fatto che Blair disponesse
di risorse di potere soggettive che
rafforzavano le risorse istituzionali disponibili. Queste risorse personali originavano dalla sua popolarit costruita attraverso una
macchina comunicativa potente e
raffinata. Per estremizzare, va ricordato che esistito persino un
sound del blairismo: il Brit Pop
di Oasis e Blur. Per altri aspetti,
Prodi stato portatore, forse suo
malgrado, ma indotto da uno sce-

nario politico anomalo, di uno stile di leadership forte, non incline


alla negoziazione sfiancante, per
supplire alla mancanza di partiti a supporto della sua azione di
governo.
Sia allora benvenuto questo bel
libro di Donatella Campus, che
innesca un dibattito urgente, che
adesso necessario sviluppare anche con ricerche empiriche. Lultimo capitolo, dedicato ai leader
del futuro, pone domande aperte
sul ruolo della rete nella selezione
delle leadership e rilancia i temi
della comunicazione disintermediata e della degenderizzazione. A
testimonianza dellampiezza del
campo. Sullo sfondo, resta una
questione irrisolta: quanto contano davvero i leader nella politica
contemporanea? Quanto possono supplire alla carenza delle
strutture organizzative che furono
i partiti? Questo, per, un altro
libro.
n
cristopher.cepernich@unito.it
C. Cepernich insegna sociologia
della comunicazione allUniversit di Torino

Per unapologia del renzismo


di Valentina Paz
Mauro Calise
LA DEMOCRAZIA
DEL LEADER

pp. 166, 13,


Laterza, Roma-Bari 2016
potere si personalizza. Il bariIsi lcentro
delle decisioni politiche
sposta dal parlamento al gover-

no e al suo vertice monocratico. I


partiti si trasformano, anchessi,
in partiti presidenziali, assecondando la logica mediatica del
rapporto diretto tra il capo e le
masse. la democrazia del leader, bellezza! Il cui avvento, nel
nostro paese, viene salutato da
Calise come il tardivo
adeguamento al trend
della personalizzazione
del potere ormai consolidato nelle principali
democrazie e il superamento di un ritardo
epocale, addebitabile
principalmente
alla
cultura di sinistra. Un
trend al quale sarebbe
vano tentare di opporsi, perch ha dalla sua
il vento della Storia
(sic). Protagonista assoluto della
transizione verso la democrazia
del leader, in Italia, Renzi. Il
primo dirigente proveniente dalla
tradizione di sinistra a infrangere
senza timori il tab della personalizzazione. Il primo a interpretare
il ruolo di capo
del governo in
senso apertamente presidenzialista e populista.
Significative, da
questo punto di
vista, sono le discontinuit, oltre
alle affinit, che
Calise scopre tra
Berlusconi e Renzi. Se, per un verso, il renzismo pu
tranquillamente
essere considerato
il proseguimento del berlusconismo con altro
leader, per altri
versi si distingue da questo per il
modo in cui lattuale presidente
del consiglio interpreta il proprio
ruolo. Altri prima di lui, a partire
da Craxi, Segni, Veltroni, e poi
naturalmente Bossi, Grillo, Berlusconi, hanno imboccato la via
della personalizzazione, saltando
le mediazioni tipiche della democrazia rappresentativa. Tutti,
per, lo hanno fatto nelle vesti di
capi-partito, o capi-movimento,
compreso il Berlusconi presidente del consiglio, la cui strategia
comunicativa ha continuato ad
attingere al repertorio ideologico
dellanti-comunismo. Con Renzi,
invece, per la prima volta in Italia
la personalizzazione si ancora alla
figura del capo del governo, che si
appella a un pubblico indifferenziato, con un piglio apertamente
populista e decisionista.
La strada che conduce alla democrazia del leader non tuttavia
priva di ostacoli. Lo dimostra il
caso delle regioni, i cui governatori, a differenza dei sindaci, non
sono riusciti a stabilire un contatto diretto con lelettorato, per

linadeguatezza degli strumenti


mediatici a loro disposizione e per
il perdurante potere dei partiti a
livello locale. Laltra pietra dinciampo sulla via della personalizzazione, a livello regionale ma anche nazionale, sarebbe il fattore
M, formula di cui Calise si serve
per riferirsi al ruolo congiunto
della magistratura e dei media
nellostacolare lazione dei leader,
minandone limmagine.
Al di l dellanalisi, fin troppo chiaro il giudizio di Calise nei
confronti del proprio oggetto di
studio. La democrazia del leader
non solo inevitabile, nellera della politica televisiva, ma lorizzonte cui lItalia deve
tendere, se vuole rimettersi al passo dei paesi
pi avanzati. Ecco allora laperta presa di
posizione a favore del
presidenzialismo: la
riforma che servirebbe
al paese per uscire dal
guado consisterebbe
nella blindatura del
potere del primo ministro, su modello della
Francia, ma soprattutto degli Stati Uniti, dove il populismo non mai stato percepito
come una minaccia istituzionale,
ma come una scelta obbligata
nella comunicazione quotidiana
tra linquilino della Casa Bianca e
the people. Viene da chiedersi se
Calise ripeterebbe le stesse parole
oggi, di fronte allascesa di Donald Trump.
Qualche dubbio si potrebbe
sollevare, pi in generale, sullinterpretazione del renzismo come
semplice tentativo di adeguamento alle regole del gioco da
tempo invalse negli altri paesi. A
parte il fatto che gli altri paesi
non sono tutti uguali, ma conoscono diverse forme, e gradi, di verticalizzazione e personalizzazione
del potere, una legge come lItalicum che, nellatto di investire il
capo del governo, gli consegna
automaticamente la maggioranza
assoluta in parlamento, non esiste
proprio da nessuna parte, tanto
meno negli Stati Uniti. Qui pu
accadere che il presidente non
sia sostenuto da una maggioranza
al Congresso e risulti seriamente
ostacolato nelle sue iniziative politiche (si pensi a Obama alle prese
con la riforma sanitaria). Anche in
Francia qualche contrappeso alla
democrazia del leader esiste, essendo tra laltro sempre possibile
la coabitazione, mentre nel Regno
Unito i premier possono essere
scalzati di sella dal loro stesso partito, come accadde alla Thatcher e
a Blair. Qualora andassero a buon
fine le riforme renziane, niente
di simile potrebbe accadere nel
nostro paese. Ci troveremmo di
fronte a una versione inedita di
democrazia dinvestitura, con un
dominus assoluto che detta legge
al parlamento, nellassenza di reali contrappesi e garanzie. Il felice
ingresso dellItalia nel XXI secolo
o uno spericolato esperimento di
post-democrazia o autocrazia
n
elettiva?
valentina.paze@unito.it
V. Paz insegna filosofia politica
allUniversit di Torino

40

N. 7

Il meticoloso risveglio
di un Fantozzi di provincia
di Francesco Permunian
Daniel di Schler
UnOdissea minuta

pp. 637, 20
Baldini&Castoldi, Milano 2016

Pagina a cura del Premio Calvino

lla prima edizione del preA


mio Comisso venne premiato Giorgio Manganelli il quale,

come ricorda Gian Antonio


Cibotto, stup tutti perch alla
domanda su quale fosse il libro
pi bello che avesse letto, rispose: il vocabolario. Confesso
che tale aneddoto tipicamente
manganelliano mi torn alla
mente lanno scorso allorch, in
qualit di giurato alla XXVIII
edizione del Premio Calvino,
mi trovai alle prese con un ponderoso manoscritto rigorosamente anonimo intitolato Alberto Kappa. Note
di un risveglio (poi menzione speciale della giuria): un
romanzo oggi pubblicato da Baldini&Castoldi
col titolo UnOdissea minuta, dove la O maiuscola di Odissea nella sua vacua pomposit
omerica confligge dolorosamente e sornionamente con laggettivo che laccompagna e la definisce nei termini angusti di una modestissima
minutaglia domestica. Il vocabolario, dunque,
in quanto laggrovigliata vicenda di questo bislacco libro-mondo si riassume s in quella ventina di pagine che fungono da prologo, e che
sono perci stampate in neretto come si usa per
le Avvertenze al Lettore, ma si sdipana poi in
una sterminata ed enciclopedica marea di note
e noticine e appendici varie che fanno di questa
singolare opera prima una sorta di spassoso e
stralunato dizionario dei luoghi e tormenti
pi comuni della vita di provincia in Italia.
Di cosa si parla, in definitiva, in questo vero e
proprio libro monstre, cos insolito nello stagno
stagnante delle nostre asfittiche patrie lettere?
Beh, in esso si narra il lento risveglio mattutino
di un tal Alberto Cappagalli, un oscuro ragioniere che vive nel paese di Commiserate Ontona tra lOntona e il Laltro, ossia in una metaforica landa della Lombardia (lautore stesso,
Daniele Pruneri, pur vivendo da anni in Galizia
nato in provincia di Como) alquanto simile
per grettezza e mediocrit a quella dove visse e
mor Lucio Mastronardi: siamo infatti l, in quei
luoghi e in quel filone narrativo inaugurato cinquantanni fa dal Maestro di Vigevano e non in
un fantomatico Nordest grigio e industriale,
come recita invece la quarta di copertina. Nella quale tra laltro il nostro povero ragioniere
viene inopinatamente promosso dalleditore
nientemeno che ingegnere, forse per risarcirlo
delle tante miserie morali e materiali che lo affliggono nel corso della narrazione. Un poveraccio, vero,
ma la cui figura discende tuttavia da nobili lombi sia
letterari che cinematografici: dalla commedia di Vittorio Bersezio del 1863 (Le miserie dmons Travet)
fino allomonimo film di Mario Soldati del 1945, in
cui gi allora faceva capolino quellAlberto Sordi che
sar poi lindimenticabile interprete di Un borghese
piccolo piccolo di Monicelli.
E Alberto, guarda caso, pure il nome del protagonista di questa esilarante e angosciante Odissea
minuta da cui sprigionano di nota in nota tutti i
miasmi di quellItalietta becera e provinciale assurta
ormai da tempo a genere letterario. Come altrettanto
non casuale, a me sembra, il fatto che il Cappagalli
di cognome faccia Kappa, rinviando cos in maniera
obliqua e ironica al celebre agrimensore K di Il castello di Kafka. Ma oltre ai richiami pi immediati e
riconoscibili, soprattutto il tema del risveglio vero
e proprio leitmotiv narrativo a poter vantare le
ascendenze letterarie pi illustri, da Joyce a Proust:
celebre infatti la fenomenologia del risveglio che
apre il prologo della Recherche (laccoglienza delleterno mattino del mondo, come ebbe a definirla
Bonnefoy), che ovviamente qui si svilisce in maniera paradossale quando a risvegliarsi nel mattino del
mondo invece quel perfetto everyman di provincia
che risponde al nome di rag. Cappagalli Alberto. Il
quale a un certo punto rivela quale sia la sua ossessio-

ne pi segreta e inconfessabile. Ossia quella di scrivere un libro, che non dovr essere per uno dei soliti
libri; uno di quelli dove succede di tutto, ma che non
dicono niente, bens un libro dove succede poco,
ma che dicesse tutto; una giornata qualunque, ma con
tutti i dettagli. Beh, certo, se sapessi scrivere () ma
poi ci vuole tempo. E chi ce lha?.
Ecco, io direi che il tempo deve invece averlo trovato, lautore di questo strano romanzo, o antiromanzo oppure iper-romanzo che dir si voglia, meticolosamente costruito registrando le fasi del risveglio alla
vita di un banalissimo Fantozzi di provincia attimi
che rimandano, di volta in volta, a una prodigiosa costellazione di ricordi degna de La vita, istruzioni per
luso di Georges Perec. Il quale non a caso era un vero
maestro nellesplorazione della banalit della memoria, o della memoria del banale, fautore di una sorta di realismo riassumibile in questa sua formula:
Basarsi su una descrizione della realt spogliata da
qualsiasi presunzione. Ragion per cui raccomandava a ogni aspirante scrittore queste tre semplicissime
operazioni, degne di un ragioniere letterato: descrizione, inventario, registrazione.
Che sono poi, a ben vedere, anche le doti pi genuine messe in mostra da Alberto Pruneri (alias Daniel di
Schler), autore di questa originale invenzione narrativa alla quale sembra calzare a pennello la definizione
che Italo Calvino diede del capolavoro di Perec: Un
libro sospeso tra pietas e gioco.
n

Smarriti e abbandonati
di Marco Magini
Fabio M. Franceschelli
Italia
pp. 280, 16,50,
Del Vecchio, Roma 2016

el 1975 James Graham


N
Ballard immagina un grattacielo ultramoderno, costru-

ito nella periferia di Londra a


uso residenziale, allinterno del
quale con il passare del tempo
le tensioni tra residenti crescono fino al punto di sfociare nella violenza e nel caos. Limpatto
dovuto allavvento delle nuove
tecnologie e le tensioni sociali
risultanti dalle crescenti disparit dellInghilterra degli anni
settanta vengono cos incarnate
da un enorme blocco di cemento, metafora distopica
di una societ che Pasolini aveva definito di crescita
senza sviluppo.

Anche Fabio Franceschelli nel suo Italia, finalista


al Premio Calvino 2015, parte dalle periferie urbane
di una grande citt, del sud Italia in questo caso, rappresentando la decadenza del nostro paese attraverso
la narrazione di vicende, solo allapparenza scollegate tra loro, che avvengono un pomeriggio qualunque
allinterno di un centro commerciale dal nome evocativo di La Cattedrale. Lavvenimento che mette in
moto la vicenda sono diciassette lettere di cassa integrazione che devono essere consegnate ad altrettanti
lavoratori del centro commerciale; pi una lettera di
licenziamento indirizzata proprio a Conte, il dipendente che era stato assunto come favore nei confronti
di una famiglia malavitosa locale in cambio dellapprovazione da parte della giunta comunale delle infrastrutture necessarie per promuovere La Cattedrale
stessa.
I protagonisti del romanzo sono personaggi differenti e dalle vicende in apparenza scollegate, ma tutti
immersi e pervasi da un diffuso senso di abbandono. Italia narra cos, ad esempio, le vicende di una
giovane laureata, costretta a lavori sottoqualificati e
sottopagati; del sindacalista dellipermercato ormai
svuotato di ogni sua funzione, e della ragazza madre
senza speranze n illusioni per il futuro. La Cattedrale diviene cos il centro di un microcosmo, fulcro di
scontri generazionali e sbiadite lotte sindacali. La coscienza di classe ha lasciato il posto allo smarrimento
causato dalla perdita degli storici punti di riferimento
e alla rabbia per limprovvisa perdita di quel
lavoro al supermercato percepito come lultima spiaggia, unica illusoria fonte di sicurezza.
Tutti i personaggi, dai commessi ai giovani
laureati, sono accumunati dalla paura del futuro prossimo che porta alla miope logica individuale del si salvi chi pu, una paura che
sfocer ben presto in violenza. Italia narra la
quotidianit di un paese ormai senza fabbriche, dove il cittadino relegato al misero ruolo
di consumatore, e dove il lavoratore diventato merce interscambiabile e indistinta, in tutto
e per tutto uguale a quella che ogni mattina
posiziona con cura sugli scaffali. Anche il padrone, l oppressore non esiste pi, vittima e
carnefice di una sistema allinterno del quale
un ingranaggio dei tanti, poco pi grande di
quelli che da lui prendono ordini, ma molto
pi piccolo di coloro che prendono le vere decisioni. La Cattedrale, il centro commerciale,
diviene un luogo che arriva ad assumere cos
caratteristiche universali e comuni a tutto il resto del paese. Italia racconta allo stesso tempo
lo sconcerto della giovane generazione ormai
senza illusioni, incapace di immaginarsi un futuro, e lo smarrimento di quella vecchia, sbigottita di fronte al presente.
In questo microcosmo i piaceri sono brevi
lampi, piccole evasioni, veloci trasgressioni
vissute come unica via di fuga ancora possibile: come la sveltina tra la ragazza madre e un
prete appena conosciuto tra gli scaffali della
Cattedrale e consumato dietro i banchi del supermercato. Franceschelli sviluppa il romanzo
utilizzando un montaggio serrato, di stile quasi
cinematografico, ritmato attraverso una lingua
precisa e incalzante, che coinvolge il lettore dalla prima allultima pagina. Racconta in modo scorrevole ed
elegante le vicende di un paese destinato a un eterno, triste, ritorno; tanto incapace di imparare dal
proprio passato e dai propri errori. Le rovine, reali
e metaforiche, che attraversano Italia, non diventeranno macerie capaci di raccontare la loro storia alle
generazioni future, resteranno solo simbolo inconsapevole di una civilt ossessionata dal registrare ogni
momento della propria disordinata esistenza, ma incapace di conservare e di trasformare questa bulimia
di informazioni in memoria. Coloro che abitano questi detriti sono sopravvissuti, inadeguati anche solo
a immaginare una possibile ricostruzione tanto sono
diventati rassegnati allesistente. Sullo sfondo di queste macerie aleggia una natura sinistra, rappresentata
dal volo ostile dei gabbiani fuori del supermercato,
che collavanzare della narrazione torna protagonista
attraverso una ribellione anchessa violenta, che diviene simbolo della scontro con una societ che si
dimenticata dei limiti e degli equilibri dellambiente
che la ospita.
Italia un romanzo da leggere, perch parla di noi
e delle nostre vite, perch capisce da dove veniamo
e dove stiamo andando. Lo fa senza dimenticare le
ragioni della scrittura, preferendo la via tortuosa della
letteratura alle scorciatoie del racconto didascalico e
questo , e rimane, una delle missioni centrali dello
n
scrittura.

Quaderni

N. 7

Ragionar teatrando, 11
Gabriele Sofia
Il teatro di Lucia Calamaro
Effetto film
Grazia Paganelli
La fille inconnue
La Traduzione
Antonio Bibb
Leggere e tradurre
Moll Flanders

41

Il teatro di Lucia Calamaro e gli spazi autogestiti romani


Ragionar teatrando, 11
di Gabriele Sofia
difficile descrivere lentusiaSun pesso
smo che il pubblico ha espresso verso
artista senza utilizzare termini abu-

sati come successo o perfino trionfo, che lasciano un amaro retrogusto di


competizione e di affermazione individuale. Allora meglio usare il termine
fortuna, che fa riferimento anche alla
congiunzione di eventi che hanno reso
possibile lesito positivo di un progetto. Tra le rivelazioni drammaturgiche
degli ultimi anni, esiste unartista le cui
produzioni hanno avuto una notevole
fortuna anche allestero: Lucia Calamaro. Il suo spettacolo Origine del
mondo. Ritratto di un interno, che nel
2012 ha ricevuto tre premi
Ubu (nelle categorie nuovo
testo, attrice protagonista e
attrice non protagonista),
stato ospitato lo scorso settembre al Thtre National del la Colline di Parigi.
Laccoglienza del pubblico
stata talmente calorosa da
spingere il teatro parigino
a co-produrre il prossimo
lavoro dellartista. Qualche mese dopo, lo stesso
spettacolo ha pure preso
parte allItalian Playwright
Project di New York, dove
la regista ha realizzato una
serie dincontri e conferenze, riscuotendo ancora una
volta un grosso interesse.
Certo, il lettore si aspetter a questo punto qualche
dettaglio in pi sullo spettacolo, che per non daremo;
numerose sono le critiche e
le descrizioni reperibili anche su internet. Raramente,
per, si posto laccento
sul contesto di produzione
e le contingenze che hanno,
in qualche modo, contribuito alla fortuna di questo
spettacolo: Origine stato
creato nei locali del Rialto
Santambrogio, centro culturale occupato nel 1999
ma quasi subito riconosciuto come associazione culturale dal comune, che gli ha
assegnato in gestione unex
scuola abbandonata nel quartiere del
ghetto ebraico. Nel 2008, per, latteggiamento delle istituzioni radicalmente
cambiato e dopo mille vicissitudini il comune ha apposto i sigilli in maniera definitiva lo scorso anno.Il Rialto stato
ed tuttora la mia casa afferma spesso
Lucia Calamaro esaltandone il ruolo sostanziale che ha avuto quello spazio nel
suo percorso: Origine io lho provato
tantissimo, cinque o sei mesi, un tempo
impossibile senza la disponibilit del Rialto, che mi dava non solo la possibilit
di provare, ma anche quella essenziale
di non provare anche oggi perch non
hai niente da provare. Chi non ha vissuto da vicino quei luoghi di cultura
alternativa che proliferavano nel sottobosco culturale romano, fa spesso fatica
a carpirne la centralit nelle dinamiche
di rinnovamento delle nuove generazioni teatrali. Il Rialto, come altri luoghi
occupati o autogestiti, ha rappresentato prima di tutto una scappatoia allincomprensibile contraddizione delle politiche culturali che riguardano il teatro:
creare strutture adibite alla presentazio-

ne di opere sperimentali (come il Teatro


India, sempre a Roma) senza per fornire degli spazi di creazione e produzione.
Come se uno spettacolo potesse nascere dal nulla: Le istituzioni culturali in
Italia, per come sono pensate, devono
principalmente garantire una vetrina
delleccellenza. Non sono mai luoghi
vissuti scrive (Minima&Moralia 6
ottobre 2012) Graziano Graziani, che
del Rialto ha curato a lungo la direzione
artistica. Per tantissimo tempo gli spazi sociali hanno colmato questo vuoto
generando una ricca contaminazione
di forme e tecniche: Lincontro con
gli artisti era importantissimo. Ho vi-

sto cose che chiaramente non avrei mai


visto perch non corrispondevano al
mio gusto, per siccome, tra una pausa
e laltra, scambiavi quattro chiacchiere
con la persona che stava provando nella sala di fronte alla tua, andavi pure a
vedere il suo spettacolo racconta la
stessa Calamaro che proprio al Rialto ha intrecciato le sue esperienze con
quelle di due esponenti della nuova
comicit: Daniele Timpano e Andrea
Cosentino. Questi incontri erano favoriti da tempi di produzione differenti
rispetto a quelli del teatro commerciale.
La politica culturale del luogo offriva,
ad esempio, unopportunit essenziale
alle generazioni emergenti: la possibilit
di sbagliare. La logica dello spazio non
era quella dentro o fuori, bello o brutto, ci spiega ancora Graziani. La stessa
Calamaro ebbe il primo contatto con il
Rialto nel 2005, quando present Cattivi maestri, che lei stessa considera uno
spettacolo non particolarmente riuscito,
anche se, come spiega in unintervista
rilasciata a Jean-Louis Perrier: Ci sono
sempre dei semi di verit negli errori.
Anche sbagliare necessario. Nelle

istituzioni culturali tradizionali linterfaccia principale tra artista e pubblico


lo spettacolo. Questo significa che se
un prodotto, magari anche per via del
carattere sperimentale, non riesce a convincere totalmente il pubblico, lintera
carriera dellartista responsabile rischia
di essere compromessa. I luoghi come
il Rialto, invece, si fondavano su una
dinamica diversa, dove il pubblico era
in qualche modo complice di un progetto, di unidea diversa di produzione
e fruizione dellarte. Idea che si colloca
allopposto dalle gestioni manageriali
delle istituzioni culturali attuali, guidate
principalmente dalla ricerca di profitto
immediato. Se cos fosse
stato al Rialto, dopo Cattivi maestri probabilmente la
regista non avrebbe avuto
la possibilit di presentare
un altro spettacolo, come
avvenne lanno seguente
con Tumore. Uno spettacolo desolato, che fu definito
dal critico Franco Cordelli:
Il pi bel testo di drammaturgia in lingua italiana, da
molti anni a questa parte.
A riguardarle oggi, queste
dinamiche sembrano il risultato di unepoca felice,
in cui il panorama romano
offriva diverse possibilit di
visibilit e sperimentazione. Oggi gran parte di questi spazi sparita a colpi di
sgomberi e chiusure, scelte
che stanno di fatto soffocando le culture teatrali romane. Queste ultime hanno
inoltre rappresentato per
lungo tempo un esempio
di interazione fruttuosa tra
spazi occupati e istituzioni,
come rilevato in un articolo
recente da Samantha Marenzi: Il teatro il varco
tra occupazioni e istituzioni, tra protesta e proposta,
e si connota non solo nella
forma dello spettacolo ma
palesando le necessit di
condizioni creative e contesti produttivi. Ma, al di l del fare
scenico, unidea di citt e di partecipazione alle sue risorse (economiche e
strutturali) a essere messa in questione (Teatro e Storia 2013, n. 34). L
origine del mondo ne forse lesempio
migliore, in quanto il lavoro per questo
spettacolo venne avviato da un piccolissimo finanziamento della provincia di
Roma nellambito del progetto Zone Teatrali Libere che federava quattro spazi
autogestiti della capitale. La fortuna di
questopera mostra come la gestione del
rapporto tra istituzioni e spazi autogestiti secondo la rigida logica legale/illegale rischi di azzerare leffervescenza
culturale della citt. La speranza che
i prossimi amministratori salvaguardino
quei luoghi dove possano germogliare i
semi di verit che si nascondono allinterno degli errori, se si vuole evitare che
la fortuna dei giovani artisti diventi
solo il sinonimo di sorte.
abrielesofia@hotmail.com
G. Sofia insegna studi teatrali
allUniversit Paul Valry Montpellier 3

N. 7

42

Liegi, Belgio, Europa: lagire istintivo che si fa gesto politico


di Grazia Paganelli

La fille inconnue di Jean-Pierre e Luc Dardenne,


con Adele Haenel, Jrmie Renier, Olivier Gourmet, Fabrizio Rongione, Thomas Doret, Francia 2016

Quaderni

- Effetto film

na giovane dottoressa rinuncia a lavorare in uno


U
studio medico pi prestigioso per continuare a
praticare nellambito del servizio pubblico. La ragio-

ne di questa scelta improvvisa sta in un senso di colpa tuttaltro che latente, nato da un gesto egoista e di
rivalsa nei confronti del suo tirocinante (che avrebbe
voluto aprire la porta a una paziente arrivata dopo la
chiusura dellambulatorio, e che avrebbe cos salvato
la vita della sconosciuta cui dedicato il titolo). Inizia in questo modo La fille inconnue di Jean-Pierre e
Luc Dardenne, presentato in una competizione del
Festival di Cannes in cui erano presenti altri film sul
sentimento della colpa a partire da approcci diversi
e diversi intenti drammaturgici. Abbiamo cercato
di seguire il flusso della vita senza fissarla e bloccarla in una gabbia, anticipano i due registi, giunti
ora al decimo film (il settimo inserito nel concorso
di Cannes), forse tra i pi premiati da quando nel
1999 hanno vinto la Palma doro con Rosetta. Da
allora, infatti, hanno fatto seguito la Palma doro nel
2005 con Lenfant-Una storia damore, il premio per
la migliore sceneggiatura per Il matrimonio di Lorna
(2008) e il Gran premio della giuria per Il ragazzo
con la bicicletta (2011).
Qui il centro dellazione sta tutto nellinizio. Pochi
gesti di una quotidianit gi distratta, che mostra le
sue maglie larghe, lambizione, la fretta, la mancanza di ascolto, una certa competizione insinuante.
Nessun dettaglio lasciato al caso nel cinema dei
Dardenne, perch con i dettagli costruiscono il loro
microcosmo, colmo di segni e di vettori del tutto
imprevedibili ma necessari ad arricchire lambiente
o, meglio, a mostrarlo nella sua verit ed interezza.
Ogni gesto si estende e coinvolge cose e persone apparentemente distanti, e ha conseguenze a sua volta
ancora pi vaste. Come puntare la macchina da presa su un particolare e allargare via via lo sguardo fino
a comprendere a fondo tutte le dinamiche coinvolte.
La fille inconnue un film notturno e marginale (
ambientato a Seraing, nella periferia invernale e anonima di Liegi dove i due registi hanno girato tutti i
loro film), spinto in un paesaggio privo di punti di
riferimento, che si mostra nella sua sguarnita essenzialit, smarrito nello spazio e sospeso nel trascorrere del tempo, come quasi tutti i suoi personaggi (anche tra gli attori ritroviamo volti noti, come Fabrizio
Rongione, Jrmie Renier e Olivier Gourmet). Cos
accade che ci si perda e che il dentro e il fuori si
sgretolino, mentre il giorno e la notte acquistano un
valore puramente esteriore, con luci e colori freddi o
sbiaditi, sovraccarichi di grigio. Col suo girovagare,
alla ricerca dellidentit di una ragazza nera, uccisa
proprio davanti allingresso del suo studio medico, la dottoressa Jenny rivela un mondo ambiguo
e indifferente, dove si consumano continui crimini,

dallo spaccio alla prostituzione, dai tradimenti alle


ragazzate adolescenziali. Tutto nello stesso spazio,
nei vicoli ciechi dove le cose si confondono e si sovrappongono, strato su strato, fino al punto in cui
diventa per lei impossibile distinguere e aggirare gli
ostacoli o non farsi coinvolgere, appunto, dai diversi
disagi che incontra. Pensare che tutto partito da un
diverbio con il giovane tirocinante, in cui lo invitava
a non farsi condizionare dal dolore dei pazienti, ma
di affrontare le emergenze con la maggior freddezza
possibile.
percorso di Jenny rivela i segreti e finisce per
Imalmettere
in crisi un ordine primitivo e invisibile,
terribilmente organizzato. Non c in lei un di-

segno preciso, cos come non esiste alcun desiderio


di scoprire le ragioni dellomicidio o lidentit stessa
dellassassino. Vuole dare un nome ad una ragazza
uccisa che avrebbe potuto salvare, scriverlo sulla
tomba che ha pagato e forse comunicare la triste
notizia ai genitori. E cos lancia a sua volta segnali,
mette in giro voci, si muove senza sapere che la verit la sta accerchiando e la trover impreparata. Il
suo muoversi disordinato, si diceva, al contrario
del film che, invece, scopre le sue carte con astuta
precisione. Lossessione del medico solo il pretesto
per scoperchiare con fragore il tetto di un edificio
che ci riguarda da vicino e descrivere una citt, un
paese, lintera Europa, raffigurati nelle pi evidenti
fragilit del nostro tempo.
Questione morale cui Luc e Jean-Pierre Dardenne, autori anche della sceneggiatura del film, dedicano ogni pensiero. Con il loro cinema rigoroso e
severo si addentrano in una riflessione pensata per
anni, sfiorando il polar (allinizio Jenny avrebbe
dovuto essere un poliziotto), ma agendo in senso
via via pi ampio, secondo un percorso che va dal
particolare alluniversale, e poi ancora allinverso. Si
seguono i personaggi senza coinvolgerli in alcun tipo
di complicit, ma come parte di una realt urgente,
che chiede attenzioni nel suo essere violentemente
emarginata. Senza mai farne dei casi sociali, Jenny li
esamina come esamina i suoi pazienti, partecipe e distaccata, cercando di trarre dalle reazioni del corpo
le indicazioni per fare chiarezza. Sono corpi stressati
o feriti, vecchi o giovani che siano, che fanno fatica
a respirare sotto il peso di comportamenti inconfessabili, oppure minacciosi e aggressivi. Ecco la fisicit
di un film che procede seguendo un istinto che non
inquietudine ma osservazione. Per questo la macchina da presa non pi in continuo movimento, anzi,
statica, fissa sui volti e sulle parole di chi guarda,
sostenendo la ripetizione con austera convinzione e
quella responsabilit che permea tutti i film dei fratelli registi. Il loro scopo di raccontare la storia di

una dottoressa che non va a dormire dicendo non


ho visto nulla, continuo la mia vita come niente fosse, ma ferma a questo punto la sua vita e la modella
attorno ad un unico fatto. Un cambiamento di prospettiva assecondato da un importante cambiamento di forma, perch stabilisce una distanza maggiore
dal soggetto rispetto ai loro titoli pi famosi, e una
sorta di assimilazione dello sguardo del film allattitudine della protagonista, seria, silenziosa, a tratti
ossessiva e misteriosa. E cos, nella sua ricerca ostinata, Jenny scopre frammenti di un vivere personale,
che ha a che fare proprio con la sua stessa identit,
ma che restano insufficienti a descriverne la vita. Eppure proprio lei ad impegnarsi tanto per cercare
le poche notizie della donna che ha suonato al suo
campanello. Verrebbe da pensare alle porte chiuse
della nostra Europa, al fatto che, come dir Jenny a
uno dei suoi pazienti, ci accorgiamo della ragazza
perch morta, e con lei di tutto quel mondo che
vive nascosto agli occhi dei pi. Il gioco di specchi
innescato fin dallinizio (a partire, dunque, dalle due
donne, di cui veniamo a conoscenza solo di pochi
dettagli), e potrebbe continuare allinfinito, secondo
i diversi livelli di lettura, se non fosse che Luc e JeanPierre Dardenne hanno pi volte fatto notare di non
voler sostenere una tesi e di non avere messaggi da
comunicare.
ome sempre nel loro lavoro lagire istintivo che
C
si fa gesto politico e quello che dovrebbe essere
una sorta di investigazione si fa punto di partenza e

di arrivo di un discorso profondo allinterno dellanimo umano, degli impulsi invisibili, dei pensieri e
delle paure sociali. Ed ecco che allimprovviso lattenzione si sposta sottilmente, ma in modo indelebile, verso un mondo che esiste, ma che non si vede,
che preme contro i lati di ogni inquadratura e ne
condiziona il senso. E non si tratta solo di quella periferia di degrado legata allimmigrazione clandestina, con tutta la conseguente perdita di identit che
essa comporta, ma anche di quel non visto che sta
intorno ad ogni singola vita. Come se il film volesse
mostrarci che ci sono situazioni impossibili da scoprire, che gli occhi non possono vedere e la ragione
non pu comprendere. A nulla serve lossessione, a
nulla pu portare il voler vedere di pi, perch oltre
una certa distanza losservazione perde lucidit, e ci
si accorge che il nome di una donna uccisa stupidamente non basta a fare chiarezza sulle mille implicazioni del contesto intorno a lei.
g.paganelli@museodelcinema.it
G. Paganelli critico cinematografico e programmatrice
del Museo nazionale del cinema

N. 7

43

Leggere e tradurre Moll Flanders sbagliando bene


Un testo che sprizza vita, inelegante e anticipatore

la prima traduzione integrale dellUlisse di James


Joyce, viene a sapere delledizione Casini dellopera
completa di Defoe, e con la consueta compostezza ne scrive allamico e traduttore Aldo Camerino:
Cristo, Casini pazzo! E chi gli traduce tutta quella
roba? Non mica un giocattolino, Defoe, con quei
periodi e quello stile: li vedi tu i tre o quattro traduttori che occorrerebbero? Non credo la Ballini, per
esempio, abbia the guts di tradurre un coglionuto di
quel genere: ben altra vulva ci vuole! Viva la vulva!
non quella della suddetta. Lacera, ti prego. Sono di
buon umore, oggi. Ciononostante, ho rivolto pochi
pensieri alla mia anatomia quando mi sono avvicinato a Moll Flanders con un misto di spavalderia e
titubanza: avevo la consapevolezza di affrontare un
romanzo accompagnato da unenorme mole di letteratura critica che, a ragione, sapevo mi avrebbe aiutato nello sciogliere i passaggi pi complessi, eppure
temevo di non trovare la voce giusta, la via mediana
tra una traduzione che rischia a ogni passo di essere
antiquaria e glacialmente fedele, e un testo che sprizza vita da ogni pagina, scritto da un uomo, ma con
la voce di una donna. Secondo Ezio Sinigaglia, il traduttore un lettore costretto a mordere il freno, un
lettore-tartaruga che cammina su ogni pagina per ore
anzich galopparvi in un minuto, ed proprio la sua
lentezza a offrirgli un vantaggio sul lettore-Achille,
troppo veloce per cogliere nella coda dello sguardo
i piccoli segni di cui il paesaggio costellato. Ma il
traduttore condannato, oltre che alla lentezza, anche a unubiquit estenuante: sempre in pi luoghi
del testo allo stesso tempo (come un lettore attento)
e soprattutto tanto qui nel presente quanto l, nel
passato del testo, qui nella sua lingua di arrivo, ma
anche l nella lingua dellautore, ne vive i salti e le
evoluzioni nel tempo, ma deve continuamente negoziare tra la tentazione di rimaneggiare il testo a uso e
consumo del lettore moderno e quella di fargli sentire la distanza, non solo geografica.
Questo problema, che si presenta ogni volta che
si voglia tradurre un testo lontano, si fa anche pi
urgente quando si traduce un romanzo come Moll
Flanders: laccortezza che si ha con i classici e il rispetto verso la lettera del testo pu infatti far
perdere di vista il carattere popolare, di consumo,
del romanzo di Defoe. Si rischia di imbalsamarlo e
di irrigidirne le scelte stilistiche in nome di un mal
riposto rispetto verso lautore. Questo vuol dire, tra
le altre cose, essere guardinghi verso le ripetizioni e
le lungaggini del romanzo. Se le prime sono, proverbialmente, pi tollerate dallinglese e, in questo caso,
frutto dellespansa ed eccessiva scrittura del polemista Defoe, le seconde sono pi difficili da individuare
e riprodurre nel testo italiano: lineleganza di Defoe
si traduce solo raramente in un testo difficile da leggere; la maggior parte delle volte potr essere sintatticamente involuto, accidentato e contraddittorio,
ma quasi mai poco chiaro. Nella traduzione di Defoe
bisogna evitare ogni levigatura apparente e riprodurre lo scorrevole scompiglio della prosa; bisogna imparare a sbagliare bene. Perch se vero che Moll
Flanders non un romanzo ben fatto, non bisogna
sacrificare ogni rete lessicale o dimmagini sullaltare
della presunta sciatteria di Defoe, che in quegli anni
scriver romanzi a inaudita velocit: lintenzione
dellautore, intangibile perlopi, meno importante
dellintenzione del testo e perci ho creduto nella necessit di mantenere quanto pi possibile i rimandi,
anche tra zone lontane del romanzo.
I riferimenti alleconomia, ad esempio, sono ovunque. Quando Moll si ritrova con una famiglia cattolica, dice che non avr alcun problema a convertirsi,
ma would not come too cheap. In questo caso, cos
come nei riferimenti ai rapporti damore di Moll
letti attraverso la lente delleconomia, ho provato a
mantenere il riferimento e allora Moll non si sarebbe convertita tanto a buon mercato. Poco dopo,
Moll si presenta come una woman of fortune. Senza
dimenticare che le sue fortunes and misfortunes sono
fortune e sfortune, ma anche venture e sventure, ho

esitato molto sulla resa. Fortuna vuol dire ricchezza in italiano solo in espressioni come guadagnare
una fortuna, mentre donna di fortuna pu avere
al massimo un significato ironico e indicare chi suo
malgrado non proprio una prima scelta. Ma non
questo, di certo, quello che vuol dire Defoe e cos, in
un caso come questo, ho lasciato andare il riferimento economico, pur salvando in parte il gioco di parole
e mantenendo il riferimento a una delle incarnazioni
principali di Moll, lavventuriera, la donna di ventura. Nella prefazione autoriale, invece, un brano in
cui la sua voce diversa da quella dellautobiografia
della sua eroina, Defoe associa la storia di Moll Flanders a un vestito che la sua penna avrebbe dovuto
rifinire e rendere presentabile, senza pieghe impudiche. In barba alla confusione tra le metafore,
Defoe continua a incrociare riferimenti alla scrittura
con riferimenti alla tessitura e alla confezione di un
vestito, miracolosamente senza mai parlare di trama,
peraltro.
ueste isotopie, bench rare, vanno riconosciuQ
te ed evidenziate. E perci, se poche righe pi
avanti le parti della storia dovranno essere shortened,

allora non diventeranno pi stringate o brevi,


ma saranno accorciate o scorciate come i vestiti
di Moll. Defoe le cuce addosso un vestito che il
suo primo travestimento, quello delle parole dellautore, il primo di una lunga serie di reincarnazioni
di uno dei personaggi pi proteici della letteratura.
Uno sguardo, anche rapido, alla sopravvivenza di
Moll nellimmaginario letterario e cinematografico
ce lo conferma. Se la Moll Flanders napoletana di
Domenico Rea una vera e propria passeggiatrice
(leufemismo dellautore), mentre le versioni cinematografiche la rileggono perlopi come una ladra
avventuriera o una sensuale romantica, nel rione romano di Monti le dedicata una piccola sartoria e
si riaccende cos, forse inavvertitamente, il ricordo
dei suoi furti di tessuti. Tradurre Moll Flanders vuol
dire anche riconoscere queste repentine svolte, ma
al tempo stesso provare a tenere Moll, ladattabile
contenitore di tutte quelle identit, sempre al centro,
preservandone i vezzi linguistici come la paratassi
talvolta eccessiva che fa pensare a lei, non tanto per
la sensualit quanto per la loquela esondante, come a
una delle pi plausibili progenitrici di Molly Bloom.
sempre rischioso cercare un parallelo tra i personaggi di un romanzo e la forma dello stesso. Si rischia di adagiarsi in un determinismo ingannevole,
di trovare corrispondenze inequivocabili negli accidenti della forma e della storia, di riconoscere negli
snodi della trama il risultato di inevitabili scelte stilistiche e non casuali richiami tra forma e contenuto
che, questo s, contribuiscono a corroborare la forza
espressiva di certi romanzi. Ciononostante, difficile
non pensare che il testo di Moll Flanders sia ingannatore quanto la sua protagonista: un testo diretto,
semplice, lineare, non troppo ricco dal punto di vista
lessicale, eppure sempre travestito, sfuggente, indeterminato.

nche il testo inglese, per un lettore moderno,


A
ha bisogno di una traduzione; non solo per via
dei gerghi (mercantili, tessili, malavitosi), ma anche
per le espressioni idiomatiche e per i pi comuni
aggettivi, anche nella sua lingua originaria sguscia
via dalla ferma presa di uninterpretazione che non
si faccia storica e situata. Come per ogni classico, la
conoscenza linguistica deve intrecciarsi con la conoscenza del sistema culturale e letterario dellepoca.
Non serve fare molta strada: le prime righe del romanzo bastano: The world is so taken up of late
with novels and romances, that it will be hard for a
private history to be taken for genuine (). Private
aveva nel 1722 molti dei significati che ha tuttora,
in particolare privato nel senso di non pubblico
personale e di segreto. Ma anche quello che ha
nella locuzione privato cittadino. E se fosse questo
il significato inteso da Defoe? Certo, in italiano, laccezione di privato comprensibile solo nella locuzione privato cittadino oppure nella troppo moderna e burocratica formula un privato. Al tempo

stesso, tradurre con una storia privata lascerebbe


intendere che i novel e i romance appena nominati e
contrapposti alla history di Moll, non fossero privati segreti, personali. E invece non questa la novit
di Moll. La differenza tra la sua storia e i generi che
Defoe ha appena nominato non nella narrazione
dei suoi intimi pensieri, dei suoi segreti (Moll non
Jane Eyre), ma nel fatto che a parlare una persona
comune, e perci in questo diversa dai protagonisti
delle storie da cui la gente era tanto attratta in quegli anni. La scelta di un semplice aggettivo orienta la
ricezione e rilegge la storia letteraria. Il vocabolario
non impedisce di tradurre storia privata, ma cos
facendo si rende un cattivo servizio a Defoe. E anche
quando la storia letteraria non implicata, la resistenza dei significanti rischia di provocare minuscoli
corto-circuiti: se una nice lady pu corrispondere a
una un po puntigliosa, una che fa la difficile,
un distemper una malattia, certo, ma alle volte sar
uno scompenso, perch di uno squilibrio di
umori che si parla, mentre un constable non sar
esattamente un poliziotto la professionalizzazione
della polizia era di l da venire e perci diventer
un conestabile. In tutti questi casi la strategia non
pu essere, sempre, la stessa, ma il principio s: trovare la giusta via di mezzo tra una traduzione che faccia
avvertire la distanza da una realt lontana nel tempo
e nello spazio (e l il conestabile fa un buon lavoro)
ma non cedere al furore antiquario nel ricercare un
equivalente italiano del distemper che faccia pensare
alla teoria degli umori senza suggerire lidea di semplice malattia, primo significato della parola usata
da Defoe. Allo stesso tempo, per, bisogna stare attenti a non mettere in bocca allautore cose che difficilmente avrebbe deciso di scrivere e cos creare dei
cortocircuiti semantici. In un caso, avevo rischiato
di commettere un errore del genere: avevo tradotto
un poor creature con povero Cristo, quando invece Defoe sempre attentissimo a non nominare Dio
invano, cos come a chiamare in causa il diavolo con
estrema parsimonia. Perci, per lo stesso motivo, anche povero diavolo sarebbe stato un passo falso:
meglio un poverino.
Ho seguito un simile principio anche per gli aspetti grafici del testo. Linglese di Defoe e del Settecento presenta una certa disomogeneit ortografica e
un uso spesso enfatico delle iniziali maiuscole, tipiche delle lingue germaniche, dei maiuscoletti e dei
corsivi, usati perlopi per i nomi di luogo e per segnalare i dialoghi, ma senza alcuna sistematicit. Per
riprodurre almeno in parte il caratteristico aspetto
tipografico del testo, ho scelto di mantenere le ultime due caratteristiche ovvero maiuscoletti e corsivi
, poich pi affini alle usanze dellitaliano scritto
contemporaneo. Le altre, a malincuore, sono state
tralasciate per evitare di costellare il testo di arcaismi leziosi e di ricreare unimprobabile e ibrido itanglese pseudo-settecentesco. Moll Flanders infatti
un romanzo che non presenta alcuna divisione in
capitoli e spesso limpaginazione non indica i poco
frequenti dialoghi. La scelta di mantenere alcune
delle particolarit grafiche perci nasce anche da un
tentativo di evitare leffetto monolitico che il testo
avrebbe altrimenti avuto, provare a suggerire anche
tipograficamente il ritmo, al tempo stesso ripetitivo
e sussultorio, del romanzo. Per lo stesso motivo, la
punteggiatura, a dir poco idiosincratica, di Defoe o
del suo tipografo? stata mantenuta laddove possibile, ma senza indulgere in un eccessivo rispetto di
volont autoriali impossibili da verificare. In nome
delladattamento e del rispetto per qualsiasi tipo di
vita ulteriore delle opere darte, la scienza della traduzione sembra accettare ormai ogni riscrittura di
un testo come la traccia di una posizione ricettiva
e interpretativa: pur consapevole di questo ho provato, come la Moll per lintero romanzo, a sbagliare
bene ma sempre basando le mie scelte, anche le pi
ardite, su una attenta, lenta e accorta lettura del testo, del suo e del nostro tempo.
antonio.bibbo@manchester.ac.uk
A. Bibb insegna letteratura alla University of Manchester

Quaderni

el dicembre del 1951, Carlo Izzo, uno degli anN


glisti che entrer a far parte dellequipe mondadoriana che una decina danni dopo dar alla luce

- La traduzione

di Antonio Bibb

Schede

N. 7

Infanzia
Narratori
Letterature
Storia

Infanzia
Steve Antony, Per favore Signor Panda,
ed. orig. 2015, trad. dallinglese delleditore
(chiedendo per favore), p. 26, 16, Zoolibri,
Reggio Emilia 2016
Nel romanzo di Cormac McCarthy Non
un paese per vecchi (e poi nel film dei fratelli Coen) il vecchio sceriffo, davanti alla
narcomattanza e a quel che ne segue,
impotente e sconsolato, dice: Penso
che quando non si dice pi grazie e
per favore la fine vicina. Giusto. Ma
come si fa a spiegare a un bambino di
tre anni una verit cos filosoficamente
e antropologicamente profonda? Linglese Steve Antony, autore completo
come i compatrioti Oliver Jeffers e Jon
Klassen, ci prova disegnando un panda
che va in giro con una scatola di dolcetti colorati in mano chiedendo via
via a un pinguino, a una puzzola, a una
cicogna, a una balena se vogliono un
dolcetto. C chi gli dice di s e sceglie
anche i colori, chi rifiuta, chi con arroganza li vuole tutti. Ma il nostro volta
sempre le spalle e se ne va: No, niente dolcetto per te. Ho cambiato idea.
Finch un lemure a testa in gi gli grida: Ciao! Potrei avere un dolcetto
PER FAVORE Signor Panda? - Li
puoi avere tutti GRAZIE MILLE!
Io adoro i dolcetti! PREGO. A
me i dolcetti non piacciono sono le
battute finali del dialogo e dellalbo,
che mostra uno scoiattolo che ronfa
beatamente con la pancia strapiena. Il
vecchio e famoso sceriffo Bell (Tommy
Lee Jones) approverebbe di certo questa gentile e divertente lezioncina di
buone maniere. Da tre anni

45

sionalit, costruisce una storia avvincente che


li fotografa nei loro sogni, debolezze, arroganze e superficialit, e mette in luce la parte
buona del loro sentire, quella che a volte gli
adulti dimenticano di ascoltare, fermandosi a
stigmatizzarli e giudicarli, invece di aiutarli a
conoscersi meglio e a crescere con pi senso
di responsabilit. Da dodici anni
Sofia Gallo

S. G.

Pino Pace, Lultimo elefante, pp.


160, 8,90, Giunti, Firenze 2016

Fernando Rotondo

Ornella Della Libera, Il primo bacio


di Pennyl, pp.168, 10, Coccolebooks, Cosenza 2016
Il giorno del suo tredicesimo compleanno Pennyl ha fatto una promessa, lha fatta alla mamma, ma ancor
pi a se stessa: non bacer nessuno
prima dellestate, anzi il divieto di bacio sar in vigore fin dopo gli esami
e il suo quattordicesimo compleanno.
A Pennyl non parsa una promessa
difficile da mantenere, perch a differenza
di tante compagne che hanno i filarini, a lei
non mai toccata lebbrezza anche solo di un
invito, una parola galante, un corteggiamento. La sua vita sentimentale calma piatta
e quindi tanto vale aspettare. Eppure la curiosit di provare e lo sfizio di scegliere una
bocca piuttosto che unaltra, sono l pronti a
stuzzicare la sua fantasia. E poi a dire il vero,
anche se non ci sono labbra troppo attraenti
nel circondario, il bellAndrea non uno da
scartare a priori. Ma come raggiungerlo? Lui
il beniamino dei professori e lei no di certo, lui fa la corte a tutte tranne che a lei. Se
un giorno, per, si mette di mezzo unuscita
collettiva in occasione dei giochi sportivi e
l, a sorpresa, Pennyl sostituisce nella corsa
una compagna infortunata e vince, riscuote
applausi e passa di colpo allonore delle cronache scolastiche, ecco che le cose possono
cambiare. Basta uno scivolone che ti porta
dritto dritto nelle braccia di Andrea e gi
si scatena la gelosia di Peter, e chiss come
andr a finire! Gi perch, nel dipanarsi di
una storia divertente ed esplosiva di ragazzini e ragazzine alle prese con i problemi di
relazione tipici della loro et, tra modelli di
moda pervasivi e ricerca di originalit, tra
amicizie sincere e rapporti superficiali, tra
gioie e delusioni, tra trasgressioni e legalit,
alla fine Pennyl capir che forse il fascinoso
Andrea non merita il suo primo bacio, quanto piuttosto qualcuno di pi sincero e di pi
profondo. Come capir che certe regole non
vanno infrante e che ci si pu divertire anche
senza alzate di ingegno e bravate, evitando
denunce della polizia e interventi di giudici
tutelari. Ornella Della Libera, che in mezzo
ai giovani sa stare con intelligenza e profes-

no capire, che non esclude, non sbarra porte, non mortifica, ma aiuta con metodo ed
esperienza, perch se sono tanti i geni della
storia che hanno avuto problemi di dislessia,
da Bell a Einstein, da George Washington a
Picasso, da Leonardo da Vinci a Kennedy,
da Churchill a John Lennon, allora anche
Ally pu affrontare limpossibile e imparare
a leggere. Anche lei a modo suo un genio,
come lo siamo tutti, ed giusto che riveda la
luce, ritrovi la sicurezza in se stessa
ed esprima le sue indubbie capacit.
Scritto con interlinea e font ad alta
leggibilit, il libro della Hunt scorre
piacevolmente con una narrazione
piana e puntuale che aiuta i giovani
lettori, come gli adulti, a chiarire la
problematica della dislessia e a trovare la strada per risolvere il disagio
e il senso di manchevolezza che essa
genera. Da undici anni

I disegni della sezione SCHEDE


sono di Franco Matticchio
Lynda Mullay Hunt, Un pesce sullalbero,
trad. dallinglese di Sante Bandirali, pp. 264,
14, Uovonero, Crema 2016
Ally dislessica, le lettere danzano davanti ai suoi occhi, si muovono e si confondono
in una nebbia impalpabile che le d il capogiro ogni volta che tenta di venirne a capo,
come se scappassero da ogni suo sforzo di
controllo, non si lasciassero addomesticare
dalla sua volont. La scelta allora obbligata:
evitare di dichiarare apertamente le proprie
difficolt, aggirare limpossibile e praticare la
strada della provocazione, fare il pagliaccio,
esercitare la battuta pronta, inventare scuse
di ogni tipo, rivestire il ruolo della ribelle che
non si applica e frequenta di pi lufficio della Preside, la signora Silver, che i banchi della
classe. Cos si finisce per passare per stupida
e si negano il proprio talento di artista, la velocit nei calcoli, la prontezza nellapprendimento, ingabbiando il tutto in un bozzolo di
amarezza, solitudine, tristezza e frustrazione.
Come pu Ally, con queste premesse, smettere di sentirsi sola anche se sta sempre in
mezzo agli altri? Non basta laffetto di Travis,
il fratellone che le vuole bene e la protegge,
non basta la comprensione della mamma e
laffetto del pap soldato: ci vogliono amici
curiosi, disponibili e intelligenti come Oliver
e Keisha per far finta di non sentire le battute acide di Shay e di Jessica, ci vogliono
compagni che sappiamo cosa vuol dire avere
problemi, come Albert, lo scienziato, che arriva a scuola pieno di lividi perch suo padre
gli ha insegnato che la violenza male e lui
non risponde mai ai bulli che lo perseguitano. Ma soprattutto ci vuole il signor Daniels,
un insegnante che osserva e non giudica, che
capisce ci che altri non sanno o non voglio-

La casa editrice Giunti ha presentato alla Fiera di Bologna una nuova


collana di narrativa, Colibr. La collana partita con sedici titoli, alcuni
gi precedentemente usciti da Giunti
o da altre case editrici, altri inediti;
tra gli inediti c questo libro di Pino
Pace, autore oltre che per ragazzi
per radio e audiovisivo. Lultimo
elefante racconta la storia di Mes,
un ragazzino dodicenne che vive nel
200 a.C. in quella che oggi si chiamerebbe Provenza. Bada alle pecore
insieme al suo cane, in un mondo
fatto di cose semplici, lineari, certe:
il Serpente fa schifo, la Lepre ha paura, la Poiana vola in cerchi; per star
dietro alle pecore meglio un cane
bianco, che di notte si vede bene
ed diverso dal lupo, che nero; la
luna c sempre stata, e cos il sole, le
montagne e il bosco. Anche la vita di
Mes semplice: sta con le pecore alcuni giorni, poi le riporta al villaggio.
Quando sar pi grande andr a caccia col padre, ora ancora no. Eppure
improvvisamente succede qualcosa
di assolutamente imprevisto: il suo
villaggio viene travolto dal passaggio di un esercito, gli uomini uccisi,
le donne portate via. Per Mes c una sola
cosa da fare: scappare, abbandonando tutto.
Ma viene catturato. Inizia cos unavventura
lunga e appassionante al seguito dellesercito di Annibale: Mes dovr prima custodire
e poi condurre uno dei grandi elefanti, accompagnandolo attraverso tutta lItalia,
verso Roma. Imparer a leggere e scrivere
da Sileno, viaggiatore disincantato; scoprir
lamore assoluto dellenorme Shaf per i suoi
animali; incontrer cavalieri numidi, mastini
dagli occhi di fuoco, battaglie piene di frecce
e armature e spade e trombe e sangue; infine
trover anche una ragazza timida e bellissima che gli insegner che oltre ai villaggi,
agli accampamenti militari, alle marce forzate
e alle battaglie c un mondo fatto di calore e
tenerezza, di bellezza; e grazie a questa scoperta riuscir a salvarsi alla fine, quando tutto
potrebbe essere perduto. Lultimo elefante
contemporaneamente un romanzo storico
ben documentato, un romanzo di formazione avvincente e un romanzo davventura
pieno di personaggi e di storie; soprattutto
una voce, quella di Mes, che parla il linguaggio delle cose, descrive quello che vede senza
cercare significati nascosti, allineando oggetti
e percezioni; una voce che nel corso del racconto viene travolta dalla complessit e dalla
ricchezza della vita, modificandosi senza mai
snaturarsi, in modo credibile e affascinante. la voce di Mes a raccontare lamicizia,
lamore, la guerra, la paura, la speranza con
una forza rara e convincente: la voce di chi
per un periodo si trova immerso nella storia,
e poi ne esce, scegliendo di occuparsi della
propria, di storia. Non poco. Da dieci anni
Sara Marconi

46

Schede

- Narratori

N. 7

Roberta Anau, Unebrea terra terra, pp.


171, 15, Golem, Torino 2016
Mi prende infatti un empito colonizzatore, un rigurgito pionieristico di stampo
ben conosciuto. Voglio creare un nuovo giardino dellEden, alla faccia di chi
ci ha mandato via ignominiosamente da
quellaltro. Eccolo, in queste parole ardenti il cuore narrativo di Unebrea terra
terra di Roberta Anau, seconda puntata
di una autobiografia errante cominciata con Asini, oche e rabbini (e/o, 2011).
Errante certo, per la dimensione della sfida che il nuovo episodio descrive: quella
di inventare un inizio, in una terra ostile;
quella di inventare una convivenza, con un
Adamo enigmatico; quella di inventare un
nuovo contatto con la terra e con lorigine,
con quellebraismo tentato, intentato e ritentato che da sempre, per ogni ebreo,
terra e fuga insieme. Ma errante anche
perch lautobiografia stessa, sotto la penna di Roberta Anau, sfugge al suo destino
di cronaca per diventare lingua, paesaggio
verbale, ricchezza di esperienze lessicali e
tonali. La lingua di Anau si impenna, si
aggrappa, soffia, rimbalza e saetta. Suona
diretta e al tempo stesso fastosa, coniuga
ruvidezza e splendore verbale con quella
apparente spontaneit che il frutto di un
durevole commercio con la parola. Cos,
mentre dalla cupa selvatichezza di un borgo minerario abbandonato vediamo sorgere tra mille avventure il giardino fiorito e
faunito (per tentare un neologismo che
forse sar caro allautrice) della Miniera,
Roberta Anau, questa poco classica Santippe ebrea, porta il lettore in un luogo
nuovo, che non storico e non narrativo,
perch il luogo della lingua, dove limpasto sapido e sapiente dei registri espressivi
digerisce la dura lezione della vita e restituisce un amalgama che avvince, che coinvolge, che commuove, che fa sorridere e fa
tremare e a volte fa arrabbiare, e che lascia
sempre, a ogni pagina, il senso profondo
di un viaggio anche doloroso che trova ragione di essere proprio nella possibilit di
diventare storia, passione, racconto.
Massimo Tallone

Luciano Funetta, Dalle rovine, pp. 184,


9,90, Tunu, Latina 2015
Nel panorama italiano difficile imbattersi in qualcosa di simile a Dalle rovine, e
gi questo un ottimo motivo per leggerlo. Luciano Funetta (classe 1986) riesce nel
proposito di divorare e digerire i maestri
(antichi o meno che siano) e a costruire,
nel suo esordio pur denso di rimandi, un
immaginario autonomo e originale. Buona
parte della vicenda si svolge a Fortezza, localit inventata che al tramonto inghiotte i propri abitanti, trasformandosi in una
scenografia abbandonata. Qui, in uno
dei condomini semicircolari della periferia nord, abita Rivera, un uomo che ha
rinunciato a tutto, moglie, figlio e lavoro,
per la sua ossessione: i serpenti. Ne alleva trenta, rari e velenosi, in altrettante
teche di plexiglas. Un giorno senza motivo, quasi posseduto decide di filmarsi
durante un amplesso con due di loro, e
consegna il video al gestore di un cinema
a luci rosse. Ha cos inizio il suo exploit
nella pornografia dautore. Rivera conosce
prima il produttore Jack Birmania, un
vecchio elegante, alto, dal volto quieto e
luminoso che fa porno-intellettuale,
e poi il suo antagonista, il venerabile
Klaus Traum, responsabile di porno
estremi, (che) mettono in scena violenze
sessuali, sottomissioni, amori violenti e situazioni grottesche. I due sono in verit
amici (Prima o poi verr fuori che Klaus e
io non abbiamo fatto altro che camminare
insieme in questa valle di ombre) e condividono la stessa nemesi: il fuggiasco
Alexandre Tapia, autore di una sceneggiatura maledetta che parla di torture e che
nessuno ha mai avuto il coraggio di girare.
Altro monomaniaco alla Bernhard (Un
premio alla carriera. . Ma io non ho nessuna intenzione di farmi cacare da un culo

sconosciuto), Tapia abbandona lappartamento in cui vive relegato per consegnare


a Rivera la fantomatica sceneggiatura, che
in una straniante mise en abyme si intitola
proprio Dalle rovine, e che sar la chiave
daccesso allangosciante universo degli
snuff movie, in cui la violenza mostrata
reale. Al di l degli eventi in s, il climax
il risultato dellaccumularsi di aneddoti,
solitudini e personaggi sempre pi abissali,
accompagnato dalla sensazione che il loro
destino inceda tra le vie di Fortezza come
la Morte Rossa nel palazzo del racconto
di Poe. Pi che a una discesa agli inferi,
Dalle rovine somiglia al sogno di un morto, e daltronde terminali sono molti dei
personaggi, illusi di poter risorgere (Be,

e della propria intelligenza. Le parole di


commiato al marito, le distratte carezze
alla figlia raccontano di un amore coniugale e materno che poco pi di una generica tenerezza. sul treno che la sta conducendo verso lappuntamento di lavoro,
ma anche verso lamante, che veniamo a
conoscenza del suo passato, attraverso flashback di grande immediatezza visiva, che
mettono in campo la guerra con i bombardamenti, la paura e la fame, lestenuante
prigionia del marito, lansiosa e confusa
vitalit del dopoguerra. Nella struttura
della sua personalit, la scrittrice infiltra
affilate consapevolezze: Linda una che
non sogna un uomo che le cambi la vita,
perch la sua vita le sta bene cos com e,

fault con il congelamento del debito la


sua ricetta. Ma a chi farne pagare i costi?
La contesa tra governo e opposizione mette in scena una commedia degli equivoci
in cui si alternano personaggi in caricatura di sottosegretari allarmati, consulenti
incompetenti, losche guardie di finanza
e forzuti onorevoli gelosi ad assediare il
povero professore, salvo infine solo grazie allintervento risolutivo della sua colf
romena, che ha alle spalle un eccellente
curriculum in economia, osserva ironicamente Ortona, studiata nel suo paese per
motivi analoghi ai miei: io volevo propiziare lavvento del socialismo e lei quello del
capitalismo. Ricco di frizzanti arguzie, un
romanzo umoristico alla maniera di Wodehouse, modello dichiarato dello stile satirico con cui lautore prende di mira i vizi
e vezzi, non pi della vecchia aristocrazia
inglese, ma degli attuali ambienti politici
ed economici, non senza una buona dose
di autoironia sui tic accademici. Il nocciolo
serio della sua proposta di congelamento
del debito si trova in appendice, e i lettori pi attenti sapranno collegarlo ai molti
interventi di Ortona sul sito di Sbilanciamoci!.
Santina Mobiglia

Ida Bassignano, Maria dBerlc. Una


storia piemontese, pp. 127, 12, Iacobelli,
Roma 2016

chiaro. Sono morto. Eppure sento che


potrei risuscitare dice Tapia) attraverso
la fenice Rivera. Questultimo sembra un
personaggio cavo (ex-giornalista, parla
poco e ignora il mondo o lha dimenticato), ma capace di battute folgoranti
(quando gli viene chiesto quale sia la cosa
pi stupida che fanno gli uomini risponde riprodursi) ed esercita lascendente
di un messia. Come un inconsapevole eroe
greco, attraversa le macerie di un impero
che non gli appartiene per raccogliere le
testimonianze di diavoli caduti.

al di l dellinnamoramento, mantiene uno


sguardo limpido sugli uomini, questi tipi
che pretendono di farti bovarineggiare e ti
condurrebbero alle estreme conseguenze;
proprio per questo linaspettato epilogo
viene ad acquistare il sapore di una beffa.
Una felice riscoperta, questo romanzo, e
unautentica sorpresa per chi non lha ancora letto, sia per lincisivo e memorabile
ritratto di donna, sia per il peculiare tono
narrativo che come un filo elettrico ad
alta tensione.
Maria Vittoria Vittori

Mauro Maraschi

Laudomia Bonanni, Ladultera, pp. 124,


14,50, Elliot, Roma 2016
Nella sua carriera letteraria, Laudomia
Bonanni, nata nel 1907 allAquila, insegnante di scuola elementare e consulente
presso il Tribunale minorile della sua citt, ottenne numerosi riconoscimenti: il
premio Bagutta opera prima per il libro
desordio Il fosso (1950) e poi negli anni
sessanta il premio Viareggio e Campiello,
ma quando mor, nel 2002, era pressoch
dimenticata. Viene ora ripubblicato uno
dei suoi romanzi pi intensi, Ladultera,
che, uscito per la prima volta da Bompiani nel 1964, le valse il premio Campiello.
Argomento sempre attraente e fertile di
sviluppi, ladulterio, soprattutto per gli
scrittori, ma qui lautrice preferisce prestare attenzione al contesto sociale. In quei
primi anni sessanta, ladulterio femminile
era reato da perseguire legalmente. Nel romanzo questo clima di condanna proietta
i suoi riverberi in un episodio particolare,
allorch, derubata sul treno che da Milano
la sta conducendo a Roma, la protagonista si rifiuta di sporgere denuncia, quasi
in un superstizioso timore che i poliziotti
possano in qualche modo capire che la finalit del suo viaggio non esclusivamente
di lavoro. Si sbaglierebbe per a ritenere
Linda una donna fragile e spaurita; fin dalle prime sequenze, attraverso la sicurezza
dei gesti e delle intenzioni, si palesa come
donna consapevole della propria fisicit

Guido Ortona, I

buoni del tesoro con-

tro i cattivi del tesoro,

Robin, Torino 2016

pp. 237, 15,

Molto godibile questo libro insolito, in


cui, con una mossa estrosa fuori dal recinto specialistico, un economista docente
universitario si affida al suo spiccato sense
of humour per riprendere in forma giocosamente narrativa proposte inascoltate
di politica economica. Non ci resta che
ridere? O meglio, nello spirito del verso
oraziano suggerito dallautore: perch non
dire la verit ridendo? E in questa chiave,
intorno al tema spinoso del debito pubblico nostrano, offre pagine di irresistibile
comicit in una storia in bilico tra fiction
e non-fiction con un tocco di thriller, proprio come il mondo sfuggente delleconomia finanziaria che vi fa da sfondo. Guido
Ortona si presenta nei suoi panni reali, appena un po retrodatato agli anni di massimo allarme spread, come protagonista e
narratore in prima persona di un intrigo in
cui coinvolto suo malgrado in qualit di
esperto per un piano segreto di svalutazione del debito da mettere in atto in caso di
emergenza. Affezionato alle sue abitudini
di professore con il disincanto degli anni,
ai consueti percorsi tra marciapiedi e portici torinesi infestati da molesti ciclisti, alle
tranquille serate sul divano di casa, si dipinge come figura dellinetto, dello sprovveduto malcapitato nella rete di frenetiche
manovre in cui non riesce a districarsi.
Non manca di idee precise: evitare il de-

La scelta di inserire nel testo termini


dialettali accresce lenergia rappresentativa interna al linguaggio. La vicenda, che
si svolge in un piccolo borgo piemontese
negli anni a cavallo della seconda guerra,
tesa fra le vite di due bambine, poi donne,
dagli opposti destini: la pi giovane, Lola,
cresce nella cascina della nonna e, pur sentendosi trascurata dalla madre, vive in un
ambiente protetto; Maria ancora nellinfanzia quando il padre viene ucciso in un
incidente di caccia a Racconigi; episodio
tragico, che la consegna a unesistenza di
solitudine e durezza, violenza e brutalit.
N pu qualcosa la madre, sempre pi
gialla e curva, qualcosa la mangiava dentro. la portina verde a segnare il confine tra un mondo circoscritto da muretti
che racchiudono casa giardino orti, e un
mondo di bialere campi rovi, un oltre vasto, incontrollabile. Da l parte il sentiero
che porta a Berlc. Sullo sfondo donne e
uomini, isolati o in relazione di parentela
e/o di odio; segnati da povert avarizia
ignoranza e, nel caso dello storpio violentatore e poi marito di Maria, da demenza.
Il mutismo della protagonista indotto dallo
stupro subto richiama unaltra mutola,
la Marianna Ucra di Maraini, con la differenza che in questultima vincono riscatto e liberazione; mentre Maria guster un
momento di felice libert solo poco prima
di morire. Lessere giudicata un anima
votata al diavolo, fa venire in mente unaltra personaggia, anchessa del Piemonte,
Fensia, la stra, cui Laura Pariani ha
dedicato il romanzo La valle delle donne
lupo: una donna forte, che ha il coraggio di
andare controcorrente, mentre qui Maria
una vittima, testimone dellimpossibilit di
reagire quando la comunit stringe intorno
a lei, bambina, il cerchio del senso di colpa
e della superstizione, e la lascia nelle mani
dei suoi carnefici. Storia anche noir, di dolore e di angoscia, nella quale linfanzia e
i suoi ricordi, sepolti nella mente ormai
priva di senno e di parola della giovane, riaffiorano quando i giochi sono fatti, grazie
a un tenero e commovente ri-incontro tra
le due donne con la mediazione di oggetti
evocatori. Ma anche per Lola quel momento segna la fine di ogni certezza. Fra i capitoli, una pagina colorata di grigio. Come
se Ida Bassignano, assistente di Luca Ronconi e regista in proprio, volesse sostituire
alle didascalie e allelenco dei personaggi
che la struttura del testo teatrale richiede,
considerazioni sapienziali e condivise. Una
sorta di controcanto alla narrazione, che
avvolge e appassiona.
Luisa Ricaldone

Lucio DAngelo, Patria

e umanit.

Il

pacifismo democratico italiano dalla

Libia alla nascita della SocieNazioni, pp. 207, 18, Il Mulino,


Bologna 2016
guerra di
t delle

Durante la cosiddetta bella epoca, si


sviluppa in tutta Europa il pacifismo; non
una generica aspira-zione alla pace, ma la
convinzione che si possano evitare le guerre con accordi e arbitrati. Un pacifi-smo
di ispirazione laica e democratica, diverso
da quello socialista o cristiano. Il libro che
qui segna-liamo ricostruisce la vicenda del
pacifismo democratico italiano nel secondo decennio del secolo scor-so. Una storia,
perci, che investe una fase drammatica,
quando il movimento, organizzatosi a
partire dagli ultimi decenni dellOttocento, deve confrontarsi con le dure repliche
della cronaca. C anzitutto la guerra di
Libia che incrina lequilibrio giolittiano e
provoca le prime spaccature nel pacifismo
no-strano; poi la crisi epocale: lo scoppio
del primo conflitto mondiale cui segue la
controversa entrata in guerra dellItalia.
In quella circostanza quasi tutti gli esponenti pacifisti sono per lintervento, con le
parole dordine della guerra per la pace
o della guerra contro la guerra. Infine,
c la confluenza nella proposta wilsoniana
della Societ della nazioni che rinnova, per
una breve stagione, la speranza di porre finalmente al bando ogni guerra. Basato su
un ampio scandaglio archivistico, il volume arti-colato in quattro capitoli, in cui
sono analizzate con perizia e passione le vicende del movimento pacifi-sta italiano. Se
in primo piano la ricostruzione degli avvenimenti e delle scelte politiche compiute
vol-ta a volta, non trascurata la dimensio-

Virginia Pignagnoli

Andre Dubus, I tempi non sono mai cos


cattivi, ed. orig. 1983, trad. dallinglese di
Nicola Ma-nuppelli, pp. 235, 16,90, Mattioli 1885, 2016

Jonathan Miles, Scarti, ed. orig. 2013,


trad. dallinglese di Assunta Martinese, pp.
577, 18, Mi-nimum Fax, Roma 2016
Ci sono delle immagini che colpiscono
in questo secondo romanzo di Jonathan
Miles. il giorno del Ringraziamento e
c una quarantenne agghindata che cerca
una bistecchiera tra le scatole di un box in
affitto nei sobborghi di Newark. C un
ventenne fresco di laurea che seleziona
cibo ancora comme-stibile dai cassonetti
di New York. C un linguista esperto di
lingue morte che tenta di macellare un cervo nel retro di casa. C un broker che ogni
sera balla Thunder Road con la figlia prima
di farla ad-dormentare. E Scarti, come la
canzone di Bruce Springsteen, un ritratto amaro e delicato dei pi de-boli, che
spazia nel vasto paesaggio americano dalle
Smoky Mountains al New Jersey, passando per il Mississippi e lOhio. I personaggi
che popolano i tre filoni narrativi condividono una vicinanza geo-grafica ma le loro
vite sembrano scorrere su binari separati;
binari che soltanto oltre i due terzi del ro-

V. P.

Con questa raccolta di racconti del 1983,


tradotta abilmente da Nicola Manuppelli,
la casa editrice Mat-tioli 1885 torna a richiamare lattenzione sulla figura di Andre
Dubus. Questo narratore americano del
secolo scorso, da poco noto al pubblico
italiano ( del 2009 Non Abitiamo Pi
Qui, la prima opera tra-dotta ed edita da
Mattioli 1885), trova ancora una volta nella brevit della short story la dimensione
ideale in cui far muovere i suoi personaggi
e consegnarli al lettore cos vivi e sfaccettatati. Li vediamo agire e pensare sul fondale
di unAmerica lontana dalle grandi metropoli, raccontata in tutta la sua estensione
geografica e in cui riecheggiano fatti storici
come la segregazione razziale, la guerra
fredda e i molteplici conflitti combattuti
allestero, dalla Corea al Vietnam. Raramente, per, lambientazione dei racconti
centrale per le storie che Dubus porta a
galla. I suoi personaggi sono efficaci nella
loro profonda umanit e universalit: hanno visi segnati da esperienze drammatiche,
ma non fuori dal co-mune, e corpi scossi,

come si legge nel racconto Il Capitano, da


tremiti antichi come la polvere della terra, che li avvicinano cos ad altri esseri
umani infinitamente distanti da loro, nello
spazio e nel tem-po. La voce pi vivida di
tutte e che pi colpisce appartiene al protagonista dellultimo racconto. In breve
spazio, Storia di un padre delinea il ritratto
di un personaggio vivissimo e complesso,
che rac-coglie in s infinite sfumature. Sente egli stesso di essere diverse persone e di
vivere diverse vite: il proprietario di una
scuderia di cavalli ed un cattolico convinto e critico, che vive la sua fede quotidia-namente e dedica molto tempo al suo dialogo
con Dio. Quando si ritrova solo allinterno della sua casa anche e soprattutto un
uomo che deve fare i conti con i fantasmi
della solitudine e dellabbandono, e che
vede nello sforzo per costringersi ad alzarsi ogni mattina una rappresentazione simbolica della sua intera esistenza. Tuttavia,
nulla di tutto ci lo definisce quanto il fatto
di essere un padre. Il senso di protezione
verso la sua unica figlia femmina diverso,
dice, da quello verso i suoi figli maschi lo
spinge ad andare oltre ogni codice scritto e
legge morale, e a ribellarsi nei suoi dialoghi
mattutini perfi-no a Dio. Davvero i tempi
non sono mai cos cattivi per Dubus? Eppure le nove storie raccolte in que-sto libro
parlano di furti, incidenti stradali, violenze
domestiche, separazioni e rapporti difficili.
Oltre alla violenza, anche lamore sembra
fare da filo conduttore ai racconti, ma non
mai privo di macchie: sempre un amore
che costa pazienza, fatica e parecchio dolore. La massima di san Tommaso Moro i
tempi non sono mai cos cattivi da non trovarci un uomo buono una delle epigrafi
che aprono la raccolta. Forse, nel caso dei
personaggi di Dubus, dobbiamo credere
che essi non siano cos cattivi da non poter
trovare in loro qualcosa di buono. Un suggerimento ci giunge dallultimo racconto:
un caro amico del protagonista gli ricorda
che se pu sopravvivere al momento, non
sar difficile sopravvivere al giorno. Un
invito a guardare oltre dunque, oltre alle
morti, alle liti e alle violenze, e a spingersi
alla ricerca di ci che di buono c o ci sar
in loro e per loro.
Sara Moni

ne ideale, ricondotta a diverse matrici: il liberoscambismo, il pacifismo istituzionale,


leredit mazziniana e risorgimentale. Analogamente, se pi ampio spazio dedi-cato
alla personalit principali del movimento,
da Teodoro Moneta a Edoardo Giretti e ad
Arcangelo Ghisleri, non mancano i riferimenti ai quadri intermedi.
Maurizio Griffo

Romano Lupi, Vitt, Giuseppe Vittorio


Guglielmo, pp. 268, 18, Odoya, Bologna
2016
Non solo per la ricorrenza del centenario
della nascita di Giuseppe Vittorio Gugliemo, detto Vitt (1916-2002), stato utile
ristampare in edizione ampliata questo studio biografico su un carismatico protagonista della Resistenza ligure. Nellesperienza di Vitt, che Calvino ebbe a modello del
coman-dante Ferriera nel Sentiero dei nidi
di ragno (1947), si riflette un itinerario che
abbraccia tutte le tra-versie di un antifascismo vissuto armi in pugno, da partigiano
internazionalista. Lupi ha svolto un la-voro
egregio, suffragandolo di ogni accessibile
documento e arricchendolo di un eloquente corredo iconografico. Nel 1937 il partigiano sanremese a Madrid, a difesa della
repubblica. Non gli viene ri-sparmiato
linternamento nei campi francesi. Quindi,
come comandante Ivano, partecipa nelle
file della brigata Cascione alla Resistenza
ligure. Nel dopoguerra tra quanti subiscono persecuzioni giudiziarie fino al carcere, perch sospettati di preparare uninsurrezione armata. Vitt non si era disfatto

- Letterature

manzo entreranno finalmente in contatto


attraverso, appunto, i propri scarti. Perch
gli scarti non sono solo gli oggetti di cui
ci sbarazziamo quotidianamente e in maniera quasi automatica: se noi siamo ci
che seppelliamo, gli scarti sono le tracce
che lasciamo delle nostre vite. La forza del
romanzo sta quindi in questo messaggio
etico-ambientalista che accompagna il lettore tra scorie radioattive da sot-terrare nel
deserto del New Mexico e lettere damore
ritrovate nella spazzatura di un ospizio.
Nono-stante questo messaggio sia diluito
in tante, forse troppe, digressioni e che i
dialoghi talvolta inciampi-no in qualche
clich (probabilmente anche a causa di
una traduzione che appiattisce i diversi
regionali-smi), Miles riesce nel suo intento: comunicare la voglia di riscatto di chi
proprio dagli scarti che cer-ca di costruirsi
una nuova vita.

- Storia

Harold Roux i capelli li ha persi da giovane, troppo giovane. E allora, come se un


oggetto posticcio potesse davvero mascherare la calvizie, come se la realt potesse
semplicemente essere elusa, porta un parrucchino, incurante degli sguardi divertiti
e delle risa sprezzanti dei suoi compagni
duniversit. Harold Roux per non il
protagonista del romanzo di Thomas Williams, o meglio, lo solo fino a un certo
punto: Harold Roux un personaggio nel
libro che il protagonista del romanzo di
Williams sta scrivendo. I lettori attraversano i confini di diversi mondi finzionali e
conoscono personaggi che si specchiano
in se stessi in quella che sembra una concatenazione senza fine. In gergo tecnico la
conta-minazione dei livelli narrativi si chiama metalessi, una tecnica che Williams,
professore di scrittura creativa allUniversit del New Hampshire, conosce forse fin
troppo bene. I capelli di Harold Roux
per molto pi di un mero esercizio di stile. C la natura umana, con i suoi impulsi,
le sue contraddi-zioni e Williams, come ha
notato John Irving (suo ex-studente e amico), aveva una dote particolare nel scandagliare psicologicamente le persone. C
la letteratura, il costante interrogarsi sul
suo ruolo, il suo scopo, il suo potere. C il
lavoro dello scrittore, la difficolt nel creare i personaggi, di dar loro una voce, ma
anche limportanza di perseveranza e metodicit. E c, pi di tutto, lestenuante alternarsi di realt e finzione. La storia che fa
da cornice alle altre quella di Aaron Benham, professore allUni-versit del New
Hampshire, alle prese con la scrittura del
suo ennesimo romanzo intitolato appunto
I capelli di Harold Roux. Attraverso Aaron,
Williams indaga la vita dello scrittore e il
ruolo dei ricordi, che vengono scelti, selezionati, trasformati. Ci usiamo a vicenda,
usiamo le nostre esperienze, i mate-riali
della realt, ammette Aaron, i cui ricordi
sintrecciano con la storia di Harold Roux
che sta scri-vendo. Come Stoner di John
Williams, altro romanzo americano da
poco ripubblicato, il libro di Aa-ron un
vero e proprio college novel. Siamo nellA-

merica del dopoguerra, il campus popolato di giovani veterani come Harold Roux
e Allard Benson, il vero alter ego di Aaron
Benham, e da ragazze come Mary, irlandese cattolica, e Noemi, ebrea comunista. E
come in ogni romanzo di formazione c la
scoperta dellamore e dellamicizia, ma anche la perdita dellinnocenza, il tradimento
e le delusioni, inevitabili come la chiusura
dellanno accademico quando non potevi
far altro che andartene via. Lo spazio e il
tempo narrativo si allargano e si restringono a fisarmonica. La distinzione tra livelli
viene continuamente interrotta e quella
di Allard Benson e Aaron Benham non
lunica storia nella storia. Ma se allinizio
si rischia di fare un po di confusione tra
universi narrativi, man mano che la lettura
avanza, proprio nella simmetria e nellequilibrio che si crea tra questi innumerevoli incastri che si ri-vela tutta la forza della
scrittura di Williams. Uno scrittore giustamente riscoperto. E cos I capelli di Harold
Roux, un romanzo che non ha paura di
scavare a fondo nellanimo umano.

Schede

Thomas Williams, I capelli di Harold


Roux, ed. orig. 1966, trad. dallinglese
di Nicola Manuppelli e Giacomo Cuva,
pp.478, 18, Fazi, Roma 2015

47

Schede

N. 7

delle armi e unispezione fece scattare larresto. Ripensando a quella vicenda Vitt
non us mezzi termini: Cos praticamente
mi hanno ucciso, non fisicamente, ma mi
hanno ucciso moralmente, hanno cercato
di eliminarmi in questo modo. Appare
evidente come in lui sentimento patriottico e progetto di un av-venire comunista si
saldino in inscindibile unit. In una lettera
che un gruppo di compagni gli indirizz
quando era in carcere (ottobre 1948) si

leggono accuse pesanti al ceto dirigente insediatosi al sorgere della Repubblica: Ma


quegli uomini non potranno cancellare la
nostra epopea e noi domani risorge-remo
al di sopra delle loro calunnie. Vitt fin
i suoi giorni raccontando una vita animata
da straordi-nario coraggio. Il suicidio che
sigl la sua esistenza fu un atto di volont
coerente con chi aveva guar-dato in faccia
la morte senza paura.
Roberto Barzanti

Tutti i titoli di questo numerO


A

nau, Roberta - Unebrea terra terra - Golem - p. 46


Antony, Steve - Per favore Signor Panda - Zoolibri - p. 45

unt, Lynda Mullay - Un pesce sullalbero


- Uovonero - p. 45
Ippolito, Dario - Lo spirito del garantismo Donzelli - p. 35

aldacci, Alessandro - Giorgio Caproni Cesati - p. 34


Bassignano, Ida - Maria dBerlc - Iacobelli p. 46
Beda, Romano / Romano, Sergio - Berlino
capitale - Il Mulino - p. 16
Bennett, Alan - Il gioco del panino - Adelphi
- p. 12
Bloch-Dano, velyn - Giardini di carta Add - p. 8
Bonanni, Laudomia - Ladultera - Elliot - p.
46
Bren, Irena - Le lupe di Sernovodsk - Keller
- p. 17
Brown, Peter - Il riscatto dellanima - Einaudi
- p. 36
Buffa, Pietro - Umanizzare il carcere Laurus Robuffo - p. 14
Burstin, Haim - Rivoluzionari - Laterza
- p. 36

ekyll, Gertrude - Bambini e giardini - Elliot - p. 8


Jha, Alok - Il libro dellacqua - Bollati Boringhieri - p. 26

K
L

leist, Reinhard - Cash: I see a darkness Bao - p. 22

audisa, Federico - Albert Einstein e limmagine scientifica del mondo - Carocci - p. 26


Loiudice, Vanna - Cosce dure - Pequod - p.
31
Lupi, Romano - Vitt - Odoya - p. 47

alise, Mauro - La democrazia del leader - Laterza - p. 39


Campus, Donatella - Lo stile del leader Il Mulino - p. 39
Cancellato, Francesco - Fattore G Universit Bocconi - p. 16
Caputo, Simona / Maras, Alessandro
(a cura di) - Who can turn the skies back
and begin again? - LIM - p. 25
Clowes, Daniel - Patience - Bao - p. 22
Corbyn, Jeremy - La rivoluzione gentile Castelvecchi - p. 9
Corona, Gabriella - Breve storia
dellambiente in Italia - Il Mulino - p. 6
Cunningham, Michael - Un cigno selvatico - La nave di Teseo - p. 7

Angelo, Lucio - Patria e umanit - Il


Mulino - p. 47
Della Libera, Ornella - Il primo bacio di
Pennyl - Coccole books - p. 45
di Schler, Daniel - UnOdissea minuta Baldini&Castoldi - p. 40
Dubus, Andr - I tempi non sono mai cos cattivi - Mattioli 1885 - p. 47

E
F

nzensberger, Hans Magnus - Tumulto Einaudi - p. 28


assone, Elvio - Fine pena: ora - Sellerio - p.
35
Ferretti, Gian Carlo - Storia di uneditor.
Niccol Gallo - Il Saggiatore - p. 10
Franceschelli, Fabio M. - Italia - Del Vecchio - p. 40
Frankfurt, Harry G. - Sulla disuguaglianza Guanda - p. 15
Franzinelli, Mimmo - Disertori - Mondadori
- p. 38
Funetta, Luciano - Dalle rovine - Tunu - p.
46

entile, Emilio - Il capo e la folla - Laterza


- p. 38
Gentili, Sonia - Viaggio mentre morivo Aragno - p. 32
Ghua, Ramachandra - Ambientalismi - Linaria - p. 6

- p. 25
Ortona, Guido - I buoni del tesoro contro i cattivi del tesoro - Robin - p. 46
Oyeyemi, Helen - Boy, snow, bird - Einaudi p. 27

ace, Pino - Lultimo elefante - Giunti - p. 45


Pascale, Antonio - Le aggravanti sentimentali
- Einaudi - p. 31
Pasquini, Laura - Diavoli e inferni nel medioevo - Il Poligrafo - p. 33
Pejrone, Paolo - Un giardino semplice - Einaudi - p. 8
Pelliti, Matteo - Dal corpo abitato - Sossella
- p. 32
Pera, Pia - Al giardino ancora non lho detto Ponte alle Grazie - p. 30
Pincio, Tommaso - Panorama - Enne Enne p. 10
Pollan, Michael - Una seconda natura - Adelphi - p. 8
Prosperi, Adriano - La vocazione Einaudi - p. 37
Prunetti, Alberto - PCSP (piccola
controstoria popolare) - Alegre - p. 11

uignard, Pascal - Lodio della


musica - Edt - p. 13
Quignard, Pascal - Sullidea di una
comunit di solitari - Analogon - p. 13

annozzi, Grazia / Lodigiani, Giovanni Angelo (a cura di) - Giustizia riparativa


- Il Mulino - p. 14
Manzini, Antonio - Sullorlo del precipizio Sellerio - p. 10
Marchesini, Matteo - Cronaca senza storia
- Elliot - p. 32
Marcozzi, Luca / Brovia, Romana (a cura
di) - Lessico critico petrarchesco - Carocci - p.
33
Matthiessen, Peter - Il paradiso - e/o - p. 29
Matticchio, Franco - Animali sbagliati Vanvere - p. 19
Matticchio, Franco - Jones e altri sogni Rizzoli Lizard - p. 19
Miles, Jonathan - Scarti - minimumfax - p.
47
Miraglia, Marina / Osanna, Massimo Pompei. La fotografia - Electa - p. 23
Morozov, Evgeny
- Silicon Valley: i signori del silicio - Codice - p. 5
Musumeci, Carmelo / - Pugiotto, Andrea
- Gli ergastolani senza scampo - Editoriale scientifica - p. 14

N
O

emesio, Aldo - Il lettore vagante - Nuova


Trauben - p. 34
bioma, Chigozie - I pescatori - Bompiani
- p. 27
OBrien, Edna - Oggetto damore - Einaudi - p.
28
ODair, Marcus - Different every time - Giunti

enda, Marilena - Arrenditi Dorothy! - LOrma - p. 30


Reviati, Davide - Sputa tre volte - Coconino - p. 22
Rossi, Francesca / - Cont, Agostino (a cura di) - Umberto Boccioni Electa - p. 24
Rusconi, Gian Enrico - Egemonia vulnerabile
- Il Mulino - p. 16

ander, August - Uomini del ventesimo secolo - Abscondita - p. 23


Sanders, Bernie - Quando troppo troppo Castelvecchi - p. 9
Sarraute, Nathalie - Let del sospetto - Nonostante - p. 29
Scarpa, Tiziano - Il brevetto del geco - Einaudi
- p. 31

avoni, Mirko - Qualche idea su Dante - Il


Mulino - p. 33
Teodori, Massimo - Obama il grande - Marsilio - p. 9
Testori, Giovanni - Il gran teatro montano Feltrinelli - p. 24

hittle, Michael Tyler - I cacciatori di


piante - DeriveApprodi - p. 8
Williams, Thomas - I capelli di Harold Roux
- Fazi - p. 47
Wu Ming - Linvisibile ovunque - Einaudi p. 11

anato, Tiziano - Boiardo - Salerno - p. 34

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