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a cura di
Sotera Fornaro
e Daniela Summa
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Indice
Premessa
Marco Castellari
Taboris letzter Brecht: Antigone-Variationen
Sotera Fornaro
Le forme dellamore
nel frammento drammatico Prometeo di Goethe
Mario Marino
Dichtung, Philosophie und Religion: Herders erstes Exzerpt
aus Lukrez De rerum natura und dessen Wirkung
auf Herders Philosophie der Geschichte der Menschheit
Corinne Bonnet
Lpoque solsticiale de lhistoire ancienne :
Carthage et Rome au cur des dynamiques Est-Ouest
dans la Rmische Geschichte de Theodor Mommsen
Daniela Summa
Il progetto Inscriptiones Graecae tra passato e presente.
Lesempio Cipro (IG XV)
Carlotta Santini
La seduzione del mito.
Furio Jesi, Thomas Mann e Karoly Kernyi
Indice
Eleonora Cavallini
Pavese tra gli di: Calvino primo commentatore
dei Dialoghi con Leuc
Carlotta Santini
. Introduzione
Allinizio del un giovane e brillante mitologo ungherese, Karoly
Kernyi, sulla scia dellentusiasmo causatogli dalla lettura della Montagna incantata () e dalla pi recente pubblicazione delle Storie di
Giacobbe () di Thomas Mann, decider di inviare un suo articolo al
celebre scrittore, da poco trasferitosi in Svizzera dalla Germania per i
motivi tristemente noti. Il Gennaio Thomas Mann rispondeva
alle attestazioni di stima del professore di Budapest mostrando lo stesso
slancio e adesione che questi gli aveva dimostrato. Da questo momento
in poi si apre tra lo scrittore e il mitologo un fertile scambio epistolare,
che durer fino alla morte di Thomas Mann stesso, nel , interrotto
solo dalla parentesi degli anni pi cupi della guerra. Furono questi gli
anni decisivi nei quali Thomas Mann attese alla stesura del suo grande
romanzo mitologico, la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli di cui le Storie
di Giacobbe non erano che il breve prologo. Trentanni dopo, nel ,
a nove anni dalla morte di Thomas Mann, lo schema di questo incontro
epistolare sembra riprodursi sotto identiche forme. Anche questa volta
un giovane e brillante mitologo, Furio Jesi, che scrive una lettera piena di trasporto allormai anziano e celebre Karoly Kernyi, inaugurando
un breve ma intenso scambio epistolare che durer fino al .
Ci che accomuna questi epistolari cos diversi, e che li rende dunque
K. Kernyi, Unsterblichkeit und Apollonreligion zum Verstndnis von Platon Phaidon, in Die Antike, , , pp. -.
Il carteggio Mann-Kernyi, pubblicato da questultimo, edito in Italia in un volume, rispetto ai due volumi delledizione originaria: K. Kernyi, T. Mann, Dialogo, traduzione di Ervino Pocar, Il Saggiatore, Milano .
Carlotta Santini
interessanti per uno studio in questa sede, che essi sembrano portare
avanti un solo discorso, uno stesso dialogo tra spiriti affini, che si
protratto per decenni e attraverso tre generazioni. Il tema che tanto
star a cuore sia a Mann, che a Kernyi, che a Jesi, quello del mito, del
suo valore religioso, sociale e politico. Il mito viene compreso dal punto
di vista del mitologo e dello scrittore, come una forma originaria dellesperienza umana. Ma al contempo, essi ne sperimenteranno la terribile
secolarizzazione sociale e politica che aveva contaminato il mito inglobandolo nellideologia nazista, e con la quale era eticamente imprescindibile un confronto.
. Mito tra Mann e Kernyi: il Giuseppe
Il giovane mitologo Karoly Kernyi aveva osato avvicinare il premio
Nobel Thomas Mann col pretesto di potergli essere daiuto come consulente scientifico nel progetto che questultimo aveva intrapreso con la
scrittura del Giuseppe. Kernyi era persuaso che il ricorso al mito da
parte del grande scrittore non fosse una semplice trovata letteraria, ma
rappresentasse un momento fondamentale dellesteriorizzarsi delle forme del mito ancora nellepoca moderna. Come nel avr a definirlo
nella Prefazione alla seconda parte della sua Mythologie der Griechen
(-), il mito non solo rappresenta per Kernyi un oggetto di studio, ma pu anche divenire un progetto attivo nel presente. Il mito per
lo studioso affine alla storia nella sua concezione, bench esso di fatto
non sia ingenuamente storico, n tantomeno corrisponda pienamente a una qualsiasi delle sue possibili riduzioni evemeristiche. Scegliendo
di porre ad esergo del suo libro pi importante un celebre passo della
Storia della civilt greca di Jacob Burckhardt, dove si sostiene che i
miti sono il vero presupposto di ogni aspetto dellesistenza greca, Ke
Edizione italiana: K. Kernyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano
Il mito ha dunque per Kernyi un valore eminentemente epistemologico e gnoseologico. Esso una forma complessa ed evoluta di coscienza,
che si distingue, bench non si contrapponga, alla storia e alla conoscenza.
Su questo punto Kernyi trovava in Thomas Mann una conferma e
al contempo uno sviluppo delle sue teorie. Come Mann gli confessava
in una lettera del gennaio , egli si era interessato solo molto tardi
al mito. Mentre comunemente il mito affascina i fanciulli con le sue
immagini e le sue storie, Mann ne aveva subito il fascino tardivamente,
e a questa scoperta consacrava il grande affresco mitologico del suo
Giuseppe. Come lui stesso ammetter nel , nel suo saggio Freud e
lavvenire, tante volte citato da Kernyi:
Indubbiamente la conquista del modo di vedere tipico del mito fa epoca
nella vita del narratore, essa significa un singolare potenziamento della sua
disposizione artistica, una nuova serenit nel conoscere e nel formare, che
di solito resta riservata agli anni avanzati della vita; poich infatti nella vita
dellumanit il punto di vista mitico rappresenta un grado iniziale e primitivo, ma nella vita del singolo esso rappresenta invece un grado avanzato e
maturo.
Carlotta Santini
in quel periodo stava molto a cuore ad entrambi gli autori: labuso irrazionalistico del mito da parte della cultura dellepoca. Una cultura che,
a detta di Mann, dimostrava come una certa avversione allo sviluppo
del cervello umano, e che sperimentava i suoi momenti pi alti nel
travisamento del mito de la pessima, non dionisiaca in senso nietzscheano (piuttosto disdionisiaca) follia della giovent, che Kernyi ebbe
modo di osservare con preoccupazione durante la sua ultima visita ad
Heidelberg, mentre entusiastica marciava di notte sul monte alla luce
delle fiaccole.
Nel nel gi citato saggio Freud e lavvenire, Mann specifica la sua
concezione del mito, che in quegli anni costituiva la base teorica sulla
quale lo scrittore fondava la struttura compositiva del suo romanzo Giuseppe e i suoi fratelli. Mann teorizza un valore attivo del mito, una forma
etica (pratica) che si pone al servizio dellazione nella storia di un popolo,
nella sua stessa vita sociale e politica. Luomo antico, secondo una tesi
vicina a quella gi citata di Burckhardt, giustificava la sua azione, e la sua
stessa esistenza, su base mitica. Ogni volta che si profilava un momento
centrale nella sua vita, o nella vita della comunit, egli si volgeva al passato, agli esempi forniti dagli antenati e dal mito. Con la sua azione egli
intendeva porsi nel solco delle azioni del passato: cos facendo egli trovava nel passato la giustificazione alla sua azione presente, e al contempo
rivitalizzava questo passato mitico, rendendolo nuovamente attuale:
Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset esprime questo concetto dicendo che
luomo antico, prima di fare qualcosa, indietreggiava di un passo, come il
torero che prende lo slancio per il colpo mortale. Nel passato egli cercava
un esempio in cui calarsi come un palombaro nel suo scafandro per poi,
cos deformato e nello stesso tempo protetto, immergersi nel problema del
presente. Per questo la sua vita era in un certo senso un dar vita, un atteggiamento arcaicizzante. Ma appunto questo dar vita, riportare in vita, la
vita nel mito.
Il riferimento polemico, sia di Mann che di Kernyi, generalmente in queste epistole il circolo di George, ed in particolare Ludwig Klages.
Mann, Freud e lavvenire, cit., p. . Il riferimento ad Ortega y Gasset viene dallopera La ribellione delle masse ().
Alla base di questa concezione del tipo mitico, che sar comune a Kernyi e a Mann, sta la capacit delluomo di riconoscersi nelle forme che
lo hanno preceduto ed in quelle che lo seguiranno, di riconoscersi dunque innanzitutto uomo tra gli uomini, in ogni tempo. Su questo si fonda
la convinzione di Kernyi che il mito sia eminentemente umano, e la
sua fiducia che proprio sul mito, scevro da mistificazioni, si possa fondare un nuovo umanesimo. Ma proprio su questa fiducia nel valore
del mito per il futuro che le visioni di Mann e Kernyi iniziano a divergere.
Mann era diffidente nei confronti del mito, che egli considerava, s,
potenzialmente umano, ma anche potenzialmente demoniaco. La fiducia di Mann era scossa dagli abusi del suo tempo, e tendeva dunque
a mantenere una particolare cautela su questi temi, una cautela che Kernyi gli rimproverava. Kernyi lamentava ad esempio che Mann, mosso da questi scrupoli, avesse dedicato il suo capolavoro mitologico al
cosiddetto mito lecito della Bibbia, scegliendo di lasciare sullo sfondo
Carlotta Santini
(bench presente nella trama del testo) il mito illecito greco, colpevole solamente di essere stato travisato dai contemporanei. A questo mito
Kernyi non voleva e non poteva rinunciare. Mann, al contrario, sentiva il bisogno di umanizzare il mito, per sottrarlo ad un uso scorretto
e ideologico.
Quale narratore io sono giunto al mito; per, con immenso scandalo degli
pseudo barbari e dei primitivi, ho cercato di umanizzarlo, tentando una fusione tra mito e umanit che a me pare pi feconda per lavvenire dellattuale, fanatica lotta contro lo spirito, in cui si cerca di adulare il presente calpestando con grande zelo la ragione e la civilt.
Ancora nel , lurgenza di ripensare il mito in senso anti-irrazionalistico evidente in una lettera a Kernyi del febbraio:
Mito aggiunto alla psicologia. Da un pezzo sono un amico appassionato di
questa combinazione, poich di fatto la psicologia il mezzo per strappar di
mano il mito agli oscurantisti fascisti e trasfunzionarlo in umanit. Questa
unione rappresenta per me addirittura il mondo avvenire, unumanit benedetta dallalto, dallo spirito, e dal profondo che sotto di noi.
T. Mann, Una traversata con Don Chisciotte, in Id., Nobilt di spirito, cit., pp. .
La questione della psicologia nel pensiero di Thomas Mann, in particolare in relazione a Karoly Kernyi, molto complessa, e non pu essere qui discussa per ragioni di
tempo e di opportunit. Basti per il momento accennare che i riferimenti da tenere
presenti in questo caso sono tre. In primo luogo, per quanto riguarda il rapporto mito/
psicologia, si rimanda alla riflessione di Kernyi sul mito e linconscio, e alla sua breve,
ma comunque significativa collaborazione con Carl Gustav Jung, in particolare nellopera congiunta K. Kernyi, C.G. Jung, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia,
Bollati Boringhieri, Torino (titolo originale: Einfhrung in das Wesen der Mythologie, Pantheon Akademische Verlagsanstalt, Amsterdam-Leipzig ). Un secondo importante riferimento, soprattutto per Thomas Mann, lopera di Sigmund Freud, al
quale, non a caso, dedicato il suo saggio pi sistematico sul mito, Freud e lavvenire.
Terzo elemento, ma non il meno importante, quello legato alla psicologia di Friedrich
Nietzsche. Thomas Mann considerava Nietzsche uno dei padri della psicologia moderna, per via della sua straordinaria capacit di analisi dellanimo umano e di individuazione dei moventi dellazione. Per Mann e Kernyi, Nietzsche sarebbe stato il pi grande
psicologo, ed anche il pi grande mitologo del secolo appena conclusosi.
Carlotta Santini
Il Doktor Faustus sarebbe dunque un romanzo autobiografico nel quale lo scrittore rilascia una confessione, in pieno senso cristiano, generata dal suo senso di colpa in quanto tedesco. Il Faust dunque il romanzo cristiano di Mann, il romanzo della colpa, dellaccusa e dellespiazione.
Ma in che modo Mann poteva ritenersi responsabile dei tragici fatti
della seconda guerra mondiale, e di un regime che egli aveva fortemente osteggiato fin dallinizio? La colpa di Mann, e quella che egli attribuiva agli intellettuali tedeschi della sua epoca, era qualcosa di pi sottile e meno evidente di una concreta responsabilit morale o politica. Il
patto col diavolo, che qui in questione, qualcosa di molto subdolo,
che passa attraverso la cultura e le pi alte realizzazioni dello spirito
tedesco. Si tratterebbe di una specie di contagio, di una seduzione insidiosa che, passando attraverso larte, la cultura, la tradizione che questi
intellettuali hanno idolatrato, avrebbe finito per corromperne le anime
rendendole inermi e quasi impassibili di fronte alla catastrofe politica e
sociale del loro paese. Una delle vie prese da questa seduzione fu quella del mito:
Per me fu sommamente triste vedere quale azione esercitasse il mito falso in
Germania, o come in Germania, e ben presto anche fuori, si potesse credere
che la esercitasse un quid dinamico chiamato mito, in qualunque direzione
fosse. [...] Chi apre gli occhi degli uomini ai grandi insegnamenti del gioco
divino-umano della mitologia, purifica (credevo) e umanizza. Thomas Mann
lo fece ampiamente, nel discorso su Freud, mediante la sua geniale enucleazione di ci che il mito, in quanto forma dellessere considerata esemplare,
realmente nella storia. Ma poich stava nella situazione tedesca da cristiano
protestante e da tedesco, la sua posizione iniziale ne risult molto complicata. Non aveva la coscienza del tutto pulita in quel suo mitologizzare che egli
collegava con la sfera materna della natura e reputava soltanto una forma
umanizzata del mito inteso nella sua maniera tedesca.
Cfr. su questa questione, tra gli altri: G.S. Williamson, The Longing for Myth in
Germany. Religion and Aesthetic Culture from Romanticism to Nietzsche, The University
Chicago Press, Chicago and London ; W. Lepenies, La seduzione della cultura nella
storia tedesca, Il Mulino, Bologna .
Carlotta Santini
Sono illuminanti in questo senso alcuni episodi riportati da Johann-Peter Eckermann nei suoi colloqui con Goethe (J.P. Eckermann, Conversazioni con Goethe negli
ultimi anni della sua vita, Einaudi, Torino ). In particolare stupisce la strana freddezza mostrata da Goethe alla notizia della morte del suo mecenate ed amico, il Granduca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach. Allo stesso modo, Eckermann non
riesce a non farsi sfuggire delle perplessit nei confronti dellapparente indifferenza di
Goethe per limprovvisa morte del suo unico figlio August durante un viaggio in Italia.
Carlotta Santini
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Individuando nella cultura tedesca la seduzione delle immagini di morte, Jesi non fa altro che riproporre il nucleo della colpa dei tedeschi,
individuato da Mann nella sua autoanalisi. Del resto, gi nel , rispondendo allintervistatore della rivista Nouvelles Littraires, Mann
ammetteva di aver sempre provato, nella sua vita, e dunque nella sua
opera, una certa passione e dedizione per la morte (Hingabe zum Tod),
o meglio simpatia per la morte (Sympathie mit dem Tod). Lopera nella
quale questa vicinanza con la morte sarebbe dovuta essere pi evidente,
era allepoca senzaltro la Montagna incantata, il romanzo ambientato
Ibid.
K. Kernyi, Der Sprung: Nietzsche zwischen seinem Roman und seinem Evangelium,
in Id., Werke in Einzelausgaben, Band V/, Langen/Mller, Mnchen , pp. -.
Carlotta Santini
di Mann lo spinge infatti a creare continuamente. Ogni volta che iniziava la stesura di un libro egli si documentava, approfondiva, si immedesimava, fino al punto di vestire i panni dei propri personaggi. Molti dei
personaggi dei romanzi di Mann sono delle sue incarnazioni, tra cui, lo
ricordiamo, la pi dolorosa, quella del Doctor Faustus.
Ma per Kernyi la pi autentica incarnazione di Mann, la pi fedele
allanimo dello scrittore, cos come egli lo aveva conosciuto ed ammirato, era piuttosto la figura di Settembrini nella Montagna incantata:
Col personaggio di Settembrini Thomas Mann cre lincarnazione per me
estremamente simpatica dellatteggiamento umanistico di fronte a una sempre ricorrente situazione umana che in quanto argomento scientifico appartiene alla storia delle religioni. Intendo la situazione del trovarsi in prossimit della morte e i conseguenti atteggiamenti verso la morte stessa.
Se Mann Settembrini, egli dunque come questi di natura ermetica. Sulla natura del dio Ermes, cardine tra i due mondi, guida dei
vivi e dei morti (Ermes Psicopompo), tanto avevano discusso Mann e
Ivi, p. .
Ivi, p. .
Ibid.