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Eidolon

Saggi sulla tradizione classica

a cura di
Sotera Fornaro
e Daniela Summa

edizioni di pagina

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Finito di stampare nel giugno


da Arti Grafiche Favia s.r.l. - Modugno (Bari)
per conto di Pagina soc. coop. - Bari
ISBN

----
-

ISSN

Indice

Premessa

Marco Castellari
Taboris letzter Brecht: Antigone-Variationen

Sotera Fornaro
Le forme dellamore
nel frammento drammatico Prometeo di Goethe

Mario Marino
Dichtung, Philosophie und Religion: Herders erstes Exzerpt
aus Lukrez De rerum natura und dessen Wirkung
auf Herders Philosophie der Geschichte der Menschheit

Corinne Bonnet
Lpoque solsticiale de lhistoire ancienne :
Carthage et Rome au cur des dynamiques Est-Ouest
dans la Rmische Geschichte de Theodor Mommsen

Daniela Summa
Il progetto Inscriptiones Graecae tra passato e presente.
Lesempio Cipro (IG XV)

Carlotta Santini
La seduzione del mito.
Furio Jesi, Thomas Mann e Karoly Kernyi

Indice

Eleonora Cavallini
Pavese tra gli di: Calvino primo commentatore
dei Dialoghi con Leuc

Indice dei nomi

Carlotta Santini

La seduzione del mito.


Furio Jesi, Thomas Mann e Karoly Kernyi

. Introduzione
Allinizio del un giovane e brillante mitologo ungherese, Karoly
Kernyi, sulla scia dellentusiasmo causatogli dalla lettura della Montagna incantata () e dalla pi recente pubblicazione delle Storie di
Giacobbe () di Thomas Mann, decider di inviare un suo articolo al
celebre scrittore, da poco trasferitosi in Svizzera dalla Germania per i
motivi tristemente noti. Il Gennaio Thomas Mann rispondeva
alle attestazioni di stima del professore di Budapest mostrando lo stesso
slancio e adesione che questi gli aveva dimostrato. Da questo momento
in poi si apre tra lo scrittore e il mitologo un fertile scambio epistolare,
che durer fino alla morte di Thomas Mann stesso, nel , interrotto
solo dalla parentesi degli anni pi cupi della guerra. Furono questi gli
anni decisivi nei quali Thomas Mann attese alla stesura del suo grande
romanzo mitologico, la tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli di cui le Storie
di Giacobbe non erano che il breve prologo. Trentanni dopo, nel ,
a nove anni dalla morte di Thomas Mann, lo schema di questo incontro
epistolare sembra riprodursi sotto identiche forme. Anche questa volta
un giovane e brillante mitologo, Furio Jesi, che scrive una lettera piena di trasporto allormai anziano e celebre Karoly Kernyi, inaugurando
un breve ma intenso scambio epistolare che durer fino al .
Ci che accomuna questi epistolari cos diversi, e che li rende dunque

K. Kernyi, Unsterblichkeit und Apollonreligion zum Verstndnis von Platon Phaidon, in Die Antike, , , pp. -.

Il carteggio Mann-Kernyi, pubblicato da questultimo, edito in Italia in un volume, rispetto ai due volumi delledizione originaria: K. Kernyi, T. Mann, Dialogo, traduzione di Ervino Pocar, Il Saggiatore, Milano .

F. Jesi, K. Kernyi, Demone e mito. Carteggio -, Quodlibet, Macerata .

Carlotta Santini

interessanti per uno studio in questa sede, che essi sembrano portare
avanti un solo discorso, uno stesso dialogo tra spiriti affini, che si
protratto per decenni e attraverso tre generazioni. Il tema che tanto
star a cuore sia a Mann, che a Kernyi, che a Jesi, quello del mito, del
suo valore religioso, sociale e politico. Il mito viene compreso dal punto
di vista del mitologo e dello scrittore, come una forma originaria dellesperienza umana. Ma al contempo, essi ne sperimenteranno la terribile
secolarizzazione sociale e politica che aveva contaminato il mito inglobandolo nellideologia nazista, e con la quale era eticamente imprescindibile un confronto.
. Mito tra Mann e Kernyi: il Giuseppe
Il giovane mitologo Karoly Kernyi aveva osato avvicinare il premio
Nobel Thomas Mann col pretesto di potergli essere daiuto come consulente scientifico nel progetto che questultimo aveva intrapreso con la
scrittura del Giuseppe. Kernyi era persuaso che il ricorso al mito da
parte del grande scrittore non fosse una semplice trovata letteraria, ma
rappresentasse un momento fondamentale dellesteriorizzarsi delle forme del mito ancora nellepoca moderna. Come nel avr a definirlo
nella Prefazione alla seconda parte della sua Mythologie der Griechen
(-), il mito non solo rappresenta per Kernyi un oggetto di studio, ma pu anche divenire un progetto attivo nel presente. Il mito per
lo studioso affine alla storia nella sua concezione, bench esso di fatto
non sia ingenuamente storico, n tantomeno corrisponda pienamente a una qualsiasi delle sue possibili riduzioni evemeristiche. Scegliendo
di porre ad esergo del suo libro pi importante un celebre passo della
Storia della civilt greca di Jacob Burckhardt, dove si sostiene che i
miti sono il vero presupposto di ogni aspetto dellesistenza greca, Ke

Edizione italiana: K. Kernyi, Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano

I miti sono un presupposto di tutta lesistenza greca. La cultura, nonch ogni


espressione della vita, erano ancora quelle antiche originarie, soltanto in via di graduale
sviluppo. Si riconosceva ancora la provenienza mitica e sacra di molte forme della vita e
ad essa ci si sentiva vicini. Tutti i Greci si ritenevano i successori e legittimi eredi dei
tempi degli Eroi; le ingiustizie patite fin dai tempi primordiali venivano ancora ripagate;
Erodoto fa risalire la grande lotta fra Occidente e Oriente al rapimento di Io e le guerre

La seduzione del mito

rnyi sostiene a sua volta che il mito la storia pi profonda delluomo,


al contempo antica ed attuale.
Il mito una parte di quella storia che possiamo chiamare nostra nel senso di un comune retaggio che ci rende capaci di ricordare e assimilare. In
base alle esperienze della psicologia io dubito che si possa prescindere completamente da tale periodo di storia. E come storico riterrei una falsificazione del quadro dinsieme della storia del genere umano il voler trascurare
quanto sappiamo a tale riguardo.

Il mito ha dunque per Kernyi un valore eminentemente epistemologico e gnoseologico. Esso una forma complessa ed evoluta di coscienza,
che si distingue, bench non si contrapponga, alla storia e alla conoscenza.
Su questo punto Kernyi trovava in Thomas Mann una conferma e
al contempo uno sviluppo delle sue teorie. Come Mann gli confessava
in una lettera del gennaio , egli si era interessato solo molto tardi
al mito. Mentre comunemente il mito affascina i fanciulli con le sue
immagini e le sue storie, Mann ne aveva subito il fascino tardivamente,
e a questa scoperta consacrava il grande affresco mitologico del suo
Giuseppe. Come lui stesso ammetter nel , nel suo saggio Freud e
lavvenire, tante volte citato da Kernyi:
Indubbiamente la conquista del modo di vedere tipico del mito fa epoca
nella vita del narratore, essa significa un singolare potenziamento della sua
disposizione artistica, una nuova serenit nel conoscere e nel formare, che
di solito resta riservata agli anni avanzati della vita; poich infatti nella vita
dellumanit il punto di vista mitico rappresenta un grado iniziale e primitivo, ma nella vita del singolo esso rappresenta invece un grado avanzato e
maturo.

In questa concezione forte del mito Kernyi si riconosceva. Questa tesi


si dimostrer un argomento decisivo contro un obiettivo polemico, che
persiane sono per lui una continuazione della guerra troiana (J. Burckhardt, Storia
della civilt greca, Sansoni, Firenze , vol. , tomo , p. )

Kernyi, Gli dei e gli eroi, cit., Prefazione del , p. .

T. Mann, Freud e lavvenire, in Nobilt di spirito ed altri saggi, a cura di A. Landolfi,


Mondadori, Milano , p. . Citato in Kernyi, Gli dei e gli eroi, cit., Prefazione del
, p. .

Carlotta Santini

in quel periodo stava molto a cuore ad entrambi gli autori: labuso irrazionalistico del mito da parte della cultura dellepoca. Una cultura che,
a detta di Mann, dimostrava come una certa avversione allo sviluppo
del cervello umano, e che sperimentava i suoi momenti pi alti nel
travisamento del mito de la pessima, non dionisiaca in senso nietzscheano (piuttosto disdionisiaca) follia della giovent, che Kernyi ebbe
modo di osservare con preoccupazione durante la sua ultima visita ad
Heidelberg, mentre entusiastica marciava di notte sul monte alla luce
delle fiaccole.
Nel nel gi citato saggio Freud e lavvenire, Mann specifica la sua
concezione del mito, che in quegli anni costituiva la base teorica sulla
quale lo scrittore fondava la struttura compositiva del suo romanzo Giuseppe e i suoi fratelli. Mann teorizza un valore attivo del mito, una forma
etica (pratica) che si pone al servizio dellazione nella storia di un popolo,
nella sua stessa vita sociale e politica. Luomo antico, secondo una tesi
vicina a quella gi citata di Burckhardt, giustificava la sua azione, e la sua
stessa esistenza, su base mitica. Ogni volta che si profilava un momento
centrale nella sua vita, o nella vita della comunit, egli si volgeva al passato, agli esempi forniti dagli antenati e dal mito. Con la sua azione egli
intendeva porsi nel solco delle azioni del passato: cos facendo egli trovava nel passato la giustificazione alla sua azione presente, e al contempo
rivitalizzava questo passato mitico, rendendolo nuovamente attuale:
Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset esprime questo concetto dicendo che
luomo antico, prima di fare qualcosa, indietreggiava di un passo, come il
torero che prende lo slancio per il colpo mortale. Nel passato egli cercava
un esempio in cui calarsi come un palombaro nel suo scafandro per poi,
cos deformato e nello stesso tempo protetto, immergersi nel problema del
presente. Per questo la sua vita era in un certo senso un dar vita, un atteggiamento arcaicizzante. Ma appunto questo dar vita, riportare in vita, la
vita nel mito.

Il riferimento polemico, sia di Mann che di Kernyi, generalmente in queste epistole il circolo di George, ed in particolare Ludwig Klages.

Kernyi, Mann, Dialogo, cit., Mann a Kernyi, febbraio (dora in avanti


verr citato solo il riferimento alla lettera).

Kernyi a Mann, settembre .

Mann, Freud e lavvenire, cit., p. . Il riferimento ad Ortega y Gasset viene dallopera La ribellione delle masse ().

La seduzione del mito

Questa particolare forma di imitazione del passato corrisponderebbe


psicologicamente ad una autentica identificazione mitica con gli antenati, e gli eroi mitici, i grandi del passato, di cui la storia antica e moderna fornirebbero numerosi esempi. Il mito sarebbe dunque, e cos Mann
lo dipinge nel Giuseppe, un repertorio di stati umani eterni, poich eternamente validi ed eternamente attingibili.
Gi nel questa tesi era ventilata da Mann nello spiazzante incipit
del magnifico Discorso su Lessing, nel quale lo scrittore tentava una
sovrapposizione del concetto di mitico e di quello di classico, proprio
sulla base di questa lettura del mito come modello e repertorio:
Classico, come lo vogliamo intendere ora, non ci che vale da generale
modello (Vorbild). [...] Classico infatti il tipo formatosi in precedenza (das
Vorgebildete), linnalzarsi di una forma di vita spirituale attraverso lelemento individuale vivente; un tipo originario atavico in cui la vita ulteriore si
riconoscer e sulle cui orme proceder: dunque un mito, giacch il tipo
mitico e lessenza del mito il ritorno, atemporalit, perenne presenza. Soltanto in questo senso il classico modello, non nellaccezione di vacua esemplarit normativa. Et classica significa et patriarcale, et mitica.

Alla base di questa concezione del tipo mitico, che sar comune a Kernyi e a Mann, sta la capacit delluomo di riconoscersi nelle forme che
lo hanno preceduto ed in quelle che lo seguiranno, di riconoscersi dunque innanzitutto uomo tra gli uomini, in ogni tempo. Su questo si fonda
la convinzione di Kernyi che il mito sia eminentemente umano, e la
sua fiducia che proprio sul mito, scevro da mistificazioni, si possa fondare un nuovo umanesimo. Ma proprio su questa fiducia nel valore
del mito per il futuro che le visioni di Mann e Kernyi iniziano a divergere.
Mann era diffidente nei confronti del mito, che egli considerava, s,
potenzialmente umano, ma anche potenzialmente demoniaco. La fiducia di Mann era scossa dagli abusi del suo tempo, e tendeva dunque
a mantenere una particolare cautela su questi temi, una cautela che Kernyi gli rimproverava. Kernyi lamentava ad esempio che Mann, mosso da questi scrupoli, avesse dedicato il suo capolavoro mitologico al
cosiddetto mito lecito della Bibbia, scegliendo di lasciare sullo sfondo

T. Mann, Discorso su Lessing, in Id., Nobilt di spirito, cit., p. .

Carlotta Santini

(bench presente nella trama del testo) il mito illecito greco, colpevole solamente di essere stato travisato dai contemporanei. A questo mito
Kernyi non voleva e non poteva rinunciare. Mann, al contrario, sentiva il bisogno di umanizzare il mito, per sottrarlo ad un uso scorretto
e ideologico.
Quale narratore io sono giunto al mito; per, con immenso scandalo degli
pseudo barbari e dei primitivi, ho cercato di umanizzarlo, tentando una fusione tra mito e umanit che a me pare pi feconda per lavvenire dellattuale, fanatica lotta contro lo spirito, in cui si cerca di adulare il presente calpestando con grande zelo la ragione e la civilt.

Ancora nel , lurgenza di ripensare il mito in senso anti-irrazionalistico evidente in una lettera a Kernyi del febbraio:
Mito aggiunto alla psicologia. Da un pezzo sono un amico appassionato di
questa combinazione, poich di fatto la psicologia il mezzo per strappar di
mano il mito agli oscurantisti fascisti e trasfunzionarlo in umanit. Questa
unione rappresenta per me addirittura il mondo avvenire, unumanit benedetta dallalto, dallo spirito, e dal profondo che sotto di noi.

K. Kernyi, Considerazioni preliminari, , in Kernyi, Mann, Dialogo, cit., pp.


ss. (dora in avanti solo Considerazioni preliminari seguito dal numero di pagina).

T. Mann, Una traversata con Don Chisciotte, in Id., Nobilt di spirito, cit., pp. .

La questione della psicologia nel pensiero di Thomas Mann, in particolare in relazione a Karoly Kernyi, molto complessa, e non pu essere qui discussa per ragioni di
tempo e di opportunit. Basti per il momento accennare che i riferimenti da tenere
presenti in questo caso sono tre. In primo luogo, per quanto riguarda il rapporto mito/
psicologia, si rimanda alla riflessione di Kernyi sul mito e linconscio, e alla sua breve,
ma comunque significativa collaborazione con Carl Gustav Jung, in particolare nellopera congiunta K. Kernyi, C.G. Jung, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia,
Bollati Boringhieri, Torino (titolo originale: Einfhrung in das Wesen der Mythologie, Pantheon Akademische Verlagsanstalt, Amsterdam-Leipzig ). Un secondo importante riferimento, soprattutto per Thomas Mann, lopera di Sigmund Freud, al
quale, non a caso, dedicato il suo saggio pi sistematico sul mito, Freud e lavvenire.
Terzo elemento, ma non il meno importante, quello legato alla psicologia di Friedrich
Nietzsche. Thomas Mann considerava Nietzsche uno dei padri della psicologia moderna, per via della sua straordinaria capacit di analisi dellanimo umano e di individuazione dei moventi dellazione. Per Mann e Kernyi, Nietzsche sarebbe stato il pi grande
psicologo, ed anche il pi grande mitologo del secolo appena conclusosi.

Mann a Kernyi, febbraio . La citazione finale unautocitazione di Mann da

La seduzione del mito

In questo modo, ad una attenta analisi, Mann denaturava il mito, lo


sottraeva al piano sociale e politico nel quale era sottoposto al rischio
ideologico e lo riconduceva al piano dellinteriorit psicologica. Kernyi
al contrario non aveva bisogno di modificare il mito, di trasformarne
lazione e ridurne lefficacia, poich nella sua convinzione esso per
essenza eminentemente umano. Le palesi mistificazioni della cultura
fascista della sua epoca meritavano disprezzo e non giustificavano, a suo
dire, un esame di coscienza sulla pericolosit del mito.
. La seduzione del mito e il patto col diavolo: il Doctor Faustus
I timori di Kernyi si faranno pi concreti dopo la fine della guerra. Tra
il e il si era interrotto lo scambio epistolare tra Mann e Kernyi,
a causa dellinasprirsi del conflitto, e delle conseguenti difficolt di comunicazione tra gli Stati Uniti, ove ora si trovava Thomas Mann, e la
vecchia Europa. Sar Kernyi a riprendere i contatti con lo scrittore nel
febbraio del . La lettera dellamico mitologo trover Thomas Mann
immerso in uno spirito molto differente da quello dei primi anni di redazione del Giuseppe. Si trovano, nellepistolario di quegli anni, i primi
sibillini riferimenti ad un nuovo romanzo faustiano, che ha come tema un patto col diavolo, e il cui personaggio condivide la sorte
eminentemente tedesca di Nietzsche e Hugo Wolf. Kernyi segue
con preoccupazione la gestazione di questo mostruoso romanzo coGiuseppe il nutritore (), in particolare dal discorso che Giuseppe tenne di fronte al
faraone Amenhotep. Questa stessa citazione verr scelta da Kernyi come nota di speranza a conclusione del suo libro Figlie del Sole (), un libro solare che appare anacronisticamente proprio negli anni pi bui della guerra: La tradizione che norma e
modello viene dal profondo, che sotto di noi, ed lelemento che ci lega. Ma lio viene
da Dio e dallo spirito che libero. Umana civilt e moralit nascono quando nella tradizione che viene dal profondo e ci lega si trasfonda la libert divina dellio. Non vi civilt umana senza luna e senza laltra (K. Kernyi, Figlie del Sole, Bollati Boringhieri,
Torino , p. ).

Mann a Kernyi, febbraio . Sia (presumibilmente) il filosofo Friedrich


Nietzsche (-) che il compositore Hugo Wolf (-) morirono pazzi dopo
una lunga consunzione a causa della sifilide. Nellinterpretazione di Thomas Mann la
malattia fisica e psicologica che aveva colpito questi autori poteva essere letta, simbolicamente, come uno stato necessariamente correlato alla loro grandezza artistica e di
pensiero.

Carlotta Santini

me Thomas Mann ebbe a definirlo , il pi personale, il pi arrischiato


e per me il pi eccitante dei miei libri. Il romanzo apparir proprio
in quellanno, e Kernyi fu tra i primi a leggerlo. La lettura di questo
libro fosco e disperato per Kernyi una esperienza dolorosa. Egli non
riesce a riconoscervi altro se non la sofferenza di una malattia, che
avrebbe colpito Mann a causa degli orrori della guerra. Ancora nel
, a cinque anni dalla morte dello scrittore, vi torner sopra con
amarezza:
Ora creava un personaggio che (me lo scrisse lui stesso) condivide la sorte
di Nietzsche e di Hugo Wolf, ed come questi un vero figlio dellInferno,
un personaggio che, dotato delle pi sublimi qualit dun grande compositore moderno, stipula il patto col diavolo: un gesto che dovrebbe esprimere,
mediante unimmagine mitologico-cristiana, la colpa che i pi raffinati spiriti tedeschi ebbero nellaccettare il nazionalsocialismo! Ci mi parve ingiusto. Dovetti per considerare anche i tratti autobiografici [...] e dissi tra me:
ma questi soprattutto... lui stesso!.

Il Doktor Faustus sarebbe dunque un romanzo autobiografico nel quale lo scrittore rilascia una confessione, in pieno senso cristiano, generata dal suo senso di colpa in quanto tedesco. Il Faust dunque il romanzo cristiano di Mann, il romanzo della colpa, dellaccusa e dellespiazione.
Ma in che modo Mann poteva ritenersi responsabile dei tragici fatti
della seconda guerra mondiale, e di un regime che egli aveva fortemente osteggiato fin dallinizio? La colpa di Mann, e quella che egli attribuiva agli intellettuali tedeschi della sua epoca, era qualcosa di pi sottile e meno evidente di una concreta responsabilit morale o politica. Il
patto col diavolo, che qui in questione, qualcosa di molto subdolo,
che passa attraverso la cultura e le pi alte realizzazioni dello spirito
tedesco. Si tratterebbe di una specie di contagio, di una seduzione insidiosa che, passando attraverso larte, la cultura, la tradizione che questi
intellettuali hanno idolatrato, avrebbe finito per corromperne le anime
rendendole inermi e quasi impassibili di fronte alla catastrofe politica e

Mann a Kernyi, gennaio .


Considerazioni preliminari, cit., p. .

La seduzione del mito

sociale del loro paese. Una delle vie prese da questa seduzione fu quella del mito:
Per me fu sommamente triste vedere quale azione esercitasse il mito falso in
Germania, o come in Germania, e ben presto anche fuori, si potesse credere
che la esercitasse un quid dinamico chiamato mito, in qualunque direzione
fosse. [...] Chi apre gli occhi degli uomini ai grandi insegnamenti del gioco
divino-umano della mitologia, purifica (credevo) e umanizza. Thomas Mann
lo fece ampiamente, nel discorso su Freud, mediante la sua geniale enucleazione di ci che il mito, in quanto forma dellessere considerata esemplare,
realmente nella storia. Ma poich stava nella situazione tedesca da cristiano
protestante e da tedesco, la sua posizione iniziale ne risult molto complicata. Non aveva la coscienza del tutto pulita in quel suo mitologizzare che egli
collegava con la sfera materna della natura e reputava soltanto una forma
umanizzata del mito inteso nella sua maniera tedesca.

Gli scrupoli di Mann apparivano a Kernyi infondati, ma egli era al


contempo consapevole di non poter nulla contro la coscienza dello
scrittore che, in quanto tedesco, si sentiva vicino e partecipe alla decadenza morale della sua nazione. Nel Thomas Mann ebbe modo di
esprimere in una lettera ad Emil Preetorius uno spiazzante giudizio nei
confronti di un suo antico amico, in altri tempi molto amato, che si era
compromesso direttamente con il nazismo: Ernst Bertram, lautore del
celebre libro Nietzsche. Per una mitologia. Egli sarebbe il tipo del pensoso nazista aristocratico e del germanista sedotto. Nazista certo, ma
pensoso, aristocratico, un germanista (un letterato dunque) sedotto dal
germanesimo. In quanto letterato, e letterato tedesco, Mann avvertiva
profonda e vicina la seduzione alla quale il suo antico amico non era
riuscito a resistere.
Laltro aspetto interessante di questa inedita definizione quello
dellaristocratismo, tipico del letterato e dellintellettuale tedesco, che

Cfr. su questa questione, tra gli altri: G.S. Williamson, The Longing for Myth in
Germany. Religion and Aesthetic Culture from Romanticism to Nietzsche, The University
Chicago Press, Chicago and London ; W. Lepenies, La seduzione della cultura nella
storia tedesca, Il Mulino, Bologna .

Considerazioni preliminari, pp. -.

T. Mann, Lettere, Mondadori, Milano , Mann a Preetorius, ottobre .

Carlotta Santini

disprezza la politica e se ne sottrae. La vera aristocrazia tedesca una


aristocrazia dello spirito, che per definizione si caratterizza come antidemocratica, esclusiva e sofisticata. Nel saggio I tre colossi, del , uno
dei pi importanti che hanno per oggetto la cultura tedesca, Mann scriveva: In Germania la grandezza tende a unipertrofia antidemocratica,
tra essa e la moltitudine vi un abisso, un pathos della distanza per
usare unespressione prediletta di Nietzsche. Questa tendenza sarebbe visibile secondo Mann in tutta la storia della cultura tedesca, ed in
particolare dal fatto che essa si sia concentrata attorno a figure di straordinario rilievo, senza mai divenire patrimonio comune della nazione.
Gi Goethe, capostipite di tutti gli intellettuali tedeschi, il divino, lolimpico Goethe, con ci stesso una figura disumana. Come ce lo rappresenta Eckermann nelle sue Conversazioni, Goethe certo il genio
dalla profondissima umanit artistica, ma al contempo un campione di
egoismo e di indifferenza. Incurante se non di s e della sua missione,
ritirato in un isolamento non tanto fisico, quanto spirituale, amato da
tutti, non amava veramente nessuno. In una lettera a G.W. Zimmermann del dicembre , che dopo la guerra parlava della necessit di
distinguere una Germania buona da una Germania cattiva, Mann
rispondeva sprezzante: Mi sembra assurdo presentare Goethe come
un primo della classe in fatto di democrazia e farne il rappresentante
della Germania buona. Egli era troppo grande per essere solo buono,
e nei grandi tedeschi c sempre qualcosa della Germania cattiva.
Quel nuovo umanesimo, che Kernyi vagheggiava, e che doveva essere
realizzato dagli spiriti pi elevati del suo tempo, non era stato mai possibile in Germania, e non lo sarebbe stato nemmeno ora, poich leredit di Goethe pesava ancora, anche su Thomas Mann.

T. Mann, Considerazioni di un impolitico, Adelphi, Milano .


T. Mann, I tre colossi, in Id., Nobilt dello spirito, cit., p. .

Sono illuminanti in questo senso alcuni episodi riportati da Johann-Peter Eckermann nei suoi colloqui con Goethe (J.P. Eckermann, Conversazioni con Goethe negli
ultimi anni della sua vita, Einaudi, Torino ). In particolare stupisce la strana freddezza mostrata da Goethe alla notizia della morte del suo mecenate ed amico, il Granduca Carlo Augusto di Sassonia-Weimar-Eisenach. Allo stesso modo, Eckermann non
riesce a non farsi sfuggire delle perplessit nei confronti dellapparente indifferenza di
Goethe per limprovvisa morte del suo unico figlio August durante un viaggio in Italia.

La seduzione del mito

Eppure la riservatezza di Goethe, fatale per lo spirito germanico, anzi per


tutta lumanit, la sua mancanza di solidariet umanistica lassenza di comprensione per una res publica doctorum virorum che avrebbe potuto ampliare la repubblica umanistica [...] mi sembra oggi il tragico completamento
delle divoranti solitudini di altri grandi tedeschi: Hlderlin e Nietzsche.
Unarcipelagica armonia di voci insulari: quale umanesimo avrebbe potuto
far risuonare, invece, tuttal pi, di una settariet poetica tarda.

Ma cosa ha a che fare tutto questo con il Nazismo? In realt niente.


E di questo erano consapevoli sia Kernyi, impegnato a difendere Mann
da se stesso, che Mann, impegnato ad elaborare il suo senso di colpa.
La canaglia nazista, come ebbero modo di definirla i due autori in
molteplici occasioni, non rientra in questa elaborata analisi di coscienza
degli intellettuali, se non come fenomeno esterno, dal quale la loro costitutiva debolezza li ha fatti travolgere. Come avr modo di dire Kernyi, con pungente sarcasmo, ad un giovane e intransigente Furio Jesi,
deciso anchegli a sondare le colpe della politica, degli intellettuali, e
della cultura:
Per il nazismo [...] non dispongo di spiegazione mitologica, bens di una
spiegazione rigorosamente scientifica, sociologica. La quale poggia su una
osservazione del conte Hermann Keyserling, nonch mia propria: il nazismo
una forma di conquista del potere da parte del quarto stato. Il primo stato
laristocrazia; il secondo la borghesia; il terzo gli operai; il quarto i delinquenti e gli psicopatici, il tipo gangster, che la vita delle citt ha prodotto
in numerosa folla [...]. Per costoro anche il mito falso era buono per ingannare consapevolmente il mondo.

I crimini del nazismo hanno gettato unombra lunga che riuscita a


lambire anche i tedeschi emigrati, gli esiliati e i dissidenti al regime.
Anche questo un effetto di quel subdolo contagio che sia Mann che
Kernyi avvertivano, un vero e proprio miasma, che indica sia lepidemia, che limpurit del contatto con il sangue, che la maledizione che a
questo contatto fa seguito.

Kernyi a Mann, agosto .


Kernyi, Jesi, Demone e mito, cit., Kernyi a Jesi, maggio (dora in avanti
solo lindicazione della lettera).

Carlotta Santini

. Simpatia per la morte: Settembrini e la Pinacoteca Sabauda


Va letta da questo punto di vista lautoaccusa di Mann nel Doctor Faustus. E in questi termini va letto, e forse anche ridimensionato, il giudizio dei posteri, che non ha risparmiato, tra i tanti intellettuali tedeschi,
neppure Mann. Come avevamo accennato nellintroduzione a questo
lavoro, ci interessava qui riportare unaltra voce, oltre a quelle di Mann
e Kernyi, la voce di uno di quei posteri il cui giudizio rispecchia la
durezza del mea culpa di Mann. Alla fine del il giovane Furio Jesi,
figura di geniale dilettante che si era guadagnato un posto di primo
piano nella nascente disciplina della storia delle religioni italiana, inizia
uno scambio epistolare con Kernyi. Furio Jesi ammette esplicitamente
di prendere a modello di questo confronto lepistolario di Kernyi con
Mann. Come in quel caso, il dialogo tra i due professori incentrato sul
mito; proprio come allora, esso non pot limitarsi solo al mito, ma coinvolse il giudizio sullintera cultura tedesca che del mito si era nutrita. Il
febbraio del Jesi scrive a Kernyi in maniera molto diretta, parlandogli di un suo progetto per unopera che dovrebbe parlare anche di
Thomas Mann:
Si tratta di un libro che voglio intitolare Germania segreta destinato a
studiare le sopravvivenze di talune immagini mitiche nella cultura tedesca
del XIX e del XX secolo. [...] Ella ha vissuto i problemi ivi proposti con la
coscienza duno studioso del mito e insieme di uno spettatore non passivo
della moderna civilt europea. In particolare la sua partecipazione alla vicenda spirituale di Thomas Mann mi spinge a consultarla quale testimone pi
dogni altro sensibile delle gravi implicazioni morali dellopera del maggiore
artista tedesco del XX secolo.

Germania segreta (Das geheime Deutschland) stata una formula


molto significativa nellambiente culturale tedesco, prima, durante e
dopo la seconda guerra mondiale. Come formula metaforica essa ha
significato per alcuni autori dellinizio del secolo la comunione eterna
degli spiriti dei grandi dellarte e del pensiero tedeschi. Alla Germania

Jesi a Kernyi, maggio .


P.A. Lagarde, J. Langbehn, in Rembrandt als Erzieher. Von einem Deutschen, ,
ristampa definitiva C.L. Hirschfeld, Leipzig e Karl Wolfskehl, Jahrbuch fr die geistige Bewegung, von Holten, Berlin , vol. .

La seduzione del mito

visibile e secolare del progresso industriale faceva da contraltare una


Germania eterna, lOlimpo dei grandi, sempre attingibile per il popolo
tedesco. Geheimes Deutschland era il titolo di una celebre poesia di
Stefan George, ed era il nome che questi dava allesperienza di isolamento e di raccoglimento del suo circolo, che viveva in comunione con
la Germania eterna della cultura e dellarte e ne rappresentava una manifestazione storica e terrena. Ispirandosi a questo, Ernst Kantorowicz
intitolava Germania segreta la sua lezione di apertura del semestre nel
novembre del , al rientro da un periodo di allontanamento volontario dallinsegnamento per protesta contro il regime nazista. Contro
lesecrabile Germania politica della sua epoca Kantorowicz esortava i
suoi studenti a mantenersi fedeli alla Germania segreta dei grandi spiriti tedeschi dellarte e del pensiero, tra tutti, alla Germania di Goethe.
Durante la guerra il termine venne a significare tra gli intellettuali rimasti in Germania, bench contrari al regime, una sorta di emigrazione
interna e di ritiro sprezzante dalla politica: il mondo della cultura sopravviveva in silenzio, rifiutando il contatto contaminatore con la politica tedesca. Dalla precedente citazione di Jesi invece evidente come
egli ribalti il significato tradizionale della Germania segreta intesa come
Germania buona, e voglia invece seguire il filo culturale nel quale si
mossa la Germania cattiva, il pensiero conservatore e di destra, al
quale erano gradite le immagini mitiche.
Le gravi implicazioni morali, quelle stesse di cui Mann percepiva
il peso, e che Kernyi aveva cercato inutilmente di minimizzare, tornano
ora nel giudizio, forse avventato, di un giovane studioso appassionato
di Mann, e rispecchiano il sentimento degli intellettuali della terza generazione, di quella generazione cio che non conobbe la guerra, ma
che sentiva con impellenza il bisogno di una riflessione morale e politica su di essa.
Il dilemma posto dalladesione al nazismo di una parte degli intellettuali
tedeschi, e pi ancora dalla presenza di elementi ispiratori del nazismo in
autori che furono tuttavia avversari di quel regime politico. [...] Quando le
colpe si fanno cos grandi ed il mondo cosi ampliamente e profondamente
sconvolto, anche i criteri morali sono pi difficili da applicare con rigore.

E. Kantorowicz, Germania segreta, Marietti , Genova-Milano .


Jesi a Kernyi, maggio .

Carlotta Santini

Le critiche nei confronti di Mann riprendevano in larga parte quelle gi


mossegli nel primo dopoguerra, a condanna del suo entusiasmo militarista e del suo sostegno allingresso in guerra della Germania nel primo
conflitto mondiale. Lapologia che Mann scrisse in seguito per spiegare
le sue posizioni nazionaliste, Le considerazioni di un impolitico (),
non gli risparmi nuove polemiche. Ma la critica che Furio Jesi sembra
rivolgere a Mann non riguarda solo il suo atteggiamento politico e il suo
germanesimo, ma appunto la fascinazione nei confronti della cultura e
dellatmosfera che questa cultura originava, dalle quali scatur poi il
nazismo.
Il centro della critica di Jesi ancora una volta il mito, inteso come
insieme di immagini e al contempo concezioni (Weltanschauungen) ma
anche atmosfere spirituali (Stimmungen) che sarebbero state comuni
alla cultura tedesca pi elevata, e alla bassa ideologia nazista. Questi
miti sono quelli che Jesi chiamer immagini di morte:
Ridotta la morale ad una morale pratica, quale pu essere latteggiamento
nei confronti di chi accoglie entro di s quelle immagini di morte, pur non
giungendo a procurare la morte? Fin tanto che egli non interviene nellazione omicida, egli moralmente innocente? Questo interrogativo diviene particolarmente grave nel nostro discorso se lo applichiamo nel caso specifico
ad un artista come Thomas Mann, devoto contemplatore delle immagini di
morte che affioravano affascinanti dalla sua psiche e insieme cosciente dei
pericoli in esse riposti, avversario dichiarato di coloro che da quelle immagini vollero derivare una norma di comportamento.

Individuando nella cultura tedesca la seduzione delle immagini di morte, Jesi non fa altro che riproporre il nucleo della colpa dei tedeschi,
individuato da Mann nella sua autoanalisi. Del resto, gi nel , rispondendo allintervistatore della rivista Nouvelles Littraires, Mann
ammetteva di aver sempre provato, nella sua vita, e dunque nella sua
opera, una certa passione e dedizione per la morte (Hingabe zum Tod),
o meglio simpatia per la morte (Sympathie mit dem Tod). Lopera nella
quale questa vicinanza con la morte sarebbe dovuta essere pi evidente,
era allepoca senzaltro la Montagna incantata, il romanzo ambientato

Ibid.

La seduzione del mito

sulle vette incontaminate della Svizzera, in un sanatorio, a met strada


tra la vita e la morte.
Quando Kernyi riceve questa lettera quasi programmatica di Jesi,
percepisce subito la gravit della situazione e la delicatezza del momento. Non potendo rispondere immediatamente in maniera esaustiva, non
volle far trascorrere troppo tempo prima di fornire al giovane collega
una sua chiara opinione sullargomento. Inviando dunque a Jesi pochissimi giorni dopo un suo articolo, esprimeva nella dedica i suoi dubbi
in maniera inequivocabile: A Furio Jesi, per distoglierlo da progetto
ciclopico non assolvibile con giustizia. Pi tardi, in una lettera del
maggio , Kernyi prover a rispondere a Jesi in maniera pi esaustiva, spostando la mira da Mann verso la tradizione tedesca in generale,
e le interpretazioni successive. Ma la vera risposta di Kernyi alle accuse di Jesi, nonch la vera risposta alle autoaccuse di Mann, Kernyi laveva gi scritta, nellintroduzione del allepistolario con il grande
scrittore, ed essa , al suo fondo, una risposta mitologica.
Il primo argomento della difesa di Mann da parte di Kernyi , non
a caso, un argomento di derivazione goethiana: Una grande entelechia
di scrittore pu assumere innumerevoli forme: spesso con ripugnanza,
distribuendosi, vagheggiando possibilit in esso contenute. Lentelechia rappresentava per Goethe non solamente tutto ci che appartiene
ad un individuo, e che ne costituisce la formula, la sua essenza dunque,
ma anche e soprattutto ci che non gli appartiene e gli estraneo per
natura. Lessenza di un individuo si caratterizza infatti sia per ci che gli
proprio e potrebbe potenzialmente appartenergli, ma anche e soprattutto per il riconoscimento di ci che assolutamente gli estraneo e non
potr mai entrare a far parte della sua essenza. Il primo elemento che
occorre notare che Kernyi parla qui di una grande entelechia. Cos come Mann aveva detto di Goethe, che era troppo grande per essere
solo buono, anche Mann per Kernyi unanima grande, che pu accogliere dentro di s tante pi forme di vita ed esperienze, spesso anche
contraddittorie, rispetto ai comuni mortali. Il secondo elemento da mettere in luce che qui si parla di unentelechia di scrittore. Il mestiere

K. Kernyi, Der Sprung: Nietzsche zwischen seinem Roman und seinem Evangelium,
in Id., Werke in Einzelausgaben, Band V/, Langen/Mller, Mnchen , pp. -.

Considerazioni preliminari, cit., p. .

Carlotta Santini

di Mann lo spinge infatti a creare continuamente. Ogni volta che iniziava la stesura di un libro egli si documentava, approfondiva, si immedesimava, fino al punto di vestire i panni dei propri personaggi. Molti dei
personaggi dei romanzi di Mann sono delle sue incarnazioni, tra cui, lo
ricordiamo, la pi dolorosa, quella del Doctor Faustus.
Ma per Kernyi la pi autentica incarnazione di Mann, la pi fedele
allanimo dello scrittore, cos come egli lo aveva conosciuto ed ammirato, era piuttosto la figura di Settembrini nella Montagna incantata:
Col personaggio di Settembrini Thomas Mann cre lincarnazione per me
estremamente simpatica dellatteggiamento umanistico di fronte a una sempre ricorrente situazione umana che in quanto argomento scientifico appartiene alla storia delle religioni. Intendo la situazione del trovarsi in prossimit della morte e i conseguenti atteggiamenti verso la morte stessa.

Ha ragione Jesi nel giudicare la Montagna incantata il libro dove Mann


indulge maggiormente nella contemplazione dellimmagine della morte. Ma lungi dal vedervi un atteggiamento decadente, Kernyi riconosce
la straordinaria valenza mitica ed esemplare di questo capolavoro dello
scrittore. Mann non indulgeva in immagini di morte, bens le contemplava. Il suo era dunque latteggiamento tipico del filosofo e del conoscitore, che si pone di fronte ad una realt dellesistenza e ne prende
piena coscienza attraverso lo strumento che gli pi proprio, quello del
romanzo:
Questo fatto dellesistenza umana, di essere vicino alla morte, anzi, in realt,
di essere a contatto con la morte, rappresentava nella Montagna incantata un
argomento, nel quale Thomas Mann si moveva (e qui movimento equivale a espressione linguistica) con una sicurezza, una perspicacia, una precisione che non si trovano in nessuno degli studiosi di questa materia: in questo
settore del mondo umano, nel regno intermedio tra vita e morte egli si moveva come i Greci reputavano che si movesse il loro dio Ermete.

Se Mann Settembrini, egli dunque come questi di natura ermetica. Sulla natura del dio Ermes, cardine tra i due mondi, guida dei
vivi e dei morti (Ermes Psicopompo), tanto avevano discusso Mann e

Ivi, p. .
Ivi, p. .

La seduzione del mito

Kernyi nellepistolario ante-guerra, per caratterizzare alcune figure del


Giuseppe. Mann sarebbe dunque un Doctor Hermeticus secondo Kernyi, e come lErmes Psicopompo, partecipa di due nature, la terrena
e lultraterrena, la divina e linfernale. Caratteristica saliente di Ermes
per nella mitologia la sua scaltrezza, tipica del dio dei ladri e degli
imbroglioni, che fa di lui lesempio pi chiaro del Trickster come lo
conosce la storia delle religioni, il briccone divino. Rifacendosi ad
Ermes, Kernyi spiega dunque lironia che ha reso celebre Thomas
Mann, e che sta alla base di ognuna delle sue reincarnazioni nei suoi
personaggi. Anche latteggiamento di Mann verso la morte nella Montagna incantata va dunque letto sotto questa luce. Come Ermes, egli si
muoveva tra la vita e la morte con passo sicuro. Se cera infatti del decadente compiacimento della morte in quel romanzo, esso era incarnato nella enigmatica figura di Naphta, e con ci stesso esorcizzato. Mann,
come tutti i grandi animi, si intratteneva con la morte, la dominava, e di
quando in quando si permetteva anche di non prenderla sul serio. Il suo
era dunque latteggiamento sovrano dello scrittore, che il dio della sua
opera, e che misurava il divino e il demonico della sua anima con sapiente controllo.
Concludendo, sar qui interessante ricordare una certa passeggiata
che fecero insieme a Torino Jesi e Kernyi alla fine del maggio ,
quando ancora discutevano dellopportunit o meno del progetto di
Germania segreta e del coinvolgimento di Thomas Mann. Passeggiando
per la Pinacoteca Sabauda i due mitologi, lanziano Kernyi e il giovane
collega che non voleva desistere dal progetto ciclopico non assolvibile
con giustizia, si soffermarono di fronte a quattro quadri mitologici di
Francesco Albani. Come ricorda Jesi in una lettera del maggio ,
Kernyi, indicandogli i quadri, gli aveva detto: questa mitologia genuina, e non ci sono demoni. E sostando pi avanti di fronte al Ratto
di Proserpina, oggi a Brera, proseguiva: anche il rapitore di Kore, lindicibile sovrano dellAde, era pur sempre un dio.

C.G. Jung, K. Kernyi, P. Radin, Il briccone divino, SE, Milano .


Jesi a Kernyi, maggio .

Ibid.

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