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Lo Sviluppo del Pensiero Politico nel

Rinascimento

Storicismo e Giusnaturalismo
Per l'Europa il rinascimento segna l'inizio di un epoca di grandi cambiamenti,
caratterizzata dalla riscoperta della scienze e dall'esplorazione del mondo. Attraverso un
processo cominciato già nell'età dei comuni, si arriva a spostare l'oggetto dell'attenzione
da Dio a l'uomo. La realtà trascendente che vede la vita umana come subordinata
all'aspetto ultraterreno e già prescritta da un disegno divino, viene sostituita da un
materiale pensiero borghese, che attraverso il commercio ha riscoperto i beni della
mondanità. La stessa parola Rinascimento venne coniata da Giorgio Vasari nel suo "Vite
de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri"
per indicare l'abbandono delle forme greco-bizantine per tornare a quello romano-latine
fino, con Michelangelo, a superarle.
Il ritrovamento dell'importanza delle capacità dell'uomo non lo riguarda solo
nell'individualità, ma anche in riferimento alle altre persone; perciò s'intraprende
un'analisi della politica riferendosi a due principali modelli: quello storico, offerto dalle
esperienze e dalle vicende degli antichi; e quello naturale, che basa l'organizzazione
dello stato su leggi di natura, una sorta di postulati universalmente validi.
L'iniziatore dell'indirizzo Storicistico fu Niccolò Machiavelli, dimostrando un ferreo
realismo nel delineare la figura del Principe, non vagheggiando su concezioni
idealistiche, ma sfruttando l'insegnamento e la certezza del passato. Per adempiere al
suo compito politico il Principe deve attenersi alla realtà dei fatti e affrontare a occhi
aperti le difficoltà. La concreta influenza degli scrittori latini si riflette nella personalità
del Principe, una personalità autoritaria capace di prendere scelte scomode per il bene
collettivo. L'integrità morale e l'ingenium sono tipiche caratteristiche degli antiqui mores
romani. Ciononostante lo stampo umanistico permea la visione delle azioni umane.
Esistono infatti due principali fattori che permettono a un Principe di diventare tale o di
acquistare maggior potere: la fortuna, che è l'avvenimento dei fatti secondo disegni a noi
superiori, e l'industria, la capacità dell'uomo di utilizzare il proprio ingegno per sfruttare o
evitare gli accadimenti. Egli dice che la fortuna è arbitra della metà delle azioni umane
lasciando governare agli uomini l'altra metà. Riprende quindi il motto "homo faber
fortunae suae" in quanto l'uomo può riuscire a dominare la fortuna se non si abbandona
agli eventi.
Machiavelli riconosce inoltre le difficoltà del suo tempo, la sua drasticità è una
conseguenza dovuta, in quanto tutti gli aspetti della sua politica vengono concentrati
nella mani di una sola persona, contrapponendosi alla realtà effettuale che vede l'Italia
come una penisola divisa e in lotta con se stessa. L'autorità rappresenta l'unica
possibilità di ricomporre il Paese, ideologicamente in linea con quanto affermava lo
stesso Dante, ispirati dall'esempio romani.
Nel 1516 in Inghilterra Thomas More (1480-1535) pubblicò la sua rivoluzionaria opera
"Utopia"(dal greco letteralmente "in nessun luogo") nella quale proiettava la sua visione
ideale di uno Stato conforme a ragione, nel quale gli stessi principi religiosi sono quelli
che la ragione può difendere e far valere. In un paese dove l'aristocrazia terriera andava
sostituendo alla coltura dei cereali i pascoli dei montoni, privando del lavoro gli umili
contadini ai quali non rimaneva altra possibilità se non quella offerta dal furto e
dall'accattonaggio, Thomas si trova a dare soluzione hai gravi disordini sociali attraverso
una radicale riforma. Nell'isola di Utopia non è infatti riconosciuto il diritto di proprietà. La
terra viene coltivata a turno da tutti gli abitanti, l'oro e l'argento non hanno valore e sono
usati come metalli comuni, ognuno ha un proprio mestiere e i magistrati, i "sifocranti", si
adoperano affinché nessuno ozi. Il lavoro dura soltanto sei ore mentre il resto della
giornata è dedicata all'arricchimento culturale e al divertimento. Muovendosi anche in
campo religioso, More rende i popolani dotati di grande tolleranza, essi credono tutti in
un entità superiore creatice dell'universo e sono liberi, purché non si ricorra alla violenza
o all'ingiuria, di dissuadere gli altri. Ogni abitante è mosso da un sentimento di
solidarietà e bene comune, al contrario della realtà inglese. Thomas trova quindi
soluzione ai problemi politici ipotizzando una popolazione matura ed evoluta, ma
irrealistica e inattuabile.
"Utopia" è considerata il primo importante esempio di opera Giusnaturalistica.

Hobbes
Nel 1651 Thomas Hobbes pubblica il suo "Leviatano, ossia la materia, la forma e il potere
di uno stato ecclesiastico" con il quale trovava una spiegazione all'assolutismo. Egli vive
in un epoca in cui nascevano e si evolvevano le monarchie europee. Nella sua vita ebbe
modo di visitare per lunghi periodi Parigi potendo quindi osservare con occhi propri
assolutismo e costituzionalismo.
Per costruire il suo pensiero politico, Hobbes procede analogamente a una dimostrazione
geometrica. Riduce quindi le leggi che regolano la società a due principali postulati,
ovvero la bramosia naturale, per la quale ognuno pretende solo per se i beni comuni, e la
ragione naturale, secondo la quale ogni uomo rifugge la morte violenta come il peggiore
dei mali.
Contrariamente a More, Hobbes non idealizza ottimisticamente il suo popolo, ma a priori
nega l'esistenza di un amore naturale che lega l'uomo al suo simile. Non ritiene tanto
meno che questo sentimento contraddistingua una civiltà lunga a duratura, come invece
fa il timore reciproco. In linea con questa sua concezione la stato di natura presentato nel
Leviatano è una situazione incessante di guerra di tutti contro tutti (bellum omnium
contra omnes). Nulla è giusto: la nozione del diritto e del torto, della giustizia e
dell'ingiustizia, nasce dove c'è una legge decretata da un potere comune: se questi
elementi non sono presenti manca la possibilità di distinzione tra bene e male. Un mondo
dominato da una totale anarchia in cui ognuno ha diritto su tutto, persino sulla vita altrui,
l'uomo è lupo di se stesso e questa sua necessità di volere tutto per sé e desiderare
l'eliminazione altrui è intesa da Hobbes come un istinto naturale insopprimibile, e
considerato come un vero e proprio diritto, che non cozza con la ragione in quanto non è
contrario alla ragione far di tutto per sopravvivere.
La ragione è però presente nell'uomo perché altrimenti la condizione di guerra sarebbe
insormontabile e porterebbe alla fine della sua esistenza. Per natura ogni persona è
quindi portata a creare e a rispettare delle regole che limitino la libertà per la
sopravvivenza comune, s'introduce perciò la "legge naturale". In questa visione Hobbes
supera i concetti stoici, romani e medievali, sostenendo, parallelamente a Grozio, che la
legge naturale è un prodotto della ragione umana. Ma mentre per Grozio la ragione è
indipendente dalla condizione della stessa natura umana, per Hobbes risulta limitata
dagli ambiti e dai contesti. La stessa concezione di naturale è diversa, in quanto Thomas
definisce la "naturalità" del diritto con la "razionalità" di esso, e la legge naturale è volta
a sottrarre l'uomo dal giogo autodistruttivo degli istinti, imbrigliandoli in modo da
garantire sicurezza e prole. Gli uomini si trovano dunque a rinunciare alla loro libertà,
assicurandosi di averne tanta rispetto agli altri quanto essi stessi ne riconoscono agli altri
per loro stessi, rielaborando il precetto cristiano del "non fare agli altri ciò che non
vorresti fosse fatto a te".
Il passaggio da uno sta di natura a uno stato civile avviene nel qual mentre si verifica la
seconda legge naturale, ovvero avviene la stipulazione di un contratto con il quale le
persone rinunciano al diritto illimitato dello stato naturale e lo trasferiscono ad altri. Solo
se ciascun individuo sottomette la propria volontà nei confronti di una persona o di un
gruppo senza opporvi resistenza, si ha un equilibrio e uno stabile stato di pace e di difesa
dei patti di reciprocità in cui essa consiste. Avvenuto questo scambio si può quindi
definire lo "Stato" che è lunica entità che nel rispetto dei patti può usufruire "delle forze e
degli averi dei singoli per la pace e la comune difesa". Si assiste dunque alla nascita del
Leviatano, un sovrano o un assemblea dotato di potere assoluto: " quel dio mortale al
quale, dopo il Dio immortale, dobbiamo pace e difesa" e a cui ogni singolo conferisce la
possibilità di disciplinare col terrore la volontà di tutti.
Attraverso questo ragionamento Hobbes arriva a delineare una figura assolutista, il
Leviatano racchiude in se tutto il potere conferitogli dai sudditi attraverso il patto
fondamentale, che è esso irreversibile e unilaterabile in quanto nasce da un accordo tra i
sudditi, e non tra cittadini e Stato, in quanto essi potrebbero revocarne i privilegi. Il
Sovrano ha un controllo totale e indivisibile, che non può essere scisso tra poteri diversi
che si limitino a vicenda. Essi infatti se agissero d'accordo, la libertà ne soffrirebbe, e se
fossero in contrasto, scoppierebbero lotte interne. Sempre allo Stato sta la decisione per
il popolo di ciò che è bene e ciò che è male, in quanto la legge civile regola tale
differenza e non può essere arbitraria per il cittadino, che ne darebbe un'elaborazione
soggettiva.

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