PROFESSIONE INGEGNERE
E ARCHITETTO:
PARLANO I TRIBUNALI
APRILE 2016
2015 Wolters Kluwer Italia S.r.l. Strada 1, Palazzo F6 20090 Milanofiori Assago (MI)
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APRILE 2016
Corte di Cassazione
Cass. civ. Sez. I, 19-02-2016, n. 3326 (rv. 638711) clicca qui per la sentenza
Castaldo Barbara c. Russo e altri
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ordini professionali - Consiglio locale dell'ordine degli ingegneri - Identit di cognome di due
candidati - Preferenze - Incertezza - Attribuzione dei voti - Criteri - Fattispecie
In tema di elezioni dei Consigli locali degli ordini professionali (nella specie, degli ingegneri), al fine di attribuire
i voti espressi con la sola indicazione del cognome di un candidato, ove omonimo di un altro, occorre individuare
(ricorrendo all'"analogia iuris" in assenza di specifica disposizione) la volont espressa dall'elettore sulla base delle
circostanze di fatto idonee ad indentificare quello fra essi prescelto. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C.
ha confermato il provvedimento impugnato, che, valorizzando il fatto che, nelle schede contestate, fossero indicati
tutti appartenenti al medesimo raggruppamento del reclamante, aveva individuato proprio in quest'ultimo,
piuttosto che in altro candidato suo omonimo, la persona cui attribuire i voti controversi). (Rigetta, Cons. Naz.
Ingegneri, 09/12/2014)
FONTI
CED Cassazione, 2016
Cass. civ. Sez. lavoro, 26-01-2016, n. 1347 (rv. 638316) clicca qui per la sentenza
Inarcassa Cassa Nazionale Previdenza Assistenza c. Covone
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - In genere
PROFESSIONISTI - Previdenza - In genere
Il Massimario della Corte Suprema di Cassazione non ha proceduto alla massimazione in quanto la presente
sentenza ribadisce principi gi espressi nella sentenza di Cass. Civ. 14684/2012, RV623724 (Cassa con rinvio, Roma,
18/08/2010)
FONTI
CED Cassazione, 2016
Cass. civ. Sez. II, 22-01-2016, n. 1204 (rv. 638682) clicca qui per la sentenza
Agostino c. Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori Provincia Gen
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Albo professionale - In genere - Architetti - Condanna penale - Sanzione accessoria
dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici - Cancellazione dall'albo professionale - Natura meramente accertativa e
non disciplinare
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - In genere
La cancellazione dall'albo professionale, ex art. 20 del R.D. n. 2537 del 1925, da parte del consiglio dell'ordine
degli architetti per la perdita del "pieno" godimento dei diritti civili, per effetto di condanna penale comportante
l'interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 28 c.p., ha natura meramente accertativa del sopravvenuto difetto
dei requisiti dell'iscrizione e non integra un provvedimento irrogativo di sanzione disciplinare (Rigetta, Cons. Naz.
Architetti, 11/06/2014)
FONTI
CED Cassazione, 2016
APRILE 2016
Cass. civ. Sez. lavoro, 24-11-2015, n. 23953 (rv. 637801) clicca qui per la sentenza
Inarcassa Cassa Nazionale Previdenza Assistenza c. Biscese
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - Pensione indiretta a carico di inarcassa - Requisito dell'attualit
dell'iscrizione al momento del decesso - Necessit - Esclusione - Fondamento
Ai fini dell'attribuzione della pensione ai superstiti a carico di Inarcassa, non necessaria l'attualit
dell'iscrizione del professionista al momento del decesso, in quanto n l'art. 30 dello Statuto della Cassa, n l'art. 7,
comma 3, della L. n. 6 del 1981, come modificato dall'art. 5 della L. n. 290 del 1990, richiedono che il rischio
protetto si verifichi in corso di iscrizione. (Rigetta, App. Torino, 15/05/2009)
FONTI
CED Cassazione, 2015
Cass. civ. Sez. lavoro, 19-11-2015, n. 23687 (rv. 637804) clicca qui per la sentenza
Berno c. Inarcassa Cassa Anzionale Previdenza Assistenza
PREVIDENZA SOCIALE
Previdenza sociale, in genere
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - Iscrizione ad inarcassa - Contestuale iscrizione ad altra forma di
previdenza obbligatoria - Preclusione - Contributi versati - Inefficacia - Criterio dell'attivit prevalente - Irrilevanza
Ai sensi dell'art. 2 della L. n. 1046 del 1971, preclusa l'iscrizione all'INARCASSA in costanza di iscrizione ad
altra gestione previdenziale obbligatoria, ancorch diretta al conseguimento di un trattamento pensionistico
integrativo, con conseguente inefficacia dei contributi eventualmente versati nel periodo di doppia contribuzione e
senza che assuma rilievo il criterio della prevalenza dell'attivit svolta. (Rigetta, App. Torino, 02/10/2009)
FONTI
CED Cassazione, 2015
Foro It., 2016, 1, 1, 131
Cass. civ. Sez. II, 12-11-2015, n. 23120 (rv. 637276) clicca qui per la sentenza
A.G.N. c. Consiglio Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori ed
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
Responsabilit civile
PROFESSIONISTI - Giudizi disciplinari - Procedimento - Ingegneri ed architetti - Cancellazione dall'albo per
condanna penale ex art. 20 del R.D. n. 2537 del 1925 - Automatismo - Esclusione - Fondamento
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - In genere
Il provvedimento di cancellazione dall'albo degli architetti per condanna penale ex art. 20 del R.D. n. 2537 del
1925 non ha natura vincolata ed automatica, essendo principio generale che l'effetto destitutivo da una professione
per condanna penale sia mediato dalle garanzie del procedimento disciplinare e del giudizio sulla gravit
dell'addebito. (Cassa con rinvio, Cons. Naz. Architetti, 11/06/2014)
FONTI
CED Cassazione, 2015
Cass. civ. Sez. II, 27-04-2015, n. 8502 (rv. 635153) clicca qui per la sentenza
Di Biase e altri c. Comune Latina
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Professioni intellettuali, in genere
LAVORO - Lavoro autonomo - Contratto d'opera - Professioni intellettuali - Compenso (onorario) - In genere Compensi professionali per ingegneri ed architetti relativi a prestazioni rese allo stato ed altri enti pubblici -
APRILE 2016
Derogabilit dei minimi tariffari ex art. 2, comma 12 bis, del d.l. n. 65 del 1989, convertito in legge n. 155 del 1989 Fondamento
I compensi per le prestazioni professionali rese da ingegneri ed architetti allo Stato e agli altri enti pubblici per
la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, possono essere concordati, ai sensi dell'art. 4, comma 12
bis, del d.l. 2 marzo 1989, n. 65 (aggiunto dalla legge di conversione 26 aprile 1989, n. 155), in misura ridotta
rispetto ai minimi tariffari, secondo i generali criteri di determinazione del corrispettivo nell'ambito del contratto
d'opera, il quale non pu prescindere da quanto convenuto dalle parti, senza che ricorra alcuna nullit del patto
derogatorio, n sorga l'obbligo dell'amministrazione committente di liquidare al professionista il maggiore
compenso richiesto in base alle proprie parcelle. (Rigetta, App. Roma, 21/07/2008)
FONTI
CED Cassazione, 2015
Cass. civ. Sez. lavoro, 27-01-2014, n. 1659 clicca qui per la sentenza
INARCASSA - Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti liberi c. C.S.
PREVIDENZA SOCIALE
Previdenza sociale, in genere
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
L'esclusione dall'iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti per il professionista, in relazione al periodo in cui
questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria, non opera per il solo fatto dell'iscrizione
dell'ingegnere od architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell'esclusione, che il professionista
abbia effettivamente svolto l'attivit professionale tutelata dall'altra Cassa ovvero il lavoro subordinato tutelato
dall'INPS o da altre ente analogo.
FONTI
Massima redazionale, 2014
Cass. civ. Sez. II, 20-11-2013, n. 26063 clicca qui per la sentenza
P.M. c. COMUNE DI BRINDISI
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
La portata dell'art. 6, commi 2 e 4, della L. n. 404/1977 per quanto contenuto in norme relative all'edilizia
carceraria, riveste portata generale perch mira a tutelare il superiore interesse di contenimento della spesa
pubblica e prevale, in quanto norma imperativa, su ogni divergente clausola contenuta nel disciplinare di incarico
professionale in ordine alle spese da riconoscere ai progettisti che per l'effetto da considerarsi clausola nulla.
APRILE 2016
FONTI
Urbanistica e appalti, 2014, 3, 289
Cass. civ. Sez. II, 20-11-2013, n. 26063 (rv. 629229) clicca qui per la sentenza
Pot e altri c. Com. Brindisi
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - In genere - In genere
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - Incarichi di progettazione conferiti dallo stato e da altri enti pubblici Disciplina prevista dall'art. 6 della legge n. 404 del 1977 - Esclusione del rimborso delle spese in forma forfettaria Carattere imperativo della norma - Effetti - Pattuizione contraria - Nullit - Campi di applicazione - Progettazione
affidata a pi professionisti con individuazione delle parti - Inclusione - Condizioni
In tema di incarichi di progettazione conferiti dallo Stato o da altri enti pubblici, l'art. 6 della legge 1 luglio
1977, n. 404, che dispone la corresponsione del rimborso spese di cui alla tariffa professionale in base alla solo
documentazione prodotta con esclusione di qualsiasi liquidazione forfettaria, una norma a carattere imperativo,
con conseguente nullit di ogni contraria pattuizione, ed ha portata generale, trovando applicazione anche al di
fuori del settore dell'edilizia carceraria pur quando si tratti di progettazione per la stessa opera affidata a pi
professionisti, ove siano individuate le parti affidate a ciascuno di loro e ognuno possa lavorare secondo le proprie
competenze, semprech le varie parti del progetto vadano a comporsi nell'identit dell'opera complessiva oggetto
dell'incarico. (Rigetta, App. Lecce, 11/09/2006)
FONTI
CED Cassazione, 2013
Cass. civ. Sez. II, 15-10-2013, n. 23342 clicca qui per la sentenza
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
Quando il contratto d'opera concerne la redazione di un progetto esecutivo, fra gli obblighi del professionista
vi quello di redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche, anche alle norme giuridiche che
disciplinano le modalit di edificazione su un dato territorio, in modo da non compromettere il conseguimento del
provvedimento amministrativo che abilita all'esecuzione dell'opera, essendo questa qualit del progetto una delle
connotazioni essenziali di un tale contratto di opera professionale: per l'effetto, il mancato perfezionamento del
procedimento amministrativo volto a garantire l'idoneit sotto il profilo sismico dell'edificio progettato,
compromettendo il positivo esito della procedura amministrativa volta ad assicurare la realizzazione dell'opera, non
pu che costituire inadempimento caratterizzato da colpa grave e quindi fonte di responsabilit del progettista nei
confronti del committente per il danno da questi subito in conseguenza della mancata o comunque ritardata
realizzazione dell'opera.
FONTI
Urbanistica e appalti, 2013, 12, 1296
Cass. civ. Sez. lavoro, 15-04-2013, n. 9076 (rv. 625918) clicca qui per la sentenza
Inarcassa c. Sorteni
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - In genere
PROFESSIONISTI - Previdenza - In genere
Il Massimario della Corte Suprema di Cassazione non ha proceduto alla massimazione in quanto la presente
sentenza ribadisce principi gi espressi nella sentenza di Cass. Civ. 14684/2012, RV623724 (Cassa con rinvio, App.
Milano, 24/08/2008)
FONTI
CED Cassazione, 2013
APRILE 2016
Cass. civ. Sez. lavoro, 08-03-2013, n. 5827 clicca qui per la sentenza
INARCASSA c. R.V.
PREVIDENZA SOCIALE
Lavoratori autonomi e professionisti
La professione di ingegnere assume oggi connotati diversi e pi ampi che nel passato: in essa devono ritenersi
comprese anche attivit che, pur non professionalmente tipiche, presentino un nesso con l'attivit professionale
strettamente intesa. L'obbligo contributivo sussiste quindi in presenza di tale connessione, ma, in mancanza di
prova della Cassa previdenziale, la Corte cassa la sentenza impugnata.
FONTI
Giur. It., 2013, 11, 2293 nota di DI SPILIMBERGO
Cass. civ. Sez. lavoro, 08-03-2013, n. 5827 clicca qui per la sentenza
In. c. R.V.
PREVIDENZA SOCIALE
Lavoratori autonomi e professionisti
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Professioni intellettuali, in genere
In merito alle professioni intellettuali (nella fattispecie la professione di ingegnere), l'imponibile contributivo
va determinato alla stregua dell'oggettiva riconducibilit alla professione dell'attivit concretamente svolta,
quantunque questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che la
competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull'esercizio dell'attivit
espletata, con la conseguenza che deve ritenersi che le prestazioni siano state rese anche in virt dell'impiego di
esse.
FONTI
Fisco on line, 2013
Cass. civ. Sez. lavoro, 08-03-2013, n. 5827 clicca qui per la sentenza
In. c. R.V.
PREVIDENZA SOCIALE
Lavoratori autonomi e professionisti
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
In relazione alle professioni intellettuali ed, in particolare a quella di ingegnere, deve evidenziarsi come,
attualmente, tale professione abbia assunto connotazioni ben pi ampie ed applicazioni diversificate rispetto a
quelle originariamente previste. Ne consegue che in tale professione deve ritenersi compreso, oltre
all'espletamento delle prestazioni tipicamente professionali, anche l'esercizio di attivit che, pur non
professionalmente tipiche, presentino, tuttavia, un nesso con l'attivit professionale strettamente intesa, in quanto
richiedenti le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell'esercizio della propria
attivit e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto anche la specifica cultura che gli deriva dalla formazione
caratterizzante la sua professione. Ci detto, pu escludersi la sussistenza dell'obbligo contributivo solo nel caso in
cui non sia, in concreto, ravvisabile alcuna connessione tra l'attivit espletata e le conoscenze tipiche del
professionista.
FONTI
Massima redazionale, 2013
Cass. civ. Sez. II, 18-09-2012, n. 15628 clicca qui per la sentenza
B.A. c. M.R.
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
Onorari
APRILE 2016
Il compenso per prestazioni professionali deve essere determinato in base alla tariffa ed adeguato
all'importanza dell'opera solo nell'ipotesi in cui esso non sia stato liberamente pattuito, atteso che l'art. 2233 c.c.
pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, tra i quali si riconosce
primaria rilevanza alla convenzione intervenuta fra le parti. Solo in mancanza di essa, deve guardarsi, in ordine
successivo, alle tariffe e agli usi ed, infine, alla determinazione da parte del Giudice, non potendo, altres, trovare
applicazione i criteri di cui all'art. 36, comma 1, Cost., riferibili solo ai rapporti di lavoro subordinato. Ci detto,
l'accordo che stabilisca un compenso inferiore ai minimi tariffari in violazione ai precetti normativi che impongono
l'inderogabilit degli stessi, come previsto per gli ingegneri e gli architetti nella legge n. 340 del 1976, non nullo ex
art. 1418, comma 1, c.c., giacch trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, ma solo ad un interesse
di una data categoria professionale.
FONTI
Massima redazionale, 2012
Cass. civ. Sez. lavoro, 29-08-2012, n. 14684 (rv. 623724) clicca qui per la sentenza
Lucchi c. Inarcassa
PREVIDENZA SOCIALE
Fondi e casse di previdenza
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Ingegneri e architetti - Previdenza di ingegneri e architetti - Imponibile contributivo - Redditi
da attivit professionali atipiche - Inclusione - Fondamento - Fattispecie
PROFESSIONISTI - Previdenza - Previdenza di ingegneri e architetti - Imponibile contributivo - Redditi da attivit
professionali atipiche - Inclusione - Fondamento - Fattispecie
In tema di previdenza di ingegneri e architetti, l'imponibile contributivo va determinato alla stregua
dell'oggettiva riconducibilit alla professione dell'attivit concreta, ancorch questa non sia riservata per legge alla
professione medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull'esercizio
dell'attivit. La limitazione dell'imponibile contributivo ai soli redditi da attivit professionali tipiche non trova
fondamento nell'art. 7 della legge n. 1395 del 1923 e negli artt. 51, 52 e 53 del R.D. n. 2537 del 1925, che riguardano
soltanto la ripartizione di competenze tra ingegneri e architetti, mentre l'art. 21 della legge n. 6 del 1981 stabilisce
unicamente che l'iscrizione alla Cassa obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera
professione con carattere di continuit. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha respinto il
ricorso avverso la decisione di merito che aveva incluso nell'imponibile contributivo di un ingegnere elettronico i
redditi a lui derivati dalle attivit di consulente nell'elaborazione dati e di amministratore di una societ
automobilistica). (Rigetta, App. Roma, 10/03/2006)
FONTI
CED Cassazione, 2012
Cass. civ. Sez. lavoro, 09-08-2012, n. 14336 (rv. 623526) clicca qui per la sentenza
Giammarco c. Inarcassa
PREVIDENZA SOCIALE
Contributi
in genere
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Previdenza - Ingegneri e architetti - Norma transitoria ex art. 25, ultimo comma, della legge
n. 6 del 1981 - Applicazione del previgente regime di liquidazione del trattamento ex art. 6, secondo comma, della
legge n. 1046 del 1971 - Condizioni - "maturazione" del diritto alla data di entrata in vigore della nuova legge Nozione - Raggiungimento dell'et pensionabile - Necessit
In tema di previdenza per ingegneri e architetti, ai sensi della norma transitoria di cui all'art. 25, ultimo
comma, della legge n. 6 del 1981, affinch l'iscritto possa beneficiare del pregresso e pi favorevole regime di
liquidazione del trattamento sui contributi versati in misura ridotta ex art. 6, secondo comma, della legge n. 1046
del 1971, occorre che il trattamento medesimo, seppure "non ancora in godimento" alla data di entrata in vigore
della nuova legge, sia tuttavia gi "maturato" a quella data, essendosi realizzati tutti i presupposti di
conseguimento, tra i quali il raggiungimento dell'et pensionabile. (Rigetta, App. L'Aquila, 07/12/2006)
APRILE 2016
FONTI
CED Cassazione, 2012
Cass. civ. Sez. III, 16-02-2012, n. 2233 (rv. 621825) clicca qui per la sentenza
Pampanin c. Cons. Nazionale Ingegneri
CASSAZIONE CIVILE
Ricorso
(ammissibilit ed inammissibilit)
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
PROFESSIONISTI - Giudizi disciplinari - Impugnazioni - Procedimento disciplinare - Decisione del consiglio
nazionale degli ingegneri - Ricorso per cassazione - Contraddittori necessari - Individuazione - Omessa notifica Conseguenze - Inammissibilit del ricorso
E' inammissibile il ricorso per cassazione, proposto dal professionista avverso la decisione, confermativa
dell'irrogazione di sanzione disciplinare, adottata dal consiglio nazionale degli ingegneri, qualora l'atto di
impugnazione non venga notificato, ai sensi dell'art. 48 del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, ad alcuno dei
contraddittori necessari, che si identificano nel consiglio provinciale degli ingegneri (cui spetta la tutela del prestigio
e dell'interesse dell'ordine professionale) e nel procuratore della Repubblica della sede del consiglio medesimo (al
quale compete il potere di vigilanza sull'esercizio delle pubbliche funzioni da parte dei consigli degli ordini e sullo
svolgimento delle professioni), senza che possa rilevare l'eventuale notifica dell'impugnazione al consiglio nazionale
o al P.G. presso la Corte di cassazione. (Dichiara inammissibile, Cons. Naz. Ingegneri Roma, 09/06/2010)
FONTI
CED Cassazione, 2012
T.A.R.
T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 15-05-2015, n. 846 clicca qui per la sentenza
Pintori Cinzia e altri c. Comune di Novi Ligure e altri
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Collegi e ordini professionali
Libere professioni - Ordini professionali
Gli artt. 51 e 52 del R.D. n. 2537/1925, che sono ancora in vigore e che pertanto ancora oggi costituiscono il
punto di riferimento normativo per stabilire il discrimine tra le competenze degli architetti e quelle degli ingegneri,
debbono essere interpretati nel senso che appartiene alla esclusiva competenza degli ingegneri non solo
progettazione delle opere necessarie alla estrazione e lavorazione di materiali destinati alle costruzioni e la
progettazione delle costruzioni industriali, ma anche la progettazione delle opere igienico-sanitarie e delle opere di
urbanizzazione primaria, per tali dovendosi intendere le opere afferenti la viabilit, gli acquedotti, e depuratori, le
condotte fognarie e gli impianti di illuminazione, salvo solo il caso che tali opere non siano di pertinenza di singoli
edifici civili. Tra le opere igienico sanitarie la cui progettazione appartiene alla esclusiva competenza degli ingegneri,
vanno incluse, tra le altre, anche gli impianti cimiteriali.
FONTI
Massima redazionale, 2015
T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, 23-05-2013, n. 482 clicca qui per la sentenza
It.Co. S.p.A. e altri c. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e altri
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
APRILE 2016
T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 21-06-2012, n. 634 clicca qui per la sentenza
Cp.Co. c. Comune di Selargius e altri
EDILIZIA E URBANISTICA
Edilizia e urbanistica, in genere
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
LIBERE PROFESSIONI - Ingegneri e architetti
Ai sensi dell'art. 51, R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925 la paternit dei progetti, relativi a costruzioni edili o
impiantistiche, deve essere assunta da un ingegnere, per cui in assenza della sottoscrizione del professionista
abilitato il progetto d'opera non ha alcuna valenza legale e non potrebbe mai ottenere le autorizzazioni necessarie
alla realizzazione del manufatto ideato in quanto manca la specifica garanzia richiesta dall'ordinamento che l'opera
ideata risponda alle regole della tecnica con cui essa deve essere realizzata. Non necessario che l'ingegnere, o
l'architetto, rediga personalmente il progetto, ma sufficiente che, mediante la sottoscrizione, abbia effettuato la
supervisione del progetto stesso elaborato da altri, assumendone la responsabilit dopo aver verificato l'esattezza
di tutti i calcoli statistici delle strutture, nonch l'idoneit di tutte le soluzioni tecniche ed architettoniche, sotto il
profilo della tutela della pubblica incolumit. La sottoscrizione, dunque, anche nei termini della c.d. controfirma,
comporta la piena assunzione della paternit del progetto e della connessa responsabilit professionale.
FONTI
Massima redazionale, 2012
T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 14-12-2011, n. 1833 clicca qui per la sentenza
Al.Ma.Sa. c. Amministrazione per i Beni e le Attivit Culturali
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
LIBERE PROFESSIONI - Architetto
La Direttiva 85/384/CEE non si propone di disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, n
di definire la natura delle attivit svolte da chi esercita tale professione"; essa ha ad oggetto solamente il reciproco
riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati
requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di formazione allo scopo di agevolare l'esercizio effettivo del
diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attivit del settore della architettura.
FONTI
Massima redazionale, 2011
T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 14-12-2011, n. 1833 clicca qui per la sentenza
Al.Ma.Sa. c. Amministrazione per i Beni e le Attivit Culturali
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
LIBERE PROFESSIONI - Architetto
APRILE 2016
Gli artt. 2 e segg. della direttiva CEE n. 85/384 dettano le norme per il reciproco riconoscimento dei titoli di
studio conseguiti dai cittadini degli Stati membri a conclusione di studi universitari riguardanti l'architettura,
introducendo anche un regime transitorio di reciproco riconoscimento di taluni titoli tassativamente indicati.
FONTI
Massima redazionale, 2011
Tribunale
Corte di Appello
10
APRILE 2016
locali, tra cui quella dell'attore. Orbene, nel caso di specie alcuna pretesa pu legittimamente vantare quest'ultimo
nei confronti del Condominio convenuto, non essendo mai sorto alcun rapporto contrattuale tra essi.
FONTI
Massima redazionale, 2013
Corte giustizia Unione Europea Sez. IX, 30-04-2014, n. 365/13 clicca qui per la sentenza
Ordre des architectes c. tat belge
COMUNITA' EUROPEA
Diritto comunitario
LAVORO (RAPPORTO DI)
Categoria, qualifica, mansioni
in genere
Gli articoli 21 e 49 della direttiva n. 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005,
relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, come modificata dal regolamento (CE) n. 279/2009 della
Commissione, del 6 aprile 2009, devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro ospitante
richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d'origine e prevista agli allegati V,
punto 5.7.1, o VI, di tale direttiva, di effettuare un tirocinio o dimostrare che possiede un'esperienza professionale
equivalente per essere autorizzato a esercitare la professione d'architetto.
FONTI
Dir. Comunitario on line, 2014
Dir. e Pratica Lav., 2014, 30
Consiglio di Stato
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APRILE 2016
12
APRILE 2016
Cons. Stato Sez. VI, 15-03-2013, n. 1550 clicca qui per la sentenza
Ordine Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Roma e Provincia c. Istituto Superiore
Prevenzione e Sicurezza del Lavoro
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
LIBERE PROFESSIONI - Ingegneri e architetti
In materia di attivit edilizia sono esclusivo appannaggio della professione di ingegnere solo le opere di
carattere pi marcatamente tecnico-scientifico (ad esempio le opere di ingegneria idraulica, di ammodernamento e
ampliamento della rete idrica comunale) (Riforma della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma, sez. III ter, n. 7174/2008).
FONTI
Massima redazionale, 2013
Cons. Stato Sez. IV, 09-02-2012, n. 686 clicca qui per la sentenza
Lu.Ma. e altri c. Regione Calabria e altri
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APRILE 2016
EDILIZIA E URBANISTICA
Edilizia e urbanistica, in genere
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Ingegneri ed architetti
Agli architetti ed ingegneri juniores consentita la "progettazione di costruzioni civili semplici con l'uso di
metodologie standardizzate". La preclusione della progettazione in zona sismica, riferita ai geometri, non pu
aprioristicamente essere estesa alle categorie "juniores", determinandone la parificazione alla figura del geometra.
Sar necessaria una valutazione caso per caso, che tenga conto in concreto dell'opera prevista, delle metodologie di
calcolo utilizzate e che potr essere tanto pi rigida quanto maggiore sia il rischio sismico qualificante l'area.
FONTI
Giornale Dir. Amm., 2012, 4, 413
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APRILE 2016
SENTENZE
Corte di Cassazione
Cass. civ. Sez. I, Sent., 19/02/2016, n. 3326
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore - Presidente Dott. BERNABAI Renato - Consigliere Dott. SCALDAFERRI Andrea - rel. Consigliere Dott. VALITUTTI Antonio - Consigliere Dott. MERCOLINO Guido - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 4367/2015 proposto da:
C.B., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall'avvocato PASSARO Amedeo, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente contro
CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI, R.S., P.A., F.M.;
- intimati avverso la decisione n. 6/2014 del CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI di ROMA, depositata il
09/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2015 dal Consigliere Dott. ANDREA
SCALDAFERRI;
udito, per la ricorrente, l'Avvocato AMEDEO PASSARO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. L'ing. R.S. proponeva reclamo al Consiglio Nazionale degli Ingegneri avverso la proclamazione degli eletti del
Consiglio dell'Ordine degli Ingegneri di Napoli, nella parte in cui non gli erano stati attribuiti voti che assumeva
validamente espressi a suo favore pur se con la sola indicazione del suo cognome (ritenuta invece nel
provvedimento impugnato non idonea a distinguerlo dall'omonimo candidato ing. R.G.), che gli avrebbero
consentito di essere eletto essendogli stati attribuiti solo quattro voti in meno dell'ultimo degli eletti. ing. C.B..
Quest'ultima resisteva formulando anche reclamo incidentale; si costituivano inoltre gli ingg. F.M. e P.A.,
aderendo al reclamo.
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APRILE 2016
Acquisita la documentazione, il Consiglio Nazionale, con provvedimento depositato il 9 dicembre 2014, rilevata
la tardivit del reclamo incidentale dell'ing. C., accoglieva il reclamo dell'ing. R.S., decidendo di attribuire al
medesimo diciotto voti non attribuitigli in quanto, nonostante l'indicazione del suo solo cognome, l'indiscussa
appartenenza del reclamante (a differenza dell'omonimo ing. R.G.) al raggruppamento "Ingegneri per lo sviluppo" al
quale aderivano tutti gli altri nominativi indicati nelle schede in questione, costituiva, a parere del Consiglio,
circostanza idonea nel caso concreto a fare identificare in lui, senza alcun dubbio, la persona in favore della quale i
voti erano stati espressi. Disponeva pertanto la variazione della composizione del Consiglio dell'Ordine per il
quadriennio 2013- 2017, inserendo l'ing. R.S. (voti 1120) in sostituzione dell'ing. C.B. (voti 1106).
2. Con atto spedito per la notifica il 6 febbraio 2015 l'ing. C.B. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale
decisione, deducendo, a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 570
del 1960, art. 57 (T.U. per la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), applicabile nella specie per
analogia iuris.
Gli intimati, Consiglio Nazionale degli Ingegneri nonch ingg. R.S., P.A. e F.M., non hanno svolto difese.
3. La ricorrente sostiene che il disposto dell'art. 57, sopra richiamato prescrive chiaramente che, in caso di
identit di cognome tra candidati, deve scriversi sempre il nome e il cognome e, se occorre, il numero d'ordine con il
quale il candidato preferito contrassegnato nella lista; e che il Consiglio Nazionale avrebbe dovuto applicare tale
prescrizione, che peraltro non in contrasto con la previsione, pure contenuta nella norma stessa, della nullit delle
preferenze nelle quali il candidato non sia designato con la chiarezza necessaria a distinguerlo da ogni altro
candidato nella stessa lista. Aggiunge che il criterio della appartenenza ad un raggruppamento non idoneo a
identificare il candidato votato, giacch tutti gli iscritti all'albo degli ingegneri della provincia possono essere votati
indipendentemente dal fatto di essere candidati in liste o singolarmente.
4. La doglianza priva di fondamento. Il provvedimento impugnato ha, in coerenza con quanto affermato in
un caso analogo da questa Corte nella sentenza n. 1466 del 1996, fatto applicazione di un principio generale
dell'ordinamento giuridico dello Stato, quello cio che impone la ricerca della volont espressa dall'elettore nel
voto, in base alle circostanze di fatto idonee ad identificare il candidato prescelto. Infatti alla analogia iuris, non
alla analogia legis, che occorre nella specie fare ricorso, perch: 1) non vi alcuna norma che regoli il caso della
omonimia tra i candidati alle elezioni dei componenti degli ordini professionali (il regolamento introdotto con D.P.R.
n. 169 del 2005, si limita, all'art. 11, a richiedere in generale l'indicazione del nome e cognome senza dettare alcuna
prescrizione per il caso in esame); 2) neppure la specifica disciplina dettata dall'art. 57 T.U. per la elezione degli
organi delle amministrazioni comunali di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, che presuppone un sistema di candidature
per liste non previsto nel caso qui in esame, pu essere applicata nella specie, se non per la generale disposizione di
chiusura che limita la nullit del voto ai soli casi nei quali il candidato non sia designato con la chiarezza necessaria a
distinguerlo da ogni altro candidato, disposizione esprimente per l'appunto il suddetto principio generale
dell'ordinamento (ed infatti ripetuta nell'art. 57 del T.U. sulla elezione della Camera dei Deputati, come la
richiamata sentenza n. 1466/96 non ha mancato di evidenziare).
Non merita quindi condivisione il ragionamento in diritto esposto in ricorso secondo cui, in difetto di
indicazione del nome e cognome del candidato, il voto deve considerarsi senz'altro nullo, a prescindere da ogni
verifica in ordine alla idoneit delle altre circostanze del caso concreto ad identificare il candidato prescelto. E,
poich della compiuta verifica in concreto, della quale il provvedimento d congruamente conto, la ricorrente non si
duole - non avendo specificamente censurato la idoneit delle circostanze ivi indicate ad identificare con certezza
nell'ing. R.S. il candidato prescelto, il rigetto del ricorso si impone.
5. Non avendo gli intimati svolto difese in questa sede, non vi luogo per provvedere sulle spese di questo
giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5
novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2016
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APRILE 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VENUTI Pietro - Presidente Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere Dott. BERRINO Umberto - Consigliere Dott. GHINOY Paola - Consigliere Dott. TRICOMI Irene - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27961/2010 proposto da:
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI
PROFESSIONISTI, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, PIAZZA VENEZIA 11, presso lo studio dell'avvocato COVONE FRANCESCA, che la rappresenta e difende,
giusta delega in atti;
- ricorrente contro
M.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA VIA PAOLO EMILIO 7, presso lo studio dell'avvocato
BARONE PAOLO, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale notarile in atti;
- controricorrente avverso la sentenza n. 8446/2009 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 18/08/2010 R.G.N.
2503/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
comparso l'Avvocato MORESCO VITTORIO;
comparso l'Avvocato SANGERMANO FRANCESCO per delega Avv. SCOGNAMIGLIO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Roma, l'ing. M. ha chiesto dichiararsi nei confronti della INARCASSA che egli non era
obbligato al pagamento di alcuna somma in favore della resistente, neppure a titolo di contributi, sanzioni ed
interessi, annullando o dichiarando comunque inefficaci o nulli tutti i provvedimenti a tale titolo emessi dalla Cassa
(contributi non versati per i volumi di affari IVA e redditi professionali per il periodo 2000-2005).
Deduceva di essere iscritto all'ordine degli Ingegneri, ma di non aver mai esercitato l'attivit libero
professionale, in quanto appartenente al Corpo Nazionale dei vigili del Fuoco ed iscritto obbligatoriamente
all'INPDAP; di aver utilizzato la partita IVA per attivit non ingegneristiche, quali seminari, convegni e pubblicazioni
per le quali non vi era obbligo di versamenti o comunicazioni all'INARCASSA. Il Tribunale respingeva la domanda
osservando che il M. non aveva chiarito il contenuto delle attivit seminariali e di pubblicista, rilevando che anche
esse, se svolte da un ingegnere a tal fine incaricato, comportavano un obbligo contributivo. Accoglieva la domanda
riconvenzionale proposta dall'INARCASSA con cui la stessa aveva richiesto la condanna del M. al pagamento di
quanto richiesto in via amministrativa.
Avverso tale sentenza proponeva appello il M.; resisteva l'INARCASSA. La Corte d'appello di Roma, con
sentenza depositata il 18 agosto 2010, accoglieva il gravame principale, dichiarando assorbita la domanda
riconvenzionale dell'INARCASSA, ed in riforma della sentenza impugnata, dichiarava che nulla era dovuto
all'INARCASSA dal M., condannando la prima al pagamento delle spese del doppio grado.
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Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l'INARCASSA, affidato a tre motivi.
Resiste il M. con controricorso.
Motivi della decisione
Debbono pregiudizialmente dichiararsi inammissibili le procure, rilasciate su atti diversi dal ricorso e dal
controricorso (nella specie con atti separati recanti "memoria di costituzione di nuovo difensore"), prodotte sia dalla
ricorrente INARCASSA, sia dal M..
Deve infatti rimarcarsi che nel giudizio di cassazione la procura speciale al difensore, stante il tassativo
disposto dell'art. 83, terzo comma, cod. proc. civ., non pu essere rilasciata a margine o in calce di atti diversi dal
ricorso o dal controricorso, n ammissibile una ratifica di tale procura con atto successivo, perch, diversamente
dalle fasi processuali di merito, i poteri rappresentativi devono sussistere al momento del conferimento della
procura speciale (Cass. ord. n. 18132/2007, Cass. Sez. un. n. 14212/2005). N ad una conclusione diversa pu
pervenirsi nel caso in cui debba sostituirsi il difensore nominato con il ricorso, non rispondendo alla disciplina del
giudizio di cassazione il deposito di un atto redatto dal nuovo difensore su cui possa essere apposta la procura
speciale, o nella eventualit che il ricorrente intenda affiancare altro difensore al difensore nominato a margine del
ricorso, che in tale veste, ai sensi dell'art. 365 c.p.c., aveva sottoscritto l'atto (Cass. Sez. un. n. 14212/2005).
Nel merito si osserva.
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 434 c.p.c..
Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360
c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Lamenta che la Corte di merito omise del tutto di esaminare l'eccezione di inammissibilit dell'appello
ritualmente proposta per non contenere l'avversario ricorso l'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici
dell'impugnazione.
Il motivo inammissibile non avendo la Cassa chiarito e documentato il contenuto dell'atto di gravame,
condizione necessaria per procedere all'esame diretto degli atti di causa (Cass. sez. un. 8077/2012).
Pu aggiungersi che comunque l'eccezione risulta evidentemente valutata dalla Corte di merito ed
implicitamente respinta con l'accoglimento dell'appello.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.; L.
n. 6 del 1981, art. 16; art. 36, comma 1, dello Statuto Inarcassa, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Lamenta che la Corte capitolina aveva ritenuto erroneamente l'insussistenza dell'obbligo contributivo del M.
nei confronti dell'Inarcassa, laddove il D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, art. 46, stabilisce che la professione di ingegnere
pu essere svolta non solo nel settore edile, come ritenuto dalla Corte di merito, ma anche nei settori
dell'ingegneria civile ed ambientale, dell'ingegneria industriale e dell'ingegneria dell'informazione. Si duole inoltre
che sarebbe stato onere del M. di dedurre e provare le circostanze di fatto e le ragioni di diritto poste a fondamento
delle sue pretese. Lamenta che la sentenza impugnata, al riguardo, si limit ad osservare che il M. avesse comunque
allegato che tutti i redditi denunciati non sarebbero ritratti da attivit ingegneristiche, "depositando all'uopo la
relativa documentazione", senza per indicare per quali elementi di fatto e per quali ragioni di diritto quei redditi
non sarebbero riconducibili alle attivit tipiche e caratterizzanti la professione di ingegnere come definita dal
legislatore, senza inoltre considerare che dalla documentazione prodotta (di cui indicata la collocazione all'interno
degli atti di causa) risultava che l'ing. M. avesse emesso mediamente 100 fatture l'anno per consulenze in materia di
sinistri; di sicurezza sul lavoro ed antincendio; per corsi in materia di sicurezza sul lavoro e prevenzione incendi; per
redazione fascicolo di fabbricato; per redazione di testi ed articoli in materia di sicurezza sul lavoro ed antincendio.
Lamenta che la Corte di merito aveva anche omesso di pronunciarsi in ordine alla dedotta sussistenza dell'obbligo
del M. di comunicare annualmente alla Cassa i redditi IRPEF ed i volumi di affari IVA dichiarati ai fini fiscali, ai sensi
della L. n. 6 del 1981, art. 16, e art. 36, comma 1, Statuto.
3.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 6 del 1981, art. 10;
art. 23 dello Statuto Inarcassa; art. 2697 c.c.; artt. 115, 414 e 434 c.p.c.; D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, art. 46; L. 2
marzo 1949, n. 143, art. 4, oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). Lamenta che la sentenza impugnata viol le norme
richiamate nella parte in cui escluse la sussistenza dell'obbligo del'ing. M. di versare alla Cassa la contribuzione
integrativa. Deduce che la L. n. 6 del 1981, art. 10, e l'art. 23 dello Statuto stabiliscono che tutti gli iscritti agli albi di
ingegnere ed architetto debbono versare un contributo integrativo.
4.- Mentre il terzo motivo di ricorso risulta infondato, posto che la sentenza impugnata non contiene alcuna
statuizione in ordine alla contribuzione integrativa, il secondo motivo meritevole di accoglimento.
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4.1- La questione sottoposta all'esame del Collegio sostanzialmente quella della sussistenza dell'obbligo
contributivo in favore della Inarcassa da parte dell'ingegnere che pur non svolgendo, in tutto od in parte, le attivit
tipiche della professione (definite dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7, e dal R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt.
51 e 52, quali il progetto e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali occorrenti per le
costruzioni e per le industrie; opere di edilizia civile, rilievi geometrici ed operazioni di estimo), svolga comunque
attivit richiedenti la competenza professionale propria dell'ingegnere.
4.2- Deve al riguardo evidenziarsi che secondo un primo orientamento di questa Corte per i fini in parola non
era sufficiente lo svolgimento di attivit solo potenzialmente ed intellettualmente collegate alle conoscenze e
competenze dell'ingegnere, richiedendo l'effettivo svolgimento della pratica professionale e dunque delle attivit
tipiche della professione (Cass. n. 7389/1991, Cass. n. 3064/2001, Cass. n. 11154/2004, Cass. n. 3468/2005), con
conseguente onere della Cassa di provare l'effettivo svolgimento di attivit obiettivamente riconducibili all'esercizio
della professione (Cass. n. 11154/2004). Questa Corte osserv in particolare che la L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21,
pone l'obbligo di iscrizione solo per gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di
continuit e, quindi, di effettivit, in relazione ai contenuti tipici della stessa, fissati dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395,
art. 7, e dal R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52, essendo inoltre irrilevante che la competenza professionale
e culturale acquisita come ingegnere possa influire sull'attivit in concreto svolta (Cass. ord. n. 1139/2012). Con
riferimento alla sussistenza dell'obbligazione contributiva alla Cassa di previdenza dei professionisti in generale, cfr.
in tal senso Cass. n. 11472/2010.
Successivamente questa Corte ha tuttavia chiarito che in tema di previdenza di ingegneri e architetti,
l'imponibile contributivo va determinato alla stregua dell'oggettiva riconducibilit alla professione dell'attivit
concreta, ancorch questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando che le cognizioni
tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull'esercizio dell'attivit. La limitazione dell'imponibile
contributivo ai soli redditi da attivit professionali tipiche non trova dunque fondamento nella L. n. 1395 del 1923,
art. 7, e nel R.D. n. 2537 del 1925, artt. 51, 52 e 53, che riguardano soltanto la ripartizione di competenze tra
ingegneri e architetti, mentre la L. n. 6 del 1981, art. 21, stabilisce unicamente che l'iscrizione alla Cassa
obbligatoria per tutti gli ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuit,
conseguendone il rigetto del ricorso avverso la decisione di merito che aveva incluso nell'imponibile contributivo di
un ingegnere elettronico i redditi a lui derivati dalle attivit di consulente nell'elaborazione dati e di amministratore
di una societ automobilistica, Cass. 29.8.2012 n. 14684 e successiva giurisprudenza (Cass. n. 5827 del 08/03/2013,
Cass. n. 9076 del 15/04/2013).
5.- Alla luce di tale pi recente e consolidato indirizzo, cui il Collegio ritiene di dover dare continuit, rigettato il
primo ed il terzo motivo, il secondo deve essere accolto, essendosi la Corte di merito attenuta al principio
dell'irrilevanza, per i fini che qui interessano, delle attivit svolte dall'ing. M., richiedenti le competenze
professionali dell'ingegnere pur non concretantesi in quelle tipiche della relativa professione.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altro giudice, in
dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della domanda alla luce dei principi qui enunciati, oltre che della domanda
riconvenzionale proposta dall'INARCASSA. Lo stesso giudice provveder alla regolamentazione delle spese, ivi
comprese quelle del presente giudizio di legittimit.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione.
Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2016
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Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - Consigliere Dott. ABETE Luigi - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 23327 - 2014 R.G. proposto da:
A.A. - c.f. (OMISSIS) - rappresentato e difeso giusta procura speciale a margine del ricorso dall'avvocato
Ferrando Mauro ed elettivamente domiciliato in Roma, al viale Carso, n. 77, presso lo studio dell'avvocato Andrea
Pontecorvo;
- ricorrente contro
ORDINE degli ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI e CONSERVATORI della PROVINCIA di GENOVA - c.f.
(OMISSIS) - in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, congiuntamente e
disgiuntamente, giusta procura speciale a margine del controricorso dall'avvocato Ruberto Anna e dall'avvocato Di
Stefano Giuseppe ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via A. Granisci, n. 20, presso lo studio dell'avvocato
Manlio Lentini;
- controricorrente Avverso la decisione dei 5.3/11.6.2014 del Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e
Conservatori;
Udita la relazione della causa svolta all'udienza pubblica del 12 novembre 2015 dal consigliere dott. Luigi
Abete;
Udito l'avvocato Luciano Alberini, per delega dell'avvocato Mauro Ferrando, per il ricorrente;
Uditi l'avvocato Anna Ruberto e l'avvocato Giuseppe DI Stefano per il controricorrente;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. CELESTE Alberto, che ha
concluso per il rigetto del ricorso principale, in tal guisa assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Svolgimento del processo
Con ricorso a questa Corte di legittimit l'architetto A. A. esponeva quanto segue:
che con sentenza della corte d'appello di Genova n. 524 del 17.2.2001, passata in giudicato il 18.7.2012, era
stato ritenuto colpevole dei reati di cui agli artt. 110, 56 e 317 c.p. e, quindi, condannato alla pena di quattro anni di
reclusione nonch, ex art. 317 bis c.p., alla interdizione perpetua dai pubblici uffici;
che con nota del 20.12.2012 il consiglio dell'ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di
Genova gli aveva reso noto l'avvio del procedimento di cancellazione dall'albo R.D. n. 2537 del 1925, ex art. 20;
che, bench avesse fatto richiesta di sua audizione e senza, dunque, sua convocazione, in data 4.2.2013 gli era
stata comunicata l'intervenuta approvazione da parte del consiglio dell'ordine degli architetti, pianificatori,
paesaggisti e conservatori di Genova, all'unanimit, della Delib. n. 12, assunta in data 30.1.2013, con cui era stata
d'ufficio disposta la sua cancellazione dall'albo professionale R.D. n. 2537 del 1925, ex art. 20;
che avverso tale provvedimento, con ricorso depositato in data 1.3.2013, aveva proposto opposizione al
consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, che con decisione dei 5.3/11.6.2014
aveva respinto l'opposizione e compensato le spese.
Con la test menzionata decisione il consiglio nazionale osservava che la determinazione del consiglio
dell'ordine di Genova, secondo cui la condanna a pena detentiva era atta a precludere l'iscrizione all'albo nonch la
permanenza dell'iscrizione, "ha natura vincolata, che esclude apprezzamenti discrezionali da parte dell'Ordine" (cos
decisione impugnata, pag. 3); che, al contempo, ostava alla permanenza dell'iscrizione "la pena accessoria,
comminata al ricorrente, della interdizione perpetua dai pubblici uffici e della perdita del godimento dei diritti civili"
(cos decisione impugnata, pag. 3); che "a nulla rileva, infine, l'indulto di cui ha beneficiato il ricorrente" (cos
decisione impugnata, pag. 3).
Avverso tale decisione ha proposto ricorso ex art. 111 Cost.
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A.A.; ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle
spese.
L'ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Genova ha depositato
controricorso contenente ricorso incidentale condizionato articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi
inammissibile ovvero rigettarsi l'avverso ricorso ovvero, ancora, accogliersi l'esperito ricorso incidentale
condizionato; in ogni caso con il favore delle spese del giudizio di legittimit.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Il controricorrente del pari ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente principale deduce "violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 2), con riferimento all'art. 24 Cost. e art. 101 c.p.c. - Difetto e/o insufficienza di motivazione - Eccesso
di Potere" (cos ricorso principale, pag. 21).
Adduce che aveva chiesto espressamente al consiglio dell'ordine degli architetti di Genova "di essere
convocato per essere sentito personalmente (...), onde poter esplicare e meglio rappresentare (...) le proprie difese"
(cos ricorso principale, pag. 21); che, in particolare, aveva richiesto, "per proprio personale impedimento, il rinvio di
una settimana della seduta gi fissata" (cos ricorso principale, pag. 21); che il consiglio dell'ordine di Genova, "non
solo, non acconsentiva al (...) differimento, ma neppure convocava l'incolpato" (cos ricorso, pag. 22), senza
prospettare al riguardo alcuna plausibile motivazione; che, a sua volta, il consiglio razionale per nulla ha preso in
esame la censura formulata in proposito, "omettendo totalmente ogni riferimento motivazionale al riguardo" (cos
ricorso, pag. 22).
Il motivo destituito di fondamento.
Sono da condividere senz'altro i rilievi del controricorrente, secondo cui "nel caso di specie non si verte in
un'ipotesi di procedimento disciplinare (...), ma di un procedimento amministrativo aperto ai sensi e per gli effetti
del R.D. n. 2537 del 1925, art. 20" (cos controricorso, pag. 16), destinato a concludersi "con un atto vincolato ossia
con un atto dovuto, che esclude qualsiasi margine di discrezionalit in capo al Consiglio dell'Ordine" (cos
controricorso, pag. 16): "il provvedimento di cancellazione de quo non costituisce sanzione amministrativa, ma
misura amministrativa fondata sul venir meno di una delle condizioni per permanere iscritto nell'albo degli
architetti" (cos controricorso, pag. 18).
Tanto alla luce dell'insegnamento a sezioni unite di questa Corte secondo cui la cancellazione dall'albo
professionale, disposta dal consiglio provinciale dei geometri per il venir meno del godimento dei diritti civili (nella
specie, in conseguenza di dichiarazione di fallimento dell'iscritto), integra un provvedimento accertativo del
sopravvenuto difetto dei requisiti dell'iscrizione, non irrogativo di sanzione disciplinare (cfr. in tal senso Cass. sez.
un. 6.8.1990, n, 7937).
Conseguentemente, su tale scorta, da recepire l'ulteriore rilievo del controricorrente alla cui stregua, nel
segno della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 10 sufficiente, in procedimenti siffatti, ai fini della salvaguardia della
garanzia del contraddittorio, che all'interessato sia stata assicurata la possibilit di dedurre e far valere per iscritto le
proprie ragioni (al riguardo cfr. Cass. sez. un. 28.6.1976, n. 2421, secondo cui, a soddisfare il precetto del R.D.L. n.
1578 del 1933, art. 37, convertito in L. n. 36 del 1934, sull'ordinamento delle professioni di avvocato e di
procuratore, il quale stabilisce che la cancellazione dati albo professionale non pu essere pronunciata dal consiglio
dell'ordine se non dopo aver sentito l'interessato nelle sue giustificazioni, non occorre che l'interessato stesso sia
convocato davanti al consiglio nel giorno stesso della deliberazione, ma basta il previo invito a presentare le
giustificazioni, anche per iscritto).
In questi termini si evidenzia nel caso di specie che la Delib. n. 12, assunta in data 30.1.2013 dal consiglio
dell'ordine degli architetti di Genova, da esplicitamente atto, al passaggio finale del punto n. 10), che "nella
memoria presentata in data 28 gennaio 2013 l'arch. A.A. ha illustrato compiutamente le proprie ragioni e difese"
(cfr. al riguardo controricorso, pag. 10).
D'altro canto, merc il primo motivo di doglianza che ebbe ad addurre al consiglio nazionale - ed il cui testo
riprodotto nel corpo del ricorso principale, alle pagine 4 e 5, sub A) - in nessun modo l'attuale principale ricorrente
ebbe a lamentare l'impossibilit di veicolare compiutamente le proprie ragioni mediante la memoria presentata al
consiglio di Genova.
Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce "violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 2), con riferimento al R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 20 e della L. 24 giugno 1923, n. 1395,
art. 3 - Difetto e/o insufficienza di motivazione - Eccesso di Potere" (cos ricorso principale, pag. 22).
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Premette che il R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 20 attuativo della Legge Professionale degli ingegneri e degli
architetti del 24 giugno 1923, n. 1395, dispone che siano cancellati dall'albo professionale "gli iscritti che (perdano il
godimento dei diritti civili ed) incorrano in una condanna che costituisce impedimento alla iscrizione" (cos ricorso
principale, pag. 23); che, a sua volta, la L. n. 1395 del 1923, art. 3 - il cui contenuto richiamato anche al R.D. n.
2537 del 1925, art. 7, comma 2, - "precisa che possono essere iscritti all'albo professionale i professionisti muniti di
titolo abilitativo che (godano dei diritti civili e) non siano incorsi in alcuna delle condanne di cui alla L. 28 giugno
1874, n. 1938, art. 28" (cos ricorso principale, pag. 23); che la L. n. 1938 del 1874, art. 28 - legge regolante
l'esercizio della professione di avvocato e procuratore ed ora abrogata - "prevedeva, tra l'altro, la cancellazione
dall'albo per l'Avvocato che sia stato condannato ad una pena maggiore del carcere" (cos ricorso principale, pag.
23); che il codice penale vigente nel 1874, ovvero il codice penale del 1859, all'art. 26, individuava il carcere quale
pena correzionale detentiva ed, all'art. 56, "sanciva i limiti edittali di siffatta sanzione, precisando che lo stesso non
potr essere minore di sei giorni, n maggiore di cinque anni" (cos ricorso principale, pag. 23).
Indi adduce che "il riferimento ad una pena maggiore del carcere (...) deve intendersi come non pi valido od
efficace, in quanto contenuto in una norma da decenni espunta" (cos ricorso principale, pagg. 23 - 24); che, pur
nell'ipotesi in cui il riferimento alla L. n. 1395 del 1874, art. 28 dovesse reputarsi validamente operante, "esso
dovrebbe in ogni caso intendersi come quantitativamente parametrato ad una pena detentiva di durata superiore ai
cinque anni di detenzione, ovvero superiore al limite massimo edittale previsto dal citato art. 56" (cos ricorso
principale, pag. 24).
Adduce ancora che, "avendo, quindi, (...) conseguito una condanna ad una pena detentiva di quattro anni di
reclusione, (...) non poteva trovare applicazione (...) il provvedimento di cancellazione dall'albo" (cos ricorso
principale, pag. 24); che, per altro verso, la decisione impugnata per nulla ha preso in esame le surriferite
argomentazioni, "con totale omissione motivazionale sul punto" (cos ricorso principale, pag. 24).
Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce "violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 2), con riferimento agli artt. 25 e 27 Cost., nonch artt. 12 e 14 Preleggi, in relazione all'interpretazione
del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 20 e L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 3 - Difetto e/o insufficienza di
motivazione - Eccesso di Potere" (cos ricorso principale, pag. 25).
Adduce che il riferimento ad una "una pena maggiore del carcere" di cui alla L. n. 1938 del 1874, art. 28 da
interpretare restrittivamente, "con esclusione di ogni licenza e facolt di valutazioni estensive od addirittura
analogiche" (cos ricorso principale, pag. 25); che di conseguenza il concetto "espresso dalla locuzione superiore a
non pu essere in alcun modo inteso in termini qualitativi, ovvero con riguardo ad altre eventuali pene detentive di
maggiore gravit" (cos ricorso principale, pagg. 25 - 26), ma in termini quantitativi, rappresentati "dal limite edittale
della pena detentiva richiamata, il carcere, e dunque i cinque anni di cui al cennato art. 56 c.p. del 1859" (cos
ricorso principale, pag. 26).
Adduce, per altro verso, che, pur a voler opinare nel senso che l'abrogazione della L. n. 1938 del 1874, art. 28
non abbia effetto sulle norme che lo richiamano, ovvero sulla L. n. 1395 del 1923, art. 3 e sul R.D. n. 2537 del 1925,
art. 7, comma 2, e, dunque, "pur volendo ritenere (...) operante un rinvio ad una norma abrogata (siccome
meramente materiale o recettizio), tale rinvio non potrebbe comunque non sottostare, quanto all'interpretazione
della norma richiamata, ai principi generali del nostro Ordinamento (...), altres di rango costituzionale" (cos ricorso
principale, pag. 27); che, parimenti, la decisione impugnata per nulla ha preso in esame le surriferite
argomentazioni, "con totale omissione motivazionale sul punto" (cos ricorso principale, pag. 27).
Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale sono strettamente connessi.
Si giustifica pertanto la loro disamina congiunta.
Ambedue i motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.
Si osserva in primo luogo che il rinvio alla L. 28 giugno 1874, n. 1838, art. 28 operato dalla L. 24 giugno 1923, n.
1395, art. 3 e dal R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 7, comma 2, da intendere di certo in guisa di rinvio
"materiale" o "fisso", sicch "tutte le successive modificazioni della norma richiamata non hanno alcuna
conseguenza o, comunque, non toccano la norma rinviante, cos come l'abrogazione della legge richiamata non
spiega alcun effetto e non modifica la norma di rinvio" (cos controricorso, pag. 24).
Si osserva in secondo luogo - conformemente a quanto gi ritenuto dal consiglio dell'ordine degli architetti di
Genova in prima istanza (cfr. controricorso, pag. 9: "contrariamente a quanto assunto (...) ") - che la locuzione pena
maggiore del "carcere", di cui alla L. n. 1938 del 1874, art. 28 identifica, alla stregua dell'art. 84 c.p. del 1859, la
pena della "reclusione" e non gi la pena detentiva superiore a cinque anni.
A tal ultimo riguardo, cio, va senza dubbio condiviso il rilievo del controricorrente (cfr. controricorso, pag.
29), secondo cui l'unica interpretazione aderente in chiave letterale e logico - sistematica al dato normativo - ossia
alla L. n. 1938 del 1874, art. 28 - quella che individua tout court nella "reclusione" la "pena maggiore del carcere",
prescindendo del tutto dalla considerazione dei limiti quantitativi sia della pena "correzionale" del "carcere", che
l'art. 56 medesimo codice del 1859 fissava in non meno di sei giorni ed in non pi di cinque anni, sia della pena
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"criminale" della "reclusione", che l'art. 54 cit. codice penale fissava in non meno di tre anni ed in non pi di dieci
anni.
Pi esattamente ci che riveste valenza ai fini della cancellazione dall'albo, di cui alla l. n. 1938 del 1874, art.
28 la specie di pena astrattamente correlata al titolo di reato ascritto ed acclarato.
In questi termini si ribadisce che al ricorrente, in dipendenza del titolo di reato ascrittogli - delitto tentato in
concorso di concussione - stata irrogata la pena di anni quattro di reclusione.
Siffatta pena rinviene il suo corrispondente nella pena comminata per il crimine tentato di cui al combinato
disposto dell'art. 96 c.p. del 1859 e ss. e art. 216 c.p. del 1859, ovvero nella pena "criminale" della "reclusione" pena, quest'ultima, superiore ex art. 84 c.p. del 1859 alla pena "correzionale" del "carcere" - non inferiore a tre anni
e non superiore a dieci anni ex art. 54 c.p. del 1859 e "diminuita di due o di tre gradi a norma delle circostanze" ex
art. 98 cit. c.p., comma 1.
Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce "violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 2), con riferimento (tra gli altri) agli artt. 2, 3, 13, 15, 16, 17, 18, 19, 21 e 22 Cost., nonch 12 e 14
preleggi, in relazione all'interpretazione dell'art. 28 c.p., del R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 20 e L. 24 giugno
1923, n. 1395, art. 3 - Difetto e/o insufficienza di motivazione - Eccesso di Potere" (cos ricorso principale, pag. 28).
Adduce che sia il dictum del consiglio dell'ordine di Genova sia il dictum del consiglio nazionale, "laddove
fondati su un'inesistente perdita del godimento di diritti civili (...), sono e devono intendersi destituiti di ogni
fondamento" (cos ricorso principale, pag. 33); che invero la lettura, "costituzionalmente orientata, dell'art. 28 c.p.
porta ad intendere che la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici non incide - e non potrebbe incidere
(...) - sui diritti civili" (cos ricorso principale, pagg. 30 - 31); che infatti l'elencazione di cui all'art. 28 c.p., comma 2
"individua diritti che afferiscono alla sfera pubblica" (cos ricorso principale, pag. 31); che, del resto, "non possibile
perdere i diritti civili o, perlomeno, non possibile perderli tutti" (cos ricorso principale, pag. 33).
Adduce, al contempo, che il provvedimento impugnato "ha chiaramente frainteso i diritti civili con i diritti
politici, pervenendo ad una indebita ed assoluta equiparazione degli stessi del tutto infondata sul piano normativo"
(cos ricorso principale, pagg. 28 - 29); che, difatti, tra diritti civili e diritti politici "nessuna equiparazione (...) pu
dirsi e ritenersi ammissibile" (cos ricorso principale, pag. 32).
Adduce infine che "il provvedimento impugnato (...) neppure prende in considerazione o anche solo menziona
il ragionamento giuridico sopra esposto, che viene totalmente ignorato" (cos ricorso principale, pag. 33).
Il motivo non merita seguito.
Si ribadisce che il R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, art. 20 dispone che siano cancellati dall'albo professionale "gli
iscritti che (perdano il godimento dei diritti civili ed) (...)" (cos ricorso principale, pag. 23).
Si evidenzia in pari tempo che la decisione di prima istanza - poi in parte qua puntualmente ribadita dal
consiglio nazionale - ha opinato nel senso che "l'interdizione dai pubblici uffici nde: irrogata all'architetto A.
costituisce causa di perdita del godimento dei diritti civili, da intendersi nell'accezione ampia comprensiva dei diritti
politici, comportando, tra l'altro, la privazione del condannato del diritto di elettorato attivo e passivo e di ogni altro
diritto politico (art. 28 c.p.)" (cos controricorso, pag. 8).
Ebbene - contrariamente all'assunto del ricorrente principale, secondo cui, appunto, l'interdizione dai pubblici
uffici irrogatagli non comporta alcuna menomazione dei suoi diritti civili - l'interpretazione recepita e in prima e in
seconda istanza pu sicuramente esser avallata in questa sede.
Si rappresenta, pi esattamente, che questa Corte di legittimit a sezioni unite, ha esplicitato che il geometra,
che fosse stato dichiarato fallito, dovesse essere cancellato dal relativo albo professionale, R.D. 11 febbraio 1929, n.
274, ex art. 10, lett. a), non trovandosi pi nelle condizioni di essere iscritto o rimanere iscritto nell'albo stesso (L. 7
marzo 1985, n. 75, art. 2) per la perdita del "pieno" godimento dei diritti civili conseguente alla dichiarazione di
fallimento (cfr. Cass. sez. un. 10.3.1992, n. 2856).
Su tale scorta si rappresenta specificamente che senza dubbio in epoca antecedente alla "riforma
fallimentare" la dichiarazione di fallimento - tra l'altro - determinava, D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, ex art. 2, lett. a),
la compressione dell'elettorato attivo del fallito ("finch dura lo stato di fallimento, ma non oltre cinque anni dalla
data della sentenza dichiarativa di fallimento"; Il D.P.R. n. 223 del 1967, art. 2, lett. a stata abrogata dal D.Lgs. 9
gennaio 2006, n. 5, art. 152, comma 1, lett. a).
In questi termini, nel solco dell'insegnamento a sezioni unite test riferito ben da recepire il rilievo di parte
controricorrente secondo cui il godimento dei diritti civili deve essere inteso in senso pubblicistico (cfr.
controricorso, pag. 38).
Propriamente deve reputarsi che similmente alla dichiarazione di fallimento - che, in quanto atta a
determinare la perdita del "pieno" godimento dei diritti civili in dipendenza, tra l'altro, della inibizione
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dell'elettorato attivo, imponeva la cancellazione del geometra fallito dal relativo albo professionale - l'interdizione
perpetua dai pubblici uffici, in quanto atta ex art. 28 c.p., comma 2, n. 1), a privare il condannato del diritto di
elettorato e di eleggibilit, comporta analogamente la perdita del "pieno" godimento dei diritti civili, s da
giustificare, qualora il condannato sia un architetto, la sua cancellazione dal relativo albo professionale R.D. n. 2537
del 1925, ex art. 20.
Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce "violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 2), con riferimento all'articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che garantisce il
diritto ad un equo processo - difetto di giurisdizione dell'organo che ha pronunciato il provvedimento impugnato ex
art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), - Incompetenza ed Eccesso di Potere" (cos ricorso principale, pag. 34).
Adduce, nel quadro dell'orientamento giurisprudenziale comunitario "che contesta la legittimit della
giurisdizione interna degli Ordini Professionali, ove non accompagnata da determinate caratteristiche di
composizione dell'Organo giudicante" (cos ricorso principale, pag. 34), in particolare, nel segno delle pronunce del
23.6.1981 e del 10.2.1983 della C.E.D.U., che l'organo giudicante, sia in prime cure, innanzi al consiglio dell'ordine di
Genova, sia in seconde cure, innanzi al consiglio nazionale, non era composto, siccome dovevasi, anche da giudici
togati; che "tale circostanza (...) si traduce nella sostanziale violazione (...) dell'art. 6 C.E.D.U." (cos ricorso
principale, pag. 36); che siffatta violazione comporta, al contempo, l'illegittimit del provvedimento impugnato per
carenza di giurisdizione.
Il motivo immeritevole di seguito.
Si osserva innanzitutto che, siccome debitamente ha posto in risalto il controricorrente, i precedenti
giurisprudenziali della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, richiamati dal ricorrente non sono pertinenti al caso di
specie (cfr. controricorso, pag. 40).
D'altronde il medesimo architetto Agostino che riferisce testualmente che "in tali occasioni, invero, la
C.E.D.U.: - da un lato, ha accertato l'applicabilit dell'art. 6 al procedimento disciplinare subito da alcuni medici,
qualificando la causa come civile; (...)" (cos ricorso, pag. 35).
Orbene si gi evidenziato, sulla scia del precedente a sezioni unite di questa Corte n. 7937 del 6.8.1990, che
nella fattispecie non si versa in una ipotesi di procedimento disciplinare, sibbene in un'ipotesi un procedimento
amministrativo destinato a concludersi "con un atto vincolato ossia con un atto dovuto, che esclude qualsiasi
margine di discrezionalit in capo al Consiglio dell'Ordine" (cos controricorso, pag. 16).
Per altro verso, pur ad ammettere che il procedimento d'impugnazione dell'atto del consiglio locale davanti al
consiglio nazionale abbia, viceversa, natura giurisdizionale (cfr. in tal senso Cass. sez. un. 6.8.1990, n. 7937), deve
escludersi che nella fattispecie sia ravvisabile violazione delle garanzie - segnatamente dell'indipendenza e
dell'imparzialit - imposte dall'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo in dipendenza della mera
circostanza per cui i componenti del consiglio nazionale degli architetti, che ha pronunciato in seconda istanza, non
sono giudici togati.
Questa Corte di legittimit ha spiegato a sezioni unite (cfr. Cass. sez. un. 3.5.2005, n. 9097) che l'indipendenza
del giudice consiste nella autonoma potest decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette
di qualsiasi provenienza.
In tal guisa prospettare la menomazione dei prerequisiti dell'indipendenza ed imparzialit del giudice in virt
unicamente della natura non togata dei componenti dell'organo giudicante si risolve in una mera postulazione.
La prefigurata violazione dell'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo dunque manifestamente
priva di qualsivoglia fondamento.
Con l'unico motivo il ricorrente incidentale deduce "sull'inammissibilit e/o improcedibilit e/o irricevibilit del
ricorso proposto dall'arch. A.A.. Violazione e/o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con
riferimento al D.M. 10 novembre 1948, art. 2 - vizio di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, per difetto e/o
insufficienza di motivazione - Eccesso di Potere" (cos ricorso incidentale, pag. 43).
L'esito infausto del ricorso principale renda vana e sterile la disamina del ricorso incidentale
condizionatamente proposto dal consiglio dell'ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della
provincia di Genova (cfr. controricorso, pagg. 43 - 44).
Il rigetto del ricorso principale giustifica la condanna del ricorrente principale al pagamento delle spese del
giudizio di legittimit.
La liquidazione segue come da dispositivo.
Si d atto che il ricorso principale stato notificato in data 29/30.9.2014.
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Ne discende, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. 24
dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che il rigetto dell'impugnazione principale determina l'obbligo per il
ricorrente principale di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione principale ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte cos provvede:
rigetta il ricorso principale, in tal guisa assorbita la disamina del ricorso incidentale condizionato;
condanna il ricorrente principale a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimit,
che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a.
e cassa come per legge;
d atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla
L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che il rigetto dell'impugnazione principale determina l'obbligo per il
ricorrente principale di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa
impugnazione principale ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. Seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 12
novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2016
25
APRILE 2016
B.M.L. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio
dell'avvocato CONTALDI MARIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROLLE CARLO, giusta delega
in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI
PROFESSIONISTI C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II n. 326, presso lo studio degli avvocati SCOGNAMIGLIO RENATO,
SCOGNAMIGLIO CLAUDIO che la rappresentano e difendono unitamente all'Avvocato BONAMICO FRANCO, giusta
delega in calce al ricorso;
- controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza n. 629/2009 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 15/05/2009 R.G.N.
978/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2015 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l'Avvocato PORCELLI VINCENZO per delega SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito l'Avvocato CONTALDI STEFANIA per delega CONTALDI MARIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita che ha concluso per il
rigetto dei ricorsi.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Torino, con la sentenza n. 629 del 2009, accoglieva in parte sia l'appello principale
proposto da Inarcassa, Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti,
nei confronti di B.M. L., sia quello incidentale proposto da B.M.L. nei confronti della suddetta Cassa, entrambi
avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Torino n. 4238/07, e condannava Inarcassa a pagare alla B. la
pensione indiretta di cui all'art. 30 dello Statuto a decorrere dal 1 marzo 2005, nella misura e con gli interessi di
legge.
2. Il Tribunale di Torino era stato adito dalla B. - che aveva premesso di essere vedova dell'architetto P.A., il
quale aveva svolto l'attivit di architetto libero-professionista ed era stato iscritto alla Cassa dal 10.9.1982 al
9.1.1985 e dal 17.3.1994 all'(OMISSIS), ed era deceduto in tale ultima data senza diritto ad alcun tipo di trattamento
pensionistico - per ottenere la restituzione dei contributi versati dal coniuge defunto alla Cassa o l'attribuzione della
pensione indiretta con interessi e rivalutazione.
Nel corso del giudizio era emerso che l'architetto P. nel periodo 1 dicembre 2002 - 8 febbraio 2005 era stato
cancellato dagli iscritti all'Inarcassa, in quanto assoggettato ad altra forma di previdenza obbligatoria presso la
gestione previdenziale INPDAP, e i relativi contributi erano gi stati restituiti.
Il Tribunale aveva ritenuto che non sussistevano le condizioni per la concessione della pensione "ai superstiti"
e aveva accolto la domanda di restituzione dei contributi versati dall'architetto P. per il periodo anteriore al 1
dicembre 2002.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l'Inarcassa, prospettando un motivo di
ricorso.
4. Resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato, articolato in due motivi, B.M.L..
5. Inarcassa ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
6. In prossimit dell'udienza pubblica Inarcassa ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, va disposta la riunione dei giudizi in quanto proposti avverso la medesima sentenza resa
in grado di appello.
2. Con l'unico motivo di ricorso Inarcassa censura la statuizione con la quale la Corte d'Appello di Torino ha
riconosciuto il diritto di B.M.L. all'attribuzione della pensione indiretta di cui all'art. 30 dello Statuto della Cassa,
ritenendo non necessaria l'iscrizione dell'architetto o ingegnere alla Cassa medesima al momento del decesso.
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L'art. 30, comma 3, citato, stabilisce "la pensione indiretta spetta, nei casi e alle condizioni di cui al comma 1,
ai coniugi e ai figli dell'iscritto defunto senza diritto a pensione, sempre che quest'ultimo abbia maturato al
momento del decesso almeno due anni anche non consecutivi di effettiva iscrizione e contribuzione ad Inarcassa".
2.1. La Corte d'Appello ha affermato in proposito: che la suddetta disposizione non richiedeva che, al
momento del decesso, il professionista fosse iscritto alla Cassa, ma solo che a tale momento egli potesse vantare
due anni di iscrizione e contribuzione;
che l'espressione defunto, subito dopo la parola iscritto andava ricollegata all'espressione senza diritto a
pensione, e doveva essere interpretata non gi nel senso che il defunto dovesse essere iscritto al momento della
morte, ma nel senso che l'iscritto era deceduto senza diritto a pensione;
che il termine iscritto appariva del resto utilizzato in senso atecnico e riferito perci a soggetto che, ancorch
non attualmente, avesse intrattenuto un rapporto assicurativo con la Cassa.
2.2. Il motivo di ricorso di Inarcassa ha ad oggetto: violazione e falsa applicazione della L. n. 6 del 1981, art. 7,
comma 3 e dell'art. 30, comma 3, dello Statuto Inarcassa; contraddittoria e/o insufficiente motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio (il fatto controverso riguarda la necessit, ai fini della maturazione del
diritto dei superstiti alla pensione indiretta, che l'ingegnere o l'architetto risulti iscritto all'Inarcassa al momento del
decesso).
Espone la ricorrente che l'istituto in questione rinviene la propria origine nella cd. pensione ai superstiti, gi
disciplinata dal D.P.R. n. 521 del 1961, artt. 13 e 14, e quindi nel D.P.R. 30 maggio 1975, n. 301, artt. 13 e 14, sino a
giungere alla L. n. 6 del 1981, art. 7, comma 3, come modificata dalla L. n. 290 del 1990, art. 5.
Prospetta la Cassa che il contenuto precettivo delle disposizioni cos richiamate, anteriori alla L. n. 6 del 1981,
poneva in evidenza come l'accesso dei superstiti alla prestazione previdenziale de qua fosse condizionata alla
sussistenza dello status di iscritto del de cuius, e come tale accesso divenisse progressivamente pi restrittivo con il
crescere dell'et che il de cuius presentava al momento dell'iscrizione o reiscrizione alla Cassa, essendo la
prestazione del trattamento pensionistico subordinata al raggiungimento di un numero di anni di anzianit
contributiva via via pi elevato in relazione, appunto, all'et che il professionista aveva al momento della iscrizione
o reiscrizione alla Cassa.
Il riferimento all'et del professionista al momento dell'iscrizione o reiscrizione alla Cassa appariva, peraltro,
un chiaro indicatore di come il legislatore avesse imposto la necessit della costanza di iscrizione al momento del
decesso.
La disciplina di cui alla L. n. 6 del 1981, art. 7 espressamente, invece, non richiedeva la contestualit
dell'iscrizione al momento del decesso dell'iscritto. Ci, ad avviso della Cassa, al fine di contemperare i pi severi
parametri stabiliti per accedere alla pensione indiretta, e cio la continuit dell'iscrizione e contribuzione alla Casa
da data anteriore al compimento del quarantesimo anno di et, e l'elevazione a dieci anni dell'anzianit minima
contributiva.
Le modifiche introdotte dalla L. n. 290 del 1990 alla L. n. 6 del 1981, art. 7, comma 3, - che, nel testo novellato,
sanciva: "la pensione indiretta spetta nei casi e alle condizioni di cui al comma 1, al coniuge ed ai figli dell'iscritto
defunto senza diritto a pensione, semprech quest'ultimo abbia maturato al momento del decesso almeno cinque
anni ancorch non consecutivi di effettiva iscrizione e contribuzione alla Cassa" - operavano un ritorno al passato,
con una attenuazione dei requisiti previsti per l'accesso alla pensione indiretta, poich gli anni di contribuzione
erano ridotti da dieci a cinque, veniva meno il requisito della continuit dell'iscrizione e contribuzione alla Cassa e
veniva eliminato il riferimento all'et del professionista al momento del riscrizione alla Cassa.
Per, veniva anche meno la precedente previsione relativa alla spettanza della pensione anche se l'iscrizione
era cessata al momento del decesso.
Tale quadro normativo, deduce la Cassa, fa ritenere necessario, in ragione della disciplina applicabile ratione
temporis, che la morte dell'iscritto avvenga in costanza di iscrizione. Quindi, erroneamente, e con motivazione
insufficiente, la Corte d'Appello aveva riconosciuto il diritto della B. alla pensione indiretta, pur in mancanza di tale
contestualit.
2.3. Il motivo non fondato.
N l'art. 30 dello Statuto Inarcassa, n la L. n. 6 del 1981, art. 7, comma 3, come modificato dalla L. n. 290 del
1990, richiedono quale condizione per l'attribuzione della pensione indiretta ai superstiti che il rischio protetto si
verifichi in corso di iscrizione alla Cassa.
La Corte d'Appello, con congrua motivazione che si sottrae alle censure prospettate, ha puntualmente
interpretato le suddette disposizioni attenendosi al canone di ermeneutica contenuto nell'art. 12 preleggi: secondo
il quale "nell'interpretare la legge non si pu ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse e l'intenzione del legislatore".
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Il giudice di secondo grado, infatti, ha rilevato che la valenza temporale dell'aggettivo "defunto", non pu che
riferirsi alla espressione che immediatamente la segue "senza diritto a pensione", e non al sostantivo "iscritto" che
la precede ma la cui contiguit non indica la necessit di alcuna coincidenza temporale tra iscrizione e decesso.
Il Collegio deve aggiungere che la Corte d'Appello non si arrestata alla interpretazione letterale delle
suddette disposizioni, pur nel caso decisiva, ma ha trovato alla stessa conferma in quella logico-sistematica,
rilevando come la medesima risultasse coerente e non contraddittoria con il contenuto del precedente testo della L.
n. 6 del 1981, art. 7, che gi escludeva la necessit dell'attualit dell'iscrizione alla Cassa al momento del decesso.
3. Il ricorso principale va, quindi, rigettato.
4. Al rigetto del ricorso principale segue l'assorbimento del ricorso incidentale che verte sulla statuizione della
Corte d'Appello che ha rigettato la domanda di restituzione dei contributi versati per il periodo anteriore al 1
dicembre 2012, ed articolato nei seguenti due motivi:
Insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all'art. 40 dello
Statuto Inarcassa, alla L. n. 6 del 1981, artt. 1 e 20, agli artt. 1324, 1362, 1365, 1366, 1367 e 1369 c.c. e all'art. 38
Cost.;
violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3, con riferimento all'art. 1224 c.c.,
nonch agli artt. 429 e 442 c.p.c., nonch all'art. 40 dello Statuto Inarcassa.
5. Alla soccombenza consegue la condanna della Cassa ricorrente al pagamento delle spese processuali di
questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale. Condanna la
ricorrente INARCASSA al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro cento per esborsi, Euro tremila per
compensi professionali, oltre accessori di legge.
Cos deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2015
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contro
INARCASSA - CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI
PROFESSIONISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati RENATO SCOGNAMIGLIO e CLAUDIO SCOGNAMIGLIO,
che la rappresentano e difendono unitamente all'avvocato FRANCO BONAMICO, giusta delega in atti;
- controricorrente avverso la sentenza n. 987/2009 della CORTE D'APPELLO di TORINO, depositata il 02/10/2009 r.g.n.
1193/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/2015 dal Consigliere Dott. LUCIA
ESPOSITO;
udito l'Avvocato SILVESTRINI FEDERICO;
udito l'Avvocato SCOGNAMIGLIO RENATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 30/9-2/10/2009, in riforma della decisione del giudice di
primo grado, rigettava la domanda proposta da B.S. nei confronti di Inarcassa, Cassa Nazionale di Previdenza e
Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti liberi professionisti, diretta al riconoscimento della pensione di vecchiaia al
compimento del 65 anno d'et ai sensi della L. n. 6 del 1981, art. 25, con l'anzianit minima di 20 anni, come
previsto per gli iscritti alla Cassa da data anteriore all'entrata in vigore della legge.
2. Affermava la Corte territoriale che al B. era applicabile la disciplina di cui alla L. n. 1046 del 1971, art. 2, in
forza della quale erano esclusi dall'iscrizione alla Cassa gli ingegneri e architetti iscritti ad altre forme di previdenza
obbligatoria, esclusione operante anche con riferimento all'iscrizione a Enasarco, trattandosi di previdenza
obbligatoria per tutti gli agenti e rappresentanti di commercio, nonostante la natura integrativa e non sostitutiva
del relativo trattamento.
3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il B. con unico composito motivo. Resiste Inarcassa con
controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale sia incorsa in una violazione o falsa applicazione della
L. n. 1046 del 1971, art. 2, in relazione alla L. n. 662 del 1996, art. 1, nonch in un vizio di motivazione, per avere
deciso nel senso della incompatibilit dell'iscrizione e contribuzione all'Inarcassa con l'iscrizione e contribuzione
Enasarco e, pertanto, della esclusione del professionista dai ruoli previdenziali Inarcassa per i periodi di contestuale
iscrizione e contribuzione Enasarco. In particolare lamenta che la Corte aveva operato 1) senza valutare le
caratteristiche del secondo trattamento e gli effetti pratici conseguenti a livello di entit economica del trattamento
pensionistico, essendo, di fatto, il trattamento Inarcassa superiore a quello Enasarco; 2) trascurando la rilevanza
della natura integrativa e quindi non sostitutiva dell'assicurazione generale obbligatoria della pensione Enasarco,
anche alla luce del fatto che il ricorrente non risultava iscritto alla previdenza obbligatoria principale Inps gestione
commercianti con riferimento al periodo in cui ha svolto attivit di rappresentante: la natura integrativa della
pensione Enasarco, secondo le prospettazioni del ricorrente, indurrebbe al riconoscimento della cumulabilit della
pensione Inarcassa con il trattamento pensionistico complementare erogato da Enasarco, a garanzia del rispetto di
diritti costituzionalmente tutelati; 3) trascurando, altres, il principio di prevalenza dettato dalla L. n. 662 del 1996,
art. 1, comma 208, che nella fattispecie avrebbe dovuto far salva la contribuzione Inarcassa in quanto il
professionista avrebbe esercitato detta attivit in maniera assolutamente preponderante per numero di pratiche
svolte e per volume d'affari, riservando a quella di rappresentante uno spazio assolutamente marginale e
secondario.
3. Vanno preliminarmente superati i rilievi di genericit del ricorso e di mancanza di attinenza al decisum
formulati dalla ricorrente incidentale a sostegno della richiesta di declaratoria d'inammissibilit del ricorso. Ed
invero dalle censure esposte, nello sviluppo non lineare delle argomentazioni, si evince comunque che la questione
posta all'attenzione di questa Corte la seguente:
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se l'iscrizione all'Enasarco preclude l'iscrizione all'Inarcassa, con conseguente inefficacia dei contributi versati
dal ricorrente durante il periodo della doppia iscrizione ai fini della maturazione della anzianit ventennale
necessaria per il conseguimento della pensione di vecchiaia.
4. In primo luogo va rilevato che in proposito la L. 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, dispone "A decorrere dal
primo gennaio 1972 sono esclusi dalla iscrizione alla Cassa gli Ingegneri ed architetti iscritti a forme di previdenza
obbligatorie in dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato o comunque di altra attivit esercitata". La
disposizione stata sostanzialmente reiterata con l'art. 1 del regolamento di esecuzione della medesima legge
approvato con D.P.R. 40 maggio 1975 n. 301 ed ancora ripetuta con la L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5. In
conseguenza del divieto di iscrizione ad Inarcassa del professionista iscritto ad altra forma di previdenza
obbligatoria, divieto comportante la cancellazione, i periodi di doppia iscrizione non sono utilizzabili ai fine della
maturazione dell'anzianit contributiva ventennale necessaria perch il ricorrente consegua la pensione di
vecchiaia.
5. Sul tema fu sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., questione di legittimit costituzionale della
predetta norma nella parte in cui prevede l'esclusione dall'iscrizione alla Cassa predetta degli ingegneri ed architetti
iscritti ad altre istituzioni di previdenza obbligatoria in dipendenza dell'esercizio contemporaneo di altra attivit di
lavoro autonomo. Si ipotizzava una ingiustificata disparit di trattamento rispetto alle categorie professionali per le
quali i rispettivi ordinamenti previdenziali stabiliscono la regola opposta del cumulo delle forme di previdenza. Oltre
alla violazione del principio di uguaglianza veniva denunciata anche la violazione dell'art. 38 Cost., comma 2,
considerato che il ricorrente, pur avendo "per il periodo della sua attivit professionale ininterrottamente versato i
contributi necessari e sufficienti ad ottenere la pensione di vecchiaia" sarebbe stato privato di tale diritto
costituzionalmente garantito in forza di un breve periodo di iscrizione all'albo degli artigiani. La Corte Costituzionale,
con sentenza n. 108 del 1989, ha giudicato infondata la questione rilevando che il confronto con altre categorie
professionali non conduce a una constatazione di disparit di trattamento ai sensi dell'art. 3 Cost., poich, fino al
riordinamento con criteri unitari dei trattamenti di previdenza delle categorie dei liberi professionisti in conformit
alla direttiva enunciata nella L. n. 127 del 1980, art. 1, i vari sistemi previdenziali conservano una propria autonomia.
Secondo la Corte la questione non era fondata neppure alla stregua dell'art. 38 Cost., non essendo impedito il
conseguimento di una tutela previdenziale adeguata, ma solo preclusa l'acquisizione di una duplice posizione
assicurativa nell'ambito della previdenza pubblica. Ne discende che non possono assumere rilievo le notazioni del
ricorrente riguardo la presunta salvaguardia di diritti costituzionalmente garantiti.
6. Quanto al rilievo attinente alla natura integrativa della pensione Enasarco, va evidenziato che tale natura
rileva rispetto alla pensione AGO commercianti. Tuttavia nel medesimo periodo di iscrizione all'Enasarco il
ricorrente non risulta anche iscritto all'Inps. Tale peculiare aspetto non esclude che nel periodo in discussione
contestualmente alla iscrizione a Inarcassa vi sia stata altra gestione obbligatoria, essendo, appunto, la gestione
Enasarco obbligatoria ed essendo stata realmente svolta l'attivit di rappresentante da parte del B.. Correttamente,
pertanto, la Corte territoriale ha rilevato che "la predetta mancata iscrizione (all'INPS) costituisce una violazione
dell'obbligo previsto della L. n. 613 cit., art. 1, (L. n. 613 del 1966) che ha esteso, infatti, anche agli ausiliari del
commercio l'assicurazione obbligatoria per tutti i soggetti che esercitano l'attivit di agenti o di rappresentanti di
commercio", osservando che la stessa costituisce mera circostanza di fatto, come tale irrilevante ai fini della
interpretazione ed applicazione della norma di diritto e inidonea comunque a tradursi in un vantaggio per chi tale
violazione ha commesso, tanto pi che la situazione irregolare ha comunque dato luogo a un trattamento
pensionistico.
7. Con riferimento al profilo sub 3 si evidenzia, altres, che il medesimo tenore letterale della disposizione in
disamina (L. n. 1046 del 1971, art. 2), di rigida esclusione dell'iscrizione a Inarcassa in ipotesi di contestuale
svolgimento di altra attivit, impedisce che si possa fare in alcun modo riferimento al concetto di "attivit
prevalente". D'altra parte l'ambito di operativit del criterio dell'attivit prevalente stato chiarito dalle Sezioni
Unite di questa Corte che, con sentenza n. 17076 del 08/08/2011 (Rv. 618494) hanno affermato che il criterio
dell'attivit prevalente, "quale parametro di valutazione per individuare la gestione assicurativa dell'INPS alla quale
versare i contributi previdenziali nel caso di svolgimento di plurime attivit che, autonomamente considerate,
comporterebbero l'iscrizione a diverse gestioni previdenziali, opera esclusivamente per le attivit esercitate in
forma d'impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti.
8. Va affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: "ai sensi dell'art. 2 della L. 1046/1971 in costanza di
iscrizione ad altra gestione previdenziale obbligatoria, ancorch diretta al conseguimento di un trattamento
pensionistico integrativo, preclusa l'iscrizione a Inarcassa (con conseguente inefficacia dei contributi versati
durante il periodo della doppia contribuzione), senza che assuma rilievo il criterio della prevalenza dell'attivit
svolta".
9. Per tutte le ragioni indicate l'impugnazione va integralmente rigettata. Le spese del giudizio di legittimit
sono compensate in ragione dell'esito alterno delle fasi processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Dichiara compensate le spese del giudizio di cassazione.
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L'architetto A.G.N. era condannato ai sensi dell'art. 444 c.p.p. alla pena di un anno e otto mesi di reclusione
per il reato di corruzione con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Monza in data 27.3.2013. A seguito di ci il
Consiglio dell'ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Monza e Brianza, con
Delib. 18 giugno 2013 ne disponeva la cancellazione dal relativo albo.
Quindi, il Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, innanzi al quale l'arch. A.
impugnava detta delibera, con decisione dell'11.6.2014 rigettava la domanda. Ritenuta la natura vincolata del
provvedimento di cancellazione ai sensi del R.D. n. 2537 del 1925, art. 20 che non consentiva apprezzamenti
discrezionali, osservava che l condanna riportata dal professionista in sede penale, come non consentiva
l'iscrizione, cosi non consentiva neppure la permanenza dell'architetto nell'albo.
Avverso quest'ultima decisione A.G.N. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Consiglio dell'ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della
provincia di Monza e Brianza.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. - Col primo motivo di ricorso dedotta la violazione o falsa applicazione del R.D. n. 2537 del 1925, artt. 7, 20
e 46 e L. n. 1938 del 1874, art. 28. Si sostiene che la cancellazione dall'albo nel caso di condanna alla reclusione pu
essere facoltativamente adottata a seconda delle circostanze, e dunque in base ad un provvedimento
adeguatamente motivato, nella specie mancante.
2. - Il secondo motivo espone la medesima censura sotto il profilo della "omessa e contraddittoria motivazione
su un punto decisivo della controversia in relazione al R.D. 2537 del 1925, art. 20".
3. - Il terzo mezzo d'annullamento censura la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 2537 del 1925, art. 20 e
della L. n. 241 del 1990, art. 7.
In base alla giurisprudenza costituzionale le sanzioni destitutive di uno status professionale non possono
essere disposte in modo automatico dalla legge, ma devono essere irrogate a seguito di un procedimento
disciplinare che consenta di adeguare la sanzione al caso concreto secondo il principio di proporzione che alla
base della razionalit che informa il principio di eguaglianza. Soppressa la destituzione di diritto nel pubblico
impiego, risulterebbe contrario al principio di uguaglianza, sempre secondo la giurisprudenza costituzionale, che
tale tipo di sanzione permanesse per le libere professioni. Pertanto, un'interpretazione del R.D. n. 2537 del 1925,
art. 20 costituzionalmente orientata conduce a un risultato diverso da quello cui pervenuto il giudice disciplinare.
Inoltre, prosegue la censura, nel caso di condanna penale non corretta l'equiparazione tra il soggetto che
aspiri ad essere iscritto nell'albo e quello del professionista gi iscritto ed esposto alla sanzione della cancellazione.
Nel primo caso vi un diritto in fieri, nel secondo un diritto gi costituito che pu essere rimosso solo a seguito di
un procedimento disciplinare.
4. - Quest'ultimo motivo, da esaminare con priorit per la sua autonoma forza rescindente, fondato.
Da tempo la giurisprudenza costituzionale si occupata delle conseguenze delle sentenze penali di condanna
che, per disposizione di legge, importino di diritto effetti destitutivi incidenti su di uno status professionale, pubblico
o privato che sia.
Gi con sentenza n. 971/88 la Corte costituzionale, superando il proprio precedente "monito" di cui alla
pronuncia n. 270/86, ebbe a dichiarare che la previsione della destituzione di diritto degli impiegati civili dello Stato
e dei dipendenti degli enti locali della Sicilia a seguito di condanna per taluni delitti specificamente elencati, senza
che attraverso il procedimento disciplinare fosse possibile operare alcuna graduazione nella misura della sanzione in
riferimento al caso concreto, vulnerava i principi della tutela del lavoro (artt. 4 e 35 Cost.), del buon andamento
amministrativo (art. 97 Cost.) e quelli fondamentali di ragionevolezza (art. 3, Cost.).
Pertanto, dichiar l'illegittimit costituzionale del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 85, lett. a), e D.L.P.Reg.Sic.
29 ottobre 1955, n. 6, nella parte in cui, in luogo del mero provvedimento di destituzione di diritto, non
prevedevano l'esperimento del procedimento disciplinare.
Con due sentenze del 1990 la Corte costituzionale estese per la prima volta il medesimo principio all'ambito
delle professioni.
Osservando che la destituzione di diritto del notaio penalmente condannato per uno dei reati indicati nell'art.
5, n. 3, della Legge Notarile, non costituisce un effetto penale della condanna n una pena accessoria, ma una
sanzione disciplinare, la cui automatica ed indifferenziata previsione per l'infinita serie di situazioni che stanno
nell'area della commissione di uno stesso, pur grave, reato, viola il "principio di proporzione", il quale alla base
della razionalit che domina il "principio di eguaglianza", dichiar costituzionalmente illegittimo - per violazione
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dell'art. 3 Cost. - la L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 142, u.c., nella parte in cui prevedeva la destituzione "di diritto"
del notaio che avesse riportato condanna per uno dei reati indicati nell'art. 5, n. 3, della cit. legge, anzich riservare
ogni provvedimento al procedimento disciplinare camerale del Tribunale civile, come per le altre cause enunciate
nello stesso art. 142. Ci in quanto appariva irrazionale e in evidente contrasto con l'art. 3 Cost. un trattamento cos
gravemente differenziato a seconda che il pubblico ufficio fosse quello inerente alle funzioni del notaio, o a quelle di
altro pubblico ufficiale (sentenza n. 40/90).
Quindi, il giudice delle leggi afferm che sarebbe stato contrario al principio di eguaglianza che la destituzione
di diritto - gi espunta dall'ambito del pubblico impiego e da quello della professione notarile - rimanesse invece
ferma soltanto per le libere professioni, dichiarando, cos, costituzionalmente illegittimo, sempre per violazione
dell'art. 3 Cost., il D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 38 che prevedeva la radiazione de iure del dottore
commercialista condannato per uno dei delitti elencati nella norma stessa (sentenza n. 158/90).
Fecero seguito la sentenza n. 197/93, che dichiar illegittima la decadenza dal servizio introdotta dalla L. n. 55
del 1990, art. 15, comma 4-octies, come misura per pervenire e contrastare la delinquenza di tipo mafioso, in
quanto sostanzialmente reintroduceva la destituzione di diritto del pubblico dipendente penalmente condannato
per taluni reati; la L. n. 239 del 1996 sulla sospensione automatica dall'impiego e dall'abilitazione degli ufficiali di
riscossione dei tributi, nei cui confronti fossero pendenti procedimenti penali per taluni reati; e la L. n. 363 del 1996
sulla cessazione automatica dal servizio continuativo dei carabinieri per perdita del grado, a seguito dell'irrogazione
della pena accessoria della rimozione.
Contemporaneamente, la Consulta intervenne anche con riferimento ai casi di decadenza automatica da ruoli
o da autorizzazioni all'esercizio di determinate attivit, come conseguenza della perdita di un requisito soggettivo
necessario per l'accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del rapporto autorizzatorio (cfr.
sentenze nn. 297/1993 e 226/1997). E con altre pronunce (nn. 203/1995 e 249/1997) precis che non era
"invocabile un parallelismo tra l'ipotesi dell'assunzione e quella della destituzione del pubblico dipendente, dal
momento che la prima attiene ai requisiti soggettivi indicati dal legislatore per la scelta dei pi idonei aspiranti
all'accesso, mentre la seconda comporta la rimozione di uno status gi acquisito".
Tale iter giurisprudenziale, svolto lungo due direttrici complanari - quella propriamente sanzionatorio disciplinare e quella della decadenza dall'esercizio di determinate attivit pubbliche o sottoposte a controllo
pubblico - converge costantemente nel negare ogni automatismo tra condanna penale ed effetti ablativi di
un'investitura professionale. Ne deriva il principio, da ritenersi ormai acquisito nell'ordinamento, in base al quale
l'effetto destitutivo, comunque denominato e qualificato, da un impiego o da una professione quale conseguenza di
una condanna penale, deve essere in ogni caso mediato dalla duplice garanzia del procedimento disciplinare e del
conseguente giudizio sulla gravit dell'addebito ascritto all'incolpato, restando escluso che la condanna penale
importi di diritto l'applicazione di una sanzione disciplinare di carattere espulsivo.
4.1. - Devono porsi in disparte i dubbi di vigenza del R.D. n. 2537 del 1925, art. 20 sul regolamento delle
professioni d'ingegnere ed architetto, applicato dal provvedimento impugnato, nella parte in cui prevede la
cancellazione dall'albo nel caso di condanna costituente impedimento all'iscrizione. Tale impedimento, ai sensi
dell'art. 7, comma 2 cit. R.D. dato, tra l'altro, dall'essere incorso il professionista in alcuna delle condanne di cui
alla L. n. 1938 del 1874, art. 28, prima parte, sull'esercizio della professione di avvocato e procuratore, salvo che sia
intervenuta la riabilitazione a termini del codice di procedura penale. Detta legge, non pi in vigore, stabiliva all'art.
28 che la cancellazione dall'albo fosse adottata dal consiglio dell'ordine con deliberazione motivata d'ufficio o su
impulso del Pubblico Ministero, nei casi di incompatibilit, e quando l'avvocato fosse stato condannato ad una pena
maggiore del carcere ed a quella dell'interdizione speciale dall'esercizio della professione. E sebbene il rinvio del
R.D. n. 2537 del 1925, art. 7, comma 2 alla L. n. 1938 del 1874, art. 28 debba ritenersi di natura formale e non
recettizia, dubbia la possibilit di relatio al codice penale vigente, che non conosce tra le pene restrittive della
libert personale quella del carcere (a differenza del codice sabaudo del 1859, esteso poi al Regno d'Italia), ma solo
le pene della reclusione e dell'arresto.
Infatti, l'esistenza del principio generale innanzi detto rende ad ogni modo manifestamente infondata la
possibile questione di legittimit costituzionale del R.D. n. 2537 del 1925, art. 20 dovendosi quest'ultimo
interpretare ormai in maniera solidale al principio stesso. Con la conseguenza che il provvedimento di cancellazione
dall'albo non ha (in senso deontico) natura vincolata e deve essere adottato con le garanzie del procedimento
disciplinare.
5. - L'accoglimento del motivo anzi detto assorbe l'esame d'ogni altra censura.
6. - La decisione impugnata va dunque cassata con rinvio al medesimo Consiglio dell'ordine, in diversa
composizione, il quale nel decidere il merito si atterr al seguente principio di diritto, formulato ai sensi dell'art. 384
c.p.c., comma 1: "Dalla consolidata giurisprudenza costituzionale che nega ogni automatismo tra condanna penale
ed effetti ablativi di un'investitura professionale, deriva il principio, da ritenersi ormai acquisito nell'ordinamento, in
base al quale l'effetto destitutivo, comunque denominato e qualificato, da un impiego o da una professione quale
conseguenza di una condanna penale, deve essere in ogni caso mediato dalla duplice garanzia del procedimento
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APRILE 2016
disciplinare e del conseguente giudizio sulla gravit dell'addebito ascritto all'incolpato, restando escluso che la
condanna penale importi di diritto l'applicazione di una sanzione disciplinare di carattere espulsivo".
7. - Il giudice di rinvio provveder anche sulle spese di cassazione, il cui regolamento gli rimesso ai sensi
dell'art. 385 c.p.c., comma 3.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri, e cassa la decisione impugnata con rinvio al Consiglio
nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, in diversa composizione, che provveder anche
sulle spese di cassazione.
Cos deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il
23 settembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2015
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udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto che ha concluso per
l'inammissibilit o, in subordine, rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Latina, a seguito di apposito ricorso da parte di D. B.F., Fi.Gi., B.N. e F.B., nonch di Ba.Ca., L. N.,
F. ed A. quali eredi di L.E. e Z.C. e S.F. e Fa., quali eredi di Sc.Fe., emetteva decreto ingiuntivo n. 2606/1993.
Col detto provvedimento monitorio veniva ingiunto al Comune di Latina di pagare, per prestazione
professionale svolta dalle suddette parti personalmente o dai loro danti causa, la somma complessiva di L.
669.462.946.
La vicenda per cui veniva proposto il ricorso per decreto ingiuntivo faceva seguito al contratto per iscritto con
cui il medesimo Comune, in data 9 febbraio 1976 aveva affidato si impegnava a per l espletamento dell'opera
professionale consistente nella "compilazione della progettazione di massima ed esecutiva della viabilit principale"
di alcune zone del P.R.G. di quella citt, cui seguiva progetto approvato con Delib. municipale 27 novembre 1984, n.
149.
Il Comune di Latina proponeva opposizione al detto decreto ingiuntivo.
Nel giudizio di opposizione interveniva P.M., che chiedeva - in quanto anch'esso affidatario del suddetto
incarico - la condanna del Comune al pagamento della parte di onorario ad esso spettante.
Nelle more del giudizio di opposizione interveniva transazione del 19 ottobre 2010 con la quale il Comune si
impegnava a corrispondere ai richiedenti professionisti la somma di Euro 231.496,64.
All'esito l'adito Tribunale di Latina, con sentenza n. 3246/2003 dichiarava cessata la materia del contendere
per effetto dell'anzidetta intervenuta transazione, revocava l'opposto decreto ingiuntivo ed affermava l'inesistenza
della prova delle effettiva qualit di eredi dei deceduti professionisti L.E. e Sc.Fe., delle succitate parti qualificatesi
come tali.
Avverso la sentenza del Tribunale di prima istanza proponevano appello, con separati atti, P.M., nonch D.B.
F., Fi.Gi., B.N., F.B. e S.F. e Fa., chiedendo - rispettivamente - la declaratoria di nullit o, comunque, l'inefficacia
dell'intervenuta transazione e la nullit dell'opposizione del Comune per difetto di mandato alle liti.
Resisteva ai proposti appelli l'Ente, chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza.
Riuniti i due giudizi di appello, adita Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 3154/2008, accoglieva l'appello
per quanto di ragione e, ferma restando la revoca dell'opposto decreto ingiuntivo, condannava il Comune di Latina a
pagare in favore di P.M., D.B. F., Fi.Gi., B.N., F.B. e S.F. e Fa. (questi ultimi due quali eredi di Sc.Fe.) la somma di Euro
21.691,19, oltre interessi L. n. 143 del 1948, ex art. 9 dal 22 agosto 1987 al saldo, nonch alla refusione delle spese
di entrambi i gradi del giudizio e di consulenza tecnica di ufficio.
Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorrono D.B.F., Fi.Gi., F. B. e S.F. e Fa. con
atto affidato a tre ordini di motivi. Resiste con controricorso il Comune di Latina.
Hanno depositato, nell'approssimarsi dell'udienza di discussione, note illustrative - ai sensi dell'art. 378 c.p.c. i ricorrenti D. B. ed altri ed il Comune di Latina.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di "violazione di legge, artt. 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c. in
relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
Il motivo assistito dalla formulazione di quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. del seguente testuale tenore:
"in sede di interpretazione del contratto e di applicazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362, 1363,
1366 e 1369 c.c. pu il Giudice utilizzare il solo dato letterale di una porzione del contratto omettendo di valersi
cumulativamente e congiuntamente di tutti i criteri interpretativi di cui alle norme citate?".
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di "insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il
giudizio, art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5". Il motivo, pur in assenza di un esplicitato motivo di sintesi quanto al fatto
controverso e decisivo in ordine al quale si sarebbe verificata la lamentata carenza motivazionale, sembrerebbe far
riferimento ad una insufficienza motiva della decisione gravata, che "si limita a fornire l'interpretazione di una sola
parte dell'articolo in esame, tale che detta carenza e lacuna nelle, riverbera direttamente sulla correttezza
decisoria".
3.- I due motivi innanzi esposti possono essere trattati congiuntamente attesa la loro contiguit e continuit
logica ed argomentativa.
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Entrambi tendono a colpire, con unico intento logico e varie argomentazioni, l'aspetto della decisione di
merito gravata concernente l'interpretazione del contratto inter partes.
Senonch, in punto, la sentenza gravata appare immune da vizi, avendo con logica ed adeguata motivazione
dato adeguato conto della valutazione operata.
Il tutto facendo buon governo delle norme e dei principi ermeneutici applicabili nella fattispecie.
In particolare stato dato atto che il contratto del 9/2/1976, cui si appigliano le parti ricorrenti, consta di un
tenore letterale che non lascia adito a dubbi circa il diritto dei professionisti al corrispettivo per l'opera
professionale svolta.
Pi specificamente, ancora, l'art. 11 del detto contratto aveva ad oggetto i termini di scadenza
dell'obbligazione a carico del Comune, nel mentre era solo l'art. 10 del detto contratto la norma che disciplinata (ed
approfonditamente) la questione del corrispettivo dovuto al gruppo di professionisti incaricati.
Non , quindi, affatto fondata la censura relativa ad una pretesa necessaria non svolta interpretazione
"cumulativa e congiunta" di tutte le norme contrattuali.
Ancora e, pi specificamente, del tutto infondata la doglianza (a quanto pare retrostante il secondo e on
facilmente intellegibile motivo in esame) in ordine alla questione delle spese.
La Corte distrettuale con evidenziata (e corretta) valutazione rientrante nelle attribuzioni tipiche del Giudice
del merito ha ritenuto l'inesistenza di qualsivoglia dubbio in ordine alla onnicomprensivit del compenso di cui al
contratto inter partes, che pertanto - non poteva giustificare in alcun modo l'attribuzione di ulteriori somme a titolo
di spese.
Entrambi i motivi in esame vanno, quindi, respinti.
4.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di "violazione di L. 2 marzo 1949, n. 143, L. 4 marzo 1958,
n. 143, art. unico, L. 5 maggio 1970, n. 340, art. unico, L. 1 luglio 1977, n. 4040, art. 6 in relazione all'art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3".
Viene, al riguardo, sottoposto al vaglio di questa Corte il seguente testuale quesito di diritto: "al fine di
individuare la tariffa applicabile in sede di redazione di parcelle professionali di ingegneri ed architetti, deve farsi
riferimento alla tariffa in vigore al tempo del conferimento dell'incarico o a quello in cui l'incarico eseguito? La
norma che prevede l'inderogabilit dei minimi tariffari per gli ingegneri e gli architetti si applica ad incarichi gi
conferiti, ma non ancora portati ad esecuzione?".
La duplice questione (in parte, per di pi, nuova) sollevata dalle parti ricorrenti col motivo in esame priva di
fondamento.
L'applicazione della tariffa non poteva che essere quella prevista al momento della stipulazione del contratto.
Ed, a quel, momento, era consentita - ricorrendo, come in ipotesi, "speciali accordi" in forma scritta fra le partila
derogabilit alle suddette tariffe.
Vi era, insomma, la possibilit - cui nell'ipotesi le parti fecero ricorso - di derogabilit delle tariffe professionali
applicabili nella fattispecie.
Peraltro noto e deve, in questa sede, brevemente richiamarsi il ribadito orientamento di questa Corte,
secondo cui i compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti
pubblici possono essere concordati, D.L. n. 65 del 1989, ex art. 4, comma 12-bis in misura ridotta rispetto ai minimi
tariffari, con "possibilit di concordare una riduzione dei minimi tariffari (senza) nullit del patto derogatorio degli
anzidetti limiti minimi tariffari e tantomeno l'obbligo dell'Amministrazione committente di liquidare al
professionista il maggior compenso richiesto in base alle proprie parcelle" (Cass. civ. Sez. 1, Sent. 11 agosto 2009, n.
18223).
Il tutto nel pi generale contesto della determinazione dei criteri per la determinazione del compenso dei
professionisti nell'ambito del contratto d'opera, che in ogni caso - "non pu prescindere in primo luogo dalla
convenzione che sia intervenuta fra le parti" (Cass. civ., Sez. 2, Sent. 5 ottobre 2009, n. 21235).
Il motivo in esame , quindi, del tutto infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
5.- In considerazione di tutto quanto innanzi esposto, affermato e dedotto il ricorso va rigettato.
6.- Le spese seguono la soccombenza e, per l'effetto, si determinano cos come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore, del contro ricorrente delle spese del
giudizio determinate in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.
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Cos deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il
18 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2015
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p) ovvio che se almeno in prossimit del pensionamento la Cassa avesse comunicato all'assicurato l'errore
egli non avrebbe avuto certamente difficolt a procrastinare del mese mancante la cessazione dell'attivit
lavorativa;
q) n va omesso di considerare che la rilevazione dell'errore stata talmente tardiva da avvenire quando
l'assicurato era gi deceduto e quindi non era in condizione di porvi eventualmente rimedio;
r) nella descritta situazione la condotta colposa della Cassa da considerare la causa esclusiva del danno
subito dalla C., che costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilit e che va quindi
liquidato in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
2 - Il ricorso di INARCASSA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso,
C.S., che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato per due motivi.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti perch proposti avverso la stessa sentenza.
I - Sintesi dei motivi del ricorso principale.
1.- Il ricorso principale articolato in tre motivi, formulati in conformit con le prescrizioni di cui all'art. 366 bis
c.p.c., applicabile ratione temporis.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti
disposizioni: a) L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5, come integrato dall'art. 7, comma 5, dello statuto di
INARCASSA; b) art. 2118 c.c.; c) combinato disposto della L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 2, comma 1, art. 25, comma 7,
e art. 7.
Si contesta l'interpretazione offerta dalla Corte d'appello alla L. n. 1046 del 1971, art. 2, (richiamato dalla L. n.
6 del 1981, art. 21, comma 5) secondo cui nel periodo compreso tra il 1 dicembre 1979 e il 30 novembre 1980 non
sussisteva divieto di iscrizione alla INARCASSA in quanto la suindicata disposizione deve intendersi nel senso di
vietare la doppia iscrizione solo se si accompagna ad una doppia attivit lavorativa. Poich, nella specie, l'indennit
di preavviso era stata erogata proprio perch il preavviso non era stato lavorato, quindi non era applicabile il
suddetto divieto.
Si sostiene che l'unica condizione richiesta dall'art. 21, comma 5, cit. per l'applicazione del divieto di iscrizione
alla Cassa la presenza dell'iscrizione e della contribuzione "in dipendenza" di un rapporto di lavoro subordinato
ovvero di altra attivit professionale.
La norma non chiede altro neppure in merito alla natura delle somme gi sottoposte a contribuzione da altra
gestione previdenziale, comunque anche se si volesse, per assurdo, ipotizzare che sia richiesta la natura retributiva
di tali somme, le conclusioni nella specie non cambierebbero perch all'indennit di mancato preavviso deve
riconoscersi natura retributiva in senso sostanziale.
La rado di questo regime molto chiara ed quella di evitare la duplicazione della tutela previdenziale.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione delle seguenti
disposizioni: a) L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21; b) art. 2043 c. c.; c) art. 1227 c.c..
In subordine rispetto al primo motivo, con il presente motivo si censura la sentenza impugnata nella parte in
cui ha condannato la Cassa al risarcimento del danno in favore di C.S..
In primo luogo si sostiene che la relativa domanda avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile perch,
diversamente da quel che accade per il sistema INPS e INAIL, nell'ordinamento previdenziale dei liberi professionisti
non vi alcuna norma che prevede che gli Enti previdenziali siano responsabili per l'affidamento degli iscritti
nell'esattezza delle attestazioni provenienti dagli Enti medesimi.
Peraltro, anche la L. n. 88 del 1989, art. 54, che si riferisce al sistema previdenziale dei lavoratori dipendenti
comunque non fonda, di per s, un diritto al risarcimento dei danni per lesione dell'affidamento ingenerato dalle
certificazioni degli Enti previdenziali e ci non deve stupire, in quanto deriva dalla "impossibilit di ricondurre nello
schema generale dell'art. 2043 c.c., i rapporti intercorrenti fra gli enti previdenziali e gli iscritti".
Infatti, l'intera previdenza di categoria si basa sul principio della diligenza del professionista, tenuto a
dichiarare autonomamente tutto quanto concerne la propria posizione previdenziale, conscio delle norme che
regolano l'ordinamento della professione anche dal punto di vista previdenziale.
Ne consegue che la suddetta diligenza esclude la stessa configurabilit di un affidamento meritevole di tutela
risarcitoria derivante dall'erronea indicazione della decorrenza dell'iscrizione da parte della Cassa di appartenenza.
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In ogni caso, nella specie, per escludere tale responsabilit sarebbe stato sufficiente fare applicazione dell'art.
1227 c.c., che dispone che il risarcimento non dovuto "per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando
l'ordinaria diligenza".
Infatti, la diligenza del'ing. P., per quanto si detto, avrebbe dovuto essere valutata alla stregua della sua
posizione di libero professionista iscritto ad una Cassa di previdenza di categoria, in regime di auto responsabilit
per la regolarit della propria posizione contributiva.
1.3.- Con il terzo motivo si denunciano, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: a) violazione degli artt. 2043 e
1227 c.c.; b) insufficienza, illogicit e contraddittoriet della motivazione.
In via ulteriormente gradata rispetto alle precedenti censure, INARCASSA sostiene che la motivazione della
sentenza impugnata nella parte relativa all'affermazione di responsabilit della Cassa per il danno lamentato dalla C.
sarebbe del tutto carente e insanabilmente contraddittoria.
Infatti, non sarebbe possibile ricostruire - nella asciutta motivazione sul punto - l'iter logico - argomentativo
che ha portato la Corte torinese ad imputare alla esclusiva responsabilit della Cassa la causazione del danno,
essendosi la Corte limitata ad affermare che la colpa della Cassa per omesso controllo della rispondenza al vero
delle attestazioni rese dal professionista si sarebbe "sovrapposta" all'errore - pur riconosciuto come sussistente e
tale da indurre la Cassa in errore - dell'assicurato di avere richiesto l'iscrizione alla Cassa con decorrenza 1
novembre 1979, bench l'attivit lavorativa subordinata svolta sia cessata solo il 30 novembre 1979.
Senza illustrare minimamente i passaggi logici seguiti la Corte torinese avrebbe del tutto illogicamente
affermato l'esclusiva responsabilit della Cassa, in contraddizione col precedente rilievo secondo cui all'origine della
vicenda vi stato l'errore commesso dall'assicurato, errore che non avrebbe potuto non essere valutato in
applicazione della regola codicistica sul concorso di colpa del danneggiato.
2 - Sintesi dei motivi del ricorso incidentale condizionato.
2.- Il ricorso incidentale espressamente qualificato come condizionato articolato in due motivi, formulati in
conformit con le prescrizioni di cui all'art. art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
2.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L.
3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, commi 1 e 2.
Si sostiene l'erroneit della sentenza impugnata laddove ha avallato la decorrenza della cancellazione
dell'iscritto dalla Cassa quale erroneamente individuata nel relativo provvedimento nel 14 novembre 1999, sulla
base del riferimento alla data della perdita della partita IVA da parte dell'assicurato, anzich rilevare che l'unica data
avente valore determinante a tal fine era quella del provvedimento di cancellazione dall'albo professionale degli
ingegneri (12 gennaio 2000), risultante dall'estratto contributivo prodotto in giudizio da INARCASSA. 2.2.- Con il
secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 2 febbraio
2006, n. 42, art. 4, comma 7.
Si contesta la sentenza impugnata ove non ha rilevato che il provvedimento di annullamento della pensione
diretta attribuita all'iscritto ing. P. era illegittimo anche sotto l'ulteriore profilo rappresentato dall'avere applicato il
criterio di computo dell'anzianit di iscrizione alla Cassa (periodi contributivi) in giorni anzich in anni solari, come
prescritto nel regime antecedente l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 42 del 2006, art. 4, comma 7, avendo quest'ultima
norma introdotto per la prima volta introdotto il criterio di computo in giorni, come unico criterio di computo dei
periodi contributivi presso tutte le forme di tutela obbligatoria.
3 - Esame delle censure.
3.- Il ricorso principale da respingere, per le ragioni di seguito esposte.
4.- Per quel che riguarda il primo motivo va ricordato che questa Corte ha gi esaminato la questione
prospettata nel presente motivo nella sentenza 25 gennaio 2006, n. 1389 - cui il Collegio intende dare continuit,
non essendo emerso nel presente giudizio alcun elemento che possa indurre ad un ripensamento della soluzione ivi
adottata - nella quale stato affermato il principio secondo cui l'esclusione dalla iscrizione alla Cassa ingegneri e
architetti (prevista dalla L. n. 1046 del 1971, art. 2, sostitutivo della L. n. 179 del 1958, art. 3, e richiamato dalla L. n.
6 del 1981, art. 21, comma 5, come integrato dall'art. 7, comma 5, dello statuto di INARCASSA) per il professionista,
in relazione al periodo in cui questi sia stato iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria,non opera per il solo
fatto dell'iscrizione dell'ingegnere o architetto ad altra Cassa, essendo necessario anche, ai fini dell'esclusione, che il
professionista abbia effettivamente svolto l'attivit professionale tutelata dall'altra Cassa ovvero il lavoro
subordinato tutelato dall'INPS o da altro ente analogo (quale, nella presente controversia l'INPDAI).
In detta decisione, in particolare stata sottolineata l'erroneit della tesi secondo cui, sulla base del tenore
letterale della suindicata L. n. 1046 del 1971, art. 2, si dovrebbe considerare sufficiente, per escludere il diritto di
iscrizione alla Cassa in argomento, la semplice iscrizione ad altre forme di previdenza obbligatoria, senza necessit,
anche dello svolgimento della attivit corrispondente. Per le seguenti ragioni:
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1) in primo luogo perch proprio dal tenore letterale della disposizione risulta che, per determinare la
esclusione della iscrizione alla Cassa ingegneri ed architetti, in essa non si fa riferimento soltanto "alla iscrizione a
forme di previdenza obbligatorie", ma si precisa che queste devono essere "in dipendenza" di un rapporto di lavoro
subordinato o comunque di altra attivit esercitata;
2) ne consegue che - pur dovendosi riconoscere autonoma individualit ai vari sistemi previdenziali propri
delle libere professioni (vedi: Corte costituzionale n. 108 del 1989 e n. 259 del 1992), derivandone la possibilit, per
ciascuno di essi, di regolare diversamente le condizioni per l'accesso alla tutela - tuttavia, ci non esclude che anche
ai suddetti sistemi si applichino i principi fondamentali propri del sistema della previdenza sociale, a partire dal
principio generale secondo cui la iscrizione ad una qualunque gestione previdenziale ha come presupposto
indefettibile, e ragione intrinseca della tutela, lo svolgimento della attivit lavorativa cui la corrispondente
assicurazione preordinata;
3) la finalit della disposizione di cui si tratta quella di escludere ogni ipotesi di doppia iscrizione, cio di
iscrizione in contemporanea alla Cassa ingegneri ed architetti e ad altre diverse forme di assicurazione, perch in
base al suddetto principio se vige una di queste ultime viene meno il diritto e l'obbligo di iscriversi alla Cassa
ingegneri ed architetti;
4) ci, per, pu avvenire solo in forza dello svolgimento dell'attivit lavorativa corrispondente all'altra forma
di assicurazione e quindi il riferimento alla iscrizione ad altra assicurazione obbligatoria non pu che essere inteso
come da applicare ad una situazione connotata dal presupposto imprescindibile dello svolgimento di quella attivit
per la quale vige l'obbligo di assicurazione, sicch il richiamo fatto dalla norma alla "dipendenza" della assicurazione
alla attivit esercitata pu apparire addirittura pleonastico;
5) d'altra parte ogni forma di previdenza obbligatoria comporta che si versi all'ente previdenziale un
contributo commisurato al reddito percepito: all'INPS o all'INPDAI si paga la contribuzione commisurata in
percentuale alla retribuzione ricevuta in costanza di rapporto di lavoro subordinato e alle Casse di previdenza
professionali si paga un contributo commisurato in percentuale al reddito ricavato dall'esercizio della professione,
pertanto ove la corrispondente attivit non venga svolta non pu esservi la tutela assicurativa;
6) la precisazione "in dipendenza" che appare, come detto, pleonastica, pu trovare giustificazione
considerando che, soprattutto nel passato, vigevano forme assicurative dei liberi professionisti che imponevano la
iscrizione automatica ad una Cassa di previdenza per il solo fatto di essere iscritti all'albo, anche se la attivit
professionale non veniva di fatto svolta;
7) cos, ad esempio, la L. 3 aprile 1958, n. 179, stabiliva: "Sono iscritti alla Cassa tutti gli ingegneri e gli
architetti che possono per legge esercitare la libera professione" e questa disposizione, confermata dal gi citata L.
n. 1046 del 1971, art. 2, faceva praticamente ed automaticamente coincidere iscrizione all'albo ed iscrizione alla
Cassa, anche se l'ingegnere o l'architetto non svolgevano di fatto la loro professione;
8) solo con la L. n. 6 del 1981, art. 21, stata modificata la disciplina di accesso alla Cassa ingegneri ed
architetti, condizionando il diritto alla tutela della Cassa non solo alla iscrizione all'albo ma anche allo svolgimento
continuativo dell'attivit professionale e analoga evoluzione si registrata, nel tempo, anche per l'accesso alle altre
Casse;
9) ne deriva che il riferimento alla "dipendenza di un rapporto di lavoro subordinato e di altra attivit
esercitata", contenuto nella norma in commento, si pu spiegare con l'intento di includere nella sfera di operativit
della tutela approntata dalla Cassa quegli ingegneri ed architetti che - essendo iscritti anche ad altra forma di
previdenza o ad albo professionale diverso - erano obbligatoriamente assoggettati anche ad altra forma
previdenziale, dalla quale per non ricevevano piena tutela perch, non svolgendo l'attivit subordinata o
professionale cui quella forma previdenziale era preordinata, non pagavano i contributi commisurati al reddito
professionale conseguito;
10) pertanto, la preclusione della iscrizione alla Cassa Ingegneri ed Architetti non deriva dalla mera circostanza
della iscrizione ad altra forma previdenziale (sia essa quella dell'INPS o dell'INPDAI ovvero quella di altra Cassa
previdenziale), ma dall'effettivo svolgimento della attivit di natura subordinata ovvero di altra attivit
professionale collegata a tale iscrizione;
11) la suddetta conclusione trova ulteriore conferma in quella cui pervenuta questa Corte nella sentenza 1
febbraio 1996, n. 890, nella quale stato affermato (in analogia a Cass. 12 luglio 1980, n. 4469) che anche nei
confronti del professionista che sia stato obbligatoriamente iscritto anche alla Cassa artigiani presso l'INPS
svolgendo la corrispondente attivit di artigiano trova applicazione il divieto di iscrizione alla Cassa nazionale di
previdenza e assistenza per ingegneri e architetti stabilito dalla L. 11 novembre 1971, n. 1046, art. 2, (e riproposto
dalla L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 5) - divieto di cui stata ritenuta la legittimit in riferimento agli artt. 3
e 38 Cost. (vedi: Corte cost., sent. n. 108 del 1989), in considerazione della sua ratio (che quella di prevenire
squilibri finanziari che conseguirebbero, in relazione al sistema contributivo, alla marginalit dell'esercizio
professionale per la maggior parte degli ingegneri o architetti impegnati in altre forme di attivit) - pure laddove in
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concreto non si prospetti un cumulo di trattamenti pensionistici, per l'insufficienza dei versamenti presso l'altro
fondo previdenziale.
4.1.- La Corte d'appello di Torino, con adeguata motivazione, si uniformata ai suddetti principi ove ha
affermato l'erroneit della premessa ermeneutica sulla quale INARCASSA fonda la propria pretesa di invalidare
l'iscrizione alla Cassa del defunto ing. P. per il periodo 1 dicembre 1979-30 novembre 1980, visto che, essendo
l'attivit lavorativa del P. pacificamente cessata il 30 novembre 1979 ed essendo da quella data cominciato il
periodo annuale di preavviso con corrispondente versamento dei contributi all'INPDAI ma senza svolgimento della
corrispondente attivit lavorativa, la suddetta fattispecie non poteva farsi rientrare nell'ambito di applicazione della
L. n. 1046 del 1971, art. 2, cit., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimit.
Di qui il rigetto del primo motivo.
5.- Per quanto riguarda il secondo motivo va ricordato che, di recente, questa Corte, in una controversia
analoga alla presente, riguardante un iscritto a INARCASSA, ha affermato il principio - che il Collegio condivide secondo cui "nell'ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalit giuridica di diritto privato, comunichi ad un
proprio assicurato un'informazione erronea in ordine all'avvenuta maturazione del requisito contributivo
occorrente per poter fruire della pensione di vecchiaia, pur non essendo applicabile la L. 9 marzo 1989, n. 88, art.
54, il quale pone a carico dell'INPS l'obbligo di comunicare agli assicurati l'entit dei contributi versati, merita
nondimeno tutela, ai sensi dell'art. 1175 c.c., l'affidamento dell'assicurato, essendo altres gli organi degli enti
previdenziali privati, per l'attivit di amministrazione e di gestione svolta, in possesso di dati e di conoscenze, che
comportano la titolarit di poteri e di connessi doveri, anche di comunicazione, da esercitare con diligenza. Ne
consegue che grava sull'ente previdenziale l'obbligo di risarcire il danno derivato dall'erronea comunicazione e dalla
conseguente decisione dell'assicurato di cancellarsi dall'albo professionale" (Cass. 1 marzo 2012, n. 3195).
Nella suddetta sentenza stato osservato che - bench la L. n. 88 del 1989, art. 59, si riferisca espressamente
soltanto all'INPS e all'INAIL, ponendo a carico di tali Enti l'obbligo di comunicare, con valore certificativo,
all'assicurato "i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica" - nondimeno merita tutela
anche l'affidamento di un iscritto ad un ente previdenziale, avente personalit giuridica di diritto privato, come
l'INARCASSA. Infatti, gli organi di questo tipo ente sono in possesso di dati e - per l'attivit di amministrazione di
beni e di gestione di posizione altrui da loro svolta - di conoscenze anche giuridiche quasi sempre superiori a quelle
degli assicurati. Ci comporta altres la titolarit di poteri di diritto privato e di connessi doveri anche di
comunicazione, il cui esercizio deve essere svolto con diligenza e nel rispetto dei generali principi di correttezza e di
buona fede, ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c., essendo idoneo a generare affidamento nei destinatari, sempre con
riferimento ai dati di fatto concernenti la posizione assicurativa dell'interessato (che sono gli unici in possesso
dell'ente) e sempre che la comunicazione sbagliata sia tale da indurre l'interessato in errore scusabile.
Nelle suddette condizioni se l'ente previdenziale, avente personalit giuridica di diritto privato effettua
comunicazioni erronee sulla situazione pensionistica o previdenziale dell'assicurato sull'ente grava l'obbligo di
risarcire il danno derivato dall'erronea indicazione fornita (vedi, in tal senso, anche Cass. 17 maggio 2003, n. 7743).
Il applicazione - mutatis mutandis - dei principi affermati in tema di erronee comunicazioni al fornite da parte
dell'INPS in materia, si deve precisare che essendo la responsabilit di cui si tratta di tipo contrattuale, l'ente
risponde del danno derivatone salvo che provi che la causa dell'errore sia esterna alla propria sfera di controllo e
l'inevitabilit del fatto impeditivo nonostante l'applicazione della normale diligenza (vedi per tutte: Cass. 10
novembre 2008, n. 26925; Cass. 3 febbraio 2012, n. 1660; Cass. 19 settembre 2013, n. 21454).
Ci comporta che colui che agisce in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno ha l'onere di
provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare il fatto dannoso, senza necessit di provare la colpa
dell'autore del fatto dannoso, che presunta - salva la dimostrazione, da parte dell'ente, della non imputabilit
dello stesso al proprio comportamento - mentre il debitore convenuto gravato dell'onere della prova del fatto
estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento o dell'impedimento rappresentato dalla
impossibilit della prestazione derivante da causa a lui non imputabile prova che esige la dimostrazione dello
specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (vedi, fra le altre: Cass. 19 maggio 2001, n. 6865).
Come si detto, alla base della suddetta configurazione da porre la tutela del legittimo affidamento di un
iscritto nelle comunicazioni relative alla propria posizione assicurativa e pensionistica fornitegli dall'ente
previdenziale di appartenenza che, ancorch avente personalit giuridica di diritto privato.
In proposito, si deve precisare che da escludere, in via generale, che l'ordinamento imponga all'assicurato
l'obbligo di verificare l'esattezza dei dati forniti dal proprio ente previdenziale, sicch persistendo, in difetto di tale
adempimento, il nesso causale tra erroneit delle comunicazioni e danno indotto dalle stesse, per avervi il
destinatario fatto affidamento, la possibile applicazione - in relazione alle circostanze del caso concreto - del
principio di cui all'art. 1227 c.c., comma 2, - che impone l'onere di doverosa cooperazione della parte creditrice per
evitare l'aggravamento del danno indotto dal comportamento inadempiente del debitore - presuppone che
l'eventuale condotta attiva o positiva del creditore, funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto
comportamento, possa assumere rilievo soltanto nei limiti della "ordinaria diligenza", cio per quelle attivit non
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gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (ex plurimis, tra le pi recenti, Cass.
25 settembre 2009, n. 20684 del 2009;
Cass. 5 luglio 2007, n. 15231; Cass. 30 marzo 2005, n. 6735).
In tale quadro non dunque possibile invocare il principio di autoresponsabilit dell'assicurato - professionista
- cui fa riferimento la ricorrente - perch tale principio, nei limiti in cui applicabile nel nostro ordinamento, nasce
per tutelare l'affidamento degli altri soggetti sulle dichiarazioni altrui e comporta che colui che effettua una
dichiarazione si assuma la responsabilit di quanto dichiarato. E', tuttavia, pacifico che il suddetto principio non
possa trovare applicazione nelle ipotesi in cui il destinatario della dichiarazione in condizioni di accorgersi, usando
l'ordinaria diligenza, della erroneit della dichiarazione stessa (oppure della non corrispondenza della dichiarazione
alla reale volont del dichiarante), come accade nella specie.
Neppure potrebbe farsi richiamo all'autocertificazione, non ricorrendone, all'evidenza, i presupposti
applicativi.
Resta quindi da ribadire che anche gli enti previdenziali aventi personalit di diritto privato sono tenuti,
nell'esercizio dei loro compiti istituzionali, a non frustrare la fiducia degli assicurati, tra l'altro fornendo loro
informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative sulla rispettiva posizione contributiva e pensionistica.
Questo comporta pure il doveroso, sollecito controllo e riscontro dei dati afferenti la situazione contributiva e
pensionistica eventualmente forniti dagli assicurati, che possono essere anche affetti da incolpevoli errori - oltre che
da errori volontari, che per hanno differenti conseguenze - non essendo configurabile, come si detto, alcun
obbligo giuridico dell'assicurato in merito alla verifica dei dati suddetti, mentre sono gli enti destinatari ad essere
tenuti, istituzionalmente, ad effettuare, in tempi adeguati i necessari accertamenti al riguardo, anche nel proprio
interesse.
5.1.- La Corte torinese, con congrua e logica motivazione, ha fatto buongoverno dei richiamati principi,
affermando che:
1) indubbio che il P. chiese l'iscrizione a INARCASSA dal 1 novembre 1979, bench nel mese di novembre
1979 egli svolgesse ancora attivit lavorativa subordinata, sicch l'errore originario della Cassa fu causato dalla
condotta dell'assicurato;
2) per all'errore di origine si sovrapposto - con rilievo causale esclusivo - l'errore della Cassa in sede di
controllo della regolarit dell'iscrizione, sulla base della documentazione richiesta all'assicurato e da questi
sollecitamente inviata;
3) infatti, essendo l'attivit professionale del P. cessata il 14 novembre 1999, la Cassa avrebbe dovuto rilevare
tempestivamente, in base alla documentazione in suo possesso, che l'iscrizione doveva decorrere dal 1 dicembre
1979 e non dal 1 novembre 1979 e che, quindi, non si era perfezionato il requisito contributivo (di venti anni di
versamenti) per la liquidazione della pensione di anzianit;
4) la Cassa, invece, non solo non ha rilevato che, per tabulas, risultava che era sbagliato far decorrere
l'iscrizione dal 1 novembre 1979 perch la data esatta di decorrenza era il 1 dicembre 1979, ma ha indotto il P. in
errore comunicandogli con lettera del 23 ottobre 1989 che la anzianit della iscrizione decorreva dal 1 novembre
1979, cos ingenerando nel destinatario un incolpevole affidamento sulla regolarit della propria situazione
contributiva e pensionistica;
5) inoltre, nel maggio 1999, quando il P. inoltr la domanda di pensione la Cassa rinnov la induzione in errore
indicando nel 31 ottobre 1999 la data di maturazione del diritto a pensione, in tal modo impedendo all'interessato,
almeno in prossimit del pensionamento, di regolarizzare la situazione procrastinando del mese mancante la
cessazione dell'attivit lavorativa;
6) successivamente la Cassa ha anche proceduto alla liquidazione della pensione diretta e l'ha pagata per
cinque anni fino al decesso del P. (avvenuto il (OMISSIS));
7) la rilevazione dell'errore stata talmente tardiva da avvenire nel corso dell'istruttoria relativa alla pensione
di reversibilit in favore della vedova e quindi quando l'assicurato era gi deceduto e non era pi in condizione di
porvi eventualmente rimedio, soltanto in quella occasione si accertato che, sia pure per soli 16 giorni, non
sussisteva il requisito della iscrizione ventennale sicch il P. non aveva diritto alla pensione liquidatagli e, di
conseguenza, non sorto il diritto della vedova alla pensione di reversibilit;
8) nella descritta situazione va accolta la censura della C. volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati
da INARCASSA per avere ingenerato con il descritto comportamento un incolpevole affidamento in merito alla
regolarit della situazione contributiva e previdenziale del P., in quanto la condotta colposa della Cassa da
considerare la causa esclusiva del danno subito dalla C.;
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9) tale danno che costituito dal mancato riconoscimento del diritto alla pensione di reversibilit va liquidato
in misura pari alla pensione perduta, con gli interessi.
Ne deriva il rigetto anche del secondo motivo.
6.- Con riguardo al terzo motivo va, in primo luogo, precisato che - nonostante il formale richiamo alla
violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione del motivo - come si evince anche dalla memoria
depositata ex art. 378 c.p.c., tutte le relative censure si risolvono nella denuncia del vizio di motivazione della
sentenza impugnata, rappresentato dalla prospettata "insanabile contraddittoriet" tra la gi riportata
affermazione della Corte torinese secondo cui l'errore originario della Cassa fu causato dalla condotta
dell'assicurato e la successiva statuizione che a tale errore iniziale si sovrapposto - con rilievo causale esclusivo l'errore della Cassa in sede di controllo della regolarit dell'iscrizione.
Il suddetto vizio non sussistente.
Infatti - come si desume dalla congrua e logica motivazione della sentenza e come si anche detto sopra - il
suddetto controllo, con riguardo ai dati relativi alla situazione contributiva e pensionistica dell'interessato, un
compito istituzionale dell'ente previdenziale, tanto pi che diretto anche a prevenire eventuali comportamenti
scorretti - anche dolosamente - che possono incidere sugli equilibri finanziari dell'ente stesso.
Il fatto che esso venga svolto sulla base della documentazione richiesta all'assicurato (e da questi, nella specie,
sollecitamente inviata) non modifica la situazione, in quanto tale documentazione serve ad "agevolare" il compito
della Cassa attraverso la fornitura dei dati personali (anagrafici etc.) dell'assicurato, ma non ha certamente valore di
"autocertificazione", n in s n tanto meno per quel che concerne i dati di tipo contributivo - pensionistico che
l'ente previdenziale, anche dotato di personalit di diritto privato, competente a determinare e a comunicare agli
assicurati che lo richiedano, generando nei destinatari il legittimo affidamento sulla relativa esattezza.
N va omesso di considerare che, nella specie, la Cassa ha avuto circa venti anni di tempo - dal momento
dell'iscrizione a quello della corresponsione della pensione diretta al P. - per rilevare, in modo da consentire
all'interessato di potervi rimediare, l'errore, che si rivelato "fatale" per la C.. Invece, vi ha provveduto solo nel
corso dell'istruttoria relativa alla pensione di reversibilit in favore della vedova, dopo avere corrisposto per un
quinquennio la pensione diretta al defunto e quando ormai non poteva pi porsi rimedio alla mancanza - per soli 16
giorni - del requisito della iscrizione ventennale alla Cassa.
Ne deriva che - come peraltro risulta dalla sentenza impugnata - la sovrapposizione ovvero la prevalenza
dell'errore della Cassa rispetto a quello iniziale indotto dalla condotta dell'assicurato e il conseguente "rilievo
causale esclusivo" da attribuire al primo si desume dallo stesso svolgimento della vicenda, caratterizzata anche dal
fatto che, nel corso dei lunghi anni a propria disposizione, la Cassa non solo non ha rilevato l'errore ma, prima
nell'ottobre 1989 e poi nel maggio 1999, ha ingenerato nel P. un incolpevole affidamento sulla regolarit della
propria situazione contributiva e pensionistica con comunicazioni sbagliate e poi ha addirittura provveduto a
pagargli la pensione per un quinquennio.
Pertanto, anche il terzo motivo deve essere respinto.
7.- Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato (vedi, fra le
tante: Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9 giugno 2010, n. 13882).
4 - Conclusioni.
8.- In sintesi, il ricorso principale va respinto e quello incidetale condizionato va dichiarato assorbito.
Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna la ricorrente
principale al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro
5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Lavoro, il 29 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2014
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente Dott. CECCHERINI Aldo - rel. Consigliere Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11547/2008 proposto da:
A.A. (c.f. NSLRLA46L28C654E), C.F. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI
19, presso l'avvocato GRIMALDI PAOLO, rappresentati e difesi dall'avvocato GRECO FRANCESCO, giusta procura in
calce al ricorso;
- ricorrenti contro
G.F., E.S.A. - ENTE SVILUPPO AGRICOLO, AGENZIA REGIONALE PER I RIFIUTI E LE ACQUE DELLA REGIONE
SICILIANA;
- intimati sul ricorso 14007/2008 proposto da:
E.S.A. - ENTE SVILUPPO AGRICOLO, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA,
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
- controricorrente e ricorrente incidentale contro
C.F., A.A.;
- intimati avverso la sentenza n. 378/2007 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 16/04/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. ALDO
CECCHERINI;
udito, per i ricorrenti, l'Avvocato GRECO FRANCESCO che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, assorbimento dell'incidentale.
Svolgimento del processo
1. Oggetto della controversia l'impugnazione proposta dall'Ente di Sviluppo Agricolo (ESA) del lodo arbitrale
sottoscritto il 6 aprile 2004, che aveva parzialmente accolto la domanda proposta nei suoi confronti da due
professionisti, l'avvocato A.A. e l'ingegner C.F., di rideterminazione del giusto compenso spettante per l'incarico
collegiale, espletato in esecuzione della convenzione stipulata tra le parti il 29 luglio 1998.
2. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza 16 aprile 2007, ha respinto l'impugnazione dell'ing. C. e,
accogliendo l'impugnazione dell'ente, ha annullato il lodo; quindi, decidendo in via rescissoria, ha respinto nel
merito le domande. La corte ha negato che per il contratto in questione nella tariffa ingegneri fosse stabilita
l'inderogabilit dei minimi tariffari; e che l'inderogabilit stabilita in via generale per gli avvocati sia estensibile agli
ingegneri. Riguardo poi all'impugnazione proposta contro l'avvocato A., la corte ha considerato la peculiarit della
fattispecie, riguardante un'attivit svolta dal legale nell'ambito di una commissione rappresentativa di altre
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professionalit, non valutabile all'esterno come attivit del singolo componente; e ha osservato che, trattandosi di
incarico a favore di ente pubblico tenuto a osservare il principio di buona amministrazione, relativamente alla scelta
del contraente non ricorre la ratio della norma tariffaria, costituita dall'intento di impedire l'accaparramento della
clientela e assicurare la dignit della professione.
3. Per la cassazione della sentenza, non notificata, ricorrono i due professionisti per quattro motivi.
Resiste l'ESA con controricorso e ricorso incidentale condizionato per tre motivi.
Motivi della decisione
4. Il primo motivo del ricorso principale verte sul capo dell'impugnata sentenza che ha annullato il lodo e,
pronunciando in via rescissoria, ha respinto la domanda dell'avvocato A., sulla premessa di diritto che
l'inderogabilit dei minimi tariffari, per gli avvocati, non fosse applicabile per la particolarit della fattispecie di
incarico conferito da ente pubblico. Si denuncia la violazione della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, e si formulano i
quesiti se il principio d'inderogabilit dei minimi tariffari, stabilito dalla citata disposizione, possa essere derogato
qualora il mandato sia stato conferito all'avvocato da un ente pubblico in funzione della sua natura pubblica, e se il
principio di buon andamento della P.A. possa giustificare la violazione di leggi imperative e inderogabili, quali la L. n.
794 del 1942, art. 24, all'epoca vigente.
La censura di cui al secondo motivo, formulato per vizi di motivazione, verte sul medesimo punto.
5. Delle due censure, la seconda inammissibile, ponendo in termini di motivazione la medesima questione,
che nel primo motivo stata correttamente formulata in termini di violazione di norme di diritto.
E', infatti, principio consolidato nella giurisprudenza della corte che il difetto di motivazione della sentenza
possa formare oggetto di ricorso per cassazione solo per quanto attiene all'accertamento e alla valutazione dei fatti
rilevanti per la decisione e non anche per quanto concerne l'interpretazione e l'applicazione di norme di diritto e la
soluzione di questioni giuridiche, rispetto alle quali il Sindacato di legittimit si esaurisce nel controllo della
conformit al diritto della decisione impugnata. Pertanto, se la questione giuridica stata esattamente risolta, la
sentenza - anche se inadeguatamente ed erroneamente motivata o, al limite, del tutto carente di motivazione - non
pu essere cassata, dovendo la corte, nell'esercizio del potere integrativo e correttivo della motivazione
espressamente attribuirle dall'art. 384 c.p.c., limitarsi a integrare o a correggere la motivazione difettosa o erronea:
solo se la soluzione adottata risulta giuridicamente inesatta, la sentenza impugnata deve essere cassata per
violazione o falsa applicazione di norme giuridiche (Cass. 25 gennaio 1977 n. 366; 28 marzo 2001 n. 4526; 19
febbraio 2003 n. 2469).
Venendo ora alla questione di diritto posta dal primo motivo, si deve appunto registrare la correttezza
giuridica della decisione della corte territoriale, sebbene non del tutto correttamente motivata. E' bens vero, infatti,
che nella motivazione dell'impugnata sentenza sembra volersi affermare che la deroga ai minimi stabiliti dalla tariffa
per le prestazioni professionali di avvocato sarebbe consentita in ragione della particolarit della fattispecie,
principio che, nei termini appena indicati, sarebbe errato.
Nell'illustrazione della particolarit della fattispecie, tuttavia, la sentenza impugnata pone in evidenza
elementi - e precisamente il fatto che si tratta di attivit svolta dal legale nell'ambito di una commissione della
pubblica amministrazione, rappresentativa di altre professionalit, non valutabile all'esterno come attivit del
singolo componente - tali da escludere che la prestazione in questione fosse compresa nel novero di quelle tipiche
dell'esercizio della professione di avvocato, per le quali soltanto trovano applicazione i minimi tariffari. Le tariffe
professionali degli avvocati e procuratori legali, infatti, sono applicabili solo per quelle attivit tecniche o comunque
collegate con prestazioni di carattere tecnico che siano considerate nella tariffa, oggettivamente proprie della
professione del legale in quanto specificamente riferite alla consulenza o assistenza delle parti in affari giudiziari o
extragiudiziari, e non possono essere, pertanto, applicate, solo perch rese da un professionista iscritte all'albo, alle
prestazioni che richiedono solo un'approfondita conoscenza del diritto, senza alcun riferimento a una pratica o
affare determinato (Cass. 19 agosto 1994 n. 7438).
Con riferimento alla fattispecie in esame, quale emerge dalla riferita motivazione della corte territoriale, deve
escludersi che costituisca esercizio tipico della professione forense la partecipazione a una commissione, a
composizione mista e comprendente professionalit diverse, giacch tale partecipazione si traduce in atti imputabili
esclusivamente all'organo collegiale, ed come tale incompatibile con il principio del carattere personale della
professione forense.
Il ricorso proposto dall'avvocato A. deve essere pertanto respinto in forza del principio di diritto per il quale,
nella vigenza delle tariffe professionali di avvocato che stabilivano dei minimi tariffari, il divieto di derogare ai
predetti minimi non trovava applicazione per le prestazioni diverse da quelle tipiche della professione forense, tra le
quali non pu annoverarsi la partecipazione a una commissione della pubblica amministrazione a composizione
mista di tecnici di professionalit diverse.
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Il terzo motivo verte sulla violazione degli artt. 827 e 829 c.p.c., Si deduce che la qualificazione, nel lodo
arbitrale, della L. n. 794 del 1942, come inderogabile non rientrerebbe tra le ipotesi di nullit contemplate dagli artt.
827 e 829 c.p.c..
Il motivo assorbito dal rigetto dei motivi precedenti, essendo stata accertata la legittimit della
disapplicazione dei minimi tariffari a causa dell'estraneit delle prestazioni per cui causa a quelle proprie ed
esclusive della professione di avvocato, per le quali soltanto trovava applicazione il principio di inderogabilit dei
minimi tariffari.
Il rigetto del predetto ricorso comporta l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato, proposto dall'Ente
di Sviluppo Agricolo.
6. Con riferimento al capo di sentenza che rigetta l'impugnazione proposta dall'ingegner C. sono stati proposti
tre motivi di censura. Il primo verte sulla violazione della L. 2 marzo 1949, n. 143, assumendosi che il D.L. 4 luglio
2006, n. 223, art. 2, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248 - che in applicazione del principio comunitario di libera
concorrenza ha abrogato, con riferimento alle attivit libero professionali e intellettuali, i divieti legislativi di
pattuizione di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, imporrebbe una revisione della
giurisprudenza di questa corte in materia di derogabilit dei minimi tariffari degli ingegneri. Si deduce che se, in
precedenza, fossero state inderogabili solo le tariffe degli avvocati e non anche quelle degli ingegneri e architetti, la
nuova disposizione sarebbe stata diversamente formulata.
Il secondo motivo dell'ingegner C. denuncia la violazione degli artt. 3 e 36 Cost., per l'ipotesi di ritenuta
derogabilit dei minimi tariffari dei soli ingegneri e architetti.
I due motivi sono infondati. Questa corte ha gi avuto ripetutamente occasione di affermare il principio che
l'inderogabilit dei limiti tariffari di categoria stabiliti per i professionisti circoscritta dalla L. 1 luglio 1977, n. 404,
art. 6, ai soli incarichi professionali privati e non vale, pertanto, per gli incarichi conferiti da enti pubblici, in quanto
detta norma, interpretando autenticamente l'articolo unico della L. 5 maggio 1976, n. 340, - che sancisce
l'inderogabilit dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti - ne ha limitato l'applicazione ai
rapporti intercorrenti tra privati, con previsione che non viola l'art. 3 Cost., riguardando la derogabilit dei minimi
tariffari prevista dall'art. 6 legge cit. anche i professionisti privati, e non solo quelli pubblici (cfr., tra le altre, Cass. 27
giugno 2011 n. 14187; conf. n. 9806 del 2001, n. 20296 del 2004). Il valore di tale interpretazione autentica, peraltro
non sottoposta a censura dal ricorrente, non pu essere inficiato da una norma successiva, che ha avuto l'effetto di
estendere, con riguardo al compenso dovuto per le prestazioni professionali degli ingegneri, la soppressione
dell'inderogabilit dei minimi anche ai rapporti tra i privati.
E' poi da ricordare che l'art. 36 Cost., riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non rileva in questa sede.
Vano, infine, il richiamo al principio affermato dalla Corte di giustizia CE con la sentenza 19 febbraio 2002 in
causa C-35/99, che ha affermato la legittimit comunitaria dell'inderogabilit delle tariffe professionali "se
approvate con provvedimenti normativi dello Stato", giacch proprio questa condizione venuta meno nella
fattispecie in esame.
7. Il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 1453 c.c., perch non sarebbe stata data attuazione alla
volont contrattuale delle parti, essendo l'amministrazione inadempiente anche rispetto al compenso pattuito. Il
quesito di diritto verte sul diritto di chiedere l'applicazione della tariffa in caso di risoluzione del contratto per
inadempimento.
Il quesito, anche a voler trascurare la sua incongruenza con la censura di violazione dell'art. 1453 c.c.,
inammissibile, supponendo una risoluzione del contratto della quale - come della relativa domanda - non v' traccia
nella sentenza impugnata.
La parte finale del ricorso dedicata a un'inammissibile discussione sul merito dei compensi spettanti ai due
professionisti.
8. In conclusione, anche il ricorso proposto dall'ing. C. respinto. Le spese del giudizio sono a carico solidale
dei ricorrenti principali, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l'incidentale; condanna i ricorrenti principali, in solido,
al pagamento delle spese del giudizio di legittimit, liquidate in complessivi Euro 15.200,00, di cui Euro 200,00 per
esborsi, oltre agli oneri accessori di legge.
Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il
16 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2013
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accoglieva il gravame e, per l'effetto, revocava l'opposto decreto monitorio e condannava gli appellati, in solido fra
loro, alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A sostegno dell'adottata decisione, la Corte salentina, dopo aver constatato che, in grado di appello era stata
depositata la copia notificata del decreto ingiuntivo e che l'opposizione originariamente proposta era tempestiva,
riteneva la stessa fondata nel merito, poich l'ammontare delle spese oggetto del ricorso monitorio era stato
calcolato, in base alla clausola n. 7) della convenzione intercorsa tra le parti, nella misura forfettaria del 30% degli
onorari spettanti, che, per, si sarebbe dovuta qualificare nulla siccome in contrasto con il disposto normativo di cui
alla L. n. 404 del 1977, art. 6 (da intendersi come non limitato solo al settore dell'edilizia carceraria).
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P.M., M.A.M., L.A. e L. G. (gli ultimi tre
nella qualit di eredi di L.R.), articolato in tre motivi. Il Comune di Brindisi si costituito con controricorso.
Il difensore dei ricorrenti ha anche depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto - in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 - la violazione od
errata applicazione e, quindi, la falsa applicazione della L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, commi 2 e 4, nonch della L. 2
marzo 1949, n. 143, art. 13, comma 2, come modificato dal D.M. 21 agosto 1958, art. 5, oltre che degli artt. 12 e 14
preleggi, dell'art. 1362 c.c. e segg. e dell'art. 112 c.p.c., congiuntamente al vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia consistente nella circostanza che la Corte
territoriale aveva ritenuto di fondare la sentenza impugnata sul ravvisato carattere generale della previsione di cui
alla citata L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 4, con mero richiamo acritico di precedenti giurisprudenziali, omettendo
di considerare ed interpretarne il disposto di cui alla menzionata legge sistematicamente alla luce delle disposizioni
di cui agli artt. 12 e 14 preleggi, nonch nella parte in cui non aveva considerato l'esclusione dalla fattispecie di cui
all'indicato della stessa L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 4 (giusta combinata sistematica lettura con il precedente
comma 2) delle ipotesi, ricorrenti nella specie, di incarico con progettazione non semplice, ma esecutivo, e
dell'incarico di progettazione singolo, peraltro in assoluto difetto di motivazione sul punto, con particolare riguardo
alla dedotta e provata "per tabulas" natura esecutiva e, comunque, unica dell'incarico progettuale affidato ed
espletato dai professionisti.
Quanto alla prospettata violazione di legge i ricorrenti hanno indicato - ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c. ("ratione
temporis" applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata l'11 settembre 2006) - il seguente quesito di
diritto: "dica la S.C. se il disposto della L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, comma 4, debba intendersi come norma
avente valenza derogatoria rispetto alla previsione di cui alla L. 3 marzo 1949, n. 143, art. 13, comma 2, come
modificato dal D.M. 21 agosto 1958, art. 5 e, come tale, norma speciale non applicabile oltre i casi e le ipotesi
individuate dalla normativa di cui alla L. n. 404 del 1977 e, quindi, alla sola materia dell'edilizia degli istituti di
prevenzione e pena, come da rubrica della richiamata legge".
2. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione od errata interpretazione e, quindi, la falsa
applicazione della L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, comma 4, del difetto dell'interpretazione sistematica del precetto
con il disposto dell'art. 6, comma 2, della medesima legge e giusta le previsioni di cui agli artt. 12 e 14 disp. gen.,
anche sotto l'ulteriore profilo dell'omessa vantazione, motivazione e decisione della natura complessa del progetto
esecutivo affidato e sulla dedotta unicit dell'incarico professionale conferito dal Comune di Brindisi ed espletato
dai professionisti.
Con riferimento alla dedotta violazione di legge i ricorrenti hanno formulato - in virt del citato art. 366 bis
c.p.c. - il seguente quesito di diritto: "dica la S.C. se il disposto di cui alla L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 4, debba
leggersi sistematicamente alla luce ed in combinata disposizione con il precetto di cui al precedente comma 2 del
medesimo articolo, cosicch, nella fattispecie di esclusione del rimborso forfetario delle spese ivi prevista, debbano
ricomprendersi solo le ipotesi costituite:
- dall'affidamento di meri incarichi di progettazione c.d. "pura" e non gi di progettazione esecutiva, laddove
l'Amministrazione abbia previsto - anche eventualmente con successivo atto all'uopo da predisporsi - altres di
conferire ai professionisti incaricati anche l'incarico della direzione, misura e contabilit dei lavori;
- dall'affidamento di incarichi di progettazione c.d. "plurimi" e non gi "singoli", dovendosi intendere il
carattere plurimo od unico dell'incarico, non gi solo con riguardo al numero dei professionisti cui venga affidato
l'incarico, ma anche con uno specifico riguardo alla modalit di calcolo del compenso e di predisposizione della
fattura, che laddove convenzionalmente operati come se a fatturare e richiedere il compenso sia un unico
professionista, debba, pertanto, ritenersi come unico incarico di progettazione e non gi come plurimo, con
conseguente disapplicazione del precetto di cui alla L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 4;
- dall'affidamento di incarichi di progettazione afferenti ad un'opera unica e non gi - anche in ipotesi di
nomina ed affidamento dell'incarico a pi professionisti - a distinte opere e manufatti.
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3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno denunciato l'ulteriore violazione od errata interpretazione e, quindi, la
falsa applicazione della L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, commi 2 e 4, nonch della L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 13,
comma 2, come modificato dal D.M. 21 agosto 1958, art. 5, oltre che degli artt. 12 e 14 preleggi, alla stregua degli
artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1375 c.c. e degli artt. 112 e 116 c.p.c., congiuntamente al vizio di omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, laddove la Corte di appello di Lecce
aveva omesso di valutare ed interpretare il precetto di cui alla L. n. 407 del 1977, art. 6, citato comma 4, in
conformit delle disposizioni e dei criteri di ermeneutica e condotta di cui agli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1375
c.c., con riguardo - invece pretermesso - alle emergenze probatorie agli atti dei giudizi di merito, costituite dalla
convenzione di incarico e dalla Delib. G.M. che aveva originariamente riconosciuto ed approvato la nota specifica
predisposta dagli architetti secondo la quantificazione percentuale delle spese sugli onorari e, quindi, omettendo di
tener conto del legittimo affidamento ingenerato nei professionisti, nel senso indicato rilevando, vieppi, le stesse
dichiarazioni confessorie del Comune di Brindisi agli atti del giudizio.
A sostegno delle indicate violazioni i ricorrenti hanno prospettato i seguenti quesiti di diritto: 1) " dica la S.C. se
la Corte di appello adito abbia erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie disaminata il disposto di cui alla L.
n. 404 del 1977, art. 6, comma 4, obliterando la valenza dirimente - in senso opposto - degli stessi atti, dichiarazioni
e provvedimenti provenienti dall'Amministrazione comunale e costituiti dalla predisposta e sottoscritta
convenzione di incarico dell'8 marzo 1985 e dalle Delib. G.M. di approvazione della nota specifica presentata dai
professionisti con computo percentuale delle spese sull'importo di cui agli onorari, la L. n. 3627 del 1988 e di
chiarimento, la n. 419 del 1989, che, interpretate alla stregua dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362, 1363,
1366, 1367 e 1370 c.c. ed in applicazione del precetto di cui all'art. 1375 c.c., avrebbero dovuto comprovare la
preventiva difforme valutazione resa dalla stessa Amministrazione comunale, s da aver ritenuto, con riferimento
all'incarico conferito: - o che lo stesso non rientrasse nelle previsioni di cui alla L. n. 404 del 1977 (art. 6, commi 2 e
4) perch limitatesi tale previsione alla sola specifica materia dell'edilizia carceraria; - o che lo stesso incarico,
giacch non semplicemente di progettazione, ma vieppi esecutivo, con previsione dell'affidamento ai professionisti
altres della direzione, misura e contabilit dei lavori (come da art. 9 del disciplinare), non rientrasse nell'ipotesi
disciplinata dalla L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 2, alla quale solamente si riferisce il successivo comma 4 dello
stesso articolo della legge citata; - o che lo stesso incarico, giacch ritenuto e disciplinato dall'Amministrazione
comunale, quanto anche a soli criteri di quantificazione e liquidazione del compenso, come unico e non gi plurimo
(come da art. 16 del disciplinare), non rientrasse nell'ipotesi disciplinata dalla L. n. 404 del 1977, art. 6, comma 2,
alla quale solamente si riferisce il successivo comma 4 dello stesso articolo della legge citata;
2) se, in linea generale, al fine della valutazione da parte del giudice di merito, della ricorrenza o meno di
fattispecie rientrante nelle previsioni di cui alla L. n. 404 del 1977, art. 6, commi 2 e 4, il giudice debba attribuire
rilievo preminente agli atti amministrativi ed ai contratti stipulati dalla P.A. ed - applicati agli stessi i criteri di
ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1370 c.c., ed alla loro esecuzione il fondamentale
principio di cui all'art. 1375 c.c. - cos previamente valutare non gi solo da essi traspaia la preventiva valutazione da
parte contraente pubblica della non riconducibilit della fattispecie e del rapporto contrattuale cos instaurato a
quelli aventi caratteristiche tali da rientrare, per contro, nella normativa di legge sopra richiamata".
4. Rileva il collegio che i primi due motivi - esaminabili congiuntamente in quanto strettamente connessi - sono
infondati e vanno, pertanto, rigettati. Dette censure investono, nella loro essenzialit, l'interpretazione fatta dalla
Corte di appello di Lecce, nella sentenza impugnata, con riferimento alla portata della L. n. 404 del 1977, art. 6,
commi 2 e 4, ed al suo raccordo con le clausole convenzionalmente pattuite con il disciplinare di incarico ai due
professionisti (a cui favore gli onorari erano gi stati corrisposti, restando controversa soltanto la spettanza - e, in
caso positivo, la determinazione della misura - delle spese che erano state concordate in modo forfettario in
relazione ad una apposita percentuale commisurata all'importo dei compensi).
Orbene, il giudice di secondo grado ha - sul presupposto idoneamente accertato in fatto che l'incarico
conferito congiuntamente ai due professionisti riguardava l'espletamento dell'attivit di progettazione finalizzata al
riuso e alla valorizzazione della Opera a (OMISSIS) - ritenuto, con motivazione logica ed adeguata oltre che
rispondente ai principi giuridici gi affermati nella giurisprudenza di questa Corte in materia, che la pattuizione
riferita alla modalit di criterio del computo delle spese (rapportato alla misura del 30% degli onorari dovuti) fosse
da considerarsi invalida, incorrendo nella violazione del divieto stabilito dalla L. n. 404 del 1977, art. 6.
A tal proposito il giudice di appello si conformato all'esatto principio gi statuito da questa Corte (cfr. Cass. n.
5230 del 1999 e Cass. n. 15762 del 2001), dal quale non emergono ragioni per discostarsi, alla stregua del quale, in
tema di incarichi di progettazione conferiti dallo Stato e da altri enti pubblici, la L. n. 404 del 1977, art. 6
(riguardante la corresponsione del rimborso spese di cui alla tariffa professionale solo in base alla documentazione
prodotta dal professionista, con esclusione di qualsiasi liquidazione forfettaria), norma a carattere imperativo, con
conseguente nullit di ogni contraria pattuizione. E' stato, in proposito, congruamente rilevato che il suddetto
carattere imperativo della richiamata chiaramente desumibile, oltre che dalla sua perentoria formulazione (che
subordina espressamente il riconoscimento delle spese vive all'esistenza di apposita documentazione fornita dal
professionista) volta ad accentuarne il carattere cogente ed assoluto, anche dalla opportuna ratio di contenimento
della spesa pubblica.
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Sulla questione in discorso stato, altres, chiarito che la L. 1 luglio 1977, n. 404, citato art. 6, comma 4,
secondo cui, per gli incarichi di progettazione conferiti dallo Stato o da un altro ente pubblico a pi professionisti
per la stessa opera, il rimborso spese di cui alla tariffa professionale va corrisposto solo in base alla documentazione
esibita, con esclusione di rimborsi forfettari, trova applicazione anche nel caso di individuazione delle parti affidate
a ciascun professionista, poich, nel momento in cui tale disposizione, con il richiamo del secondo comma, non
richiede che i professionisti siano riuniti in collegio, chiaramente prevede che ciascuno di loro possa lavorare
secondo le proprie competenze, purch le varie parti del progetto vadano a comporsi nell'identit dell'opera
complessiva oggetto dell'incarico.
Anche con riferimento all'ambito di applicabilit della norma in esame, sulla cui interpretazione i ricorrenti
hanno mosso le loro censure, la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 11037 del 1995 e la citata
Cass. n. 5230 del 1999) ha avuto modo di chiarire che la disposizione di cui alla L. 1 luglio 1977, n. 404, art. 6, nello
stabilire che l'inderogabilit dei minimi tariffari di cui alla L. 5 maggio 1976, n. 340 valida solo per i rapporti fra i
privati e nel fissare i limiti massimi dei compensi fra lo Stato o gli altri enti pubblici ed i professionisti, non contiene
alcun riferimento all'edilizia carceraria, pur essendo essa inserita nella legge intitolata "Aumento dello stanziamento
previsto dalla L. 12 dicembre 1971, n. 1133, art. 1, relativo all'edilizia degli istituti di prevenzione e pena"; pertanto,
tale norma, che costituisce interpretazione autentica dell'articolo unico della citata L. n. 340 del 1976, ha portata
generale e non limitata al settore dell'edilizia carceraria.
Di conseguenza, in virt delle suddette ragioni, i primi due motivi del ricorso devono essere disattesi.
5. Il terzo motivo proposto da ritenersi propriamente inammissibile perch con esso i ricorrenti hanno, in
effetti, introdotto una censura riferita a doglianze nuove in quanto non risultanti n dedotte n esaminate in grado
di appello.
Con tale censura, i medesimi ricorrenti hanno, invero, inteso contestare la sentenza impugnata, sostenendo
che la Corte territoriale non aveva assegnato alcun valore all'affidamento che si sarebbe ingenerato nei due
professionisti per effetto del comportamento tenuto dal Comune committente in relazione alla pretesa economica
dagli stessi avanzata.
Orbene, a prescindere dalla circostanza che tale questione non aveva costituito specifico oggetto del "thema
decidendum" e dalla irrilevanza della (asserita) condotta successivamente osservata dal Comune intimato, assume
valenza decisiva l'affermazione che, in ogni caso, n eventuali previsioni derogatorie contenute nella convenzione
pattuita n il presunto affidamento indotto negli stessi professionisti dallo stesso ente committente avrebbero
potuto produrre un valido effetto giuridico, poich - come gi sottolineato - il precetto contenuto nel pi volte della
L. n. 404 del 1977, richiamato art. 6, proprio in virt della sua natura imperativa e cogente, si sarebbe dovuto
considerare inderogabile per volont delle parti, onde un'eventuale siffatta previsione non avrebbe potuto che
essere qualificata come nulla.
6. In definitiva alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente
respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in via fra loro solidale, al pagamento delle spese del presente
giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di
legittimit dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virt dell'art. 41 dello stesso
D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle
voci come per legge.
Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 24 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2013
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Dott. ODDO Massimo - Presidente Dott. NUZZO Laurenza - Consigliere Dott. MANNA Felice - Consigliere Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere Dott. FALASCHI Milena - rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 18079/07) proposto da:
I.C., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv.to PEZONE Alfonso del
foro di Chieti e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione in Roma, piazza Cavour n. 1;
- ricorrente contro
arch. D.G.G., rappresentato e difeso dall'Avv.to Putaturo Walter del foro di Pescara, in virt di procura speciale
apposta a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv.to Luigi Manzi che pure
lo difende, in Roma, via Federico Confalonieri n. 5;
- controricorrente avverso la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila n. 337 depositata il 10 maggio 2006;
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 6 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott.ssa
Milena Falaschi;
udito l'avv. MACCHIA per delega;
udito l'Avv.to Federica Manzi (con delega dell'Avv.to Walter Putaturo), per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato l'11 febbraio 1996 I.C. evocava, dinanzi al Tribunale di Chieti, l'arch. D.G. G.
esponendo che a causa del mancato compimento da parte del convenuto dell'incarico professionale allo stesso
conferito, non aveva potuto dare inizio ai lavori della progettata costruzione entro il termine stabilito a pena di
decadenza nella concessione edilizia rilasciatale dal Comune di Rapino, per cui ne chiedeva la condanna alla
restituzione della somma versata a titolo di compenso, oltre al risarcimento dei danni a lei derivati dall'impossibilit
di realizzare i lavori per l'intervenuta scadenza dell'efficacia del provvedimento concessorio.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva il difetto di legittimazione attiva
per avere ricevuto incarico da M.R., figlio dell'attrice, oltre a dedurre l'insussistenza di qualsivoglia inadempimento,
il giudice adito rigettava la domanda attorea.
In virt di rituale appello interposto dalla I., con il quale insisteva per la piena utilizzabilit delle dichiarazioni
del teste M. e quindi per l'accoglimento dell'azione, la Corte di appello di L'Aquila, nella resistenza del D.G.,
rigettava il gravame.
A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale sottolineava che anche a volere considerare il M.
semplice mandatario della madre, lo stretto vincolo di parentela fra l'attrice ed il teste, con evidente comunanza
degli interessi economici connessi all'espletamento dell'incarico professionale, determinava dubbi sull'attendibilit
dello stesso e quindi l'impossibilit per il giudicante di fondare la decisione esclusivamente sulle sue dichiarazioni
testimoniali, in particolare quanto all'esistenza del nesso di causalit tra la pretesa inadempienza ed il verificarsi del
dedotto danno.
Di converso non risultava che - conferito al tecnico l'incarico di progettare la costruzione ed ottenuta la
relativa concessione edilizia, oltre alla direzione dei lavori - fosse stato allo stesso conferito anche l'incarico di
ottemperare alla prescrizione imposta dal provvedimento concessorio, ossia richiesta di nulla osta al Genio Civile ai
fini degli adempimenti relativi alla normativa antisismica, n che l'architetto avesse invitato la committente a
pazientare fino allo scadere dell'efficacia della concessione.
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Aggiungeva che l'assunzione della direzione dei lavori da parte del professionista comprendeva ogni attivit
necessaria ad assicurare la realizzazione dell'opera, mentre per gli adempimenti di ordine burocratico l'adozione
degli atti necessari rimaneva riservata alla committente-proprietaria, salvo la prova di un'eventuale intervenuta
delega.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di L'Aquila ha proposto ricorso per cassazione la I.,
articolato su due motivi, al quale ha replicato il D.G. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell'art. 246 c.p.c. per non avere basato la
propria decisione sulle dichiarazioni del teste M. ritenendone la inattendibilit, nonostante il vincolo di parentela
non possa essere aprioristicamente ritenuto per categoria. A conclusione della censura posto il seguente quesito
di diritto: "Voglia l'adita corte chiarire se la valutazione in ordine all'attendibilit di un teste, prossimo parente di
una delle parti, debba avvenire soprattutto in relazione al contenuto della dichiarazione alla stregua di elementi di
natura oggettiva, quali la precisione delle dichiarazioni e l'assenza di contraddizioni, e di carattere soggettivo, quali
la credibilit della dichiarazione in relazione alle qualit personali".
Il motivo non meritevole di accoglimento.
In ordine alla pretesa violazione dell'art. 246 c.p.c., ravvisata nell'avere il giudice a quo escluso di potere
attribuire valore alla deposizione del teste M.R., occorre rilevare che a tale conclusione il detto giudice pervenuto
non solo per essere il teste parente (figlio) della ricorrente, ma anche per l'evidente sostanziale interesse dello
stesso ad un determinato esito della controversia, dovendo quegli essere ritenuto quanto meno mandatario della
madre nell'ambito dei rapporti intercorsi con il professionista, con conseguente comunanza di interessi economici
connessi all'espletamento dell'incarico.
Devesi, infatti, rilevare come la deposizione non sia stata ritenuta inammissibile (ci che avrebbe, in effetti,
potuto tradursi in violazione degli artt. 246 e 247 c.p.c., non trattandosi di persona portatrice d'un interesse
legittimante alla partecipazione al giudizio ed essendo venuto meno per i parenti il divieto di testimoniare a seguito
della sentenza della Corte Costituzionale 23.7.94 n. 248), bens inattendibile, valutazione del tutto legittima da parte
del giudice del merito ove, come nella specie, supportata da motivazione del tutto logica ed adeguata. Se ben
vero, infatti, che sarebbe illegittima ogni aprioristica valutazione di non credibilit delle deposizioni rese dai parenti
e dalle persone aventi un interesse di mero fatto ad una determinata soluzione della controversia, non di meno
consentito al giudice del merito valutare i detti, vincolo di parentela ed interesse, in concorso con ogni altro utile
elemento, ai fini della verifica della maggiore o minore credibilit della deposizione resa dal teste; ci in quanto,
allorch un unico teste riferisca in ordine a circostanze palesemente favorevoli in via esclusiva ad una delle parti, il
detto giudice, tenuto conto d'ogni altro elemento, pu legittimamente assumere, quale criterio discriminante circa
la sufficienza o meno del materiale probatorio acquisito e per la rispondenza al vero delle asserzioni riportate dallo
stesso teste, il vincolo di parentela che l'unisca all'una delle parti come l'interesse indiretto ad un determinato esito
della lite, che pu indurre il teste a riferire, anche in modo inconsapevole, una visione distorta della realt
fenomenica e ad assumere posizioni non obiettive, per aprioristico atteggiamento di favore nei confronti dell'uno
dei contendenti (cfr, da ultimo, Cass. 21 febbraio 2011 n. 4202, ma gi, Cass. 12 gennaio 2006 n. 403, Cass. 30
agosto 2004 n. 17384, Cass. 21 agosto 2003 n. 12317, Cass. 20 agosto 2003 n. 12259, Cass. 16 giugno 2003 n. 9652,
Cass. 18 marzo 2003 n. 3956, Cass. 14 febbraio 2000 n. 1632).
Ne consegue che la valutazione dell'attendibilit del teste M., avendo la corte di merito esercitato un potere
valutativo proprio di ogni giudice di merito, sfugge al sindacato di legittimit se, come nella specie, esente da vizi
logico- giuridici.
Con il secondo motivo denunciata la violazione dell'ari. 2236 c.c., oltre ad insufficiente motivazione, per non
avere la corte di merito ritenuto provato che al tecnico fosse stato conferito anche l'incarico di ottemperare alla
prescrizione imposta dal provvedimento concessorio, quale la richiesta di nulla osta al Genio Civile ai fini degli
adempimenti relativi alla normativa antisismica, in mancanza di prova di delega di tale compito al tecnico,
nonostante la propria attivit involgesse l'impiego di peculiari competenze tecniche.
Aggiunge la ricorrente che rientrano nelle obbligazioni del direttore dei lavori l'accertamento della conformit
dell'opera al progetto sia agli adempimenti connessi all'esecuzione della stessa. La censura culmina nel seguente
quesito di diritto: "Voglia l'adita corte chiarire se il professionista che riceve l'incarico di progettare e dirigere dei
lavori per conto del committente debba utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare,
relativamente all'opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, rientrando
nelle sue obbligazioni l'adozione di tutti gli accorgimenti volti a garantire la realizzazione dell'opera, ivi compresa la
presentazione al Genio civile dei calcoli strutturali al fine di ottenere il nulla osta per l'inizio dei lavori, e la
comunicazione di ogni possibile inconveniente che pregiudichi l'esecuzione dei lavori alla committente,
specialmente qualora quest'ultimo sia una persona anziana ed analfabeta e quindi non in grado di provvedere in
proprio all'espletamento delle relative incombenze".
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Va rammentato al riguardo, in aderenza a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 15781
del 2005), che la distinzione tra obbligazioni "di mezzi" e "di risultato" ininfluente ai fini della valutazione della
responsabilit di chi incaricato di redigere un progetto di ingegneria o architettura in quanto il mancato
conseguimento dello scopo pratico avuto di mira dal cliente , comunque, addebitabile al professionista ove sia
conseguenza dei suoi errori che rendano le previsioni progettuali inidonee ad essere attuate.
La Cassazione sempre a Sezioni Unite (Cass. n. 577 del 2008) ha successivamente ribadito il superamento della
distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, specie nelle ipotesi di prestazione d'opera intellettuale, tenuto
conto che un risultato dovuto in tutte le obbligazioni, richiedendosi in ogni obbligazione la compresenza sia del
comportamento del debitore che del risultato, sia pure in proporzione variabile. La Corte di legittimit ha precisato,
inoltre, che il comportamento rilevante, nell'ipotesi di azione di responsabilit per risarcimento del danno nelle
obbligazioni cosiddette di comportamento, quello integrante causa o concausa efficiente del danno e che spetta al
debitore dimostrare che tale inadempimento non vi stato o che, pur esistendo, non stato, nella fattispecie
concreta, causa dell'evento dannoso lamentato. Con riferimento al caso in esame va chiarito che, se vero che il
progetto sino a quando non sia materialmente realizzato, costituisce una fase preparatoria, strumentalmente
preordinata alla concreta attuazione dell'opera, anche vero che, sul piano tecnico e giuridico, il progettista deve
assicurare la conformit del progetto alla normativa urbanistica ed individuare in termini corretti la procedura
amministrativa da utilizzare, cos da assicurare la preventiva e corretta soluzione dei problemi che precedono e
condizionano la realizzazione dell'opera richiesta dal committente (cfr. Cass. n. 2257 del 2007; Cass. n. 11728 del
2002; Cass. n. 22487 del 2004).
La scelta, quindi, anche del percorso amministrativo da seguire per ottenere il titolo autorizzativo
all'esecuzione di opere idoneo in relazione al tipo di intervento edilizio progettato (nella specie ottenimento del
nulla osta da parte del Genio Civile al fine degli adempimenti relativi alla normativa antisismica), spetta al
professionista in quanto qualificata da una specifica competenza tecnica, non potendo essere definiti quali
adempimenti di ordine meramente burocratico.
Rientra, infatti, nell'obbligo di diligenza a carico del prestatore di opera professionale, ex art. 1176 c.c., comma
2, sia il risultato finale mirante a soddisfare l'interesse del creditore (committente) e sia i mezzi necessari per
realizzarlo, tramite l'adozione di determinate modalit di attuazione che esigono il rispetto delle regole
professionali in funzione del raggiungimento del risultato finale. In altri termini, quando il contratto d'opera
concerne la redazione di un progetto edilizio destinato all'esecuzione, come nella specie risulta pacifico in sentenza,
tra gli obblighi del professionista rientra quello di redigere un progetto conforme, oltre che alle regole tecniche,
anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalit di edificazione su di un dato territorio, in modo da non
compromettere il conseguimento del provvedimento amministrativo che abilita all'esecuzione dell'opera, essendo
questa qualit del progetto una delle connotazioni essenziali di un tale contratto di opera professionale; onde il
mancato perfezionamento dell'iter amministrativo per garantire l'idoneit sotto il profilo sismico dell'edificio
progettato, come previsto dalla normativa vigente, compromettendo il positivo esito della procedura
amministrativa volta ad assicurare la realizzazione dell'opera, non pu che costituire inadempimento caratterizzato
da colpa grave e quindi fonte di responsabilit del progettista nei confronti del committente per il danno da questi
subito in conseguenza della mancata o comunque ritardata realizzazione dell'opera (v. in tal senso Cass. 27 gennaio
1977 n. 404).
Erroneamente, pertanto, la corte di merito, per escludere la colpa del professionista, ha definito gli
adempimenti de quibus di ordine burocratico e come tali atti necessariamente riservati alla committente, facendo
leva su una lettura formalistica degli obblighi di spettanza del progettista, nella specie nominato anche direttore dei
lavori, in difformit rispetto alla natura tecnica degli aspetti in contesa del progetto in questione, per cui non
occorreva una espressa delega della committente per l'attivazione della procedura avanti al Genio Civile, dovendo
essere considerata attivit ricompresa nell'originario mandato perch rispondente alla normativa edilizia che poi ha
portato alla decadenza della rilasciata concessione.
L'accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, comporta il riesame, in sede di rinvio, della
relativa questione, in conformit dei principi enunciati.
In conclusione, la sentenza deve essere cassata in relazione alla censura riconosciuta fondata del ricorso, con
rinvio ad altra sezione della stessa Corte d'appello, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio, la
quale, uniformandosi all'enunciato principio di diritto dovr riesaminare la sussistenza dell'inadempimento
colpevole del progettista e la riconducibilit eziologica ad esso del danno subito dalla committente, con l'obbligo di
suffragare l'accertamento operato con motivazione adeguata ed immune da vizi logici.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di
Cassazione, alla Corte di appello di L'Aquila in diversa sezione.
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Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della Sezione Seconda Civile, il 6 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2013
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dell'allegazione, da parte del S. dello svolgimento di un attivit non riservata, nulla aveva allegato e provato
l'INARCASSA in senso contrario, ne conseguiva la fondatezza della domanda del S. e l'infondatezza di quella
riconvenzionale.
Avverso questa sentenza l'INARCASSA ricorre in cassazione sulla base di un'unica censura, illustrata da
memoria.
Resiste con controricorso la parte intimata che deposita memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con l'unico motivo l'INARCASSA, deduce, ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, violazione della L. 3 gennaio 1981, n.
6, art. 21, R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt. 51 e 52, dell'Allegato alla L. 2 marzo 1949, n. 143.
Dopo aver evocato la tendenza espansiva del dominio delle varie professioni, la parte ricorrente pone il
seguente quesito di diritto:"se, in presenza delle circostanze cui la L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, comma 6,
riconnette la presunzione legale di esercizio continuativo dell'attivit professionale d'ingegnere, la semplice
affermazione di aver svolto attivit pretesamente estranea alla professione d'ingegnere, in mancanza di qualsiasi
prova circa il contenuto concreto delle attivit svolte, sia sufficiente ad escludere l'obbligo d'iscrizione e
contribuzione a IANRCASSA. Il ricorso fondato nel senso di seguito indicato.
Preliminare la questione dell'estensione del dominio delle libere professioni, rispetto ai confini definiti dalle
denunciate norme di legge, ovverosia se il requisito della libera professione collegato alla sola potenzialit
dell'attivit intellettuale,ovvero richiede l'effettivit della pratica professionale (ovviamente corrispondente
all'oggetto della cassa professionale).
Su tale specifica problematica vi contrasto, nella sezione lavoro della Cassazione, segnato dalla recente
sentenza del 29 agosto 2012 n.14684 la quale, affermando, nel richiamarsi a Cass. 25 ottobre 2004 n. 20670, che "in
tema di previdenza di ingegneri e architetti, l'imponibile contributivo va determinato alla stregua dell'oggettiva
riconducibilit alla professione dell'attivit concreta, ancorch questa non sia riservata per legge alla professione
medesima, rilevando che le cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscono sull'esercizio dell'attivit",
ha ribaltato il precedente orientamento di questa Corte di cui, da ultimo, espressione l'ordinanza 26 gennaio 2012
n. 1139 per la quale la L. 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, pone l'obbligo di iscrizione solo per gli ingegneri e gli
architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuit e, quindi, di effettivit, in relazione ai
contenuti tipici della stessa, fissati dalla L. 24 giugno 1923, n. 1395, art. 7, e dal R.D. 23 ottobre 1925, n. 2537, artt.
51 e 52.
Ritiene questo Collegio di dover dare continuit giuridica al primo dei richiamati orientamenti espressi da
questa Corte dovendosi condividere l'asserzione secondo la quale il concetto di "esercizio della professione" deve
essere inteso in senso dinamico e non statico in quanto innegabile che l'evoluzione imposta dalle accentuate
dinamiche della odierna realt economica-sociale ha portato inevitabilmente all'estensione dell'ambito proprio
dell'attivit professionale di ciascuna categoria s che in essa vanno comprese, altres, tutte quelle attivit che,
comunque, abbiano un nesso con la specifica cultura tecnica della singola professione, e specificamente con la
professione d'ingegnere.
In altri termini, e rinviando a quanto rimarcato dalla citata sentenza del 29 agosto 2012 n.14684, deve ritenersi
che rientrano nell'attivit professionale di ciascuna professione l'assolvimento di tutti quei compiti nei quali il
professionista si avvale anche, sia pure non esclusivamente, della sua specifica competenza tecnica e, quindi, sia in
fatto, strettamente collegata alle sue cognizioni tecnico-scientifiche.
Non , quindi, corretta la sentenza impugnata che sulla base di una interpretazione statica della nozione di
attivit professionale ha deciso la controversia in ragione della mera allegazione da parte dell'Ingegnere S. di un
attivit non rientrante in quelle tipicamente riservate alla professione d'ingegnere, senza svolgere al riguardo,
alcuna indagine, pur nell'ambito dei fatti dedotti dallo stesso S. che ne ha sostenuto la estraneit, circa l'eventuale
connessione di siffatta attivit con quella riservata alla categoria professionale di appartenenza.
In conclusione il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese del
giudizio di legittimit, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimit,
alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.
Cos deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2013
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rispetto al quale l'incarico di amministratore ben poteva comportare l'esercizio di attivit di natura tecnicoprofessionale;
- doveva per contro ritenersi che il reddito assoggettato a contribuzione comprende tutti i corrispettivi
rientranti nel volume di affari, ma che con tale espressione devono intendersi soltanto i corrispettivi riferiti e
collegati allo specifico esercizio della professione;
- la funzione di organo di societ, ancorch da sola non consenta la maturazione del diritto a prestazioni a
carico della cassa di previdenza, non esclude di per s la soggezione a contribuzione, qualora per l'ente impositore
offra la prova, della quale onerato ai sensi dell'art. 2697 c.c., che ne risultino compensate attivit degli stessi
organi riconducibili, obiettivamente, all'esercizio della professione;
- se doveva ritenersi riconducibile in ogni, caso all'esercizio della professione la partecipazione dell'ingegnere,
in qualsiasi ruolo, ad una societ di ingegneria, in quanto si tratterebbe di esercizio in forma societaria dell'attivit
professionale stessa, altrettanto non poteva dirsi con riferimento a societ aventi ad oggetto, come nella fattispecie
di causa, attivit di natura edilizia;
- nel caso all'esame l'Inarcassa, che ne era onerata, non aveva fornito la prova che i corrispettivi in parola
fossero diretti a compensare attivit obiettivamente riconducibili alla professione di ingegnere.
Avverso l'anzidetta sentenza della Corte territoriale l'Inarcassa ha proposto ricorso per cassazione fondato su
due motivi e illustrato con memoria.
L'intimato R.V. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni normative, nonch vizio di
motivazione, deduce che, nella ricorrenza degli indici in presenza dei quali sorge l'obbligo di iscrizione, si avrebbe
una presunzione legale di esercizio continuativo della professione, sicch tutti i redditi dichiarati ai fini fiscali come
professionali, dovrebbero ritenersi assoggettati a percussione contributiva, salva la prova contraria, trattandosi di
presunzione iuris tantum, di cui sarebbe onerato il professionista, che, nel caso di specie, neppure aveva chiesto di
provare quale fosse stato il contenuto concreto delle attivit esercitate; peraltro la corrispondenza delle prestazioni
tipicamente professionali con quelle richieste ai componenti del consiglio di amministrazione di una societ
operante nel campo dell'edilizia doveva ritenersi palmare e non avrebbe necessitato di prova, risultando ex lege.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione di plurime disposizioni normative, nonch vizio di
motivazione, deduce che la Corte territoriale non aveva considerato minimamente che i redditi derivanti dall'attivit
di amministratore avrebbero dovuto essere dichiarati in una sezione del modello 740 (la II) diversa da quella dei
redditi professionali, come invece si era verificato nella fattispecie all'esame; doveva farsene discendere, tenuto
conto che la contribuzione va calcolata sulla base delle autocertificazioni del professionista, conformi alle
dichiarazioni fiscali, che, in mancanza di qualsiasi prova circa il contenuto concreto della attivit svolte, la semplice
affermazione al riguardo da parte del professionista non poteva ritenersi sufficiente ad escludere l'obbligo
contributivo.
2. La giurisprudenza di questa Corte, nell'ambito dell'individuazione del parametro dell'assoggettamento a
contribuzione degli iscritti alla Inarcassa, non si presenta univoca.
Secondo un orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, non configurabile alcun obbligo contributivo in
relazione al reddito prodotto dal professionista, ove questo non sia direttamente collegabile all'esercizio dell'attivit
libero professionale per la quale vi stata l'iscrizione in appositi albi o elenchi, essendo insufficiente tale iscrizione,
pur necessaria per l'esercizio dell'attivit, a determinare la nascita dell'obbligo contributivo;
con la conseguenza che, qualora un soggetto iscritto partecipi a societ, svolgente attivit rientrante in quella
per il cui esercizio richiesta l'iscrizione in appositi albi o elenchi, l'obbligazione contributiva configurabile solo
nell'ipotesi in cui risultino compensate attivit obiettivamente riconducibili all'esercizio della professione (cfr, ex
plurimis e tra le pi recenti, Cass., nn. 11154/2004; 4057/2008; 11472/2010). Secondo altro orientamento, invece,
l'imponibile contributivo va determinato alla stregua dell'oggettiva riconducibilit alla professione dell'attivit
concreta, ancorch questa non sia riservata per legge alla professione medesima, rilevando la circostanza che la
competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull'esercizio dell'attivit
svolta, cosicch debba ritenersi che le prestazioni siano state rese (anche) grazie all'impiego di esse (cfr, Cass., nn.
20670/2004; 14684/2012).
Questo secondo criterio ermeneutico, a cui il Collegio ritiene di dover dare qui continuit, stato del resto
recentemente affermato anche con riferimento alla categoria professionale forense (cfr, Cass., n. 8835/2011).
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Deve infatti considerarsi, secondo quanto condivisibilmente rilevato dalla ricordata pronuncia n. 14684/2012
di questa Corte, che:
- il concetto di "esercizio della professione" va interpretato non in senso statico e rigoroso, bens tenendo
conto dell'evoluzione subita nel mondo contemporaneo (rispetto agli anni a cui risale la normativa di "sistema"
dettata per le varie libere professioni) dalle specifiche competenze e dalle cognizioni tecniche libero professionali;
- ci ha comportato la progressiva estensione dell'ambito proprio dell'attivit professionale, con occupazione,
da parte delle professioni, di tutta una serie di spazi inesistenti nel quadro tipico iniziale e, specificamente, per la
professione di ingegnere, l'assunzione di connotazioni ben pi ampie e di applicazioni diversificate rispetto a quelle
originariamente previste, cosicch deve ritenervisi ricompreso, oltre all'espletamento delle prestazioni tipicamente
professionali (ossia delle attivit riservate agli iscritti negli appositi albi), anche l'esercizio di attivit che, pur non
professionalmente tipiche, presentino, tuttavia un "nesso" con l'attivit professionale strettamente intesa, in
quanto richiedono le stesse competenze tecniche di cui il professionista ordinariamente si avvale nell'esercizio
dell'attivit professionale e nel cui svolgimento, quindi, mette a frutto (anche) la specifica cultura che gli deriva dalla
formazione tipologicamente propria della sua professione;
- ne discende l'esclusione della sussistenza dell'obbligo contributivo solamente nel caso in cui non sia, in
concreto, ravvisabile una connessione tra l'attivit svolta e le conoscenze tipiche del professionista, in linea con
quanto suggerito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 402 del 1991 (resa a proposito del contributo
integrativo dovuto dagli avvocati e procuratori), laddove stato affermato che il prelievo contributivo in parola
collegato all'esercizio professionale e che per tale deve intendersi anche la prestazione di attivit riconducibili, per
loro intrinseca connessione, ai contenuti dell'attivit propria della libera professione, vale a dire le prestazioni
contigue, per ragioni di affinit, a quelle libero professionali in senso stretto, rimanendone escluse solamente quelle
che con queste non hanno nulla in comune;
- n pu ritenersi che rilevi in contrario la circostanza che la L. n. 143 del 1949 non contempli espressamente
l'attivit di amministratore di societ, attesa la estrema estensione, verificabile in base alla lettura della legge citata,
delle attivit tipicamente professionali esercitabili dall'ingegnere e la non esaustivit della tariffa, come emerge dal
contenuto dell'art. 5 dell'allegato alla legge, relativo alle prestazioni professionali retribuite con il sistema "a
discrezione ossia a criterio del professionista", che qualifica, come tali, una serie di attivit di consulenza e ricerca,
contemplando poi conclusivamente, nel senso dell'applicazione del medesimo sistema di determinazione degli
onorari, "anche le prestazioni simili".
Essendosi la Corte territoriale discostata dal test ricordato orientamento ermeneutico, il primo motivo di
ricorso deve essere accolto.
3. Ci comporta l'assorbimento del secondo motivo, avendo la sentenza impugnata condotto la valutazione
del materiale probatorio alla luce del ricordato difforme criterio giuridico di individuazione dell'ambito di
riferimento delle prestazioni assoggettabili a contribuzione.
4. Consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio al Giudice
designato in dispositivo, che proceder a nuovo esame conformandosi agli indicati principi e provvedere altres sulle
spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in
relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.
Cos deciso in Roma, il 9 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2013
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Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente Dott. PETITTI Stefano - Consigliere Dott. D'ASCOLA Pasquale - rel. Consigliere Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 13812-2006 proposto da:
B.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI QUATTRO VENTI 162, presso lo studio
dell'avvocato DEL CASTELLO ANDREA, rappresentato e difeso dall'avvocato CANESSA CARLO;
- ricorrente contro
M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIOLI 74/C, presso lo studio dell'avvocato SAVERIO
MENNITI, rappresentato e difeso dall'avvocato SANETTI ROBERTO;
- controricorrente avverso la sentenza n. 1746/2005 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 23/11/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/05/2012 dal Consigliere Dott. PASQUALE
D'ASCOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per
il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 23 novembre 2005, notificata il 22 febbraio 2006, la Corte di appello di Firenze confermava
la sentenza resa nel 2003 dal tribunale gigliato, con la quale era stata respinta la domanda proposta dall'architetto
B.A. avverso M. R., volta a conseguire compensi professionali aggiuntivi rispetto a quelli spontaneamente pagati dal
cliente.
La Corte di appello riteneva che da una memoria depositata in atti e personalmente sottoscritta dal
professionista si poteva trarre la prova dell'intervenuto accordo in ordine alla quantificazione del compenso in 50
milioni di lire, accordo confermato da corrispondenza intercorsa tra le parti e non superato da accordi successivi.
Quanto alla misura del compenso, asseritamente inferiore ai minimi tariffari, la Corte osservava che tale
eventualit non comportava nullit della pattuizione ex art. 1418 c.c..
B.A. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22 aprile 2006 e articolato su due censure.
M. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 229, 115 e 116 c.p.c., artt. 1321, 1325 e 1362 c.c.; artt. 2233,
2730, 2733 e 2734 c.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).
Parte ricorrente contesta l'interpretazione data dalla Corte di appello ai documenti (memoria 23 maggio 1996
e lettera 17.01.1994) dai quali stata desunta la pattuizione di un compenso forfettario e sostiene che sarebbe
stato pattuito un onorario percentuale del 10%; si duole del conseguente errore costituito dalla mancata
ammissione di mezzi istruttori.
Deduce che occorreva accertare il totale economico delle singole voci di progetto e le prestazioni professionali
commissionate ed eseguite, al fine di quantificare il dovuto "in base all'accordo a percentuale".
La censura infondata.
Il ricorso non riporta il testo della memoria difensiva sottoscritta dal B. dalla quale la Corte d'appello ha
desunto la pattuizione forfettaria.
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L'omissione forse non casuale, poich il tenore dell'atto non si presta alle critiche apodittiche del ricorso, il
quale non individua uno specifico vizio nell'interpretazione, ma si risolve nella contrapposizione di una tesi all'altra.
Parte ricorrente sostiene che il compenso pattuito non fosse riferito anche alla direzione della ristrutturazione,
ma tale tesi negata dal testo della memoria. In essa si parlava infatti di "accordo raggiunto sul compenso
dell'attore" relativo al "costo di ristrutturazione dell'immobile" e dunque a tutte le attivit a tal fine richieste al
professionista..
E' vero che il testo esaminato riferisce che l'accordo non si era formato sulla base di una "richiesta forfetaria",
ma proprio perch narra come vi si era giunti, cio ipotizzando un presuntivo costo di ristrutturazione (6/700milioni
di lire) e una percentuale del 10% per il professionista, dalla quale era stata enucleata una richiesta di sessanta
milioni e, a seguito di trattativa, una riduzione a 50 milioni di lire, evidente, che le conclusioni raggiunte dalla
Corte di appello sono ineccepibili.
Il tenore letterale e logico delle frasi, il contesto di esse (la controversia sui compensi), la provenienza
qualificata della redazione (il difensore), la conferma personale (firma personale della parte) contribuivano
inequivocabilmente a far ritenere quanto affermato dalla Corte d'appello, cio che a seguito di trattativa era stato
determinato un compenso forfettario onnicomprensivo, convincimento che questa Corte, la quale non pu
sostituirsi nella complessiva valutazione di merito, reputa, nei limiti del proprio sindacato, esente da vizi o errori.
Mette conto aggiungere che non meritano censura le argomentazioni aggiuntive svolte dai giudici di merito in
ordine alla congruit dell'importo rispetto al costo effettivamente sostenuto.
Essi, solo a riprova della logicit e congruenza dell'interpretazione letterale della scrittura, hanno fatto
riferimento allo scambio epistolare del '93/94, che confermava quale oggetto dell'incarico un restauro del costo di
6/700 milioni di lire presuntivamente stimati e una percentuale del 10%, presupposti di quell'accordo sui 50 milioni
poi dettagliato nella memoria.
Hanno inoltre utilmente rilevato che un eventuale incremento delle prestazioni effettuate rispetto a quelle
inizialmente previste, con conseguente sopravvenuta inadeguatezza del compenso, avrebbe dovuto essere palesato
immediatamente dal professionista al cliente.
Opportunamente i giudici hanno osservato che sarebbe stato contrario a buona fede il comportamento del
professionista che avesse svolto prestazioni ulteriori rispetto a quelle pattuite, con la riserva mentale di chiedere un
compenso aggiuntivo.
Tale motivazione non in nulla contraddittoria con la tesi dell'accordo forfettario; valeva infatti a evidenziare
che non vi erano i presupposti per dedurre l'incongruit del compenso fissato in somma fissa e quindi la necessit di
una valutazione dei lavori effettuati.
Per legittimare ci, premessa immancabile avrebbe dovuto essere una tempestiva indicazione da parte del
professionista del superamento dei limiti della prestazione inizialmente prevista e del relativo compenso, fissato
con la nota trattativa.
Non avendo il professionista agito in tal modo, imposto dalla correttezza contrattuale, si poteva trarre da ci
ulteriore conferma che il compenso forfettario concordato era congrue Invano quindi il ricorso lamenta insussistenti
vizi della sentenza, partendo dal postulato, indimostrato, che il compenso fosse a percentuale e che non fosse stato
fissato il tetto che stato invece riconosciuto.
Anche il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione dei minimi tariffari obbligatori e degli artt. 1339,
1418, 1419 e 2233 c.c., art. 112 c.p.c. palesemente infondato.
La Corte d'appello ha individuato una prima ratio decidendi, costituita dalla mancata prova che il compenso
forfettario fosse inferiore ai minimi tariffari. Ha comunque opportunamente osservato che in ogni caso la
pattuizione di un compenso inferiore a tali minimi sarebbe stata perfettamente legittima.
Ha anche indicato un preciso precedente di legittimit che specifica come tra privato e professionista (quali
sono il committente M. e l'architetto B.) possibile pattuire un compenso che deroghi ai minimi della tariffa
professionale (Cass. 1223/03).
Incomprensibilmente il ricorso propone una diversa interpretazione di questa sentenza, ma la Corte intende
ribadire, come ha fatto di recente (con Cass 21235 del 05.10.2009) che "il compenso per prestazioni professionali va
determinato in base alla tariffa ed adeguato all'importanza dell'opera solo nel caso in cui esso non sia stato
liberamente pattuito, in quanto l'art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di
determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti
e poi, solo in mancanza di quest'ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del
giudice, mentre non operano i criteri di cui all'art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro
subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l'inderogabilit dei minimi tariffari (quale, per gli
ingegneri ed architetti, quello contenuto nella L. 5 maggio 1976, n. 340) non importa la nullit, ex art. 1418 c.c.,
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comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cio dell'incera
collettivit, ma solo ad un interesse della categoria professionale".
Pertanto ove anche l'accordo forfettario abbia condotto a un importo inferiore ai minimi tariffari giustamente
viene considerato legittimo.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla refusione delle spese di lite,
liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000 per onorari,
200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 31 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2012
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culturale su cui l'attivit stessa si fonda; e il limite di tale connessione (e, pertanto, del parametro di
assoggettabilit) l'estraneit dell'attivit stessa alla professione.
6. Il Collegio consapevole dell'esistenza, nella giurisprudenza di questa Corte, di un diverso indirizzo
interpretativo espresso, fra l'altro, proprio in materia di previdenza per gli ingegneri e architetti, da Cass. n.
11154/2004 e n. 3468/2005, citate dall'odierno ricorrente e dalla recente Cass. ord. n. 1139/2012, che vorrebbero
soggette all'obbligo di contribuzione alla Inarcassa le sole attivit riservate ai suddetti professionisti dal R.D. 23
ottobre 1925, n. 2537 (artt. 51 e 52).
Tuttavia, ritiene di dare continuit, per le ragioni sopra esposte, all'orientamento (espresso, in particolare, da
Cass. n. 20670/2004 sempre in tema di obbligo contributivo per gli ingegneri e architetti), per il quale la oggettiva
riconducibilit alla professione dell'attivit in concreto svolta dal professionista - ancorch questa non sia riservata
per legge alla professione medesima e sia, quindi, altrimenti esercitabile - a comportare l'inclusione dei relativi
compensi tra i corrispettivi che concorrono a formare la base di calcolo del contributo soggettivo obbligatorio e del
contributo integrativo dovuti alle Casse di previdenza; con la precisazione che, a tal fine, rileva anche la circostanza
che la competenza e le specifiche cognizioni tecniche di cui dispone il professionista influiscano sull'esercizio
dell'attivit in parola, nel senso che le prestazioni siano da ritenere rese (anche) grazie all'impiego di esse.
7. Non vale a contraddire questa conclusiva affermazione la tesi del ricorrente secondo cui la L. 2 marzo 1949,
n. 143, regolativa dell'aspetto economico della professione di ingegnere e architetto, con la previsione della relativa
tariffa, non indicherebbe espressamente l'attivit di consulente informatico e di amministratore di societ
commerciale da lui svolte, ove si consideri la estrema estensione, verificabile in base alla lettura della legge citata,
delle attivit tipicamente professionali esercitabili dall'ingegnere e la non esaustivit della tariffa medesima (basta
guardare, in proposito, al contenuto dell'art. 5 dell'allegato alla legge, relativo alle prestazioni professionali
retribuite con il sistema "a discrezione ossia a criterio del professionista", che qualifica, come tali, una serie di
attivit di consulenza e ricerca, per poi concludere nel senso dell'applicazione del medesimo sistema di
determinazione degli onorari "anche le prestazioni simili").
8. N pu ritenersi - come invece sembrano ritenere le pronunce di questa Corte richiamate dal L. - che la
coincidenza, da queste ravvisata, tra obbligo di iscrizione e contribuzione, da un lato, e l'esercizio delle attivit
espressamente riservate agli ingegneri e architetti, dall'altro, trovi fondamento nella L. Professionale n. 1395 del
1923 e nel successivo regolamento approvato con R.D. n. 2537 del 1925, la lettura del complessivo dato normativo
(in particolare, dell'art. 7 della legge e degli artt. 51, 52 e 53 del regolamento) inducendo a concludere che, in realt,
le relative previsioni sono intese a ripartire le competenze professionali tra ingegneri e architetti (vedi,
testualmente, l'art. 53, il quale specifica che "le disposizioni dei precedenti artt. 51 e 52 valgono ai fini della
delimitazione delle professioni di ingegnere e di architetto") e non ad individuare, con elencazione di carattere
tassativo, l'intero ambito delle attivit tipicamente professionali.
9. Neppure, infine, pu condividersi l'interpretazione che la citata sentenza di questa Corte n. 3468/2005 ha
dato dell'art. 7 dello Statuto Inarcassa come obbligante alla iscrizione alla Cassa (e, ovviamente al pagamento dei
previsti contributi) i soli ingegneri e architetti che svolgono l'attivit ad essi riservata.
Tale soluzione ermeneutica, infatti, non conforme al precetto normativo primario della L. n. 6 del 1981 limitandosi il suo art. 21 a stabilire, senza altre precisazioni, che "l'iscrizione alla Cassa obbligatoria per tutti gli
ingegneri e gli architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuit" - ma neppure ricavabile
univocamente dal tenore letterale del disposto statuario, la precisazione contenuta nell'art. 7 "e ad essi
esclusivamente riservata" apparendo riferibile, piuttosto che all'attivit professionale, alla iscrizione alla Cassa,
quest'ultima essendo, infatti, riservata solo a chi eserciti la libera professione.
10. Tutto ci precisato in linea generale e con specifico riferimento al caso controverso, deve sottolinearsi che
la statuizione della sentenza impugnata - nella parte in cui, a fronte all'accertato svolgimento, da parte del L., di
attivit di consulente informatico della Bit Sistemi s.a.s. e di amministratore della Faenzauto s.r.l., ha fatto carico
all'odierno ricorrente dell'onere di dar conto dei motivi dell'asserita estraneit delle attivit in parola a quella sua
propria di ingegnere - non stata impugnata espressamente e specificamente in questa sede n per violazione
dell'art. 2697 c.c., sotto il profilo della inversione dell'onere probatorio (la questione prospettata, ma in
ammissibilmente, solo nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.), n sotto il profilo della mancata od errata
individuazione dell'oggetto dell'onere in questione (quali fossero, cio, in fatti da provare), bens, soltanto sotto il
profilo del vizio di motivazione, specificamente dedotto nel secondo motivo di ricorso e consistente nella
inadeguata valutazione del materiale probatorio versato in atti a dimostrazione della infondatezza della pretesa
contributiva della Inarcassa.
11. Passando, quindi, all'esame di questo secondo motivo, non pu rilevare il Collegio come le censure ivi
proposte siano prive di fondamento in quanto: 1) si limitano a una del tutto generica contestazione della
valutazione che la Corte di merito ha dato delle fatture rilasciate dalla Bit Sistemi come dimostrative soltanto
dell'avvenuta erogazione di compensi per l'attivit di consulente informatico EDP; 2) non considerano che il giudice
di appello ha motivato espressamente sulla impossibilit di desumere la prova "dai documenti in atti" (dunque,
anche dai documenti relativi all'attivit di amministratore) il cui contenuto, peraltro, in violazione del principio di
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autosufficienza del ricorso per cassazione, non nello stesso trascritto, cos impedendo a questa Corte di verificarne
la decisivit; 3) no recano alcun contributo alla tesi difensiva del ricorrente anche per ci che riguarda la (non
ammessa) prova testimoniale, posto che i relativi capitoli, cos come trascritti in ricorso, richiedono, in
ammissibilmente, al teste di esprimersi sulla natura dell'attivit fatturata come consulenza a favore della Bit Sistemi
s.a.s. (capitolo sub a), ovvero di riferire su circostanze del tutto irrilevanti ai fini di causa (capitolo sub b) non
rivestendo queste ultime alcuna attivit di amministrazione della Faenzauto s.r.l., dovesse ritenersi escluso l'uso
(anche) di competenze caratteristiche della professione di ingegnere.
12. In conclusione il ricorso va rigettato.
13. Si ritiene equo compensare fra le parti le spese del giudizio di cassazione in considerazione del non univoco
orientamento della giurisprudenza di questa Corte sulla questione oggetto di causa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del presente giudizio.
Cos deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2012
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Appunto in forza di tale ultima disposizione la Corte territoriale ha negato all'odierno ricorrente il diritto
all'integrazione al minimo.
3. Il ricorrente lamenta tuttavia la mancata considerazione di quanto disposto dalla L. n. n. 6 del 1981, art. 25
(Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti) e, in particolare, del disposto dell'ultimo comma di
tale articolo, a mente del quale "i trattamenti previdenziali maturati ai sensi della L. 11 novembre 1971, n. 1046, art.
6, comma 2 e non ancora in godimento, saranno liquidati nella misura e con le modalit stabilite prima dell'entrata
in vigore della presente legge".
Sull'assunto che la sua posizione rientri fra quelle contemplate dalla suddetta norma, il ricorrente deduce che
dovrebbe trovare applicazione, anche per i trattamenti previdenziali non ancora in godimento, l'integrazione al
minimo contemplata dalla previgente normativa.
4. Osserva la Corte che la disposizione invocata dal ricorrente va letta in relazione al comma 1 del medesimo
articolo, che sottopone alla disciplina "...della presente legge le pensioni di vecchiaia e di anzianit che maturano dal
1 gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore".
L'u.c. ha disciplinato quindi quei trattamenti previdenziali ivi specificamente contemplati che, pur non essendo
ancora in godimento, fossero non di meno gi maturati, ossia quelli per i quali si fossero gi realizzati tutti i
presupposti per il relativo conseguimento.
Il che non si verifica nel caso di specie, posto che, alla data dell'emanazione della legge n. 6/81, l'odierno
ricorrente non aveva ancora maturato il diritto al trattamento pensionistico, che avrebbe potuto ottenere soltanto
con il successivo raggiungimento dell'et prescritta per il conseguimento della pensione di vecchiaia, ma possedeva
soltanto il requisito contributivo.
5. Il motivo svolto, e con esso il ricorso che sul medesimo si fonda, va dunque rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00
(quaranta/00), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.
Cos deciso in Roma, il 21 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
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P.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. MONTEVERDI 20, presso lo studio dell'avvocato
CODACCI PISANELLI ALFREDO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ROBECCHI MAJNARDI
AMBROGIO giusta delega in atti;
- ricorrente e contro
CONSIGLIO NAZIONALE INGEGNERI;
- intimato avverso la decisione n. 9/2010 del CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI di ROMA, depositata il
09/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/01/2012 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l'Avvocato ALFREDO CODACCI PISANELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per
l'inammissibilit in subordine rigetto.
Svolgimento del processo
1. L'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Pavia irrogava all'Ing. P.M. la sanzione disciplinare della
sospensione di mesi uno dall'esercizio della professione.
L'impugnazione veniva rigettata dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (decisione, depositata il 9 giugno 2010
e comunicata il 22 successivo).
2. Avverso il suddetto provvedimento, l'Ing. P. propone ricorso per cassazione con unico motivo, deducendo
vizi motivazionali.
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, unico intimato con il ricorso, non svolge difese.
Motivi della decisione
1. Il collegio ha disposto l'adozione di una motivazione semplificata.
2. Nel ricorso risulta intimato solo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri; lo stesso ricorso stato notificato solo
al suddetto Consiglio.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte.
2.1. Costituisce principio pacifico che il giudice speciale, dinanzi al quale impugnato il provvedimento
amministrativo dell'Ordine Provinciale che decide in ordine alla sanzione disciplinare, non contraddittore nel
giudizio di cassazione avverso la decisione dallo stesso emessa (da ultimo in riferimento a.... Cass. 27 maggio 2011,
n. 11755).
Altrettanto pacifico che, nel procedimento d'impugnazione, dinanzi al Consiglio Nazionale degli ingegneri,
dei provvedimenti disciplinari adottati dal Consiglio Provinciale dell'ordine, sono parti necessarie il Consiglio
Provinciale, cui spetta la tutela del prestigio e dell'interesse dell'ordine, nonch il Procuratore della Repubblica della
sede dello stesso consiglio, al quale compete il potere di vigilanza sull'esercizio delle pubbliche funzioni da parte dei
consigli degli ordini professionali e sullo svolgimento delle professioni.
Conseguentemente, il ricorso per cassazione, avverso la pronuncia del Consiglio Nazionale resa in esito al
suddetto procedimento, deve essere dichiarato inammissibile quando - senza che possa rilevare la eventuale
notifica al Consiglio Nazionale (cos come al Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione) non sia stato
notificato ad alcuno dei contraddittori indicati (in riferimento agli ingegneri, Sez. Un. 19 luglio 1982, n. 4209).
3. Non avendo l'unico intimato svolto attivit difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine
alle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso.
Cos deciso in Roma, il 24 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2012
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T.A.R.
T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, Sent., 15/05/2015, n. 846
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1202 del 2014, proposto da:
Pintori Arch. C. + 2, O.A., P., Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Savona, O.A., P., Paesaggisti e
Conservatori della Provincia di Alessandria, rappresentati e difesi dall'avv. Alessia Cascioli, con domicilio eletto
presso Alberto Pierpaolo Prinetto in Torino, Via Frejus, 1;
contro
Comune di Novi Ligure, rappresentato e difeso dagli avv. Vittorio Barosio, Serena Dentico, con domicilio eletto
presso Vittorio Barosio in Torino, corso G. Ferraris, 120;
nei confronti di
Ing. P.I.R., rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Sobrino, Alessandro Reale, con domicilio eletto presso
Giorgio Giuseppe Vittorio Sobrino in Torino, corso G. Ferraris, 120;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
C.N.A.P.P.C. - Consiglio Nazionale degli A., P., Paesaggisti e Conservatori - Roma, rappresentato e difeso
dall'avv. Marco Antonucci, con domicilio eletto presso Alberto Pierpaolo Prinetto in Torino, Via Frejus, 1;
- per l'annullamento:
1. dell'avviso pubblico indetto da Comune di Novi Ligure e relativo alla selezione per l'assunzione di n. 1
dirigente tecnico a tempo determinato e pieno, per anni tre, area Lavori Pubblici e Tutela Ambientale, approvato
con Det. n. 198 del 1923 del 14 luglio 2014;
2. della determina del Comune di Novi Ligure n. 248/875 del 15.9.2014 Settore: Sett. 8 - Personale e
Organizzazione - Affari generali, Ufficio: Personale, con cui sono stati ammessi i candidati della selezione per
l'assunzione di n. 1 dirigente tecnico a tempo determinato e pieno, per anni tre, area Lavori Pubblici e Tutela
Ambientale ed stato escluso l'arch. C.P. per mancanza del titolo di studio richiesto nell'avviso di selezione;
3. della graduatoria del Comune di Novi Ligure approvata con Det. n. 266/928 del 1 ottobre 2014 Sett. 8 Personale e organizzazione - Affari Generali - Ufficio Personale, con cui sono stati individuati i soggetti ammessi per
l'assunzione di n. 1 dirigente tecnico a tempo determinato e pieno, per anni tre, area Lavori Pubblici e Tutela
Ambientale;
4. del decreto del Comune di Novi Ligure n. 11 del 3.10.2014 con cui stato conferito l'incarico di dirigente
tecnico a tempo determinato e pieno, per anni tre, area Lavori Pubblici e Tutela Ambientale, all'ing. P.I.R. a seguito
della procedura di selezione;
5. di tutti gli atti ed i provvedimenti presupposti, connessi e conseguenti, ancorch non cogniti, posti in essere
dalla amministrazione resistente, lesivi degli interessi dei ricorrenti;
nonch
- nonch per la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni ingiusti patiti e patendi dalla
ricorrente arch. C.P. in conseguenza dei provvedimenti impugnati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Novi Ligure e di Ing. P.I.R.;
Viste le memorie difensive;
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Convenzione stipulata con la Provincia di Alessandria e con Rete Ferroviaria Italiana avente ad oggetto la
progettazione di opere per il miglioramento della permeabilit dell'esistente linea ferroviaria Torino-Genova, ha
preso in carico la progettazione di alcune opere (un sottopasso ferroviario, opere di raccordo con la viabilit
esistente, opere di miglioramento di un altro sottopasso ed una rotatoria) che devono essere realizzate nel
territorio del Comune di Novi Ligure e che attengono alla sfera esclusiva di competenza degli ingegneri.
8. E' intervento nel giudizio, ad adiuvandum, il Consiglio Nazionale degli A., P., Paesaggisti e Conservatori,
insistendo per l'accoglimento del ricorso. L'Organo interveniente: ha sottolineato la carenza di istruttoria
procedimentale, dalla quale non emergono le ragioni che hanno condotto alla scelta di limitare la partecipazione
alla selezione ai soli laureati in ingegneria; ha dato atto che non esiste alcuna previsione legislativa che preveda una
equivalenza tra l'incarico di dirigente del settore lavori pubblici di un ente ed il titolo professionale di ingegnere; ha
affermato la disapplicabilit, all'occorrenza, della delibera di Giunta n. 143 del 26/03/2014 in quanto atto di natura
regolamentare; ha richiamato precedenti giurisprudenziali che hanno riconosciuto natura di opera di "edilizia
civile", la cui progettazione pu essere effettuata dagli A., anche agli impianti idraulici, elettrici e di riscaldamento
degli edifici, alle opere stradali che connettono singoli fabbricati o che connettano due punti del centro abitato, alle
opere di illuminazione pubblica. Ha ancora evidenziato che rientrano nella competenza dell'architetto, in
concorrenza con la professione di ingegnere, geometra, perito industriale o agrario, nei limiti delle competenze
specificate dai rispettivi ordinamenti: le prestazioni di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori
pubblici, nonch la relativa direzione lavori; la formazione del programma triennale dei lavori pubblici; i servizi di
progettazione degli impianti di illuminazione pubblica; le funzioni di coordinamento della sicurezza nei lavori
pubblici e privati; le opere di conglomerato cementizio; la verifica della sussistenza dei requisiti di sicurezza
antincendio dei locali e depositi; gli accertamenti tecnici relativi a locali di pubblico spettacolo; la redazione della
attestazione energetica dei fabbricati. Secondo l'interveniente, inoltre, il D.P.R. n. 207 del 2010 non richiede
necessariamente che il r.u.p. sia un ingegnere, e tra l'altro nel Comune di Novi Ligure tale incarico svolto in
condivisione con il Dirigente del Settore Urbanistica, che un architetto; pressoch tutte le opere comprese nel
Piano Triennale del Comune di Novi Ligure, inoltre, avrebbero ambito urbano e quindi la relativa progettazione
sarebbe anche di competenza degli A..
9. Il ricorso, chiamato alla camera di consiglio del 12/11/2014, stato rinviato per la discussione del merito
alla pubblica udienza del 25/03/2015, allorch stato introitato a decisione, previo scambio di memorie tra le parti.
10. Il Collegio d atto, preliminarmente, che non sussiste contestazione tra le parti in ordine all'interesse ad
agire degli Ordini professionali ricorrenti e neppure in ordine all'interesse ad intervenire in giudizio del Consiglio
Nazionale degli A., P., Paesaggisti e Conservatori. La questione non comunque dirimente essendo pacifico
l'interesse a ricorrere dell'arch. P., che ha partecipato alla selezione e ne stata esclusa in ragione del solo fatto che
essa non possiede il titolo di studio indicato dal bando.
11. Procedendo nella disamina del merito del ricorso il Collegio d atto che secondo consolidato orientamento
di giurisprudenza gli artt. 51 e 52 del R.D. n. 2537 del 1925 (C.d.S. sez. IV, n. 2938/2000; TAR Palermo, sez. I, n.
2274/2002; TAR Catanzaro sez. II, n. 354/2008; TAR Veneto sez. I, n. 1153/2011; C.d.S. sez. VI, n. 1150/2013; TAR
Lecce, sez. II, n. 1270/2013; TAR Lazio-Latina, sez. I, n. 608/2013), che sono ancora in vigore e che pertanto ancora
oggi costituiscono il punto di riferimento normativo per stabilire il discrimine tra le competenze degli A. e quelle
degli ingegneri, debbono essere interpretati nel senso che appartiene alla esclusiva competenza degli ingegneri non
solo progettazione delle opere necessarie alla estrazione e lavorazione di materiali destinati alle costruzioni e la
progettazione delle costruzioni industriali, ma anche la progettazione delle opere igienico-sanitarie e delle opere di
urbanizzazione primaria, per tali dovendosi intendere le opere afferenti la viabilit, gli acquedotti, e depuratori, le
condotte fognarie e gli impianti di illuminazione, salvo solo il caso che tali opere non siano di pertinenza di singoli
edifici civili. Tra le opere igienico-sanitarie la cui progettazione appartiene alla esclusiva competenza degli ingegneri,
vanno incluse, tra le altre, anche gli impianti cimiteriali (C.d.S. n. 2938/2000 cit.).
12. L'elenco delle opere la cui progettazione di esclusiva competenza degli ingegneri include, come si vede,
larga parte delle opere pubbliche di necessaria competenza dei comuni, all'interno dei quali il Settore di riferimento
certamente quello che ha in carico, appunto, i lavori pubblici. E' evidente che le opere pubbliche di che trattasi
non esauriscono il panorama delle opere pubbliche che un comune pu decidere di realizzare (scuole, centri
sportivi; biblioteche e centri culturali; etc. etc.); tuttavia importante rimarcare che non tutte le opere classificabili
come "pubbliche", come tali rientranti nella competenza istituzionale del settore "Lavori pubblici" di un comune,
sono di competenza concorrente degli ingegneri ed A., essendo che le opere di urbanizzazione primaria e quelle
afferenti la sfera igienico-sanitaria appartengono alla sfera esclusiva di competenza degli ingegneri. Valga inoltre la
considerazione che la sfera di competenza esclusiva degli A. finisce invece per interessare solo gli edifici civili con
rilevante carattere artistico nonch quelli di cui alla L. n. 364 del 1909, - fermo restando che anche in tal caso
sussiste una competenza concorrente tra A. ed ingegneri per quanto riguarda la "parte tecnica" (art. 52 comma 2
R.D. n. 2537 del 1925). -, e risulta pertanto di marginale importanza se riferita al settore "Lavori Pubblici" di un
comune: infatti, mentre ogni comune deve confrontarsi, prima o poi, con la necessit di dotarsi di opere di
urbanizzazione primaria e di opere igienico-sanitarie, costituisce invece una mera evenienza il fatto che un comune
risulti proprietario di beni di particolare interesse artistico in relazione ai quali intenda effettuare interventi edilizi.
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13. In base alle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che la laurea in ingegneria e l'abilitazione alla
professione di ingegnere costituiscono titoli aventi un collegamento diretto con l'attivit del settore "Lavori
Pubblici" di un qualsiasi comune e che, pertanto, il bando di concorso indetto per la selezione del dirigente di un
tale settore non deve contenere una specifica motivazione a giustificazione della scelta di indicare la laurea in
ingegneria e l'abilitazione alla professione di ingegnere quali requisiti di ammissione alla selezione.
13.1. Si deve ricordare che nella materia dei concorsi pubblici, ferma la definizione del titolo (laurea o altro
titolo di studio), che affidata alla legge, deve essere riconosciuto all'Amministrazione un potere discrezionale nella
determinazione della tipologia del titolo di studio richiesto, che deve essere correlato alla professionalit ed alla
preparazione culturale richieste per lo svolgimento delle mansioni proprie dei posti che si intendono ricoprire" (TAR
Puglia-Bari, sez. II, n. 1359/2013; C.d.S. sez. V, n. 5351/2012; C.d.S. sez. VI, n. 2994/2009; TAR Lazio sez. III, n.
253/2008).
13.2. E' ben vero che, in considerazione della attivit propria del settore "Lavori Pubblici" di un comune, anche
la laurea in architettura ed il titolo di architetto possono considerarsi pertinenti alle mansioni proprie del dirigente
di tale settore. Tuttavia, in forza del principio dianzi richiamato non si pu affermare che l'Amministrazione
comunale abbia l'obbligo di indicare, tra i requisiti di partecipazione al concorso indetto per selezionare il dirigente
di un tale settore, entrambi i titoli di studio e di abilitazione, n, correlativamente, che abbia l'obbligo di motivare in
maniera specifica la scelta di circoscrivere ad una o all'altra categoria dei citati professionisti la possibilit di
partecipare al concorso, scelta che essa Amministrazione effettuer tenendo conto delle peculiarit della attivit del
proprio settore "lavori Pubblici" nonch delle proprie priorit. Cos, mentre una Amministrazione proprietaria di un
ingente patrimonio immobiliare di rilevanza artistica potr ritenere opportuno selezionare un architetto da
preporre al proprio settore "Lavori Pubblici", un'altra Amministrazione, che abbia tra le proprie priorit quella di
procedere alla realizzazione di determinate opere che appartengano alla sfera di competenza esclusiva degli
ingegneri, potr invece legittimamente ritenere appropriato di affidare la dirigenza del settore competente ad un
ingegnere, circoscrivendo ai soli ingegneri la partecipazione alla relativa selezione. Ciascuna di tali scelte non
abbisogna di particolare e specifica motivazione non solo perch, come gi precisato, le Amministrazioni
dispongono di un potere discrezionale nella scelta del titolo di studio richiesto per accedere ad una determinata
selezione, il quale potere soggetto a limiti solo nella misura in cui si richiede che il titolo di studio richiesto sia
coerente con le mansioni proprie del posto da ricoprire: ci che nella specie si verificato.
13.3. Il primo motivo di ricorso deve quindi essere respinto, non potendosi affermare che la sfera di
competenze tra A. ed ingegneri sia completamente sovrapponibile n potendosi ravvisare difetto di motivazione nel
bando di concorso impugnato, nella parte in cui non ha giustificato la scelta di escludere la laurea in architettura tra
i requisiti che legittimavano a partecipare alla selezione per cui causa. Alla luce di tali constatazioni diventa poi
irrilevante il fatto che la delibera di Giunta n. 143 del 26/03/2014, che peraltro non stata impugnata dai ricorrenti,
non abbia dato indicazione specifiche in ordine al titolo di studio da richiedere per la copertura del posto di
dirigente del settore Lavori Pubblici; n assume rilevanza il fatto che gli atti del procedimento non evidenzino le
ragioni - esplicitate invece negli atti di questo giudizio - che in concreto avrebbero indotto l'Amministrazione a
selezionare un ingegnere.
14. Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che il bando impugnato sia comunque illegittimo
perch prevede limiti di partecipazione che non si giustificano anche alla luce di quanto stabilisce l'art. 110 T.U.E.L.
in ordine alla selezione del personale della dirigenza.
14.1. Il Collegio premette, preliminarmente, che i ricorrenti hanno interesse alla decisione su tale motivo di
ricorso, atteso che esso sostanzialmente finalizzato ad evidenziare aspetti di sviamento di potere che nella specie
avrebbero ispirato l'azione amministrativa e che sarebbero stati finalizzati a garantire l'assunzione dell'ing. R., che
gi lavorava per il Comune di Novi Ligure: l'interesse a verificare la sussistenza di possibili profili di sviamento di
potere sussiste, in particolare, proprio in ragione della ampia discrezionalit che si deve riconoscere alle Pubbliche
Amministrazioni nello stabilire i requisiti di partecipazione alle procedure concorsuali e nella correlativa
insussistenza di uno specifico obbligo di motivare la scelta di tali requisiti.
14.2. Ebbene, il Collegio non ritiene che la previsione di un certo numero di anni di pregressa esperienza nel
settore "Lavori Pubblici - Area Tecnica" ed in qualit di dipendente di enti pubblici, sia incoerente con le previsioni
dell'art. 110 T.U.E.L., secondo il quale il personale dirigenziale deve essere in possesso di "comprovata esperienza
pluriennale e specifica professionalit nelle materie oggetto dell'incarico".
14.2.1. La norma, come si vede, stabilisce che la pregressa esperienza del dirigente non deve limitarsi ad un
anno, ma neppure specifica un limite massimo di anni di esperienza che si pu pretendere dall'aspirante dirigente: il
periodo di esperienza pregressa pu quindi ragionevolmente variare a seconda della complessit delle mansioni che
il dirigente chiamato a svolgere e bisogna dire che nella prassi esso frequentemente indicato, come nel caso di
specie, in un periodo variabile tra i tre ed i cinque anni.
14.2.3. L'art. 110 T.U.E.L. richiede poi che la pregressa esperienza sia specifica in relazione alle materie oggetto
dell'incarico, e si deve ritenere che questa specificit possa comprendere, quantomeno quando il posto da ricoprire
sia quello di dirigente del settore Lavori Pubblici di un comune, anche il contesto lavorativo in cui tale esperienza
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maturata: ci per la ragione che, come sopra precisato, il settore Lavori Pubblici di un Comune si occupa
normalmente della realizzazione di opere (quelle di urbanizzazione primaria e le opere di natura igienico-sanitarie)
di cui un libero professionista raramente si occupa in via continuativa, a meno che non sia specializzato nel settore e
non sia organizzato in modo da poter partecipare a numerose gare per l'affidamento della progettazione di simili
opere. Il Settore Lavori Pubblici si occupa poi spesso, come emerso nel corso del giudizio, della gestione delle gare di
affidamento di lavori, ed evidente che anche in tale materia una esperienza significativa viene maturata solo alle
dipendenze di una amministrazione pubblica che debba gestire gare d'appalto. Anche la richiesta che l'esperienza
pregressa sia stata maturata nel settore "Area Tecnica-Lavori Pubblici" evidentemente coerente con il posto
messo a concorso.
14.3. I criteri di selezione introdotti dal bando di che trattasi sono, in definitiva, coerenti con quanto stabilito
dall'art. 110 T.U.E.L.; conseguentemente da essi non possibile trarre alcun argomento a sostegno dell'assunto
secondo cui il Comune di Novi Ligure avrebbe inteso, consapevolmente, restringere la platea dei partecipanti alla
selezione onde favorire l'ing. R..
15. Il ricorso va conclusivamente respinto.
16. La relativa novit delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese del giudizio tra tutte le
parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Roberta Ravasio, Primo Referendario, Estensore
Antonino Masaracchia, Primo Referendario
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degli atti recanti aggiudicazione della gara di cui al bando n. 3113 del 30 maggio 2011 avente ad oggetto
"affidamento lavori ripristino danni Palazzo Camponeschi".
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Provveditorato
Interregionale OO.PP. Lazio Abruzzo Sardegna e di Conscoop-Consorzio Tra Cooperative di Produzione e Lavoro Soc.
Coop;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2013 il dott. Maria Abbruzzese e uditi per le parti i difensori
come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
La societ ricorrente, in proprio e quale capogruppo mandataria dell'Associazione temporanea di Imprese
Italiana Costruzioni s.p.a. - General Costruzioni di Patella Geom. G. e Fratelli N. s.r.l., impugna gli atti con i quali
stata disposta, in favore del consorzio controinteressato, l'aggiudicazione della gara indetta per l'affidamento dei
lavori di ripristino dei danni a seguito del sisma del 6.4.2009 al c.d. "Palazzo Camponeschi", gi sede della Facolt di
Lettere dell'Universit degli Studi dell'Aquila.
Il bando richiedeva, con riferimento ai lavori de quibus, e sulla base della sola progettazione preliminare, la
redazione di una proposta migliorativa a livello definitivo, la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e
l'esecuzione dei lavori.
Secondo la ricorrente, il Consorzio controinteressato avrebbe dovuto essere escluso e in ogni caso
l'aggiudicazione disposta in suo favore doveva ritenersi illegittima per i seguenti motivi: 1) a) Violazione degli artt.
53 e 90 D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell' art. 254 D.P.R. n. 207 del 2010 (gi art. 53 D.P.R. n. 554 del 1999) - Violazione
della lex specialis di gara e dell'art. 46, comma 1-bis D.Lgs. n. 163 del 2006 - Eccesso di potere per carenza di
istruttoria da parte dalla Commissione giudicatrice: il costituendo Consorzio aveva dichiarato, in sede di domanda di
partecipazione, di volere affidare la progettazione esecutiva posta in gara ad una costituenda associazione
temporanea di professionisti, composta dalla mandataria "Interprogetti s.r.l.", societ di ingegneria, e dalle
mandanti "H&W Servizi di Ingegneria s.r.l.", societ di ingegneria, "P.G. e Associati", Associazione professionale, e
Ing. A.W.C., giovane professionista; senonch risultato che la societ "H&W Servizi di Ingegneria s.r.l.", bench
societ di ingegneria, priva di Direttore tecnico, necessario per la stessa valida configurazione della societ in
questione, e come tale non avrebbe i requisiti prescritti per poter essere affidataria delle attivit di progettazione,
in violazione della disposizione epigrafata (art. 254 D.P.R. n. 207 del 2010); espunta la "H&W" dal costituendo
raggruppamento di professionisti, i restanti componenti della compagine associativa non raggiungono il restante
40% dei requisiti tecnico-professionali ed economici che le mandanti devono complessivamente possedere per
poter eseguire il servizio di progettazione, posto che la "Interprogetti" (che possiede il 100% dei requisiti per la
progettazione delle categorie 1E/1D e 3C) non potrebbe utilizzare pi del 60% dei requisiti stessi e la "P.G. e
Associati" non copre il restante 40%; l'aggiudicataria pertanto avrebbe dovuto essere esclusa per assenza dei
requisiti richiesti dal bando per lo svolgimento del servizio di progettazione; n pu supplire la qualificazione del
Consorzio (mandataria del raggruppamento aggiudicatario) non avendo il Consorzio medesimo indicato i
professionisti "interni" titolari dei requisiti per la progettazione e dunque dimostrato la sussistenza, in capo agli
stessi, dei requisiti di ordine generale e speciale per la partecipazione alla gara; b) la domanda di partecipazione non
indica l'esecutore della progettazione definitiva; nella domanda di partecipazione, infatti, Conscoop afferma di voler
affidare ai progettisti esterni la sola progettazione "esecutiva" e i professionisti, a loro volta, fanno riferimento
anch'essi alla sola progettazione "esecutiva"; le domande di partecipazione e la dichiarazione dei progettisti sono
dunque entrambe inesatte, incomplete e contraddittorie; ove la Conscoop volesse in proprio svolgere la
progettazione definitiva con l'ausilio di progettisti "interni", la domanda di partecipazione sarebbe ugualmente
incompleta perch priva dell'indicazione dei professionisti "interni" abilitati e detentori dei requisiti necessari a
termini del bando; c) la dichiarazione dei professionisti indicati per la progettazione esecutiva incompleta anche
sotto il profilo della indicazione della attivit di progettazione che ognuno dei professionisti dovr eseguire; nella
dichiarazione in questione si legge che le attivit di progettazione esecutiva saranno cos ripartite: l'arch.
Giannattasio si dichiara responsabile della progettazione per le categorie 1D/1E con riferimento agli aspetti
architettonici; gli ingegneri P., R. e C. si dovrebbero occupare delle medesime categorie 1D/1E con riferimento agli
aspetti strutturali e di ingegneria sismica; l'ing. P. si occuper della categoria 3C con riferimento alle opere
impiantistiche; manca per la indicazione delle percentuali delle attivit di progettazione che i singoli professionisti
eseguiranno, che devono coincidere con la percentuale dei requisiti posseduti; d) la domanda di partecipazione alla
gara del Consorzio Conscoop irregolare anche con riguardo alla proposta tecnica migliorativa presentata in sede di
offerta perch non ha sviluppato la proposta stessa a livello di progetto definitivo, non essendo timbrata n
sottoscritta da professionisti abilitati ma solo dai rappresentanti legali della Conscoop e della Crimisos; il "progetto"
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migliorativo presentato non quindi riconducibile ad un professionista abilitato, elemento imprescindibile per la
validit del progetto e per la prova di reale fattibilit dello stesso; 2) Violazione dell'art. 12 del bando di gara e dell'
art. 86 del D.Lgs. n. 163 del 2006 - Violazione del principio della immodificabilit dell'offerta - Eccesso di potere per
difetto di istruttoria, illogicit e contraddittoriet dell'operato della commissione di gara - Violazione del principio
del corretto agire della P.A. (art. 97 Cost.): il raggruppamento aggiudicatario ha offerto il ribasso del 32,468% sul
prezzo posto a base di gara e sullo stesso stato invitato a fornire giustificazioni; il consorzio ha dunque prodotto
un elaborato denominato "riepilogo voci giustificate e importi" che non tiene in alcun conto i costi relativi alle
migliorie proposte; in esito agli ulteriori chiarimenti richiesti, la Conscoop ha prodotto altro elaborato che, del tutto
contraddittoriamente, include nel prezzo complessivo anche le ulteriori lavorazioni non precedentemente
giustificate, riducendo o omettendo altre lavorazioni prima comprese o comunque necessarie, di cui il ricorso d
esemplificativa elencazione (non integrale ricostruzione di solai demoliti, mancato computo dell'illuminazione
esterna, del costo di trasporto dei materiali di cantiere, della qualit di manodopera impiegata, ecc.), con ulteriori
carenze o omissioni riscontrabili nelle dichiarazioni dei fornitori offerte a supporto dell'analisi dei prezzi; in
definitiva, la aggiudicataria ha modificato il computo delle quantit per ricondurre il ribasso offerto alle maggiori
lavorazioni che si era impegnata ad eseguire, che, ove correttamente computate, avrebbe condotto ad un ribasso
inferiore con diverso esito della gara; 3) Violazione del D.M. 14 gennaio 2008, degli artt. 24, 25 e 26 D.P.R. n. 554 del
1999 (oggi artt. 23, 24 e 25 D.P.R. n. 207 del 2010) e dell'art. 12 del bando di gara - eccesso di potere per
insufficiente ed erronea istruttoria - Violazione del principio del corretto agire della P.A. (art. 97 Cost.): l'offerta
dell'aggiudicataria carente anche sotto il profilo tecnico, in quanto gravemente violativa della normativa tecnica
vigente; in particolare, il sistema di fondazioni proposto prevede l'uso contestuale di fonazioni su pali o miste con
formazioni superficiali in violazione dell'art. 7.2.1. del citato D.M. (Criteri generali di progettazione fondazione per
edifici in zona sismica); inoltre, la proposta migliorativa carente sotto il profilo del calcolo del grado di sicurezza
sismico dell'edificio, in quanto non basato sull'accelerazione massima al suolo in concreto calcolata.
Concludeva per l'accoglimento del ricorso e dell'istanza cautelare.
Si costituivano Conscoop e l'Amministrazione chiedendo il rigetto del ricorso e dell'istanza cautelare, stante la
piena legittimit degli atti impugnati e l'infondatezza dell'impugnazione.
La ricorrente proponeva motivi aggiunti rivolti al diniego (implicito) di autotutela a seguito di notificazione di
avviso di ricorso all'Amministrazione aggiudicatrice e alla declaratoria di inefficacia del contratto ove stipulato e
riproponeva l'istanza cautelare, che il TAR respingeva.
Le parti depositavano memorie e documentazione.
All'esito della pubblica udienza dell'8 maggio 2013, il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
I. Con il ricorso e i successivi motivi aggiunti, la societ ricorrente, nelle qualit sopra indicate, impugna
l'aggiudicazione della gara d'appalto per la progettazione e i lavori relativi al c.d. "Palazzo Camponeschi" a L'Aquila
disposta in favore della controinteressata.
I.1) La ricorrente, che risulta seconda graduata nella gara de qua, lamenta anzitutto la mancata esclusione
della controinteressata aggiudicataria per carenza di requisiti soggettivi (riferiti ad una delle societ del costituendo
raggruppamento indicato per la progettazione; I motivo, rilievo sub a), per incompletezza o irregolarit dell'offerta
(I motivo, rilievi sub b), c) e d) e comunque per inidoneit tecnica della proposta progettuale (migliorativa)
formulata, neppure giustificata a livello di prezzo offerto (rispettivamente III e II motivo).
II. Sotto un primo profilo, la ricorrente deduce l'illegittima ammissione alla gara della aggiudicataria che ha
indicato, per le attivit di progettazione (esecutiva e definitiva, come richieste dal bando), un costituendo
raggruppamento nonostante una delle associate nella costituenda ATI (la "H&W Servizi di Ingegneria s.r.l."), bench
societ di ingegneria, non disponesse di un direttore tecnico come prescritto espressamente dall' art. 207 D.P.R. n.
207 del 2010.
II.1) In particolare, deduce la ricorrente, una volta esclusa la "H&M" (perch non qualificabile ai fini dei
pubblici appalti), il raggruppamento nel suo complesso non sarebbe a sua volta qualificato, posto che la mandataria
(Interprogetti) non potrebbe spendere pi del 60% della sua qualificazione e le residue associande non coprirebbero
il residuo 40%.
II.2) La controinteressata sostiene l'infondatezza del rilievo giacch la citata "H&W" non sarebbe in realt una
"societ di ingegneria" ma una "societ tra professionisti", come tale non tenuta alla nomina del direttore tecnico;
inoltre, il raggruppamento, che comprende, come mandataria, la "Interprogetti S.r.l." (che sarebbe qualificata per il
100% dell'appalto relativamente alle attivit di progettazione) non avrebbe alcuna necessit di "spendere" la
qualificazione della "H&M", posto che dispone e potrebbe utilizzare ben pi del 60% dei requisiti richiesti, come
peraltro espressamente previsto dal bando di gara, rendendo cos irrilevante la (peraltro insussistente) carenza dei
requisiti in capo alla "H&M".
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II.3) Va precisato in fatto che nella domanda di partecipazione, il costituendo raggruppamento Conscoop Crimisos (aggiudicatario) dichiarava, ai sensi dell' art. 53, comma 3 del D.Lgs. n. 163 del 2006 e dell'art. 12 del bando
di gara, di voler affidare le attivit di progettazione poste in gara ad una costituenda associazione temporanea di
professionisti, composta dalla mandataria "Interprogetti s.r.l.", societ di ingegneria, e dalle mandanti "H&W"
Servizi di Ingegneria s.r.l.", societ di ingegneria, "P.G. e Associati", Associazione professionale", e ing. A.W.C.,
giovane professionista.
Le attivit di progettazione sono poi state cos ripartite (come risulta dalla apposita dichiarazione presentata):
l'arch. G. (facente parte dell'Associazione professionale "P.G. e Associati") si incaricata delle categorie 1D/1E con
riferimento agli aspetti architettonici; gli ingegneri P. ("Interprogetti"), R. ("H&W") e C. (giovane professionisti) si
sono incaricati delle medesime categorie 1D/1E con riferimento agli aspetti strutturali e di ingegneria sismica, l'ing.
P. ("Interprogetti") si incaricato della categoria 3C con riferimento alle opere impiantistiche.
II.4) Osserva preliminarmente il Collegio che la distinzione tra "societ di professionisti" e "societ di
ingegneria" sta nella diversit della forma societaria prescelta, che, nel primo caso, ricade in uno dei tipi codificati di
societ di persone, ovvero di societ cooperativa, e nel secondo di societ di capitali.
Inoltre, mentre la societ di professionisti pu essere formata solo da professionisti, la societ di ingegneria
consente l'apporto (anche) di solo capitale (e dunque anche di soci non professionisti), il che ha imposto l'obbligo
della nomina del direttore tecnico con il compito di controfirmare i progetti e la conseguente assunzione di
responsabilit solidale con i professionisti al fine di compensare eventuali limitazioni (appunto, di responsabilit)
connesse al peculiare schermo della forma societaria.
II.5) In ogni caso, a prescindere dalla forma prescelta (individuale, associativa, societaria) il sistema continua a
prevedere la natura personale dell'attivit libero-professionale imponendo la specifica indicazione dei soggetti
professionisti firmatari dei singoli progetti anche, per quanto rileva nella presente sede, in caso di pubblici appalti.
Nel caso di specie, tale indicazione - giova anzitutto evidenziare - stata sicuramente fornita (cfr. punto II.3)
che precede) ed ricaduta su professionisti esattamente individuati.
II.6) A ci deve aggiungersi che il bando di gara, nella specifica ipotesi che il soggetto affidatario dell'appalto
non intendesse occuparsi personalmente della progettazione (che il caso in esame), prescriveva con puntualit i
requisiti dell'eventuale (diverso) soggetto indicando nel modo che segue: "In mancanza di adeguata qualificazione
SOA, i requisiti del progettista/dei progettisti indicato/i o eventualmente associato/i sono i seguenti a) insussistenza
delle condizioni di esclusione dalle gara per servizi, previste dagli artt. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 e ss.mm.ii e 51
del D.P.R. n. 554 del 1999; b) iscrizione all'albo professionale; c) possesso del requisito di cui al R.D. 23 ottobre
1925, n. 2537, art. 52; d) insussistenza di condanne penale passate in giudicato a carico del professionista e, in caso
di societ, a carico di tutti i soggetti dotati di poteri di rappresentanza; e) per le societ, iscrizione alla Camera di
Commercio II.AA.AA.; f) fatturato globale per servizi di cui all' articolo 50 D.P.R. n. 554 del 1999 nei migliori cinque
anni del decennio precedente la pubblicazione del bando, per un importo pari a 3 volte l'importo della
progettazione a base d'asta; g) avvenuto espletamento, nell'ultimo decennio, di servizi di cui all' articolo 50 D.P.R. n.
554 del 1999, relativi a lavori appartenenti ad ognuna delle indicate classi e categorie dei lavori, individuate sulla
base delle elencazioni contenute nelle vigenti tariffe professionali (...); h) avvenuto svolgimento, nell'ultimo
decennio, di due servizi (....); i) numero medio annuo del personale tecnico utilizzato (....)".
Per le societ, pertanto, il bando richiedeva la sola iscrizione alla Camera di Commercio (che la "H&M" ha
documentato), senza ulteriori specificazioni, fermo il possesso dei requisiti soggettivi (di moralit e di idoneit
tecnico-professionale, attestata, quest'ultima, dall'iscrizione all'albo) in capo a progettisti/singoli professionisti.
II.7) Va doverosamente aggiunto che, bench la "H&M" fosse costituita in forma di s.r.l. (dunque, societ di
capitali, e dunque, in ragione della forma societaria prescelta, "societ di ingegneria"), la stessa in realt si
componeva, all'epoca della domanda di partecipazione alla gara, di due soli soci, entrambi professionisti, dunque
aventi titolo autonomamente a sottoscrivere i progetti in proprio, senza l'apporto di capitali esterni.
II.8) Va ancora aggiunto che, a termini del bando, "in caso di raggruppamento temporaneo o consorzio tra
professionisti, i requisiti di cui alle lettera f), g), i) (sopra indicati) dovranno essere posseduti in misura non inferiore
al 60% della capogruppo o da un consorziato, mentre la restante percentuale dovr essere posseduta
cumulativamaente dai mandanti o dagli altri consorziati".
Per effetto della suindicata prescrizione di bando, discende, per un verso, che la mandataria "Interprogetti"
(qualificata per il 100% dei requisiti richiesti) ben potrebbe spendere pi del preteso 60% e che gli altri associati in
raggruppamento non avrebbero necessit alcuna di possedere (globalmente) il 40%, come la ricorrente argomenta.
II.9) Infine, va evidenziato che la contestata partecipazione di "H&M", nello specifico, si limita alla dichiarata
partecipazione dell'ing. R., che, come sopra detto, si fatto carico di parte delle categorie ID/IE con riferimento agli
aspetti strutturali e di ingegneria sismica, e del quale non contestata la qualificazione per tali aspetti.
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II.10) Tenuto conto delle suindicate evenienze fattuali, ritiene il Collegio che in alcun modo pu trovare spazio
la doglianza proposta con riferimento alla pretesa doverosa esclusione della "H.&M.".
Sotto un primo profilo, la mancata indicazione del Direttore tecnico non sanzionata dal bando a pena di
esclusione e comunque renderebbe "irregolare" la societ di ingegneria senza che ne debba ex se derivare
l'inammissibilit della prestazione del libero-professionista firmatario e (nella specie) individuato.
A ci deve aggiungersi che anche l'eventuale "inammissibilit" della partecipazione di "H&M" non rileverebbe,
in ogni caso, ai fini della complessiva qualificazione del raggruppamento e dei singoli professionisti, fatta comunque
salva dalla sicura e sovrabbondante qualificazione della mandataria.
III. Di seguito, la ricorrente deduce che la controinteressata dovrebbe comunque essere esclusa per non aver
indicato chiaramente i professionisti incaricati con riguardo alla progettazione "definitiva".
III.1) Tale conclusione deriverebbe, ad avviso della ricorrente, dalla lettura dell'offerta e degli allegati, dai quali
(in pi punti) la partecipazione dei professionisti indicati si evincerebbe come limitata alla mera progettazione
"esecutiva".
Dunque, continua la ricorrente, la progettazione definitiva dovrebbe allora essere curata direttamente
dall'impresa appaltatrice che per non ha indicato i professionisti "interni" che dovrebbero eseguirla.
In entrambi i casi, la domanda sarebbe "incompleta" o "contraddittoria" con la necessaria doverosa esclusione
dell'impresa.
III.2) Il rilievo non ha pregio.
L'offerta indica, per le attivit di progettazione, il gi sopra nominato costituendo raggruppamento e, per parte
loro, i progettisti hanno presentato la dichiarazione resa ai sensi del D.P.R. n. 445 del 2000 con riferimento alla
redazione del "progetto oggetto di gara" (pag. 3 della dichiarazione resa dai professionisti), quest'ultimo individuato
testualmente nell'oggetto nell'epigrafe della medesima dichiarazione "Redazione proposta migliorativa livello
definitivo, progettazione definitiva, progettazione esecutiva").
Deve pertanto ritenersi che, posto che nessuna limitazione hanno posto i dichiaranti all'oggetto della
prestazione di progettazione come indicato nel bando, gli stessi sono impegnati a tali attivit nella loro globalit, il
che corrisponde esattamente a quanto dichiarato dal concorrente nella "domanda di partecipazione e dichiarazione
d'impegno" che, del pari senza alcuna limitazione, "indica" il R.T.P. tra progettisti per le attivit di progettazione
(tutte; cfr. lett. b) pag. 3) e dichiarano, inoltre, che il costituendo R.T.P. "incaricato della progettazione (tutta) in
possesso dei requisiti, generali e speciali previsti dal bando di gara" (cfr. lett.c) della dichiarazione predetta).
La impropria dicitura utilizzata nelle parti indicate dalla ricorrente non pu pertanto, tenuto conto della
doverosa interpretazione complessiva delle dichiarazioni sopra richiamate, condurre alle conclusioni propugnate da
parte ricorrente.
IV. Di seguito, parte ricorrente deduce l'irritualit della dichiarazione dei professionisti sotto il profilo della
mancata indicazione delle percentuali di servizio (attivit di progettazione) che ognuno dei professionisti
incaricato di eseguire.
IV.1) In realt, osserva il Collegio, la disposizione cui fa esatto riferimento parte ricorrente (art.37, D.Lgs. n. 163
del 2006), non parla affatto di "percentuali" bens di "parti" del servizio da svolgere (cfr. art. 37, comma 4: "Nel caso
di forniture o servizi nell'offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite
dai singoli operatori eoconomici riuniti o consorziati").
IV.2) Nel caso di specie, i professionisti incaricati hanno correttamente indicato - ciascuno - le parti del servizio
di progettazione che andranno ad eseguire, come gi sopra riportato (cfr. punto II.3), che precede), parti del
servizio, giova aggiungere, per il quale (non si contesta che) sono sicuramente qualificati.
IV.3) Sotto diverso profilo, il Collegio ha difficolt a comprendere come un'attivit intellettuale, quale quella
libero-professionale di progettazione in esame, possa scindersi in termini (quantitativi) di percentuale (se non forse,
ex post, in termini di "valore" della prestazione eseguita, dipendente anche dalla "qualit" della stessa), sicch
l'unica distinzione che - ex ante - pu rilevare (anche ai fini che ne occupano) proprio quella in "parti", come
dichiarato.
IV.4) Non sembra avere alcun senso, pertanto, per i servizi in questione, la richiesta indicazione delle
"percentuali" di servizio attribuite a ciascuno dei progettisti, con conseguente piena idoneit della dichiarazione
presentata.
V. Il rilievo sub d) del primo motivo di ricorso, di seguito, deduce l'irritualit dell'offerta tecnica presentata
sotto il profilo della mancata sottoscrizione da parte dei tecnici abilitati della "proposta tecnica migliorativa", in
effetti sottoscritta dai soli legali rappresentanti di Conscoop e Crimisos.
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V.1) Osserva il Collegio che la sottoscrizione da parte dei legali rappresentanti dell'impresa era precisamente
quanto richiesto espressamente dal bando (cfr. "avvertenze generali" al bando: "L'offerta deve essere sottoscritta
dal legale rappresentante con firma leggibile...).
V.2) Peraltro, trattandosi di mera "proposta migliorativa", evidentemente da dettagliare e specificare in sede
di "progetto definitivo" e poi "esecutivo" (come evidenziato anche dalla peculiare articolazione degli "elaborati per
la formulazione della proposta migliorativa", limitati ad una "relazione tecnica illustrativa comporta da non oltre 40
pagine" e "non pi di 20 elaborati grafici di formato A1)", l'amministrazione appaltante, del tutto coerentemente,
non ha richiesto la specifica sottoscrizione da parte dei tecnici, peraltro esattamente indicati ai fini della futura
attivit progettuale, comprensiva, ovviamente, anche dei miglioramenti proposti.
V.3) Il primo motivo dunque, in tutti i suoi articolati profili, infondato.
VI. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l'erroneit del giudizio dell'Amministrazione che ha accolto le
giustificazioni rese dall'impresa aggiudicataria in sede di verifica dell'anomalia mentre avrebbe dovuto rilevare le
(pretese) palesi incongruit dei computi effettuati sull'offerta base senza le migliorie proposte, con evidenti errori di
calcolo e omissioni.
VI.1) In ordine alla verifica di anomalia, il Supremo Consesso Amministrativo ha anche di recente stabilito che
"data l'ampia discrezionalit di cui gode l'Amministrazione in relazione all'anomalia dell'offerta, la relativa
valutazione, costituendo espressione di apprezzamento tecnico-discrezionale ed inerendo quindi al merito
amministrativo, da ritenersi insindacabile in sede di legittimit, se non per aspetti di manifesta irrazionalit o
evidente travisamento dei fatti (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 2751/2011).
Inoltre, la verifica di anomalia non ha lo scopo di ricercare singole inesattezze dell'offerta economica, come i
rilievi svolti dal ricorrente tentano di dimostrare, ma ha invece lo scopo di accertare se l'offerta, nel suo complesso,
sia o meno attendibile e dunque se dia o meno affidamento circa la corretta esecuzione dell'appalto (cfr. Cons. di
Stato, sez. VI, n. 3146/2009).
VI.2) Nel caso di specie, giova aggiungere, le dedotte "palesi" incongruit sono state confutate puntualmente
da parte contro interessata (con dovizia di riferimenti specifici sui singoli rilievi sollevati), con argomenti che fanno
recedere le critiche svolte a questioni di merito tecnico precluse a questo Giudice, proprio come il Consiglio di Stato
ha reiteratamente segnalato.
VII. Esito analogo deve confermarsi per il terzo motivo, che critica l'offerta tecnica della controinteressata
deducendo pretesi vizi progettuali nella proposta migliorativa presentata (con riferimento all'uso contestuale di
fondazioni su pali o miste con fondazioni superficiali e all'erronea considerazione del dato dell'accelerazione
sismica).
VII. 1) Orbene, in disparte, anche in questo caso, la puntuale confutazione degli argomenti sollevati da parte
della controinteressata e di parte resistente (sia con riferimento alla pertinenza di tale indicazione alle sole "nuove
costruzioni" sia con riguardo alla possibilit di tale utilizzo purch giustificato da uno specifico studio, in sede di
progettazione di dettaglio, sia ancora alla rilevanza del diverso parametro dell'accelerazione contestato), deve
ribadirsi che la natura eminentemente tecnica (e specialistica) delle questioni svolte esclude la sua riconducibilit a
vizio di "legittimit" dell'azione amministrativa, fermo restando che la valutazione critica del merito (tecnico)
comunque rimessa all'Amministrazione (e ai suoi organi tecnici) in sede di approvazione del progetto definitivo.
VIII. Il rigetto del merito del ricorso impone il rigetto anche dei motivi aggiunti proposti avverso il diniego di
autotutela, che si appalesa del tutto giustificato, e per la declaratoria di inefficacia del contratto che non pu
trovare accoglimento in ragione dell'esito del ricorso impugnatorio.
IX. Il ricorso va, in definitiva, complessivamente respinto giacch infondato.
X. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell'importo in dispositivo indicato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo regionale per l'Abruzzo - L'AQUILA, definitivamente pronunciando sul ricorso e sui
motivi aggiunti di cui in epigrafe, li respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento della complessiva somma di Euro 10.000, 00 (diecimila), da ripartirsi
in parti uguali in favore dell'Amministrazione resistente e della controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in L'Aquila nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Paolo Passoni, Consigliere
Maria Abbruzzese, Consigliere, Estensore
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Avverso gli atti in epigrafe indicati insorgeva la ricorrente deducendo articolate censure di seguito
sintetizzabili:
1) violazione e falsa applicazione dell' art. 15 del D.P.R. n. 554 del 1999, degli artt. 46 e 90 del D.Lgs. n. 163 del
2006, del paragrafo B.1.) del disciplinare di gara e dei principi di par condicio e massima partecipazione, eccesso di
potere per contraddittoriet;
2) violazione e falsa applicazione dell' art. 15 D.P.R. n. 554 del 1999, dell' art. 46 D.Lgs. n. 163 del 2006, dell'art.
1339 c.c., dell'art. 97 della Costituzione e del principio di proporzionalit, ragionevolezza e trasparenza, eccesso di
potere per contraddittoriet manifesta.
Concludeva per l'accoglimento del ricorso con conseguente annullamento degli atti impugnati previa
concessione di idonea misura cautelare.
Si costituiva l'Amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso
Il 20.11.2011 il Comune di Selargius depositava memoria difensiva
Il 30.11.2011 la domanda cautelare veniva respinta con ordinanza n. 486/2011 che veniva riformata dal
Consiglio di Stato con ordinanza n. 341/2012 del 25.1.2012.
In data 12.1.2012 depositava atto di intervento ad opponendum la SMAIL Societ manutenzione illuminazione
s.p.a..
In data 5 marzo 2012 CPL Concordia depositava memoria difensiva.
Memoria di replica veniva depositata dal Comune di Selargius il 7 marzo 2012.
Il 9 marzo 2012 la CPL Concordia depositava memoria di replica.
Il 13 marzo 2012 la SMAIL depositava memoria difensiva.
Alla udienza pubblica del 21.3.2012 il ricorso veniva trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
Il ricorso infondato e deve essere rigettato.
La questione controversa si incentra tutta su un punto.
Cpl Concordia stata esclusa dalla gara bandita dal Comune di Selargius per l'affidamento del project financing
relativo alla concessione di progettazione, esecuzione e gestione dell'impianto di illuminazione pubblica, incluso il
suo completamento e la messa a norma.
L'esclusione stata disposta per la mancata sottoscrizione, da parte di un tecnico abilitato, di tutte le tavole e
gli elaborati progettuali presentati.
Questa Sezione, alla camera di consiglio del 30 novembre 2011 respingeva la domanda cautelare sul
presupposto che il progetto non fosse sottoscritto da parte di soggetto tecnicamente abilitato.
Il Consiglio di Stato riformava l'ordinanza cautelare di questo Giudice con la seguente motivazione:
"Ritenuto che i motivi di doglianza spiegati dalla societ CPL Concordia Societ Cooperativa avverso la sua
esclusione dalla gara meritano l'approfondimento proprio della fase di merito, sia perch, tra l'altro, il progetto
preliminare accompagnato dalla Relazione tecnica, che risulterebbe firmata dai tecnici progettisti, sia in ragione
della peculiarit della gara stessa, riguardante la concessione di lavori pubblici mediante project financing".
L'ordinanza cautelare del Giudice di appello ha opportunamente ritenuto necessario un approfondimento
proprio della fase di merito fondando le proprie valutazioni su due punti:
a) la presenza della sottoscrizione di un tecnico sulla Relazione;
b) la peculiarit della gara, riguardante la concessione di lavori pubblici mediante project financing.
Il Consiglio di Stato ha quindi correttamente ritenuto che le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte
mediante la sollecita fissazione del merito della causa, focalizzando anche l'attenzione del Giudice di prime cure sui
due aspetti poc'anzi descritti.
Ebbene, quanto alla prima questione, l'ordinanza del Giudice di appello non a caso ha utilizzato la formula
dubitativa. La Relazione tecnica in effetti reca una sigla ma non quella di un tecnico abilitato.
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La circostanza peraltro non nemmeno in contestazione (il fatto che nessun progettista di Stain Engineering
s.r.l. abbia mai firmato il progetto) tanto che la difesa stessa della ricorrente non lo afferma neanche a seguito
dell'ordinanza del Consiglio di Stato soffermandosi invece sulla asserita validit della propria offerta tecnica per
essere, la stessa, sottoscritta dal legale rappresentante di CPL.
Anzi, nella memoria di replica del 5 marzo 2012, la difesa della ricorrente argomenta a partire dalla seconda
parte della pi volte citata ordinanza n. 341 del 24.2.2012 sul presupposto, scontato, che il progetto non fosse
sottoscritto da alcun tecnico.
L'attenzione si deve quindi spostare sulla seconda questione, si ribadisce, opportunamente individuata dal
Giudice di appello.
Occorre dunque chiedersi se, nonostante la mancanza della sottoscrizione degli elaborati progettuali da parte
di tecnico abilitato, l'offerta di CPL potesse considerarsi comunque valida.
Per risolvere la questione occorre, anzitutto, partire dall'esame del bando di gara per poi passare ad analizzare
le caratteristiche della gara stessa.
Il disciplinare di gara prevedeva (pagina 11):
"nella Busta B recante la dicitura offerta tecnica, devono essere contenuti, a pena di esclusione, i seguenti
documenti:
B.1.) progetto preliminare redatto sulla base dello studio di fattibilit posto a base di gara. Il progetto dovr
essere completo, a pena di esclusione, di tutti gli elaborati previsti dall' art. 18 del D.P.R. n. 554 del 1999 ad
eccezione del quadro economico, del calcolo sommario della spesa, delle prime indicazioni e disposizioni per la
stesura dei piani di sicurezza previsti al seguente punto C".
Ebbene, come risulta dalla lettura del disciplinare, l'offerta tecnica si componeva (a pena di esclusione) di una
serie di documenti, tra cui il progetto preliminare che (di nuovo a pena di esclusione) doveva essere completo di
tutti gli elaborati previsti dall' art. 18 del D.P.R. n. 554 del 1999.
A pagina 12 del disciplinare si prevedeva (per la terza volta) che "la documentazione di cui sopra, a pena di
esclusione dalla gara (evidenziato in grassetto nel disciplinare) deve contenere quanto previsto nei predetti punti".
Non revocabile in dubbio, quindi, che il progetto preliminare facesse parte dell'offerta tecnica e che esso
dovesse essere completo di tutti gli elaborati elencati dall' art. 18 del D.P.R. n. 554 del 1999.
Anche a seguito di meditata riflessione sollecitata dal Giudice di appello questo Collegio ritiene di concludere
che la decisione dell'Amministrazione di escludere la ricorrente dalla procedura sia del tutto legittima.
Invero, pur considerando la particolarit della procedura, non si pu non ricordare (in quanto espressione di
un principio generale) che ai sensi dell' art. 51, R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925 la paternit dei progetti, relativi a
costruzioni edili o impiantistiche, deve essere assunta da un ingegnere, per cui in assenza della sottoscrizione del
professionista abilitato il progetto d'opera non ha alcuna valenza legale e non potrebbe mai ottenere le
autorizzazioni necessarie alla realizzazione del manufatto ideato in quanto manca la ""specifica garanzia" richiesta
dall'ordinamento che l'opera ideata risponda alle regole della tecnica con cui essa deve essere realizzata" (T.A.R.
Milano Lombardia sez. I, 23 febbraio 2012, n. 595).
Va aggiunto che non necessario che l'ingegnere, o l'architetto, rediga personalmente il progetto, ma
sufficiente che, mediante la sottoscrizione, abbia effettuato la supervisione del progetto stesso elaborato da altri,
assumendone la responsabilit dopo aver verificato l'esattezza di tutti i calcoli statistici delle strutture, nonch
l'idoneit di tutte le soluzioni tecniche ed architettoniche, sotto il profilo della tutela della pubblica incolumit. La
sottoscrizione, dunque, anche nei termini della c.d. "controfirma", comporta la piena assunzione della paternit del
progetto e della connessa responsabilit professionale (T.A.R. Trento Trentino Alto Adige sez. I, 11 marzo 2010, n.
83).
La necessit della sottoscrizione di un progetto , dunque, ad avviso di questo Giudice del tutto pacifica posto
che la firma costituisce l'unico strumento di sicura riconducibilit del progetto al suo estensore ed offre
inequivocabilmente la certezza che il progetto stesso sia stato redatto dal tecnico abilitato il quale ne assume, cos,
la relativa responsabilit.
Se poi, come nel caso di specie, il progetto costituisce, a pena di esclusione, elemento essenziale dell'offerta
tecnica, il difetto della sottoscrizione priva di giuridica rilevanza il medesimo con conseguente pacifico difetto di uno
degli elementi essenziali dell'offerta.
Le argomentazioni della ricorrente, pur suggestivamente esposte, non possono essere condivise.
Affermare che il "progetto preliminare, presentato dai concorrenti e valutato dalla stazione appaltante,
quindi soltanto una proposta progettuale" non significa che esso non debba essere sottoscritto. Esso fa parte di
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un'offerta, questo pacifico, ma sostenere che "esso assumer efficacia vincolante soltanto in seguito alla
conclusione dell'iter approvativo da parte della stazione appaltante" non condivisibile. La difesa della ricorrente
sposta l'attenzione dalla gara all'iter successivo della procedura di project financing. Le affermazioni in ordine al
fatto che "nel momento in cui il progetto verr approvato, quest'ultimo abbandoner la veste di mera proposta"
non sono pertinenti rispetto all'oggetto della controversia.
E' fuori di dubbio che la procedura (pur afferendo ad un project financing) costituisca una pubblica gara. Il
Consiglio di Stato recentemente ha avuto modo di affermare che "nelle gare pubbliche condizione essenziale perch
l'offerta tecnica possa ritenersi sottoscritta sia dal rappresentante dell'impresa che dal professionista che l'aveva
redatta che le due firme risultino apposte in calce ad ogni documento al quale si riferiscono, non essendo
configurabile alcuna equipollenza fra la firma riportata in calce e quella riportata in testa e, tanto meno sul
frontespizio di un testo di pi pagine, atteso che soltanto con la firma in calce che si esprime il senso della
consapevole assunzione della paternit di un testo e della responsabilit in ordine al suo contenuto (Consiglio di
Stato, sez. V, 20 aprile 2012, n. 2317).
La ricorrente sostiene che il disciplinare di gara prevedeva a pena di esclusione soltanto la presenza dei
documenti di cui all' art. 18 del D.P.R. n. 554 del 1999. Aggiunge il Collegio che i documenti per essere riconoscibili
come tali devono essere sottoscritti da chi li ha redatti. Senza la firma i documenti non ci sono. N pu essere
assunta la paternit di una progettazione da un soggetto non abilitato a farlo o che non la ha predisposta n ha
partecipato alla stessa.
Per le motivazioni sopra esposte nessuna delle censure dedotte dalla ricorrente pertanto idonea ad
individuare un vizio invalidante l'atto impugnato.
Il ricorso deve, in definitiva, essere respinto siccome infondato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul
ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio che liquida come di seguito:
Euro 2.000/00 (duemila/00) oltre I.V.A. e C.P.A.. in favore dell'Amministrazione;
Euro 1.500/00 (millecinquecento/00) oltre I.V.A. e C.P.A. in favore dell'interveniente ad opponendum.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 21 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Aldo Ravalli, Presidente
Marco Lensi, Consigliere
Gianluca Rovelli, Primo Referendario, Estensore
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per l'annullamento
del provvedimento 21.4.2010 n. 8879 con cui l'autorit intimata ha rifiutato di esprimere il parere di
competenza sul progetto a firma del ricorrente nonch per il risarcimento del danno.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione per i Beni e le Attivit Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 novembre 2011 la dott.ssa Brunella Bruno e udito l'avv. Maggiora
per il ricorrente;
Svolgimento del processo
A. A.M.S. ha conseguito la laurea in ingegneria civile presso l'Universit di Padova nel 1973 e, abilitato
all'esercizio della professione, opera da molti anni nel settore.
B. Con provvedimento del 21 aprile 2010 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le
Province di Vicenza, Verona e Rovigo ha rifiutato la valutazione dei progetti relativi ad un intervento di
manutenzione di un edificio tutelato in quanto redatti dal S. e, dunque, da un ingegnere e non da un architetto
abilitato, regolarmente iscritto al relativo albo professionale ed in considerazione di alcune carenze documentali,
segnatamente riferite alla relazione tecnica ed alla descrizione dei serramenti previsti.
C. Avverso il suddetto provvedimento il S. ha proposto il ricorso introduttivo del presente giudizio, deducendo
le seguenti censure:
- violazione della direttiva CEE n.85/384 e del d. lgs. n. 129 del 1992, giacch con tale direttiva stata operata
una piena equiparazione dei titoli di ingegnere civile/edile e di architetto ai fini dell'accesso alle attivit nel campo
dell'architettura, quanto meno in relazione ai titoli conseguiti in epoca antecedente alla direttiva in argomento e
presi in considerazione dal legislatore comunitario ai fini della parificazione. La difesa del ricorrente sostiene, su tali
basi, la disapplicazione dell'art. 52 del r.d. n.2537 del 1925, in quanto norma interna contrastante con la disciplina
comunitaria;
- violazione e falsa applicazione dell' art. 52 del r.d. n. 2537 del 1925, in quanto tale disposizione fa
espressamente salva la parte tecnica delle opere di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico,
ipotesi, questa, ricorrente nella fattispecie giacch l'intervento ha ad oggetto esclusivamente la manutenzione di un
pavimento in porfido e di alcuni infissi, da sostituire con materiali del tutto identici a quelli esistenti, dovendosi,
dunque, escludere che il professionista abbia operato scelte di carattere culturale;
- eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto assoluto di motivazione nonch violazione dell'art. 21
del D.Lgs. n. 42 del 2004, a motivo dell'assoluta assenza di giustificativi in relazione alla determinazione assunta,
segnatamente riferiti alla valutazione in ordine alla natura prettamente tecnica dell'intervento.
D. Il ricorrente ha, inoltre, agito per il risarcimento del danno subito per effetto della determinazione gravata,
quantificato in misura non inferiore ad euro 10.000,00.
E. L'Amministrazione per i Beni e le Attivit Culturali si costituita in giudizio per resistere al gravame.
F. Con ordinanza n. 418 del 2010 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare disponendo il riesame della
vicenda, in considerazione della sussistenza di un apprezzabile fumus, alla luce delle caratteristiche del progetto,
limitato agli aspetti tecnici di edilizia civile; l'ordinanza stata, in esito all'appello cautelare, riformata dal Consiglio
di Stato con provvedimento n. 5540 del 2010, a motivo di una diversa valutazione della natura dell'intervento, non
riferito alla sola parte tecnica, nonch dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza comunitaria, secondo il
quale laddove vengano in considerazione situazioni puramente interne a uno Stato membro, la direttiva
85/384/CEE non osta a una normativa nazione la quale riconosca, in linea di principio, l'equivalenza dei titoli di
architetto e di ingegnere civile, riservando tuttavia ai soli architetti i lavori riguardanti in particolare gli immobili
vincolati appartenenti al patrimonio artistico.
G. All'udienza del 24 novembre 2011 la causa stata introitata per la decisione.
Motivi della decisione
1. Il Collegio ritiene di poter procedere direttamente all'esame del merito, non essendo stata sollevata alcuna
eccezione preliminare e non emergendo questioni rilevabili d'ufficio.
2. Il ricorso infondato.
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2.1. Privo di pregio si palesa il primo motivo di ricorso, con il quale la difesa di parte ricorrente ha dedotto la
violazione della direttiva CEE n.85/384 e del d. lgs. n. 129 del 1992, in considerazione della piena equiparazione dei
titoli di ingegnere civile e di architetto ai fini dell'accesso alle attivit nel campo dell'architettura, quanto meno in
relazione ai titoli conseguiti in epoca antecedente alla direttiva in argomento e presi in considerazione dal
legislatore comunitario ai fini della parificazione.
2.2. Come chiarito, infatti, dalla consolidata giurisprudenza del giudice d'appello, gli artt. 2 e segg. della
direttiva comunitaria sopra citata dettano le norme per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio conseguiti dai
cittadini degli Stati membri a conclusione di studi universitari riguardanti l'architettura, introducendo anche un
regime transitorio di reciproco riconoscimento di taluni titoli tassativamente indicati (cfr., ex multis, Cons. St., sez.
VI, 11 settembre 2006, n. 5239).
2.3. La stessa Corte di Giustizia delle Comunit Europee ha affermato che la direttiva in argomento non ha
attuato nell'ordinamento interno alcuna equiparazione dei titoli di ingegnere civile e di architetto ai fini
dell'esercizio delle attivit professionali nel campo dell'architettura.
Con ordinanza del 5 aprile 2004, infatti, la Corte ha evidenziato "la Direttiva 85/384 non si propone di
disciplinare le condizioni di accesso alla professione di architetto, n di definire la natura delle attivit svolte da chi
esercita tale professione"; ma ha invece ad oggetto solamente "il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati
membri, dei diplomi, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi
minimi in materia di formazione allo scopo di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera
prestazione dei servizi per le attivit del settore della architettura... ".
2.4. In definitiva, secondo la Corte, la direttiva non impone allo Stato membro di porre i diplomi di laurea in
architettura e in ingegneria civile indicati all'art. 11 su un piano di perfetta parit per quanto riguarda l'accesso alla
professione di architetto in Italia; n tantomeno pu essere di ostacolo ad una normativa nazionale che riservi ai
soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d'interesse storicoartistico sottoposti a vincolo.
2.5. Alla stregua delle conclusioni formulate dalla Corte deve dunque ritenersi infondata la tesi di parte
ricorrente, secondo cui la disposizione dell'art. 52 R.D. cit. sarebbe in contrasto con la direttiva comunitaria.
2.6. Per completezza di analisi si evidenzia, inoltre, che nella competenza all'autorizzazione dei progetti delle
opere eseguite sugli edifici soggetti a vincolo culturale rientra anche quella alla verifica dell'idoneit professionale
del progettista (Cons. St., sez. VI, 11 settembre 2006, n. 5239).
3. Del pari infondato si palesa il secondo motivo di ricorso, con il quale stata dedotta la violazione e falsa
applicazione dell' art. 52 del r.d. n. 2537 del 1925.
3.1. La difesa di parte ricorrente sostiene, nello specifico, che giacch tale disposizione fa espressamente salva
la parte tecnica delle opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico, nella fattispecie non
avrebbe potuto essere negata la competenza del ricorrente, in quanto l'intervento ha ad oggetto esclusivamente la
manutenzione di un pavimento in porfido e di alcuni infissi, da sostituire con materiali del tutto identici a quelli
esistenti.
3.2. Il Collegio evidenzia che la valutazione in merito alla natura tecnica o meno dell'intervento, rilevante ai fini
dell'applicazione della prefata disposizione, deve essere condotta ex ante ed in astratto e che, nella fattispecie,
contrariamente a quanto affermato dalla difesa del ricorrente, l'intervento ha ad oggetto - come emerge dalla
relazione (all. 2 delle produzioni documentali di parete ricorrente), la manutenzione del cortile interno, del portico e
degli infissi del complesso edilizio e, dunque, interessa, con tutta evidenza, aspetti di carattere squisitamente
estetico e non di carattere meramente funzionale.
3.3. Si osserva, infatti, che la stessa decisione di mantenere l'originaria pavimentazione come pure quella di
definire le caratteristiche dei nuovi serramenti costituiscono scelte che non sono ascrivibili nell'ambito della "parte
tecnica delle opere di edilizia civile" contemplata dalla disposizione in esame.
3.4. Il richiamo al parere espresso dal Consiglio di Stato, a seguito della proposizione da parte del ricorrente di
un ricorso straordinario al Capo dello Stato, in data 24 novembre 2004, non appare conferente, giacch in
quell'occasione, in relazione alla specifica fattispecie esaminata, stato rilevato che l'esponente non era stato
"incaricato del restauro integrale" dell'immobile, "ma della sola parte tecnica e consolidativa, mentre l'incarico sugli
aspetti pi propriamente collegati alle discipline tecniche e di restauro" era stato affidato "ad altro professionista".
4. Con il terzo motivo di ricorso stato, infine, dedotto il vizio di eccesso di potere per carenza di istruttoria e
difetto assoluto di motivazione nonch la violazione dell'art. 21 del d. lgs. 42 del 2004, a motivo dell'assoluta
assenza di giustificativi in relazione alla determinazione assunta, segnatamente riferiti alla valutazione in ordine alla
natura prettamente tecnica dell'intervento.
4.1. Anche tale censura infondata.
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4.2. Il provvedimento gravato, infatti, presenta un sufficiente substrato motivazionale, evidenziando le ragioni
per le quali l'amministrazione ha ritenuto di non procedere alla formulazione del parere richiesto, individuate nella
carenza di competenza del progettista oltre che nelle carenza documentali riscontrate.
4.3. L'espresso richiamo all' art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925 ed alle pronunce della giurisprudenza comunitaria
e nazionale in materia appaiono, infatti, adeguate al fine dell'individuazione dei presupposi di fatto e delle ragioni
giuridiche alla base della determinazione assunta.
5. Dall'infondatezza della domanda di annullamento consegue anche il rigetto della domanda risarcitoria
proposta dal ricorrente.
Per le ragioni esposte, il ricorso , dunque, infondato e va rigettato.
6. Appaiono sussistere giustificati motivi, in considerazione delle peculiarit della fattispecie, della natura della
controversia e della circostanza che le difese dell'amministrazione resistente non hanno potuto trovare ingresso
nelle valutazioni del Collegio in quanto tardivamente depositate, per compensare integralmente tra le parti le spese
di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul
ricorso in epigrafe indicato, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Brunella Bruno, Referendario, Estensore
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Tribunale
Trib. Pisa, Sent., 18/02/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PISA
Il Tribunale di Pisa in persona del dott. Leonardo Magnesa, in funzione di Giudice Unico, nella causa iscritta al
n. 60082/2007 R.G. e promosso da:
H.G.T., rappresentata e difesa dall'Avv. Duccio Bari
(opponente ed istante in via riconvenzionale)
contro
Arch. F.P., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Alberto M. Nucci e Sandra Aringhieri (convenuto opposto)
ha pronunciato
SENTENZA
PASSATA IN DECISIONE SULLE CONCLUSIONI DI CUI ALL'UDIENZA 13.11.2014, CONCLUSIONI QUESTE DA
INTENDERSI QUI INTEGRALMENTE TRASCRITTE.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Mediante atto tempestivamente notificato H.G.T. formulava opposizione avverso il decreto ingiuntivo n.
1191/06 emesso, ad istanza dell'Arch. F.P. dalla (ormai soppressa) sezione distaccata del su intestato Tribunale, per
l'importo di 96.195,76, oltre oneri fiscali interessi legali e spese di procedura monitoria per prestazioni professionali
espletate a suo favore dal convenuto opposto in riferimento alla ristrutturazione d'un gruppo di fabbricati rurali in
Laiatico (PI) Fraz. Orciatico, Loc. Podere Le Querce: l'ingiunta lamentava come il credito residuo dell'opposto fosse
tutt'al pi di Euro 10.000,00, da decurtare l'acconto gi versato svolgendo contestualmente istanza riconvenzionale
il ristoro dei danni a causa del non corretto adempimento dell'incarico. Nel resistere il F. evidenziava una serie di
prestazioni rese per un importo di attuali Euro 516.000,00 quale valore economico degli interventi programmati
della ristrutturazione degli immobili con la debita precisazione che accatastamenti, agibilit e sicurezza sarebbero
stati conteggiati separatamente: il tutto con richiesta della parte ingiunta d'una certa urgenza nell'espletamento
delle prestazioni professionali commissionate; che in assenza di riscontro dei solleciti di pagamento esso opposto
aveva sottoposto e ottenuto la tassazione di congruit dell'Ordine di appartenenza della propria notula
professionale.
Previo interrogatorio della H. ed escussione dei testi N.G. e altri, nonch con una c.t.u. affidata
congiuntamente alla dott.ssa Santi Ombretta ed all'agronomo dr. M.D., per poi esser trattenuta in decisione
all'udienza di cui in epigrafe.
Il giudicante si limita innanzi tutto ad osservare come l'opponente estrinseca univocamente una propria
soggettiva valutazione di unicit delle prestazioni professionali rese - e di fatto mai contestate ante iudicium dalla
stessa H. nonostante i solleciti di pagamento sia nell'an che nel quantum - ma quest'ultima non tiene conto che il F.
risulta aver eseguito pi prestazioni oltre a quelle gi preventivate: al riguardo, se pur vero che, in ordine alle
attivit effettivamente espletate, trattandosi di rapporto professionale tra privati, il conferimento dell'incarico non
rimane vincolata, ai fini della validit, ad una forma scritta.
Ed in tal senso risulta comunque apprezzabile anche la deposizione N. - nonostante le qui non condivisibili
censure della parte ingiunta -il quale risulta aver confermato l'incarico all'Arch. F. di redigere anche un piano
finanziario ai fini della concessione di un mutuo dubitando di poter dar corso con le proprie risorse alla realizzazione
d'un agriturismo: in particolare il N., essendo in contatto con l'opponente, raccoglieva dalla stessa H. la intenzione
di vendere un immobile del figlio per realizzare i suoi progetti (e ci ben plausibile in quanto il teste all'epoca
lavorava in un'agenzia immobiliare). Il N. avvalla inoltre la circostanza che al F. fu effettivamente affidato anche lo
studio di ulteriore diversa attivit, in luogo del solo progetto di agriturismo (ossia la ristorazione, ristrutturazione
porcilaia per alloggio conduttore a p.t. e carraia). Il teste M. conferma che l'opposto ebbe altres a dirigere i lavori di
ripulitura da rifiuti nei pressi del Podere Le Quercie. Il teste C. conferma che l'ingiunta, unitamente all'opposto, si
erano occupati di contattare la Provincia al fine di ottenere l'iscrizione della H. quale imprenditore agricolo,
presupposto questo da reputarsi ineludibile per l'esercizio di agriturismo. Il teste B. conferma d'aver eseguito una
relazione geologica dopo essersi comunque incontrato con l'attuale opposto una o due volte. Il teste L. dal suo
canto ha asserito di aver avuto di individuare le tubazioni per adduzione acqua e d'aver realizzato il tutto sotto la
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costante vigilanza del F., ed altres il teste Q. (assessore del Comune di Lajatico) afferma d'aver avuto contatti con
l'ingiungente per costituire una strada vicinale. Tanto premesso, devesi - in ogni caso - evidenziare come a seguito
dell'attivit congiunta dei consulenti incaricati, ciascuno per la propria materia (rispettivamente: architetto e
agronomo) una soluzione peritale che fondatamente consente al giudicante una pi corretta e completa analisi
dell'effettiva attivit professionale, dovendosi in concreto ragguagliare l'attivit professionale dell'arch. F. alle
effettive esigenze di realizzazione d'una attivit agrituristica nel territorio: le ulteriori attivit dedotte
dall'ingiungente si estrinsecano invero nei limiti della relativa prova non del tutto idoneamente supportata anche da
produzioni documentali ritualmente acquisite ed opponibili alla H..
Invero, l'incidenza di alcune attivit rappresentate in sede monitoria (come ad esempio lo sviluppo di un
autonomo piano finanziario, a rigore non pu qui scrutinarsi a favore del F., nonostante la deposizione del N., in
quanto la relativa documentazione fa comunque parte integrante del progetto di ristrutturazione del fabbricato
(doc. n.4 del F.) e neppure si rinviene - per quanto occorrer possa - altro elaborato finalizzato alla contrazione del
mutuo bancario.
Orbene, senza alcuna intenzione di svilire l'attivit professionale in parola, la pretesa avanzata in sede
monitoria rimane comunque vincolata ad una esplicita ammissione della H. che qui non si ravvisa e neppure pu
arguirsene la relativa autonoma elaborazione in difetto di ammissioni e/o univoci elementi gi portati a conoscenza
dell'opponente prima della pendenza della lite ex art. 643 u.c. del codice di rito: ne consegue che devono
condividersi le conclusioni dei c.t.u. in quanto l'accertamento dei crediti risulta coerentemente espletata con pi
che ragionevoli criteri d'indagine dell'attivit professionale e altres appurata e rettamente parametrata alle tariffe
professionali all'epoca vigenti.
In particolare, l'attivit professionale dell'Arch. F. devesi in concreto parametrare - in ragione d'una palese
incongruenza delle tariffe espresse dall'opposto professionista - a quanto esposto nella relazione dai due consulenti
sulla scorte di quanto documentalmente emergente.
Ne consegue che all'Arch. F. era dovuto un complessivo importo di Euro 45.416,07, da intendersi al lordo
dell'acconto percetto pari ad Euro 5.603,30.
Viceversa appare del tutto infondata la domanda riconvenzionale spiegata dall'opponente non ravvisandosi
univoci elementi apprezzabili sotto il profilo di scarsa diligenza del proprio operato a mente dell'onere imposto
dall'art. 1176 comma 2 del codice civile.
Tanto ovviamente incide sul riparto delle spese del giudizio ai sensi dell'art. 92 c.p.c., atteso che l'apprezzabile
riduzione dei compensi induce il giudicante a porre a carico della H. solo delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando sull'opposizione al titolo monitorio tardiva avverso il titolo monitorio
di cui in parte motiva e sulla contestuale domanda riconvenzionale avanzata da H.G.T. nei confronti dell'opposto
Arch. F.P., ogni contraria istanza o eccezione reietta, cos provvede:
Revoca il titolo monitorio e comunque condanna la H.G.T. a corrispondere la somma di Euro 39.812,77 oltre
interessi legali dalla messa in mora al saldo.
Dichiara compensate per le spese del giudizio e, per l'effetto, condanna l'opponente a pagare all'opposto il
residuo di tali spese che in concreto liquida in Euro 6.715,00 per compensi oltre spese generali ed eventuali ulteriori
oneri di legge se dovuti.
Cos deciso in Pisa, il 9 febbraio 2015.
Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2015.
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Corte di Appello
App. Potenza, Sent., 11/12/2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI POTENZA
SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello, riunita in camera di consiglio in persona dei seguenti magistrati:
dott. Ettore Nesti - Presidente rel.
dott. Rocco Pavese - Consigliere
dott. Cataldo Carmine Collazzo - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile in appello n. 657/2004 R.G.,
TRA
D.P., rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Cioffi, giusta mandato in calce alla citazione di appello
Appellante
E
Comune di San Fele, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Caggiano, giusta mandato a margine della
comparsa di costituzione in appello
Appellato
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 6/3/1992 il Comune di San Fele proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n.
35/92, col quale il Presidente del Tribunale di Potenza gli aveva ingiunto di pagare a D.P. la somma di L.
884.170.201, oltre interessi ragguagliati al tasso ufficiale di sconto, come previsto dall'art. 9 della tariffa
professionale degli architetti ed ingegneri, approvata con L. 2 marzo 1949, n. 143
Il P. agiva per la condanna dell'ente al pagamento di compensi per la realizzazione, quale ingegnere, di un
piano di zona per l'edilizia economica e popolare e di quattro piani per insediamenti produttivi.
Instauratosi il contraddittorio con l'opposto, che ha chiesto il rigetto dell'opposizione, con sentenza pubblicata
il 21710/2003 il Tribunale ha condannato il comune al pagamento della complessiva somma di Euro 60.105,30 per le
prestazioni indicate in premessa, oltre interessi al saggio richiesto dalla data della notifica del decreto ingiuntivo e
spese processuali.
Ha proposto appello il P., evocando in giudizio dinanzi a questa Corte il Comune di San Fele, con atto notificato
il 3/12/2014.
L'ente si costituito in giudizio ed ha proposto appello incidentale.
L'istruttore ha sospeso l'esecutivit della sentenza.
Precisatesi le conclusioni, il collegio ha disposto consulenza tecnica d'ufficio.
Espletato il mezzo istruttorio e precisatesi nuovamente le conclusioni dinanzi all'istruttore, la causa stata
riservata per la decisione all'udienza collegiale del 2/12/2014.
Motivi della decisione
1) Occorre premettere che questa Corte, con ordinanza del 25/7/2011, ha invitato le parti a dedurre in merito
alla possibile nullit dei contratti stipulati dall'amministrazione, privi di forma scritta, in contrasto con gli artt. 16 e
17 R.D. n. 2440 del 1923.
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1.2) Infatti, sono in atti le sole delibere di conferimento degli incarichi, e le parti non fanno menzione di
contratti ritualmente conclusi in forma scritta.
1.3) Si specifica nell'ordinanza che pu ritenersi formato il giudicato interno in ordine all'esistenza del diritto al
compenso per le sole opere riguardanti i piani di insediamento produttivo, trattandosi di pretesa contestata dal
comune solo in ordine al "quantum".
1.4) E' noto che per il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione e
anche se questa agisca "iure privatorum", richiesta, in ottemperanza al disposto degli artt. 16 e 17 del R.D. 18
novembre 1923, n. 2440, come per ogni altro contratto stipulato dalla pubblica amministrazione stessa, la forma
scritta "ad substantiam".
Essa, infatti, strumento di garanzia del regolare svolgimento dell'attivit amministrativa nell'interesse sia del
cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettivit, agevolando l'espletamento della funzione di controllo,
ed , quindi, espressione dei principi d'imparzialit e buon andamento della pubblica amministrazione posti dall'art.
97 Cost..
2) Posto che la questione non stata valutata dal Tribunale e non stata oggetto di eccezione da parte
dell'ente convenuto in primo grado, resta da verificare se l'assenza di un motivo di appello (incidentale) teso a far
valere detto profilo di nullit ne impedisca il rilievo d'ufficio in questo grado del giudizio.
3) Ritiene questa Corte che il vizio debba essere rilevato.
3.1) Questa Corte non ignora l'esistenza di pronunce della S.C. in tema di preclusione del rilievo d'ufficio della
nullit del contratto quando sulla validit del rapporto si sia formato il giudicato, anche implicito, come allorch il
giudice di primo grado, accogliendo una domanda, abbia dimostrato di ritenere valido il contratto, e le parti, in sede
di appello, non abbiano mosso alcuna censura inerente la sua validit. (Cass. n. 23.235/2013: nel caso di specie, in
applicazione di tale principio, si ritenuto che il giudicato interno, formatosi sull'accoglimento della domanda
contrattuale di rendiconto ex art. 2552 cod. civ., precludesse la questione sulla validit del contratto di associazione
in partecipazione. Conforme: Cass. n. 18.540/2009).
3.2) Vi tuttavia da ricordare che si tratta di orientamento non univoco, essendosi anche ritenuto che la
nullit del contratto d'opera professionale concluso da un privato con una p.a., per difetto del requisito della forma
scritta, richiesta ad substantiam, possa essere rilevata d'ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda del
professionista volta al pagamento del corrispettivo, anche in grado d'appello, indipendentemente dall'attivit
assertiva della amministrazione convenuta, salvo che sulla validit del contratto vi sia stata pronunzia (non
implicita) del Giudice di primo grado (Cass. n. 1702/2006).
3.3) Rileva, inoltre, quanto affermato dalle sezioni unite della Cassazione ((Cass. n. 14828/2012), secondo le
quali, alla luce del ruolo che l'ordinamento affida alla nullit contrattuale, quale sanzione del disvalore dell'assetto
negoziale e atteso che la risoluzione contrattuale coerente solo con l'esistenza di un contratto valido, il giudice di
merito, investito della domanda di risoluzione del contratto, ha il potere-dovere di rilevare dai fatti allegati e provati
- o comunque emergenti "ex actis", una volta provocato il contraddittorio sulla questione - ogni forma di nullit del
contratto stesso, purch non soggetta a regime speciale (escluse, quindi, le nullit di protezione, il cui rilievo
espressamente rimesso alla volont della parte protetta).
Il giudice di merito, peraltro, accerta la nullit "incidenter tantum" senza effetto di giudicato, a meno che sia
stata proposta la relativa domanda, anche a seguito di rimessione in termini, disponendo in ogni caso le pertinenti
restituzioni, se richieste.
3.4) Il principio appena richiamato, anche se affermato nell'ambito di una vertenza in cui rilevava il rapporto
tra azione di risoluzione e nullit del contratto presupposto, in realt di portata pi generale, trovando
evidentemente applicazione anche alle ipotesi in cui l'oggetto del giudizio sia circoscritto, come nel caso in esame,
alla verifica dell'adempimento contrattuale.
3.5) L'obbligo di esaminare d'ufficio la natura abusiva (e la conseguente nullit ed inapplicabilit) di una
clausola contrattuale (e quindi anche dell'intero contratto) stato sottolineato anche dalla Corte di Giustizia
dell'Unione Europea (Corte di Giustizia sez. 4, 4 giugno 2009 causa C-243/08 e 6 settembre 2009 in procedimento
C-40-08) e si deve ritenere che sorga "ogni qualvolta il contratto sia elemento costitutivo della domanda".
3.6) In tale contesto, questa Corte condivide l'assunto della S.C., secondo cui ammissibile in appello il rilievo
d'ufficio della nullit dal momento che il principio dispositivo non pu limitare il rilevo di ufficio, sulla base dei fatti
allegati e provati od emergenti "ex actis", della nullit contrattuale, tesa alla tutela di interessi generali non
sacrificabili, fermo l'obbligo di sollecitare, al riguardo, l'attivazione del contraddittorio (Cass. n. 25.841/2013,
riguardante una fattispecie in cui si ritenuto che in tema di fideiussione, il giudice di merito debba esaminare
d'ufficio la questione della nullit della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi - non riguardante il
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negozio fideiussorio ma il diverso contratto di apertura di credito - anche se la parte abbia censurato solo
l'inosservanza degli artt. 1955 e 1956 cod. civ., quindi con esclusivo riferimento alla fideiussione).
3.7) Ci posto, e come gi evidenziato da questa Corte con ordinanza pubblicata il 25/7/2011, risulta coperto
da giudicato soltanto il diritto del P. di ottenere dall'ente convenuto il compenso per la redazione del progetto PEEP
(v. infra, sub 6), in quanto, con riferimento a tale pretesa, contesta solo il "quantum" riconosciuto dal Tribunale.
3.8) Non pu dirsi altrettanto per le rimanenti pretese, riguardanti il corrispettivo per la redazione dei piani
PAIP, che l'amministrazione ritiene totalmente infondate, e in proposito propone appello incidentale, deducendo
l'inadempimento del professionista, per aver individuato un'area inadatta alla realizzazione dell'intervento.
3.9) Con riferimento a tali ultime pretese, opera, per quanto esposto, il principio di rilevabilit dell'ufficio della
nullit del contratto.
4) Ci posto, deve anche rilevarsi che l'amministrazione formula in appello domanda di restituzione degli
acconti versati relativamente all'opera professionale svolta dal P. per la redazione del piano PAIP.
Si tratta di una domanda nuova, formulata per la prima volta con l'atto di appello.
Non superfluo, a tale scopo, rilevare che non si tratta di pagamenti effettuati in esecuzione della sentenza di
primo grado, la cui efficacia esecutiva stata, peraltro, sospesa dal consigliere istruttore.
E' noto infatti, che nel giudizio in appello, solo la richiesta di restituzione delle somme pagate alla controparte
in esecuzione della sentenza di primo grado non configura una domanda nuova, essendo conseguente alla richiesta
di modifica della decisione impugnata (per tutte: Cass. n. 17.227/2012).
4.1) Per completezza, si rileva che nel caso di specie non applicabile il principio enunciato dalla S.C. (Cass. n.
2956/2011) che presuppone pur sempre l'originaria proposizione di una domanda restitutoria, sia pure ad altro
titolo.
5) Venendo al merito, col proprio appello il P. - per quel che qui ancora interessa, in relazione a quanto in
precedenza esposto - afferma diritto a percepire:
- un ulteriore importo a titolo di capitale per attivit professionale di redazione del PEEP, pari ad Euro
15.383,39;
- gli interessi al tasso ufficiale di sconto sui corrispettivi riconosciuti ai sensi dell'art. 9 L. n. 143 del 1999 a
decorrere dal sessantesimo giorno dalla comunicazione della parcella, e non quindi solo dalla notifica del decreto
ingiuntivo, come ritenuto dal Tribunale.
6) Di contro, l'appellante incidentale:
a) in relazione al piano di edilizia economica e popolare sostiene che l'appello sia in parte fondato quanto al
capitale, perch esso non quello riconosciuto dal Tribunale (Euro 15.383,39, da cui detrarsi l'acconto di Euro
9.552,94) bens quello di Euro 24.936,33;
b) dopo l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio disposta da questa Corte, preso atto che l'ausiliare ha
quantificato il credito del professionista relativo all'attivit di redazione del piano per l'edilizia economica e
popolare in Euro 20.217,76, afferma di essere tenuto soltanto a pagare tale importo, inferiore a quello inizialmente
(in questo grado) riconosciuto;
c) con l'appello incidentale intende ottenere l'accertamento dell'inadempimento del professionista riguardo la
redazione dei PAIP, in quanto individuano aree inidonee all'intervento; in tal modo contesta in radice la fondatezza
della pretesa di pagamento del corrispettivo;
d) afferma l'infondatezza dell'appello quanto alla decorrenza degli interessi, posto che le parcelle furono
contestate nel "quantum" e non rappresentavano crediti certi, liquidi ed esigibili.
7) E' il caso di rilevare che il comportamento processuale dell'appellato - appellante incidentale, consente di
configurare una forma di acquiescenza parziale ai sensi dell'art. 329 c.p.c., rilevabile d'ufficio (Cass. n. 3664/2013)
con riferimento al solo importo riconosciuto dal Tribunale quale compenso per la redazione del PEEP.
8) Il professionista sostiene che il maggior importo richiesto per la redazione del PEEP derivi dal fatto che la
variante del piano di fabbricazione fu oggetto di un separato incarico, effettuato con delibera di giunta n. 6934 del
1982, ma non tiene in considerazione, e non sottopone a specifica censura, l'affermazione del Tribunale secondo il
quale tale attivit venne gi compresa nella specifica relativa alla prestazione generale per il Piano di edilizia
economica e popolare.
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8.1) Ne deriva, in applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che il Tribunale
non si discostato dalla domanda proposta in sede monitoria, nella quale vi stato l'accorpamento del credito alle
ulteriori voci contenute nella suddetta specifica.
8.2) N, in ogni caso, il P. censura l'operato del consulente tecnico d'ufficio nominato in questo grado del
giudizio, il quale non riconosce un ulteriore importo per separato incarico.
8.3) In tale contesto, superflua la prova testimoniale richiesta dal P. per dimostrare che vi fu separato
incarico.
9) Rileva il consulente tecnico d'ufficio che dagli atti non risulta il pagamento di acconti.
Tuttavia la pronuncia del Tribunale, che ha considerato l'avvenuto pagamento di un acconto di Euro 9.552,94
per la redazione del PEEP, non stata sottoposta a censura da parte del P..
10) Quanto alla decorrenza degli interessi, la sentenza impugnata va riformata, limitatamente al calcolo sul
compenso per redazione del PEEP.
10.1) Infatti, in tema di obbligazioni pecuniarie, costituiscono "interessi legali" non soltanto quelli stabiliti
dall'art. 1284 cod. civ., ma anche qualsiasi interesse che, ancorch in misura diversa, sia previsto dalla legge. Ne
consegue che, in ipotesi di domanda di liquidazione del compenso proposta da un ingegnere o da un architetto,
prevedendo l'art. 9 della tariffa professionale, approvata con L. 2 marzo 1949, n. 143, che gli interessi moratori sulle
somme dovute a titolo di onorari sono ragguagliati al tasso ufficiale di sconto e maturano dopo il decorso di
sessanta giorni dalla consegna della specifica da parte del professionista, ai fini della doverosit del saggio e della
decorrenza degli accessori, il giudice deve verificare unicamente la sussistenza dei presupposti indicati dalla citata
norma (Cass. n. 11187/2012).
10.2) E nel caso in esame vi sono, allegate alla documentazione a corredo della domanda monitoria, le parcelle
con timbro di ricezione dell'ente recante la data 23/12/1981.
10.3) A tale pronuncia non pu opporsi il fatto che siano stati richiesti in parcella importi maggiori di quelli in
concreto riconosciuti, trattandosi di interessi legali comunque dovuti sul minore importo.
11) Non sono in atti elementi utili a stabilire la data di pagamento dell'acconto, sicch va confermata la
pronuncia, peraltro non espressamente impugnata sul punto, che imputa al capitale, anzich agli interessi, il
pagamento parziale.
12) Le spese del doppio grado seguono la soccombenza, rideterminate in base all'entit del credito
riconosciuto (capitale pi interessi fino alla domanda).
12.1) Nulla per le spese della fase monitoria, gi escluse dal Tribunale.
12.2) Le spese di consulenza tecnica d'ufficio, liquidate con separato decreto, vanno poste a carico solidale di
entrambe le parti, in quanto tese a determinare un credito in massima parte riconosciuto dall'appellata.
P.Q.M.
La Corte di Appello, definitivamente pronunciando sulle impugnazioni proposte da D.P. e dal Comune di San
Fele avverso la sentenza del Tribunale di Potenza n. 10325/03, cos provvede:
A) in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna il Comune di San Fele al pagamento della somma di
Euro 10.664,82, oltre interessi al saggio fissato l'art. 9 della tariffa professionale, approvata con L. 2 marzo 1949, n.
143, dalla data del 22/1/1981 al soddisfo;
B) condanna il Comune di San Fele al pagamento delle spese del doppio grado, liquidandole in complessivi
Euro 2.098,00 per il primo grado ed Euro 2.920,00 per il grado di appello, di cui Euro 420,00 per esborsi, oltre spese
generali nella misura del 15% degli importi dovuti a titolo di onorario;
C) dispone come da separato decreto sulle spese di consulenza tecnica d'ufficio.
Cos deciso in Potenza, il 9 dicembre 2014.
Depositata in Cancelleria il 11 dicembre 2014.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Campobasso - sez. civile - riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:
- Dr. Paolo Di Croce - Presidente
- Dr.ssa Clotilde Parise - Consigliere
- Dr.ssa Rita Carosella - Consigliere rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di seconda istanza come in epigrafe rubricata,trattenuta in decisione all'udienza del 18 luglio
2012, vertente
tra
C. ing. N., c.f.(...), elettivamente domiciliato a Campobasso, v. Insorti d'Ungheria n.15, presso e nello studio
dell'avv.Salvatore Fratangelo unitamente all'avv. Francesco Di Lauro che lo rappresenta e difende in virt di procura
a margine dell'originale dell'atto di appello.
- APPELLANTE e
C. PEU 17/81 di V., in persona del capocondomino e legale rappresentante p.t., G.D., elettivamente domiciliato
a Campobasso, v. Garibaldi n.14, presso e nello studio dell'avv. Tommaso David unitamente all'avv. Fabio Milano
che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione nel grado di appello.
- APPELLATO/APPELLANTE INCIDENTALE Svolgimento del processo
C. ing. N. ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Isernia indicata in oggetto; il C. PEU 17/81 di
V. si costituito in giudizio instando per il rigetto dell'appello e ha avanzato gravame incidentale avverso la
compensazione delle spese processuali disposta dal primo giudice; precisate le conclusioni, la causa stata
trattenuta in decisione all'udienza del 18 luglio 2012, assegnando alle parti i doppi termini ordinari ex art. 190 c.p.c..
Per quanto attiene alla vicenda processuale, si rinvia all'impugnata sentenza, che deve intendersi qui
integralmente riportata (posto che la motivazione per relationem ormai pacificamente ammessa, purch il rinvio
sia specifico - Cass. 3367/2011 - a fortiori, nella ricostruzione della vicenda processuale, sufficiente il richiamo
all'atto impugnato).
Motivi della decisione
Va in via preliminare evidenziata l'inammissibilit ex art. 345 secondo comma c.p.c., rilevabile anche d'ufficio,
dell'eccezione di estinzione per prescrizione del credito in contestazione, sollevata dal Condominio - nuova, siccome
in primo grado tardivamente eccepita solo nella comparsa conclusionale.
Quanto propriamente al merito del gravame, ebbene il C. si duole dell'affermazione dedotta dal primo giudice
a fondamento della decisione reiettiva della sua domanda di pagamento, secondo la quale, in sostanza, la Lodigiani
S.p.a. sarebbe il reale debitore delle spettanze professionali reclamate dal C., avendo la Societ conferito, quale
originaria aggiudicatrice dei lavori di riattazione, l'incarico della relativa progettazione, per la quale appunto il
professionista reclama di essere compensato. Ora in effetti l'affermazione erronea, poich il Tribunale ha omesso
di considerare la circostanza (pacifica) che, a seguito di un accordo intervenuto tra il Comune di Venafro e la
Lodigiani, il primo assunse in proprio, distribuendoli ad imprese locali, i lavori di riattazione, dai quali quindi la
Societ, con pagamento in suo favore da parte del Comune di una somma pari al 26% delle spese di progettazione,
venne definitivamente estromessa. Purtuttavia il gravame va comunque disatteso, concordando la Corte con
quanto ulteriormente statuito dal primo giudice (e non fatto oggetto di specifica e puntuale censura) circa il fatto
che tra il Condominio opponente e il C. non mai sorto un qualche rapporto contrattuale. N potrebbe in contrario
trarsi sufficiente argomento dalla circostanza che pacifico tra le parti essere stata corrisposta dal Condominio al C.
la somma di Euro 3.056,21 (satisfattiva secondo l'opponente delle pretese del tecnico, solo parzialmente satisfattiva
secondo costui, che imputa parte del pagamento ad altra prestazione) giacch il Condominio si limitato a
corrispondere al C. somme liquidate ed erogate dal Comune (a titolo di contributo), la quale condotta non pare
idonea a manifestare, in ragione della provenienza delle somme da un terzo, la sussistenza di un rapporto
contrattuale tra il Condominio ed il C.... In sostanza, il Condominio, nella vicenda del contestato pagamento, si
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solo doverosamente attenuto alle prescrizioni impartite dall'Amministrazione comunale: la liquidazione dei
compensi ai vari progettisti stata fatta direttamente dall'Amministrazione civica, la quale, nell'adottare la
deliberazione di Giunta n.266/2003 per la determinazione dei compensi da corrispondere per la progettazione ai
vari tecnici, tra cui l'ing. C., ha sottratto le somme che aveva gi stanziato e versato a questi con il buono contributo n. 25 del 10.03.998 (come dato di evincere chiaramente dal corpo della motivazione della citata
deliberazione, in atti, e come confermato, in sede di deposizione in primo grado, dal teste ing. D.P. Direttore dei
lavori) ragione per la quale la pretesa avanzata nei confronti del Condominio di ottenere il compenso per intero,
senza alcuna decurtazione, infondata, siccome in contrasto con le determinazioni assunte dall'Amministrazione.
Dunque, come accennato, l'appello principale va disatteso e la sentenza impugnata confermata, anche nel
capo relativo alla regolamentazione delle spese di lite, integralmente compensate dal primo giudice, e oggetto di
appello incidentale da parte del Condominio. Di vero, l'unico limite in materia costituito dal divieto di porre le
spese processuali a carico della parte totalmente vittoriosa, per il resto il giudicante munito di ampia discrezionalit
nel disporne la compensazione parziale o integrale; la censura mossa dal Condominio, per cui la sentenza sarebbe
viziata per omessa motivazione - circa la disposta compensazione delle spese - destituita di fondamento, poich la
riforma, con L. n. 263 del 2005, dell'art. 92 c.p.c., che ha introdotto l'obbligo di esplicitare in motivazione le ragioni
della compensazione, applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 1.03.2006, mentre quello che
occupa stato promosso nel 2004, epoca del deposito del ricorso monitorio.
Quanto alle spese del grado, si considera che il C. rimane soccombente in appello, ma anche il Condominio inammissibile l'eccezione di prescrizione, infondato il gravame incidentale: si registra dunque una situazione di
soccombenza reciproca, che giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Campobasso, ogni contraria domanda ed eccezione disattesa:
- rigetta l'appello principale e quello incidentale avanzati, rispettivamente, da C. ing. N., e dal C. PEU 17/81 di
V. in persona del capocondomino e legale rappresentante p.t., G.D., avverso la sentenza Trib. Isernia n. 437/07 del
19.12.2007 e, questa confermando:
- dispone l'integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del grado.
Cos deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del 23 gennaio 2013.
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2013.
93
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rappresentata e difesa dall'avv. Piermichele De Matteis del foro di L'Aquila, (...) giusta procura a margine della
comparsa di costituzione e risposta in appello, elettivamente domiciliata presso lo studio del medesimo avvocato in
L'Aquila, Via Gabriele D'Annunzio n. 4;
Oggetto: PAGAMENTO COMPENSO PROFESSIONALE.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con decreto ingiuntivo emesso il 30 luglio 2003, veniva accolta la conforme richiesta, formulata da F.L.M., con
atto depositato il 16.7.2003, nei confronti di C.I. per il pagamento della somma di Euro 10.753,74 quale saldo per
compenso professionale dovuto per la redazione del progetto e per la direzione dei lavori di ristrutturazione di una
unit immobiliare della committente sita in Guidonia, oltre che per attivit accessorie svolte sempre per la
medesima finalit.
Con citazione ritualmente notificata, la C. proponeva opposizione avverso il detto decreto sostenendo 1) che il
contratto d'opera professionale aveva tratto origine da una proposta formulata il 22.12.2000, nel cui ambito il
compenso veniva commisurato al 5% del costo complessivo dei lavori indicato in L.. 200 milioni e, quindi,
quantificato in L.. 10.000.000, oltre al rimborso delle spese, commisurato al 10-15% degli onorari e la prestazione
descritta come attivit di progettazione, direzione lavori, espletamento degli adempimenti amministrativi,
conduzione delle trattative con l'appaltatore e stipula del relativo contratto; 2) che, a fronte di tali obbligazioni,
l'opponente aveva corrisposto complessivamente Euro 5.221,96 idoneo ad estinguere l'obbligazione di pagamento;
3) che comunque non tutte le prestazioni elencate nella richiesta di liquidazione erano State effettivamente fornite,
per avere il professionista abbandonato la direzione dei lavori in corso d'opera e a seguito della risoluzione del
contratto d'appalto con l'originario appaltatore, che aveva portato a termine lavori per un ammontare di Euro
44.470,00 con la conseguenza che la base di computo assunta dalla opposta era da ritenersi errata; 4) che
nell'accertamento tecnico preventivo effettuato all'atto della risoluzione del contratto con l'appaltatore erano stati
evidenziati difetti e vizi che il direttore dei lavori avrebbe dovuto rilevare. Proponeva, pertanto, nei confronti della
opposta domanda risarcitoria. Si era costituita l'opposta, contestando le avverse deduzioni, sul presupposto della
inderogabilit dei minimi tariffari e chiedendo anche il pagamento di interessi legali al tasso ufficiale di sconto ai
sensi dell' art. 9 della L. n. 143 del 1949.
All'esito dell'istruttoria, il tribunale di L'Aquila rilevava la correttezza della tesi in diritto dell'opponente,
sostenendo che in presenza di un esplicito patto sul compenso questo prevalesse sempre e comunque sulle
previsioni tariffarie, applicabili solo ove fosse mancato l'accordo ex art. 2233 c.c. Individuati dunque i termini
dell'accordo nella fissazione del compenso al 5% dell'importo dei lavori, nel merito, per, evidenziava che il
contratto conteneva la chiara commisurazione del compenso al valore dei lavori appaltati e che la misura di tale
valore era correttamente indicata dal professionista nel compenso attribuito in contratto ai due appaltatori, pari a
complessivi Euro 125.217,3. Facendo poi applicazione del criterio contrattuale, calcolava come effettivamente
dovuto il compenso di Euro 6.260,86 per cui, detratto quanto gi corriposto, condannava, previa revoca del decreto
ingiuntivo, al pagamento del residuo pari ad Euro 1.508,46. Rigettava infine le domande riconvenzionali,
sostenendo che la esclusione della applicabilit della tariffa professionale comportava l'inapplicabilit delle relative
previsioni, anche con riferimento alla voce degli interessi.Interponeva appello il F., ritenendo erronea la sentenza del primo grado, laddove aveva ritenuto prevalente il
consenso delle parti rispetto a tariffe che, legislativamente, prevedevano minimi definiti inderogabili, sostenendo
che tale qualificazione avrebbe dovuto riferirsi proprio al divieto di diversi accordi. Il L. impugnava infine anche il
capo della sentenza che aveva ritenuto inapplicabile alla fattispecie la previsione di cui alla L. n. 143 del 1949 art. 9
che prevede la spettanza di interessi legali, in caso di ritardato pagamento, ragguagliati al tasso ufficiale di sconto
stabilito dalla Banca d Italia, evidenziando che sul punto non era intervenuta alcuna diversa pattuizione.Si costituiva l'opponente, chiedendo pronunciarsi l'inammissibilit del ricorso per difetto di specificit dei
motivi e nel merito la sua infondatezza, con vittoria delle spese di lite.All'esito della trattazione e decorso il termine ex art. 190 c.p.c, la corte riservava a decisione la causa.L'appello parzialmente fondato e va accolto nei limiti e per le ragioni che si espongono.Infatti, normativamente previsto che, ai sensi dell'art. 2233 c.c, il compenso vada determinato in base alla
tariffa professionale e commisurato all'importanza dell'opera solo quando esso non sia stato liberamente pattuito
(Cass. S. Lav. N. 20269 del 27.9.2010; Cass. Sez. 1, n. 18223 dell'11.8.2009; n. 26257 del 2.12.2005, tra le tante in
termini). E' vero che la norma di legge qualifica gli importi minimi previsti nella tariffa come inderogabili, ma - come
stato da tempo osservato dalla suprema corte - tale inderogabilit stabilita dalla legge in relazione all'interesse
particolare della categoria professionale e non gi nel generale interesse, con la conseguenza che correttamente
valida una diversa previsione pattizia ex art. 2233 c.c, senza che possa ritenersi sussistente alcuna nullit per
contrariet a norme imperative di legge ex art. 1418 c.c.. -
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Diverso discorso deve essere svolto con riferimento alla voce degli interessi, voce diversa anche se accessoria e
non oggetto di alcuna pattuizione come si evince pacificamente dalla lettura della proposta contrattuale accettata
dalla opponente. Pertanto, corretto ritenere l'applicabilit del criterio di determinazione previsto dalla tariffa
professionale che, sotto questo specifico profilo, non risulta derogata dal contratto.Quanto all'interesse alla relativa declaratoria, questo reso evidente dalla verifica, che ben pu effettuarsi
d'ufficio trattandosi di dati ufficiali e noti a tutti del maggior valore percentuale del tasso di sconto rispetto al tasso
legale nel periodo di riferimento.
In parziale riforma della sentenza, dovr quindi condannarsi la opponente al pagamento della differenza
risultante dal calcolo degli interessi dovuti, con la decorrenza stabilit nella sentenza di primo grado, da
commisurarsi non gi al tasso legale bens al tasso di sconto della BCE (ex tasso di sconto della Banca d'Italia).Spese di entrambi i gradi compensate per la met e poste, per la restante meta, a carico dell'appellata nella
misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte d'Appello di L'Aquila, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza disattesa e respinta cosi
provvede:
in parziale riforma della sentenza impugnata, condanna I.C. a corrispondere a L.M.F. gli interessi sul residuo
importo dovuto, pari ad Euro 1.508,46, con decorrenza dal 16.9.2002 calcolati in base al tasso di sconto della BCE;
rigetta per il resto l'appello;
condanna l'appellata a rimborsare all'appellante la met delle spese di lite di primo e secondo grado, liquidate
per l'intero, quanto alle prime in Euro 2800,00 di cui Euro 1700 per onorari e quanto alle seconde in Euro 2500,00 di
cui Euro 1600,00 per onorari, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali come da tariffa forense.
Cos deciso in L'Aquila, il 15 settembre 2011.
Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2012.
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destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (GU L 223,
pag. 15).
4. Il considerando 19 della direttiva 2005/36 cos recita:
La libera circolazione e il riconoscimento reciproco dei titoli di formazione di (...) architetto dovrebbero
fondarsi sul principio fondamentale del riconoscimento automatico dei titoli di formazione in base al
coordinamento delle condizioni minime di formazione. (...) Tale regime dovrebbe essere completato da una serie di
diritti acquisiti di cui i professionisti qualificati beneficiano a certe condizioni.
5. L'articolo 1 di detta direttiva, intitolato Oggetto, cos recita:
La presente direttiva fissa le regole con cui uno Stato membro (in seguito denominato Stato membro
ospitante), che sul proprio territorio subordina l'accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al
possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l'accesso alla professione e il suo esercizio, le
qualifiche professionali acquisite in uno o pi Stati membri (in seguito denominati Stati membri d'origine) e che
permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione.
6. L'articolo 4, paragrafo 1 di tale direttiva, cos dispone:
Il riconoscimento delle qualifiche professionali da parte dello Stato membro ospitante permette al
beneficiario di accedere in tale Stato membro alla stessa professione per la quale qualificato nello Stato membro
d'origine e di esercitarla alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato membro ospitante.
7. L'articolo 21 della stessa direttiva, intitolato Principio di riconoscimento automatico, cos prevede ai suoi
paragrafi 1 e 5:
1. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di (...) architetto, di cui all'allegato V, [punto 5.7.1],
conformi alle condizioni minime di formazione di cui [all'articolo 46], e attribuisce loro, ai fini dell'accesso alle
attivit professionali e del loro esercizio, gli stessi effetti sul suo territorio che hanno i titoli di formazione che esso
rilascia.
I titoli di formazione devono essere rilasciati dai competenti organismi degli Stati membri ed essere
eventualmente accompagnati dai certificati di cui all'allegato V, [punto 5.7.1].
Le disposizioni del primo e del secondo comma non pregiudicano i diritti acquisiti di cui [in particolare
all'articolo 49].
(...)
5. I titoli di formazione di architetto di cui all'allegato V, punto 5.7.1 oggetto di riconoscimento automatico ai
sensi del paragrafo 1, sanciscono un ciclo di formazione iniziata al pi presto nel corso dell'anno accademico di
riferimento di cui al suddetto allegato.
8. L'art. 46 della direttiva 2005/36, intitolato Formazione di architetto, cos recita al suo paragrafo 1:
1. La formazione d'architetto comprende almeno quattro anni di studi a tempo pieno oppure sei anni di
studi, di cui almeno tre a tempo pieno, in un'universit o un istituto di insegnamento comparabile. Tale formazione
deve essere sancita dal superamento di un esame di livello universitario.
Questo insegnamento di livello universitario il cui elemento principale l'architettura, deve mantenere un
equilibrio tra gli aspetti teorici e pratici della formazione in architettura e garantire l'acquisizione delle seguenti
conoscenze e competenze:
(...).
9. L'articolo 49 di detta direttiva, intitolato Diritti acquisiti, specifici degli architetti, cos dispone:
1. Ogni Stato membro riconosce i titoli di formazione di architetto, di cui all'allegato VI, rilasciati dagli altri
Stati membri, che sanciscono una formazione iniziata entro l'anno accademico di riferimento di cui al suddetto
allegato, anche se non soddisfano i requisiti minimi di cui all'articolo 46, attribuendo loro ai fini dell'accesso alle e
dell'esercizio delle attivit professionali di architetto, lo stesso effetto sul suo territorio dei titoli di formazione di
architetto che esso rilascia.
(...)
2. Fatto salvo il paragrafo 1, ogni Stato membro riconosce, attribuendo loro gli stessi effetti sul suo territorio
dei titoli di formazione che esso rilascia, per accedere ed esercitare l'attivit professionale di architetto con il titolo
professionale di architetto, gli attestati rilasciati ai cittadini degli Stati membri da Stati membri che dispongono di
norme per l'accesso e l'esercizio dell'attivit di architetto (...).
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(...).
Gli attestati di cui al primo comma certificano che il loro titolare stato autorizzato a usare il titolo
professionale di architetto (...) e, nel quadro di tali norme, ha effettivamente esercitato l'attivit in questione per
almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato.
Diritto belga
10. L'articolo 1 della legge del 20 febbraio 1939, sulla tutela del titolo e della professione d'architetto
(Moniteur belge del 25 marzo 1939, pag. 1942), come modificata dalla legge del 21 novembre 2008, che ha
trasposto le direttive 2005/36/CE e 2006/100/CE e ha modificato le leggi del 20 febbraio 1939, sulla tutela del titolo
e della professione d'architetto, e del 26 giugno 1963, sull'istituzione dell'Ordine degli architetti (Moniteur belge
dell'11 febbraio 2009, pag. 11596; in prosieguo: la legge del 20 febbraio 1939), cos dispone:
1. Nessuno pu avvalersi del titolo di architetto (...) se non possiede un diploma che sancisce il superamento
degli esami richiesti per l'ottenimento di tale diploma.
2. Fatti salvi i paragrafi 1 e 4 e gli articoli 7 e 12 della presente legge, i cittadini belgi e i cittadini degli altri Stati
membri della Comunit europea o di un altro Stato parte dell'Accordo sullo spazio economico europeo [del 2
maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: l'"Accordo SEE")] possono usare in Belgio il titolo d'architetto se
sono in possesso di un diploma, di un certificato o di un altro titolo previsti dall'allegato 1, b, della presente legge,
come modificata dagli aggiornamenti pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, in conformit
all'articolo 21, paragrafo 7, secondo comma, della [direttiva 2005/36]. Tali aggiornamenti sono pubblicati
integralmente, sotto forma di avviso ufficiale nel Moniteur belge.
2/1. Lo Stato belga riconosce i titoli di formazione di architetto di cui all'allegato 2, lettera a), rilasciati dagli
altri Stati membri, che sanciscono una formazione iniziata entro l'anno accademico di riferimento di cui al suddetto
allegato, anche se tali titoli non rispondono ai requisiti minimi di cui all'allegato 1, lettera a). Lo Stato belga
attribuisce loro lo stesso effetto sul suo territorio che hanno i titoli di formazione di architetto che esso rilascia per
accedere ed esercitare l'attivit professionale d'architetto.
(...)
2/2. Fatto salvo il paragrafo 2/1, sono riconosciuti gli attestati rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli Stati
membri che, alle seguenti date, disponevano di norme per l'accesso e l'esercizio dell'attivit di architetto:
(...)
Gli attestati di cui al primo comma certificano che il loro titolare stato autorizzato a portare il titolo
professionale di architetto entro tale data e, nel quadro di tale normativa, ha effettivamente esercitato l'attivit in
questione per almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque precedenti il rilascio dell'attestato.
(...).
11. L'articolo 50, primo comma, della legge del 26 giugno 1963 sull'istituzione dell'Ordine degli architetti
(Moniteur belge del 5 luglio 1963, pag. 6945), come modificata dalla legge del 22 dicembre 2009, che ha adattato
talune normative alla direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai servizi nel mercato
interno (Moniteur belge del 29 dicembre 2009, pag. 82151; in prosieguo: la legge del 26 giugno 1963), cos
dispone:
Nessuno pu chiedere la propria iscrizione a un albo dell'Ordine se non ha compiuto un tirocinio di due anni
presso una persona iscritta all'albo da almeno dieci anni.
12. L'articolo 52, lettera a), della legge del 26 giugno 1963 formulato nei seguenti termini:
I consigli dell'Ordine dispensano in tutto o parte dal tirocinio, alle condizioni stabilite dal Re:
a) i cittadini degli Stati membri della Comunit economica europea o [di] un altro Stato parte dell'[accordo
SEE] che abbiano effettuato all'estero prestazioni giudicate equivalenti al tirocinio.
13. L'articolo 1 del regio decreto del 23 marzo 2011, relativo all'esonero dal tirocinio d'architetto (Moniteur
belge dell'11 aprile 2011, pag. 23207; in prosieguo: il regio decreto del 23 marzo 2011) cos prevede:
I consigli dell'Ordine degli architetti esonerano dal tirocinio previsto all'articolo 50 della legge del 26 giugno
1963 sull'istituzione dell'Ordine degli architetti i cittadini degli Stati membri della Comunit economica europea o di
un altro Stato parte dell'[accordo SEE] che sono in possesso di un diploma, di un certificato o di un altro titolo di cui
all'articolo 1, paragrafo 2/2 e agli allegati 1, lettera b), e 2, lettere a) e b), della legge del 20 febbraio 1939 sulla
tutela del titolo e della professione di architetto.
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Il primo comma non si applica ai diplomi, ai certificati e agli altri titoli rilasciati da un ente belga indicato negli
allegati 1, lettera b), e 2, lettera a), della succitata legge del 20 febbraio 1939.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
14. La domanda di pronuncia pregiudiziale si inscrive nel contesto di un ricorso di annullamento del regio
decreto del 23 marzo 2011 proposto dall'Ordine degli architetti dinanzi al Conseil d'tat con ricorso del 25 maggio
2011.
15. A sostegno di tale ricorso, l'Ordine degli architetti deduce la violazione degli articoli 50 e 52, lettera a),
della legge del 26 giugno 1963. Infatti, detto regio decreto prevederebbe un esonero dagli obblighi di tirocinio per
tutti i cittadini di uno Stato parte dell'accordo SEE o di uno Stato membro diverso da Regno del Belgio in possesso di
un diploma, di un certificato o di un altro titolo previsti all'articolo 1, paragrafo 2/2, e agli allegati 1, lettera b), e 2,
lettere a) e b), della legge del 20 febbraio 1939. Tuttavia, esso non subordinerebbe tale esonero all'osservanza di
condizioni che consentano di verificare che detto cittadino abbia effettuato all'estero prestazioni giudicate
equivalenti al tirocinio. Tale regio decreto prevederebbe cos un meccanismo di esonero generale dal tirocinio in
funzione delle qualifiche che esso enumera, senza subordinare detto esonero al fatto che lo Stato membro d'origine
riconosca o no accesso alla professione d'architetto al titolare di dette qualifiche. Inoltre, gli allegati V e VI della
direttiva 2005/36 non sarebbero stati correttamente trasposti nel diritto belga, cio negli allegati 1, lettera b), e 2,
lettera a), della legge del 20 febbraio 1939. Ci implicherebbe che titolari di diplomi d'architetto, che non
possiedono il certificato complementare che consente loro di accedere alla professione d'architetto nel loro Stato
membro d'origine potrebbero accedervi in Belgio, senza che l'Ordine degli architetti possa imporre loro un obbligo
di tirocinio, in quanto il regio decreto del 23 marzo 2011 ne prevede l'esonero.
16. Il giudice del rinvio non precisa al riguardo che il riferimento effettuato dal regio decreto del 23 marzo
2011 ai titoli menzionati negli allegati 1, lettera b), e 2, lettera a), della legge del 20 febbraio 1939 non garantisce
l'esistenza di un'esperienza professionale minima, poich tali allegati enumerano titoli di formazione senza imporre
che essi siano accompagnati da un attestato che certifichi l'effettivo esercizio delle attivit d'architetto. Esso ne
deduce che non risulta da tale regio decreto che i titolari dei titoli da esso considerati beneficino dell'esonero dal
tirocinio soltanto se sono professionisti pienamente qualificati. Ne consegue, a suo avviso, che tale regio decreto
travisa l'articolo 52, primo comma, della legge del 26 giugno 1963, che consente di concedere detto esonero
soltanto ai cittadini interessati che abbiano effettuato, all'estero, prestazioni giudicate equivalenti al tirocinio, cosa
che la semplice detenzione del titolo non sufficiente a dimostrare. Occorrerebbe, tuttavia, esaminare la
compatibilit dell'articolo 52, primo comma, della legge del 26 giugno 1963 con gli articoli 21, paragrafo 1, e 49 della
direttiva 2005/36.
17. Alla luce di queste considerazioni, il Conseil d'tat ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
Se gli articoli 21 e 49 della [direttiva 2005/36], in quanto obbligano ciascuno Stato membro a riconoscere ai
titoli di formazione da essi contemplati, con riferimento all'accesso alle attivit professionali e al loro esercizio, lo
stesso effetto sul suo territorio che ai titoli di formazione da esso rilasciati, debbano essere interpretati nel senso
che vietano ad uno Stato di esigere che, per essere iscritti all'albo dell'Ordine degli architetti, il titolare di un titolo di
formazione d'architetto, conforme all'articolo 46 di detta direttiva, o quello di un titolo considerato dall'articolo 49,
[paragrafo] 1, [della stessa], soddisfi inoltre condizioni di tirocinio professionale o di esperienza equivalenti a quelle
richieste ai titolari dei diplomi rilasciati sul suo territorio dopo il loro ottenimento.
Sulla questione pregiudiziale
18. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli articoli 21 e 49 della direttiva
2005/36, nella sua versione applicabile alla controversia principale, debbano essere interpretati nel senso che
ostano a che lo Stato membro ospitante richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato
membro d'origine di effettuare un tirocinio, oppure dimostrare che possiede un'esperienza professionale
equivalente per essere autorizzato ad esercitare la professione d'architetto.
19. Occorre ricordare che detta direttiva prevede il riconoscimento reciproco delle qualifiche professionali,
con riferimento all'accesso ad un certo numero di professioni regolamentate. Scopo essenziale del riconoscimento
reciproco, come risulta dagli articoli 1 e 4, paragrafo 1, di tale direttiva, consiste nel consentire al titolare di una
qualifica professionale che gli apre l'accesso ad una professione regolamentata nel suo Stato membro d'origine di
accedere, nello Stato membro ospitante, alla stessa professione per la quale egli qualificato nello Stato membro
d'origine e di esercitarla sul suo territorio alle stesse condizioni dei suoi cittadini.
20. Con riferimento in particolare alla professione d'architetto, la stessa direttiva prevede, come risulta dal suo
considerando 19, un sistema di riconoscimento automatico dei titoli di formazione, basato sul coordinamento delle
condizioni minime di formazione.
21. Secondo la giurisprudenza relativa alla direttiva 85/384, che stata abrogata dalla direttiva 2005/36,
siffatto sistema di riconoscimento automatico dei titoli di formazione osta a che lo Stato membro ospitante
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subordini il riconoscimento dei titoli professionali rispondenti alle condizioni di qualifica previste dalla normativa
dell'Unione a requisiti complementari (v., in tal senso, sentenze Commissione/Portogallo, C-43/06, EU:C:2007:300,
punti 27 e 28, nonch Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C-111/12, EU:C:2013:100, punti 43 e 44).
22. Tale considerazione valida anche con riferimento alla direttiva 2005/36. Al riguardo, in primo luogo, va
osservato che i termini di tale direttiva sono privi di ambiguit. Cos, riguardo all'accesso alla professione
d'architetto, l'articolo 21, paragrafo 1, primo comma, di detta direttiva prevede che gli Stati membri riconoscano i
titoli di formazione previsti all'allegato V, punto 5.7.1, della stessa direttiva, conferendo loro, per quanto concerne
l'accesso alla professione d'architetto, lo stesso effetto che ai titoli da essi rilasciati. In forza dell'articolo 21,
paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2005/36, tali titoli devono essere rilasciati da organismi competenti e
accompagnati, eventualmente, da certificati complementari. L'allegato V, punto 5.7.1, di tale direttiva enumera, per
ciascuno Stato membro, i titoli di formazione, gli organismi abilitati a rilasciarli e i certificati complementari che
permettono di ottenere l'accesso alla professione d'architetto. Detti titoli e certificati sono conformi alle condizioni
minime di formazione di un architetto descritte dall'articolo 46 della suddetta direttiva.
23. L'articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2005/36 completato dall'articolo 49 di detta direttiva. Deriva
dall'articolo 49, paragrafo 1, della direttiva 2005/36 che gli Stati membri riconoscono i titoli contemplati all'allegato
VI della direttiva, che sono stati rilasciati al termine di una formazione avviata entro l'anno accademico di
riferimento che compare nel suddetto allegato, anche se tali titoli non rispondono ai requisiti minimi previsti
all'articolo 46 della stessa direttiva. Riguardo all'accesso alla professione d'architetto, gli Stati membri sono tenuti
ad attribuire a detti titoli lo stesso effetto che ai titoli da essi rilasciati.
24. Ne consegue che il sistema di riconoscimento automatico delle qualifiche professionali previsto, per
quanto riguarda la professione d'architetto, agli articoli 21, 46 e 49 della direttiva 2005/36, non lascia alcun margine
discrezionale agli Stati membri. Quindi, il cittadino di uno Stato membro, in quanto sia titolare di uno dei titoli di
formazione e dei certificati complementari che figurano al punto 5.7.1 dell'allegato V o all'allegato VI di detta
direttiva, deve poter esercitare la professione d'architetto in un altro Stato membro senza che quest'ultimo possa
imporgli di ottenere o di dimostrare che ha ottenuto qualifiche professionali supplementari.
25. In secondo luogo, l'esclusione di ogni requisito complementare risultante dal punto 21 della presente
sentenza si impone a maggior ragione, con riferimento alla detta direttiva, in quanto quest'ultima rafforza
l'automaticit del riconoscimento dei titoli professionali, per quanto riguarda la professione d'architetto, rispetto
alla direttiva 85/384. Infatti, quest'ultima direttiva prevedeva, al suo articolo 23, paragrafo 1, la possibilit che uno
Stato membro imponesse condizioni di tirocinio complementari ai titolari di titoli di formazione rilasciati da un altro
Stato membro anche qualora detti titoli beneficiassero del reciproco riconoscimento. La direttiva 2005/36 ha
soppresso tale facolt senza modificare, in linea di principio, le disposizioni relative al reciproco riconoscimento,
disposizioni che sono state appunto oggetto della giurisprudenza citata al punto 21 della presente sentenza.
26. Occorre, tuttavia, precisare che, anche se i principi che disciplinano il sistema di reciproco riconoscimento
automatico delle qualifiche professionali d'architetto, previsto dalla direttiva 2005/36, compaiono agli articoli 21, 46
e 49 di tale direttiva, l'attuazione di questo sistema basata, come risulta dai punti 22 e 23 della presente sentenza,
sul contenuto degli allegati V e VI della direttiva medesima. Il buon funzionamento del sistema di reciproco
riconoscimento automatico previsto dalla direttiva 2005/36 presuppone pertanto che gli Stati membri abbiano
correttamente trasposto non soltanto gli articoli 21, 46 e 49 di detta direttiva, ma anche gli allegati V e VI della
stessa.
27. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla questione presentata dichiarando che
gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36 devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro
ospitante richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d'origine e prevista agli
allegati V, punto 5.7.1, o VI, di tale direttiva, di effettuare un tirocinio o dimostrare che possiede un'esperienza
professionale equivalente per essere autorizzato a esercitare la professione d'architetto.
Sulle spese
28. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:
Gli articoli 21 e 49 della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005,
relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, come modificata dal regolamento (CE) n. 279/2009 della
Commissione, del 6 aprile 2009, devono essere interpretati nel senso che ostano a che lo Stato membro ospitante
richieda al titolare di una qualifica professionale ottenuta nello Stato membro d'origine e prevista agli allegati V,
punto 5.7.1, o VI, di tale direttiva, di effettuare un tirocinio o dimostrare che possiede un'esperienza professionale
equivalente per essere autorizzato a esercitare la professione d'architetto.
100
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Consiglio di Stato
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 09/01/2014, n. 21
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6736 del 2008, proposto dal Ministero per i beni e le attivit culturali,
in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12
contro
M.A.;
Comune di S. Martino Buon Albergo;
Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Manzi, G. Paolo Sardos
Albertini e Paolo Piva, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
Consiglio Nazionale degli Ingegneri, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Nascimbene e Augusto
Moretti, con domicilio eletto presso Augusto Moretti in Roma, corso Vittorio Emanuele II 154;
Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, Ordine degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona, rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco
Vanni, con domicilio eletto presso l'avvocato Ugo De Luca - Studio BDL in Roma, via Bocca di Leone, 78
sul ricorso numero di registro generale 2527 del 2009, proposto dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di
Venezia, dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Padova, dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso,
dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Vicenza, dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Verona,
dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Rovigo e dall'Ordine degli Ingegneri della Provincia di Belluno,
rappresentati e difesi dagli avvocati Guido Francesco Romanelli e Francesco M. Curato, con domicilio eletto presso
Guido Francesco Romanelli in Roma, via Cosseria, n. 5
contro
IRE - Istituzioni di Ricovero e di Educazione Venezia, rappresentato e difeso dagli avvocati Nicola Marcone,
Mario Barioli e Lorenzo Anelli, con domicilio eletto presso Lorenzo Anelli in Roma, piazza dell'Orologio, 7;
Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia
nei confronti di
Faccio Engineering S.r.l. in proprio e in qualit di capogruppo mandataria di R.T.I.; TIFS Ingegneria S.r.l. in
proprio e in qualit di mandante di R.T.I.; Lithos S.n.c. in proprio e in qualit di mandante di R.T.I.
e con l'intervento di
ad adiuvandum: Consiglio Nazionale degli Ingegneri, rappresentato e difeso dagli avvocati Augusto Moretti e
Bruno Nascimbene, con domicilio eletto presso Augusto Moretti in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 154
per la riforma:
quanto al ricorso n. 6736 del 2008, della sentenza del T.A.R del Veneto, Sezione II, 15 novembre 2007, n. 3630;
- quanto al ricorso n. 2527 del 2009: della sentenza del T.A.R. del Veneto, Sezione I, 25 novembre 2008, n.
3651
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
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Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti
l'avvocato dello Stato Biagini, l'avvocato Piva, l'avvocato Nascimbene, l'avvocato Angelini per delega dell'avvocato
Vanni Curato, l'avvocato Romanelli, l'avvocato Pesce per delega dell'avvocato Anelli e l'avvocato Nascimbene;
Svolgimento del processo
Ai fini della ricostruzione della vicenda di causa si pu fare rinvio a quanto esaustivamente riportato
nell'ordinanza di questa Sezione n. 386 del 27 gennaio 2012, che si esprime nei termini che seguono.
Entrambi i ricorsi in epigrafe, sia pur con distinta graduazione dei motivi di censura, hanno ad oggetto
controversie insorte in ordine alla legittimit di determinazioni amministrative consistite essenzialmente
nell'escludere professionisti italiani appartenenti alla categoria degli ingegneri dal conferimento in Italia di incarichi
afferenti la direzione di lavori da eseguirsi su immobili di interesse storico-artistico.
In particolare, nel ricorso n. 6736 del 2008 viene in rilievo il diniego implicito adottato dalla Soprintendenza
per i beni ambientali e architettonici di Verona in ordine alla comunicazione di subentro dell'ingegnere A.M.
nell'incarico di direttore dei lavori relativi alla concessione edilizia n. 29 del 2001 rilasciata dal Comune di San
Martino Buon Albergo (Verona) per la realizzazione di lavori su un immobile di interesse storico-artistico e in quanto
tale sottoposto al vincolo di tutela ai sensi del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 ('Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell' articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352' - in
seguito: D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 -).
Il provvedimento stato adottato sull'assunto che l'attivit professionale in oggetto debba ritenersi inibita agli
ingegneri, essendo riservata agli architetti, ai sensi dell' art. 52, secondo comma, del R.D. n. 2537 del 23 ottobre
1925 (recante il regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto).
L'ingegnere M., unitamente all'Ordine degli ingegneri di Verona, ha impugnato il provvedimento negativo,
deducendo in via principale la sua illegittimit per contrasto con la direttiva del Consiglio CE 10 giugno 1985 n. 384
(cui l'Italia ha dato esecuzione con il D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 129) nella parte in cui la stessa, con il proposito di
uniformare in ambito Europeo le condizioni minime di formazione di coloro che operano nel settore
dell'architettura, avrebbe sostanzialmente parificato i titoli di laurea in ingegneria ed in architettura, ricorrendo
alcune condizioni minime in relazione ai percorsi formativi dei distinti corsi di laurea ovvero - a titolo transitorio - in
relazione ad alcuni titoli rilasciati fino ad una certa data da istituzioni Europee di formazione tassativamente
indicate.
Da tanto i ricorrenti hanno tratto la conclusione secondo cui ogni discriminazione tra le due categorie
professionali sarebbe illegittima alla luce del diritto comunitario e dei principi dallo stesso desumibili.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, investito della decisione sul ricorso, ha ritenuto prioritario
rimettere alla Corte di Giustizia la questione interpretativa in relazione al contenuto degli articoli 10 e 11 della
direttiva n. 85/384/CE, richiedendo in particolare se le predette disposizioni comunitarie impongano ad uno Stato
membro di non escludere dall'accesso alle prestazioni dell'architetto i propri laureati in ingegneria civile che
abbiano seguito un percorso didattico conforme alle prescrizioni di cui agli articoli 3 e 4 della direttiva stessa o che
comunque versino nelle condizioni per l'automatico riconoscimento del titolo in base al regime transitorio previsto
dalla stessa direttiva.
Con ordinanza 5 aprile 2004 (resa nel procedimento C-3/02) la Corte di Giustizia si pronunciata sulla
questione statuendo che la direttiva n. 85/384/CE non incide sul regime giuridico di accesso alla professione di
architetto vigente in Italia ma ha ad oggetto soltanto il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei
certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi in materia di formazione, allo
scopo di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attivit del
settore dell'architettura. Ha altres precisato la Corte che ove, in applicazione della richiamata normativa
comunitaria, dovesse porsi all'interno dell'ordinamento giuridico italiano un problema di discriminazione in danno
della sola categoria degli ingegneri italiani, esclusi da attivit riservate agli architetti, cui invece hanno accesso i
professionisti migranti di altri Stati membri in virt delle disposizioni della ricordata direttiva, si potrebbe porre un
problema di discriminazione alla rovescia in danno dei soli cittadini: ma anche tale questione sarebbe da risolvere
ad opera del giudice nazionale in quanto giuridicamente non rilevante per il diritto dell'Unione Europea.
A seguito di tale decisione i Giudici di primo grado hanno rimesso alla Corte costituzionale la questione della
legittimit costituzionale dell' art. 52, secondo comma, del R.D. n. 2537 del 23 ottobre 1925, ravvisando nella
disposizione che riserva ai soli architetti (e non anche agli ingegneri civili) gli interventi professionali sugli immobili
di pregio storico-artistico un possibile contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione italiana.
Tuttavia la Corte costituzionale, con ordinanza 16-19 aprile 2007, n. 130, ha dichiarato la manifesta
inammissibilit, stante la natura regolamentare e non legislativa delle disposizioni censurate, della questione di
legittimit costituzionale dell'art. 52, secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
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Infine, con sentenza 15 novembre 2007 n. 3630, il Tar del Veneto ha accolto il ricorso di primo grado, previa
disapplicazione per quanto di interesse dell' art. 52 del R.D. n. 2537 del 1925, sull'assunto della impossibilit di
configurare, alla stregua dei principi di parit di trattamento e di non discriminazione desumibili anche dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale, effetti discriminatori tra professionisti migranti da Paesi membri diversi
dall'Italia e professionisti nazionali.
Tale sentenza ha formato oggetto di ricorso in appello dinanzi a questo Consiglio di Stato da parte del
Ministero per i beni e le attivit culturali (ricorso n. 6736/2007).
Nel ricorso in appello n. 2527 del 2009, a formare oggetto della impugnazione di primo grado invece un
bando di gara redatto dall'IRE - Istituzioni di Ricovero e di Educazione Venezia - per l'affidamento del servizio di
direzione lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori di restauro e recupero funzionale di
Palazzo Contarini del Bovolo in Venezia, immobile di rilevante interesse culturale e come tale sottoposto a vincolo di
tutela.
Gli ordini provinciali veneti degli ingegneri, in epigrafe meglio indicati, hanno impugnato in primo grado il
bando di gara, unitamente agli atti di aggiudicazione della stessa, nelle parti in cui con quell'atto la stazione
appaltante riservava le attivit professionali oggetto di affidamento ai soli architetti e non anche agli ingegneri. I
motivi di ricorso sono stati proposti anzitutto sul rilievo della estraneit delle attivit oggetto di affidamento da
quelle riservate agli architetti in base all' art. 52, secondo comma, del R.D. n. 2537 del 1925 e, in ogni caso, sul
carattere ingiustificatamente discriminatorio di tale ultima disposizione, alla luce dei principi desumibili dalla
direttiva n. 85/384/CE e dalla normativa italiana di trasposizione della stessa (D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 129).
Con sentenza n. 3651 del 25 novembre 2008 il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto ha respinto il
ricorso, pervenendo a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle rassegnate nella dianzi richiamata
sentenza n. 3630 del 15 novembre 2007, anch'essa qui oggetto di impugnazione. Aderendo alla impostazione
contenuta nella decisione di questo Consiglio di Stato n. 5239 del 2006 e richiamando il contenuto della ordinanza
della Corte di Giustizia del 5 aprile 2004 (resa nell'ambito del ricorso di primo grado RG n. 1994/01), il T.A.R. del
Veneto ha evidenziato che la lettura interpretativa del giudice comunitario muove dal presupposto che la direttiva
n. 384/85/CE si riferisca al mutuo riconoscimento dei corsi di formazione e non riguardi le condizioni d'accesso alle
distinte professioni; di guisa che non implica la piena equiordinazione del titolo di laurea in ingegneria a quello di
architettura ai fini dell'accesso alle attivit riservate agli architetti dal R.D. n. 2537 del 1925 (articolo 52).
A parere del Giudici di primo grado, dunque tale ultima disposizione normativa nazionale deve ritenersi
senz'altro legittima, unitamente agli atti amministrativi adottati in conformit alle sue previsioni. Anche tale
sentenza ha formato oggetto di ricorso in appello dinanzi a questo Consiglio di Stato da parte degli ordini provinciali
degli ingegneri, gi ricorrenti in primo grado.
Come in premessa gi precisato, in entrambi i ricorsi in appello che vengono all'esame di questo Consiglio di
Stato viene riproposta, sia pure con prospettazione asimmetrica nelle distinte controversie, in ragione delle
antitetiche posizioni processuali delle parti, la questione della compatibilit comunitaria della disciplina normativa
italiana che riserva ai soli architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale (art. 52 del R.D. del
22 ottobre 1925 n. 2537).
Nel ricorso in appello RG n.6736/08, in particolare, il Ministero dei beni e le attivit culturali a censurare la
sentenza di accoglimento del T.A.R. del Veneto, rilevando che dalla stessa ordinanza della Corte di Giustizia 5 aprile
2004 si ricaverebbe il principio secondo cui la diversificazione normativa nell'accesso ad alcune prestazioni
particolari dell'architettura, oltre che essere una esclusiva prerogativa statuale, come tale estranea alla sfera di
intervento del diritto comunitario, rappresenterebbe anche una soluzione coerente con la diversit dei percorsi
formativi degli ingegneri e degli architetti.
In ogni caso, poich anche agli ingegneri italiani non sarebbe inibito l'accesso all'esame di abilitazione per il
conseguimento del titolo professionale di architetto, e considerato che la normativa comunitaria si occupa del
mutuo riconoscimento dei titoli di studio ma non delle condizioni di accesso alla professione, a parere del Ministero
appellante la normativa italiana oggetto di causa (articolo 52 cit.) non arrecherebbe alcun vulnus al principio della
parit di trattamento, essendo giustificata la distinzione tra le due categorie di professionisti ai fini dell'accesso a
talune prestazioni sugli immobili di interesse culturale ed essendo in ogni caso tale normativa indistintamente
applicabile ai cittadini italiani ed ai professionisti migranti di altri Paesi membri.
Nel ricorso in appello RG n. 2527/09 sono gli ordini provinciali degli ingegneri del Veneto a censurare la
sentenza di rigetto di primo grado ed a riproporre, sia pure in via subordinata, la stessa questione afferente la
illegittimit de iure communitario dell'articolo 52 del R.D. 22 ottobre 1925 n. 2537, sostenendosi in via principale
l'affidabilit (anche) agli ingegneri dell'incarico oggetto d'appalto, in ragione della natura delle attivit oggetto di
gara, in tesi estranee al campo applicativo delle prestazioni riservate agli architetti secondo la richiamata
disposizione di diritto interno.
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Con la richiamata ordinanza 27 gennaio 2012, n. 386 questo Consiglio ha ritenuto che, al fine della definizione
della controversia, fosse necessario investire la Corte di giustizia dell'UE di due quesiti pregiudiziali ai sensi
dell'articolo 267 del TFUE.
Il Collegio rimettente, ha quindi formulato i seguenti quesiti:
a) se la direttiva comunitaria n. 85/384/CE, nella parte in cui ammette (artt. 10 e 11), in via transitoria,
all'esercizio delle attivit nel settore dell'architettura i soggetti migranti muniti dei titoli specificamente indicati, non
osta a che in Italia sia ritenuta legittima una prassi amministrativa, avente come base giuridica l'art.52, comma
secondo, parte prima del R.D. n. 2537 del 1925, che riservi specificamente taluni interventi sugli immobili di
interesse artistico soltanto ai candidati muniti del titolo di "architetto" ovvero ai candidati che dimostrino di
possedere particolari requisiti curriculari, specifici nel settore dei beni culturali e aggiuntivi rispetto a quelli
genericamente abilitanti l'accesso alle attivit rientranti nell'architettura ai sensi della citata direttiva;
b) se in particolare tale prassi pu consistere nel sottoporre anche i professionisti provenienti da Paesi membri
diversi dall'Italia, ancorch muniti di titolo astrattamente idoneo all'esercizio delle attivit rientranti nel settore
dell'architettura, alla specifica verifica di idoneit professionale (ci che avviene anche per i professionisti italiani in
sede di esame di abilitazione alla professione di architetto) ai limitati fini dell'accesso alle attivit professionali
contemplate nell'art. 52, comma secondo, prima parte del R.D. n 2357 del 1925.
La Corte di giustizia ha definito il ricorso per rinvio pregiudiziale con la sentenza della Quinta Sezione 21
febbraio 2013 (in causa C-111/12).
Con tale decisione, in particolare, la Corte ha statuito che gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE del
Consiglio, del 10 giugno 1985, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli del
settore dell'architettura e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento
e di libera prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi ostano ad una normativa nazionale
secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo Stato membro ospitante titolo abilitante all'esercizio di attivit nel settore dell'architettura ed espressamente menzionato al citato articolo
11 - possono svolgere, in quest'ultimo Stato, attivit riguardanti immobili di interesse artistico solamente qualora
dimostrino, eventualmente nell'ambito di una specifica verifica della loro idoneit professionale, di possedere
particolari qualifiche nel settore dei beni culturali.
A seguito della riassunzione del giudizio, le parti hanno confermato e in parte precisato le proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2013 il ricorso stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni e le attivit culturali
avverso la sentenza del T.A.R. del Veneto con cui stato accolto il ricorso proposto dall'Ingegner M. e dall'Ordine
degli Ingegneri di Verona e provincia e per l'effetto - previa disapplicazione delle disposizioni di cui all' articolo 52
del R.D. 2537 del 23 ottobre 1925 ('Approvazione del regolamento per le professioni d'ingegnere e di architetto') -
stato disposto l'annullamento del provvedimento con cui la competente Soprintendenza aveva negato il subentro
dell'Ingegner M. nella direzione di alcuni lavori da realizzarsi su un immobile sottoposto a vincolo ai sensi del D.Lgs.
29 ottobre 1999, n. 490 ('Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma
dell' articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352' - in seguito: D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 -).
Giunge, altres, alla decisione del Collegio il ricorso proposto da sette Ordini degli ingegneri della Regione
Veneto avverso la sentenza del T.A.R. del Veneto con cui stato respinto il ricorso da essi proposto avverso il bando
e il disciplinare di gara per l'affidamento del servizio di direzione dei lavori e di coordinamento della sicurezza in fase
di esecuzione dei lavori di restauro e recupero funzionale di alcuni immobili sottoposti a vincolo ai sensi del
richiamato D.Lgs. n. 490 del 1999.
2. Va disposta anzitutto la riunione dei ricorsi in appello di cui in epigrafe atteso che gli stessi, supponendo la
soluzione di analoghe questioni giuridiche, meritano di essere trattati congiuntamente per essere definiti con
un'unica sentenza.
3. Nel merito, il ricorso n. 6736/2008 - proposto dal Ministero per i beni e le attivit culturali - deve essere
accolto, mentre deve essere respinto il ricorso n. 2527/2009 - proposto dagli Ordini degli Ingegneri delle Province
del Veneto -.
4. Giova premettere che la questione della complessiva compatibilit de iure communitario della parziale
riserva di cui all' articolo 52 del R.D. n. 2537 del 1925 stata scrutinata da questo Giudice di appello attraverso un
filone giurisprudenziale ormai consolidato (e le cui conclusioni sono qui condivise) il quale giunto a soluzioni
sostanzialmente condivise circa l'insussistenza di profili di incompatibilit con i pertinenti dettami del diritto
dell'Unione Europea (ex multis: Sez. VI, 16 maggio 2006, n. 2776; id., VI, 11 settembre 2006, n. 5239; id., VI, 24
ottobre 2006, n. 6343).
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da tali diplomi per quanto riguarda l'accesso alle attivit di architetto (in tal senso, l'ordinanza della Corte 5 aprile
2004 in causa C-3/02, resa nell'ambito di un rinvio pregiudiziale sollevato dal T.A.R. del Veneto nell'ambito del
ricorso di primo grado n. 1994/2001 - M.A. e altri -).
In definitiva, secondo la Corte di giustizia, la pi volte richiamata direttiva non impone allo Stato membro di
porre i diplomi di laurea in architettura e in ingegneria civile indicati all'articolo 11 su un piano di perfetta parit per
quanto riguarda l'accesso alla professione di architetto in Italia; n tantomeno essa pu essere di ostacolo ad una
normativa nazionale che riservi ai soli architetti i lavori riguardanti gli immobili d'interesse storico-artistico
sottoposti a vincolo (in tal senso: Cons. Stato, sent. 5239/06, cit.).
5. La Corte di giustizia (la quale - come si detto in precedenza - stata adita per ben due volte nel corso della
presente vicenda contenziosa ai sensi dell'articolo 234 del TCE - in seguito: articolo 267 del TFUE -) ha reso
statuizioni che risultano determinanti al fine di delimitare e definire la controversia nel suo complesso.
5.1. Con la prima di tali decisioni (si tratta dell'ordinanza in data 5 aprile 2004 sul ricorso C-3/02, resa
sull'ordinanza di rimessione del T.A.R. del Veneto n. 4236/2001) la Corte ha chiarito:
- che l' articolo 52, secondo comma, del R.D. n. 2537 del 1925 non ex se incompatibile con la direttiva
comunitaria 85/384/CEE, in quanto (come si gi anticipato) quest'ultima non si propone di disciplinare le
condizioni di accesso alla professione di architetto n di definire la natura delle attivit svolte da chi esercita tale
professione, ma soltanto di garantire "il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei diplomi, dei
certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi minimi in materia di
formazione allo scopo di agevolare l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi
per le attivit del settore dell'architettura";
- che la richiamata direttiva non obbliga in alcun modo gli Stati membri a porre i diplomi di laurea in
architettura ed in ingegneria civile (con particolare riguardo a quelli indicati all'articolo 11) su un piano di perfetta
parit ai fini dell'accesso alla professione di architetto in Italia, ma, in coerenza con il principio di non
discriminazione tra Stati membri, impone soltanto di non escludere da tale accesso in Italia coloro che siano in
possesso di un diploma di ingegneria civile o di un titolo analogo rilasciato da un altro Stato membro, laddove
tuttavia (e si tratta di un chiarimento determinante ai fini della presente decisione) tale titolo risulti abilitante - in
base alla normativa di quello Stato membro - all'esercizio di attivit nel settore dell'architettura (e nel prosieguo
della presente decisione si vedr che tale possibilit non pu essere ammessa in modo indiscriminato ai
professionisti ingegneri, ma solo al ricorrere di alcune tassative condizioni);
- che la direttiva 85/384/CEE non trova in definitiva applicazione in relazione alla fattispecie di causa, poich le
relative disposizioni non impongono in alcun modo all'Italia di non escludere gli ingegneri civili che hanno
conseguito in Italia il proprio titolo dall'attivit di cui all' articolo 52, comma 2, del R.D. n. 2537 del 1925 (ma le
impongono soltanto di non escludere - nella logica del mutuo riconoscimento e della libera circolazione che
caratterizza la direttiva in parola - gli ingegneri civili o possessori di analoghi titoli conseguiti in altri Stati membri al
ricorrere delle condizioni dinanzi richiamate).
Sotto tale aspetto, la Corte ha svolto una considerazione che ha in seguito assunto un rilievo dirimente nella
complessiva economia del giudizio, laddove ha affermato che " vero che, come sostiene la Commissione, ne pu
derivare una discriminazione alla rovescia, poich gli ingegneri civili che hanno conseguito i loro titoli in Italia non
hanno accesso, in tale Stato membro, all'attivit di cui all'art. 52, secondo comma, del R.D. n. 2537 del 1925, mentre
tale accesso non pu essere negato alle persone in possesso di un diploma di ingegnere civile o di un titolo analogo
rilasciato in un altro Stato membro, qualora tale titolo sia menzionato nell'elenco redatto ai sensi dell'art. 7 della
direttiva 85/384/CEE o in quello di cui all'art.11 della detta direttiva. 53. Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte
emerge che, quando si tratta di una situazione puramente interna come quella di cui alla causa principale, il
principio della parit di trattamento sancito dal diritto comunitario non pu essere fatto valere. In una situazione
del genere spetta al giudice nazionale stabilire se vi sia una discriminazione vietata dal diritto nazionale e, se del
caso, decidere come essa debba essere eliminata (...)".
Di conseguenza, la Corte ha concluso nel senso che "quando si tratti di una situazione puramente interna ad
uno Stato membro, n la direttiva 85/384 -in particolare i suoi artt. 10 e 11, lett. g) -n il principio della parit di
trattamento ostano ad una normativa nazionale che riconosce, in linea di principio, l'equivalenza dei titoli di
architetto e di ingegnere civile, ma riserva ai soli architetti i lavori riguardanti in particolare gli immobili vincolati
appartenenti al patrimonio artistico".
5.2. Con la seconda delle richiamate decisioni (si tratta della sentenza della quinta sezione del 21 febbraio
2013 sul ricorso C-111/12, resa sull'ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato n. 386/2012) la Corte ha dovuto
pronunziarsi su un'ulteriore ipotesi ricostruttiva prospettata da questo Consiglio di Stato in sede di ordinanza di
rimessione.
In particolare, questo Giudice di appello (mosso dall'evidente intento di rinvenire una sintesi fra - da un lato l'obbligo di matrice comunitaria di operare il mutuo riconoscimento delle professionalit straniere coperte dalle
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previsioni della direttiva 85/384/CEE e - dall'altro - l'esigenza di prevenire i richiamati, possibili fenomeni di 'reverse
discrimination') aveva ipotizzato un sistema applicativo volto a temperare entrambe le richiamate esigenze.
Segnatamente, con l'ordinanza di rimessione n. 386/2012 questo Consiglio aveva ipotizzato l'introduzione
(invero, ex novo) di una prassi applicativa consistente nel sottoporre anche i professionisti provenienti da altri Paesi
membri dell'UE (e ancorch muniti di titolo astrattamente idoneo all'esercizio delle attivit rientranti nel settore
dell'architettura), a una specifica ed ulteriore verifica di idoneit professionale (in tutto simile a quelle svolta nei
confronti dei professionisti italiani in sede di esame di abilitazione alla professione di architetto) ai limitati fini
dell'accesso alle attivit professionali contemplate nell'art. 52, comma secondo, prima parte del R.D. n 2357 del
1925.
Come si anticipato in narrativa, la Corte di giustizia non ha condiviso l'ipotesi formulata da questo Consiglio
di Stato e ha concluso nel senso che gli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE devono essere interpretati nel
senso che essi ostano ad una normativa nazionale (rectius: a una prassi applicativa, quale quella ipotizzata in sede di
ordinanza di rimessione) secondo cui persone in possesso di un titolo rilasciato da uno Stato membro diverso dallo
Stato membro ospitante (titolo, questo, abilitante all'esercizio di attivit nel settore dell'architettura ed
espressamente menzionato al citato articolo 11), possono svolgere, in quest'ultimo Stato, attivit riguardanti
immobili di interesse artistico solamente qualora dimostrino, eventualmente nell'ambito di una specifica verifica
della loro idoneit professionale, di possedere particolari qualifiche nel settore dei beni culturali.
In definitiva la Corte ha ritenuto di non potersi pronunziare in modo espresso sul se la normativa italiana
rilevante comporti o meno un fenomeno di 'discriminazione alla rovescia' in danno dei professionisti italiani
(giacch ci esula dalle sue competenze istituzionali, le quali non includono le 'situazioni puramente interne', al cui
ambito sono pacificamente da ricondurre le controversie in esame - punto 34 della motivazione -).
Tuttavia, la Corte ha ritenuto di dover comunque definire e chiarire ulteriormente i contorni applicativi della
normativa comunitaria dinanzi richiamata (e segnatamente, degli obblighi di mutuo riconoscimento di cui agli
articoli 7, 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE) al fine di consentire a questo Giudice del rinvio di disporre di una
quadro conoscitivo pi completo per definire il giudizio - ad esso solo demandato in via esclusiva - relativo alla
sussistenza o meno del richiamato fenomeno di discriminazione alla rovescia.
6. Ebbene, impostati in tal modo i termini concettuali della questione, il Collegio ritiene che l'esame degli atti
di causa e della pertinente normativa comunitaria e nazionale non palesino i paventati profili di discriminazione alla
rovescia in danno dell'ingegnere civile italiano, al quale (nella tesi degli ordini degli Ingegneri appellanti nel ricorso
n. 2527/2009, condivisa dal T.A.R. del Veneto con la sentenza n. 3630/2007) sarebbe indiscriminatamente e
irrazionalmente vietato l'esercizio di alcune attivit professionali (quelle inerenti gli interventi sui beni di interesse
storico e artistico) le quali - al contrario - sarebbero altrettanto indiscriminatamente consentite agli Ingegneri di altri
Paesi dell'Unione Europea.
6.1. Al riguardo si osserva in primo luogo che la richiamata sentenza n. 3630/2007 sembra essere incorsa in
una semplificazione eccessiva dei termini della questione laddove (indotta forse dalle abili prospettazioni di parte)
ha descritto un quadro normativo e applicativo non coincidente con quello effettivamente riscontrabile.
Secondo il T.A.R., in particolare, sussisterebbe una 'evidente' disparit di trattamento ai danni degli ingegneri
civili italiani (pag. 9 della motivazione) in quanto, di fatto, a tutti gli ingegneri civili italiani sarebbero
indiscriminatamente vietate tutte le attivit riconducibili all'articolo 52, cit., mentre - al contrario - a tutti gli
ingegneri civili di altri Paesi dell'Unione l'esercizio di quelle stesse attivit sarebbe indiscriminatamente consentito.
6.1.1. Secondo i primi Giudici, in particolare, "nel momento in cui la normativa Europea afferma che
l'ingegnere civile laureatosi in Italia pu svolgere l'attivit propria dell'architetto in tutta l'Europa, ma (in virt di una
norma interna) non in Italia, si offre al giudice italiano un parametro normativo per un giudizio di disapplicazione
della norma interna contrastante con quella Europea".
Al riguardo i primi Giudici proseguono affermando che " evidente l'arbitraria discriminazione a danno degli
ingegneri civili italiani operata dalla norma in esame, i quali, equiparati agli ingegneri civili ed agli architetti Europei
dalla normativa comunitaria, possono esercitare, diversamente da questi ultimi, l'attivit professionale riservata ai
titolari di diploma di architetto in tutta l'Europa, ma non in Italia: discriminazione che, trovando causa nel contrasto
tra la normativa nazionale e il diritto comunitario, va risolta con la disapplicazione della disciplina interna e la
conseguente invalidit degli atti applicativi".
6.1.2. Al riguardo si osserva:
- che, come pi volte chiarito, nello stato attuale di evoluzione del diritto comunitario, la disciplina sostanziale
dell'attivit degli architetti e degli ingegneri non costituisce oggetto di armonizzazione, n di ravvicinamento delle
legislazioni, cos come risulta allo stato non armonizzata la disciplina delle condizioni di accesso a tali professioni,
ragione per cui non risulta esatto affermare (contrariamente a quanto si legge a pag. 10 della sentenza n. 3630, cit.)
che la direttiva 384, cit. avrebbe sancito la piena "equiordinazione sul piano comunitario dei titoli di ingegnere civile
e di architetto";
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- che lo stesso passaggio dell'ordinanza della Corte di giustizia del 5 aprile 2004 il quale ha ipotizzato la
sussistenza nell'ordinamento italiano di un'ipotesi di 'reverse discrimination' in danno dell'ingegnere civile italiano e
in favore di ogni altro ingegnere di altri Paesi UE, non ha in alcun modo affermato la sicura sussistenza di una
siffatta discriminazione, ma ne ha soltanto ipotizzato la possibilit, al ricorrere di taluni presupposti soggettivi e
oggettivi, la cui ricorrenza dovr essere scrutinata dal Giudice nazionale del rinvio. In particolare, con la decisione
dell'aprile 2004, la Corte ha affermato che tale ipotesi potrebbe verificarsi nella sola ipotesi in cui il possesso di un
diploma di ingegnere civile o di un titolo analogo rilasciato da altro Paese dell'UE fosse espressamente menzionato
negli elenchi redatti - per cos dire: - 'a regme' ai sensi dell' articolo 7 della direttiva 85/384/CEE, ovvero nello
speciale elenco transitorio di cui agli articoli 10 e 11 della medesima direttiva e laddove analoga possibilit fosse
esclusa nei confronti di un professionista italiano in possesso dei medesimi requisiti.
Tuttavia, del tutto determinante osservare che (contrariamente a quanto affermato nell'impugnata sentenza
n. 3630/2007 e a quanto sembrano sostenere gli Ordini degli ingegneri appellanti nel ricorso n. 2527/2009) non tutti
i diplomi, certificati e altri titoli di ingegnere civile rilasciati da altri Paesi dell'UE consentono l'indifferenziato
svolgimento di tutte le attivit proprie della professione di architetto.
Al contrario, l'esame della pertinente normativa comunitaria (e, segnatamente, dell' articolo 7 della direttiva
85/384/CEE) rende chiaro che l'inclusione negli elenchi nazionali predisposti - per cos dire - 'a regme' ai sensi del
medesimo articolo 7 consentita solo ai professionisti i quali abbiano svolto un adeguato percorso di formazione
tipico della professione di architetto.
Ed infatti, la stessa direttiva 85/384/CEE, all'articolo 3, individua il contenuto minimo obbligatorio che i
percorsi formativi nazionali devono possedere affinch i professionisti che abbiano seguito tali percorsi possano
plenoiure essere inclusi negli elenchi nazionali che consentono ai relativi iscritti di vantare il diritto al mutuo
riconoscimento e alla libera circolazione (diritto in quale rappresenta, a ben vedere, l'ubi consistam del complesso
sistema delineato dalla medesima direttiva 85/384/CEE).
Ma, se solo ci si sofferma ad esaminare il contenuto minimo obbligatorio che la direttiva in questione impone
affinch un determinato percorso di formazione sia incluso fra quelli che consentono di invocare il richiamato
mutuo riconoscimento, ci si rende conto che tali requisiti sono pienamente compatibili con il consolidato
orientamento di questo Consiglio il quale ha ritenuto del tutto congrua e non irragionevole la parziale riserva di cui
all' articolo 52 del R.D. n. 2537 del 1925.
Come noto, infatti, la giurisprudenza di questo Consiglio ha giustificato dal punto di vista sistematico la
richiamata, parziale riserva sul rilievo secondo cui "per quanto nel corso di studi degli ingegneri civili non manchino
approfondimenti significativi nel settore dell'architettura, al professionista architetto si riconosce generalmente una
maggiore capacit, frutto di maggiori studi e approfondimenti della evoluzione dell'architettura sul piano storico e
di un pi marcato approccio umanistico alla professione, di penetrare le problematiche e le sottese valutazioni
tecniche afferenti gli immobili o le opere di rilevanza artistica" (in tal senso, da ultimo, la stessa ordinanza di
rimessione di questa Sezione n. 386/2012, dinanzi richiamata).
Ebbene, l'approccio in questione risulta del tutto compatibile con l'ordito normativo di cui alla direttiva
85/384/CEE la quale (al di l della coincidenza nominalistica dei titoli professionali di riferimento - 'architetto'
piuttosto che 'ingegnere' -) ammette l'esercizio in regme di mutuo riconoscimento e di libera circolazione delle
attivit tipiche della professione di architetto a condizione che il professionista in questione possa vantare un cursus
di studi e di formazione il cui contenuto minimo essenziale comprende studi (anche) di carattere storico e artistico
quali quelli richiesti in via necessaria per operare con adeguata cognizione di causa nel settore dei beni storici e di
interesse culturale.
Non a caso, lo stesso articolo 3 della direttiva richiama in modo espresso, fra i requisiti minimi necessari del
percorso formativo che legittima un professionista ad invocare il regme di mutuo riconoscimento nell'esercizio
delle attivit tipiche dell'architetto, "una adeguata conoscenza della storia e delle teorie dell'architettura nonch
delle arti, tecnologie e scienze umane ad essa attinenti", nonch "una conoscenza delle belle arti in quanto fattori
che possono influire sulla qualit della concezione architettonica".
Si tratta, come evidente (e riguardando la questione secondo l'approccio sostanzialistico proprio
dell'ordinamento comunitario, al di l delle distinzioni puramente nominalistiche) di un orientamento normativo in
tutto coincidente con quello fatto proprio dalla giurisprudenza di questo Consiglio appena richiamato.
6.2. Concludendo sul punto:
- non esatto affermare che l'ordinamento comunitario riconosca a tutti gli ingegneri di Paesi UE diversi
dall'Italia (con esclusione dei soli ingegneri italiani) l'indiscriminato esercizio delle attivit tipiche della professione di
architetto (fra cui - ai fini che qui rilevano - le attivit afferenti le opere di edilizia civile che presentano rilevante
carattere artistico, ovvero relative ad immobili di interesse storico e artistico);
- al contrario, in base alla pertinente normativa UE, l'esercizio di tali attivit - in regme di mutuo
riconoscimento - sar consentito ai soli professionisti i quali (al di l del nomen iuris del titolo professionale
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posseduto) possano vantare un percorso formativo adeguatamente finalizzato all'esercizio delle attivit tipiche della
professione di architetto. Come si visto, l' articolo 3 della direttiva 85/384/CEE include in modo espresso gli studi
della storia e delle teorie dell'architettura, nonch delle belle arti e delle scienze umane fra quelli che integrano il
bagaglio culturale minimo e necessario perch un professionista possa svolgere in regme di mutuo riconoscimento
le richiamate attivit (anche) in relazione ai beni di interesse storico e culturale;
- quindi, anche ad ammettere che un professionista non italiano con il titolo professionale di ingegnere sia
legittimato sulla base della normativa del Paese di origine o di provenienza a svolgere attivit rientranti fra quelle
esercitate abitualmente col titolo professionale di architetto, ci non sufficiente a determinare ex se una
discriminazione 'alla rovescia' in danno dell'ingegnere civile italiano. Ed infatti, sulla base della direttiva 85/384/CEE,
l'esercizio di tali attivit sar possibile (non sulla base del mero possesso del titolo di ingegnere nel Paese di origine
o di provenienza, bens) in quanto tale professionista non italiano avr seguito un percorso formativo adeguato ai
fini dell'esercizio delle attivit abitualmente esercitate con il titolo professionale di architetto;
- allo stesso modo, la sussistenza dei richiamati profili di 'discriminazione alla rovescia' da escludere alla luce
dell' articolo 11, lettera g) della direttiva 85/384/CEE, cit. Ed infatti, in base a tale disposizione, i soggetti che
abbiano conseguito in Italia il diploma di laurea in ingegneria nel settore della costruzione civile rilasciati da
Universit o da istituti politecnici possono nondimeno esercitare le attivit tipiche degli architetti (ivi comprese
quelle di cui al pi volte richiamato articolo 52) a condizione che abbiano altres conseguito il diploma di abilitazione
all'esercizio indipendente di una professione nel settore dell'architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica
Istruzione a seguito del superamento dell'esame di Stato che lo abilita all'esercizio indipendente della professione
(in tal modo conseguendo il titolo di 'dott. Ing. architetto' o di 'dott. Ing. in ingegneria civile');
- conclusivamente, non possibile affermare che il sistema normativo nazionale di parziale riserva in favore
degli architetti delle attivit previste dall' articolo 52 del R.D. n. 2537 del 1925 sia idoneo a sortire in danno degli
ingegneri italiani l'effetto di 'discriminazione alla rovescia' richiamato dalla sentenza del T.A.R. del Veneto n.
3630/2007 e la cui sussistenza in concreto la stessa Corte di giustizia ha demandato alla verifica in sede giudiziale da
parte di questo Giudice del rinvio, trattandosi pur sempre - secondo quanto statuito dalla medesima Corte - di
controversia nell'ambito della quale vengono pacificamente in rilievo 'situazioni puramente interne' (in tal senso:
CGCE, sentenza in causa C-111/12, cit. punto 34).
6.3. E il richiamato (e meramente paventato) effetto di 'reverse discrimination' quale effetto della previsione
di cui all'articolo 52, cit. deve essere escluso sia per quanto riguarda il particolare sistema transitorio e derogatorio
di cui agli articoli 10 e 11 della direttiva 85/384/CEE, sia per quanto riguarda il sistema 'a regime' di cui all'articolo 7
della medesima direttiva.
6.3.1. Per quanto concerne, infatti, il particolare sistema (transitorio e derogatorio) di cui agli articoli 10 e 11
della direttiva 85/384/CEE, noto che il primo di tali articoli ha previsto la possibilit per ciascuno degli Stati
membri di individuare taluni diplomi, certificati e altri titoli del settore dell'architettura da ammettere sin da subito
al regme di mutuo riconoscimento, anche a prescindere dalla piena rispondenza ai requisiti minimi di formazione di
cui all'articolo 3 della medesima direttiva.
Il successivo articolo 11 ha, quindi, individuato per ciascuno degli Stati membri tali diplomi, certificati ed altri
titoli da ammettere immediatamente al richiamato regme di mutuo riconoscimento (per l'Italia, tale regme di
immediata ammissione ha riguardato: a) i diplomi di 'laurea in architettura' rilasciati dalle universit, dagli istituti
politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di
abilitazione all'esercizio indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione
una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un'apposita Commissione, l'esame di Stato che
abilita all'esercizio indipendente della professione di architetto (dott. architetto); b) i diplomi di 'laurea in
ingegneria' nel settore della costruzione civile rilasciati dalle universit e dagli istituti politecnici, accompagnati dal
diploma di abilitazione all'esercizio indipendente di una professione nel settore dell'architettura, rilasciato dal
ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un'apposita
Commissione, l'esame di Stato che lo abilita all'esercizio indipendente della professione (dott. ing. architetto o dott.
ing. in ingegneria civile)).
Ebbene, in relazione a tale periodo transitorio, non dato individuare i paventati profili di 'discriminazione alla
rovescia' in danno degli ingegneri civili italiani, laddove si consideri:
- che, esaminando gli elenchi delle professioni ammesse dagli altri Stati membri al regme di immediata
applicazione al mutuo riconoscimento, non dato rinvenire pressoch alcun caso di professioni che, anche dal
punto di vista del nomen iuris, si discostino dal tipico ambito della professione di architetto, fino a coincidere con il
tipico ambito della professione di ingegnere. Le uniche eccezioni a questa regola sostanzialmente generalizzata
sono rappresentate: a) dal caso belga dei diplomi di 'ingegnere civile-architetto' e di 'ingegnere-architetto' rilasciati
dalle facolt di scienze applicate delle universit e dal politecnico di Mons; b) dal caso portoghese del diploma di
genio civile (licenciatura em engenharia civil) rilasciato dall'Istituto superiore tecnico dell'Universit tecnica di
Lisbona; c) dai casi greci dei diplomi di 'ingegnere-architetto' rilasciati da alcuni Istituti di formazione e dei diplomi di
'ingegnere-ingegnere civile' rilasciati dal Metsovion Polytechnion di Atene (in ambo i casi, peraltro, a condizione che
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il possesso dei richiamati diplomi si accompagni a un attestato rilasciato dalla Camera tecnica di Grecia e conferente
il diritto di esercitare le attivit nel settore dell'architettura). Si tratta, per, di eccezioni talmente puntuali e limitate
da non poter essere assunte (nella richiamata ottica di carattere sostanzialistico) quali indizi dell'esistenza di un
effettivo fenomeno di 'reverse discrimination' in danno degli ingegneri civili italiani e in favore di una platea
indiscriminata o quanto meno significativa di ingegneri di altri Paesi dell'Unione Europea;
- che, paradossalmente, esaminando gli elenchi nazionali di cui al richiamato articolo 11, proprio il caso
italiano dei professionisti in possesso del diploma di 'laurea in ingegneria' nel settore della costruzione civile (e
nondimeno abilitati per il diritto italiano al'esercizio di una professione indipendente di una professione nel settore
dell'architettura) a presentare (al pari dei richiamati casi belgi, portoghesi e greci) possibili profili di vantaggio in
favore dei professionisti nazionali, con potenziali effetti distorsivi in danno degli ingegneri di altri Paesi dell'UE la cui
normativa nazionale di riferimento non consenta agli ingegneri di conseguire una analoga abilitazione;
- che, in ogni caso, anche a voler ammettere (il che - per le ragioni appena esaminate - non ) che la disciplina
transitoria e derogatoria di cui ai richiamati articoli 10 e 11 consenta in talune ipotesi a un limitato numero di
ingegneri di alcuni Paesi dell'UE di svolgere in regme di mutuo riconoscimento (e quindi anche in Italia) talune
attivit nel settore dell'architettura sui beni di interesse storico e culturale (attivit tipicamente sottratte agli
ingegneri italiani); ebbene, anche in questo caso, non si individuerebbero ragioni sufficienti per ritenere la
sussistenza di un'ipotesi di 'reverse discrimination' in danno degli ingegneri italiani, s da indurre alla generalizzata
disapplicazione della previsione di cui all' articolo 52 del R.D. n. 2537 del 1925. Al riguardo si osserva che non appare
metodologicamente corretto assumere quale parametro stabile di valutazione, nell'ambito di un giudizio volto a
stabilire se una discriminazione vi sia oppure no, talune situazioni per definizione transitorie ed eccezionali (quali
quelle contemplate dagli articoli 10 e 11 della pi volte richiamata direttiva del 1985).
E' evidente al riguardo che, laddove si accedesse alla soluzione qui non condivisa, si perverrebbe alla
inammissibile conseguenza per cui le situazioni e i dettami propri di una fase transitoria (assunti quali impropri
parametri stabili di comparazione) costituirebbero essi stessi un ostacolo definitivo e insormontabile per la piena
entrata a regme di un sistema di mutuo riconoscimento basato, invece, sull'oggettiva valutazione di un
determinato livello quali-quantitativo di formazione propedeutica all'esercizio della professione di architetto.
6.3.2. Per quanto concerne, poi, il sistema - per cos dire - 'a regme' delineato dall' articolo 7 della direttiva
85/384/CEE, l'assenza dei richiamati profili di 'discriminazione alla rovescia' emerge con tanto maggiore evidenza
laddove si consideri:
- che l'iscrizione di una categoria di professionisti nell'ambito degli elenchi nazionali 'a regime' di cui all'articolo
7 della direttiva presuppone che il rilascio dei relativi diplomi, certificati o titoli faccia seguito a percorsi formativi i
cui contenuti minimi e necessari siano conformi alle previsioni di cui all'articolo 3 della direttiva (e si detto in
precedenza che tali percorsi formativi devono comprendere in via necessaria un'adeguata conoscenza della storia e
delle tecniche dell'architettura, nonch delle belle arti e delle scienze umane - ossia, di quel complesso di discipline
umanistiche che caratterizzano il bagaglio culturale tipico dell'architetto e il cui possesso giustifica la parziale riserva
professionale di cui al pi volte richiamato articolo 52 -);
- che, anche ad ammettere che un professionista di Paese dell'UE in possesso del titolo di ingegnere possa
essere incluso negli elenchi di cui all'articolo 7, cit. (e sia, quindi, ammesso ad esercitare in Italia le attivit tipiche
dell'architetto anche in relazione ai beni di interesse storico ed artistico), ci non costituir di per s una
discriminazione in danno dell'ingegnere italiano (nei cui confronti l'esercizio di quelle stesse attivit resta
tipicamente escluso). E infatti, l'inclusione di quella particolare tipologia di ingegnere UE nell'ambito degli elenchi di
cui all'articolo 7, cit. dimostrer ex se che quel professionista ha seguito un percorso formativo idoneo (anche nei
campi della storia e delle tecniche dell'architettura, nonch delle belle arti e delle scienze umane) tale da
giustificare in modo pieno l'esercizio da parte di quel professionista ingegnere (e al di l delle limitazioni recate dal
nomen iuris della qualifica professionale posseduta) delle attivit abitualmente esercitate con il titolo professionale
di architetto (ivi comprese quindi, ai fini che qui rilevano, le opere di edilizia che presentano rilevante carattere
artistico e il ripristino degli edifici di cui alla L. 20 giugno 1909, n, 364).
Anche sotto tale aspetto, quindi, deve essere esclusa la sussistenza della paventata ipotesi di 'discriminazione
alla rovescia' in danno degli ingegneri civili italiani.
7. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in appello n. 6736/2008 proposto dal Ministero per i beni e le attivit
culturali deve essere accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere respinto il ricorso
di primo grado proposto dall'ingegner A.M. e dall'Ordine degli ingegneri di Verona e provincia e recante il n.
1994/2001.
8. Per le medesime ragioni il ricorso in appello n. 2527/2009 proposto dagli Ordini degli ingegneri delle
province di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno, deve essere respinto, con conseguente
conferma della sentenza del T.A.R. n. 3651/2008 la quale ha sancito la legittimit degli atti e delle determinazioni
amministrative le quali avevano escluso gli ingegneri dall'affidamento del servizio di direzione dei lavori e di
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coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori di restauro e di recuperi funzionale di un immobile di
interesse storico e artistico.
8.1. Per quanto riguarda, in particolare, il ricorso in appello n. 2527/2009 il Collegio deve ora esaminare i
motivi di appello ulteriori e diversi rispetto a quelli inerenti la portata applicativa del pi volte richiamato articolo 52
del R.D. n. 2537 del 1925.
8.1.1. In primo luogo si osserva che non pu essere accolto il motivo di appello con cui (reiterando un analogo
motivo di doglianza gi articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) si osservato che i servizi messi a gara con
gli atti impugnati in primo grado non rientrano a pieno titolo nell'ambito di quelli per i quali opera la riserva parziale
in favore degli architetti di cui al medesimo articolo 52, avendo essi ad oggetto 'la parte tecnica' delle lavorazioni (la
quale, ai sensi del medesimo articolo 52, pu essere demandata tanto all'architetto, quanto all'ingegnere).
Il motivo in questione non pu essere condiviso, dovendo - al contrario - trovare puntuale conferma in parte
qua la sentenza appellata, la quale ha affermato che l'attivit di direzione dei lavori per il restauro di Palazzo
Contarini del Bovolo in Venezia - San Marco 4299 implica con ogni evidenza scelte connesse "al restauro, al
risanamento e al recupero funzionale dell'immobile, per la cui attuazione ottimale conferente l'intervento
dell'architetto in ragione dell'indubbia preminenza della sua professionalit nell'ambito delle belle arti, nel mentre
risultano - con altrettanta evidenza - del tutto residuali le ulteriori lavorazioni strutturali ed impiantistiche rientranti
nell'edilizia civile propriamente intesa".
Al riguardo si osserva che, anche a voler enfatizzare la previsione di cui all'ultima parte del secondo comma
dell'articolo 52, cit. (secondo cui la parte tecnica delle opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere
artistico e il restauro e ripristino degli edifici di interesse storico e artistico "ne pu essere compiuta tanto
dall'architetto quanto dall'ingegnere"), non pu ritenersi che le attivit relative al servizio di direzione dei lavori e di
coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori all'origine dei fatti di causa possano farsi rientrare fra
quelle relative alla sola 'parte tecnica'.
Al riguardo si osserva che, secondo un condiviso orientamento, la parziale riserva di cui al pi volte richiamato
articolo 52 non riguarda la totalit degli interventi concernenti immobili di interesse storico e artistico, ma inerisce
alle sole parti di intervento di edilizia civile che implichino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione
accademica conseguita dagli architetti nell'ambito delle attivit di restauro e risanamento di tale particolarissima
tipologia di immobili (si richiama ancora una volta, al riguardo, la sentenza di questo Consiglio n. 5239 del 2006).
Tuttavia (e si tratta di una notazione dirimente ai fini della presente decisione) non pu negarsi che la
richiamata riserva operasse in relazione alle attivit all'origine di fatti di causa, il cui contenuto essenziale e
certamente prevalente riguardava - appunto - scelte connesse al restauro, al risanamento e al recupero funzionale
di un immobile sottoposto a vincolo storico-artistico, s da giustificare certamente sotto il profilo sistematico e
funzionale la richiamata riserva.
Non pu, pertanto, essere condivisa la tesi degli Ordini appellanti secondo cui l'attivit di direzione dei lavori
nel caso di specie potesse essere ricondotta alle attivit di mero rilievo tecnico, in quanto tali esercitabili anche dai
professionisti ingegneri.
N pu essere condiviso l'argomento secondo cui, a ben vedere, l'attivit di direzione dei lavori coinciderebbe
ex se con la nozione di 'parte tecnica' delle attivit e delle lavorazioni, atteso che i) di tale coincidenza non traccia
alcuna nell'ambito della normativa di riferimento; ii) laddove si accedesse a tale opzione interpretativa, di fatto, si
priverebbe di senso compiuto la stessa individuazione di una 'parte tecnica' (intesa quale componente di una pi
ampia serie di attivit) facendola coincidere, di fatto, con il pi ampio e onnicomprensivo novero delle attivit
relative alla direzione dei lavori.
Ma la sentenza in epigrafe altres meritevole di conferma laddove ha osservato che gli atti della lex specialis
impugnati in primo grado, lungi dall'aver irragionevolmente compresso le prerogative dei professionisti ingegneri,
ne hanno - al contrario - tenuto in adeguata considerazione le peculiarit.
Ci, in quanto la medesima lex specialis ha previsto l'istituzione di un organo collegiale di direzione dei lavori
composto - fra gli altri - da un direttore operativo per gli impianti (ruolo, questo, che avrebbe certamente potuto
essere ricoperto da un ingegnere), da un direttore operativo per le strutture e da un direttore operativo
restauratore di beni culturali.
8.1.2. Neppure pu essere condiviso il secondo motivo di appello, con il quale (reiterando un analogo motivo
di doglianza gi articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) si lamentata la contraddittoriet intrinseca che
sussisterebbe fra:
- (da un lato), gli atti impugnati in primo grado, con cui sono state precluse agli ingegneri le attivit di direzione
dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei richiamati lavori di restauro e recupero
funzionale e
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- (dall'altro) un diverso bando di gara, indetto dalla medesima amministrazione e relativo al medesimo
immobile vincolato, con cui stata - al contrario - consentita agli ingegneri la partecipazione (insieme agli architetti)
alla gara avente ad oggetto la progettazione esecutiva dei lavori.
Al riguardo giova premettere (e si tratta di notazione dirimente ai fini del decidere) che, quand'anche il
richiamato profilo di contraddittoriet fosse in concreto sussistente, ci non sortirebbe l'effetto di consentire agli
ingegneri la partecipazione alla gara per l'affidamento del servizio di direzione dei lavori e di coordinamento della
sicurezza (si tratta di attivit che, per le ragioni dinanzi richiamate, sono state legittimamente precluse agli ingegneri
in coerente applicazione dell' articolo 52 del R.D. n. 2537 del 1925).
Al contrario, l'eventuale accoglimento del richiamato motivo potrebbe al pi sortire l'unico effetto di palesare
l'illegittimit delle determinazioni con cui l'amministrazione ha ammesso gli ingegneri a partecipare alla gara avente
ad oggetto la progettazione esecutiva dei lavori.
Il che palesa altres rilevanti dubbi in ordine alla sussistenza di un effettivo interesse in capo agli Ordini
professionali appellanti alla proposizione del motivo di appello in esame.
Ma, anche a prescindere da tale assorbente rilievo, si osserva che la sentenza in epigrafe risulta comunque
meritevole di conferma laddove ha osservato che, nel caso in esame, le scelte anche di dettaglio relative agli
interventi di restauro, risanamento e recupero funzionale dell'immobile erano state effettuate in sede di stesura del
progetto definitivo (progetto, quest'ultimo, che era stato peraltro approvato dalla competente Soprintendenza per i
Beni architettonici e dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia).
Ne consegue che - come condivisibilmente osservato dai primi Giudici - la stesura del progetto definitivo
coincideva di fatto, nel caso in esame, con la mera ingegnerizzazione del progetto definitivo, in tal modo
giustificando che la relativa attivit potesse essere demandata anche ad ingegneri, senza contrasto alcuno con la
previsione di cui all'articolo 52 del pi volte richiamato R.D. n. 2537 del 1925.
N pu essere condiviso l'ulteriore motivo al riguardo profuso dagli Ordini appellanti (motivo che risulta
basato su una sorte di argomento a fortiori, in base al quale: i) se viene legittimamente demandata agli ingegneri
un'attivit puramente tecnica quale quella propria della progettazione esecutiva, ii) a maggior ragione non potr
essere negata agli ingegneri l'effettuazione di un'attivit - quella di direzione dei lavori - "pi tecnica rispetto alla
progettazione vera e propria" - pag. 19 dell'atto di appello -).
E' evidente al riguardo che l'argomento in questione si fonda sull'assiomatica affermazione secondo cui,
appunto, l'attivit di direzione dei lavori risulterebbe "pi tecnica" rispetto a quella di mera progettazione ed
ingegnerizzazione. Si tratta di un'affermazione il cui carattere indimostrato non pu evidentemente essere assunto
a parametro di giudizio.
8.1.3. Infine, non pu trovare accoglimento il terzo motivo di appello, con il quale (reiterando ancora una volta
un motivo di doglianza gi articolato in primo grado e disatteso dal T.A.R.) si lamentata l'illegittimit della scelta di
riservare agli architetti anche il ruolo di coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione.
Secondo gli Ordini appellanti, la sentenza in epigrafe si sarebbe inammissibilmente limitata a motivare la
reiezione in parte qua del ricorso sulla base dell' articolo 127 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (il quale al comma
1, primo periodo, stabilisce che "le funzioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori previsti dalla vigente
normativa sulla sicurezza nei cantieri sono svolte dal direttore dei lavori").
Tuttavia, i primi Giudici avrebbero omesso di tenere in considerazione la previsione di cui all'articolo 10 della L.
14 agosto 1996, n. 494 il quale ammette -inter alios - gli ingegneri a svolgere i compiti tipici del coordinatore per
l'esecuzione dei lavori.
Il motivo in esame non pu trovare accoglimento in considerazione dell'evidente carattere di specialit che
caratterizza la previsione di cui all' articolo 127 del D.P.R. 554 del 1999 (ora: articolo 152 del D.P.R. 207 del 2010)
rispetto all' articolo 10 del D.Lgs. 494 del 1996.
Ed infatti, premesso che la vicenda di causa resta governata dalle pregresse disposizioni di cui al richiamato
articolo 127, cit., pacifico che tale disposizione imponesse la coincidenza soggettiva fra il direttore dei lavori e il
coordinatore per l'esecuzione dei lavori (fatta salva l'ipotesi in cui il direttore dei lavori designato fosse privo dei
requisiti previsti per svolgere altres i compiti tipici del coordinatore per l'esecuzione dei lavori - ma sul punto non
stata sollevata contestazione alcuna in corso di causa -).
Tuttavia, nelle ipotesi in cui (come nel caso di specie e per le ragioni dinanzi esaminate) i compiti di direttore
dei lavori fossero riservate a un professionista architetto, del tutto legittimamente l'amministrazione aggiudicatrice
avrebbe potuto (rectius: dovuto) riservare a quest'ultimo anche le funzioni di coordinatore per l'esecuzione dei
lavori (scil.: sempre che il professionista in questione fosse altres munito dei prescritti requisiti).
Anche sotto questo aspetti, quindi, il ricorso in appello n. 2527/2009 deve essere respinto.
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9. Conclusivamente, il ricorso in appello n. 6736/2008 proposto dal Ministero per i beni e le attivit culturali
deve essere accolto e per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere respinto il ricorso di primo
grado proposto dall'ingegner A.M. e dall'Ordine degli ingegneri di Verona e provincia e recante il n. 1994/2001.
Per le medesime ragioni il ricorso in appello n. 2527/2009 proposto dagli Ordini degli ingegneri delle province
di Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno, deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite fra le parti,
anche in considerazione della complessit e parziale novit delle questioni coinvolte dalla presente decisione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in
epigrafe proposti, previa riunione, cos decide:
accoglie il ricorso in appello n. 6736/2008 e per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, respinge il
ricorso di primo grado proposto dall'ingegner A.M. e dall'Ordine degli ingegneri di Verona e provincia e recante il n.
1994/2001;
respinge il ricorso in appello n. 2527/2009 proposto dagli Ordini degli ingegneri delle province di Venezia,
Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Rovigo e Belluno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore
Gabriella De Michele, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
Andrea Pannone, Consigliere
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4. Come gi affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (sentenza 31 luglio 2009, n. 4866), la centralit
delle disposizioni sopra indicate (articoli 51 e 52 del R.D. n. 2537 del 1925) confermata dal fatto che anche le
successive normative in tema di progettazione d'impianti, ed in particolare la L. 5 marzo 1990, n. 46 (recante
"Norme per la sicurezza degli impianti"), vigente al momento dell'emissione del provvedimento gravato, prevede
che sia "obbligatoria la redazione del progetto da parte di professionisti, iscritti negli albi professionali, nell'ambito
delle rispettive competenze", facendo in tal modo implicito rinvio alla disciplina del 1924.
La disciplina del R.D. n. 2537 del 1925, fondamentale nella questione, stata pi volte vagliata dalla
giurisprudenza, la quale ne ha dovuto sottolineare con maggior dettaglio le fattispecie comprese. In effetti, la
delimitazione delle rispettive competenze data da concetti non meglio definiti normativamente di "applicazioni
della fisica" (art. 51) ed "opere di edilizia civile" (art. 52), e quindi di carattere descrittivo. La natura di tali elementi,
che fanno riferimento a dati extragiuridici, implicitamente collegata alla necessit di adeguare la disciplina
all'evoluzione della tecnica e delle qualificazioni professionali, permettendo cos la sopravvivenza di norme anche
risalenti nel tempo ma flessibili nella loro applicazione in concreto.
Le ragioni appena richiamate inducono la Sezione a valutare gli apporti recenti, conseguenti alla funzione
interpretativa ed adeguatrice svolta dalla giurisprudenza nella decisione di casi contermini.
Non pu quindi non notarsi che, sempre valorizzando il discrimine tra le due professioni di architetto e di
ingegnere, la giurisprudenza recente postula una lettura riduttiva del concetto di applicazione delle leggi della fisica,
sulla ovvia considerazione che, in una lettura ampia, qualsiasi tipo di manufatto dovrebbe esservi considerato. Sono
quindi esclusivo appannaggio della professione di ingegnere solo le opere di carattere pi marcatamente tecnicoscientifico (ad esempio le opere di ingegneria idraulica, di ammodernamento e ampliamento della rete idrica
comunale, T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 14 agosto 1998 n. 2751).
Per altro verso, il secondo polo normativo di riferimento, ossia il concetto di edilizia civile, viene interpretato
estensivamente, facendovi ricadere le realizzazioni tecniche anche di carattere accessorio che vengono collegate al
fabbricato mediante l'esecuzione delle necessarie opere murarie (vedi Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 21
gennaio 2005 n. 9, che, in relazione ad un sistema di videosorveglianza, ha ritenuto che si verta in un mero profilo di
realizzazione di edilizia civile, dove invece il concetto di "applicazione della fisica" pu rilevare semmai nella
progettazione e realizzazione degli apparati industriali).
Si tratta di una tendenza interpretativa che la Sezione ritiene di condividere e fare propria, perch consona ad
una lettura aggiornata e coerente della norma, che privilegi il momento unitario della costruzione dell'opera di
edilizia civile, senza artificiose frammentazioni, e che tenga conto sia della trasformazione dei sistemi produttivi che
dell'evoluzione tecnologica anche nelle applicazioni civili.
Nel caso in specie, si pu affermare che il concetto di "opere di edilizia civile" si estenda sicuramente oltre gli
ambiti pi specificamente strutturali, fino a ricomprendere l'intero complesso degli impianti tecnologici a corredo
del fabbricato, e quindi non solo gli impianti idraulici ma anche quelli di riscaldamento compresi nell'edificazione.
Non dato quindi cogliere il profilo di razionalit del provvedimento gravato in primo grado che, di fronte alla
progettazione di un impianto di riscaldamento e quindi di un'opera accessoria all'edificazione, ritiene che questo,
poich proposto come impianto collegato ad un edificio gi esistente e non da realizzare, debba essere predisposto
da un ingegnere.
Al contrario, trattandosi di impianto accessorio ad un edificio, la circostanza che il progetto sia presentato
autonomamente non fa venire meno il collegamento univoco e funzionale con l'opera di edilizia civile e, quindi,
permette che il progetto stesso sia sottoscritto anche da un architetto.
5. In conclusione, l'appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza
oggetto di impugnativa, devono essere annullati gli atti impugnati in primo grado.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sesta sezione) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe,
lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza in epigrafe, dispone l'annullamento degli atti impugnati in primo
grado.
Condanna l'ISPESL (oggi, INAIL) alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.000
(quattromila), oltre gli accessori di legge, in favore dell'Ordine degli architetti di Roma.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
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nei confronti di
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Fiorillo, con domicilio eletto presso in Roma, viale Mazzini
n.134;
Gianni Gianfrancesco, rappresentato e difeso dagli avv.ti Donella Resta e Sabrina Morelli, con domicilio eletto
in Roma, via Crescenzio n. 63;
Stefania Faina, Maurizio Zavagnini, Giambattista Martini, Roberta Gianfermo, Angelo D'Angelo, Sabina
Capozza, Rita Sulprizio, Anna Maria Scardecchia, Laura Bosca, Monica Filippetti, Flavia Panunzi, Maria Caterina
Morella, Fabio Galligani, Maria Salvati, Maria Grazia Reverberi, Enrico Palone, Maria Teresa Florentino, Cinzia
Matrascia, Cinthia Brigida, Marina Paolini, Annalisa Tancredi, Patrizia Riccioni, Anna Rita Ardenti, Patrizia De Bonis,
Emanuela Cresti, Giuseppina Salvati, Anna Rita Egidi, Paola Sollenni, Maria Donata Di Pierro, Concetta Gallo, Oriana
Raniolo, Matilde Nevi, Eugenia Pani, Maria Grazia Mungo, Ersilio Spinilli, Pietro Silvi, Marina Ilari, Antonio
Morbidelli, Roberto Maggini, Orlandina Osauri, Donatella Palmisano, Marcello Ercolani, Sandra Fortini, Maria Luisa
Antonacci, Lucia Panitti, Maria Cristina Bettazzi, Alessandro Angelucci, Paola Ceccarrelli, Franca Gentile, Andrea
Granato, Laoredana Caluisi, Paola Ceccacci, Rossana Santini, Roberto Mattiuzzo, Barbara Gugliotti, Claudio Marazza,
Bruno Marrocco, Roberto Russo, Gennaro De Luca, Maria Antonietta Petrucci, Paola Ulgiati, Giovanna Roberti,
Monica Tufi, Anna Rita Peruzzini, Laura Rocchi, Generoso De Angelis, Antonio Fauci, Rossana Zarmati, Luca
Petteruti, Roberto Verde, Giuliana Iaciancio, Alessandra Montesi, Andrea Meconi, Katiuscia Lai, Paola Pizzicannella,
Tiziana Parisi, Alessandro De Filippis, Luca Mendicino, Loredana Crosti, Carlo Alberto Carnelli, Antonella Caruso,
Bruno Nevi, Bruno Petrucci, Marina Sciarrillo, Antonia Di Giulio, Ninetta Pisano, Rita Denaro, Giulia Perrozzi,
Simonetta Sinibaldi, Stefania Trinca, Gianni Ferrari, Maria Rita Costantini, Cesare Scacco, Roberta Galimberti,
Elisabetta Forte, Domenico Ceci, Maria Rosaria Minghiglioni, Espedito Rizzuti, Patrizia Leone, Assunta Mastrocola,
Maria Luisa Amati, Maurizio Corati, Paolo Jori, Fabrizia Bartolucci, Marco Maiozzi, Luciano Lupino, rappresentati e
difesi dall'avv. Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto in Roma, via Paisiello n. 55;
per la riforma
quanto ai ricorsi n. 5380, 5540 e 5862 del 2011:
della sentenza del T.a.r. Lazio - Roma: Sezione I Ter n. 03456/2011, resa tra le parti, concernente PROCEDURA
DI SELEZIONE PER PROGRESSIONE VERTICALE COPERTURA DI 196 POSTI CATEGORIA GIURIDICA D POSIZIONE
ECONOMICA D1
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio ed appelli incidentali di Regione Lazio, G.G. e altri;
Visto l'atto di costituzione in giudizio ed il ricorso incidentale proposto da I.V.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2012 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli
avvocati Mario Luciano Crea, Franco Gaetano Scoca, Maria Rosaria Damizia, Donella Resta e Enrico Baldelli, su
delega dell'avv. Luigi Fiorillo Mario Luciano Crea Mario Luciano Crea;
Svolgimento del processo
1. Con determinazione direttoriale del Dipartimento istituzionale della Regione Lazio in data 31/10/2007, n. A
3770 (pubblicata sul b.u.r.l. n. 31 del 10/11/2007), veniva indetta una selezione per la progressione verticale diretta
alla copertura di 196 posti a tempo indeterminato nella categoria D, posizione economica D1, riservata al personale
gi iscritto nei ruoli della Giunta regionale.
2. La determinazione era impugnata davanti al Tar Lazio da quattordici dipendenti della regione, in epigrafe
indicati quali appellati, con un unico ed articolato motivo di ricorso diretto al suo annullamento ed alla conseguente
riedizione della procedura.
Resisteva la Regione Lazio chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o respinto perch infondato.
Tra i ricorrenti i soli I.V. e Roberto Ricci proponevano motivi aggiunti avverso la graduatoria finale della
selezione (determinazione direttoriale in data 2/2/2009, n. A 0259, pubblicata sul b.u.r.l. n. 5 del 7/2/2009), che li
vedeva non utilmente collocati.
3. Disposta l'integrazione del contraddittorio con i 196 vincitori, con la sentenza appellata il Tar:
a) accertava la sopravvenuta carenza di interesse in capo ai ricorrenti, stante la mancata impugnazione da
parte loro della graduatoria definitiva della selezione, con la sola eccezione della V. (i motivi aggiunti di Ricci erano
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infatti dichiarati inammissibili perch tardivi e per mancata dimostrazione del superamento della prova di
resistenza);
c) accertato comunque che la predetta non poteva utilmente collocarsi in detta graduatoria, ne dichiarava per
tale ragione la carenza di interesse in ordine alle doglianze concernenti l'attribuzione dei punti ai concorrenti
utilmente collocati in graduatoria;
d) rilevato tuttavia che attraverso l'impugnativa del bando la medesima ricorrente poteva comunque vantare
un interesse strumentale alla caducazione dell'intera procedura ed alla sua conseguente riedizione, accoglieva la
domanda demolitoria sulla base di plurime ragioni, e cio: perch a monte dell'indizione della procedura non vi era
stata alcuna programmazione del fabbisogno di personale; e perch nel bando non era contenuta alcuna
individuazione dei profili professionali, n tanto meno una riserva di almeno il 50% dei posti tramite accesso
dall'esterno.
Inoltre, il primo giudice rilevava che tra i requisiti di ammissione previsti nel bando medesimo erano contenute
previsioni illogiche, e cio:
e.1) era richiesta un'anzianit di servizio di un solo anno per i laureati e di due anni per i diplomati;
e.2) era stata prevista una sola prova di esame, consistente in quiz non congruenti con il profilo professionale
dei vincitori;
e.3) era prevista l'attribuzione di punti per il possesso di titoli di studio di livello inferiore al diploma di
maturit;
e.4) erano previsti due punti per qualunque idoneit conseguita in pubblici concorsi.
Annullava pertanto l'intera procedura selettiva.
4. Contro questa decisione insorgono con tre distinti atti di appello i vincitori della selezione, in epigrafe
indicati, chiedendone l'integrale riforma.
Resiste la V. con memoria contenente ricorso incidentale, con cui sono gravati i punti della decisione di primo
grado ad essa sfavorevoli, concernenti l'attribuzione di punteggi ad alcuni vincitori.
La decisione di primo grado inoltre gravata con appelli incidentali autonomi dalla Regione Lazio, G.G.,
vincitore della selezione, nonch dagli epigrafati concorrenti intimati, anche loro utilmente collocati nella
graduatoria finale, con i quali si insta per l'integrale riforma della sentenza del Tar, ed il secondo, in via subordinata,
per la riforma del solo capo concernente la sua collocazione nella graduatoria finale.
Con ordinanza collegiale in data 31/8/2011, disposta la riunione degli appelli, veniva accolta l'istanza di
sospensione dell'esecutivit della sentenza di primo grado avanzata dalle parti appellanti.
All'udienza del 31/1/2012 la causa stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Giunge alla decisione di questo collegio il giudizio originato dall'impugnativa proposta da alcuni partecipanti
alla procedura selettiva per progressione verticale indetta dalla Regione Lazio per 196 posti di impiegato di D,
posizione economica D1, nei ruoli della giunta regionale, giudizio in relazione al quale la riunione dei distinti appelli,
avverso la medesima decisione, di cui in epigrafe, stata gi disposta in sede cautelare e che qui viene confermata.
2. Come accennato nella parte in fatto, il Tar ha esaminato nel merito la sola posizione di I.V., avendo rilevato
per gli altri ricorrenti (con statuizioni non impugnate in appello) la sopravvenienza di fattori ostativi ad un analogo
esame.
Il percorso decisionale del Tar si articola su un duplice livello di indagine: il primo volto a scrutinare l'interesse
diretto della ricorrente all'utile collocamento nella graduatoria finale del concorso; il secondo imperniato invece
sulla spettanza in capo alla medesima dell'interesse strumentale e all'annullamento dell'intera procedura
concorsuale. Tanto precisato, dopo avere constatato, con riguardo al primo, il mancato superamento della "prova di
resistenza", donde la declaratoria di carenza di interesse ad impugnare in via diretta la graduatoria finale, il Tar ha
accolto le censure svolte contro l'indizione della procedura selettiva, nei termini sopra esplicitati.
3. Avverso tale decisione le parti appellanti principali ed incidentali deducono plurime doglianze, qui di seguito
riportate per punti:
- mancato accertamento dell'iniziale carenza di interesse ad agire della V., in ragione del fatto che le asserite
illegittimit consumatesi nella procedura selettiva non le hanno arrecato alcun pregiudizio concreto;
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- mancato rilievo della sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il ricorso in capo alla medesima V., alla
luce delle modifiche introdotte all'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 dal D.Lgs. n. 150 del 2009, per effetto delle quali
la riserva di posti interni risultata, nelle more della procedura concorsuale, circoscritta ai soli dipendenti in
possesso dei titoli di studio richiesti per l'accesso dall'esterno e dunque, nel caso di specie, la laurea, di cui la V.
priva;
- omesso esame della sopravvenuta causa di improcedibilit, consistente nel fatto che successivamente
all'approvazione della graduatoria definitiva quest'ultima veniva successivamente rimodulato in maniera sostanziale
(determinazioni direttoriali in data 30/6/2009, n. A2491 e in data 10/3/2011, n. A1994);
- mancata applicazione dell'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000 e conseguente mancato accoglimento del ricorso
della V. pur essendosi accertato che L.C., collocatasi in posizione utile, al 137 posto, aveva falsamente
autocertificato di avere conseguito l'idoneit al concorso a 793 posti di vigile urbano del Comune di Roma di cui al
bando in data 16/5/1987: tale vizio viene addotto anche come motivo di revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c.,
visto che proprio in ragione di tale circostanza con la citata determinazione direttoriale A1994, intervenuta prima
del passaggio in decisione della sentenza, la C. stata postergata in graduatoria rispetto alla ricorrente (al 222
posto);
- erroneit per non avere accertato che il bando era stato preceduto da previa ricognizione del fabbisogno di
personale e che, in ogni caso, si era trattato di mera progressione verticale di soggetti gi dipendenti
dell'amministrazione e non gi di nuove assunzioni, nonch per non avere ritenuto la V. carente di interesse a
dolersi tanto della mancata indicazione dei profili professionali, non avendo la ricorrente dedotto alcuna lesione al
riguardo, quanto della mancata individuazione della quota di posti da riservare all'accesso dall'esterno, circostanza
di cui la ricorrente si invece giovata, trattandosi di dipendente della Regione;
- erroneit per avere ritenuto non coerente con il profilo professionale D1 un'unica prova pratica su quiz, visto
che le declaratorie della contrattazione collettiva ad esso relative prefigurano "elevate conoscenze pluralistiche";
- erroneit per avere previsto l'attribuzione di punteggi ai possessori di titoli di studio inferiori alla maturit ed
all'idoneit conseguita in altri concorsi pubblici, non risultando, da un lato, che alcuno dei concorrenti abbia
beneficiato di tale previsione di bando ed attesa, dall'altro lato, la ridottissima incidenza (2 su 100) dei punti teorici
per la suddetta inidoneit.
3.1. La sentenza di primo grado censurata anche nei punti concernenti l'attribuzione dei punteggi e le
conseguenti posizioni dei concorrenti utilmente collocati esaminate ai fini del superamento della prova di
resistenza.
In particolare, G.G. (161) si duole dell'eliminazione in proprio danno di un punto, riconosciutogli dalla
Commissione in ragione del superamento dell'esame di abilitazione alla professione di architetto, criticando la
decisione del Tar laddove ha ritenuto che tale prova non possa essere qualificata come pubblico concorso,
evidenziando in contrario che anche in questo caso vi sarebbe una selezione finalizzata ad individuare i candidati
migliori, nel perseguimento del pubblico interesse all'esercizio della professione da parte di soggetti adeguatamente
preparati.
3.2. Dal canto suo, la V. asserisce innanzitutto che la postergazione di L.C. con la suddetta determinazione
A1994 del 10/3/2011, non conosciuta dal Tar, in quanto non ancora pubblicata sul b.u.r.l. al momento dell'udienza
di discussione, rileverebbe quale vizio revocatorio della sentenza ai sensi dell'art. 106 cod. proc. amm. e 395, n. 3),
c.p.c., rendendo conseguentemente ex se accoglibile il motivo del proprio appello incidentale diretto
all'accoglimento del ricorso di primo grado, nella parte in cui quest'ultimo rivolto alla soddisfazione dell'interesse
"diretto" all'utile collocamento nella graduatoria della procedura selettiva.
3.3. Inoltre, con riguardo al medesimo interesse, deduce plurime censure alla sentenza di primo grado, qui di
seguito riportate:
- mancata esclusione della C. in applicazione dell'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000, cos come previsto nel bando di
concorso;
- contraddittoriet ed illogicit della motivazione per avere, da un lato, escluso l'attribuzione di punti per
l'idoneit conseguita dal candidato A.F. (164) alla selezione per il reclutamento in ferma provvisoria quale allievo
carabiniere (anno 1990) e non avere, dall'altro lato, fatto altrettanto con R.T. (177), risultato non vincitore al
concorso A.u.c. dallo stesso documentato in sede di domanda di partecipazione alla selezione;
- erroneit per non avere esaminato la posizione dei c.d. perequati, ed in particolare di A.O. (123), traendo le
dovute conseguenze in ordine all'attribuzione dei punteggi, trattandosi di coloro i quali hanno conseguito
l'inquadramento nella categoria C, requisito necessario per la partecipazione alla procedura selettiva oggetto di
giudizio, in base alla procedura concorsuale di cui alla L.R. n. 25 del 1996, annullata dal Tar del Lazio, con sentenza
(n. 3108/08) in relazione alla quale questo Consiglio ha respinto, con tre ordinanze del 18/7/2008 (nn. 3921, 3925 e
3926), l'istanza di sospensione dell'esecutivit della Regione Lazio;
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- erroneit per avere ritenuto corretta l'attribuzione di punti per l'idoneit in pubblici concorsi a favore di G.G.,
S.V. (181) e G.G. (166), pur avendola costoro attestata con riguardo a concorsi per l'accesso a qualifiche inferiori a
quella di cui alla procedura impugnata, nonch dello stesso G. e M.C.S. (148), in relazione a procedure concorsuali
indette da amministrazioni diverse dalla Regione Lazio, nei cui ruoli i predetti sono poi transitati senza altra
procedura selettiva.
Infine, reitera le istanze istruttorie di acquisizione documentale in relazione ad altri candidati utilmente
collocati in graduatoria respinte dal Tar.
4. Cos riassunte le posizioni e le questioni introdotte in grado d'appello attraverso i rituali mezzi di gravame
esperiti, il Collegio reputa che debba annettersi carattere prioritario, dal punto di vista logico-giuridico, a quelle
concernenti il pi volte ricordato interesse "diretto" della ricorrente in primo grado I.V. a conseguire l'utile
collocazione nella graduatoria finale della selezione, distinto da quello c.d. strumentale all'invalidazione dell'intera
procedura.
In relazione a tale interesse la predetta ha infatti formulato appello incidentale, che in ragione di quanto ora
rilevato va qualificato come autonomo, avverso il pertinente capo della sentenza che la ha vista soccombente per
mancato superamento della prova di resistenza.
4.1. Nondimeno, prima delle censure da questa dedotte sul punto deve essere esaminato il gravame
incidentale proposto da G.G. avverso il medesimo capo della sentenza, nella parte in cui ha accolto le doglianze
della V. indirizzate alla sua poziore collocazione in graduatoria, tra i 196 vincitori, dato che l'eventuale suo
accoglimento si ripercuoterebbe sulla posizione di quest'ultima, nel senso di rendere maggiormente gravosa la
ridetta prova di resistenza su di lei incombente e dalla quale dipende il buon esito dell'impugnativa avverso la
selezione indetta dalla Regione.
5. Tanto precisato, il motivo svolto dal predetto appellante incidentale non pu essere accolto.
Condivisibilmente, infatti, il Tar ha escluso che l'esame di abilitazione alla professione di architetto possa
essere assimilato ad un pubblico concorso.
Infatti, bench entrambi caratterizzati dallo svolgimento di prove mirate ad accertare le capacit e le attitudini
dei candidati, il primo si sostanzia in una verifica di mera idoneit degli stessi, giustificata dall'interesse generale a
che l'accesso alla professione, di pubblica necessit, avvenga a fronte del possesso di apprezzabili requisiti di cultura
e conoscenza specialistica, mentre il secondo - come ben noto - costituisce il modulo procedimentale deputato dalla
Costituzione (art. 98), in ragione del principio di buon andamento, alla selezione dei soggetti pi capaci attraverso
una loro valutazione comparativa, la quale invece difetta nel primo caso.
Stante dunque la descritta ontologica differenza, il riferimento operato dal bando ai concorsi pubblici (art. 7)
non pu pertanto essere esteso agli esami di abilitazione, ostando a tale interpretazione il chiaro tenore letterale
della disposizione in esame.
6. Scendendo dunque all'esame dell'appello incidentale della V., va necessariamente affrontata la posizione
della C., in relazione alla quale l'appellante deduce plurimi motivi di impugnativa avverso la statuizione del Tar di
conservarne la poziore posizione in graduatoria pur avendone accertato la mancata dimostrazione del
conseguimento dell'idoneit al concorso a 793 posti di vigile urbano del Comune di Roma.
A questo riguardo, non pu in primo luogo convenirsi circa il fatto che la sopravvenuta esclusione di questa dai
196 vincitori integri un vizio revocatorio della sentenza impugnata ai sensi dell'art. 395, n. 3), c.p.c. (correttamente
dedotto come motivo di appello, in quanto conosciuto nelle more dei termini di impugnazione della sentenza
asseritamente affetta da detto vizio), per l'evidente rilievo che nel caso di specie non si verificato alcun
ritrovamento di un documento decisivo ai fini del giudizio gi formato prima della suddetta decisione, bens
intervenuta (recte: stata conosciuta), successivamente al passaggio in decisione del ricorso in primo grado, una
determinazione amministrativa modificativa della graduatoria impugnata.
Non pu inoltre essere fondatamente censurata la decisione di primo grado per non avere direttamente
disposto, in pretesa violazione dell'art. 75 D.P.R. n. 445 del 2000, l'esclusione della C. a causa del mendacio
commesso in sede di domanda di ammissione alla procedura selettiva.
Si chiede con ci, infatti, una sostituzione, evidentemente non consentita, del giudice all'amministrazione in
una tipica attivit provvedimentale.
In ogni caso la questione pu ritenersi superata perch, come sopra accennato, con la determinazione A1994
del 10/3/2011 la C. stata posposta alla V. nella graduatoria finale.
7. Va tuttavia sottolineato che la sopravvenienza provvedimentale assume rilievo decisivo ai fini della presente
decisione ed in particolare in ordine allo scrutinio dell'interesse "diretto" della ricorrente in primo grado, odierna
appellante incidentale.
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La determinazione stata emessa dal Direttore del Dipartimento istituzionale e territorio al dichiarato fine "di
ottemperare all'ordinanza istruttoria n. 1179/2010 del Tar Lazio - Sezione I ter", e precisamente allo scopo di
"eseguire accertamenti c/o il Comune di Roma dai quali risulta che la Sig.ra L.C. non inserita come idonea nella
graduatoria del concorso bandito dal suddetto Comune per la copertura di 793 posti di Vigile Urbano".
Con la citata ordinanza (in realt n. 1779/10) il Tar in effetti disponeva, a fronte delle censure articolate dalla
V. con i propri motivi aggiunti, accertamenti in ordine alla sussistenza della idoneit dichiarata dalla C..
In virt del negativo esito dell'accertamento, il Direttore si determinava nel senso di sottrarle i punti
precedentemente attribuiti a tale titolo, con conseguente sua retrocessione al 222 posto della graduatoria, e
contestuale scorrimento nell'ultima posizione utile del 197 graduato Carlo Alberto Carnelli.
8. Il Collegio evidenzia che l'esito cui l'amministrazione approdata ha sortito l'effetto di rimettere in
discussione la questione dell'interesse azionato dalla V. ad essere utilmente collocata nella graduatoria finale,
risolta dal Tar in senso sfavorevole a quest'ultima.
Il primo giudice infatti giunto a negare la sussistenza di tale interesse sul rilievo che all'esito della prova di
resistenza esperita la ricorrente avrebbe scavalcato 11 candidati vincitori (e cio: A.F. e altri) tra coloro le cui poziori
posizioni in graduatoria erano state censurate dalla medesima (si rinvia al riguardo al par. III della sentenza). Quindi,
rilevato che tra l'ultima posizione utile e quella della V., giunta come detto al 208 posto, vi erano 12 posizioni, il Tar
ha (correttamente) tratto la conseguenza che anche laddove ai suddetti candidati fosse stato attribuito, in
conformit al bando, un punteggio inferiore a quello della ricorrente, nondimeno, ci non sarebbe stato sufficiente
a consentirle di collocarsi tra i 196 vincitori (punto III.20 della sentenza).
8.1. Occorre sottolineare che il negativo accertamento dell'interesse al ricorso stata determinato, tra l'altro,
anche in base al non soddisfacente esito (per la V.) dell'esame delle censure indirizzate contro la posizione della C.
(di cui al punto III.19).
Pur avendo infatti accertato che questa non aveva comprovato l'idoneit nel concorso pubblico a 793 posti di
Vigile urbano, il Tar ha ritenuto che la stessa si sarebbe comunque collocata in posizione poziore rispetto alla
ricorrente, con 85,5 punti (da 87,5 iniziali), rispetto agli 85 punti di quest'ultima.
Con la determinazione modificativa della graduatoria adottata nelle more del giudizio tale negativa statuizione
deve reputarsi superata, essendosi determinato lo scorrimento delle dodici posizioni necessarie affinch la V.
risalisse dal 208 posto al 196, ultimo utile per l'accesso all'area D a mente del bando, ed essendosi dunque realizzate
le condizioni per esaminare nel merito le censure dedotte dalla stessa a sostegno dell'interesse "diretto" all'utile
collocamento nella graduatoria finale della selezione.
9. Peraltro, detto esame si rivela non necessario in questo grado di giudizio, avendovi gi provveduto il Tar
nell'esperimento della prova di resistenza, con statuizioni non censurate attraverso rituali motivi di appello davanti
a questo giudice ad opera delle parti interessate.
Nessuno degli appellanti, principali o incidentali ha infatti formulato censure avverso tale capo della sentenza
di primo grado (par. III cit.), con la sola eccezione di G.G., tuttavia infondatamente, come visto sopra, per cui esso
risulta coperto dal giudicato interno.
Ne consegue, inoltre, che in questa sede non occorre esaminare le ulteriori deduzioni in cui si articola il ricorso
incidentale della V. a sostegno del proprio interesse "diretto", non rivestendo esse alcuna utilit una volta accertato
che la predetta deve essere collocata al 196 posto della graduatoria finale sulla base degli accertamenti compiuti dal
primo giudice e della sopravvenienza provvedi mentale pi volte ricordata.
In altri termini, con la determinazione direttoriale con la quale la C. stata retrocessa al 222 posto della
graduatoria venuta meno la condizione ostativa all'accoglimento delle censure svolte dalla V. in primo grado,
consistente nell'impossibilit di scorrere le 12 posizioni necessarie a questa per collocarsi tra i vincitori della
procedura selettiva.
Se a ci si aggiunge l'effetto di giudicato interno derivante dalla mancata impugnazione degli accertamenti
compiuti dal Tar in sede di esperimento della prova di resistenza, ne deriva l'accoglimento nel merito
dell'impugnativa avverso la graduatoria finale della selezione, mentre tutte le restanti censure avverso tale atto,
cos come quelle indirizzate alla procedura nel suo complesso, devono essere dichiarate improcedibili per
sopravvenuto difetto di interesse.
10. Analoga declaratoria di improcedibilit va emessa con riguardo agli appelli, incidentali autonomi e
principali, proposti dalle altre parti, poich essi attengono tutti esclusivamente al diverso ed autonomo interesse
strumentale (o indiretto) azionato dalla V. all'annullamento dell'intera procedura selettiva ed alla conseguente sua
riedizione; il quale interesse, come chiaramente evincibile anche dal percorso logico seguito dal Tar nella sentenza
gravata, ha rilievo in via meramente subordinata, una volta cio accertata l'impossibilit di soddisfare l'interesse
principale all'utile collocamento in graduatoria della ricorrente.
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11. In ragione di tutto quanto ora esposto, la sentenza di primo grado deve essere riformata, dovendosi
accogliere i motivi aggiunti depositati l'11/3/2009 con i quali la ricorrente ha ritualmente gravato la graduatoria
finale della selezione.
Per l'effetto, questa va infatti annullata in parte qua, e precisamente nella parte concernente le 11 posizioni
dei (suddetti) concorrenti A.F. e altri, i quali devono essere posposti alla V., nei termini stabiliti dal Tar con
statuizioni coperte da giudicato interno, come visto sopra.
Richiamato dunque il disposto dell'art. 34, comma 1, lett. e), cod. proc. amm., va conseguentemente ordinato
alla Regione di riformulare la graduatoria finale in base alle statuizioni di questa pronuncia e di quelle del Tar qui
richiamate.
12. In punto spese, il Collegio ravvisa nel numero, nella complessit e nell'opinabilit delle questioni trattate in
questo giudizio i giusti motivi che a mente dell'art. 92 c.p.c. fondano una pronuncia di integrale compensazione
delle spese di lite, nel caso in esame del doppio grado, tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sugli appelli riuniti, come in epigrafe proposti, cos provvede:
- respinge in parte l'appello incidentale proposto da G.G. e lo dichiara improcedibile per il resto;
- accoglie in parte, nei sensi di cui in motivazione, l 'appello incidentale proposto da I.V. e lo dichiara
improcedibile per il resto;
- dichiara improcedibili tutti gli appelli principali ed i restanti appelli incidentali;
per l'effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie nei sensi di cui in motivazione i motivi aggiunti
proposti da I.V. (depositati l'11/3/2009), annullando in parte qua la graduatoria finale della procedura selettiva
impugnata, ed ordinando alla Regione Lazio di riformulare la graduatoria finale nei sensi di cui al par. 11 della
motivazione.
Spese del doppio grado integralmente compensate tra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Vito Poli, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
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Trasporti, Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e
difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, domiciliato
per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della CALABRIA -Sede di CATANZARO - SEZIONE II n. 02795/2010, resa tra le parti,
concernente PROGETTO PER LA REALIZZAZIONE DI UN FABBRICATO DA ADIBIRE AD ABITAZIONE RURALE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
e del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli
avvocati Marcello Bonotto, Dario Buffoni, Graziano Pung su delega di Giuseppe Naimo e l'Avvocato dello Stato
Andrea Fedeli;
Svolgimento del processo
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado gli odierni appellanti L.M. e Sindacato Nazionale
Ingegneri Juniores e Architetti Juniores avevano esposto che L.M. aveva presentato un progetto al Comune di Stilo e
al Servizio Sismico della Regione Calabria e che con nota del 16 dicembre 2008 la Regione aveva sospeso il
procedimento e aveva acquisito i pareri del Comitato Giuridico Consultivo e dell'Ordine degli Ingegneri della
Provincia di Reggio Calabria.
Con nota prot. 8484 in data 6 ottobre 2009 la Regione aveva quindi comunicato all'interessato il Provv. della
Regione n. 19561 del 2009 in data 28 settembre 2009, con cui, in conformit a quanto ritenuto dal Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici nel parere prot. n. 126/09 del 24 luglio 2009, si era ritenuto che la progettazione in
zona sismica non rientrasse nella competenza degli ingegneri e architetti juniores.
Essi avevano gravato gli impugnati provvedimenti innanzi al Tribunale amministrativo della Calabria - Sede di
Reggio Calabria - deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto varii profili sintomatici.
Il primo giudice, dichiarata la inammissibilit della impugnazione avversante la nota prot. 8484 resa in data 6
ottobre 2009 della Regione Calabria ed il parere formulato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici prot. n. 126/09
del 24 luglio 2009 (in quanto trattavasi di atti non aventi contenuto provvedimentale) e prescindendo dall'esame
delle eccezioni in rito proposte dalla Regione, ha respinto il ricorso, richiamando le prescrizioni contenute negli artt.
16 e 46 del D.P.R. 5 giugno 2011, n. 328, che, nel delineare le competenza degli ingegneri e architetti juniores, fanno
riferimento, tra l'altro, alla "progettazione di costruzioni civili semplici con l'uso di metodologie standardizzate".
Secondo il primo giudice da tali prescrizioni normative si dovrebbe desumere che l'architetto e l'ingegnere
juniores non possano mai essere chiamati a risolvere problemi di speciale complessit, nel senso che n l'opera da
realizzare, n le metodologie da applicare devono risultare complesse.
Le costruzioni in zona sismica, invece, dovrebbero sempre reputarsi di speciale difficolt, poich la loro
progettazione presupporrebbe l'applicazione di metodologie e normative complesse e richiederebbe una
conoscenza avanzata dell'ingegneria strutturale e geotecnica (nulla rilevando che, per la soluzione dei problemi di
speciale complessit legati alla progettazione in zona sismica, esistano tecniche di costruzione consolidate
dall'esperienza, poich tale circostanza non inficerebbe il fatto che la costruzione in zona sismica implica pur
sempre la soluzione di un complesso problema progettuale e normativo).
Ci varrebbe non solo per quanto atterrebbe alle prescrizioni di cui al d.m. in data 14 gennaio 2008, ma anche
in relazione alla normativa previgente, dal che, concludeva il primo giudice, doveva discendere la reiezione del
ricorso.
Avverso la sentenza in epigrafe gli originari ricorrenti hanno proposto un articolato appello, evidenziando che
la motivazione della impugnata decisione sarebbe apodittica ed errata.
Essi hanno in primo luogo censurato la statuizione di parziale improcedibilit del mezzo di primo grado,
evidenziando che la impugnata nota n. 8484 del 6 ottobre 2009 aveva natura di atto definitorio del procedimento,
mentre il parere prot. n. 126/09 del 24 luglio 2009 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici era autonomamente
lesivo.
Nel merito, hanno sostenuto che la reiezione del ricorso da essi proposto si fondava sulla arbitraria
equiparazione tra progettazione in zona sismica e progettazione "complessa".
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La sentenza, quindi, estendeva immotivatamente l'ambito delle preclusioni oggettive di natura professionale
fissate ex lege nei confronti degli ingegneri e degli architetti juniores; non teneva conto della concreta natura del
progetto demandato all'ingegnere odierno appellante e relativo ad un immobile di estensione inferiore a 5000 mc
(pari a 4100 mc, per la precisione), avente due elevazioni fuori terra ed insistente in zona agricola, n aveva
approfondito la circostanza che nel caso di specie era stata utilizzata una metodologia di calcolo "standardizzata".
Era stata obliata la circostanza che la Regione Calabria aveva acquisito tre pareri tecnici, ma poi aveva tenuto
conto unicamente di quello maggiormente vessatorio per la categoria degli ingegneri e degli architetti J.; la
decisione di primo grado, inoltre, aveva frainteso il concetto di "metodologie standardizzate", equiparandole alla
"metodologia semplice" e sostenendo che ne fosse sempre e comunque precluso l'utilizzo per la progettazione in
zona sismica.
Il primo giudice, infine, non aveva tenuto conto della circostanza che il progetto era stato presentato durante
la vigenza della disciplina transitoria di cui all'art. 14 undevicies del D.L. 30 giugno 2005, n. 115.
Gli appellanti hanno poi, in via devolutiva, riproposto integralmente le doglianze contenute nel mezzo di primo
grado.
Con memoria ritualmente depositata gli appellanti hanno puntualizzato e ribadito le proprie doglianze e, con
ulteriore memoria di replica, hanno ribadito la propria legittimazione attiva e nuovamente riproposto la tesi
secondo cui il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici aveva esuberato rispetto alle competenze allo stesso assegnate
dall'art. 127 comma 3 del D.Lgs. 18 aprile 2006, n. 163, esprimendo valutazioni giuridiche e non gi (come avrebbe
dovuto) meramente tecniche.
L'appellata amministrazione regionale della Calabria ha depositato un controricorso ed una memoria ed ha in
via principale riproposto la eccezione di difetto di legittimazione attiva del Sindacato appellant,e in quanto
composto da associati i quali non erano (tutti) interessati alle problematiche relative alla ingegneria civile.
Ha poi ribadito la eccezione di tardivit del ricorso proposto dall'Ing. M., in quanto destinatario delle note della
Regione Calabria in data 7 ottobre 2008 (n.5485) ed in data 16 dicembre 2008 (n. 6552), con le quali era stata
disposta (con la seconda di esse in via generale) la sospensione del procedimento di rilascio del certificato di
avvenuto deposito del progetto.
Tali note erano rimaste inimpugnate e, pertanto, non potevano essere tardivamente censurate con il mezzo di
primo grado.
Nel merito ha chiesto di respingere il ricorso in appello perch infondato.
Alla pubblica udienza del 24 gennaio 2012 la causa stata posta in decisione dal Collegio.
Motivi della decisione
1. L'appello fondato e va accolto, nei termini di cui alla motivazione che segue, con conseguente riforma
dell'impugnata decisione ed accoglimento, sempre nei termini di cui alla motivazione, del ricorso di primo grado.
2. Devono essere in via preliminare risolte alcune questioni di natura procedurale (ma anche sostanziale) che
assumono un rilievo logicamente pregiudiziale rispetto alla delibazione delle censure di merito.
2.1. A tale proposito si rileva che sono certamente infondate le eccezioni, formulate dall'appellata
amministrazione regionale, di carenza di legittimazione attiva del sindacato appellante e di tardivit del gravame
proposto dall'ingegnere M..
2.1.1. Quanto alla prima, essa si fonda su un fraintendimento della consolidata affermazione giurisprudenziale
secondo cui "la legittimazione a ricorrere delle associazioni di categoria incontra il limite del divieto di tutela degli
interessi di singoli associati o di gruppi di associati, perch la categoria verrebbe divisa in posizioni disomogenee;
sicch, da escludere se l'associazione insorge in giudizio per far valere gli interessi solo di una parte dei suoi
componenti e trascurando quelli, eventualmente, di segno contrario." (tra le tante, ancora di recente, Consiglio
Stato, sez. VI, 10 marzo 2011, n. 1540).
Come chiarito dalle pronunce che hanno affermato tale principio, la ratio dello stesso non riposa in altro che
nella necessit di evitare che l'associazione proponente il ricorso privilegi un interesse (quello della maggioranza
degli associati, si presume) contrario a quello di altra parte degli associati, ma non postula affatto che tutti gli
associati debbano essere interessati alla specifica questione (nel caso di specie problematiche relative alla
ingegneria civile), ch altrimenti la prova della legittimazione riposerebbe sempre e comunque nella sottoscrizione
del gravame da parte di tutti gli associati e, per altro verso, sarebbe sufficiente che uno di essi si dichiarasse
disinteressato alla questione per precludere alla associazione stessa ogni iniziativa processuale.
Una simile interpretazione svuoterebbe di contenuto, e comunque renderebbe inutile, la legittimazione
processuale delle associazioni e di conseguenza essa va certamente respinta.
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2.2. Quanto alla seconda eccezione, questa, oltre che inutile, appare infondata, in quanto l'appellante
ingegnere non ebbe a gravare in primo grado le note (peraltro soprassessorie e quindi insuscettibili di immediata
impugnazione) della Regione Calabria in data 7 ottobre 2008 (n.5485) ed in data 16 dicembre 2008 (n. 6552).
Neppure, dal contenuto delle predette, ed avuto riguardo alla natura soprassessoria delle medesime, poteva
discendere alcuna preclusione a gravare gli atti impugnati in primo grado.
2.2. Del pari inammissibile, prima ancora che infondata, la pretesa appellatoria volta a censurare il capo
dell'impugnata decisione che ha ritenuto inammissibile il mezzo di primo grado laddove diretto ad avversare la nota
n. 8484 del 6 ottobre 2009 ed il parere prot. n. 126/09 del 24 luglio 2009 del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Da un canto, infatti, certo che detti atti non rivestivano natura provvedimentale (la prima era addirittura una
nota di comunicazione); secondariamente, il primo giudice ha preso in esame funditus le argomentazioni contenute
nel citato parere e costituenti il nucleo centrale della motivazione dell'avversato provvedimento di diniego, di guisa
che gli appellanti non hanno alcun interesse a gravare quel capo di sentenza.
2.3. In ultimo, e conseguentemente a quanto si dianzi affermato, sono palesemente inammissibili per
carenza di interesse tutte le doglianze proposte dagli appellanti, incentrate sul disposto di cui all'art. 127 del D.Lgs.
12 aprile 2006, n. 163 e volte a censurare il presunto "straripamento di competenze" in cui sarebbe incorso il
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Ci perch, in disparte ogni questione in ordine alla competenza - o meno- di tale Organo a rispondere al
quesito postogli dall'amministrazione appellata, la Regione Calabria ne ha fatto propri i contenuti e le motivazioni.
Ci comporta che gli appellanti (si rammenta che non trattavasi di parere obbligatorio, e men che meno
vincolante) non hanno nessun interesse a sollevare in giudizio questione relative alla competenza del detto organo,
posto che comunque le deduzioni contenute nel parere si oggettivano nella nota reiettiva (questa s oggetto di
impugnazione) e prescindono (se non sotto il profilo della considerazione ed autorevolezza dell'Organo che le ha
rese) dal soggetto cui sono ascrivibili.
La censura, semmai, avrebbe potuto essere supportata da un rilevante interesse laddove l'amministrazione
appellata si fosse immotivatamente discostata dal responso contenuto in un parere previamente richiesto: non
certo nel caso di specie, laddove ne ha fatto proprie le conclusioni.
3. Ci premesso, e venendo al merito delle censure proposte, non appare inopportuno al Collegio in via
preliminare ricostruire sinteticamente il quadro normativo sotteso alla controversia.
3.1. Il punto di partenza dal quale occorre muovere riposa nella convinta adesione del Collegio alla tesi di
recente affermata dalla giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato, secondo la quale "non in contrasto
n con la normativa comunitaria specificamente riguardante la professione di architetto (Direttiva 85/384/Cee), n
con la L. 14 gennaio 1999, n. 4 l'istituzione negli albi professionali, ad opera del D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, di due
distinte Sezioni (A e B), rispettivamente riservate ai laureati di primo e di secondo livello (cio in possesso di laurea
specialistica o di laurea c.d. breve), atteso che la riforma attuata con la cit. L. n. 4 del 1999 sul valore e la durata dei
corsi universitari comportava obiettivamente l'esigenza di ridefinire i requisiti per l'accesso alle c.d. professioni
protette, per il cui esercizio sia necessaria l'iscrizione ad un albo o ad un ordine professionale, collegando i nuovi
titoli accademici, una volta unici per tutte le universit, con l'ordinamento vigente delle professioni."(Consiglio
Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2178).
Le disposizioni di cui agli artt. 16 e 46 del D.P.R. 5 giugno 2001, n. 328, e delle quali si riporta il testo per intero,
individuano le competenze degli iscritti alle Sezioni A e B degli architetti e degli ingegneri.
In particolare, l'art. 16 del predetto decreto, cos dispone:
"Formano oggetto dell'attivit professionale degli iscritti nella sezione A - settore "architettura", ai sensi e per
gli effetti di cui all'articolo 1, comma 2, restando immutate le riserve e attribuzioni gi stabilite dalla vigente
normativa, le attivit gi stabilite dalle disposizioni vigenti nazionali ed europee per la professione di architetto, ed
in particolare quelle che implicano l'uso di metodologie avanzate, innovative o sperimentali.
Formano oggetto dell'attivit professionale degli iscritti nella sezione A - settore "pianificazione territoriale":
a) la pianificazione del territorio, del paesaggio, dell'ambiente e della citt;
b) lo svolgimento e il coordinamento di analisi complesse e specialistiche delle strutture urbane, territoriali,
paesaggistiche e ambientali, il coordinamento e la gestione di attivit di valutazione ambientale e di fattibilit dei
piani e dei progetti urbani e territoriali;
c) strategie, politiche e progetti di trasformazione urbana e territoriale.
Formano oggetto dell'attivit professionale degli iscritti nella sezione A - settore "paesaggistica":
a) la progettazione e la direzione relative a giardini e parchi;
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preesistenti, attribuendo - onde evitare confusioni - denominazioni diverse ai singoli settori, in attesa di una riforma
anche della materia degli ordini professionali.
Dette denominazioni dei settori, in cui vengono ad essere ripartite le nuove sezioni "A" e "B" degli Albi
professionali, cos come l'effettiva individuazione per ciascuna sezione delle attivit maggiormente caratterizzanti la
professione, non innovano, a parere del Collegio (n potevano assolutamente innovare, alla stregua della "delega"
ed in particolare del criterio di cui alla lettera a), che prevedeva la sola "determinazione dell'ambito consentito di
attivit professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei titoli istituiti in applicazione dell' articolo
17, comma 95, della L. 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni") la materia delle attivit riservate o
consentite alla professione de qua (in via esclusiva od unitamente ad altre), attuandone invece correttamente una
mera ripartizione, previa individuazione di un criterio di carattere generale, facente riferimento alle professionalit
conseguite a compimento dei diversi percorsi formativi di accesso, relativi, rispettivamente, alle lauree ed alle
lauree specialistiche.".
3.2. Cos ricostruito il tessuto normativo sotteso alla controversia, si rammenta che, con il secondo motivo di
censura (il primo dell'appello dedicato alle questioni di merito), gli appellanti si dolgono della circostanza che il
primo giudice abbia ritenuto che le costruzioni in zona sismica siano connotate sempre e comunque dalla necessit
di "risolvere problemi di rilevante complessit" e sia stata obliata una valutazione in concreto del progetto
presentato dall'Ing M..
Si postula, in sostanza, la necessit di una valutazione caso per caso e non affidata a definizioni categoriali
preclusive. Il motivo di ricorso strettamente legato alla terza censura (incentrata sulla circostanza che le norme di
legge invocate non si occupino minimamente, e men che meno introducendo disposizioni preclusive della questione
relativa alla progettazione in area sismica) ed alla quarta doglianza (che si duole della equiparazione della
"metodologia standardizzata"alla "metodologia semplice" contenuta nella decisione di primo grado).
3.2.1. Stante la loro intima connessione le predette doglianze possono essere esaminate congiuntamente.
3.3. Premette il Collegio che, a differenza di quanto sostenuto dall'appellata amministrazione, non si ritiene
che possa militare in senso decisivo per la reiezione del ricorso l'affermazione che di seguito si riporta contenuta
nella citata decisione n. 1473/2009, sebbene condivisa dal Collegio ("nemmeno, poi, sussiste la denunciata
"ulteriore confusione, addirittura, tra ingegneri ed ingegneri iunior" in relazione alla "competenza dell'ingegnere
iunior per le costruzioni civili semplici", dal momento che l'individuazione dell'oggetto dell'attivit professionale
degli iscritti alla sezione "B" dell'albo degli ingegneri per il settore "ingegneria civile e ambientale", lungi dal far
mero riferimento, come pretende l'appellante, all'uso di metodologie standardizzate- che assume invece un rilievo
fondamentale nei settori della "ingegneria industriale" e della "ingegneria dell'informazione"-, basata sui chiari
concetti di "concorso" e "collaborazione alle attivit", che ben valgono a distinguere la nuova figura professionale
creata, in stretta correlazione con il diverso percorso formativo seguito dagli iscritti in tale sezione.").
Ci perch la constatazione che le disposizioni in parola (sia l'art. 16 che l'art. 46) contengano il richiamo al
concetto di concorso e collaborazione non elide la circostanza che vi sono attivit che le categorie juniores sono
abilitate a compiere "in proprio" senza collaborare o concorrere con alcuno.
3.4. Se cos , l'attenzione dell'interprete deve appuntarsi sulle espressioni letterali contenute nelle citate
disposizioni.
Ivi si fa riferimento al concetto di "costruzioni civili semplici, con l'uso di metodologie standardizzate".
Un primo dato, che deve necessariamente essere posto in risalto, quello rappresentato dalla assoluta
assenza, nelle disposizioni in esame, di qualsivoglia richiamo, in senso preclusivo, alle costruzioni insistenti in area
sismica.
Ne discende all'evidenza l'esattezza della deduzione contenuta nell'appello, secondo cui nessun dato
preclusivo si rinviene espressamente nella legge all'esercizio di attivit da parte degli ingegneri e degli architetti
juniores, con riferimento ad opere da progettarsi e costruirsi in dette aree.
3.4.1. Tale deduzione, seppure degna di considerazione sotto il profilo interpretativo ( ben lecito affermare
che se il Legislatore avesse voluto precludere del tutto ogni attivit per opere da erigersi in area sismica alle
categorie degli ingegneri e degli architetti juniores avrebbe potuto e dovuto affermarlo espressamente), non
tuttavia decisiva, non potendo escludersi che, per via ermeneutica, si pervenga ad un risultato identico,
riconducendo la progettazione ed esecuzione di opere in aree sismiche, sempre e comunque al di fuori del
perimetro concettuale dell'espressione "costruzioni civili semplici, con l'uso di metodologie standardizzate".
3.4.2. Ci proprio quello che ha ritenuto il primo giudice nella impugnata decisione.
3.5. Il Collegio, tuttavia, non aderisce a siffatta prospettazione.
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3.5.1. Si rammenta che in passato questo Consiglio di Stato, ma anche la Suprema Corte di Cassazione hanno
pi volte chiarito la particolarit e specificit dell'attivit di progettazione direzione di lavori, etc, con riferimento ad
opere da erigersi in zona sismica.
Si cos pervenuti ad una serie di affermazioni, tutte tra loro legate da un comune filo conduttore, volto a
valorizzare la specificit di tale attivit.
Si pertanto condivisibilmente affermato che:
"il criterio per accertare se una costruzione sia da considerare modesta - e quindi se la sua progettazione
rientri nella competenza professionale dei geometri, ai sensi dell'art. 16, lett. m, R.D. 11 febbraio 1929, n. 274 consiste nel valutare le difficolt tecniche che la progettazione e l'esecuzione dell'opera comportano e le capacit
occorrenti per superarle; a questo fine, mentre non decisivo il mancato uso del cemento armato (ben potendo
anche una costruzione "non modesta" essere realizzata senza di esso), assume significativa rilevanza il fatto che la
costruzione sorga in zona sismica, con conseguente assoggettamento di ogni intervento edilizio alla normativa di cui
alla L. 2 febbraio 1974, n. 64, la quale impone calcoli complessi che esulano dalle competenze professionali dei
geometri. - nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato nullo, ex art. 2231 c.c., il
contratto d'opera stipulato da un geometra, ed avente ad oggetto la trasformazione di un fabbricato artigianale
fatiscente in un complesso residenziale-." (Cassazione civile, sez. II, 08 aprile 2009, n. 8543);
"la realizzazione di una struttura in cemento armato dalle notevoli dimensioni (tre piani con fondamenta del
tutto nuove), per di pi localizzata in una zona sismica, non pu farsi rientrare nella nozione di "modeste costruzioni
civili", per le quali sono abilitati alla progettazione i geometri a tenore dell'art. 16 R.D. 11 febbraio 1929, n. 274."
(Consiglio Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6747);
"l'acquisizione della relazione geologica non pu essere soggetta a valutazioni discrezionali da parte della p.a.,
essendo essa obbligatoriamente prevista in ciascuna delle fasi della progettazione in zona sismica." (Consiglio Stato,
sez. VI, 23 settembre 2009, n. 5666).
Escluso quindi che una costruzione in zona sismica possa considerarsi "modesta", ed escluso quindi che i
geometri siano abilitati alla progettazione in dette aree, non pare al Collegio di potere stabilire (siccome
sostanzialmente avvenuto nella decisione di primo grado) una equivalenza tra la qualificazione di "non modestia"
affermata dalla giurisprudenza e quella di "semplice" individuata ex lege.
Ci, a tacere d'altro, giungerebbe alla illogica conclusione di sovrapporre la preclusione vigente per i geometri
a quella asseritamente attingente le categorie juniores, di fatto equiparando queste ultime a quella dei geometri.
Ci appare conseguenza non voluta dalla legge, tanto pi laddove si consideri che, che, a seguito del Decreto
del Ministero delle Infrastrutture 14 gennaio 2008 n. 29581 (recante Approvazione delle nuove norme tecniche per
le costruzioni), sostanzialmente non esistono pi aree del territorio italiano non classificate quali "zone sismiche",
ma soltanto zone a basso rischio sismico.
Se cos , una affermazione "categoriale" assoluta, quale quella formulata dal primo giudice, appare non
aderente al dato normativo, finendo con l'introdurre un divieto non espressamente previsto ex lege ed al di fuori da
un quadro legislativo e regolamentare (ma anche giurisprudenziale) che autorizzi una simile drastica conclusione.
Tanto pi che rimasta incontestata la deduzione degli appellanti secondo cui anche per le costruzioni in area
sismica pu farsi riferimento a metodologie di calcolo standardizzate.
3.5.2. Traendo le conclusioni da quanto sinora rappresentato, ritiene il Collegio che, non sottacendosi la
specificit della progettazione in area sismica, la ricorrenza del criterio legittimante previsto ex lege - "costruzioni
civili semplici, con l'uso di metodologie standardizzate" - non possa essere aprioristicamente escluso sempre e
comunque, allorch si verta nel campo della progettazione e direzione dei lavori in dette aree, e necessiti di una
valutazione caso per caso, che tenga conto in concreto dell'opera prevista, delle metodologie di calcolo utilizzate, e
che potr essere tanto pi rigida e "preclusiva", allorch l'area sia classificata con un maggiore rischio sismico.
3.6. Tale valutazione deve specificamente riferirsi, di volta in volta, al singolo progetto presentato, con
motivazione che, ancorch sintetica, abbia portata "individualizzante" (sia in ipotesi di favorevole delibazione,
ovviamente, che in ipotesi di riscontrata preclusione).
3.7. Nel caso di specie tale valutazione del tutto mancata, avendo fatto riferimento l'appellata
amministrazione ad una riscontrata preclusione astraente dalla concreta natura del progetto presentato
dall'appellante; e pertanto il diniego appare viziato e deve essere annullato, pertenendo all'Amministrazione, in
sede di riedizione del potere, motivare in ordine al proprio convincimento sul progetto presentato alla stregua delle
indicazioni fornite dal Collegio.
4.Conclusivamente, l'appello deve essere accolto nei termini di cui alla motivazione che precede -assorbite
nella stessa le ulteriori censure- e, in riforma dell'appellata decisione, deve essere accolto il ricorso di primo grado; e
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l'avversato diniego deve essere annullato per difetto di motivazione con onere dell'Amministrazione di
ripronunciarsi sul progetto.
5. La natura della controversia e la complessit delle questioni esaminate impongono la compensazione tra le
parti delle spese di giudizio sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello
numero di registro generale 1619 del 2011 come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini di cui alla motivazione
che precede e, per l'effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla i provvedimenti impugnati, salve le
successive determinazioni dell'Amministrazione.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorit amministrativa.
Cos deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
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