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Nicola Russo
La biologia filosofica
di Hans Jonas
Guida
In copertina:
88-7188-906-1
Introduzione
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``Se si vuole parlare della mia filosofia, bisogna dire in ogni caso
che essa non comincia con la gnosi, ma con gli sforzi dedicati alla
biologia filosofica'' 1. Questa pagina autobiografica di Jonas, nella
quale il suo fortunatissimo lavoro sulla gnosi e definito come un
mero ``saggio da apprendista'', puo ben valere come indice dell'intenzione fondamentale del suo pensiero, anche rispetto a cio che lo
ha successivamente consacrato come uno degli autori piu significativi
del novecento, ossia la sua proposta di un'etica per la civilta tecnologica nel nome del principio responsabilita.
Se non altro in Europa, infatti, egli ha goduto a lungo, entro il
ristretto circolo degli specialisti della materia, di una meritata fama
solo come storico delle religioni, prima di venir riscoperto improvvisamente come filosofo morale 2. La storia della recezione di Jonas,
insomma, da la strana impressione di un pensiero spaccato in due
1
h. jonas, Erinnerungen. Nach Gesprachen mit Rachel Salamander, Frankfurt
am Main und Leipzig 2003, p. 117. Ove non altrimenti specificato, le traduzioni da
testi non in lingua italiana sono mie.
2
E quanto notava gia Pier Paolo Portinaro nella sua introduzione a h. jonas, Il
principio responsabilita. Un'etica per la civilta tecnologica, tr. it. di P. Rinaudo,
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Ad ogni modo, la configurazione dei rapporti, sui quali torneremo piu ampiamente, tra ontologia ed etica in Jonas, configurazione
che in ambito tedesco e avvenuta perlopiu come messa tra parentesi
dell'impianto ontologico a favore delle intuizioni etiche piu attuali, ha
certamente contribuito alla disattenzione verso Organismo e liberta e
ha incanalato la recezione europea di Jonas su binari piuttosto stretti.
Ad eccezione, infatti, dell'interesse con il quale autori di tradizione
fenomenologica, per lo piu di lingua francese, hanno letto criticamente le pagine di Jonas dedicate all'antropologia filosofica e alla
fenomenologia del vivente 14, non si e generalmente usciti da un'impostazione del confronto incentrata sulla questione della fallacia naturalistica e sugli esiti politici problematici de Il principio responsabilita 15.
In particolare in Italia, per tutta una serie di ragioni che Paolo
Becchi individua in maniera chiara e convincente 16, si e faticato
molto a superare un atteggiamento di sufficienza e disattenzione
nei riguardi di Jonas, che e ben riflesso nella scarsezza di confronti
14
Cfr., per esempio, i numeri monografici dedicati dagli ``Etudes phenomenologiques'' a Jonas nel 1988 e nel 2001: aa.vv., Hans Jonas, in: ``Etudes phenomenologiques'', tome iv, n. 8, Bruxelles 1988 e aa.vv., Hans Jonas dans le mouvement
phenomenologique, in: ``Etudes phenomenologiques'', tome xvii, n. 33-34, Bruxelles
2001. Cfr., inoltre, aa.vv., Nature et descendance. Hans Jonas et le principe Responsabilite, in: ``Le champ ethique'', n. 25, Geneve 1993 e, per l'area italiana, s.
mancini, Per un'interpretazione fenomenologica di Jonas, in: ``Rivista di filosofia
neoscolastica'', 1993, n. 1, pp. 47 ss. Da una posizione, invece, piu vicina alla bioetica,
ha scritto r. mordacci, La responsabilita per la vita in H. Jonas, in ``Rivista di
teologia morale'', 102, 1994, pp. 275 ss.
15
Cfr. per esempio, m. ostinelli, Il principio di responsabilita nelle etiche
ambientalistiche tedesche contemporanee: il caso dell'etica del futuro di Hans Jonas, in: ``Cenobio'', 38, 1989, pp. 101 ss.; b. seve, Hans Jonas et l'ethique de la
responsabilite, in: Esprit, 1990, pp. 72 ss.; j. landkammer, Le domande estreme
e le risposte evanescenti di Hans Jonas, in: ``Filosofia politica'', iv, n. 2, dicembre
1990, pp. 423 ss.; e. vitale, Il politico secondo Jonas: un genitore quasi perfetto, in:
``Teoria politica'', n. 2, 1990, pp. 147 ss.; c. galli, Modernita della paura. Jonas e la
responsabilita, in: ``Il mulino'', 334, n. 2, marzo-aprile 1991, pp. 185 ss.; m. c. pievatolo, Hans Jonas: Un'etica per la civilta tecnologica, in: ``Il politico'', lv, n. 2,
1990, pp. 337 ss.
16
Cfr. p. becchi, Hans Jonas in Italia, in: Ragion pratica, Anno viii n. 15,
Genova 2000, pp. 149 ss., che prende in considerazione tutti i contributi piu significativi della critica filosofica italiana a Jonas a partire dalla pubblicazione molto
tardiva della traduzione italiana de Il principio responsabilita fino a quella, ancor
piu tardiva, di Organismo e liberta.
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schen zur Natur, op. cit., pp. 84 s. Cfr., inoltre, ., Wissenschaft und Verantwortung.
Im Gesprach mit R. Hegselmann, G. Roth und H.-J. Sandkuhler, Bremen 1991, pp.
27 ss. e ., Materie, Geist und Schopfung. Kosmologischer Befund und kosmogonische Vermutung, Frankfurt am Main 1988, pp. 62 ss.: ``La scienza materialistica della
natura deve, in effetti, il suo successo alla circostanza che essa vuole essere appunto
solo questo e nient'altro, ossia alla definizione del suo oggetto, che rappresenta
un'edizione espunta del dato ontico ad usum Delphini, ad uso del ricercatore: esclusione dei fini, delle qualita sensoriali, della soggettivita; riduzione a cio che e misurabile nello spazio e nel tempo. Ontologicamente questa e una finzione; metodologicamente, come dimostrano i risultati, e un procedimento di grande utilita. La
filosofia erede di Cartesio ha risposto con un'analoga, per cos dire complementare,
espurgazione del proprio oggetto: l'io statuario della coscienza pura, dell'idealismo
soggettivo, in particolare di tipo trascendentale [...]. Le scienze della natura non sono
da biasimarsi per questo, anzi devono continuare sulla propria strada, ma si guardino
i fisici dal rendere la loro fisica una metafisica, ovvero dallo spacciare la realta da loro
conosciuta come l'intera realta. [...] In ogni caso e affare della filosofia rivolgersi al
tutto, ma questa, intimidita dalle scienze esatte e quindi spinta (con Cartesio) ad
elevare la `certezza' a criterio fondamentale del sapere, ha rinunciato a quel nobile,
ma incerto compito, e si e trincerata specialisticamente nella sua meta dell'intero. Lo
dimostra la smisurata sopravvalutazione (che arriva fino alla pretesa ridicola che si
tratti dell'unico compito ammesso) della tematica gnoseologica, logica e semantica
come se fondamentalmente fosse in gioco solo il modo in cui l'uomo comprende, e
non cosa c'e da comprendere. Cio relativamente a cui la divisione del lavoro non puo
essere l'ultima parola. In fondo le parti si coappartengono e devono essere ricomprese in un'unica formula del mondo''.
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h. jonas, Wissenschaft als personliches Erlebnis, op. cit., pp. 21 ss. Cfr.,
inoltre, id., Dalla fede antica all'uomo tecnologico. Saggi filosofici, op. cit., p. 29:
``Il ritirarsi della filosofia nella parte mentale di questa dicotomia [res cogitans/res
extensa] che ha lasciato interamente la `natura' alla scienza vittoriosa e ha sostituito
l'epistemologia delle scienze naturali alla filosofia della natura, di cui era stata ripudiata l'idea stessa non solo era uno scandalo della filosofia in se, ma comprometteva
anche il suo lavoro nell'unico campo a cui la sua scelta l'aveva ridotta (cioe nella sua
prigionia)''. Sui processi di riduzione della filosofia della natura a logica della scienza
della natura, cfr. c.f. v. weizsacker, Die Einheit der Natur, Munchen 1971, testo
molto apprezzato da Jonas.
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e cos via. [...] Una biologia filosofica, invece, e una biologia che
revoca ed evita questa separazione artificiale delle sfere e non perde
mai di vista, occupandosi di organismi, che questi non sono una
totalita solo in senso funzionale, ma anche in senso psico-fisico'' 29.
Nelle pagine che seguono si ricostruira la configurazione della
totalita complessa dell'organismo, immagine vivente della totalita
polarizzata e dialettica dell'essere, che e il momento essenziale della
biologia filosofica di Jonas. ``Una filosofia della vita comprende nel
suo oggetto la filosofia dell'organismo e la filosofia dello spirito''
[OeL, p. 7]: questo l'incipit di Organismo e liberta, che rappresenta
anche la cifra e il risultato di un percorso che, osando vie oramai
considerate vicoli ciechi, riscatta la sua inattualita tramite la capacita
di creare prospettive unitarie, articolate e originali tanto rispetto ai
``problemi permanenti della filosofia'', quanto rispetto a questioni di
immediata attualita. Al di la, infatti, della legittimita di molte delle
critiche rivolte, anche qui, all'edificio speculativo di Jonas, l'ampiezza
del suo pensiero che, a partire da una filosofia della natura declinata
come ontologia della vita e culminante nell'antropologia filosofica,
riesce a unificare il problema della scienza, quello della tecnica e
quello dell'etica, rimane esemplare di cio che la filosofia puo ancora
osare proporsi.
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Prima sezione
La biologia filosofica: dall'organismo all'uomo
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1
Cfr. m. heidegger, Essere e tempo, tr. it. di P. Chiodi, Milano 1976, p. 30.
Dello stesso avviso v. hosle, Ontologie und Ethik bei Hans Jonas, in: Ethik fur die
Zukunft. Im Diskurs mit Hans Jonas, op. cit., p. 108: ``E una semplificazione inammissibile leggere questo libro solo come contributo ad un'ontologia regionale (nello
specifico un'ontologia dell'organico): l'interesse particolare di Jonas per il vivente e di
natura metafisica, cio vuol dire che egli spera, tramite l'analisi della vita, di avvicinarsi
ad una teoria generale dell'essere''.
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m. heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 31. La questione circa l'entita del
debito di Jonas nei confronti di Heidegger e complessa e non puo essere esaminata qui
nei particolari. Ad essa fanno riferimento diversi contributi critici e, inoltre, e lo stesso
Jonas a tornarvi ripetutamente, come in h. jonas, Erinnerungen, op. cit., pp. 108 ss.,
299. Molto significative sono le rievocazioni dei seminari tenuti da Heidegger a Friburgo e ancor piu dell'``Urerlebnis'' che rappresentarono per Jonas le prime lezioni
marburghesi di Heidegger, dedicate al De anima di Aristotele (cfr. id., Erkenntnis
und Verantwortung, op. cit., pp. 40 ss., 100 ss. e id., Wissenschaft als personliches
Erlebnis, op. cit., pp. 14 ss.). In generale, pero, pur riconoscendo la grandezza del
pensatore e del maestro, Jonas tende a prendere le distanze da Heidegger, soprattutto
da quegli elementi che egli interpreta nel segno del nichilismo del moderno esistenzialismo (vedi piu avanti, nota 3 a p. 183). Ed uno di questi elementi e precisamente il
silenzio di Essere e tempo circa la corporeita concreta, silenzio che sarebbe indice
della natura idealistica dell'esistenzialismo (cfr. ivi, pp. 19 ss. e h. jonas, La filosofia
alle soglie del Duemila. Una diagnosi e una prognosi, tr. it. di C. Angelino, Genova
1994, pp. 37 ss.). Queste prese di distanza vanno tenute nel debito conto, senza cedere
alla tentazione di sottovalutarle come il risultato delle vicende biografiche dei due
autori, al di la delle quali rimarrebbe una sostanziale sudditanza di Jonas nei confronti
del maestro: per esempio, non possiamo condividere affatto l'interpretazione de Il
principio responsabilita come ``una versione debole ed edulcorata della `questione
della tecnica' di Heidegger'' (giudizio di un ``illustre collega'' citato da m. bertozzi,
Hans Jonas: dal dualismo gnostico all'etica della responsabilita, in: Ragion pratica,
Anno viii n. 15, op. cit., p. 75, che a p. 86 conclude coerentemente, ma fraintendendo: ``il percorso filosofico di Jonas e spesso rimasto sotto il pesante segno di
Heidegger, pur avendo egli privilegiato l'etica rispetto all'ontologia. Percorrendo i
sentieri dell'etica, e stato quasi inevitabile assumere la tonalita dell'appassionato moralista anti-tecnologico e anti-progressista''. All'elemento di Kulturkritik, addirittura al
Kulturpessimismus di Jonas, rimanda anche w. e. muller, Der Begriff der Verantwortung bei Hans Jonas, Frankfurt am Main 1988, pp. 86 s.). Se e infatti vero che
l'analisi delle differenze tra tecnica antica e tecnica moderna ha molto di heideggeriano, e altrettanto vero che l'impianto e il proposito de Il principio responsabilita non
hanno nulla a che vedere con la Erorterung del carattere destinale della tecnica ed il
rimando a cio che nel pericolo puo salvare (come e evidente nella definizione della
tecnica come ``esercizio della potenza dell'uomo'', in h. jonas, Warum die Technik ein
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situazione fluida e, per cos dire, libera, nella quale possono esplicare
la propria potenza al di fuori di ogni regolarita sistemica. Il che,
secondo Jonas, equivale a dire che la legalita della natura non risponde ad un principio d'ordine inerente alla sostanza, ma e solo
l'esito di un processo di ``selezione del reale non attraverso scelta tra
il possibile, bens attraverso soppressione dell'impossibile che si presenta, e in base a esso una natura priva di intenzioni, a differenza di
un'arte piena di intenzioni, potrebbe aver prodotto sistemi armonici
e se stessa come un'armonia di sistemi armonici attraverso forza
cieca, cioe in base al mero principio del mutamento in se'' [OeL,
pp. 84 s.].
La forza e cieca, nel senso che non persegue alcun fine, ne
incarna alcuna tendenza o ragione; tuttavia essa e determinata, almeno poiche determinata e la possibilita come ``capacita di esistenza'' delle formazioni cui la forza casualmente da origine. Lungo
la storia della materia, pero, ogni formazione riuscita, ossia perdurante, e condizione preliminare per il presentarsi di nuove formazioni e dunque e una sorta di delimitazione delle occasioni del
nuovo, che deve inscriversi sempre piu in un contesto gia consolidato
di regolarita: ``Quello che e successo diventa legge per quello che
succedera: l'assenza di leggi si trasforma in legge e lo fa da un
minimo di legge progredendo sino a raggiungere il suo massimo''.
Questo processo apparentemente teleologico, poiche dotato di direzionalita verso un incremento di ordine e necessita, termina nell'istituzione dell'unica possibilita realizzata e realizzabile, la cui dinamica e dunque quella dell'``autoripetizione del movimento''. La logica del divenire che conduce a cio, tramite la riduzione del caso e
dell'indeterminatezza, era dunque una logica di progressiva delimitazione delle possibilita di quello stesso divenire [OeL, pp. 85 s.].
Questa ``l'immagine ipotetica del senso dell'essere del sistema e
del suo divenire, tratta dall'ontologia della meccanica moderna'',
un'immagine che, come nota Jonas, diviene gia problematica all'indomani dell'enunciazione del secondo principio della termodinamica, ma che in realta e discutibile di per se, qualora se ne considerino alcune implicazioni. Infatti, l'equilibrio che e proprio al sistema
capace di conservarsi e s dinamico, ma del tutto astorico: ``la storia
esiste solo dove il sistema prima diviene e poi di nuovo perisce, come
processo della formazione o dissoluzione; ma il sistema stesso, nella
misura in cui e attuale, non ha storia'' [OeL, p. 86].
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del tutto cos, poiche il rimando alla tradizione greca non ha una
funzione meramente esemplificativa, ma serve a presentare alcune
possibilita essenziali riguardo alla concettualizzazione sistematica degli enti naturali, che Jonas cerchera di recuperare.
Nel contesto del saggio che stiamo analizzando, pero, Jonas preferisce tornare subito al suo punto centrale, ossia alla constatazione
che la sistematica della natura non riesce a rendere conto della
storicita; e cio, tutto sommato, e caratteristico del pensiero moderno ancor piu che di quello antico, ove vi era perlomeno un'idea
del senso razionale della totalita ordinata e della sua teleonomia. Ne
cambia di molto le cose la considerazione del fatto che la modernita
ha in qualche modo riabilitato il mutamento, da situazione periferica
definita solo come assenza di ordine, a condizione genetica dell'istituzione dell'ordine, il quale a sua volta perdura come dinamica dell'autoripetizione. Infatti, il movimento proprio ai corpi ed ai sistemi
di corpi, dal caos dell'esplicazione singolare della forza, alla regolarita
del periodo ciclico, e mera espressione di quantita spaziali sempre
simultaneamente compresenti.
Rispetto all'idea di sistema, cio trova riscontro nel fatto che lo si
considera costituito solo dalla molteplicita degli elementi spaziali che
interagiscono in esso, a prescindere, dunque, dai momenti successivi
dell'interazione: le condizioni di un sistema che si susseguono non
sono ``parti del tutto e tali sarebbero se ciascuna di esse aggiungesse
qualcosa al tutto, completandolo cos attraverso se, se il tutto quindi
proprio attraverso la molteplicita qualitativa della serie conseguisse
successivamente la sua totalita, divenendo il tutto particolare che e''.
Ma nella scienza moderna il sistema e concepito come ``definito
completamente attraverso i suoi elementi simultanei'', i cui singoli
stati sono equivalenti, poiche deducibili l'uno dall'altro in avanti e
all'indietro 8.
Dal punto di vista fenomenologico, nota pero Jonas, cio non vale
per la vita, di cui ``si puo effettivamente dire che si compone dei
8
OeL, pp. 88 s. Cfr. anche ivi, pp. 53 s. L'indipendenza, almeno in linea di
principio, del sistema dagli stati che attraversa e espressa molto bene nella distinzione tra funzione di stato e variabili canoniche nella formulazione delle leggi del
moto della meccanica classica nelle equazioni di Hamilton: la funzione hamiltoniana
come espressione dell'energia totale del sistema, in effetti, si conserva ed e dunque
indipendente dal tempo.
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derna, insomma, contraddice la possibilita di un ordine che si autoriproduca, sia esso meramente spaziale ed anche in assenza di perturbazioni esterne: nel suo perdurare, il sistema e la prova protratta
della sua ``incapacita di esistere'', e la ``storia'' della sua autoconfutazione, la ``ritardata dimostrazione dell'impossibilita della costanza
dell'articolato uno nel molteplice, l'essere in cammino per vie tortuose verso il nulla dell'uguale privo di differenze''. Cio significa che
quell'ideale di equilibrio costante e solo ``un'apparenza di parametri
umani permanenti''. E, inoltre, che all'idea di sistema come esito
finale di un divenire che in esso viene meno, va sostituita l'idea di
un'organizzazione temporanea, che si regge contro le dinamiche che
la spingono alla dissoluzione, conseguendo una conservazione precaria e di durata delimitata. Insomma, per quanto solo come tendenza a finire, anche la scienza contemporanea deve ammettere una
qualche storicita gia nel sistema dell'inanimato, evidente nel suo
mostrarsi come un ``ritardo'' ed un ``essere in cammino'', una ``via
di mezzo fra divenire e perire'', che ``ammette il nuovo nel gia organizzato solo in forma di decadenza''. Ogni sistema naturale e dunque
un'organizzazione il cui senso e la propria ``conservazione'', ma il cui
destino e il fallimento e la morte [OeL, pp. 89 s.].
Questo processo di modificazione dell'idea di sistema e tanto piu
evidente nella tradizione delle scienze della vita e in particolare
dell'uomo, nel passaggio dagli automi di Cartesio alla ``teoria biologica del `sistema aperto' di L. Bertalanffy'' e alla ``teoria `cibernetica'
di N. Wiener e della sua scuola tecnologica''. Queste discipline,
infatti, pur condividendo l'impostazione puramente analitica delle
dimensioni spaziali della res extensa, non possono fare a meno di
constatare l'inevitabile apertura del sistema rispetto al proprio ambiente, i suoi processi ``quasi-teleologici'', il suo ``equilibrio fluente''.
Conseguentemente, ``a differenza del sistema chiuso della meccanica
classica, in questi modelli la funzione del sistema non e espressione
di un equilibrio esistente, bens costituzione e ricostituzione di un
equilibrio. [...] Il tipo di periodicita che qui si presenta non e piu
quella del ciclo di condizioni equivalenti, bens quella della decisione
tra essere e non essere, nel complesso un animato equilibrio fra
divenire e perire e pertanto un vero accadere. La conservazione
del sistema dipende qui dalla sua prestazione, non e semplicemente
compiuta in essa. La prestazione di conservare se stessi attraverso il
rinnovo di stati di equilibrio, che non fa durare la dipendenza dal-
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ed aperta, dunque, la scienza contemporanea rimane caratteristicamente estranea a qualsiasi considerazione autentica della vita.
Cio risultera piu evidente e circostanziato, laddove affronteremo
la ricostruzione della storia dell'ontologia, ove Jonas nel passaggio da
Cartesio alla scienza contemporanea riconosce non solo un processo
di radicalizzazione e problematizzazione degli assunti della sistematica della natura, ma una vera svolta epocale dal dualismo all'ontologia
della morte. E solo gli esiti di quel discorso renderanno del tutto
chiare le domande, che equivalgono a critiche, con le quali Jonas
conclude questo suo saggio: la conservazione come senso del sistema
``e anche il senso di `vita'? La vita viene definita dall'organismo o
piuttosto l'organismo dalla vita? In relazione a cio l'essenza dell'organismo e `organizzazione', che esiste come sistema della propria molteplicita, o `organo', il quale serve a un interesse che agisce attraverso
l'organizzazione, essendo al contempo soggetto alle sue condizioni? Il
sistema e condizione della vita o e la vita stessa?'' [OeL, pp. 93 s.].
Ontologia e vita: il fenomeno guida del corpo vivente
Come abbiamo visto, la ricerca intorno all'idea di sistema si svolgeva mettendo in questione il senso in cui si puo dire che un ente
puo essere un tutto. Questione che Jonas poneva come preparazione
alla domanda piu specifica: in che senso il vivente puo essere descritto come un sistema? Dal discorso che ne seguiva, risultava che
l'idea scientifica di sistema e inapplicabile, poiche radicalmente insufficiente, al vivente, il quale si dimostra allo sguardo fenomenologico come una totalita storica sensata, dunque ancora un sistema, ma
ontologicamente di tipo del tutto differente. Questa differenza, in
conformita con la definizione formale di sistema in funzione dell'ordine vigente tra le parti e il tutto, deve risiedere non nella struttura,
piu o meno aperta o chiusa, ma appunto nel principio d'ordine, in
quello che prima abbiamo provato a chiamare principium individuationis della totalita: cio che rende individuale una molteplicita organizzata. Questo principio d'ordine, rispetto ai viventi, non e riducibile all'organizzazione spaziale delle parti, sia pure in termini di
energia ed informazione e dunque includendo anche le relazioni
con l'esterno, ma ha una natura temporale e sostanzialmente teleologica e trascendente la mera datita della struttura spaziale.
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lavoro della scienza naturale), per cui tale continuo ed esteso processo, il quale procede con sinuosa coerenza eone dopo eone, cimentandosi in creazioni sempre piu ardite e sofisticate, deve essere stato
`cieco', nel senso che la sua dinamica si esaurisce nella permutazione
meccanica di elementi indifferenti, la quale deposita i suoi risultati
casuali come forme della specie lungo la via e produce con esse
altrettanto casualmente i fenomeni dell'ambito soggettivo, che aderiscono come misterioso e superfluo sottoprodotto a quei risultati
fisici. Semmai, visto che la materia ha dato notizia di se cos, ovvero
si e effettivamente organizzata in questo modo e con questi risultati,
il pensiero dovrebbe renderle giustizia e attribuirle la possibilita di
cio che ha fatto come insita nella sua essenza iniziale'' [OeL, p. 7].
Cio che Jonas vuole, insomma, e provare a interpretare la materia
a partire dalla vita, piuttosto che la vita a partire dalla materia; intendere la storia dell'essere a partire dai suoi esiti, come simboli delle
potenzialita che vi erano in origine, piuttosto che questi esiti come
epifenomeni delle strutture elementari. E cio non risponde solo ad
un'opzione di carattere metodologico, alla preminenza sul piano euristico, per parafrasare Nietzsche, del fenomeno complesso su quello
semplice, bens anche alla concezione fondamentale che ogni ontologia, compresa quella della meccanica classica, sia sempre preliminarmente ontologia della vita.
Questa concezione, dal canto suo, viene fondata tramite la storia
dell'ontologia che Jonas descrive nel primo capitolo di Organismo e
liberta, intendendo dimostrare proprio che ogni concezione dell'essere si e sviluppata, sin dalle origini della riflessione umana, sullo
sfondo di una precomprensione della vita. Tramite la ricostruzione di
questa storia, inoltre, chiarendo cio che di volta in volta ha significato
la parola vita e di fronte a quali fenomeni questi significati siano
entrati in crisi, Jonas acquisisce anche il concetto guida di cio che
deve essere considerato l'ente esemplare per la riproposizione oggi
di un'ontologia della vita su basi fenomenologiche. Ma vediamo nei
particolari come si sviluppa il suo discorso in questo saggio del 1965,
intitolato Il problema della vita e del corpo nella dottrina dell'essere.
A detta di Jonas, sin dai primi momenti dell'ominazione e per
lunghi secoli, all'originaria consapevolezza umana si presentava una
realta ovunque vivente ed animata: ``essere corrispondeva ad essere
vivi'', questa l'ontologia panvitalistica comune a tutto l'animismo e
dominante fino all'ilozoismo, in un periodo in cui l'umanita non
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dello scandalo ed esattamente nella sua realta esistenziale come cadavere, come corpo assurdamente inanimato. E solo comprendendo
lo sconcerto di fronte all'inanimazione del corpo organico, che si puo
comprendere come, ad un certo punto, allo scopo di preservare il
principio della vita come animazione del corpo, sia balenata l'idea di
separare questo principio l'anima dal corpo stesso, inteso ormai
come suo contenitore inerte. ``La vita abita come un'estranea nel
corpo, il quale secondo la sua natura, come corpo, in verita e cadavere apparentemente vivente per grazia dell'anima, durante la
breve presenza di questa e solo nella vera morte, abbandonato
dall'ospite estranea, esso giunge alla sua verita originaria, come l'anima che lo abbandona giunge alla propria'' [OeL, p. 21].
In tal modo, l'ontologia monista era gia stata del tutto accantonata, anche se proprio allo scopo di assicurare al suo principio una
piena incondizionatezza: la morte non e piu un'impossibile, eppur
presente, negazione della vita, che e vita della sola anima e che anzi
proprio con la morte assume la sua forma pura, ma allo stesso tempo
la vita non e piu l'unica realta. L'equazione tra vita ed essere deve
essere sacrificata: affinche sia sancita la sua piena autonomia, la vita
deve essere delimitata rispetto allo sfondo oscuro della materia, che,
seppure in maniera caratteristicamente opaca ed inerte, le si contrappone non come il suo incredibile non-essere, bens come una
diversa ed in buona misura opposta determinazione dell'essere. Di
fronte all'ente vivo si staglia, riassorbendo in se sempre ulteriori
dimensioni della realta, l'ente privo di vita, un'opposizione questa
che non ammette alcuna risoluzione ontologica in qualche unita
superiore. E sulla base di questa divisione originaria si e poi definita
tutta una serie di polarita, anche assiologicamente molto ben connotate: da anima e corpo a spirito e materia, a io e mondo, e cos
via.
Attraverso questo processo di specificazione della ``polarizzazione
ontologica'', pero, il dualismo si e sempre piu allontanato dalle sue
origini in qualche modo solidali con il panvitalismo ed ha finito per
aprire la strada ad una posizione del tutto opposta. Soma sema, con
questa prima formula orfica del dualismo nel corpo non si riconosce
che la tomba dell'anima, concezione che con il cristianesimo, ma
soprattutto con la gnosi, si amplia fino a considerare l'intero mondo
come tomba dello spirito: ``la mera possibilita del concetto di un
`universo inanimato' sorse come pendant all'enfasi sempre piu esclu-
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siva che veniva posta sull'anima umana, la sua vita interiore e la sua
incommensurabilita con ogni cosa della natura. La fatale divisione,
che si acu sino al punto in cui le parti divise non avevano piu nulla in
comune, defin da allora in poi entrambi gli esseri proprio attraverso
questa reciproca esclusione. L'uno e quello che l'altro non e. Mentre
l'anima ritraentesi attiro a se tutta l'importanza spirituale e la dignita
metafisica, concentrando questa, come pure se stessa, nel suo piu
intimo essere, il mondo fu spogliato completamente da tali pretese:
dapprima decisamente demonizzato, alla fine divenne in un modo o
nell'altro indifferente rispetto al problema del valore in generale''
[OeL, p. 22].
Al culmine di questo processo, nella filosofia cartesiana, l'ontologia e scissa in una dottrina della sostanza pensante ed in una
scienza della sostanza estesa, separazione che pero non sopravvivra
a lungo. Rimanendo nell'ambito della metafora soma-sema, infatti,
Jonas nota che, a un certo punto, la tomba oramai coestesa all'intero
spazio mondano ``si e svuotata'': tutte le polarita si sono risolte nell'elemento corporeo, materiale, cosmico, oramai pero privato di ogni
funzione vitale e di ogni dignita trascendente. Conseguentemente,
``se il dualismo era la prima grande correzione dell'unilateralita monistico-animistica, il monismo materialista rimasto come suo residuo
e il non meno unilaterale trionfo totale dell'esperienza della morte su
quella della vita'' [OeL, p. 23].
Questo passaggio, avvenuto a partire dal Rinascimento tramite la
``volatilizzazione critica della sostanza spirituale ipostatizzata'', inaugura dunque una situazione teoretica del tutto opposta a quella dell'antico monismo: cio che ormai e naturale e immediatamente comprensibile e la morte, mentre la vita assume sempre piu le sembianze
di un imbarazzante problema. Cio trova espressione soprattutto nelle
scienze esatte, ove si impone progressivamente un'ontologia della
``pura materia privata di ogni tratto vitale'', che ha le sole qualita
dell'estensione passibili di misurazione, da questo punto in poi unica
pietra di paragone della conoscenza [OeL, pp. 17 s.].
Ovviamente, si puo descrivere questo cambiamento anche da un
punto di vista non immediatamente ontologico, ossia nei termini, cari
al positivismo, della gnoseologia: a partire da una coscienza metodologica finalmente matura e scientifica, ossia in base ad un ideale
della conoscenza saldamente legato alla possibilita oggettiva della
misurazione univoca, si e passati dalla delimitazione di cio che, in
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tal modo, solamente e conoscibile in maniera esatta (l'esteso misurabile), alla sua interpretazione come qualita primaria della natura,
come essenza della natura e, il passo e breve, come l'unica autentica
realta, come essere tout court. In tal modo, il ``privo di vita'', in
quanto cio che per eccellenza e conoscibile, passerebbe, in maniera
speculativamente comunque ingiustificata, da ``fondamento esplicativo'' a ``fondamento ontologico'' del tutto. In realta, pero, affinche
cio possa anche solo sembrare plausibile, e necessario che sullo
sfondo gia agisca un'ontologia della materia inerte, che e precisamente la condizione alla quale solamente il privo di vita puo rappresentare l'archetipo del conoscibile, di cio che e immediatamente
ovvio, poiche rappresenta la categoria eminente dell'essere. Di contro al monismo predualistico, insomma, che era un'ontologia della
vita universale, il monismo postdualistico e un'``universale ontologia
della morte'', ``panmeccanicismo'', come dice Jonas, operando una
scelta significativa rispetto alle alternative moderne al dualismo,
scelta di cui diremo tra breve [OeL, pp. 18 s.].
Compito di questo panmeccanicismo e ora rendere conto dell'enigma della vita, ovviamente cercando di ridurla alla morte, di renderla una variante delle possibilita di configurazione di cio che e
privo di vita e che rappresenta l'unica classe di enti riconosciuta 12.
La funzione storica del dualismo, dunque, si rivela quella di mediatore, involontario, tra due opposti monismi, l'``anello di congiunzione
che medio storicamente'' tra loro: esso ha rappresentato inizialmente
una risposta elaborata e complessa al problema della morte tipico del
panvitalismo, dalla cui ontologia della vita prendeva le mosse, una
risposta che pero ha spianato il campo al successivo panmeccanicismo, facendo ritrarre in profondita sempre piu metafisiche e acosmiche il principio della vita, che infine svanisce lasciando dietro di se
un mondo spoglio di anima [OeL, p. 20].
Come notavamo prima, pero, il panmeccanicismo non e l'unica
risposta moderna al dualismo, soprattutto nella sua formulazione
matura cartesiana: basti pensare all'idealismo come monismo che
non ha preso partito per la res extensa, ma per lo spirito, per l'io.
E in questa direzione che avanza il processo di fisicizzazione della biologia
inaugurato dalla biofisica di Schrodinger (cfr. e. schrodinger, Che cos'e la vita?, tr.
it. di M. Ageno, Milano 1995). Sull'intera questione, cfr. n. russo, Filosofia ed
ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche, Napoli 2000, pp. 76 ss.
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corpo'' e quindi con la mia piu diretta, se non unica, ``fonte di esperienza'' [OeL, pp. 23, 32 s.]. Tuttavia, e proprio se si vuole ammettere
che le considerazioni svolte da Jonas su panvitalismo e dualismo
abbiano un qualche fondamento, non e sufficiente riferirsi ad una
sorta di immediatezza del rapporto a se stessi in quanto totalita
psicofisica per assumere che il corpo vivente sia il dato primario e
dunque il tramite di ogni ulteriore esperienza. Di fatto, nell'ottica
della vita universale il nesso di anima e corpo non ha alcun senso,
mentre per il dualismo il rapporto al proprio se autentico e rapporto
alla sola anima. E, inoltre, nella misura in cui il corpo vivente di cui
parla Jonas e definito istitutivamente dalla sua mortalita, esso non
puo mai esserci dato immediatamente tramite l'autoriflessione o l'esperienza della nostra concretezza esistenziale, poiche io faccio esperienza della mia morte solo nell'attimo in cui essa mi sottrae ogni
possibilita ulteriore di esperienza, mentre nella presenza immediata
del mio proprio corpo a me stesso niente mi indica il suo destino di
morte.
Il rimando alla mia corporeita, dunque, rende piuttosto ragione
della concretezza del suo dato, ma non della sua datita qualificata
come corpo vivente e mortale, ``intensivo-estensivo'', che non e affatto immediata, bens e il risultato dell'intero processo della storia
dell'ontologia. D'altronde, lo stesso Jonas, nell'introduzione a Organismo e liberta, assume esplicitamente che al dato ``dell'organismo
come forma oggettiva della vita'' appartiene anche ``la sua autointerpretazione nella riflessione dell'uomo: questa fa essa stessa parte del
reperto della vita, a cui ogni continuazione della riflessione aggiunge
un ulteriore dato''. La storia dell'ontologia come fondativamente ontologia della vita, dunque, costituisce il dato del corpo vivente e ce lo
consegna nella determinatezza che esso assume all'indomani della
crisi dei monismi post-dualistici [OeL, pp. 12, 32].
Tramite la ricostruzione di questa storia si identifica la specificita
di ogni momento successivo dell'ontologia nella configurazione particolare di volta in volta caratteristica del rapporto tra una precomprensione della vita (foss'anche come morte) e una possibilita di
manifestazione della corporeita. Un rapporto che mette sempre di
nuovo capo ad una crisi, che come aporia ineludibile dell'ontologia
precedente indirizza il cammino di quella successiva. All'originaria
visione della vita universale si contrappose la realta del corpo morto,
aprendo la strada al dualismo tra vita incorporea e corpo materiale,
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Confinato sul piano esclusivamente gnoseologico, questo discorso parrebbe sancire definitivamente il necessario antropomorfismo della comprensione della natura e quindi squalificarne ogni
pretesa ad una conoscenza idealmente pura, come avveniva proprio
nella genealogia nietzschiana dei concetti di causa e forza dalla fede
nella capacita attiva del soggetto. L'elemento antropomorfico, pero, e
riconosciuto da Jonas e giustificato tramite il rimando all'ontologia,
nell'ambito della quale ``il divieto di ogni antropomorfismo o zoomorfismo in genere in riferimento alla natura, questa proibizione
specificamente dualistica e post-dualistica nella sua assolutezza, potrebbe rivelarsi in questa forma estrema un pregiudizio. Forse, a ben
vedere, l'uomo e effettivamente la misura di tutte le cose, non gia
attraverso la legislazione della sua ragione, ma attraverso il paradigma della sua totalita psicofisica che rappresenta il massimo di
concretezza ontologica a noi conosciuta, partendo dal quale le classi
dell'essere vengono determinate riduttivamente attraverso progressive sottrazioni ontologiche sino al minimo della mera materia elementare'' 17.
Percezione, causalita e teleologia, ove affronta nei particolari le concezioni humiana e
kantiana della causalita [cfr. OeL, pp. 36 ss., in particolare 45 s.], oltre a fornire una
genealogia di altri concetti fondamentali della metafisica come quello di sostanza
dalla dinamica propria della percezione, argomento su cui torneremo. Per la critica a
Kant e Hume, cfr. le ampie considerazioni di b. wille, Ontologie und Ethik bei
Hans Jonas, Dettelbach 1996, pp. 83 ss. Per la ricostruzione nietzschiana dell'idea di
causa, cfr. f. nietzsche, La gaia scienza, tr. it. di F. Masini, in: Opere di Friedrich
Nietzsche, edizione italiana condotta sul testo critico stabilito da G. Colli e M. Montinari, Milano 1964 e ss., vol. v, t. ii (1991), af. 127, pp. 152 ss. e id., Crepuscolo degli
idoli, tr. it. di F. Masini, in: Opere cit., vol. vi, t. iii (1986), pp. 86 s. Vicina alla
concezione di Jonas e anche quella di w. dilthey, Idee su una psicologia descrittiva
e analitica, in: id., Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti
1860-1896, a cura di A. Marini, Milano 1985, p. 362 ss.
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OeL, p. 32. E precisamente questa considerazione che consente di rispondere
alla critica rivolta a Jonas da w. e. muller, Der Begriff der Verantwortung bei Hans
Jonas, op. cit., p. 91: ``volendo superare il dualismo cartesiano tramite l'esperienza
della corporeita di ogni singolo uomo, egli rimane tuttavia vincolato all'esperienza
della corporeita soggettiva''. Il che comporterebbe il mancato superamento di Cartesio, nella misura in cui anche per Jonas ``l'accertamento dell'oggettivo viene pensato
a partire dal singolo io. L'io, conseguentemente, prende la posizione della totalita
dell'esse''. Questa lettura, che condivide il difetto piuttosto diffuso di bollare come
cartesiana qualsiasi espressione in cui compaia la parola soggetto, e inadeguata per
piu ragioni: in primo luogo, Jonas non si affida all'esperienza immediata e soggettiva
della corporeita come una sorta di fundamentum inconcussum dell'ontologia, ma al
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OeL, p. 34. Il mancato riconoscimento della funzione della storia dell'ontologia per la fondazione della biologia filosofica e causa di molteplici incomprensioni
del pensiero di Jonas. In r. m. zaner, Ontology and the body: a reflection, in:
Organism, medicine and metaphysics. Essays in Honour of Hans Jonas, ed. by S.
F. Spicker, Dordrecht-Boston 1978, pp. 274 ss., per esempio, si riconosce giustamente come ``it is solely on the basis of the philosophical biology that the philosophy
of man is at all possible. Thus, the `charge' of anthropomorphism is turned into a
positive acceptance by Jonas, but solely in the context of philosophically grounding it
in philosophical biology''. La contemporanea assunzione del ruolo paradigmatico del
mio corpo vivente, pero, configurerebbe per Zaner un circolo vizioso: la filosofia
dell'uomo dipenderebbe dalla biologia filosofica, che dal suo canto sarebbe possibile
solo a partire da una precisa presa di posizione dell'uomo circa se stesso in quanto
corpo vivente. Una presa di posizione che scadrebbe pero rapidamente nel biologismo, poiche l'effettiva realizzazione della biologia filosofica non farebbe realmente
leva sulla mia esperienza immediata in quanto organismo, ma solo sul modello
scientifico del metabolismo. Conseguentemente, ``it must needs be emphasized
that the appeal to evidence [of this body which is mine] has no formal status in
the way claimed; at best, it can enter only subsequent to the philosophical biology''.
Cio che questa critica, non a caso funzionale al rifiuto del nuovo monismo di Jonas,
travisa completamente, e che l'evidenza del mio corpo come bi-unita non e un dato
immediato e tantomeno ha una dimensione primariamente biologica o antropologica:
essa emerge dalla storia dell'ontologia come la chiave di volta di ogni sua trasformazione, in quanto residuo irrisolto e aporia di ogni posizione raggiunta. In tal senso,
anche metodologicamente ed ermeneuticamente il suo valore esemplare non consiste
nel fungere immediatamente da modello per la categorizzazione della realta vivente,
ma innanzitutto nel collocare la biologia filosofica entro una cornice ontologica, come
ontologia della vita alla quale, nella misura in cui deve svolgere il ruolo di ontologia
fondamentale, e posto oggi il compito della formulazione di un nuovo monismo
integrale. Sull' ``aspetto storico-genealogico dell'ontologia'' e in generale sulla funzione della storia dell'ontologia, cfr. le ottime pagine di b. wille, Ontologie und
Ethik bei Hans Jonas, op. cit., pp. 43 ss.
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zione, immaginazione, arte e concetto'', che si presenta, anche sincronicamente, e dunque a prescindere dall'evoluzione che ha portato
ad esso, come ``esistente, simultanea multiformita della vita'', e definito come una ``scala progressiva di liberta e pericolo, culminante
nell'uomo, il quale puo comprendere forse in modo nuovo la sua
unicita non considerandosi piu in metafisico isolamento'' [OeL, pp.
4, 8].
Il concetto fondamentale per la comprensione di questa ``successione ascendente di gradi che va dal `primitivo' all'`evoluto', sulla cui
scala trovano il loro posto complicazione della forma e differenziazione della funzione, sensibilita dei sensi e intensita degli istinti,
controllo degli arti e facolta di agire, riflessione della coscienza e
tentativo di afferrare la verita'', e quello di liberta, proprio nel senso
dell'autotrascendimento di ogni dimensione isolata, che porta a un
progresso, insieme, di autonomia e dipendenza. Un progresso che ha
un andamento schiettamente dialettico, nella misura in cui il primo
momento di ogni riconfigurazione della polarita e sempre negativo,
come assunzione unilaterale di autonomia indipendente, che fallisce
in quanto tale e rimanda ad un livello ulteriore di dipendenza e
quindi ad un'unita superiore dei poli. Conseguentemente, l'articolazione complessiva della biologia filosofica in Jonas si presenta come
storia della liberta, sia che noi intendiamo questa storia come
ricostruzione di un'evoluzione che ha effettivamente seguito nel
tempo una determinata successione di tappe, o anche come descrizione diacronica della sincronica ``gerarchia'' della vita, della ``sovrapposizione di strati, con dipendenza di ogni strato superiore da quelli
inferiori e mantenimento di tutti quelli inferiori in quello rispettivamente piu alto'' [OeL, p. 8].
Come vedevamo precedentemente, pero, la liberta viene presentata da Jonas come ``realta propria dell'interno'' [OeL, p. 26], ossia
come determinazione ontologica fondamentale del polo spirituale e
non di quello materiale, il che farebbe propendere per l'ipotesi che
nonostante l'intenzione monistica di assumere la polarita come unita
articolata e a dispetto della determinazione del materialismo come
vero esecutore testamentario del dualismo l'esito della descrizione
ontologica della vita come storia dialettica della liberta rimanga
troppo vicino alle tesi idealistiche, cos aspramente criticate da Jonas
in vari contesti. Una risposta compiuta ad una simile questione, pero,
e possibile solo prendendo in considerazione la biologia filosofica di
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rimangono pur sempre solamente supposizioni: ``Per quanto concerne il segreto dei primordi, esso ci e precluso. Piu convincente
di tutto mi appare supporre che gia il passaggio dalla sostanza inanimata a quella animata, la prima autorganizzazione della materia in
vista della vita, fosse motivata da una tendenza operante nel profondo dell'essere proprio verso i modi della liberta ai quali questo
passaggio apr le porte. Una tale supposizione tocca la concezione
dell'intero substrato inorganico, sul quale si erge la struttura della
liberta''. Una concezione che ovviamente Jonas, tenuto anche conto
del fatto che la sua impostazione sostanzialmente sistematica della
biologia della vita ha trovato espressione in maniera frammentata,
non poteva premettere all'argomentazione dei singoli saggi, richiedendone l'ammissione come presupposto per l'ulteriore sviluppo del
discorso. Anche in questa circostanza, sara solo nel contesto della
teologia speculativa, ossia su un piano dichiaratamente metafisico,
che la tesi trovera un'articolazione rigorosa, superando la dimensione
della pura espressione di una convinzione 5.
In secondo luogo, oltre a questo argomento, che di per se e
adatto a giustificare solo il silenzio circa l'essenza dell'inorganico,
ma non la dichiarazione esplicita della contrapposizione ontologica
tra questo e il mondo organico, vi e un motivo intrinseco alla stessa
fenomenologia della liberta, che evidenzia uno sviluppo fortemente
dialettico, tanto che Jonas parla esplicitamente di ``liberta dialettica''.
Cio vuol dire che, nel primo momento di ogni sua nuova manifestazione, essa e autoaffermazione tramite la negazione dell'alterita: la
scissione tra inanimato e organico e, cos, espressione del principio
della liberta, per quanto certo non nel senso dell'opposizione fichtiana tra io e non io, se non altro per il fatto che ogni vivente e
organismo singolo, effettivamente delimitato rispetto all'ambiente di
cui vive e da cui si deve difendere: ``la sfida dell'ipseita qualifica tutto
cio che e al di la dei confini dell'organismo come estraneo e in
qualche modo contrario: come `mondo' nel quale, tramite il quale
e contro il quale esso si deve preservare. Senza questa opposizione
universale della diversita non vi potrebbe essere nessuna ipseita. E in
OeL, p. 10. I corsivi sono miei. Nella stessa pagina leggiamo: ``Per i nostri fini
non abbiamo bisogno di fissarci su questa o su una qualche ipotesi diversa riguardo
alle origini, poiche da qualunque punto prendiamo avvio i `primi moti' si sono gia da
tempo verificati''.
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pre presente, il non essere, dal quale alla fine viene inevitabilmente
inghiottito'' [OeL, pp. 10 s.].
L'atto originario di isolamento, tramite il quale il vivente si contrappone al mondo inorganico e istituisce nell'essere stesso l'alternativa tra essere e non essere, coincide con l'emergere di un nuovo tipo
di organizzazione della materia, ossia il metabolismo, che e dunque il
grado elementare e fondamentale della liberta, il primo livello di
quella ``successione ascendente di gradi'', di cui parlavamo prima.
In che modo il metabolismo possa essere inteso come forma di
liberta, per quanto estremamente implicita e minimale, e oggetto
di una trattazione ampia e interessante, di cui vanno ripercorsi i
momenti cruciali.
Prima di passare ad essa, pero, e opportuno menzionare una
precisazione di Jonas sul carattere generale della gerarchia della
vita come storia della liberta: nonostante la sua evoluzione in qualche
modo dialettica e coerentemente con quanto puntualizzavamo prima
circa l'individuazione e la finitezza di ogni sua espressione, la vita non
puo essere descritta alla maniera della ``success stories metafisiche'',
essendo piuttosto ``un esperimento dalla posta in gioco e dai rischi
crescenti'', un'avventura dalla soluzione aperta, il cui senso si
esprime nel suo stesso corso e nella maniera piu pura nel suo temporaneo esito, ossia nell'uomo 7.
Molte delle cose dette sinora intorno alla liberta a partire dal
riferimento preliminare al fenomeno guida del corpo umano cos
come esso ci e dato dalla tradizione ontologica, dunque, possono
essere pienamente giustificate e confermate solo tramite la ricostruzione della storia dell'evoluzione organica in cui questa liberta si
esprime. Apparentemente, siamo di fronte ad uno sviluppo in qualche modo circolare, nella misura in cui il principio della ricostruzione, il corpo umano che nella sua interiorita si scopre libero all'interno del mondo della necessita, e anche l'esito della storia che si
ricostruisce. Ma, a parte il fatto che il modo della ricostruzione di
una storia e la stessa storia non coincidono, il discorso che Jonas
7
OeL, p. 4. Rispetto all'elemento di rischio dell'avventura della liberta, interamente rimessa a se stessa, ed in generale come saggio eccellente di un discorso
sull'etica in Jonas radicato nella biologia filosofica, cfr. f. ciaramelli, Sans abri.
Phenomenologie de la liberte et question du mal chez Hans Jonas, in: Etudes phenomenologiques, tome xvii, n. 33-34, op. cit., pp. 131 ss.
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gia classica nei movimenti e nelle forze elementari, di cui esse possono essere pensate (e dimostrate sperimentalmente) come il prodotto''. In linea ancor piu generale, pero, questo significa l'impossibilita di intendere la forma come totalita e ``realta indipendente'', dal
momento che le uniche grandezze reali sono i fattori elementari
materiali quantificabili, che intrattengono relazioni matematicamente costanti. Le forme della natura sono accidenti della somma
di questi fattori, della legalita delle loro relazioni non intesa come
principio di ordine, bens come mera uniformita dei processi: ``Percio
la razionalita di un ordine non e piu il fondamento della sua spiegazione, la forma intelligibile non rappresenta piu la perfezione dell'essere'', l'ordine e costituito solamente tramite il persistere delle
relazioni elementari ``nella loro propria quantita inarticolata e in
certo qual modo ottusa. In sostanza solo quest'ultima e veramente
reale; e la `totalita' del suo risultato addizionale che appare e appunto
solo apparente e non gode ne epistemologicamente, ne ontologicamente di una propria validita integrale'' [OeL, pp. 99 s.].
L'antica idea dell'armonia della natura, dunque, ha ceduto il
posto all'equilibrio di forze indifferenti e la relazione tra superiore
e inferiore come tra piu e meno razionale, letta nella modernita come
relazione tra composto e semplice, si e ribaltata: ``il tutto viene ora
spiegato in base alle parti, intelligibilita significa adesso riconducibilita a cio che, in quanto elementare, e nell'accezione antica meno
intelligibile di tutto'' [OeL, pp. 100 s.]. Ora, questo primo esito della
ricostruzione di Jonas viene ricontestualizzato entro la storia delle
dottrine classica e giudaico-cristiana della creazione, con l'intento di
dimostrare come la perdita nella scienza moderna dell'idea di un
ordine razionale intrinseco della natura derivi, in ultima istanza, da
un mutamento della cornice metafisica e, in particolare, dal dualismo
Dio-mondo (e Uomo-mondo) inaugurato nella tradizione creazionistica della Genesi.
Molto brevemente, in queste pagine Jonas contrappone l'idea
platonica del demiurgo, che ``creo il mondo in quanto essere vivente
perfetto o Dio visibile, animato e razionale'', idea che intende agente
nella natura un'anima come principio spontaneo tanto del movimento, quanto dell'ordine razionale, alla concezione del mondo ``unicamente creato e in nessun senso creatore'' del monoteismo ebraico.
In questo diverso contesto, la natura non ha carattere divino e non va
venerata, non ha un'anima propria e l'ordine che mostra le e sem-
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fisica di questa ``forma trascendente'' e che ``a queste strutture descrittive di processi non venga conferita alcuna realta particolare che
vada al di la di cio che e compreso nella realta che risulta dal
concorso dei processi elementari che la costituiscono''. Ma puo valer
cio, ossia la sostanziale subordinazione del tutto alle parti, anche per
la ``forma-continuita temporale'' degli organismi? E resa giustizia a
questi dall'assunzione che ``rispetto al flusso delle componenti momentanee la durata configurativa tramite scambio e con cio la
continuita del `tutto' e un'astrazione''? Dimodoche l'organismo
stesso non si mostra che come funzione della materia in continua
trasformazione? Infatti, ``in un'analisi idealmente completa di questo
tipo, quale dobbiamo presumere nell'osservatore divino, l'apparente
stessita e individualita del tutto organico si dissolvera in un risultato
secondario della rete di tutti i processi ambientali fisici, in modo
ancora piu profondo di quanto accada abitualmente nei corpi composti; e tutti i tratti di un'entita autonoma e autoreferentesi appariranno alla fine come meramente fenomenici, cioe fittizi'' [OeL, pp.
108 ss.].
Contro questa possibilita, pero, parla in maniera diretta e inarrestabile la testimonianza del corpo vivente, che noi stessi siamo, la
quale ci permette di comprendere che al Dio matematico ``sfugge il
punto decisivo, il punto della vita stessa: ossia che essa e individualita che ha in se il proprio centro, che e per se e in opposizione a
tutto il resto del mondo, con un confine essenziale fra interno ed
esterno nonostante, anzi sulla base dello scambio effettivo''. Il
metabolismo, dunque, non e epifenomeno di dinamiche elementari
che non hanno un senso complessivo, bens e il modo d'essere primario dell'organismo come individualita concreta e irriducibile. Tramite esso si presenta in natura una ``sorpresa ontologica [...], una
possibilita di essere totalmente nuova: la possibilita dei sistemi materiali di essere unita del molteplice non grazie a una visione sintetica, di cui sono appunto l'oggetto, e nemmeno grazie al mero concorso delle energie, che uniscono le loro parti l'una all'altra, bens in
forza di se stessi, per volonta propria e da essi stessi costantemente
mantenuti. La totalita qui integra se stessa nell'atto stesso di compiersi; la forma non e il risultato, bens la causa delle accumulazioni
materiali, di cui essa successivamente consiste. L'unita e qui autounificante per mezzo della pluralita che si trasforma. La stessita, fin
tanto che dura, e costante autorinnovamento'' [OeL, pp. 110 s.].
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E solo grazie al rimando al corpo vivente, insomma, che il metabolismo cessa di apparire come mera configurazione composta di
dinamiche piu elementari, per mostrarsi come ``autointegrazione attiva della vita'' e dunque come principium individuationis del vivente. Ed e proprio su tale via, inoltre, che ``l'individuo ontologico'',
per il quale la durata nell'esistenza e interesse e prestazione, rivela
sin dall'inizio la propria natura polarizzata e dialettica: autoconservandosi tramite l'incorporamento dei materiali, l'organismo e ``dipendente dalla loro disponibilita come materiale, indipendente dalla loro
stessita in quanto tali; la sua propria identita funzionale non coincide
con la loro identita sostanziale. In una parola: la forma organica sta in
rapporto di liberta bisognosa verso la materia''. Questa prima scansione tra forma e materia, ``che rispetto al mondo inanimato e una
mera astrazione'' e si presenta invece qui ``per la prima volta come
reale'' scansione leggibile immediatamente come opposizione tra
liberta e necessita , e il fondamento sul quale si dispiegano tutte le
ulteriori polarita, che sono implicitamente contenute in essa e precisamente per il fatto che la liberta della forma vivente non e piena
autosufficienza [OeL, p. 111].
La forma dell'organismo, infatti, per quanto sia principio di individuazione e dunque essenza, rispetto all'accidente della materia
scambiata, suo semplice substrato, non sussiste di per se, separata
da questa materia che comunque la sostanzia: ``la momentanea unita
concreta di materia e forma'', la ``coincidenza della forma con la base
materiale di ogni attimo'' comporta sin dall'inizio e per sempre una
relazione di coappartenenza e reciprocita. L'organismo ``e sempre,
cioe ogni volta, la forma di una determinata molteplicita di materia''
e nient'altro al di la di cio. Eppure, questa rimane una concezione
astratta, poiche lo stato istantaneo di un sistema vivente non contiene
affatto, cos come avviene invece nella concezione deterministica
della meccanica moderna, tutta la successione degli stati passati e
futuri: ``la realta della sua forma e nella successione delle materialita
momentanee di quest'ultima, che essa trasforma nella sua durata, e
questa soltanto e la concrezione della sua unita, non come attributo
logico, bens come una realizzazione produttiva''. Con l'irrompere del
metabolismo in quanto forma dell'organico, dunque, la mera analisi
delle grandezze spaziali non e piu sufficiente: ``La temporalita, non lo
spazio simultaneo, e l'intermediario della totalita di forma del vivente;
e questa temporalita non e quell'indifferente essere l'uno fuori dal-
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l'altro, quale e il tempo per i movimenti della materia e per la successione dei suoi stati, bens l'elemento qualitativo della rappresentazione della forma stessa di vita, per cos dire il mezzo della connessione della sua unita con la pluralita dei suoi substrati'' [OeL, p. 112].
Forma e materia, essenza e substrato, identita e alterita, autonomia e dipendenza, unita e pluralita, temporalita ed estensione:
ecco come si sviluppa in maniera sempre piu ampia e al contempo
piu specifica il processo di polarizzazione, che la vita inaugura nella
natura. Un processo che e innescato dalla ``rivoluzione ontologica
nella storia della `materia''' che comincia con l'irruzione della ``liberta
fondamentale dell'organismo'': ``lo sviluppo e l'aumento di questa
autonomia o liberta e il principio di tutto il progresso nella storia
evolutiva della vita, che nel suo corso genera ulteriori rivoluzioni,
ognuna delle quali e un nuovo passo nella direzione presa, cioe lo
schiudersi di un nuovo orizzonte della liberta''. E, come abbiamo
visto, questo andamento dialettico per livelli emergenti trova la sua
giustificazione nella contraddizione di fondo, per cui l'``identita dinamica della forma'' nel medium del tempo, che si fonda sulla non
coincidenza con la materia, e sempre dipendente da questa materia e
deve costantemente volgersi ad essa per riconfermarsi: non e immediatamente identica a se, bens e ``tenuta ad affermare questa identita
di se come atto del proprio essere''. Solo con la vita, dunque, ma sin
dal suo primo istante, il concetto di se ha un contenuto essenziale e
non rimanda alla vuota tautologicita dell'identita inalterabile e vuota
della materia, che e mero permanere. Insieme al primo vivente,
infatti, e ``l'identita interiore'' che giunge al mondo ``e di conseguenza, insieme a cio, anche l'autoisolamento della vita dal resto
della realta'' [OeL, pp. 113 s., 116].
Ora, e precisamente questa interiorita del se individuale e la sua
differenza, per quanto non separatezza, dalla natura circostante, cio
che il Dio puramente matematico non e in grado di vedere ed e,
invece, evidente per la nostra soggettivita. Metterla a tacere, relativamente alla pertinenza che puo avere per la comprensione della
natura, allo scopo di salvare la completezza della descrizione matematica, e possibile solo assumendo un rigido dualismo di stampo
cartesiano o una qualche teoria materialistica dell'epifenomenalismo
della coscienza. Ma di queste soluzioni, e del loro fallimento, abbiamo gia parlato, e qui possiamo solo aggiungere che l'analisi cui le
sottopone Jonas si specifica, in questo contesto, nell'affermazione
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dall'isolamento del soggetto organico stesso''. Ovviamente, cio comporta anche una nuova e superiore dimensione del negativo, quella
rappresentata dall'esposizione al mondo, come pericolo [OeL, pp.
120 s.].
Entro e oltre questa opposizione tra interiorita ed esposizione
all'esteriorita, che e espressione della trascendenza della vita puntuale nell'orizzonte del mondo circostante, ove si incontrano le cose e
si entra in relazione con esse nello spazio simultaneo, si articola la
quarta antinomia della liberta, che coincide con l'apertura dell'orizzonte del tempo. Il bisogno sentito, e dunque l'interesse, che spinge
verso il mondo delle cose, supera la loro immediata presenza nello
spazio, che e costrizione alla configurazione data nell'attimo presente, e fa il suo ingresso nella dimensione della durata interiore.
Questa e inizialmente nient'altro che l'imminenza del futuro prossimo, verso cui l'organismo, in quanto necessita dell'alterita della
materia, si muove in ogni momento. ``Cos il viso della vita e rivolto
sia in avanti che verso l'esterno; come il suo qui nel suo la, cos il suo
ora si estende nel subito, e la vita e simultaneamente in entrambi gli
orizzonti `al di la' della propria immediatezza''. In questo modo, la
trascendenza della vita raggiunge la sua piena articolazione di fondo,
sulla base esclusiva del ``rapporto transitorio della forma organica con
la propria materia'' [OeL, p. 121].
Nel contesto della dialettica della liberta nel metabolismo, l'esplicazione delle dimensioni temporali non va molto oltre questa apertura del futuro prossimo come imminenza interiore del soddisfacimento del bisogno. Su questo livello, dunque, l'anticipazione del
futuro ``e piu fondamentale della sopravvivenza nella memoria di
quanto e gia accaduto''. Invero, Jonas ammette che ``un certo grado
di memoria deve essere insito in tutta la vita come ``forma soggettiva
della sua identita nella durata. Infatti l'assunzione di cio che e passato in ogni ora emergente, cioe la `storicita' in quanto tale, perfino di
periodo brevissimo, e il presupposto della continuita interiore (duree). Ma il futuro e l'orizzonte temporale dominante, che si apre
prima della spinta della vita, quando l'interesse e il principio primo
della sua interiorita'' [OeL, p. 122].
Ricordiamo che nel saggio sulla sistematica della vita era proprio
l'elemento della storicita, intesa pero come apertura sia al passato
che al futuro, a costituire la pietra d'inciampo dell'approccio materialistico al vivente. Ma affinche l'elemento storico possa svilupparsi
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questa polarita, essa si articola come dialettica tra la liberta dell'individuo vivente rispetto al proprio mondo e la necessita che questo
stesso mondo e per lui, in quanto ne ha bisogno per essere. Ad ogni
grado successivo, l'opposizione si fa piu acuta, ma si annuncia anche
un livello superiore di comunicazione tra i poli, che a sua volta
comporta un nuovo momento di negativita. In tal senso, si puo leggere l'intera vicenda come un processo di progressiva presa di distanza del vivente dal mondo, che e al contempo la progressiva
vincolatezza ad esso. Ed e precisamente questa la prospettiva migliore per inquadrare la fenomenologia della vita animale proposta
da Jonas 17.
Motilita e percezione, infatti, dimensioni che gia Aristotele riconosceva determinanti per la definizione dell'animale 18, possono essere interpretate egualmente come modi della relazione con il
mondo in quanto esterno ed in tal senso rimandano costitutivamente
ad un'individualita interiore che e il vero soggetto della relazione. E
vero che queste polarita interiorita versus esteriorita, ipseita versus
alterita, e cos via emergevano gia nell'ambito del metabolismo, ove
cominciava ``l'avventura della differenza e della liberta'' [OeL, p.
137], ma in modo tale che alla differenza mancava ancora la distanza
17
Una discussione articolata intorno al rapporto tra individualita e identita e in
h. jonas, I fondamenti biologici dell'identita, in: Dalla fede antica all'uomo tecnologico. Saggi filosofici, op. cit., pp. 277 ss., che a pagina 279 definisce l'individualita
come ``prerogativa di una specifica modalita di esistere [...]. Sono individui solo quelle
entita il cui essere e il loro stesso fare (e quindi, in un certo senso, il loro compito):
entita, in altri termini, che sono consegnate al loro essere per il loro essere, in modo
tale che il loro essere e affidato loro, ed esse sono impegnate a sostenerlo con atti
sempre rinnovati. Entita, dunque, che nel loro essere sono esposte all'alternativa di
non essere in quanto potenzialmente imminente, [...]; entita, quindi, che sono temporali nella loro natura piu intima, che conquistano l'essere solo attraverso il divenire
continuo, in cui ogni momento equivale a un nuovo risultato nella loro storia; la cui
identita nel tempo non e, dunque, quella inerte di un substrato permanente, ma
quella autocreantesi del continuo compimento; entita, infine, la cui differenza dall'altro, dal resto delle cose, non e provvisoria e indifferente per loro, ma e un
attributo dinamico del loro essere, in quanto la tensione di questa differenza e
proprio il mezzo attraverso il quale ognuna si mantiene nella propria individualita,
mantenendo le distanze con l'altro e al tempo stesso entrando in relazione con esso''.
18
aristotele, De anima, tr. it. di R. Laurenti, Roma-Bari 1991, p. 104: ``L'essere animato sembra differire dall'inanimato principalmente per due caratteri: il
movimento e la sensazione'', concezione che Aristotele peraltro traeva esplicitamente
dalla tradizione del pensiero greco a lui precedente.
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Ivi, p. 290.
OeL, p. 143. Cfr., inoltre, h. jonas, Dalla fede antica all'uomo tecnologico.
Saggi filosofici, op. cit., pp. 294 s., che sviluppa piu ampiamente il tema della ```meccanizzazione' della vita animale'', da cui dipende il metabolismo intra-organico e che
``consiste nelle attivita esterne di locomozione e manipolazione, affidate a strutture
motorie distinte''.
22
Cfr. n. russo, Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla prassi ecologiche, op. cit., pp. 124 ss. e id., Uomo, tecnica, Kultur. Antropologia e storia in Spengler e Gehlen, in: ``Discipline filosofiche'', xii, i, Macerata 2002, pp. 132 ss.
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292 ss.
h. jonas, Dalla fede antica all'uomo tecnologico. Saggi filosofici, op. cit., pp.
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Si sbaglierebbe, pero, nel ritenere questa una mancanza in qualche modo evitabile o integrabile, anche deduttivamente: in effetti, che
Jonas non intraprenda alcuna fenomenologia della sensibilita animale
e del tutto coerente e fondato nell'impostazione generale della sua
ontologia della vita. Il suo fenomeno guida e il mio corpo vivente,
paradigma della totalita psicofisica e prima fonte di esperienza, corpo
vivente che la storia dell'ontologia qualifica, tra le altre cose, come
unita di interiorita ed esteriorita. Questa polarita e la dimensione piu
ampia e fondamentale all'interno della quale si sviluppa la dualita di
percezione e movimento, che sono in effetti i modi elementari della
relazione tra l'individuo organico e l'esteriorita del mondo, relazione
articolata come dialettica di distanza e avvicinamento. La percezione
tiene l'oggetto al di fuori dell'individuo e al tempo stesso pone l'individuo in comunicazione con esso: relativamente a questa sua funzione, elementare per ogni espressione animale della vita, il discorso
di Jonas e gia sufficientemente esplicito e compiuto.
La percezione, pero, in questo suo carattere formale di mediazione tra interiorita ed esteriorita, ha un aspetto interiore, come
sentita e cosciente presenza del mondo, che per quanto riguarda
gli altri animali ci e del tutto inaccessibile: noi possediamo un accesso
solo alla nostra propria interiorita ed all'immagine psichica che in
essa abbiamo del mondo, e da questa possiamo discendere all'interiorita della percezione animale solo per analogia e sottrazione, mai
fenomenologicamente. Una completa fenomenologia dei sensi, conseguentemente, puo darsi solo rispetto alla percezione umana, presupponendo, peraltro, che questa sia un fenomeno sufficientemente
unitario e costante.
Uno studio della sensibilita animale, dunque, dovendo rinunciare
alla piena evidenza dell'esperienza che ho tramite il mio corpo vivente, potra svolgersi in maniera metodologicamente ineccepibile
solo relativamente al dato esteriore, al rapporto empiricamente constatabile tra stimolo sensoriale e risposta comportamentale dell'animale; schema stimolo-risposta che e pero condannato all'unilateralita ed e quindi ontologicamente quanto meno incompleto, se non
del tutto erroneo nella misura in cui tenda a presentarsi come spiegazione integrale 1. Conformemente a tutto cio, e a differenza di
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L'analisi genetica dell'attivita sensoriale, dunque, non presupporra inizialmente nient'altro che la realta del rapporto dinamico
causale tra lo stimolo e l'apparato sensoriale ricettivo. La possibilita
della neutralizzazione di questo rapporto verra poi ricondotta alla
``piccolezza delle unita di azione e reazione (secondo misure di spazio, tempo ed energia) che operano nella stimolazione dei sensi, vale
a dire il loro minuscolo ordine di grandezza in relazione all'organismo'', cognizione che ci viene dalla fisiologia dei sensi. Solo a condizione di questo scarto nell'ordine delle grandezze, le singole stimolazioni possono essere integrate ``in massa in un effetto continuo e
omogeneo (`impressione'), in cui i singoli impulsi non soltanto sono
assorbiti, bens in cui il carattere di impulso in generale e in gran
parte cancellato e trasformato in quello dell'immagine sostituita''. Il
complesso dell'impressione, dunque, viene costituito come un ``continuum di presenza placata'', che ci sta di fronte privata del suo
carattere dinamico verso i nostri sensi e cos appare come ``substrato
neutrale dell'essere'' [OeL, p. 41].
Questo ``capovolgimento delle effettive condizioni genetiche''
della percezione non e, in fondo, nient'altro che l'espressione della
presa di distanza dal mondo che avviene nell'ambito dei sensi, quindi
espressione del primo momento della logica interna ad ogni instaurazione di relazione con l'esteriorita da parte dell'animale. Conseguentemente, puo servire come principio tassonomico: ``il grado in
cui il rapporto dinamico-causale viene fatto tacere o riesce ancora a
parlare nel risultato della percezione e il grado in cui la sequenza
degli eventi viene tradotta in simultaneita di presenza puo servire a
classificare i sensi rispetto alla loro prestazione oggettivante [...]. Da
un'analisi comparativa la vista risulta essere il senso che compie la
neutralizzazione piu completa del contenuto dinamico e il distanziamento meno equivoco dell'oggetto della funzione percettiva''. Non e
quindi per capriccio o per facilitarsi il compito, che Jonas incentra la
vera e propria fenomenologia dei sensi sulla facolta visiva, avendone
preliminarmente giustificato il primato tramite l'analisi della genesi
della percezione in generale. La vista, infatti, ``rappresenta il caso piu
puro della separazione fra organismo e mondo e del loro ricongiunsuo carattere di rottura della chiusura del soggetto psichico, cfr. d. lories, Jonas:
Elements pour une phenomenologie des sens?, in: ``Etudes phenomenologiques'', tome
xvii, n. 33-34, op. cit., pp. 21 ss., 31, 38 ss.
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divenire, sempre parziale e incompleto''. Jonas esemplifica cio riguardo a udito e tatto, ossia agli altri due sensi superiori nell'organizzazione percettiva dell'uomo, sensi la cui sintesi, ``sempre incompiuta e dipendente dalla memoria, deve andare insieme al progresso
effettivo delle sensazioni, ognuna delle quali riempie l'ora del senso
di attimo in attimo con la sua propria fugace qualita'' [OeL, p. 180].
Prima di specificare le caratteristiche proprie a udito e tatto,
pero, e opportuno soffermarsi brevemente su questo nuovo accenno
alla memoria. Ricordiamo che, nell'ambito della fenomenologia della
vita vegetativa, era la dimensione del futuro imminente a presentarsi
come primaria, laddove la memoria veniva definita come forma soggettiva dell'identita del vivente nella durata e presupposto della continuita interiore, quindi come qualcosa di necessariamente implicito
su quel livello e dispiegabile solo tramite la centralizzazione della vita
animale. In questo nuovo ambito, pero, e particolarmente rispetto
alla sensibilita, la memoria e sin dall'inizio centrale e, in qualche
misura, preminente rispetto all'esperienza del futuro imminente,
che anzi fonda nella sua possibilita al di la della dimensione meramente impulsiva. Infatti, che il movimento animale si configuri come
movimento esterno, al quale abbiamo visto inerire la caratteristica di
modificare solo le relazioni spaziali, lasciando inalterata ``la natura
dell'agente'', e possibile precisamente in base all'assicurazione della
durata della presenza interiore dell'individuo nella memoria. E lo
stesso, ovviamente, vale per la sintesi percettiva, anche nei suoi gradi
piu elementari: ``in forma di ritenzione immediata a breve termine la
memoria fa parte della costituzione fondamentale della sensibilita ed
e pertanto vecchia quanto questa'' [OeL, p. 185]. E, come vedremo
tra breve, anche il passaggio dalla vita animale a quella umana si
rispecchia in un incremento della portata e del significato della memoria, ossia, nei termini di Jonas, della storicita.
Ma torniamo ora a udito e tatto e, cominciando dal primo,
definiamone sinteticamente le principali caratteristiche: il suo processo percettivo, come dicevamo, e costitutivamente una sequenza
di sensazioni, sintetizzate nella memoria, quindi mai compiutamente in un attimo. Anche il percepito, pero, ``in base alla natura
del suono'', e una realta dinamica e non un oggetto: un evento, che
puo informare solo mediatamente sul possibile stato di un oggetto.
A rigori, peraltro, solo il riconoscimento di un certo suono permette
la percezione dell'evento e del suo agente: ``Posso dire di udire un
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Come avremo occasione di vedere, il riferimento all'immaginazione sara decisivo per tutta un'altra seria di considerazioni, che qui
non anticipiamo. Rimanendo all'interno della fenomenologia dei
sensi, cio che il paragone tra udito, tatto e vista evidenzia e che, nella
successione di queste facolta, si sviluppa progressivamente la prestazione oggettivante della percezione, sia nel passaggio dalla sintesi
sequenziale a quella istantanea, che dall'evento alla cosa 6. E questo
sviluppo della prestazione e, al tempo stesso, un ulteriore incremento
nella dialettica di distanza e avvicinamento, quindi nella dialettica
della liberta: a differenza di quanto avviene negli altri sensi, infatti, la
vista ``puo muoversi senza vincoli attraverso focalizzazione lungo il
campo che offre la visione complessiva e in cui sono disponibili tutti
gli elementi simultaneamente''. Di conseguenza, la ``visione d'insieme istantanea di tutto l'ambito di possibili incontri'' rappresenta
un immenso vantaggio biologico: ``Nel campo visivo simultaneo una
molteplicita coordinata, ancora al di fuori della comunicazione attiva
con me, si offre di selezionare il mio possibile agire. In questo contesto simultaneita significa tanto quanto selettivita ed e quindi un
fattore fondamentale nella liberta superiore dell'animale che muove
se stesso'' [OeL, pp. 188, 190].
Questa possibilita, di instaurare una relazione priva di coinvolgimento con le cose, che rimangono appunto al di fuori di me e inattive
nei miei confronti, riposa sulla gia menzionata neutralizzazione del
rapporto causale, che proprio nella vista trova la sua massima realizzazione: la presenza degli oggetti di fronte all'occhio non implica
apparentemente alcuna attivita, ne dell'oggetto (come avviene invece
costitutivamente nel caso dell'udito), ne del soggetto (come avviene
nel tatto) 7. Potenzialmente, dunque, si ha nella vista una piena liberazione dalla pressione del mondo e dall'urgenza delle pulsioni, il che
e di nuovo ``la radice organica di una distinzione altamente spirituale
a livello umano: la distinzione tra teoria e prassi''. Al di la di cio, pero,
a questa nuova possibilita della liberta offerta dalla ```funzione di
6
Cfr. OeL, p. 187: ``Cos sembra che i tre casi possano essere distinti nella
seguente formula: udito = rappresentazione di sequenza attraverso sequenza; tatto
= rappresentazione di simultaneita attraverso sequenza; vista = rappresentazione di
simultaneita attraverso simultaneita''.
7
Cfr. OeL, p. 42: ``L'apparente inattivita e chiusura in se stesso dell'oggetto
visto corrisponde all'apparente inattivita e chiusura in se stesso dell'osservatore''.
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immagine' della vista'' soprattutto all'uomo, ``la creatura eminentemente ottica'' , deve essere connessa dialetticamente una nuova
forma di dipendenza [OeL, pp. 190 s.]. Cerchiamo di delineare chiaramente i momenti di questa dialettica.
In positivo, a questo livello della percezione e garantito ``quel
retrocedere della partecipazione causale che rende chi esperisce
libero per l'osservazione e gli apre un orizzonte per un'attenzione
elettiva [...]. Dall'impatto diretto della realta, il tumulto assillante
della sua prossimita, viene ricavata la distanza dell'apparenza (phaenomenon)''. Si acquisisce, quindi, il ``concetto dell'oggettivita della
cosa come e in se a differenza della cosa come mi influenza e da
questa distinzione deriva tutta l'idea di theoria e verita teoretica''.
Questo avviene tramite l'assunzione dell'immagine da parte dell'immaginazione, ``che puo trattare con essa in completo distacco dalla
presenza reale dell'oggetto'' e dunque separare la sua forma dalla sua
materia, l'essenza dall'esistenza, di nuovo categorie ontologiche, che
sono ``alla base dell'astrazione e con cio di ogni libero pensiero'' 8.
A questa presa di distanza dall'impellenza del mondo, che e poi
anche la possibilita di costruire un ponte verso le cose come enti per
se, e intrinsecamente connessa una perdita: ``l'omissione del nesso
causale dalla testimonianza visiva'' fornisce ``un'astrazione indebolita
della realta'', privata della forza e cos delle interconnessioni causali
tra gli enti stessi, e non solo tra questi e il soggetto. In tal modo, la
vista finisce per essere ``il piu libero e al tempo stesso il meno `realistico' dei sensi'', risultando dunque del tutto dipendente, per la sua
stessa funzione biologica, dall'integrazione dei dati forniti dagli altri
sensi, in particolare dal tatto, ove ``ha luogo il contatto originario con
la realta in quanto realta'', nella misura in cui la percezione tattile ``e
8
OeL, pp. 43, 191 s. A p. 44 leggiamo: ``Nient'altro che la liberta fondamentale
della vista e l'elemento d'astrazione, inerente all'immagine, vengono portati avanti
nel pensiero concettuale; e dalla percezione concetto e idea ereditano quel modello
ontologico dell'oggettivita che prima li ha creati. Il silenzio dell'oggetto, sottratto
all'agitazione delle forze, ritorna aumentato nella stabilita e nella disponibilita permanente dell'idea: essa sta in ultima analisi alla base della `teoria' in quanto tale. Ne
consegue che il predominio nell'epistemologia dei modi cognitivi dedotti dalla percezione un predominio che storicamente fu spinto sino all'esclusione di altri modi
d'incontro con la realta e intimamente connesso con la possibilita del sapere in
generale e la stessa cosa vale per il corrispondente predominio nell'ontologia del suo
modello di oggetto. L'esclusivita pero deve pagare il suo prezzo''.
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sia trascurabile. Anche rispetto a cio, dunque, la vista come ``il senso
ideale della distanza'' ha una posizione privilegiata, che si manifesta
nel ``modo in cui la distanza viene esperita nel vedere [...]: l'oggetto
del vedere mi si mostra attraverso la distanza intermedia'', che cos e
a mia disposizione come un'estensione che sono libero di percorrere.
E, inoltre, l'oggetto e focalizzato su uno sfondo, che rimanda al
``campo aperto di altre presenze'', potenzialmente impegnabili in
una visione ulteriore, senza alcun limite: la profondita dello spazio
oltre l'oggetto e ``il luogo di nascita dell'idea dell'infinita''. Insieme a
quest'ulteriore contributo alle strutture della conoscenza, la presa di
distanza della vista rappresenta ancora un altro tipo di vantaggio
biologico: ``sapere a distanza e la stessa cosa di sapere anticipatamente'' ed implica ``un immediato aumento di liberta attraverso il
mero aumento di margine temporale per un eventuale agire, permesso dalla distanza dell'oggetto dell'agire'' [OeL, pp. 194 ss.].
Con queste ultime considerazioni possiamo ritenere conclusa la
fenomenologia dei sensi di Jonas, che abbiamo visto svilupparsi sul
presupposto della descrizione genetica e fisiologica dell'affezione sensoriale e procedere poi sempre su due registri: da un lato, il piano
delle condizioni animali di vita quindi il discorso sul vantaggio
biologico inerente ad un certo apparato sensoriale, sulle nuove facolta
e liberta che genera e, dall'altro, quello delle condizioni della conoscenza umana, ove pero entrava frequentemente in gioco una facolta
ulteriore a quella percettiva, ovvero l'immaginazione. Ed e proprio in
questa facolta, tramite la quale le strutture della vista divengono il
paradigma delle idee di mutamento e immutabilita, tempo ed eternita, forma e materia, essenza ed esistenza, teoria e prassi, finitezza e
infinita, che Jonas identifica la chiave di volta del passaggio dall'animale all'uomo e quindi il nucleo tematico dell'``antropologia filosofica,
in cui ogni filosofia dell'organismo che si rispetti deve sfociare'' 11.
Attrezzo, immagine e sepoltura
L'articolazione della fenomenologia dell'umano all'interno dell'ontologia della vita di Jonas e del tutto coerente con l'impostazione
11
p. 33.
h. jonas, Dalla fede antica all'uomo tecnologico. Saggi filosofici, op. cit.,
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La riduzione estrema del monismo materialistico, che pur corregge l'altrettanto estrema separazione delle sostanze nel dualismo,
ci consente pero solo ``un'autocomprensione impoverita'': conseguentemente, anche in questo caso il compito e ``trovare il giusto mezzo
tra le unilateralita'', ossia, nello specifico, pensare un'antropologia
filosofica che recuperi e rifletta ``sull'elemento essenzialmente transanimale nell'uomo, senza rinnegare il suo elemento animale''. Nel
contesto della storia della vita di Jonas, questo significa concepire cio
che nell'uomo supera ogni animalita ``come nuovo livello di una
mediatezza nelle relazioni con il mondo che si configura all'interno
dell'esistenza animale, mediatezza che, dal suo canto, gia si sovrappone alla mediazione propria ad ogni esistenza organica in quanto
tale e sovra cui si innalza l'ulteriore ed accresciuta mediatezza della
relazione umana al mondo e a se stesso come qualcosa, pero, di
essenzialmente nuovo, e non solo per grado'' 15.
Quest'ultima affermazione, che per certi versi ribadisce il ``rifiuto
dello schema graduale'' di cui parla Gehlen 16, rigorosamente e certo
incompatibile con la concezione della gerarchia della vita di Jonas,
che si presenta sin dall'inizio come parte di una rinnovata formulazione monistica dell'ontologia. E evidente, infatti, che nel suo contesto non possono darsi differenze essenziali, ma solo una successione
dialettica dei momenti lungo i quali si sviluppa il principio di mediazione come progressiva articolazione della polarita intrinseca alla
costituzione originaria dell'essere stesso. Cio e pienamente evidente,
peraltro, proprio nella conclusione del discorso di Jonas intorno all'uomo, nella cui esistenza ``culmina il principio della mediazione,
con la quale la vita e cominciata ed il cui concrescere possiamo
seguire lungo l'intera evoluzione organica'', un'evoluzione che va
descritta ``per vedere anche l'elemento transanimale nell'uomo [...]
all'interno della connessione del tutto'', la quale ha il suo ``leitmotiv
unificante'' nella ``crescente ipseita e liberta al prezzo di un increzione, oltre alla precedente nota 44, cfr. leon r. kass, Teleology and Darwin's The
origin of species: Beyond change and necessity?, in: Organism, medicine and metaphysics, op. cit., pp. 97 ss.
15
h. jonas, Werkzeug, Bild und Grab. Vom Transanimalischen im Menschen,
op. cit., p. 36.
16
Cfr. a. gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, op. cit., pp.
47 ss.
113
mento di mediatezza, capacita di sofferenza e pericolo'' 17, come abbiamo gia abbondantemente considerato.
I livelli successivi che si presentano nella storia della vita, dunque, sono di fatto gradi di sviluppo, configurazioni sempre piu alte e
mediate della liberta all'interno dell'organico, senza che si dia mai,
appunto, l'intervento di un nuovo principio essenziale. Cio non toglie, tuttavia, che il passaggio da un livello all'altro sia anche sempre
l'irruzione di una nuova espressione della liberta, ossia di una nuova
specificazione della polarita e quindi di una nuova modalita della
mediazione. Lo sviluppo, insomma, non e certo graduale nel senso
di un incremento continuo, ma e comunque scalare, come successione discontinua di livelli che concrescono coerentemente l'uno
sull'altro e oltre l'altro, in modo che ogni livello precedente e aufgehoben da quello successivo. Conseguentemente, il culmine che e
l'uomo non puo essere essenzialmente diverso dallo sfondo animale
sul quale si innalza, per quanto lo superi dialetticamente, in tal modo
realizzandone le potenzialita implicite. La novita che egli rappresenta
non e quella di una nuova e diversa essenza, ma e la novita del modo
ulteriore in cui l'essenza unica della vita polarmente vige: ``neuer
Modus der Vermittlung'' 18 e bisogna qui sottolineare la scelta terminologica di Jonas, niente affatto ovvia in tedesco, una scelta che,
fatte tutte le distinzioni possibili, rinvia implicitamente a Spinoza ed
al suo tentativo di riassorbire il dualismo cartesiano delle essenze in
un monismo articolato secondo la dualita degli attributi conoscibili
della sostanza e la pluralita dei loro modi 19.
Queste precisazioni, su cui ci siamo qui dilungati, sono importanti,
poiche in gioco non e solo la correzione di un passaggio non del tutto
17
h. jonas, Werkzeug, Bild und Grab. Vom Transanimalischen im Menschen,
op. cit., pp. 46 s.
18
Ivi, p. 46.
19
Ovviamente, enormi sono le differenze tra le due concezioni filosofiche, ma lo
stesso Jonas riconosce in Spinoza il grande precursore del suo tentativo di rielaborazione del dualismo: cfr. h. jonas, Spinoza e la teoria dell'organismo, op. cit., pp.
303 ss. Molto sinteticamente, qui possiamo dire che la maggiore incompatibilita tra il
monismo di Spinoza e quello di Jonas e forse nel carattere dialettico di quest'ultimo:
all'autonomia e corrispondenza degli attributi della sostanza in Spinoza si oppone la
polarita come contraddizione nel seno dell'essere in Jonas; all'inerenza dei modi di
volta in volta ad uno solo degli attributi replica la costitutiva medieta e mediazione tra
le polarita di tutti i modi dell'esistenza.
114
coerente con l'impostazione generale del discorso, quanto l'identificazione di un sintomo e punto di sedimento di un'ambiguita che permane irrisolta in tutta l'ontologia della vita di Jonas, ambiguita le cui
diverse manifestazioni torneranno ad occuparci sotto il titolo de i
residui del dualismo. In qualche misura, la chiarificazione che abbiamo appena cercato di abbozzare sul senso in cui Jonas critica il
gradualismo ossia la concezione di tipo latamente evoluzionistico di
un accumularsi di mutamenti minimi e continui, alla cui dinamica puo
essere ridotta la totalita emergente come mera somma di elementi
parziali , sostituendolo con l'idea di uno sviluppo dialettico (ricordiamo: non garantito), sarebbe sufficiente a giustificare almeno parzialmente la sua insistenza sull'elemento di novita essenziale dell'esistenza umana, ove questo essentiell potrebbe essere inteso nel senso
del modo in cui l'essere della vita si manifesta (in maniera parzialmente analoga a come Heidegger intende verbalmente wesen).
Questo, pero, sarebbe un rifugio solo momentaneo, perche in Jonas
ritorna piu volte una concezione sostanziale dell'essenza dell'uomo e
quindi la difficolta di evitare un'interpretazione irrimediabilmente dualistica della sua differenza non graduale dall'animale. Due esempi significativi sono proprio nel nono capitolo di Organismo e Liberta, che e
poi il nucleo dal quale si sviluppera il successivo Werkzeug, Bild und
Grab. Proprio all'inizio di questo capitolo, Jonas scrive molto decisamente: ``La questione dell'essenza dell'uomo puo essere posta nei
termini di cosa distingua l'uomo dagli altri esseri viventi, quindi dall'animale. La questione della differenza, la differentia specifica, dell'uomo puo essere posta nei termini di quale sia una caratteristica in
cui la differenza si manifesti in modo percettibile e convincente''. E
questa preparazione della risposta alla domanda sull'essenza come
identificazione della caratteristica differente e, come abbiamo visto,
precisamente quanto lo stesso Jonas riconoscera, proprio nei termini
della differentia specifica, come il modo tipico di argomentare del
dualismo. Ancor piu decisa dell'inizio, poi, e la fine del capitolo, ove
leggiamo: ``lo iato fra rapporto animale verso il mondo e il piu primitivo
tentativo di una rappresentazione e infinitamente piu grande di quello
tra quest'ultimo e ogni costruzione geometrica. E uno iato metafisico,
al paragone del quale l'altro e solo una differenza di grado'' 20.
20
h. jonas, Homo pictor: della liberta del raffigurare, in: OeL, pp. 204, 223.
115
Uno iato metafisico che, si comprende, non deve vigere solo tra
uomo e animale, ma anche tra quella caratteristica umana che costituisce la sua differenza specifica dall'animale e la dimensione generalmente vitale dell'uomo stesso; col che, pero, e compromessa
fortemente l'unita impregiudicata del mio corpo vivente 21. Per il
momento, comunque, e preferibile tralasciare questi elementi di
ambiguita, al fine di ricostruire l'antropologia filosofica di Jonas coerentemente con il principio ermeneutico sinora dimostratosi valido
per la restante storia della vita, ricostruzione che permettera al momento opportuno l'analisi sistematica delle difficolta che saranno
allora comprese come aporie presenti nel suo tessuto argomentativo.
Al di la di tutto cio, come Gehlen, anche Jonas evita inizialmente
ogni ricorso alla testimonianza immediata dell'interiorita e ricerca
una manifestazione ``percettibile e convincente'' dell'umanita dell'uomo: ``Il mezzo di riconoscimento deve essere inequivocabile e
primitivo. Deve essere inoltre un agire o il risultato di un agire''.
Queste premesse euristiche rispondono a molteplici esigenze: in
primo luogo, e opportuno affidarsi a un dato e non ad un'astrazione,
un dato che nella sua concretezza rimandi sia al polo esteriore che a
quello interiore del corpo vivente. Inoltre, si deve poter disporre di
un criterio abbastanza ampio da ricomprendere l'intera umanita e la
sua storia, dalle espressioni piu elementari e iniziali a quelle piu
tarde ed evolute. Infine, e qui torniamo su un terreno minato, si
ritiene necessario negare ``per il riconoscimento dell'umano ogni
sostegno della pregiudicante familiarita morfologica, vale a dire
ogni indizio, ma anche ogni tentazione della mera somiglianza apparente''. La differenza specifica, insomma, dovrebbe manifestarsi ``indipendentemente dalla struttura organica'', e questa e certamente
una pretesa eccessiva, se quella struttura e quantomeno condizione
di possibilita del dispiegamento dell'azione umana, che come grado
superiore di liberta rimane quindi dialetticamente sempre dipendente da essa (cos come avveniva nel metabolismo per il rapporto
Molto piu fortemente di quanto non avvenga in Gehlen, per il quale sin
dall'inizio e l'interezza del corpo umano, e non solo certi livelli emergenti, a differire
nel suo stile dal modo animale di esistere (cfr. a. gehlen, L'uomo. La sua natura e il
suo posto nel mondo, op. cit., pp. 115 ss.).
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Se tutto cio e dato gia nella semplice esistenza di ogni raffigurazione, che e compresenza di tre dimensioni: quella del substrato
della rappresentazione, quella dell'immagine per se e quella dell'oggetto dell'immagine, quali caratteristiche si devono attribuire all'essere che e in grado di produrre e, al contempo, anche necessariamente cogliere immagini? In primo luogo, la ``facolta di percepire la
somiglianza'' come ``mera somiglianza'', senza confonderla con l'originale, il che non ha nulla a che vedere con l'efficienza della prestazione visiva, essendo piuttosto la facolta di percepire insieme il
medesimo e il diverso, l'immagine appunto come ``immagine di qualcosa'', che rimanda ad essa senza confondersi con essa: ``l'immagine
deve venir distinta dal suo veicolo fisico e l'oggetto raffigurato deve
venir distinto da entrambi''. Un primo principio dell'immaginazione,
dunque, e la capacita della ``separazione intenzionale di forma e
materia. E questa che rende possibile la presenza figurativa del
fisicamente assente insieme all'autonegazione del fisicamente presente''. E in questa possibilita di separare l'eidos dall'esistenza si
annuncia, quindi, anche una nuova dimensione della memoria, che
non e piu l'attualizzazione dell'esperienza passata che confluisce immediatamente nella situazione presente, cos come avviene nell'animale, ma appunto la capacita di distinguere tra cio che viene riconosciuto e l'immagine che ne suscita il ricordo 29.
Questo svincolamento dall'immediatezza della situazione presente, ottenuto tramite la trasposizione di ``un aspetto visivo in una
somiglianza materiale'' e un ``nuovo livello della mediatezza al di la
della mediatezza che e gia propria della ricognizione visiva in quanto
tale. L'immagine viene staccata dall'oggetto, cioe la presenza dell'eidos viene resa indipendente da quella della cosa''. E in questo ``retrocedere di second'ordine [...], l'apparenza viene colta come apparenza, distinta dalla realta e, disponendo liberamente della sua prepresenza influenzante dell'oggetto, ossia tramite la neutralizzazione causale dello
stimolo visivo: ``Ora sussiste pero questo paradosso della percezione sensoriale, per
cui l'affettivita sentita del suo dato, necessaria per l'esperienza della realta del reale,
attestando questa nella realta del mio essere affetto, deve essere in parte anche di
nuovo eliminata per permettere di cogliere la sua oggettivita, il suo separato sussistere-per-se [...]. Astrazione, rappresentazione, simbolismo qualcosa della funzione
dell'immagine sono inerenti alla vista, in quanto essa e il piu integrativo dei sensi''.
29
Cfr. ivi, pp. 213 ss. e h. jonas, Werkzeug, Bild und Grab. Vom Transanimalischen im Menschen, op. cit., pp. 40 s.
121
122
dall'immediatezza della percezione, la capacita di dire no all'inganno prima dei sensi e poi delle parole, dunque un elemento di
liberta, per quanto negativa, liberta che si dimostra ``prerequisito
della verita''. Il primo modo della verita, dunque, non e lo svelamento, ma il dis-ingannare, inizialmente come correzione delle illusioni della percezione: conseguentemente, ``il luogo originario di falsita e verita e la percezione e pertanto, se la liberta di negare e una
condizione dell'esperienza della verita, deve essere un tratto particolare della percezione umana a concedere questa liberta, il quale
abilita all'esperienza del vero e del falso'', ovvero la facolta oggettivamente della vista [OeL, pp. 224 ss.].
Ma le condizioni di possibilita per l'esercizio di quella particolare
forma di liberta che e l'esperienza della verita non si riducono alle
peculiarita dell'apparato percettivo umano: ``la creazione di immagini
da parte degli uomini primitivi e una forma originaria di sforzo attivo
per raggiungere la verita, che nella sua vicinanza alla terra natale
della percezione precede quella del pensiero nella `teoria'''. Questa
``prima espressione della liberta positiva, la quale deve integrare
quella negativa affinche l'esperienza della verita acquisti la sua piena
dimensione'', si fonda sulla facolta ``di osservare la forma nell'astrazione dalla presenza effettiva'', ossia si fonda sulla struttura umana
del ricordo. ``La verita sorge solo quando la percezione sbagliata
viene `tenuta a mente' per essere contrapposta come falsificata a
quella giusta'' e, affinche cio avvenga, ``il passato deve restare accessibile in un modo singolarmente libero, che non viene procurato
dalla memoria in se, bens soltanto dallo staccarsi dell'apparenza
dalla realta in connessione con la memoria''. E il contenuto di questa
memoria non e la singola cosa o esperienza, bens il loro eidos, la loro
forma, come e primariamente a disposizione della facolta di immaginazione 30.
D'altro canto, come dicevamo, oltre all'ambito teoretico vi e
quello pratico: colui che crea raffigurazioni in base ai dati dell'immaginazione e ``potenzialmente anche il creatore di cose
30
OeL, pp. 227 ss. A pp. 231 s., Jonas integra il discorso circa la verita teoretica
con quello intorno alla verita morale e rivolge nuovamente una critica all'interpretazione heideggeriana della verita come non-nascondimento delle cose, riconducendo il greco a\-kghg*| alla veridicita nel rapporto con il prossimo e non ad un
qualche modo eminente di manifestazione dell'essere.
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l'esempio piu eclatante di questo ``dato di fatto transanimale, peculiarmente umano: il controllo eidetico della motilita, cioe l'attivita
muscolare comandata non da schemi fissi di stimolo-risposta, bens
da una forma liberamente scelta, interiormente immaginata e intenzionalmente proiettata''. E in questa duplice liberta della progettazione, interna ed esterna, che coincide in nuce con la facolta di
cogliere e creare immagini, abbiamo dunque prefigurata l'intera
estensione della liberta umana: ``L'homo pictor, il quale esprime
entrambe in una evidenza chiara e indivisibile, rappresenta il punto
in cui homo faber e homo sapiens sono uniti, anzi, in cui si rivelano
come il medesimo uomo'' 32.
Il primo risultato dell'antropologia filosofica di Jonas, dunque, e
l'identificazione della differenza specifica dell'uomo nell'immaginazione come presa di distanza sia spaziale che temporale (nella disponibilita del ricordo) dall'oggetto, che nel suo eidos viene abbreviato e
considerato nell'ordine dell'universalita delle forme, che si sviluppa
poi nell'universalita dei concetti linguistici. Su questa semplice base
e gia data, quindi, la possibilita della comunicazione, dell'astrazione
geometrica e razionale, della tecnologia, in generale dello sviluppo
ulteriore della conoscenza e del potere dell'uomo: ``Il livello dell'uomo e il livello delle possibilita, che sono indicate (non definite
e certamente non assicurate) dalla facolta immaginativa: il livello di
una mediatezza non animale della relazione con l'oggetto e una distanza dalla realta che viene al contempo conservata e superata da
quella mediatezza''. Questa descrizione della ``liberta transanimale''
dell'artefice di immagini, pero, non coglie completamente la natura
dell'uomo, poiche sottolinea solo la dimensione della sua trascendenza rispetto al mondo esterno e non ancora la piena espressione
della sua presa di distanza da se stesso [OeL, pp. 221 s.].
La classe di artefatti nella quale traspare questo ulteriore momento di mediazione e quella delle sepolture, che rispetto all'immagine si dimostrano ancora piu superflue o del tutto inutili biologicamente, quindi ancora piu distanti dalla pressione dell'interesse vitale
cui l'animale e sempre sottoposto. Oltre a questa considerazione
ancora esteriore, il reperto archeologico e storico dei culti delle
OeL, p. 220. Cfr. inoltre h. jonas, Werkzeug, Bild und Grab. Vom Transanimalischen im Menschen, op. cit., p. 39.
32
125
tombe e, in generale, le testimonianze empiriche di una commemorazione dei morti si dimostrano unicamente umane in un senso molto
superiore agli artefatti e alle immagini, nella misura in cui rimandano
a ``rappresentazioni della fede''. Quale che sia il contenuto specifico
del credo che di volta in volta e incarnato in questi culti, elemento
comune ``a tutti e che in qualche modo sfidano l'evidenza della nostra
finitezza e proseguono al di la di ogni visibile verso l'invisibile, dal
sensibile al sovrasensibile. Esattamente di cio la sepoltura e la testimonianza visibile. Unico tra tutti gli esseri viventi, l'uomo sa che
deve morire e, considerando il Dopo e il L, egli considera anche
l'Ora e il Qui della sua esistenza ossia, egli medita su se stesso.
Nelle tombe si cristallizza la domanda: da dove vengo, dove vado?, e
infine: cosa sono al di la di cio che di volta in volta faccio ed
esperisco? Tramite cio emerge la riflessione come nuovo modo della
mediazione, al di la di attrezzo e immagine. Non solo la relazione con
il mondo, ma anche quella con se stesso e mediabile dall'uomo.
Anche a se stesso egli giunge solo tramite la via traversa dell'idea.
Conoscendo la sua mortalita egli non puo vivere come uomo senza
un'autocomprensione, che non e ovvia, ma il risultato oscillante di
una speculazione problematica. Questa si amplia necessariamente
dal singolo Io all'interezza dell'essere, nella quale egli si trova posto.
Cos dalle tombe nasce la metafisica. Ma anche la storia come commemorazione del passato, come e evidente nel culto degli antenati'' 33.
Questa bella pagina di Werkzeug, Bild und Grab, che abbiamo
citato estesamente, contiene in sintesi l'esito dell'intera storia della
vita, quel culmine del principio della mediazione che e l'autoriflessione impersonale dell'uomo, inscindibilmente connessa con l'altrettanto impersonale ``meditazione dell'eterno''. In entrambe queste
forme del pensiero umano, ``il se viene allontanato da se stesso,
per poter cos solamente con un ultimo sacrificio dell'immediatezza
scoprirsi''. In questo sacrificio ultimo, lo sviluppo della liberta
lungo tutta l'evoluzione della vita osa ``l'azzardo piu grande della
mediatezza e dell'oggettivazione, e la consapevolezza della morte
puo ben essere stata l'impulso per tutto cio''. Cos viene oltrepassata
un'altra soglia e, su questo nuovo livello, l'uomo procede al di la di se
33
Ivi, pp. 45 s.
126
stesso, ponendosi come oggetto della propria riflessione: ``solo attraverso l'incommensurabile distanza dell'essere oggetto a se stesso,
l'uomo puo `aversi''', nella sua immagine o idea, alla quale ininterrottamente continua a lavorare. E ``nell'abisso che e stato aperto in
questo confronto del se con se stesso, e nell'esercizio del rapporto
che deve in un modo o nell'altro sempre colmarlo, trovano posto le
piu alte elevazioni e le piu basse afflizioni dell'esperienza umana'',
come la sue prerogative esclusive della disperazione e del suicidio 34.
Sintetizzando gli esiti della sua ricerca intorno alla natura dell'uomo lungo il filo conduttore delle classi elementari degli artefatti,
Jonas interpreta ognuna di esse tanto come configurazione particolare della dialettica di distanza e avvicinamento, quanto come presupposto delle dimensioni fondamentali del pensare ed agire umani.
L'attrezzo media il bisogno vitale di materia in maniera non istintuale, inventiva, migliorabile. L'immagine dimostra che l'essere che
la crea, modellando la materia con attrezzi per scopi immateriali,
``rappresenta a se stesso il contenuto della sua visione, lo varia e ne
moltiplica le forme, e cos produce un nuovo mondo oggettivo del
rappresentato al di la di quello materiale della soddisfazione dei
propri bisogni''. E le sepolture ci dicono che un essere mortale
riflette sulla vita e la morte, sfida lo scandalo della sua cosciente
finitezza ed espone la sua inevitabilita alla luce dell'invisibile, attraverso la fede e la pietas. ``Tutti e tre, in quanto superamenti dell'immediato, sono modi della mediatezza (Modi der Mittelbarkeit) e della
liberta, che noi uomini di oggi condividiamo con quelli di allora e
che, dunque, sono validi in ogni tempo come diverse coordinate, che
si irraggiano da un'unica origine, del comprendere''. Nell'attrezzo e
incarnata la comprensione dei rapporti scopo-fine e causa-effetto e
da cio sono poi sorte la tecnica e la fisica, cos come dalla comprensione dell'immagine si sviluppa l'arte e dalla riflessione intorno alla
34
Ivi, p. 47 e OeL, p. 237. Ivi, p. 235, leggiamo: ``La fatale liberta dell'oggettivazione, che contrappone al se il potenziale tutto dell'`altro', il `mondo', come campo
indefinito per il possibile comprendere e agire, puo e alla fine deve, con il suo peso
della mediatezza, ritornare al soggetto stesso e renderlo da parte sua oggetto di un
rapporto che prende a sua volta la indiretta via dell'eidos. La `forma' che si presenta
qui e per tipo diversa dalle forme dell'intero regno dell'esteriorita. Si sviluppa la
nuova dimensione della riflessione, in cui il soggetto di tutto l'oggettivare appare a se
stesso in quanto tale e diviene a sua volta oggetto per un tipo di relazione nuovo e
sempre piu automediante''.
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Seconda sezione
La teologia speculativa: dalla Natura a Dio
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Etica e metafisica
La biologia filosofica di Jonas questa l'ipotesi che ha retto
sinora l'interpretazione non e solo un'ontologia regionale, bens
ontologia fondamentale, preliminare rispetto ad un'ontologia generale che prende le mosse da essa, pur dovendo arrischiarsi nel
campo insicuro della metafisica 1. Metafisica che, peraltro, abbiamo
visto rappresentare proprio il livello estremo della liberta come
automediazione della vita umana, il luogo in cui si pone ``la domanda
sul senso di questa avventura. In questa domanda dell'uomo, presuntuosa come la sostanza che tenta la forma agli albori della vita,
dopo milioni di anni acquista la parola solo l'originaria problematicita della vita in se''. Conseguentemente, considerare ``l'autointer-
1
Cfr. OeL, p. 4: ``Benche i miei strumenti siano sostanzialmente l'analisi critica
e la descrizione fenomenologica, verso la fine non ho esitato ad addentrarmi in una
speculazione metafisica, quando sembrava necessario fare delle congetture su cose
ultime e indimostrabili (ma non per questo prive di senso)''. Analogamente nella
prefazione a h. jonas, Philosophische Untersuchungen und metaphysische Vermutungen, op. cit., pp. 7 s.
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struzione ``della scala delle capacita naturali, con le quali gli individui si confrontano ogni volta in base alla loro dotazione con la
pretesa del mondo metabolismo, sensazione, movimento, emozione, percezione, immaginazione, spirito'' ; e poi la considerazione ``di alcune delle idee con cui l'uomo nel corso della sua storia
ha cercato di rendere teoreticamente giustizia alla natura della vita
e a quella di se stesso''. E continua: ``Quest'ultimo tema entra
necessariamente nell'ambito morale e infine in quello metafisico''
[OeL, pp. 12 s.].
Come si vede, il percorso delineato trova un punto di svolta dopo
l'analisi dello spirito, che e ancora parte della fenomenologia della
vita, ma che al contempo apre la strada ad una riconsiderazione della
metafisica, del suo sviluppo e dei suoi compiti futuri, una riconsiderazione che qui viene detta necessaria, ossia conseguente alla logica
interna dell'intero discorso. Nonostante cio, Jonas e consapevole che
la speculazione metafisica non puo vantare la purezza fenomenologica di un'analisi descrittiva ed e forse proprio per salvare una possibile oggettivita vincolante della sua ontologia della vita che rinuncia
a riassorbirla nell'ambito piu vasto di una proposta metafisica complessiva. Quanto meno, anche in considerazione dell'estrema prudenza che Jonas usa sempre nell'introdurre i suoi tentativi speculativi, non cadendo mai nella tentazione di asserirne fondata la pretesa
verita, e possibile leggere in questo senso le righe dell'introduzione
che seguono: ``Le analisi passano in rassegna questi argomenti, non
offrendone tuttavia una teoria compiuta, benche l'autore l'avesse in
mente come obiettivo ed essa abbia guidato la concezione dei singoli
stadi. Le diverse ricerche, scritte [...] con questo obiettivo davanti
agli occhi, esprimono, penso, un comune punto di vista e rappresentano diverse sfaccettature di una filosofia dell'organismo e della vita
tuttora incompleta. L'autore non ha ancora il coraggio di presentarla
in modo sistematico'' [OeL, p. 13].
Oltre alla frammentarieta della stesura ed alla separazione metodologicamente netta tra l'ambito della ricerca filosofica e quello dell'ipotesi metafisica, vi e pero anche un altro motivo della mancata
sistematizzazione dell'ontologia di Jonas: l'esigenza di occupare un
terreno non troppo screditato per la fondazione dell'etica. In effetti,
Jonas era pienamente consapevole che gia la sua difesa dell'``ontologia come fondamento dell'etica'' appariva come irrimediabilmente
inattuale e superata, per quanto non era affatto disposto a rinunciare
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sapere potrebbe costituire un evento piu che umano: potrebbe costituire un evento per l'essere stesso che influisce sulla sua condizione metafisica; nel linguaggio di Hegel: un venire-a-se della sostanza originaria'' [OeL, p. 306].
Il riferimento a Hegel al termine di questa sorprendente pagina
non e certo casuale, poiche, al di la di tutte le differenze, cio che qui
emerge e un progetto speculativo che condivide almeno due punti
centrali con il sistema piu compiuto dell'idealismo tedesco: la concezione di un senso totale dell'evoluzione, che va ben al di la della
constatazione della teleologia interna alla singola funzione organica
o al singolo vivente. E la tesi che nello spirito umano si compia il
destino di autochiarificazione dell'essere o di Dio 6. A cio Jonas
aggiunge che proprio questo compimento costituisce il primo principio dell'etica, in quanto il fine dell'esistente e il valore dell'esistenza.
Tutto cio e detto qui nell'ottica della svolta dalla fenomenologia
alla teologia: la ``revisione dell'idea della natura'' comincia di fatto
con l'ontologia della vita, ma non si conclude con essa, poiche comporta una definizione della ``direzione interna della sua evoluzione
totale'': il che significa che non basta la constatazione dell'attivita del
principio di mediazione nella dialettica della liberta, che non basta la
descrizione della tendenza evidente nella storia della vita, poiche una
simile descrizione potrebbe giustificare solo un'assegnazione dell'uomo a se stesso, in quanto momento terminale di questa storia,
e mai spingere a riconoscere un'ulteriore ``destinazione dell'uomo'' e
quindi l'``assegnazione oggettiva del tutto da parte della natura''. Cio
diviene possibile, se quella tendenza viene compresa come ``intento
della sostanza originaria'', quindi ``un evento piu che umano'' e anche
piu che naturale. Determinante e qui la concezione della teleologia,
sulla quale pero torneremo tra breve, dopo aver delineato la possibilita alternativa di fondazione dell'etica sull'ontologia.
6
Sugli elementi hegeliani del pensiero di Jonas, cfr. d. bohler, Hans Jonas.
Stationen, Einsichten und Herausforderungen eines Denkenslebens, op. cit., p. 54.
Ma e lo stesso Jonas a darci un'indicazione preziosa circa il proprio rapporto con la
filosofia di Hegel in: h. jonas, Materie, Geist und Schopfung. Kosmologischer Befund und kosmogonische Vermutung, op. cit., pp. 51 ss. (d'ora in poi MGS). Su questo
paragrafo, intitolato Weltbeginn als Selbstentfremdung des Urgeistes: Wahres und
Unwahres in Hegels Dialektik, ritorneremo piu avanti, a p. 168.
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suo caso, pero, lo scopo non risiede nella cosa, essendo lo scopo di
chi ha costruito e usa il martello detto altrimenti: la funzione del
martello acquisisce un senso a partire dal proposito di chi ne fa uso,
per esempio per appendere un quadro. La stessa differenza tra funzione e uso del mezzo e poi fatta valere anche per le dotazioni
organiche, che sono mezzi dell'intero organismo, ai cui scopi dunque
servono (per esempio, la funzione locomotoria, che puo servire diversi scopi dell'animale, dalla ricerca del cibo alla fuga). Tutto sommato, cio equivale alla distinzione scolastica, nell'ambito del principio di finalita (omne agens agit propter finem) tra la finalita essenziale propria ad ogni attivita come relazione al suo risultato immediato e il finalismo, che e relazione ad un fine piu remoto e
complessivo, tesi che puo ampliarsi sino all'ipotesi di un fine ultimo,
rispetto al quale tutti gli altri sono mezzi (per esempio, il motore
immobile di Aristotele) 9.
A partire da qui, pero, il discorso di Jonas si fa piu intricato e si
palesa una certa confusione tra le varie accezioni possibili del concetto di fine, dalla intentio alla causa motiva, dalla tensione come
preciso interesse alla mera tendenza oggettiva propria a certi sistemi
causali. Rispetto all'animale, vengono inizialmente evocati centralizzazione e volonta, come i luoghi della posizione dello scopo e del
controllo dell'apparato organico che deve farsene mezzo, quindi
come l'ambito dell'interiorita ove lo scopo e rappresentato come
l'in vista di cui si agisce, il proposito immaginato. Cio, ovviamente,
trova piena espressione solo per l'uomo, laddove per gli animali
dobbiamo sostituire all'intenzione e all'``immaginazione anticipatrice'' l'istinto, come schema di comportamento finalizzato, innescato
da certi stimoli esterni o interni. Ma questa definizione etologica
dell'istinto (Trieb), passibile di riduzione al meccanismo della retroazione nei termini della cibernetica, va integrata con la dimensione
impulsiva del conatus sese conservandi, con la pulsione (Antrieb) che
e il vero motore dell'intera sequenza, appunto il motivo: ``Pertanto, in
generale, la sensazione correlata al bisogno e il veicolo psichico dello
scopo nel comportamento volontario della vita pre-razionale'' 10.
Analoghe le considerazioni di Hartmann sulla distinzione tra teleologia dei
processi (finalita essenziale), delle forme e dell'intero (finalismo): cfr. n. hartmann,
Teleologisches Denken, Berlin 1966, pp. 7 ss.
10
PR, pp. 73 ss., 76. Sulla cibernetica, vedi sopra la nota 10 a p. 40 e cfr., inoltre,
9
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In primo luogo, vi e la ripetizione esplicita dell'argomento teleologico-vitale: ``Ogni organo in un organismo serve a uno scopo e lo
realizza funzionando. Lo scopo superiore, al cui servizio sta la funzione specifica, e la vita dell'organismo nel suo insieme''. Ma come
abbiamo gia notato, affermare che l'organismo vive per vivere
comporta una serie di paradossi e in primo luogo la concezione della
vita come causa sui e contemporaneamente finis sui 11. Peraltro, che
con questa affermazione Jonas non intenda genericamente constatare che l'apparato fisico dell'organismo e effettivamente tale da
consentire una certa durata possibile della sua esistenza col che
ancora niente sarebbe detto sull'efficacia causale dello scopo , ma
sostenere esattamente che la vita agisce come causa finale dell'organizzazione del vivente, e palese nelle critiche che egli rivolge qui
ancora una volta al dualismo e all'epifenomenalismo, ma non viene
sostenuto da alcuna argomentazione positiva. Al suo posto, vi e il
ricorso di nuovo al paradigma del corpo vivente umano, che in questa
occasione e pero piuttosto artificioso e concettualmente molto meno
strutturato di quanto non avvenisse al termine della storia dell'ontologia: ``L'essere, oppure la natura, e unitario e fornisce testimonianza
di se in quel che fa scaturire da se. Cio che l'essere e, puo essere
desunto percio dalla sua testimonianza e naturalmente da cio che
maggiormente dice, dal piu manifesto, non dal piu recondito, dal piu
sviluppato, non dal meno sviluppato, dal piu abbondante, non dal piu
povero, quindi dalla cosa `piu alta' a noi accessibile'', ossia noi stessi
[PR, pp. 82 s., 87].
Dall'assunzione della testimonianza del nostro essere, pero, Jonas
non deduce qui, come altrimenti e meglio, la semplice constatazione
che quanto si manifesta ad un livello complesso dell'organizzazione
vivente deve essere riconosciuto come gia potenzialmente implicito
nella natura, se non altro come la possibilita che in essa si sviluppasse
quella forma vivente. Qui il rimando all'uomo e all'attivita delle cause
finali nella determinazione del suo corpo da parte del pensiero e
immediatamente deduzione della teleologia dell'intera natura, con
un ragionamento che e doppiamente problematico: nella misura in
cui argomenta ingiustificatamente a fortiori dalla parte al tutto (ingiustificatamente, poiche passa positivamente a maiori ad minus) e
11
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da una proprieta particolare alla determinazione essenziale complessiva 12. E, inoltre, evidente e sin troppo esplicito il carattere ad hoc
dell'intero costrutto: ``Al filosofo resta soltanto piu da dimostrare
quale significato rivesta per lo status dello scopo il fatto che la testimonianza della soggettivita della sua esistenza non rimane limitata
a se stessa, ma investe il concetto di natura nel suo insieme. Si
12
Come ha notato anche o. depre, Ce dont la possibilite contient l'exigence de
sa realite. De l'etre au devoir-etre chez Hans Jonas, op. cit., pp. 126 ss., questo
argomento ha diverse analogie con la concezione cosmologica del principio antropico, preannunciato da Robert Dicke nel 1957 e poi enunciato nel 1974 da Brandon
Carter (b. carter, Large number coincidence and the Antropic Principle in cosmology, in: J. Leslie (ed.), Physical Cosmology and Philosophy, New York 1990, pp. 125
ss.). In particolare, il passaggio dalla concezione della materia come ab origine dotata
della potenzialita della vita quale la conosciamo, alla deduzione dallo spirito umano
della teleologia della natura coincide al passaggio dal principio antropico debole a
quello forte. Nella formulazione di Carter (ivi, p. 126: cio che e osservabile e ``limitato
dalle condizioni necessarie per la nostra esistenza come osservatori''), il principio
antropico debole non e molto di piu che l'assunto metodologico per cui non possiamo
ipotizzare condizioni iniziali dell'universo incompatibili con la possibilita della vita
cosciente e quindi finisce per somigliare molto alla tesi di Jonas che se l'uomo c'e
deve essere stato possibile sin dall'inizio. Il principio antropico forte, invece, va molto
al di la della dimensione metodologica, asserendo che ``l'universo possiede molte
delle sue straordinarie caratteristiche perche esse sono necessarie per l'esistenza
della vita e degli osservatori'' (j.d. barrow, j. silk, La mano sinistra della creazione,
tr. it., Milano 1985, p. 243), propendendo quindi chiaramente verso una concezione
finalistica. Critiche molto pertinenti a questo argomento sono presentate da h. r.
pagels, A cozy cosmology, in: J. Leslie (ed.), Physical Cosmology and Philosophy,
op. cit., pp. 174 ss. Cfr., inoltre, r. breuer, Das anthropische Prinzip. Der Mensch
im Fadenkreuz der Naturgesetze, Munchen 1983; j. demaret, Univers: les theories
de la cosmologie contemporaine, Aix-en-Provence 1991 e soprattutto j. merleauponty, La cosmologie, le point de vue du philosophe, in: h. andrillat, b. hauck, j.
heidmann, a. maeder, j. merleau-ponty, La cosmologie moderne, Paris 1984, pp.
9 ss. Per un confronto molto approfondito a partire da posizioni teologiche, in
un'ottica creazionistica, piu interessata a sottolineare gli elementi di trascendenza
dell'umano rispetto al naturale, dell'intelligenza rispetto alla vita, e di Dio rispetto al
creato, cfr. s. muratore, L'evoluzione cosmologica e il problema di Dio, Roma 1993,
in particolare pp. 13, 139 ss. Cio che pero differenzia radicalmente queste posizioni
dalla concezione di Jonas e che per ogni possibile formulazione del principio antropico risulta decisivo il concetto di osservatore, che invece in Jonas, tramite le sue
critiche al soggettivismo cartesiano, all'idealismo e alla fenomenologia disincarnata,
ha del tutto perduto il suo primato (cfr. h. jonas, Erkenntinis und Verantwortung,
op. cit., pp. 100 ss.). Ed e precisamente questa una delle ragioni fondamentali
dell'assunzione a fenomeno guida dell'ontologia non dello a> mhqxpo| hexqgsijo*|,
che in effetti era gia stato messo completamente da parte con il Dasein heideggeriano, bens del corpo vivente.
145
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fenomeno deve essere prefigurato nella tendenza generale dell'essere. Ma non solo: di fatto, l'argomento si curva su se stesso, implicando che l'emergere dello scopo in natura sia ancora oggetto del suo
scopo generale: ``Ci guardiamo bene dal sostenere che la vita sia `lo'
scopo o anche solo uno scopo principale della natura, non potendo
avanzare a questo proposito nessuna ipotesi; e sufficiente dire: uno
scopo. Ma se (in base a un'ipotesi non irrazionale) `l'essere-scopo'
(Zwecksein) fosse lo scopo fondamentale, per cos dire lo scopo di
tutti gli scopi, allora la vita, nella quale lo scopo diventa libero,
sarebbe una forma eletta per favorire la realizzazione di questo
scopo'' [PR, pp. 92 s.]. Questo modo di procedere mordendosi la
coda e abbastanza caratteristico: gia prima, vedevamo che il valore
universale era definito come la possibilita dei valori particolari, cos
come ora lo scopo generale e primariamente l'esistenza degli scopi
particolari. Ex concessis, notiamo che spiegare gli scopi determinati
come nient'altro che l'occasione per lo scopo indeterminato comporta una notevole perdita di definizione dell'idea stessa di scopo e
una certa tautologicita del discorso. Infatti, se lo scopo e cio per cui
avviene qualcosa, sostenere che scopo della natura e l'evoluzione
della soggettivita teleologica, significa dire che l'in vista di che e
cio in vista di cui esso stesso avviene, o anche che la natura avviene
in vista di cio in vista di cui avviene, in vista della pura forma
dell'in vista. Insomma, significa non limitarsi a dire che la natura e
ponendo degli scopi determinati, ma che la natura e per porre degli
scopi, quali che siano. In tal senso, pero, la natura dovrebbe essere
mezzo di un soggetto che intende questo scopo generale, e dunque
l'intera posizione difficilmente sfugge ad una interpretazione trascendente, ossia non riesce a far a meno di chiamare in causa l'arcano 14.
14
Che le cose stiano effettivamente cos, lo corrobora Jonas stesso in Cibernetica e scopo, indirettamente confermando anche che la riduzione dello scopo a
tendenza e un impoverimento del concetto: ``sembra che, una volta che abbandoniamo il senso originario di scopo (purpose) inteso come propositum, quello che
qualcuno si propone come fine della direzione della propria azione, siamo costretti
ad ascrivere a ogni essere attivo uno scopo, e cos a privare la definizione di ogni forza
definitoria'' [OeL, p. 156]. Pertinente mi sembra anche l'affermazione presente in
Dell'uso pratico della teoria, ivi, p. 246: ``la convalida del valore richiede una trascendenza, dalla quale va dedotta'', ove ```trascendenza' (qualsiasi altra cosa comprenda l'espressione) implica oggetti che stanno al di sopra dell'uomo''.
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sommato era piu naturale. Per spiegare cosa intenda con cio, pero,
ho bisogno di riassumere brevemente, quasi solamente elencare, i
punti centrali della questione.
La storia della vita manifesta lungo tutto il suo corso l'attivita del
principio di mediazione tra le polarita dell'essere che progressivamente si dispiegano, moltiplicandosi e approfondendosi proprio grazie a cio. Il movimento, tutto interno all'essere come relazione tra i
suoi modi, e dunque intrinsecamente orientato alla liberta, nel senso
di una ``teleologia immanente'', ossia tale da non aver bisogno ed
essere anzi quasi incompatibile con la preesistenza alla serie dei momenti di uno scopo intenzionale determinato 2. Nonostante cio, sempre piu evidentemente si palesa un elemento di trascendenza, il cui
senso primario di tendere al di la di se, che inizialmente rimane
nell'immanenza in quanto l'al di la e il polo alternativo dell'essere, si
specifica come autoriflessione del se nel pensiero. Questo significa
che nel suo progresso la liberta tende a concentrarsi e dimorare
stabilmente nel polo interiore, lasciando apparentemente l'esteriorita
abbandonata a se stessa come semplice substrato della coscienza. In
realta, pero, la mediazione che avviene nell'autoriflessione tra pensiero e se ricomprende come polo oggettivo anche il se che pensando
si pone in relazione all'estensione, e dunque ricomprende anche questa ed ogni altra polarita riconducibile alla dimensione spaziale e
materiale, analogamente a come Hegel parlava dell'aufheben come
superamento e conservazione del negativo. La ``trascendenza immanente'' dello spirito, nondimeno, si trova ora a doversi fare carico della
materialita, che e per se esclusa dalla mediazione diretta, per quanto
per noi vi rimanga implicata 3. Quella che era piena immanenza, come
intimita all'essere della mediazione e al tempo stesso integrale coinvolgimento dell'essere in essa, diviene qui il distillarsi della mediazione nel medium del pensiero: che e appunto, a partire da questo
2
Cio e del tutto esplicito in OeL, pp. 46 ss., ove ``la teleologia come modo
causale della natura stessa'' e contrapposta alla ``teleologia trascendente del tipo
che potrebbe aver esercitato per un'unica volta ad esempio il creatore dell'esistente
sistema della natura''.
3
Invero, essa continua a presentare instancabile le sue esigenze all'integrita
dell'uomo, che comunque coincide, pur non essendo identico, con la sua materia e
sempre dipende da essa: in cio, peraltro, riposa la possibilita negativa che l'uomo
nella sua concreta corporeita intensiva-estensiva sia ridotto a mero portatore dello
spirito (cfr. MGS, p. 28).
156
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semplicemente di inizio, significa precisamente riferirsi anche a questa causa che, un tempo o all'inizio del tempo, ha fatto il mondo.
Creare, ovviamente, e qualcosa di piu che fare o causare, ma per il
momento ci basti questa determinazione preliminare, che non implica ancora alcun riferimento alle ulteriori determinazioni del concetto nella tradizione religiosa ebraica ove e nato, determinazioni
rispetto alle quali Jonas si permette peraltro una grande liberta.
Gia in questi termini molto formali, comunque, l'idea della creazione e tale da modificare radicalmente la concezione del dispiegamento dei modi dell'essere nella natura, dispiegamento che in un certo
senso diviene solo ora veramente una storia (sacra) dell'essere. Infatti,
laddove in termini metafisici il processo dalla materia alla vita e da
questa allo spirito puo essere inteso come progressiva realizzazione di
una logica unitaria che, se si risale indietro fino a pensare ad un
principio (che non e necessariamente un inizio temporale), deve esservi stata presente nella sua forma piu germinale e semplice 6, in
termini di teologia della creazione si finisce per porre all'inizio gia la
pienezza di Dio, che rimane distinto e sempre distinguibile, se non dal
suo atto creativo, almeno dalla creazione stessa. Riguardo al tema della
teleologia, cio significa che lo scopo e effettivamente presente prima
della serie, e prefigurato al di la di essa e non e la sua configurazione
attiva, e l'intenzione dello spirito divino prima della creazione, rispetto
alla quale la natura rischia di divenire appunto mero mezzo e non piu
la realta agente della logica della tendenza che emerge come spirito
solo alla fine, nel suo autorispecchiamento. Conseguentemente, rispetto al principio della mediatezza in Jonas, dunque rispetto alla
liberta, non potrebbe piu valere cio che Hegel scriveva sull'idea
come ``essenzialmente processo'': ``l'idea e essa stessa la dialettica, la
second'ordine rispetto a tutte le altre: non sono mancate, infatti, determinazioni del
principio nei termini piu o meno lati delle cause materiali (ilozoismo ed atomismo),
formali (platonismo) e finali (aristotelismo), ma mai in termini di causa efficiente, la
quale interviene per lo piu, se in generale interviene, solo a mediare tra le altre (come
il demiurgo platonico).
6
Nel contesto dell'idealismo hegeliano cio e espresso chiaramente nel primo
momento della logica: ``Il puro essere forma il cominciamento, perche esso e cos
pensiero puro, come e, insieme, l'elemento immediato semplice e indeterminato; e il
primo cominciamento non puo esser niente di mediato e di piu particolarmente
determinato'' (g. w. f. hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio,
tr. it. di B. Croce, Roma-Bari 1983, p. 101).
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Questa idea, che ha una sua attrattiva, l'abbiamo vista gia esposta,
e forse meglio, in Armonia, equilibrio e divenire, ove si parlava del
``principio negativo di selezione del reale non attraverso scelta tra il
possibile, bens attraverso soppressione dell'impossibile che si presenta'', il che sembrava in grado di rendere conto dell'armonia ``in
base al mero principio del mutamento in se, con nessun altro principio di controllo come possibilita (nel senso di capacita di esistere) e
occasione (che puo essere anche occasione di cose impossibili)''.
Occasione che, ```all'inizio', prima di ogni sistema, e questione del
caso senza regole e quindi del piu vasto campo d'azione'' [OeL, p.
85]. Il caos, dunque, e originariamente la dimensione delle occasioni
casuali, che divengono legge e sistema dopo essere passate entro il
filtro della possibilita come durata nell'esistenza.
Proprio questi due termini, possibilita e occasione, sono pero i
punti deboli dell'argomento: la ``capacita di esistere'' delle formazioni
casuali, anche come semplice permanenza relativa, deve implicare
gia un ordine delle condizioni della durata materiale. In altri termini,
non possiamo evitare di chiederci perche cio che si e imposto si e
imposto; qual e la ragione della maggiore durata di certe strutture
rispetto ad altre; quale, semmai, la legge della natura circa le condizioni generali della materialita (una simile legge era cio che cercava
Heisenberg con la teoria del campo unificato 10). Non rispondere a
queste domande, addirittura ritenerle insensate per quanto riguarda
la situazione caotica iniziale, significa pretendere che la teoria puo
fare a meno del principio di ragion sufficiente: ovvero che non e una
teoria esplicativa. Per quanto riguarda, invece, le occasioni che si
presentano casualmente ed invero non solo all'inizio, se e il disordine sempre residuo a tenere vivo il processo dell'evoluzione e a
spingerlo verso sempre nuove formazioni [cfr. MGS, pp. 14 s.] ,
notiamo che attribuirle al caos significa gia essere ben al di la della
concezione del disordine come omogeneita e mancanza di struttura.
Se e costante generazione di forme, per quanto casuale, se comunque ha una potenza creativa del nuovo, il caos non puo essere neanche all'inizio piena adiaforia: ``totale indifferenza e dinamicita'', insomma, e una contraddizione in termini.
Cfr. w. heisenberg, La teoria dei quanta e la struttura della materia, in: id.,
Fisica e filosofia, tr. it. di G. Gnoli, Milano 1994, pp. 174 ss., in particolare 188-195.
10
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secamente possibile e gia questa deduzione ``quasi triviale'' e sufficiente a modificare il concetto fisico di materia [MGS, pp. 20 s.].
Infatti, se non si vuole ammettere che la soggettivita, come cio
che non e mai indifferente, emerga ``da cio che e in tutto e per tutto
indifferente, neutrale'' e che sia ``anche questo emergere stesso un
caso del tutto neutrale'', si e portati a pensare ad una sorta di ``preferenza nel grembo della materia''. Non certo uno scopo, ne una
predisposizione determinata e deterministica, bens ``una tendenza,
quasi un anelito, che coglie l'occasione di un caso cosmico''. Piuttosto
che di Logos cosmogonico, dunque, si potrebbe parlare di un ``Eros
cosmogonico''. E in tale contesto Jonas, oltre a ribadire ed adattare la
teoria delle occasioni favorevoli in seno allo sviluppo della materia,
che verrebbero colte in grazia di questa tensione, ritorna anche
all'argomento per analogia de Il principio responsabilita, concludendo che il carattere autofinalizzato della vita puo ben essere ``il
fine segretamente perseguito'' nell'impresa cosmica. Tutto cio implica che la ``materia e dall'inizio soggettivita nella latenza'' e, d'altro
canto, che la finalita attiva, evidente nell'animale come ente naturale,
``non puo essere estranea alla natura, essa deve essere naturale, ossia
conforme a natura, condizionata naturalmente e autonomamente
prodotta dalla natura''. Si mostra, insomma, ed e ``ancora una voce
dell'immanenza su se stessa'', una ``potenza teleologica'', che agisce
come tendenza in tutto il regno della natura [MGS, pp. 21 ss.].
A questa voce dell'immanenza, pero, e dunque alla testimonianza
della soggettivita vivente, si aggiunge la voce dell'uomo, che dalla
sommita della vita apre un ``orizzonte di trascendenza''. Qui Jonas
rinuncia a seguire il piu lungo percorso della sua antropologia filosofica e si concentra immediatamente sulla liberta dello spirito come
dimensione di questa trascendenza, una liberta invero triplice. In
primo luogo, vi e la liberta del pensiero come autodeterminazione
nella scelta del suo oggetto, a cui si aggiunge ``la liberta di variazione
del dato sensibile nelle immagini interiori prodotte autonomamente'', ossia ``la liberta inventiva della facolta immaginativa''. In
ultimo, poi, si presenta ``la liberta di oltrepassare ogni datita e la
sua dimensione in quanto tale: dall'esistenza all'essenza, dal sensibile
al sovrasensibile, dal finito all'infinito, dal temporale all'eterno, dal
condizionato all'incondizionato''. E tutte queste facolta transanimali
dell'uomo sono forme di presa di distanza e relazione mediata: la
prima dall'oggetto che si impone immediatamente, ossia dalla situa-
164
zione determinata; la seconda dall'essere-cos delle cose e dalla reazione istintiva al loro presentarsi; la terza ``dal legame all'essere di cio
che e presente nel mondo in generale''. Conseguentemente, da
ognuna di loro e dal loro insieme emerge anche la possibilita fondamentale di porsi fini del comportamento: la liberta morale e con essa
``il regno della ragion pratica''. E, in ultimo, questa intera complessione forma il presupposto della liberta piu mediata e somma, quella
dell'autoriflessione [MGS, pp. 25 ss.].
Ovviamente, a caratterizzare la novita radicale di questo momento dello sviluppo non e semplicemente la presenza della liberta,
che anzi fa il suo ingresso sulla scena del mondo sin dall'inizio o
quantomeno sin dalla prima forma di vita: ``Un principio della liberta
e modi attuali della stessa sono riconoscibili gia nell'essere organico,
metabolizzante, in quanto tale, cioe in tutto il vivente''. Lo sviluppo
graduale delle modalita della liberta nel regno animale, pero, prepara
il ``salto qualitativo'' che avviene nell'uomo, la sua ``immanente trascendenza'', il cui ``modo eminente'' e proprio la liberta della riflessione come il luogo ove prende coscienza di se ``il soggetto della
soggettivita stessa'', che diviene cos oggetto della propria liberta,
teorica e morale, e conseguentemente soggetto della ``cura di se''
[MGS, pp. 28 s.]. Con riferimento alle coordinate fondamentali dell'antropologia filosofica di Jonas, andrebbe qui aggiunto che l'uomo
diviene oggetto anche della propria liberta tecnica, che e poi il tema
centrale delle riflessioni bioetiche dello stesso Jonas.
In ogni caso, anche questo nuovo reperto della soggettivita autoriferita deve contribuire a sua volta alla riformulazione della filosofia
della natura: ``L'esistenza dell'interiorita nel mondo e con essa anche
l'evidenza antropica di ragione, liberta e trascendenza, sono dati
cosmici. In quanto tali appartengono agli elementi in generale obbligatori di una cosmologia. La loro testimonianza dice: l'universo e
siffatto che qualcosa del genere e in esso possibile, forse addirittura a
partire da esso necessario. Impariamo cos qualcosa anche sulle sue
cause prime, cioe sulla creazione? Con tale domanda, passiamo definitivamente dal reperto cosmologico alla congettura cosmogonica'',
che rimane necessariamente un tentativo, ``e con tutta probabilita
errato''. Come vediamo, inizialmente il discorso e analogo a quello
svolto per l'ontologia della vita: come essa, anche l'antropologia filosofica e un punto di vista ulteriore per la reinterpretazione della
cosmologia ed in quanto tale ``e parte integrante di ogni ontologia,
165
che meriti tale nome''. E cos come il dato della vita aveva consentito
l'individuazione di una tendenza erotica nella natura, tale da giustificarne lo sviluppo verso l'organico, anche il ``fatto oggettivo nel
mondo'' dell'esperienza di se dell'uomo pretende il riconoscimento
della sua possibilita intrinseca nella materia. Eppure, questo riconoscimento e piu difficile, poiche, nel caso dell'uomo, non disponiamo
piu della testimonianza dell'immanenza sull'immanenza, ma abbiamo
a che fare con questa singolare ``trascendenza immanente'', che al di
la dell'ossimoro e del tutto reale come effettiva alterita dello spirito
rispetto alla materia in cui sempre alberga [MGS, pp. 31, 35].
Un senso possibile della realta metafisica di questa trascendenza puo rinvenirsi nel mutato indirizzo dell'andare al di la,
proprio formalmente ad ogni trascendenza: se, infatti, nell'organico
si tratta sempre di un tendere al di la di se verso il mondo (e proprio
in questo movimento verso basato sul bisogno si apre la possibilita della distanza-mediazione), nell'uomo, e proprio perche il se e
qui l'oggetto della sua riflessione e non individualita irriflessa, l'andare al di la avviene entro il confine del se, che e cos distaccato
dalla materia come sua dimora indifferente. Questo significa, pero,
che se era ancora possibile rinvenire nell'immanenza delle condizioni materiali l'inconscia tendenza teleologica alla vita, come ``dimensione interiore in latenza'', e tutto cio nell'ambito di una ``filosofia immanente della natura'' che non ricorre a nessuna ipotesi di
un'``intelligenza `veggente' all'inizio, nessuna previdenza eterna di
cio che infine si temporalizza'', tutto cio per lo spirito risulta impossibile. Distaccatosi dalla materia, non vi e piu, apparentemente,
una via possibile dalla pura materia ad esso: nei termini di Jonas, la
causa prima dello spirito non puo essere stata meno che spirito
[MGS, pp. 35 ss.].
Questa tesi, pero, e meno dualistica di quanto non sembri a
prima vista (e tuttavia non e certo monolitica nel suo monismo): in
effetti, Jonas continua a ritenere necessaria l'assunzione della potenzialita dello spirito gia all'inizio della materia, come attribuzione a
questo qualcosa di ``estraneo allo spirito'' della ``dotazione della possibilita dello spirito'' [MGS, p. 39]. In tal modo, rimanendo entro i
limiti dell'ontologia o, se si vuole, di una metafisica atea, questa
sarebbe solo un'integrazione e quasi un pleonasma delle considerazioni precedenti sull'eros cosmogonico, anche in considerazione del
fatto che nella liberta della riflessione non si manifesta una dialettica
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va interamente al di la di cio che puo essere dedotto dalla cosmologia, essa deve nondimeno rendere conto del suo dato e aderirvi 11.
Conseguentemente, ``se continuiamo ad attenerci alla tesi intuitiva, che la causa prima e creatrice dello spirito deve essere stata essa
medesima spirito, che si astiene pero da ogni successivo intervento
nel corso del mondo, allora la questione diviene in che modo essa ha
affidato la causa dello spirito alla sostanza cosmica inizialmente priva
11
Cfr. MGS, pp. 41-48. Nel dato cosmologico Jonas ricomprende, come abbiamo visto, l'ipotesi scientifica circa l'evento dell'inizio del mondo, appunto la teoria
del Big Bang, che proposta per la prima volta da Gamow nel 1948 si andava perfezionando proprio negli anni in cui Jonas svolgeva queste sue riflessioni. Tenuto
presente che questa teoria non era allora e non e ancora oggi incontestata, notiamo
che essa e solo un'ipotesi circa un particolare stato di concentrazione e instabilita
dell'energia-materia in un punto del passato, dal quale cerca di dedurre lo stato
attuale del sistema universale, secondo una logica che prevede necessariamente
anche un prima dello stato assunto come iniziale ed un'evoluzione verso di esso:
l'energia, quantomeno, non e creata (per definizione: primo principio della termodinamica) ed essendo sostanzialmente dinamica non puo aver cominciato in un
qualche momento il gioco delle sue trasformazioni. Tutt'al piu, e compatibile con i
fondamenti della termodinamica un processo ciclico di espansione e contrazione
dell'universo, una sorta di ritmo empedocleo tra sfero e caos, o anche di eterno
ritorno, se non si vuole ammettere che cio che non puo aver inizio nel tempo, finisca
nel tempo (l'apocalittica negativa della morte termica: una vera a\ po*jqtwi|). Tuttavia, non ritengo che sia possibile un uso filosoficamente positivo delle teorie cosmologiche o scientifiche in generale, finche non si siano chiariti i presupposti filosofici impliciti in quelle stesse teorie e non si sia presa una posizione autenticamente
filosofica nei loro confronti. Che la posizione dello stesso Jonas sia stata al riguardo
piu attenta di quanto non appaia a prima vista, lo conferma il testo di una sua lettera
ad Adolph Lowe, ove criticando il ``concetto della materia naturale neutrale'', Jonas
nota: ``Logicamente, ad esempio, gia tramite il concetto impossibile dell'inizio piu
improbabile, che richiede il concetto della fine piu probabile (come se l'arco teso al
massimo, per quanto spieghi il volo della freccia, potesse essere esso stesso l'inizio
della spiegazione): invece di spiegare l'improbabile a partire dal probabile (l'ordine a
partire dal disordine: Kant-Laplace), esso spiega il probabile a partire dall'improbabile, il minimo a partire dal massimo, la degenerazione a partire dalla creazione [...].
Il principio dell'entropia non esprime nient'altro che il dispendio di costi dello
sviluppo cosmico e lascia immutata la domanda intorno al da dove, il perche e il
verso dove. Il modello totalizzato dell'entropia, pero, estrapolato da sistemi parziali
finiti, e contraddittorio oppure, invece di essere ontologicamente autosufficiente, si
trascende nei propri presupposti'' (h. jonas, Due lettere, a cura di Paolo Becchi, in:
Ragion pratica, Anno viii n. 15, Genova 2000, pp. 25 s. Cfr., inoltre, id., La
domanda senza risposta. Alcune riflessioni su scienza, ateismo e la nozione di Dio,
ed. it. a cura di E. Spinelli, Genova 2001, pp. 55, 71 ss.). Per ulteriori considerazioni
circa queste tematiche, cfr. n. russo, Filosofia ed ecologia. Idee sulla scienza e sulla
prassi ecologiche, op. cit., pp. 75 ss.
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piu della sua riaffermazione identica: l'esperienza del mondo promette l'eventualita di un raccolto potenzialmente positivo o negativo,
in ogni caso di un mutamento del Dio che si e avventurato nella
storia dell'essere.
In un altro contesto, Jonas argomenta cio contro Nietzsche: ``Una
conseguenza secondaria dell'idea del dio diveniente e che essa distrugge l'idea di un eterno ritorno dell'identico'', l'alternativa nietzschiana alla metafisica cristiana ed ebraica, che ``e in realta il simbolo
estremo della tendenza verso la temporalita incondizionata e verso
l'immanenza, affrancata da ogni trascendenza e in condizione di
serbare eterna memoria di cio che passa e tramonta nel tempo''. A
questo tipo di ricomposizione ciclica delle condizioni iniziali del
grande anno dell'essere, Jonas contrappone una concezione progressiva: ``Se tuttavia ammettiamo che l'eternita sia in qualche modo
toccata da cio che accade nel tempo, allora non puo esserci un eterno
ritorno dell'identico: poiche Dio non puo essere lo stesso, dopo aver
fatto esperienza di un processo cosmico. Ogni nuovo mondo, che si
presenta alla fine di quello che lo ha preceduto, subira in cio che
eredita la memoria di cio che e passato o in altre parole: non ci sara
un'eternita indifferente, morta, ma una eternita che cresce col crescere di cio che il tempo ammassa e riunisce'' 14.
Queste ultime tesi, davvero singolari e arcaiche, dimostrano
come Jonas fosse profondamente coinvolto nei suoi studi sullo gnosticismo, anche a dispetto dell'intenzione essenzialmente critica che
lo muoveva: infatti, l'idea di una processione dei mondi, che qui
viene esplicitamente sostenuta, egli la conosceva dal De Principiis di
Origene, opera eretica che interpreta come prossima alla gnosi. Nella
concezione del suo predecessore, all'inizio degli inizi e la caduta, cui
Dio reagisce con la creazione, la prima di una lunga serie intervallata
14
h. jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, op. cit., p. 30. Ovviamente, un
mito non puo distruggere un'idea, tutt'al piu manifesta la sua differenza e incompatibilita. In ogni caso, l'interpretazione di Jonas dell'eterno ritorno come simbolo
dell'autosufficienza del tempo e dell'immanenza mi sembra sostanzialmente condivisibile. Piu in generale, sarebbe interessante indagare in maniera accurata il debito
che Jonas ha nei confronti del pensiero nietzschiano, nonostante le diverse critiche
che gli rivolge esplicitamente: e fondato, infatti, il sospetto che spesso, seppur perlopiu implicitamente, egli abbia presenti e faccia sue tesi che ben conosceva a partire
dalla sua frequentazione giovanile degli scritti di Nietzsche (cfr. h. jonas, Erinnerungen, op. cit., p. 65).
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sicura nelle lente mani del caso cosmico e delle probabilita del suo
gioco delle quantita mentre di continuo, possiamo presumere, si
accumula [dove?] una paziente memoria del ruotare della materia e
cresce formando l'attesa presaga con cui l'eterno accompagna sempre piu le opere del tempo un esitante emergere della trascendenza dall'opacita dell'immanenza. E poi il primo moto di vita, un
nuovo linguaggio del mondo: e con esso un enorme aumento dell'interesse nell'ambito eterno e un salto improvviso nella crescita per
riacquistare la sua pienezza. E il caso del mondo che la divinita in
divenire aspettava e con cui la sua prodiga posta inizia a mostrare
segni del suo finale riscatto. Dalla risacca, che cresce all'infinito, di
sentimento, percezione, aspirazione e azione, la quale si alza sempre
piu varia e intensa sul muto turbinio della materia, l'eternita acquista
forza, si riempie, contenuto dopo contenuto, di autoaffermazione e
per la prima volta il Dio che si risveglia puo dire che la creazione e
buona'' [OeL, pp. 298 s.].
La prima soglia e oltrepassata, il primo salto, dalla materia alla
vita, verso il riempimento dell'essenza di Dio, che nell'inizio si e
svuotata nel mondo 17. Un Dio che e ``diveniente'' proprio grazie
all'abbandono di se con il quale si e concesso nella creazione. Il
che significa che il divenire di Dio avviene a partire dal suo essere,
dalla pienezza di se prima della creazione, dalla quale recede: la
divinita prima del tempo e, e solo essendo sceglie il divenire come
passaggio verso una nuova pienezza, stadio che ha un termine ideale
nel riscatto finale, quando la divinita torna incondizionatamente a
essere, arricchita 18.
Intorno a cio, Jonas torna ad esprimersi con piu ampiezza ne Il
concetto di Dio dopo Auschwitz, ove possiamo leggere che la creazione, oltre a comportare ``per Dio una certa dose di sofferenza'',
``presenta l'immagine di un Dio diveniente. E un Dio che si cala nel
17
L'idea del processo di svuotamento-riempimento ha qualche attinenza con la
reinterpretazione della dottrina cabalistica dello TzimTzum, che Jonas discute ne Il
concetto di Dio dopo Auschwitz, op. cit., pp. 37, 42.
18
Questa prospettiva e compatibile con la dimensione piu ampia che prima
chiamavamo storia di Dio, che e ovviamente una storia sui generis: successione
di perfezioni ed eternita compiute, sempre potenzialmente disposte a rialienarsi in
un processo cosmico, ove solamente pero compare il divenire vero e proprio. Tale
visione e certo logicamente azzardatissima e forse rigorosamente non formulabile in
termini razionali coerenti, ma cio le appartiene in quanto, appunto, visione e mito.
173
h. jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, op. cit., pp. 28 ss., 35.
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mento prende possesso della posta divina. L'avvento dell'uomo significa l'avvento del sapere e della liberta e con questa dote, estremamente a doppio taglio, l'innocenza del mero soggetto della vita
che realizza se stessa fa posto al compito della responsabilita disgiungendo bene e male'' [OeL, p. 300].
Dalla vita all'uomo, il secondo passaggio fondamentale, ove comincia il vero rischio, poiche l'uomo e libero, e liberta autoconsapevole e potente, soprattutto nella negazione: egli non puo farsi Dio,
ma puo distruggere la vita, anche la propria. Egli, comunque vada a
finire, proprio per questa sua potenza e responsabile dell'esito, fautore della sua riuscita o colpevole per il suo fallimento: ``All'opportunita e al pericolo di questa dimensione di realizzazione e da adesso
in poi affidata la causa divina, che solo ora e divenuta manifesta, e il
suo esito e in bilico. L'immagine di Dio, cominciata nell'universo
fisico in modo cos esitante, cos a lungo in lavorazione e lasciata
indecisa nelle ampie e poi restringentisi spirali della vita preumana,
passa con quest'ultima svolta e con una drammatica accelerazione
del movimento nell'incerta custodia dell'uomo per venire realizzata,
salvata o rovinata da cio che egli fa di se e del mondo. E in questo
spaventoso impatto delle sue azioni sul destino di Dio, nel loro effetto su tutto lo stato dell'essere eterno, consiste l'immortalita
umana'' 20.
Questo e il mito teologico che conclude Organismo e liberta,
osando un'ipotesi complessiva su origine e destinazione della materia, della vita e dell'uomo, un'ipotesi che cerca di rimanere coerente
con gli esiti dell'ontologia della vita, pur superandoli ovviamente di
molto. Alcune considerazioni piu particolari sulla compatibilita tra i
risultati della biologia filosofica e quelli di questa teologia le faremo
nell'ultimo paragrafo, dopo aver brevemente mostrato qui, come in
questo suo tentativo Jonas non abbia di mira solamente una lettura
unitaria della storia dell'essere a partire dall'idea di Dio, lettura che
in buona misura gli riesce, ma cerchi anche una via per la fondazione
dell'etica, che si differenzia da quella che poi imbocchera con il
principio responsabilita e, a tratti, e in netta contraddizione con
essa 21.
20
OeL, p. 300. Sulla ``responsabilita come lato complementare della potenza'',
cfr. h. jonas, Dem bosen Ende naher, op. cit., p. 60.
21
In w. e. muller, Der Begriff der Verantwortung bei Hans Jonas, op. cit., pp.
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Cfr. l'introduzione di Pier Paolo Portinaro a PR, p. xix, che riconosce proprio
nella tematica del dualismo un elemento in grado di sfatare ``l'apparente eterogeneita
di interessi e tematiche delle tre stagioni di pensiero'' di Jonas. In v. hosle, Ontologie und Ethik bei Hans Jonas, op. cit., p. 108, si arriva a dire che ``il fine ultimo della
filosofia di Jonas puo essere visto nel superamento (Uberwindung) critico dei dualismi della modernita'', il che e certamente eccessivo, per piu ragioni. In primo luogo,
proprio a Hosle va obiettato che in questo caso si dovrebbe parlare certamente di
Aufhebung e non di Uberwindung. Piu sostanzialmente, pero, e necessario spostare
la prospettiva dalla dimensione negativa a quella positiva: il superamento del dualismo piu che fine ultimo e un mezzo primario per il raggiungimento del fine positivo
rappresentato dalla riconfigurazione del nesso unitario tra filosofia dell'organico e
filosofia dello spirito, tra ontologia ed etica. Ma al di la di quanto possiamo affermare
sulla base delle analisi svolte in queste pagine, e evidente che una trattazione complessiva del tema del dualismo lungo tutto il pensiero di Jonas avrebbe comportato
scrivere un'altra monografia: nel presente contesto, dunque, non e possibile una
182
mente teoretiche, ha un saldo fondamento nell'esigenza, assolutamente determinante per Jonas, di portare argomenti a salvaguardia
l'umanita dell'uomo. In che senso diciamo cio, ovvero in che modo il
dualismo rappresenterebbe una minaccia per l'idea di umanita?
Una risposta articolata l'abbiamo gia trovata all'interno della storia dell'ontologia: il dualismo, svuotando la natura di ogni contenuto
spirituale, al fine di salvare la purezza dell'anima, ha posto una barriera insormontabile tra uomo e natura, una barriera che ha finito per
scindere l'uomo stesso in due sostanze estranee e, nonostante la
ghiandola pineale, essenzialmente prive di relazioni. L'autentico se
dell'uomo vivrebbe nella pura interiorita immateriale, almeno momentaneamente prigioniera del corpo, che e lasciato in balia della
cieca meccanica materiale. Su questa base, poi, si e giunti a sopprimere di fatto l'ipotesi dualistica, a favore di un monismo dell'estensione che ha preteso dissolvere il polo interiore ove si era rifugiato il
principio spirituale dell'uomo. Nell'ambito delle scienze naturali moderne, che hanno fortemente contribuito a questo processo, tutto cio
si esprime nel rifiuto delle cause finali e dell'antropomorfismo, un
rifiuto tanto preconcetto da giungere al paradosso, come nota giustamente Jonas, di rifiutare l'interpretabilita antropomorfica dell'uomo stesso 2.
Anche a prescindere, pero, dal successivo esito panmeccanicistico, gia nelle forme iniziali del dualismo, che pure esprimevano
un'esigenza di esaltazione dell'essenza dell'uomo, questa esaltazione
e a caro prezzo: ``Nel momento in cui egli non partecipa piu a un
senso della natura, bens attraverso il suo corpo soltanto alla sua
determinazione meccanica, allora la natura non prende parte al suo
interesse interno. Quindi proprio cio per cui l'uomo e superiore a
tutta la natura, che lo distingue in modo piu esclusivo, lo spirito, non
risulta piu in un'integrazione superiore del suo essere nella totalita
dell'essere, bens segna al contrario l'abisso incolmabile che lo separa
sintesi complessiva, ma solo presentare certe riflessioni particolari relativamente
all'ontologia della vita e alla teologia speculativa. Per un orientamento a grandi linee,
vedi sopra la nota 22 a p. 19 e cfr. PR, pp. 84 s. e h. jonas, Erkenntnis und
Verantwortung, op. cit., pp. 98 ss., ove Jonas parla di una sua vera e propria ``rivolta
contro il dualismo''.
2
Oltre ai luoghi gia citati precedentemente, una sintesi efficace di questo sviluppo e in Percezione, causalita e teleologia, OeL, pp. 36 ss., in particolare 46 ss., e in
Materialismo, determinismo e lo spirito, ivi, pp. 170 ss.
183
184
un unico punto di vista: ``La frattura fra uomo ed essere totale e alla
base del nichilismo. La discutibilita logica della frattura, cioe di un
dualismo senza metafisica, quindi di un dualismo con un presupposto monistico, non rende meno reale il suo dato di fatto e nemmeno
piu accettabile la sua alternativa. Lo sguardo fisso sul se isolato, a cui
essa condanna l'uomo, puo volersi scambiare con un naturalismo
monistico che, con la frattura, eliminerebbe al contempo l'idea dell'uomo in quanto uomo. Fra questa Scilla e quella Cariddi, la sua
sorella gemella, fluttua lo spirito moderno. Scoprire se gli sia aperta
una terza via, una che eviti l'estraniamento dualistico e salvi pero
abbastanza dell'intuizione dualistica per conservare l'umanita dell'uomo, e compito della filosofia'' [OeL, pp. 268, 284].
In questa formulazione, che chiude il capitolo dedicato a Gnosi,
esistenzialismo e nichilismo, e chiaramente espressa la duplice esigenza, che spinge Jonas costantemente a mettere in discussione il
dualismo e al tempo stesso lo tiene nella sua prossimita: ``conservare
l'umanita dell'uomo'' significa evitare tanto la scissione delle sostanze, quanto l'annullamento delle differenze. Come si diceva gia
all'inizio, infatti, il dualismo avrebbe avuto un reale fondamento
ontologico: ``la duplicita che esso porto alla luce e fondata nell'essere
stesso. Un nuovo monismo integrale, ossia filosofico, non puo annullare la polarita, ma deve venirne a capo, deve superarla in una superiore unita dell'essere, dalla quale gli opposti escono come facce
della sua realta o fasi del suo divenire'' [OeL, p. 25].
E precisamente su questa affermazione che qui cercheremo brevemente di misurare la coerenza interna, ossia teoretica e concettuale, del monismo integrale cui Jonas programmaticamente si volge.
Un monismo, il cui cuore e la coincidentia oppositorum nell'essere,
che e possibile sincronicamente o diacronicamente, come contemporaneita dei modi dell'essere o come successione dei gradi dell'essere. E, invero, dalla ricostruzione che abbiamo svolto sin qui possiamo dedurre che Jonas ha seguito entrambe le vie: in ogni attimo,
l'essere e articolato in polarita di opposti, la cui somma e la sua
interezza; ed ogni stadio ulteriore nella sua storia e l'apertura di
una nuova dimensione, che entra in opposizione con la precedente:
materia e vita, vita e spirito. Oltre a cio, abbiamo anche gia individuato il momento in cui questo impianto speculativo puo divenire
problematico: l'emergere dello spirito trascendente, l'autoriflessione
del pensiero, il rispecchiamento di uno dei poli su se stesso, dunque
185
186
187
vista della vita'' non come ripetizione di un'identica dinamica naturale, bens come ``rivoluzione ontologica'', l'irruzione del principio
della liberta nel mondo della necessita fisica; e tuttavia non come
rottura, bens esito di ``una tendenza operante nel profondo dell'essere proprio verso i modi della liberta ai quali questo passaggio apr
le porte''. In una importante nota a Dio e un matematico?, Jonas
scrive: ``con il concetto ontologico di liberta ci troviamo a dipendere
dalla materia, nella quale gli scopi non sono visibili, la quale tradisce
pero la sua segreta potenzialita nella temeraria avventura della vita.
Cos come secondo la testimonianza della vita la sua fissa e non libera
identita di se non e l'ultima parola dell'essere, tanto meno ha bisogno
di essere la prima. Una storia metafisica della `sostanza' potrebbe
trascenderla da entrambi i lati... Cos veniamo inevitabilmente costretti a un'interpretazione speculativa dell'essere in generale, in cui
la materia trova il suo posto come modo o stato dell'essere stesso,
come fase ontologica'' 6.
Ora, se tutto cio e pienamente coerente con l'impostazione monistica integrale, piu problematica e invece la spiegazione vera e propria
del modo in cui la segreta potenzialita o tendenza della natura verso la
vita si realizza. Cio che essenzialmente manca, e precisamente un'ipotesi di causalita materiale che abbia gia in se almeno le condizioni
per realizzare questa tendenza che la pervaderebbe: come abbiamo
gia visto, invece, Jonas parla della dinamica materiale come necessita
vuota, non sensata, ne determinata universalmente, poiche esito di
processi di selezione, dunque necessita accidentale, mera casualita. E
poi aggiunge la tendenza come un elemento estraneo, l'eros cosmogonico che interviene solo dove la causalita materiale patisce un'interruzione nella sua potenza determinante, il che avverrebbe nei
fenomeni studiati dalla teoria dei quanta.
La disponibilita della materia all'intervento di questa tendenza,
intervento appunto e non spontaneita interna, non e dunque vera
relazione, per quanto venga detta ``apertura della tolleranza nella
struttura determinativa delle cause efficienti'': e semplicemente assenza, tolleranza come indifferenza, sopportazione il cui pretesto e il
fallimento occasionale del determinismo. Laddove un processo fisico
6
OeL, p. 117 (qui, ovviamente, il concetto di sostanza e inteso in un senso piu
generico di quello cartesiano, come Stoff, substrato, materia costituente). Cfr., inoltre, ivi, p. 10.
188
189
190
191
mento, ci conferma la sua analogia con quello presentato per spiegare le relazioni tra materia e vita, analogia che Jonas stesso riconosce. In sostanza, solo dove la causalita naturale perde efficacia, diviene possibile qualcosa come l'espressione dello spirituale tramite il
corporeo, per esempio un movimento volontario, ove e chiaro che lo
spirituale e il corporeo non coincidono piu. ``Sul `margine' della
dimensione fisica, che e contrassegnato da certi apici dell'organizzazione, come i cervelli, c'e un muro poroso, al di la del quale si apre
un'altra dimensione e attraverso il quale avviene un'osmosi in entrambe le direzioni''. Proprio il modo di questa osmosi, la creazione
dal nulla di cause efficienti per riempire i buchi nella rete occasionalmente lasciati vuoti dalla natura, dimostra che le dimensioni separate dal muro non solo per niente polari: ``Il passaggio attraverso il
`muro', pero, significa ogni volta una trasformazione radicale, nella
quale cessa di esistere ogni relazione di equivalenza, addirittura il
senso stesso di una correlazione quantitativa in quanto tale [...], nell'intervallo mentale tra input e output avviene un processo di ordine
totalmente diverso da quello fisico'', un processo del senso, dell'intenzionalita, della liberta in se 14.
Insomma, lo spirito e il corpo sono ancora qui due sostanze
autonome, tangenti in un solo punto e proprio a causa dell'indifferenza reciproca: l'intero argomento, di fatto, non e altro che l'esatta
riproposizione in termini piu aggiornati della teoria dualistica cartesiana della ghiandola pineale. E questo a dispetto delle intenzioni
dello stesso Jonas, che ribadisce con forza l'esigenza di pensare i due
lati del muro come appartenenti ``allo stesso unitario essere'' 15. Un
essere che qui, pero, piu che unitario appare semplicemente complessivo, la contiguita di due alterita, ossia esattamente un essere
diviso in due parti: e certo non basta dire che due cose messe insieme
sono una somma, per sfuggire al dualismo. Come che sia, la ragione
di fondo di questa incoerenza rimane la concezione dello spirito
come radicalmente trascendente la materia, appunto come dimensione che si apre al di la del muro e non entro lo stesso spazio
ontologico. E anche volendo considerare questa dimensione esclusiIvi, pp. 78 s., 123 (nota 21).
Ivi, p. 81. Ancora piu aggiornata e l'appendice a Macht oder Ohnmacht der
Subjektivitat?, che ritraduce il discorso nei termini della meccanica quantistica, senza
mutarne il carattere (cfr. ivi, pp. 89 ss.).
14
15
192
193
Ivi, p. 31.
Ivi, pp. 32 s.
Ivi, pp. 33 ss.
194
Lasciando da parte il valore teologico di questa teodicea 21, concentriamoci su due punti. In primo luogo, sul corsivo con il quale
Jonas sottolinea la limitazione dell'abdicazione di potere durante
l'epoca del mondo al solo ``corso fisico del mondo'': ``solo alla realta
fisica va riferita l'impotenza di Dio''. Questa limitazione, che consente a Jonas di salvare i ``dogmi della chiamata delle anime, dell'ispirazione dei Profeti e della Legge e [...] dell'idea di elezione'', tutti
elementi non pertinenti al discorso ontologico, e in contraddizione
con l'assunto dell'autoalienazione di Dio, che ha ceduto integralmente la sua sostanza non solo alla materia, ma anche alla vita e
allo spirito (anzi, proprio l'esistenza dello spirito richiederebbe Dio
come la causa che si e riversata in esso). Se cos non fosse, peraltro,
anche la teodicea di Jonas fallirebbe: un Dio potente spiritualmente
sarebbe stato in grado di impedire Auschwitz, proprio dal momento
che l il male non erano ``le disgrazie e le tribolazioni che provengono
dalla cieca causalita naturale'', bens l'``oggetto della volonta umana'',
ossia dello spirito; e Dio, cos come chiama le anime e ispira i profeti,
avrebbe potuto parlare a questo spirito e costringerlo 22.
A questa prima limitazione, che gia introduce un forte elemento
di trascendenza dualistica, va aggiunta una seconda limitazione,
meno evidente, ma piu importante: la limitazione dell'epoca della
rinuncia. Dio e impotente nell'epoca del processo cosmico, ossia
solo dopo la creazione: ``Solo con la creazione dal Nulla possiamo
avere l'unicita del principio divino in uno con la sua autolimitazione,
che da spazio all'esistenza e all'autonomia di un mondo. La creazione
fu l'atto di assoluta sovranita, con cui la Divinita ha consentito a non
essere piu, per lungo tempo, assoluta una opzione radicale a tutto
vantaggio dell'esistenza di un essere finito capace di autodeterminare
se stesso un atto infine dell'autoalienazione divina'' 23.
21
Al riguardo, cfr. e. mazzarella, Pensare Auschwitz: Elementi di un'antropodicea, in: id., Pensare e credere. Tre scritti cristiani, Brescia 1999, pp. 69 ss. Cfr.
inoltre d. bohler, Verantwortung, Dialog und Menschenwurde: in dubio pro vita
quia semper pro responsabilitate, in: Verantwortung fur das Menschliche. Hans Jonas
und die Ethik in der Medizin, ``Erlanger Studien zur Ethik in der Medizin'', Band 6,
hrsg. von A. Frewer, Erlangen, Jena 1998, pp. 20 ss., ove la critica al concetto di
onnipotenza viene considerata come una delle ``condizioni iniziali di un'etica della
responsabilita''.
22
h. jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, op. cit., pp. 36 s.
23
Ivi, p. 37.
195
Atto di assoluta sovranita, atto di autoalienazione, ossia sospensione della sovranita e impotenza nel mondo. In questo nesso e la
cifra della irrimediabile tensione dualistica che l'idea di creazione
comporta. L'assoluta sovranita e precisamente l'onnipotenza del
Dio prima della creazione, condizione della creazione, che per questo e creazione ex nihilo. L'assoluta potenza, infatti, e solitudine,
assenza di relazione, immediatezza, potenza vuota. E da questo vuoto
e creato il mondo, assolutamente concesso, gratuito, in cui Dio si
autoaliena, si pone nell'altro. Un altro che rimane, pero, sempre
macchiato da questa sua nullita originaria, poiche Dio consente assolutamente a non essere piu assoluto; e solo per un tempo determinato: iniziato dall'impotenza assoluta del suo Nulla, il mondo e gia
preliminarmente revocato. Il processo di autoalienazione, dunque,
qui non riesce a raggiungere l'unita hegeliana dello spirito assoluto,
ne una diversa unita, poiche Dio rimane Altro, concedendosi si ritrae: ``Il fatto che il mondo non sia perfetto, puo significare o che non
vi e un unico Dio oppure che quell'Unico ha concesso qualcosa
all'Altro da se, da lui stesso creato'' 24.
Conseguentemente anche su questo piano ultimo, quello cui era
rinviata la possibilita della sintesi, l'esigenza di tenere l'unita che anima
tutta la riflessione di Jonas patisce la crisi di una differenza immediata.
Ancor piu che la vita nella sostanza inanimata, ancor piu che lo spirito
nel corpo, se non il Dio diveniente, almeno l'atto creatore e estraneo
al mondo, ulteriore, trascendente. Tirato fuori da Dio, il mondo rimane al di fuori del creatore e proprio per questo e imperfetto rispetto
alla pienezza e compiutezza dell'assoluto sovrano che, chiuso in se
come il tutto in tutto, decide infine invero all'inizio di estraniarsi
in esso. E questa perfezione e compiutezza, quindi, Jonas non riesce
veramente ad attribuirla alla superiore unita dell'essere come Em
Pa*msa: ot\ ntmia&rim o%jx| diaueqo*lemom e<xtsx&i o<lokoceei. paki* msqopo| a<qlomi* g o%jxrpeq so*not jai+ kt*qg| 25.
24
Ivi, p. 31.
Nella numerazione del Diels-Kranz e il frammento di Eraclito 22B51. Qui
preferisco la traduzione italiana di g. colli, La sapienza greca. Vol. III: Eraclito,
Milano 1988, frammento 14 [A 4], pp. 22 s.: ``Non comprendono come, disgiungendosi, con se stesso si accordi: una trama di rovesciamenti, come quella appunto
dell'arco e della lira''.
25
196
Camera F. 63
Carter B. 144
Cartesio 21, 22, 39, 40, 41, 42, 46, 47,
48, 53, 55, 60, 71, 75, 97, 108, 113,
144, 185, 187, 191
Cassirer E. 118
Ciaramelli F. 67
Colli G. 195
Culianu I. P. 17, 20, 183
Ebbinghaus H. 98
Ebbinghaus J. 98
Eliade M. 101
Empedocle 167
Eraclito 195
Dal Lago A. 17
Gadamer H.-G. 42
Fichte J. G. 65
Foppa C. 54
Forte B. 158
197
198
Galilei 69
Galli E. 16
Gamow G. 167
Gehlen A. 85, 110, 111, 112, 115, 116,
117, 123
Gethmann-Siefert A. 14
Gohau G. 89
Hartmann N. 111, 141
Hartshorne C. 186
Hegel G. W. F. 133, 136, 155, 157,
158, 168, 173, 186, 195
Heidegger M. 18, 19, 27, 28, 29 33, 79,
114, 117, 122, 144, 176, 183
Heisenberg W. 161
Hosle V. 13, 27, 80, 156, 181
Hume D. 20, 55, 98
Husserl E. 19, 117
Jakob E. 29, 33, 175
Jeans J. 68, 69, 71
Kant I. 54, 55, 64, 66, 140, 167
Kapp E. 117
Kass L. R. 111
Keplero 69
Kersten F. 118
Kuhlmann W. 14
Landkammer J. 16
Landmann M. 110
Laplace P. S. 167
Leibniz G. W. 69, 139, 140, 150, 177
Lories D. 98
Low R. 20, 63
Mach E. 53
Mancini S. 16
Mauron A. 81
Mazzarella E. 98, 194
Merleau-Ponty J. 98, 144
Mordacci R. 16
Muller W. E. 28, 42, 55, 140, 175
Muratore S. 144, 160
Newton I. 21, 69
Nietzsche F. 32, 43, 54, 55, 81, 138,
170, 174
Odum E. P. 91
Origene 170, 171
Ostinelli M. 16
Pagels H. R. 144
Pellegrino P. 17
Pessina A. 20, 158
Pievatolo M. C. 16
Platone 42, 69, 70, 138, 157, 169
Portinaro P. 11, 181
Rapp F. 20
Rath M. 42, 140, 149
Rickert H. 37
Ricoeur P. 149
Samson L. 111
Scheler M. 110
Schelling F. W. J. 9
Schieder Th. 20
Schrodinger E. 47
Seve B. 16
Simon R. 149
Spaemann R. 42
Spinoza 108, 113, 185
Szostak W. 49, 110, 141, 169
Taminiaux J. 183
Telaretti F. P. 20
Tipler F. J. 171
Tommaso 166
Uexkull Th. v. 64
Viano C. A. 63
Vitale E. 16
Weizsacker C. F. v. 22
Wendnagel J. 13, 14
Werner M. 15
Whitehead A. N. 17, 72, 186
Wiener N. 39
Wille B. 54, 57, 66, 135, 140
Wolf J.-C. 14
Zaner R. M. 57
Zimmerli W. Ch. 159
199
Indice
11
Introduzione
59
200
153
201
Strumenti e ricerche
202
203
204