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Ai confini fra digitale e reale

Scritto da MarioEs
mercoledì 26 dicembre 2007

Inizio questa settimana un percorso sotto forma di dialogo con un amico - di nome PioB - che seguirà come filo conduttore il tema della conoscenza e dei relativi
confini in rapporto ai suoi oggetti apparentemente dicotomici dellarealtà fisica e della realtà digitale.
La mia posizione sarà orientata a considerare reale e virtuale due "realtà reali" e quindi non necessariamente dicotomiche, mentre PioB sarà il portavoce di coloro
che non condividono l'assunto che la conoscenza si possa avvalere di esperienze virtuali-digitali, che in tal caso sarebbero mere percezioni.

Buona lettura.

PioB : Mario, ti scrivo in merito a quanto sta accadendo presso le grotte di Lascaux in Francia...

In questo mirabile posto, presso cui sono conservate le più antiche incisioni e disegni umani scoperti dall'archeologia, da alcuni tempi non é possibile la visita
diretta delle grotte, per motivi di sicurezza e di conservazione.
La visita é sostituita dalla visione multimediale, una riproduzione fedele al computer delle grotte visibili qualche metro più in là delle originali.

Ora la domanda é questa: mettiamo che un genitore decida di fare vedere a suo figlio le grotte di Lascaux; bene, va in Francia ed entra in questa struttura
convinto di far vedere al figlio le incisioni degli uomini primitivi, prime tracce non solo dell'esistenza degli ominidi, ma della loro resa artistica se vogliamo…
Il figlio vedrà al posto di quella reale, una rappresentazione su grandi schermi digitale che simula la visione della grotta nelle sue dimensioni reali…
Ora il figlio quando tornerà a casa o magari tra 10 anni ricorderà di aver visitato le famose grotte avendo di esseuna memoria virtuale e non più una memoria
storica dell'evento.

Qui, anche se non se ne sono resi conto gli artefici dell'opera, l'ingegnere ed il direttore dei lavori, é in atto una sovrapposizione dell'idea al fatto, dell'ontologia
allo storicismo… la rappresentazione non é più “in quel momento e luogo” (il fatto appunto) ma una ri-presentazione delle incisioni (l'idea) in qualunque momento e
luogo (mediante un software), poiché nessuno vieta che l'apparato elettronico che permette la visione virtuale della grotta possa essere trasportato in Giappone o in
Africa…

Tu potresti dirmi che lo stesso avviene con la conoscenza delle grotte di Lascaux mediante le foto tratte da una rivista oppure filmati o depliant, ma non é la stessa
cosa poiché qui si sta dicendo che un visitatore guarda qualcosa che é vera in quanto possiede un aspetto virtuale e non più un aspetto fisico, e se possiede il primo
aspetto può bastare per essere ricordata e diventare “reale” per l’ipotetico figlio ma anche per tutti quelli che vedranno per la prima volta... incredibile... che ne
pensi?

MarioEs: il “problema” di cosa è reale e cosa è virtuale è indubbiamente sempre più alla nostra attenzione quanto più le tecnologie digitali – grazie al loro continuo
sviluppo – tendono a “sostituire” le esperienze reali con esperienze virtuali.

Aggiungo che il grande dubbio che ci può assalire è proprio quello relativo al fatto che potremmo finire per avere una percezione “mediata” della realtà grazie alle
tecnologie digitali e, quindi, perdere l’esperienza del “fatto” a favore della sua rappresentazione digitale.

Tutto ciò apre le porte ad un argomento più ampio di tipo gnoseologico, ossia di cosa è reale e di cosa è virtuale e se anche il virtuale può essere reale
e il reale virtuale.

Pertanto, ti chiederei – innanzitutto - dal tuo punto di vista quale è la distinzione tra Realtà e Virtualità?

Qui Zyg Ballinger balla con Roxelo Babenco del Museo del Metaverso
in una festa ad unAcademy

Technorati Tags: brain2brain blog2brain Reale e Digitale Second Life Metaverso Conoscenza

Ieri sera con Roxelo all'inaugurazione di Arkitris

PioB: per me è reale ogni esperienza che è fatta con gli organi di senso senza la mediazione di nessun artefatto; in tal senso, il diretto contatto con la
fonte di sensazione crea una distinzione tra soggetto che esperisce ed oggetto esperito.

Ti pongo l’esempio di un pezzo di musica classica in un teatro: in tal caso esperisco la realtà quando assisto al concerto senza la mediazione d altri mezzi che
alterino le mie percezioni sensoriali dirette tali da rendere la percezione ripetibile nel tempo e nello spazio; la visione del teatro e dei musicisti e della platea non si
ripresenterà mai a me nello stesso modo.

Infatti, l’uso della videocamera per rivedere il concerto o il formato audio della stessa permette di saltare il continuum spazio temporale e di riascoltare o di
vedere l’atto inimmaginabile nell’ordinario: è quello che chiamo virtuale.

Il virtuale è, per dirla in termini kantiani, il considerare l’unità del tempo e dello spazio non più come intuizioni della percezione ma come
ripetizioni di ciò che ho già conosciuto, in qualunque spazio e tempo, appunto.
Attraverso il monitor non c’è più soggetto nè oggetto, ma entrambi in via di principio sono elementi interattivi; di qui un universo integrato in cui le stesse
contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, normale e patologico, vengono in un certo modo sublimate dentro questo spazio di iper - realtà che
ingloba tutto; compreso qualcosa che sembra, a mio parere, l’essenza della conoscenza: il rapporto di distinzione fra soggetto e oggetto senza cui non ci sarebbe
conoscenza ma pure sensazioni.

Ma dimmi: perché mi chiedi questa definizione? forse credi tu che la conoscenza possa esistere senza la distinzione di cui sopra? In tal caso, quando si stacca il
monitor, si staccherebbe solo un tubo catodico eccitato da scariche di elettroni oppure la conoscenza stessa?

MarioEs : proprio una sera della scorsa settimana io, anzi il mio avatar su Second Life, tale Zygmunt Ballinger, era all’inaugurazione del Museo del
Metaverso, un vero e proprio museo in cui sono esposte opere d’arte puramente digitali e opere d’arte riprodotte digitalmente, ma esistenti anche nella realtà
fisica (chiamo così – per convenzione - la realtà non digitale).

Il fatto che oggi, grazie alla tecnologia, si possano creare ed allestire musei digitali sicuramente amplia le possibilità della nostra conoscenza ed a nulla serve
negarle: semplicemente ora queste possibilità esperenziali esistono ed hanno una forma, quella digitale. E l’uomo percepisce ciò a cui dà forma.

Del resto, l’uomo non ha mai abitato l’ambiente naturale, ma il mondo creato dalla sua interpret-azionedell’ambiente.
La riflessione che si crea a seguito dell’azione tecnica sull’ambiente stesso dà origine alla rappresent-azione del “nostro mondo” e alla relativa coscienza.

La distinzione tra soggetto ed oggetto da te “rivendicata”, che a tuo parere è conditio sine qua non della conoscenza, e la tua visione critica della “conoscenza
digitale” nella quale l’Uomo resterebbe soggetto e la realtà digitale sarebbe un altro soggetto con cui interagire, per cui ci sarebbero “pure sensazioni” e non
conoscenza, sono frutto a mio avviso di un pensiero pre-tecnologico in cui l’Uomo era ancora soggetto della conoscenza.

Nell’Era Tecnologica l’Uomo non è più soggetto della conoscenza perché il Soggetto è diventata la Tecnica stessa e l’Uomo è diventato strumento/prodotto
del suo potenziamento; inoltre, l’Uomo percepisce la realtà così come mediata dalla Tecnica per cui in quest’ottica tutta la realtà è “virtuale” in quanto
non è colta in sé ma come risultato di un procedimento tecnico e di un “a priori” tecnico.

Di pari passo, il virtuale è reale se esiste, come esiste, come risultato del predetto procedimento tecnico e dà luogo ad una coscienza “virtualmente reale”.

In sintesi, la mia impressione è che soggetto ed oggetto e reale e virtuale non esistano come realtà distinte e dicotomiche , ma semplicemente che la nostra
coscienza si “rimodelli” in funzione delle azioni tecniche che poniamo in essere nel “nostro mondo” squisitamente artificiale, sia esso “fisico” o
“digitale”.
La tua interpretazione della realtà digitale mi sembra, tra l’altro, un po’ “platonica”, non credi?

SECONDA PARTE

Un'immagine del telescopio di Hubble alla ricerca delle


Galassie più lontane nello spazio-tempo

Continua la discussione con l'amico PioB su reale e digitale.

Buona lettura.

PioB: per Platone la conoscenza era data dalla riflessione delle idee attraverso lo strumento conoscitivo. Conoscere, quindi, equivarrebbe a trovarsi in una stanza
degli specchi deformanti di un luna park.
Si entra e si vedono tanti specchi che ripetono all’infinito l’immagine proiettata di sé; tanti riflessi e molteplici forme che si ripetono.
Non tutte corrispondono, però, a quell’effettiva, reale, a quella che rispecchia la simmetria, le dimensioni della persona che vi si specchia.
Vedi, fuor di metafora, l’immagine riflessa nello specchio è l’atto della conoscenza e le immagini deformate dalle dimensioni e dal raggio di curvatura dello
specchio rappresentano le varie forme di rappresentazione derivate dall’interazione con lo specchio, mezzo interpret-“attivo” perché attivamente
interagisce con chi conosce e rende dicotomica e distinta l’immagine dal riflesso.
Il mondo virtuale è, per me, reale a patto che si abbia consapevolezza dell’esistenza di un software-specchio attraverso cui si percepisce la realtà; la
conoscenza del bambino nelle grotte di Lascaux è la consapevolezza e la comprensione dei disegni, colori e informazioni sullo stile di vita raggiunto dall’Uomo
migliaia di anni fa ottenuti attraverso l'esperienza o l'apprendimento (a posteriori); essa è l'autocoscienza del possesso di informazioni (fisiche o digitali) connesse
tra di loro, le quali, prese singolarmente, hanno un valore e un'utilità inferiori.
Quando tu dici che gli strumenti con cui si conosce, siano essi fisici che digitali, sono artificiali, metti in risalto che la conoscenza umana da sempre si è rilevata
all’uomo attraverso lo strumento del linguaggio, sia esso metaforico degli antichi sia esso matematico con i numeri che virtuale attraverso i codici binari di una
macchina; parole che rappresentano comunque un'ombra della conoscenza senza parole.
Quindi dimmi, Mario, si riduce a questo il virtuale?
E’ soltanto una forma cognitiva tra le tante o intravedi in questo “specchio” un elemento aggiunto per conoscere il “vero”, quella che
kantianamente si definisce la cosa in sé?
Queste nuove discipline cognitive e cibernetiche miglioreranno la rappresentazione umana dell’oggetto o col sapere aumenta il dubbio di sapere e, di conseguenza,
si sa, come diceva Ghoete, solo quando si sa poco?

MarioEs: a mio parere quello che tu chiami software-specchio della realtà è parte di un concetto più ampio in base al quale la Tecnica è il “medium” attraverso
cui gli esseri umani percepiscono, pensano ed interagiscono tra loro e con il mondo che abitano (artificiale).
La Tecnica diventa, come asserisce Umberto Galimberti, non solo il pre-requisito dell’esistenza umana (la nostra “seconda natura”) ma determina
l’identificazione dell’Uomo con il suo complesso apparato impersonale rendendolo proprio “funzionario”.
Pertanto, la realtà cosiddetta virtuale non è altro che una ulteriore forma di conoscenza all’interno di una “multi-realtà” o realtà multi-dimensionale i cui codici di
significato interagiscono fra di loro in una sorta di “gioco degli specchi”, come dici tu, e restituiscono come risultato una conoscenza “amplificata” ed
“accresciuta” della realtà e della coscienza.
Un altro effetto interessante di questa interazione reale-virtuale è la modificazione del concetto di tempo, che grazie alla persistenza degli spazi digitali consente
forme di comunicazione asincrone e, soprattutto, una sorta di “cristallizzazione” del divenire temporale grazie allo storage delle informazioni.
La parte invece inquietante è la “manipolabilità” di questo “passato digitale” o il suo annichilimento improvviso per cause varie , volontarie o meno.
In quest’ultimo caso, il ricordo, la memoria del passato si distruggerebbero con la perdita di quell’indirizzo web?
E con quali conseguenze?
Infine, mi sembra interessante sottoporre alla tua attenzione una eventualità ancora più inquietante nel rapporto reale-virtuale, che cercherò di semplificare per
chi legge.
Un filosofo della scienza inglese, Nick Bostrom, nel libro Anthropic Bias, partendo da quello che è il principio antropico dell’osservatore non esclude,
dimostrando la sua tesi con la logica e la matematica, che la realtà fisica del nostro Universo possa essere il frutto di una simulazione di un’intelligenza
superiore e che quindi sia una sorta di realtà virtuale all’interno di un super-computer di una super-civiltà.
A questo punto nulla vieta di pensare che a sua volta questa super-civiltà sia frutto di una simulazione, per cui noipotremmo trovarci a due livelli di distanza
dalla realtà “vera” e potremmo stare vivendo in un “falso universo” dentro un altro falso universo.
Noi, a nostra volta, potremmo essere agli esordi – grazie all’intelligenza artificiale ed in generale alle NBIC (nanotech, biotech, infotech,cognitive sciences) – della
creazione di primi e rudimentali falsi universi digitali (ad es. Second Life).
Ma anche ammettendo di essere in un falso universo dentro un altro falso universo, per noi cosa cambierebbe essendo la cosa al momento indimostrabile se non
speculativamente?
La nostra conoscenza non ne risulta accresciuta in senso sostanziale, ma solo amplificata nei dubbi sulla realtà del “nostro mondo”.
In definitiva, il “gioco degli specchi” finisce – sotto effetto della nostra logica – per arrivare ad ipotizzare infinite realtà alternative a quelle meramente
percepibili e misurabili dai nostri sensi e dai nostri esperimenti.
Realtà ipotetiche, quindi virtuali nel senso di eventuali o probabili, ma non escludibili a rigor di logica.
Alla luce di ciò, direi che il metaverso e la realtà digitale non rappresentano un problema gnoseologico più di quanto non lo rappresenti già il nostro
universo fisico.
Parimenti, sono del parere che essi siano una proiezione della nostra coscienza e una forma per accrescerne le potenzialità di comunicazione ed interazione.
La cosa in sé di Kant direi che resta ancora un mistero.
Su questo concordo con te, almeno credo.

PioB: E’ difficile spiegarlo in poco tempo, certo, se la realtà virtuale sia o meno degna di essere conosciuta o è invece soltanto impressione di essere in un luogo o
in un tempo grazie ad un computer con capacità grafiche molto potenti.
Disponendo, così, di una tecnologia che spinge sul versante delle immagini e che offre la possibilità di manipolare ed elaborare in tutti i modi queste immagini, il
contatto con l'arte è immediato e multiforme, si può svolgere a tantissimi livelli.
Quindi ogni forma di rapporto gnoseologico, nel mondo virtuale, ha un aspetto artistico - visuale che non può essere trascurato.
Inoltre, queste tecnologie consentono di spostare immagini ad alta risoluzione quasi vive come quelle reali, di metterle a disposizione ovunque.
La nostra familiarità con le immagini nell'era della stampa era molto bassa: bisognava collezionare libri, anche costosi.
Quindi la realtà virtuale porterà, a mio giudizio, all'arte come il linguaggio conoscitivo per eccellenza, che apparterrà a diverse culture, a diverse epoche,
a diversi tempi.
Oggi, e qui terminano i miei dubbi sulla liceità delle grotte di Lascaux “digitalizzate”, è possibile costruire degli strumenti comunicativi che mettono in poco tempo,
alla portata di tutti, la capacità di fruire delle informazioni perché riescono a spiegarle in maniera molto semplice, attraverso l'immagine, proprio come le ombre
“platoniche” riflesse sulla caverna.

MarioEs: condivido con te l’idea che la realtà virtuale così come si sta sviluppando, ad esempio con Second Life, ha molto a che fare con l’arte e con l’estetica, che
diventano nel metaverso forse la fonte prima di comunicazione e di conoscenza.
Concludo riferendomi al titolo che ho voluto dare alla nostra conversazione, ossia “Ai confini fra digitale e reale”.
In particolare, mi rendo conto solo adesso della scelta particolarmente attinente a quello che andrò a dire e cioè chela conoscenza umana è sempre in qualche
modo caratterizzata dal concetto di confine.
Confine e dunque “separazione” fra il sé, il nostro io, ed il mondo, che per quanto “nostro mondo” (cioè artificiale) , ossia creato da noi grazie alla tecnica,
resta pur sempre “diverso” da noi nella sua impersonalità decretata dal fatto di essere un “apparato tecnico” - molto complesso - che deve funzionare come
una macchina in base a criteri di produttività, efficacia ed efficienza.
Questo “mondo tecnico”, non lasciando spazio se non all’espressione dei ruoli che ciascuno di noi assume funzionalmente nel suo ambito, delinea contestualmente il
confine tra la nostra “sfera privata” dove si sono rifugiate, chissà ancora per quanto, le nostre residue attività realmente libere dai ruoli stessi e la “sfera
pubblica” dove viviamo come maschere-persone e funzionari del sistema-apparato.
La nostra esistenza e la nostra conoscenza del “nostro mondo” scorrono dunque lungo questa linea di confine che separa noi da “tutto il resto”, ma d’altronde questa
linea di separazione è in continua evoluzione per il fatto che noi stessi cambiamo ed il “nostro mondo” cambia, per cui io ravvedo in questa pseudo-distinzione
tra reale e virtuale anche una sorta di metafora del nostro cammino di esseri umani all’interno dell’ “età della Tecnica”, laddove è sempre più evidente
il fatto che quest’ultima è il medium della nostra conoscenza e dei nostri rapporti interpersonali, che pertanto sono “virtuali” in quanto funzionali alla “maschera –
software” del nostro ruolo e d’altronde possono essere “reali” se ispirati alla parte “più profonda” e privata della nostra interiorità.
Il confine tra le due realtà, d’altronde, è molto labile ed incerto ed in continua evoluzione.
In tutto ciò, se mi permetti, nutro una piccola “speranza”, che spero tu condivida, ossia che, pur restando assodato che il mondo della tecnica rappresenti il
nostro destino, questo Uomo “post-umano”, che noi siamo e stiamo diventando sempre più , sappia conservare e gestire questo labile e mutevole confine
che lo rende ancora Uomo e non una Macchina – micro-apparato del Sistema – Macro-Apparato.

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